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Premessa

«Foucault e la filosofia francese»: di fronte a questo titolo e al problema che esso


enuncia, è necessario fare alcune considerazioni preliminari. Anni fa, il compianto JD
aveva posto al centro della sua attenzione, in alcuni seminari, il problema della
«nazionalità filosofica» e del rapporto fra nazionalità e filosofia. Il tema che qui
affronteremo rientra senz’altro nel quadro del discorso che Derrida aveva impostato – si
tratta infatti di interrogarsi sui rapporti, più impliciti che espliciti, del corpus testuale
foucaultiano con il corpus dei classici della filosofia francese. È poi necessario anche
segnalare che il nostro titolo include necessariamente anche un’altra questione, che
l’interrogazione di JD lasciava volontariamente da parte: quello della identità nazionale
tout court (e non semplicemente filosofica) di Michel Foucault; può, in altri termini, e in
che senso lo può, Michel Foucault essere considerato un francese? È chiaro che la prima
questione andrebbe approfondita ulteriormente, sia sul piano generale (quello del
rapporto della filosofia con l’identità nazionale) che sul piano più specifico (quali sono i
criteri che definiscono il canone filosofico francese?); e lo stesso vale per la seconda
(cos’è oggi un’identità nazionale? E come uscirebbe ridisegnato tale concetto in base alla
riflessione di Michel Foucault?). Ovviamente qui dobbbiamo limitarci, a questo
proposito, a poche osservazioni di carattere preliminare e provvisorio.
Michel Foucault è, com’è noto,unpersonaggio camaleontico, dalle mille facce sia che lo
si consideri sincronicamente che diacronicamente; dal punto di vista che ci interessa,
possiamo distinguere

a) il Foucault prodotto perfetto del sistema universitario francese, l’accademico che


non ha sbagliato un colpo, l’astuto gestore di relazioni accademiche molteplici e
eterogenee (Dumézil, Veuillemin, Canguilhem, ecc.) che lo avrebbero portato
ancora in giovane età al Collège de France: da questo punto di vista, sia come
filosofo che come uomo, egli appartiene totalmente alla filosofia francese e alla
nazionalità francese.
b) il F che invece ha cercato costantemente, e specialmente nella sua gioventù, di
evadere dalla Francia, che trovava oppressiva sia sul piano personale che politico
che filosofico: alludiamo in primo luogo alla fuga in Svezia e poi in Polonia,
motivata, per espressa dichiarazione dello stesso F, dalla sua condizione di
omosessuale e dall’intolleranza della Francia degli anni 50 verso gli omosessuali;
e poi alla sua estraneità al tessuto politico francese di quegli stessi anni, rispetto
al quale egli si sentiva estraneo sia dalla destra che dalla sinistra; infine dalla
ristrettezza delle impostazioni filosofiche dominanti in Francia allora: su
quest’ultimo a<spetto basterà citare il seguente passaggio, che è solo una delle
versioni di un complesso di affermazioni che F ha ripetuto moltissime volte:
Trombadori o conferenza alla SFPh.
c) il F che ha un ambiguo rapporto con l’atttualità politica, francese innanzitutto, ma
non solo. Qui sarebbe da ricordare, oltre alla sua totale estraneità agli eventi algerini
(che furono invece un momento di cruciale importanza per la definizione del rapporto
fra intellettuali e politica sul finire degli anni 50 e nei primissimi anni 60), il suo
atteggiamento di fronte al Maggio 68, che egli visse di nuovo con molto distacco: si

1
trovava a Tunisi e le sue parole di maggior apprezzzamento sono per il 68 tunisino,
che gli sembra assai più autentico di quello in patria; e il coinvolgimento, non nel
movimento, ma nel complesso di idee che esso aveva portato sulla scena, solo alcuni
anni dopo, con il GIP.
c) C’è infine il Foucault «statunitense», che scopre l’America del Nord e si fa
sempre più coinvolgere da questa società così diffferente da quella da cui
proviene e che si spinge a dire: preferireri stare in America, la Francia è più
autoritaria. E di nuovo si confondono qui motivi personali, politici e filosofici.

