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prefazione

alla seconda edizione

Il tango è la nostalgia
per qualcosa che non è mai stato
ma che avremmo voluto che fosse
(A.G.B.)

si
Quando si comincia un’impresa, si crede sempre di sapere dove

quella finale. ar
si andrà a finire ma quasi mai la meta iniziale corrisponde a

Scrissi il libro che state per leggere molti anni fa: un libro
r
che all’epoca vendette trentacinquemila copie e che rappresen-
tò, per l’editoria di quel tempo, una novità assoluta, in Italia
lib
e nell’Europa intera. A fronte della cieca politica commerciale
delle grandi case editrici, che sovente considerano i libri solo
come opportunità di guadagno e non quali strumenti di acqui-
cro

sizione di consapevolezza, il testo fu però rapidamente tolto dal


mercato, e ciò nonostante molti chiedessero di poterlo acquisi-
re. Forse questo libro non costituiva un best seller – cosa che, pe-
raltro, di solito non viene decisa dal pubblico bensì dagli editori
– ma fu piuttosto evidente come tale lavoro provocò, nel nostro
Ma

paese, una rivoluzione nella storia dei fenomeni di abduction.


“Abduction”: una strana parola che deriva dall’ormai onni-
presente lingua inglese, che continua a usurpare la cultura me-
diterranea con termini che vorrebbero presentarsi come scienti-
ficamente migliori di altri ma che invece sovente sono solo privi
di significato.
In ogni caso abduction avrebbe dovuto indicare il fenomeno
di “adduzione” cioè il rapimento inteso nell’accezione esogena
al pianeta.

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Gli addotti erano quegli esseri umani che affermavano di
essere stati rapiti, contro la loro reale volontà, da forze esterne
al pianeta. Il fenomeno era noto nel mondo anglosassone sin
dagli anni Cinquanta e i primi autori che trattarono, a modo
loro, questa tematica, erano sostanzialmente americani e ingle-
si. Tra questi ci furono Bud Hopkins, un pittore newyorkese
che usava tecniche di ipnosi regressiva per far ricordare ai sog-
getti presunti addotti le loro esperienze, dimenticate tra le pie-
ghe dell’inconscio. Successivamente, ebbe a occuparsene anche
John Mack, psichiatra della Harvard University, pubblicando

si
altri testi che mostravano non solo che il fenomeno adduttivo
era reale ma che esso costituiva un grande trauma psicologico

ar
per chi lo subiva. Karla Turner scrisse un libro sulle adduzioni
al femminile, cioè il resoconto delle esperienze, recuperate con
tecniche ipnotiche, di donne addotte. David Jacobs, un profes-
r
sore di storia della Temple University, si era interessato a questi
accadimenti e aveva pubblicato alcuni libri pieni di racconti e
lib
testimonianze.
Se esistevano le adduzioni dovevano esistere anche gli addot-
ti: e se esistevano gli addotti, che evidentemente non erano mi-
cro

tomani o pazzi scatenati, dovevano esistere anche gli adduttori.

Si dice il peccato ma non il peccatore


Ma

In quegli anni si poteva discutere del problema adduttivo ma


nessuno aveva voglia di parlare delle cause che v’erano dietro.
Così, se da un lato le autorità preposte alla comprensione di
questi fenomeni – e cioè lo Stato, i Militari, la Chiesa, i Servizi
Sociali, la Protezione Civile, la Medicina Ufficiale, l’Accademia
e il Mondo Scientifico – non volevano farsi coinvolgere, dall’al-
tro le risposte che venivano date erano spesso prive di contenuti.
Così, ecco che gli adduttori per i Servizi Segreti erano mili-
tari di fazioni segrete, mentre per la Chiesa si trattava di demo-

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ni, per gli psichiatri era solo il cervello umano che faceva brutti
scherzi e per i Militari si trattava di armi segrete in grado di
sviluppare allucinazioni nella mente degli avversari. La cosa in-
teressante era evidenziata dal fatto che nessuno voleva pronun-
ciare la parola proibita: alieni.
Gli alieni non possono esistere per la Chiesa poiché, per
essa, oltre all’uomo esistono solo demoni e angeli. Gli alieni non
esistono nemmeno per i militari, perché affermarne l’esisten-
za vorrebbe dire gettare nel panico l’intera popolazione dotata
di divisa, all’evidenza incapace di opporsi a tecnologiche forze

si
oscure provenienti da altri pianeti. Per i fisici, poi, non si può
superare la velocità della luce e dunque tutto quello che riguar-

ar
da la venuta di un alieno su questo pianeta non può esistere
perché tra un pianeta abitato e l’altro esistono miliardi di chi-
lometri: anche se si superasse la velocità della luce le distanze
r
da coprire sarebbero sempre proibitive. Per i politici, infine, gli
alieni non costituiscono un problema da risolvere perché essi
lib
non votano e dunque non sono degni di alcun interesse.
cro

Gli ufologi

Gli unici che desideravano occuparsi di questa strana fenome-


nologia – che allora appariva una fenomenologia di nicchia, de-
cisamente confinata alle poche esperienze di altrettanto pochi
Ma

sprovveduti – erano gli ufologi: coloro che studiavano il feno-


meno degli ufo, e cioè degli oggetti volanti non identificati.
Ma chi erano gli ufologi? Si trattava di un’umanità decisa-
mente variegata: dai fanatici pseudo religiosi convinti che gli
alieni fossero i nostri angeli salvatori, che in passato avevano
aiutato l’uomo a risolvere alcuni problemi di sopravvivenza
su questo pianeta e che oggi controllavano, dall’alto, l’evolu-
zione di questa specie inferiore, agli scientisti, secondo cui gli
alieni erano esseri tecnologicamente superiori, da ammirare

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per il loro grado di evoluzione tecnologica che – a sentir loro
– avrebbe dovuto corrispondere a una altrettanto elevata con-
sapevolezza di sé.
C’erano poi gli ufologi persuasi del fatto che gli ufo fossero
manifestazioni del tutto terrestri di armi segrete, russe o ame-
ricane, di cui noi, ovviamente, non avremmo mai dovuto essere
informati. Esisteva infine un ramo dell’ufologia che considerava
gli ufo come uno scherzo della mente: costoro affermavano che
non avremmo dovuto studiare gli alieni, ma gli alienati che cre-
devano di vedere gli alieni.

si
Nessuno in verità voleva scoprire di cosa effettivamente si
trattasse. Persino gli ufologi sotto sotto speravano che non ve-

ar
nisse mai compreso che cosa provocasse questo fenomeno, per-
ché altrimenti gli ufologi stessi non sarebbero più serviti.
Oggi, ad anni di distanza, capisco che in effetti non si po-
r
tevano studiare gli alieni se prima non si fosse studiato l’ufolo-
go che avrebbe dovuto studiare l’addotto, cioè il protagonista
lib
dell’adduzione.
L’ufologo era come il prete per la religione: rappresentava il
trait d’union fra la divinità e l’uomo peccatore. E così l’ufologo
cro

era colui che “confessava” l’addotto, che spesso gli dava una sorta
di credibilità e che lo metteva in contatto con la sua esperienza
aliena. Ma tutto ciò avrebbe dovuto prevedere, a monte e prima
di ogni altra cosa, una piena consapevolezza del fenomeno ad-
duttivo da parte dell’ufologo. L’ufologo di quei tempi era invece
Ma

diventato tale per auto-elezione.