Sulla base di questa ricognizione del tutto provvisoria e incompleta, ci pare di poter
innanzitutto affermare che non è possibile disgiungere il problema che è prospettato nel
nostro titolo – il rapporto di Foucault con la filosofia francese – da quello più generale
dell’identità nazionale dell’uomo Michel Foucault: F è stato certamente, all’inizio, un
figlio «difficile» della Francia e (anche se in molto minor misura) della sua cultura
filosofica, ma l’identità nazionale e filosofica francese lo ha con successo e con coraggio
saputo reintegrare come voce critica, ma anche utile alla vitalità del sistema vigente,
secondo uno schema abbastanza collaudato fin dall’inizio della Terza Repubblica
(oppure: da diversi decenni). La promozione al Collège de France ha rappresentato il
fatto-chiave in questo processo: posto al vertice del sistema educativo nazionale, anche se
privo di effettivi poteri sulla concreta gestione di esso, egli ha potuto svolgere, sotto
un’insegna inequivocabilmente francese, il suo ruolo di critico radicale, che d’altra parte
è una funzione che la democrazia repubblicana è sempre stata orgogliosa di saper
promuovere. Se si pensa al grandissimo peso che Sartre, il maitre a penser immediato
predecessore di Foucault, ha avuto, in forme diverse, nella vita intellettuale e politica
francese, non si può non cogliere una continuità fra i due: essi fanno entrambi parte del
compromesso fra potere e intellettuali che, dopo la secondaa guerra mondiale e poi con
De Gaulle, ha stabilito una divisione dei ruoli che garantiva ai secondi un ampio spazio e
una larghissima libertà di espressione (altra cosa sarebbe da dire riguardo all’effettività
di azione politica che era loro concessa).

Se dunque, provvisoriamente e a titolo di un’ipotesi che successive e ben più profonde


ricerche dovranno confermare, ci pare di poter affermare il carattere francese sia del
lavoro intellettuale che del cittadino Michel Foucault, come si specificano queste
caratteristiche nazionali per quanto riguarda la sua filosofia, che è l’oggetto di questo
intervento? In che senso, in basi a quali specifici aspetti della sua personalità il pensiero
di Michel Foucault è francese? A quali correnti si lega, a quali si contrappone fra quelle
che costituiscono il canone della filosofia francese? Prima di cominciare a rispondere a
queste domande, bisogna fare ancora due considerazioni preliminari:
a) Si è già detto del carattere camaleontico del pensiero di F; per quanto riguarda il
nostro problema, conta soprattutto il fatto del suo sviluppo diacronico: vi sono
varie fasi molto diverse della sua riflessione e quindi la nostra indagine dovrà
articolarsi in base ad esse, anche se è ovvio che vi sono anche alcune continuità di
fondo.
b) Fa parte di queste continuità di fondo un aspetto che non coinvolge solo Foucault

2
ma tutta la filosofia francese contemporanea: il suo rapporto di dialogo e di
contrapposizione con la filosofia tedesca, che si inquadra nel confronto-scontro
che si è svolto fra le due nazioni dalla rivoluzione francese in poi; questo rapporto
si è fatto particolarmente intenso a partire dagli anni 30, momento storico-
culturale decisivo anche per la generazione a cui appartiene F. Per quest’ultimo,
come si sa, questo rapporto si è sostanziato soprattutto nel riferimento costante a
Kant, a Nietzsche e a Heidegger. Di passaggio, facciamo osservare che questo
rapporto con la filosofia tedesca rientra a pieno titolo fra gli elementi che più
spiccatamente connotano come francese la riflessione di F.

Molto schematicamente, le varie fasi del pensiero di Foucaultg in cui articolare l’indagine
presente sono le seguenti:

a) il Foucault precedente storia della follia, in sostanza quello del sogno;

b) F fino a Storia della follia: Bataille, Blanchot, Nietzsche (nell’ordine foucault.).


Bataille: è il confronto con Nietzsche, ma attraverso l’esperienza surrealista e gli anni 30
(anni 30 snodo di tutta la filosofia francese contemporanea; ricordare rivista di Wahl); ma
è anche il confronto con la tradizione letteraria romantico-estrema, con Baudelaire???,
con ???; ed è la rottura con Sartre: ma non siamo fuori dalla tradizione francese, siamo in
un altro filone: quello appunto che rinnova e aggiorna il surrealismo
Blanchot: è il confronto con Heidegger (cominciato con Binswanger; essenziale
riferimento a commento all’Antropologia; importante anche Husserl, ma ciòè già
francese a partire dagli anni 30: Meditaz cart ecc ecc), per F più mediato da N rispetto a
Blanchot, che guarda meno a N. Comunque: attraverso Blanchot, è ancora surrealismo,
esperienza del nulla, nichilismo che filtra. Romanticismo del I Foucault. Età classica e
Cartesio: tema francese, così come rif. a Pascal e poi la centralità del postivismo
ottocentesco.
Cenno a Hyppolite e Hegel e Heidegger.

c) F delle Parole e le cose: lo strutturalismo, Telquel, Robbe-Grillet: compare


Mallarmé. Come in SF, anche qui francese è la questione dell’età classica. Il
finale di PC: una lettura mallarmeana di Heidegger. Significato del discorso sulle
scienze umane (molto francese: strutturalismo, LS…) e interpretazione tutta
francese della critica di Heidegger all’umanesimo.
d) Microfisica del potere: Foucault si sprovincializzza, si allontana dalla francia e
dalla filosofia francese? Solo in apparenza: all’età classica succede il XIX secolo
e qui contano Comte, il positivismo… È ancora un modo di rimeditare
Canguilhem e quindi il filone vitalistico: qui rivedere la pref. a Cang., dove F
esplicitamentesi pone il problema della sua nazionalità, filosofica e no. Esplicito il

3
rifarsi a Comte e poi a Brunschvicg; qui appare la sua continuità con il
positivismo francese – e lo strutturalismo francese era in parte questo. In questo
periodo cominciaa anche a comparire l’America come altro polo di confronto
rispetto alla germania. (da rapprto a due a triangolazione)
e) illuminismo, Irak: ancora un confronto con un tedesco (Kant), ma il tema è
francese: certo, l’ill.è anche Nietzsche, ma è anche la rivoluzione francese ed è
anche Baudelaire – sintesi di sinistra vdi democrazia e decadentismo, anche
questo è tipicamente francese – si pensi al caso Dreufus e a quanta cultura
decaddente difese Dreyfus, Mallarmé in testa. Che F abbia in testa la Riv franc è
ovvio e basta guardare il famoso articolo sull’Irak: così esistenzialista e così
legato alla dimensione delle masse…
f) Governamentalità, Storia ses.II e II: per il primo, scoperta del liberalismo e quindi
della fisiocrazia; qui però F esce dai solchi dominanti della filosofia francese,
quelli statalistici, organizzati ecc. e si avvicina ai filoni più coperti (un po’ anche
prima, ma ora soprattutto); estetica dell’esistenza e Greci: ma F legge i Greci da
romano e attraverso cultura tardo antica: ciò se non è francese è romanzo e non
tedesco e segna allontanamento da N; e anche avvicinamento alla tradizione
spiritualistica francese, Berullo, Malebranche, giansenismo: irrompe il tema
dell’interiorità così escluso negli anni 60.

Non potendo, per ragioni di spazio, sviluppare il discorso in tutti questi punti, ci
limiteremo ad un’indagine a campione, limitandoci ai primi due periodi: questa
limitazione è meno grave di quel che potrebbe sembrare, poiché si tratta di periodi di
formazione del pensiero di Foucault, in cui si struttura quasi l’intera batteria del suo
armamentario filosofico; e perché in questo periodo, per ragioni intrinseche, proprio il
rapporto con determinate correnti della filosofia francese e di determinate correnti
letterarie francesi che da esse non sono disgiungibili, è particolarmente intenso. Il nostro
metodo sarà di analizzare alcuni testi di particolare rilievo di questi periodi: quest’analisi
ci fornirà i protocolli empirici per poter abbozzare delle risposte documentate alla nostra
questione.