Di solito si diventa ingegneri perché si è studiato ingegneria
e, a seguito di una laurea, lo Stato ti conferisce il titolo di inge-
gnere. L’ufologo, invece, poteva alzarsi una mattina e decidere
che da quel momento si sarebbe definito tale, semplicemente in
virtù del fatto di avere passato un certo periodo del tempo a fare
l’ufofilo, come per un diritto automaticamente acquisito.
Un appassionato di ingegneria, però, non è un ingegnere,
così come un sacrestano non è un prete. Un ufofilo non poteva

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quindi essere ufologo, anche perché la laurea in ufologia non
c’era allora e non esiste a tutt’oggi.
A posteriori si poteva notare che i così autodefiniti ufolo-
gi erano persone che, reputandosi pensatori mediocri, avevano
“pensato” di risolvere i problemi del proprio ego dedicandosi a
qualcosa cui nessuno si era ancora dedicato: così facendo avreb-
bero soddisfatto una propria esigenza di conoscenza in un cam-
po in cui, non esistendo esperti, essi stessi avrebbero facilmente
potuto dominare la scena.
Il grado culturale di questi ufologi, almeno in Italia, era de-

si
cisamente basso. I pochi che avevano fatto l’università avevano
studiato tanto ma capito veramente poco. E tra quelli c’ero an-
che io.
r
La realtà della ricerca in Italia
ar
lib
Di fatto, in Italia non esisteva alcuna ricerca su questa fenome-
nologia. Quello che si sapeva era stato letto su qualche libro di
autori d’oltreoceano. La rivista specializzata che in Italia parlava
cro

di questa fenomenologia descriveva casi e testimonianze di ad-


dotti di altre nazioni, oppure si dilungava in ipotetiche ricostru-
zioni di avvenimenti pseudo alienologici accaduti nel passato
remoto del nostro paese.
Affrontare il problema di cosa accadeva sotto gli occhi ignari
Ma

di tutti non doveva essere raccontato. Nel periodo in cui feci


parte di un – allora noto – centro ufologico nazionale (nome
roboante dietro al quale si nascondeva il nulla), nelle riunioni
del direttivo erano presenti alcuni membri dei servizi segreti o
del secondo reparto dell’aeronautica o addirittura del Vaticano,
che elargivano spassionati consigli su come, tale centro, avrebbe
dovuto gestire le informazioni relative ai fenomeni ufologici sul
nostro territorio. Ma questa è cronaca ormai obsoleta. Io che
ci facevo in un’organizzazione del genere? Se da un lato cerca-

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vo di rispondere a una banale domanda sull’esistenza di Dio,
dall’altro stavo inconsapevolmente percorrendo una strada che
mi avrebbe condotto a stravolgere la mia intera esistenza.
Ero convinto che se avessimo capito chi erano gli alieni, e se
essi davvero esistevano, avremmo potuto chiedere loro se esi-
stesse Dio. Se avessimo chiesto a chi “per forza” doveva essere
più evoluto di noi, ci saremmo risparmiati un sacco di elucubra-
zioni teoriche e anni di dissertazioni filosofiche.
Nel frattempo mi ero laureato in chimica all’Università di
Pisa, avevo lavorato a Parigi in un’importante università (Pierre

si
et Marie Curie) e cercavo di dare il mio contributo scientifico
nell’ambito di quell’organizzazione di ufologi costituita da im-

ar
piegati delle poste in pensione, pseudo giornalisti senza gior-
nale, impiegati di banca, preti falliti, commercialisti in attesa di
prendere le redini dello studio paterno, seminaristi in cerca del-
r
la loro identità e studenti fuori corso di fisica, eterni laureandi.
Ognuno tentava di esprimere il meglio di sé, ma io allora
lib
credevo che avremmo dovuto impegnarci di più nel campo
scientifico con fisica, chimica e biologia alla mano.
Non disprezzavo il lavoro degli altri, ma dovevo ammettere
cro

che semplicemente non esisteva alcun lavoro, ad esclusione dei


percorsi di fabulazione dei teorici dell’epistemologia della reto-
rica ufologica cui ero spesso, mio malgrado, sottoposto.
Mi ricordo ancora il tempo trascorso inutilmente durante le
riunioni del direttivo in cui si doveva decidere la definizione di
Ma

Ufo: mentre noi stavamo lì, a decidere come identificare con una
definizione una cosa non identificata, sul territorio italiano i fe-
nomeni di adduzione sarebbero esplosi nel giro di pochi anni.

I primi passi

A un certo punto mi venne affidato l’incarico di occuparmi dei fe-


nomeni adduttivi in Italia, iniziando le indagini su un caso speci-

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fico, il primo a essere studiato e analizzato in piena consapevolez-
za. Ora, a dire il vero io di consapevolezza ne avevo ben poca ma
avevo una grande volontà di impegnarmi e di dimostrare che ero
in grado di muovermi in un campo in cui, in tutta Europa, nes-
suno si era mai impegnato a fondo, ad eccezione di qualche spo-
radico caso studiato in Inghilterra e nell’Europa del Nord. Devo
anche riconoscere come in realtà fosse il mio ego a spingermi ad
occuparmi di cose con cui gli altri non volevano sporcarsi le mani.
In fondo, credere di essere l’unico ricercatore in Italia impe-
gnato nello studio dei fenomeni di adduzione appagava sì il mio

si
ego, ma mostrava chiaramente la mia poca consapevolezza, cosa
che emergeva dagli atteggiamenti che assumevo nei confronti

ar
del fenomeno oggetto dei miei studi. Io ero l’investigatore de-
putato a scoprire cosa si celasse dietro il fenomeno adduttivo,
ero colui che, come un cavaliere senza macchia e paura, anda-
r
va contro le regole della società, scopriva gli alieni e indicava
ai religiosi che non eravamo soli nell’universo, contrariamente
lib
a quanto sostenuto dalle dottrine cattoliche della religione di
Stato. Ero colui che dichiarava ai servizi segreti lo smaschera-
mento del loro subdolo gioco di dissimulazione di un fenomeno
cro