L’Introduzione a Sogno ed esistenza di Ludwig Binswanger

Vorrei sottolineare, innanzitutto, che questo (forse) primissimo


scritto edito di Foucault è un testo bellissimo, a differenza di Maladie
mentale et personnalité, che, come dicevo, è effettivamente un libro
non riuscito. Il fatto che esso si presenti come una prefazione a
Binswanger non deve ingannare: pur essendo stato per molti anni
profondamente interessato alla psichiatria esistenziale, Foucault mi
sembra – ma è un punto in cui mi distacco da diversi altri interpreti, e
che quindi sottopongo come interrogativo di ricerca - su una posizione
di netta distanza dall’ umanesimo del grande psichiatra svizzero, come
anche da quello di Sartre. Il problema del significato dell’ esistenza – di
cui il sogno è campo elettivo di esegesi – porta immediatamente sul

4
terreno ontologico: proprio un fenomeno come il sogno è una
esperienza fondamentale, originaria perché pone in rapporto l’ uomo
con una dimensione che lo trascende, che lo eccede, che gli restituisce
la sua libertà in quanto lo fa regredire alla mera possibilità di essere
mondo. Attraverso il sogno, dunque, si possono attingere dei significati
puri, si può tornare a quella falda silenziosa in cui, sospeso il linguaggio
ordinario, il mondo si presenta nella sua purezza - alla notte, purezza
delle origini e sorgente di tutti i significati. A questo proposito, non è
da dimenticare come Foucault si soffermi abbastanza dettagliatamente
sulle Ricerche logiche di Husserl proprio per affrontare un tema che
può dirsi classico per la fenomenologia francese: quello dell’
espressione. In proposito, è difficile non pensare ad un’ influenza di
Merleau-Ponty, che in quegli anni andava orientando la propria
riflessione proprio su questo tema e alla cui lezione, come ho accennato
sopra, il giovane Foucault era molto sensibile; ed è quindi significativo
che, in questa pagina, Foucault definisca la propria posizione rispetto
alla fenomenologia e, in un modo che sembra riecheggiare Merleau-
Ponty, dichiari l’ esigenza di una fuoriuscita da essa, di un suo
superamento:

Questo ci sembra essenziale sotto molti aspetti: contrariamente


all'interpretazione tradizionale, la teoria del significato non ci pare l'ultima
parola dell'eidetica husserliana della coscienza; essa conduce in realtà a una
teoria dell'espressione che rimane velata ma la cui esigenza non è meno
presente per tutte le analisi. Ci si potrebbe stupire che la fenomenologia non si
sia mai sviluppata nel senso di una teoria dell'espressione, e che l'abbia sempre
lasciata nell'ombra per far venire in piena luce una teoria del significato. Ma
probabilmente una filosofia dell'espressione non è possibile che in un
superamento della fenomenologia1.

In questa fenomenologia che in un fenomeno-limite fra conscio e inconscio come il


sogno trova il proprio terreno di elezione, veniva inglobata l’ idea heideggeriana di
esistenza autentica , e dunque Husserl era inestricabilmente legato a Heidegger; ma
altrettanto importante era il riferimento di Foucault alla tradizione romantica – Hölderlin,
Novalis, Schelling, von Schubert, per citarne solo alcuni. Questa tradizione classica
tedesca era peraltro mediata da alcuni riferimenti più recenti e tutti francesi: il
surrealismo, innanzitutto, come evento centrale della cultura francese, ma meglio sarebbe
dire europea, fra le due guerre; il complesso lavoro di rimeditazione che di tale
tradizione, fin dai primi anni 40, erano venuti facendo Bataille e Blanchot; infine, molto
probabilmente, l’ importante lavoro di Albert Béguin su L’ âme romantique et le rêve , in2

cui ancora una volta confluivano l’ interesse per il romanticismo tedesco e quello per il
movimento surrealista. Il nesso Husserl-Heidegger-Romanticismo tedesco, con i filtri
1 Intr.Bins., p.32.
2 Paris 1946. Non c'è, in Intr.Bins., per quanto mi consta, una citazione esplicita di questo
testo, ma la sua influenza mi sembra inequivocabile ed esso sarà poi citato da Foucault in
Storia della follia.

5
francesi di cui ho detto, è dunque la caratteristica portante di questa posizione del giovane
Foucault ed esso rimarrà ancora valido per l'impianto di Storia della follia.
Vorrei ora approfondire proprio quel filtro: il legame di Foucault
con il surrealismo e quello con con Blanchot e Bataille.
A proposito del surrealismo , non è certo casuale che il testo inizi
3

con una citazione da Partage formel (Spartizione formale, serie di


aforismi risalente al 1942) di René Char , e finisca con due citazioni
4

dello stesso testo. In effetti Foucault ha continuato ad ammirare Char


per tutta la sua vita, ne conosceva a memoria molte poesie, quando era
in Svezia pare sottoponesse i nuovi venuti a una sorta di “esame di
Char” . Su questa notissima figura mi limiterò a dare qualche cenno
5

essenziale per il tema che sto qui sviluppando. Negli anni '50 la
6

costruzione del mito di René Char si può dire ormai largamente


conclusa, ma il suo percorso era cominciato negli anni ’30, al fianco di
André Breton: è con il "Papa del surrealismo" che egli pubblica alcune
delle sue prime poesie. Dunque, Char affonda le sue radici nella
tradizione surrealista di Letteratura e rivoluzione (per servirsi questo
titolo di una famosa opera di Trotsky). Successivamente, non per motivi
politici, ma per motivi letterari, Char si allontana da Breton, ma è uno
dei pochi che lo fa senza chiasso e senza clamorose scomuniche
reciproche. Con la guerra, egli fa la scelta che, a giusto titolo, ne
avrebbe fondato la leggenda: entra nella Resistenza e vi entra al fianco
dei comunisti. Sotto il nome di capitano Alexandre, sarà il mitico capo
del maquis nelle Basses-Alpes, nel Sud della Francia. È durante la lotta
partigiana che egli scrive alcune delle poesie e degli aforismi (come
Suzerain) che a Foucault saranno più cari. Alla Liberazione Char
pubblica, fra l’altro, Seuls demeurent (1945) e Feuillets
d'Hypnos(1946), oltre che, nel 1948, la già citata raccolta Fureur et
Mystère: il grande capo della Resistenza con questi testi, scritti, come
dicevo, fra un combattimento e l’altro, si afferma anche come uno dei
massimi poeti del '900 europeo. Ma non è sugli aspetti troppo
mitologici della figura che voglio insistere, quanto su due fatti
caratteristici: sul piano politico, se Char ha combattuto nei ranghi
comunisti, egli non è mai stato iscritto al Partito: anche dopo la
Liberazione, egli mantiene la sua indipendenza; sul piano letterario, se
si è distaccato da Breton, non ha però operato una rottura integrale con
il surrealismo: a differenza di Aragon, che pure era era stato legato al
3 Nota sul testo di F su Breton e sul Roussel.
4 Poi ripubblicati in R. Char, Fureur et Mystère, Paris, Gallimard, 1948.
5 Cfr. in proposito Eribon, Michel Foucault, cit., p. 80.
6 Su Char, su cui dal punto di vista letterario la bibliografia è assai ampia, cfr., da

un'angolatura filosofica, il numero monografico consacratogli dalla rivista “Europe”,


1988, n°705-706 (janv.-févr.), e in particolare il saggio di F. Dastur, Rencontre de René
Char et de Martin Heidegger, ivi, pp.102-111, nonché, da ultimo, R. Schürmann,
Situare René Char: Hölderlin, Heidegger, Char e il “c’è”, in “Aut-Aut”, ott.-dic.2005,
n.328, pp. 159-186.