di cui loro erano invece a perfetta conoscenza. Accusavo i mi-


litari di colludere con la fenomenologia aliena e, dall’alto della
mia scientificità, rendevo valide e credibili le mie tesi, affiancan-
do alle esperienze dell’adduzione, i dati e le teorie scientifiche
sulla spiegabilità dei fenomeni ufologici. Si andava da analisi
Ma

foto-densitometriche, effettuate su fotografie di presunti ufo,


all’analisi isotopica dei materiali di cui erano fatti i microchip
trovati all’interno dei corpi degli addotti. Si spaziava dal com-
prendere perché l’itterbio, quale metallo lantanide, venisse ri-
velato dalle analisi condotte su terreni contaminati da presun-
ti ufo, a comparazioni con analisi effettuate in altre parti del
mondo, alle proprietà di quel metallo e al suo utilizzo quale
superconduttore a temperatura ambiente, correlabile con il fun-
zionamento del motore dell’ufo.

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Insomma, volevo far vedere che avevo studiato.
Ed era vero, avevo studiato! Ben presto, però, mi sarei reso
conto che studiare non era sufficiente: bisognava anche com-
prendere.
Eppure, nel mio fervore scientifico di svelatore di misteri,
non mi ero reso conto che avevo fatto qualcosa di eticamente
sconveniente.
Avevo dimostrato che ci si poteva capire qualcosa.
Il sistema, ossia il gruppo ufologico in cui svolgevo la mia
attività, mi estromise immediatamente. Per loro era troppo pe-

si
ricoloso lasciarmi fare perché gli amici consiglieri militari, poli-
tici, massoni ed ecclesiali, non sarebbero stati d’accordo.

ar
Fu lì che ingenuamente e in ritardo rispetto ai tempi della
mia vita, capii che mentre io volevo davvero comprendere il fe-
nomeno ufologico, gli altri volevano soltanto essere ufologi.
r
lib
Il libro, la storia, l’epurazione

Con l’aiuto del Dottor Moretti di Genova, cui avevo tentato di


cro

far capire l’importanza di questa inchiesta, mi trovai di fatto


a condurre delle ipnosi regressive. Moretti, ipnologo di chia-
ra fama, si era reso disponibile ma, dopo numerosi tentativi,
non era riuscito a far uscire dalla bocca dell’addotto testimone
(Valerio Lonzi) alcuna dichiarazione importante. Sia Moret-
Ma

ti che l’addotto mi chiesero di intervenire e così, in presenza


dello stesso Moretti, da quel momento e per due anni e mez-
zo condussi una serie di sedute ipnotiche, che portarono poi
alla scrittura di questo libro: libro che in realtà avrebbe dovuto
costituire soltanto un rapporto interno per il centro ufologico
nazionale, e come tale non divulgabile.
Per condurre le sedute di ipnosi, mi recavo a Genova in tre-
no e qui, presso lo studio del dottor Moretti, incontravo Valerio
e una sua amica. Il loro atteggiamento in tutta questa vicenda

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era dettato dall’idea di guadagnarci comunque qualcosa: dena-
ro, pubblicità, fama e non so cos’altro. Valerio era circondato
da un entourage di persone che in qualche modo volevano ap-
profittarsi della sua situazione; lui stesso voleva approfittare di
sé, ma non ne era consapevole. Nessuno di loro aveva interesse
a comprendere il fenomeno e a dare spiegazioni, sembrava vo-
lessero solo trasformare Valerio in un caso da portare in tv. Io
ne ero consapevole e cercavo di trasformare questi tentativi di
manipolare Valerio in momenti di acquisizione di consapevo-
lezza, affinché la gente potesse capire che ciò che era accaduto

si
era importante per l’umanità. Era fondamentale comprendere
cos’era successo a Valerio, perché si trattava di un momento di

ar
riflessione in cui religione, politica, storia, scienza, psicologia e
chissà cos’altro venivano rivisti e messi a confronto. Se Valerio
era veramente stato addotto, come la sua iniziale testimonianza
r
sembrava confermare, allora i fenomeni di adduzione erano re-
ali: quindi gli alieni esistevano e noi eravamo loro ignari oggetti
lib
di studio. O forse, senza che ce ne rendessimo conto, venivamo
semplicemente utilizzati? E se era così, per quale recondito e
nascosto obiettivo?
cro

Possibile che nessuno comprendesse che i soldi non servi-


vano a nulla e che ciò che accadeva a Valerio poteva capitare a
chissà quanti altri in Italia e nel mondo? Mentre facevamo le
nostre indagini, riferivo puntualmente i risultati ottenuti dalle
sedute di ipnosi al direttivo del centro ufologico nazionale; il
Ma

direttore però non sapeva fare di meglio che sbadigliarmi in fac-


cia, affaticato dai miei puntuali racconti. L’ufologia italiana, del
resto, non sembrava particolarmente interessata ai fenomeni di
adduzione in quanto tali, ma soltanto a ricavarne qualcosa in
termini di immagine.
Quando consegnai il rapporto finale al direttore del centro
ufologico, questi mi disse che, attraverso le sue conoscenze, lo
avrebbe fatto pubblicare come libro e che lui stesso voleva scri-
verne la prefazione. Acconsentii senz’altro alla pubblicazione

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del testo perché volevo che la gente leggesse cosa avevamo sco-
perto sulle adduzioni aliene in Italia.
Il libro ebbe subito molto successo, ma fu in quel periodo
che mi resi conto che il centro ufologico cui facevo riferimento
in realtà colludeva in varie forme con enti statali e servizi segreti
di varie nazionalità. Uscii dunque dal centro dando immediata-
mente le dimissioni; dal suo canto, colui che aveva scritto la pre-
fazione al libro si affrettò a dichiarare che in realtà inizialmente
non aveva letto il testo, e si era accorto che era pieno di idiozie
solo dopo aver scritto la prefazione.

si
Mi è poi successo molte altre volte di trovarmi di fronte a situa-
zioni simili, dove persone che fino a un minuto prima sembravano

ar
sostenerti, sentivano improvvisamente il bisogno di sconfessarti,
rinnegando senza alcun pudore le proprie posizioni e mostrando
un trasformismo degno dei più quotati politici italiani.
Ci rimasi molto male.
r
Credevo di aver svolto un lavoro epico e invece scoprivo che,
lib
siccome avevo smascherato le magagne di alcuni loschi perso-
naggi all’interno di quel centro ufologico, questi avrebbero tan-
to voluto tapparmi la bocca per sempre.
cro

Fu l’anno in cui mi trovai con lo sterzo della mia auto mano-


messo: ma fortunatamente me ne accorsi mentre parcheggiavo
e non mentre ero in autostrada.
Nel frattempo, però, muovendo dallo studio che avevo effet-
tuato su Valerio, avevo intrapreso un progetto molto più vasto
Ma

su altre circa duecentocinquanta persone che, avendo letto il li-


bro, si erano riconosciute nella storia di adduzione di Valerio e
si erano sottoposte alle mie ipnosi regressive.
Mi ero impegnato nello studio delle tecniche di ipnosi
ericksoniana e, dato che gli ipnologi che avevo contattato per
effettuare queste ricerche volevano tutti essere pagati, mi ero
trovato costretto a cavarmela con le mie sole forze. Ancora una
volta, il fenomeno dell’adduzione non interessava a nessuno, se
non come idea per fare soldi.

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Io invece ritenevo che la conoscenza non ha prezzo.
Nella mia successiva pubblicazione, dal titolo Alieni o De-
moni, avrei poi messo in luce che i fenomeni adduttivi erano
comuni a centinaia di migliaia di persone nel mondo. Spiegavo
che gli alieni utilizzavano gli esseri umani per scopi spregevolis-
simi, in accordo segreto con i militari di differenti nazioni. Cen-
tinaia di racconti, ricavati dalle ipnosi regressive di altrettanti
addotti, mostravano, con dovizia di particolari, la collusione
tra i militari terrestri e alcune specie aliene. In quel testo sono
state messe in luce le relazioni tra gruppi di potere terrestre e

si
alieno, e identificate le differenti specie di microchip che gli alie-
ni, durante interventi operatori e chirurgici, introducevano nei

ar
corpi degli ignari e inconsapevoli addotti. Il centro ufologico
dal quale ero uscito, nelle persone dei suoi consiglieri, di fronte
alle mie dichiarazioni era totalmente impazzito. Forse temeva
r
che gli amici militari si arrabbiassero, o forse aveva solo paura
di perdere l’immagine di serio gruppo ufologico tutto dedito a
lib
scoprire misteri e segreti che i servizi segreti non volevano di-
chiarare. Tutti i componenti dell’allora direttivo di quel centro
mi si rivoltarono contro e io rimasi solo.
cro

Ma forse, inconsapevolmente, lo ero sempre stato.

Anima, mente e spirito


Ma

Le ipnosi regressive condotte su migliaia di persone e con diver-


si gruppi di ricerca, che nel frattempo avevo organizzato, mo-
stravano gli stessi risultati, sempre.
Gli alieni esistevano ed erano divisi in differenti gruppi. Tali
gruppi erano in segreto accordo con diverse frange del potere
di questo pianeta, e i poteri si manifestavano nel collegamento
tra i loro militari e le differenti specie aliene. I poteri di questo
pianeta erano legati a doppio filo con la massoneria di stampo
egizio e israelita, da cui provenivano tutte le frange del potere

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oscuro. Mentre gli alieni erano fondamentalmente interessati
alla nostra parte animica, i nostri governanti (la massoneria)
erano interessati a utilizzare l’addotto in tutti i modi e, se da
una parte gli alieni usavano anche i nostri corpi per poter pro-
creare, i militari terrestri usavano copie dell’addotto, in una sor-
ta di clonazione come militari golem, in operazioni militari non
convenzionali. Nelle memorie emerse dalle ipnosi regressive di
centinaia di soggetti, si avevano sempre le stesse dichiarazioni.
A raccontarlo era la parte animica dei soggetti messi sotto ip-
nosi che, dicotomizzata dal resto della propria essenza, diceva

si
cosa succedeva durante l’adduzione. L’alieno era interessato a
essa in quanto fonte di vita immortale. L’alieno non voleva fare

ar
l’esperienza della morte. In quel contesto usava l’addotto, in
particolare la sua parte animica immortale, per rigenerarsi. La
parte animica dei soggetti addotti era quasi sempre totalmente
r
inerme di fronte all’adduzione che lei stessa faceva fatica a com-
prendere.
lib
Ma cos’era questa parte animica? Un gruppo di vettori e
tensori legati allo spazio e all’energia ma mancanti dell’asse
del tempo. Anima vedeva il tempo come un tutt’uno, un solo
cro

evento in cui accadeva tutto assieme. Nel corso di numerose


ipnosi ci rendemmo conto che potevamo modellizzare la na-
tura dell’essere umano con gruppi di vettori che descrivessero
anima, mente e spirito. Ci rendevamo conto che mentre anima
aveva coscienza, spazio ed energia ma non tempo, spirito aveva
Ma

coscienza, energia e tempo ma non spazio, che vedeva come un


unico luogo fatto di tutti i luoghi. Dal suo canto, la mente aveva
coscienza, spazio e tempo ma non energia.
Le tre coscienze di anima, mente e spirito, erano non sovrap-
ponibili: apparivano cioè totalmente indipendenti tra loro. In
altre parole, scoprivamo che l’essere umano era la sommatoria
di tre esseri viventi che originariamente erano una cosa sola e
che poi erano stati divisi da qualche evento di cui non avevamo
contezza.

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L’essere umano, così diviso in tre coscienze – che archeti-
picamente rappresentavano la parte mentale, cioè la parte an-
drogina del sé, la parte animica, cioè quella femminile e la parte
spirituale, cioè quella maschile – si faceva manipolare da esseri
che in passato aveva considerato dèi e demoni ma che erano
solo alieni.
Il mito raccontava, ancora perfettamente, tutto ciò. Plato-
ne infatti sosteneva che l’essere androgino veniva diviso in due
parti (maschile e femminile) da dio poiché altrimenti egli non
avrebbe potuto utilizzare l’uomo, che era una creatura troppo

si
potente. Nei trattati esoterici e gnostici come la Pistis Sophia,
si parlava di arconti che avevano voluto creare dei contenitori

ar
umani in cui mettere la parte animica, che doveva essere sem-
pre loro asservita. La parte animica era l’espressione di un’im-
mortalità che l’alieno bramava e che per lui costituiva il mito di
Prometeo.
r
Il braccio secolare del potere sul nostro pianeta si era col-
lib
lusivamente unito alle forze aliene in cambio di un poco di
immortalità. Dal canto loro, gli alieni avrebbero vissuto con
la copertura perenne dei nostri governanti che, in guisa delle
cro

potenti grandi famiglie di banchieri, industriali e monarchi di


questo pianeta, una volta acquisita la capacità di manipolare la
parte animica con l’aiuto della tecnologia aliena, avrebbero po-
tuto vivere per sempre. Per ottenere questo risultato l’umanità
avrebbe dovuto essere mantenuta sempre all’oscuro di tutto, so-
Ma

prattutto del fatto che essa aveva dentro di sé la struttura della


creazione. Anzi: che essa era proprio il Creatore.
Mano a mano che i dati venivano alla luce e che scopriva-
mo microchip nel corpo degli addotti o ricostruivamo, oltre alle
adduzioni aliene, particolari situazioni in cui militari, alieni e
strani tipi di sacerdoti erano impegnati in cerimoniali massoni-
ci legati alla sessualità, alla riproduzione, alla morte e alla vita
immortale, ci venivano in mente alcune domande cui dovevamo
dare risposta.