6
surrealismo, egli non opterà mai per il realismo socialista (e i comunisti,
non a torto del resto, non lo considereranno mai come uno dei loro). Per
Char la lezione surrealista resta decisiva ed egli è uno dei protagonisti
dell’ “aggiornamento” del surrealismo, della sua rinascita e ripresa dopo
la pausa della guerra – come si sa, è questo uno degli aspetti decisivi
della cultura francese immediatamente successiva alla Liberazione e
Blanchot e Bataille, ognuno a suo modo, furono protagonisti di questa
stessa rinascita. Inoltre, l'appartenenza di Char all’eredità surrealista ha
anche un significato politico: implica che, pur schierandosi nel campo
marxista e comunista, egli mantenga una larga autonomia culturale e, in
particolare, porti avanti una diversa idea di società futura, così come
una strategia verso gli intellettuali diversa da quella del PCF.
Sul programma culturale di Char un altro punto è importante da
ricordare, specie in riferimento a Foucault: egli è in Francia uno dei
primi a riaprire i contatti con Heidegger. Può stupire che un capo della
Resistenza si incontrasse con Heidegger durante il suo primo viaggio
dopo la guerra in Francia, nel 1955 . Ma, a parte i legami intrinseci che
7

l’opera poetica di Char aveva con tematiche heideggeriane (il


riferimento a Eraclito soprattutto li accomunava), bisogna ricordare che
questa vicinanza all’autore di Essere e tempo era un altro segno di
continuità con Breton, che fin dall’anteguerra era stato affascinato da
Heidegger e che nel dopoguerra riprese anch’egli i contatti col filosofo
tedesco. Non voglio ora entrare nelle polemiche anche recentissime che
hanno investito il ruolo di Heidegger nella cultura francese del
dopoguerra : sta di fatto che, insieme a Beaufret (anche lui comunista,
8

del resto) e a moltissimi altri, a “sdoganare” prestissimo Heidegger e a


inserirlo in un progetto rivoluzionario e comunista distinto da quello
ortodosso del PCF e caratterizzato dalla ripresa della tradizione
surrealista, è il capo partigiano e comunista ”indipendente” René Char.
Per la filosofia del primo Foucault, questa mistione, ai nostri occhi
piuttosto bizzarra, di impostazione rivoluzionaria, tradizione letteraria e
heideggerismo è significativa: troviamo qui l’idea che un rinnovamento
politico non possa non accompagnarsi da un rinnovamento interiore, da
una trasformazione integrale di tutta la nostra vita; e ovviamente è
inequivocabile la presenza di alcuni temi di Bataille, della sua Summe
athéologique e in particolare de L’experiénce intérieure . 9

Ma vi è un altro nome che, pur non essendo citato esplicitamente, è


sicuramente presente dietro molte delle posizioni del Sogno: quello di
Maurice Blanchot. Foucault conosce e ammira incondizionatamente
7 Si allude naturalmente al famoso incontro fra Char e Heidegger a casa di Beaufret,
"sous le marronier", su cui si veda J. Beaufret, L'entretien sous le marronier, in R. Char,
Oeuvres complètes, Paris, Gallimard, 1983, pp. 116 e sgg.; come è noto, questo incontro
fu poi seguito da diversi soggiorni e seminari di Heidegger in Provenza, a casa di Char.
8 Per un'ampia e assai documentata ricostruzione dei rapporti fra Heidegger e la Francia si

veda D. Janicaud, Heidegger en France, 2 voll., Paris, Albin Michel, 2001.


9

7
Blanchot fin dalla fine degli anni’40 e gli attribuirà addirittura il merito
10

di avergli fatto conoscere Bataille e, via quest'ultimo, Nietzsche . 11

Vediamo dunque alcune delle tematiche politiche che Blanchot sviluppa


subito dopo la Liberazione. In linea generale, si può dire che, per un
lato, egli fa forza su Heidegger (ed è soprattutto per questa lezione
blanchottiana, a mio parere, che tutto il primo Foucault, fino almeno al
1963, può dirsi heideggeriano: tutte le discussioni anche recentissime
sullo heideggerismo o meno di Foucault dovrebbero tener conto
innanzitutto di questo dato storico-filologico e non svolgersi in
astratto ), per l’altro su Marx. In proposito il recente lavoro di Michel
12

Surya, La revolution revée , ha apportato una nuova e ricca


13

documentazione. Soffermiamoci soprattutto sul tema della comunità,


come emerge da qualcuno dei saggi dell'immediato dopoguerra , 14

partendo da quello sul surrealismo, saggio chiave, che era uscito per la
prima volta nel 1945 : è un saggio essenzialmente politico, in cui è
15

centrale il rapporto con il marxismo e il riferimento a René Char.