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Come mai noi, esseri umani divini, non ci eravamo mai ac-
corti di esserlo? Perché morivamo se eravamo immortali?
La ricerca sugli alieni si spostava quindi sull’uomo. Doveva-
mo innanzitutto capire chi fossimo e poi, se mai ne fosse valsa
la pena, tornare a parlare di alieni.

Coscienza e consapevolezza

Nel frattempo, dopo il libro che state per leggere ne avevo

si
scritti altri, tra cui Alieni o Demoni. Avevo scritto anche alcu-
ni articoli che cercavano di spiegare scientificamente, a livello

ar
di fisica quantistica, il fenomeno adduttivo. Con alcune analisi
scientifiche avevo chiarito la natura dei vari microchip che tro-
vavamo nel corpo degli addotti; avevamo anche relazionato sul
r
fenomeno della percentuale isotopica che sembrava dimostrare,
senza ombra di dubbio, che il materiale con cui erano costruiti i
lib
microchip non fosse terrestre (dati ricavabili con analisi di spet-
trometria di massa a struttura fine).
Ma ci eravamo dedicati anche al funzionamento del nostro
cro

cervello, e avevamo elaborato alcune potenti tecniche ipnotiche


e, successivamente, di simulazione mentale (simbad, lgo, tct)
che – attraverso ben noti strumenti, come la Programmazione
Neuro Linguistica, l’utilizzo della croce degli spazi di Pulver,
il test di Lusher dei colori o l’analisi archetipale del mito – ci
Ma

permettevano di creare le condizioni psicologiche dentro alle


quali il soggetto addotto trovava la strada per scrollarsi di dosso
“quel problema”.
Al termine di quel percorso, anche se ancora parziale, gli ad-
dotti che cercavano di liberarsi dal problema adduttivo comin-
ciavano a manifestare spiccate facoltà paranormali. Eravamo
convinti di poter liberare gli addotti dagli alieni con la forza.
Gli addotti erano in grado di opporre resistenza all’adduzio-
ne, che non riusciva più bene come prima. Ma qualcosa ancora

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non andava: per qualche mese gli addotti stavano bene ed erano
convinti di essere “guariti”, ma poi gli alieni tornavano prepoten-
temente a riprendere il loro bottino di energia vitale.
I tentativi di comprendere cosa non funzionasse erano fru-
stranti. La parte animica in ipnosi, cui si domandava come mai
si fosse fatta riprendere, rispondeva che si sentiva sola.
A questa dichiarazione corrispondeva la mia feroce incaz-
zatura.
Io insistevo nell’esorcizzare, in qualche modo, l’addotto, den-
tro il quale albergavano quelli che la chiesa da millenni chiama-

si
va “demoni” e che invece altro non erano che alieni senza corpo,
che usavano quello dell’adotto per poter succhiare la parte vita-

ar
le di Anima. Ma più insistevo nel forzare la mano sugli addotti,
più essi si ritrovavano nel fenomeno. Alcuni di loro addirittura
si rivoltarono ferocemente contro di me, lasciandomi perplesso
r
di fronte alle loro reazioni: in un primo momento mi conside-
ravano il loro salvatore e subito dopo divenivo il loro nemico.
lib
Non avrei probabilmente risolto la situazione se, a un certo
punto della mia vita, non avessi quasi totalmente perso la vista.
cro

Gli occhi della coscienza

Prima o poi tutti i nodi vengono al pettine e in questo contesto,


a un certo punto della mia vita, la pressione dell’emotività di ciò
Ma

che stavo facendo mi si rovesciò addosso tutta insieme.


A posteriori capii pienamente quanto mi stava accadendo,
ma allora, mentre vivevo la mia cecità, non ero riuscito a com-
prendere che in realtà il mio corpo si stava ribellando, in modo
psicosomatico, a tutti gli input del mondo esterno, che mi si
rivoltavano contro come un’onda in piena.
Nell’istante in cui mi ritrovai privo della vista, per cause me-
diche del tutto misteriose, mi assalì il panico, che riuscii a con-
trollare solo con la mia razionalità. «Calma e sangue freddo» mi

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dicevo, «vediamo se riesco a uscirne in qualche modo». Del resto,
diciassette anni prima mi era già successa la stessa cosa all’occhio
destro, che ne era rimasto quasi totalmente compromesso. An-
che quella volta, lo strano comportamento della mia vista si era
verificato dopo un momento di fortissimo stress, determinato dal
rifiuto che il mio corpo aveva manifestato nei confronti della “so-
cietà dei chimici”, ossia dei miei colleghi di dipartimento, e in par-
ticolare dopo un’aggressione verbale nei miei confronti da parte
di una mia collega. In quel frangente il mio occhio destro, che ma-
nifestava qualche disturbo, si appannò completamente nel giro di

si
pochi secondi e contemporaneamente la lente destra dell’occhiale
si spezzò inspiegabilmente a metà.

ar
Dopo diciassette anni, a seguito di un’altra aggressione ver-
bale da parte di un familiare, a mio avviso del tutto ingiustificata,
cominciai a perdere la vista all’occhio che ancora vedeva. Stavolta
r
neanche il cortisone riuscì a fermare il processo. La situazione si
aggravò nel giro di pochi giorni, durante i quali, ora dopo ora, ci
lib
vedevo sempre meno. Stavo uscendo dalla società dei vedenti.
In quegli istanti, però, mentre perdevo la capacità di vedere
ciò che era fuori, acquisivo quella di guardarmi dentro.
cro

Ancora una volta percepivo che la società esterna mi respin-


geva e, rimanendo ferocemente ancorata alle leggi e regole che si
era data, non voleva in alcun modo dare spazio alle mie idee sul
cambiamento, sul futuro, sugli alieni, su noi stessi. Le mie idee,
sviluppate durante e dopo le ricerche sul mondo alieno, aveva-
Ma

no finito per trasformare un ufologo ubbidiente, perseverante e


ligio agli ordini di chi diceva di saperne più di me, in un vero e
proprio catalizzatore di caos.
In quel momento c’era soltanto una cosa da fare: capire per-
ché mi stessi facendo del male da solo. Fu così che applicai su me
stesso la procedura che avevo elaborato e utilizzato per tentare
di liberare gli addotti dai loro problemi. Sperimentai in prima
persona il triade color test (tct). Questa simulazione mentale,
che avevo sviluppato in circa vent’anni di ricerca nel campo delle

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adduzioni, ora avrebbe potuto essermi utile. Non avevo mai fat-
to una simulazione mentale in maniera cosciente e, soprattut-
to, mi ero ben guardato dall’applicare le mie tecniche su di me
perché non volevo rimanerne influenzato. Non volevo, da bravo
galileiano, trovarmi a essere contemporaneamente l’osservatore
e l’osservato poiché sapevo che il principio di indeterminazione
di Heisenberg era dietro l’angolo, a mostrarmi che non si può
essere osservatori e oggetto d’osservazione allo stesso tempo.
Fino ad allora avevo creduto che colui che fa le misure deb-
ba essere totalmente, asetticamente lontano dall’oggetto delle

si
sue misurazioni. Durante le innumerevoli sedute di ipnosi che
avevo effettuato su altrettanto numerosi addotti, ero riuscito a

ar
gestire benissimo il fenomeno del transfert. Mentre in ipnosi
il soggetto riviveva i momenti più drammatici e terrificanti del
suo scontro con le forze aliene, io rimanevo impassibile di fron-
r
te alle urla, spesso strazianti, che uscivano dalla stanza di casa
mia, dove ero solito effettuare le sedute ipnotiche.
lib
Il test tct prevede di simulare nella propria mente la presen-
za di tre sfere colorate che rappresentano ideicamente anima,
mente e spirito del soggetto che deve verificarne, con opportune
cro

tecniche, lo stato di salute. Si procede unificando le tre essenze


in una sola essenza, detta Coscienza Integrata (per maggiori
riferimenti rimando ai miei lavori in questo settore).
In quel contesto e durante quella meditazione compresi di-
verse cose importanti. Compresi che avevo trascurato la mia
Ma

parte animica, la parte femminile di me, l’emisfero destro del


cervello, dando troppo peso alla razionalità della parte sinistra
e troppa enfasi allo spirito, ovvero alla parte maschile. La mia
parte animica si rivolgeva a me dicendo che mi aveva aspettato,
aveva atteso che io comprendessi che il volerla lasciare libera
e non vincolata a me, se da un lato rappresentava un atto di
generosità importante, era nel contempo anche un atto egoico,
tramite cui il mio ego cercava di farmi credere che potessi fare a
meno di una mia parte importante.

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Compresi che quel mio approccio errato era la causa della
mia malattia. Vivevo il mondo in un modo duale, dove c’era se-
parazione tra la mia anima e il mio spirito, tra la mia emozione
e la mia razionalità, e tra il mio femminile e il mio maschile. Tra
me e l’altro.
Nell’istante in cui le mie tre sfere di anima, mente e spirito
si unirono per divenire una coscienza totalmente trasparente,
invisibile, compresi che io ero tutte e tre quelle cose messe assie-
me, che non esisteva separazione tra la mia interiorità e la realtà
esterna: io ero contemporaneamente me stesso e ogni cosa.

si
Ero anche l’altro che mi veniva contro. La mia anima mi aveva
suggerito che avevo perso la vista esterna perché in questo modo

Guardarsi dentro
r ar
ero stato costretto, una volta per tutte, a guardarmi dentro.
lib
Nel giro di poche ore il mondo mi apparve totalmente diverso.
Ora si capiva bene quello che era successo: io sono l’altro, che mi
appare come uno specchio di me stesso. Avevo voluto studiare il
cro

fenomeno delle adduzioni rimanendo asetticamente distaccato


dal problema, ma quel problema non era esclusivo degli addotti,
era di tutti. Non c’erano “gli addotti” e “i non addotti”, ma esiste-
vano gli esseri umani. Non ci dovevano più essere da una parte
gli “addetti agli addotti” e dall’altra questi ultimi, manipolati da
Ma

pseudo esperti che in fondo non rappresentavano altro che ul-


teriori adduttori, stavolta umani, degli addotti stessi. Si entra in
contatto con la coscienza che abbiamo attraverso un processo
personale di consapevolezza, e nessuno ti può insegnare a fare
qualcosa se tu stesso non la fai in prima persona.
Le implicazioni di queste osservazioni mi fecero giungere a
una conclusione: gli altri, tutti quelli che ce l’avevano con me e
che mi avevano provocato momenti di stress con conseguenze
psicosomatiche di grande intensità, finanche la cecità, altro non

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erano che uno specchio di me stesso. Io proiettavo sull’altro tut-
to quello che, internamente, non ero riuscito a dire a me stesso.
Non c’erano dei “cattivi” che non volevano che facessi ciò che
facevo: c’ero solamente io che non accettavo me stesso. Non ac-
cettavo di non essere compreso, ossia di non comprendere quel-
la parte di me che a gran voce diceva: «Ti stai sbagliando».
L’errore apparve immediatamente alla mia vista interiore.
Ero convinto di aiutare gli addotti a uscire dal loro problema,
mentre invece stavo aiutando me stesso a comprendere che an-
che io sono anima. Cercavo nell’altro la mia parte animica ed era

si
solo per quello che avevo scoperto, primo fra tutti, l’esistenza
della parte animica nell’ambito dei fenomeni di ipnosi profon-

ar
da. Ancora una volta l’altro faceva da specchio a una mia esigen-
za, l’altro – che in questo caso era rappresentato dall’addotto
di turno – rispecchiava tutto quello che io, di me, non volevo
r
vedere né prendere in considerazione. La mia parte animica.
Tutto il lavoro degli ultimi vent’anni sulle ipnosi regressive mi
lib
gridava ad alta voce: «Non vedi che sono qui, non vedi che sono te?»
Di lì a poco compresi che non avevo fatto altro che emulare
il mito di Edipo. Edipo vuole salvare la sua popolazione dall’a-
cro

zione della Sfinge, archetipo del mistero irrisolto di sé. L’indo-


vinello terrifico dev’essere risolto se non si vuole giungere alla
distruzione della popolazione a opera delle forze oscure, incar-
nate dalla Sfinge. Edipo risolve il mistero e salva la sua popola-
zione ma, nel farlo, commette alcuni errori che tenta di riparare
Ma

come può. Cionondimeno lui, asetticamente e non coinvolto


come me, cerca di ottenere il risultato finale.
La sua lotta con la Sfinge è in realtà una lotta con la parte
intima e nascosta di se stesso. Edipo uccide il padre e va a letto
con la madre ignaro di cosa sta facendo e, quando comprende
cosa ha fatto, giungerà a strapparsi gli occhi.
In realtà Edipo non uccide il padre, ma per un attimo dice al
suo spirito, alla sua parte maschile, di mettersi da parte perché
deve conoscere la sua parte femminile, che ha sempre trascurato

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e che ora riscopre nel modo peggiore. Il rapporto sessuale con la
madre mima l’atto di conoscenza nel mondo virtuale della sua
parte femminile.
Edipo è il responsabile della sua cecità.
Egli passa da uno stato di schizofrenia, caratterizzato dal-
la necessità spasmodica di risolvere il mistero della Sfinge, alla
fase in cui diviene cieco e paranoico. Edipo guarirà dalla sua
paranoia solo quando guarirà dalla sua cecità. Nel mito, però,
Edipo non guarisce.
Quella parte di storia, infatti, non è ancora stata scritta e

si
dunque nel mito non esiste. Ma io potevo scriverla.
Non si tratta di un momento egoico ma una necessità.

ar
Il tornare a vedere, per me e per Edipo, significa solo avere
raggiunto una perfetta comprensione, chiudendo quel ciclo di
consapevolezza che porta la nostra coscienza a divenire consa-
pevole di sé.
r
lib

La nuova era inizia sempre con una rivoluzione


cro

Tutto questo mi aveva irrimediabilmente portato a modificare


il mio rapporto con l’alienologia.
Non c’erano gli alieni cattivi e nemmeno quelli buoni. Gli
alieni non solo erano tali ma rappresentavano quella parte di
noi che aveva una consapevolezza differente dalla nostra. Gli
Ma

alieni ci servivano per comprendere qualcosa che noi non vo-


levamo o non eravamo in grado di vedere. L’esperienza dell’ad-
duzione era stata scelta dalla nostra stessa Coscienza perché,
attraverso di essa, potessimo comprendere quella parte di noi
che non avevamo avuto la possibilità di vedere. Noi eravamo
la Creazione, noi eravamo i creatori di tutto, anche della parte
aliena di noi stessi. Avevamo creato l’alieno perché esso potesse
venire a prenderci, a rapirci per i suoi scopi, ma così facendo ci
dava anche la possibilità di porci delle domande.

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Perché l’alieno esiste? Cosa rappresenta? Cosa vuole da noi?
In realtà a tutte queste domande c’era una sola risposta: l’a-
lieno serve solo a ricordarci che noi siamo la Creazione, noi sia-
mo i Creatori.
Cosa volevano gli alieni? La nostra parte animica! E dunque,
ecco che potevamo scoprire, studiando gli alieni, che noi erava-
mo anche anima. E scoprire altresì spirito e mente, e compren-
dere come essi siano solo le tre parti divise di noi.
Ma chi aveva diviso le tre parti? I falsi dèi creatori degli alieni
che, attraverso quella divisione di noi stessi, avrebbero potuto

si
manipolarci per prendere quella parte animica immortale, attra-
verso cui sarebbe stato possibile fermare l’Universo in un eterno

ar
presente non evolutivo. Gli Dei, attraverso la nostra anima, non
sarebbero morti e sarebbero dunque divenuti immortali.
Gli Dei rifiutavano quell’esperienza che noi, inconsapevol-
r
mente, avevamo accettato di fare. Noi avevamo deciso di venire
su questo piano esistenziale quali esseri eterni ma, per com-
lib
prendere appieno cosa vuol dire dualità, cosa significa nascere
e morire, cominciare e finire, dovevamo passare attraverso una
particolare esperienza formativa, quella della morte fisica.
cro

La coscienza, infatti, “è quello che fa” e, per essere tutto, per


divenire consapevole di sé deve sottoporsi a tutte le esperienze.
Eravamo proprio noi che, dopo aver creato la dualità dell’u-
niverso e aver creato gli stessi Dei e Demoni, ci eravamo vo-
lontariamente posti nelle loro mani, chiedendogli o comunque
Ma

permettendogli di dividerci per poter comprendere cosa fosse la


divisione, la separazione, la dualità. La Coscienza crea il coltello
e poi si fa tagliare da esso per comprendere cosa ha creato.
Dei e Demoni (Shiva e Vishnu nel mito) non si fanno sfug-
gire il momento e, dividendo la Coscienza, decidono di utilizza-
re questo espediente per bloccare l’universo intero in un eterno
non essere, non fare, non progredire, non imparare.
E tutto questo per paura della morte fisica. Quella stessa
morte fisica di cui un animico non può aver paura ma che in-

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vece attende come coronamento della sua esperienza in questo
piano esistenziale.
Adesso noi avevamo capito, e potevamo riunificare anima,
mente e spirito nell’Essere che siamo sempre stati, una Coscien-
za Integrata, e perciò tornare a vedere e comprendere la nostra
vera natura con occhi diversi.
Analogamente, noi saremmo stati utili agli alieni perché
loro, attraverso di noi, avrebbero compreso di avere sbagliato il
processo di acquisizione della consapevolezza: non si può ruba-
re l’esperienza di altri per paura di farla in prima persona.

si
L’esperienza va fatta. Nell’istante in cui comprendiamo tut-
to questo, la nostra Coscienza, che è la Creazione, decide che

ar
non abbiamo più bisogno dell’esperienza aliena: ed essa scom-
pare come per incanto. Nello stesso unico eterno istante in cui
l’universo virtuale vive, gli alieni capiscono che bisogna accetta-
r
re l’esperienza, passarci nel mezzo e guarire dalla malattia.
La malattia, dal suo canto, altro non sarebbe che un istante
lib
di non comprensione in cui ognuno di noi si chiede qualcosa.
Nel momento in cui ti dai una risposta guarisci dalla malattia.
La natura totalmente psicosomatica dei nostri eventi ci por-
cro

ta a concludere che noi stessi siamo i creatori inconsapevoli del


nostro eterno presente, in tutti i suoi aspetti anche più recon-
diti. Dunque siamo noi la causa del rapporto con gli alieni o
del rapporto con la nostra malattia, che diviene un’espressione
della nostra consapevolezza e non un effetto di chissà cosa di
Ma

esterno che ci attacca e ci distrugge; un’espressione di noi stessi


che ci ammaliamo per far comprendere, attraverso il nostro cor-
po, qualcosa di cui dobbiamo prendere atto.
La presa d’atto del problema ci fa comprendere e dunque
guarire.
Edipo tornerà a vedere nell’istante in cui lui stesso capirà
che si è “accecato con le sue mani” per passare attraverso un’e-
sperienza che lo porterà a comprendere, cioè a rivedere il suo
essere in chiave totale.

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Ho passato alcuni mesi a riflettere e capire pienamente tut-
to questo. Poi mi sono rialzato e ho scritto la trilogia intito-
lata Genesi, un testo che racconta i nostri rapporti con Dei e
Demoni, attraverso il mito ma anche attraverso le suggestioni
della fisica quantistica, della psicanalisi e tramite l’uso delle si-
mulazioni mentali. Ho scritto Evideon, Evideon Due e ora Evi-
deon Tre, che, attraverso la fisica quantistica, le neuroscienze,
la termodinamica e la filosofia, porta il lettore a comprendere
come viviamo in un universo virtuale che noi stessi creiamo. Un
universo frattalico, olografico, bidimensionale estruso sul terzo

si
asse delle energie.
Un universo che ci appare duale solo perché noi crediamo

ar
che lo sia e dunque lo creiamo inconsapevolmente come pen-
siamo di doverlo costruire. Ed ecco che esso ci appare come noi
crediamo che esso debba essere. Ma, nell’istante in cui la no-
r
stra consapevolezza cambia e sappiamo che la dualità è solo un
mezzo per comprendere l’unicità del tutto, ecco che noi creiamo
lib
il nostro virtuale come non più duale e così esso ci appare.
Questo è il nocciolo della rivoluzione totale che sarà non una
rivoluzione armata, non una rivoluzione culturale, industriale o
cro

scientifica, ma una rivoluzione coscienziale.


L’uomo comprende di essere Uno, capisce che non esistono
il vuoto e il pieno, il caldo e il freddo, il sacro e il profano, ma
esiste solo l’esistente, che non è duale se non perché il nostro
cervello lo vede così.
Ma

I neurofisiologi, come Pribram e Kosslyn, o i fisici, come


Bohm e Aspect, dimostrano come noi siamo i creatori del-
la virtualità nella sua totalità. Negli ultimi lavori cui mi sono
dedicato, ho cercato di dimostrare come la chiave fisica dell’in-
terpretazione dell’universo risieda nella comprensione della
natura della luce, costituita da fotoni e antifotoni in rapida in-
terconnessione tra loro, a dimostrazione che da un lato il duale
costituisce la virtualità, ma nel duale stesso esiste l’unica forma,
l’unica essenza di tutto il cosmo: il fotone virtuale, cioè quella

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cosa con cui è costruito tutto e che è come una medaglia con
due facce, in rapida interconversione tra loro, tanto da apparire
una cosa sola.
Il duale, dunque, altro non sarebbe che un’espressione creata
dall’Uno.
Noi siamo come i giocatori di una partita a scacchi. Prima
di questa rivoluzione credevamo di avere dall’altra parte del-
la scacchiera il nostro nemico. Ora invece sappiamo che non
vinciamo né perdiamo mai, perché vinciamo e perdiamo con-
temporaneamente. Noi siamo anche l’altro giocatore e se noi

si
perdiamo in realtà abbiamo vinto perché abbiamo imparato da
quella parte di noi più brava nel giocare.

è il gioco stesso.
r ar
Ora ci troviamo nella fase in cui ci siamo accorti che in realtà
la cosa che lega i due giocatori, facendoli divenire una cosa sola,

Il gioco è il parametro nascosto cui si riferiscono i fisici


quando parlano di entanglement, cioè di intreccio tra due fo-
lib
toni nati assieme ma con spin opposto. I due fotoni non sono
due. Sono un unico evento che a noi appare duale. Prima della
rivoluzione coscienziale avremmo pensato che i due giocatori,
cro

o fotoni che siano, fossero due e solo alla fine del nostro percor-
so coscienziale, avremmo potuto apprendere la verità. Invece è
successo che alcuni di noi si sono accorti di tutto questo a metà
del gioco. Sei a metà della partita e scopri che il tuo nemico sei
tu stesso, che hai inconsapevolmente creato il gioco e che non
Ma

vincerai né perderai.
A che scopo continuare a giocare?
Mi sono dato la seguente risposta:

«La prima parte del gioco l’hai fatta facendo l’esperienza


della dualità, vivendo il gioco nella separazione. Ora farai
l’esperienza del gioco nell’unicità, sapendo che tu sei il tutto
e sapendo che alla fine tutti vinceranno e perderanno assie-
me, cioè acquisiranno consapevolezza».

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In questo contesto, l’unica cosa che non ci è dato ricordare
è come si svolgerà il gioco. Per adesso noi sappiamo soltanto
che finirà tutto bene, ma non siamo a conoscenza di come
saranno le diverse fasi. La prematura conoscenza di tali pas-
saggi distruggerebbe infatti la possibilità di fare esperienza
vera. La Coscienza mi dice che è come il film americano in
cui un ricco abitante di New York decide di provare a essere
povero e passa una settimana nel Bronx a vivere da poverac-
cio. Quella non è una vera esperienza perché il ricco sa che

si
sta fingendo e che dopo una settimana tornerà a essere ricco.
La vera esperienza è quella vissuta genuinamente, in cui non
sai di essere ricco.
ar
Noi siamo ricchi perché siamo tutto, ma sovente non ne sia-
mo coscienti. Oggi, la fisica quantistica e la termodinamica ci
r
dicono che il gioco finisce bene, che alla fine non ci saranno né
alieni né alienati ma un unico universo olografico in cui ogni
lib
pixel di tale ologramma avrà la stessa risoluzione (coscienza)
dell’intero ologramma.
Gli Ufo nella mente è stato il punto di partenza di questa
cro

ricerca. Credevo di studiare il fenomeno delle adduzioni aliene,


e invece ero banalmente alla ricerca di me stesso. Fondamental-
mente l’autore di questo testo non esiste più.
Non faccio più né ipnosi né interventi personalizzati per sal-
vare le persone dagli alieni e dagli alienati, perché ho compreso
Ma

che ognuno deve lavorare su se stesso e, attraverso il raggiungi-


mento dello stato di Coscienza Integrata, riacquisire memoria
del proprio Sé. Il resto è veramente una sciocchezza.
E in un contesto di universo non locale, come direbbe il fisi-
co Bohm, chi ha scritto Gli Ufo nella mente non c’è più perché
non c’è mai stato, poiché non esistono né il passato né il futuro
ma solo il presente.
Il ricordo del me stesso di allora sta sfumando dentro di me,
di giorno in giorno, lungo un percorso storico temporale che

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non può rivivere e che non può più essere fermato poiché la Co-
scienza aumenta sempre, come l’Entropia del secondo principio
della termodinamica.
Prima o poi dovremo smettere di aver paura di noi stessi.
E io rimango qui, dedicandomi a “imparare” a guarirmi, scri-
vendo la parte finale della storia di Edipo, costruendo il Mondo
Felice.
Buona lettura.

Corrado Malanga, marzo 2016

si
r ar
lib
cro
Ma

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