Blanchot sottolinea come, con la scrittura automatica surrealista, il
linguaggio diventi, da strumento, soggetto, come esso

se confond maintenant avec le «pensée» de l'homme, il est reliée à


la seule spontaneité veritable: il est la liberté humaine agissante et se
manifestant.16

Subito dopo, egli istituisce una connessione fra la schiavitù delle


parole nel linguaggio ordinario e quella di “une classe d'hommes que
d'autres tiennent pour des instruments et des éléments” . Per un lato, la
17

libertà del linguaggio, come è stata scoperta e praticata dai surrealisti,


non significa riproposizione del dominio del soggetto su di esso, ma, al
contrario, la sua perdita in una superiore totalità, nella trascendenza che
il linguaggio rappresenta, ovvero, nella Letteratura (con la L
10 Eribon, Foucault, cit., p.79.
11 Cfr. M. Foucault, Structuralisme et poststructuralisme (1983), in Michel Foucault, Dits
et écrits, Paris, 1994, vol.IV, p.437. Certo, può sembrare non poco paradossale inserire
Blanchot in una corrente marxista rivoluzionaria, date le sue posizioni degli anni ‘30:
eppure, come dimostrano anche testi molto successivi, come La comunità inconfessabile
(1983), il legame Blanchot-Marx, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, è
profondo – ad altra volta discutere il rapporto fra il Blanchot dell’anteguerra e quello del
dopoguerra, che è un enorme problema politico e storiografico
12 Per ulteriori considerazioni sul nesso Foucault-Heidegger, cfr. il prossimo capitolo.
13 Paris, Fayard, 2004.
14 La maggior parte di tali saggi è stata poi raccolta da Blanchot in La part du feu, Paris,

Gallimard, 1949; qui si cita dalla ristampa del 1999.


15 Per la precisione su "L'Arche", n. 8, Agosto 1945 (cfr. Surya, La révolution..., cit., p.

46, nota 6).


16 Blanchot, La part du feu, cit., p.93.
17 Ibid.

8
maiuscola) nel senso forte che ha questo termine per Blanchot; d' altro
lato, a livello politico,

Le surréalisme est une de ces tentatives par lesquelles l'homme prétend se


découvrir comme totalité : totalité inachevée et cependant capable, à un instant
privilégié (ou par le seul fait de se voir inachevée), de se saisir comme totalité18.

Dopo essersi riferito, su questo punto della totalità, proprio a


Char , Blanchot pone allora la questione: perché una tale ricerca della
19

totalità doveva incontrare il marxismo?, a cui risponde delineando la


propria versione dell’ engagement:

En vérité, il saute aux yeux que la dialectique historique offre à tous ceux que hantent
les idées d'homme total, de limite de la condition humaine une chance de premier
ordre : l'homme total n'est pas à chercher, maintenant, dans les déchirements et les
désordres de la société capitaliste, il n'est pas à connaître, il est à faire (La phrase
célèbre de Marx : « Les hommes n'ont fait jusqu' ici qu'interpréter le monde de
différentes manières, il s'agit maintenant de le transformer» a été tournée et retournée
sous toutes les coutures par les surréalistes). Quand la dialectique sera à son terme,
alors la conscience sera tout entière présente à elle-même; avec la société sans classe,
elle se réalisera et se verra dans sa totalité20.

Ma Blanchot avverte che questa visione non va certo intesa nel


senso che la Rivoluzione risolverà ogni cosa, ma, al contrario, che solo
dopo di essa , dopo la fine della dialettica storica (cioé: dopo la fine di
quella che Marx chiamava “preistoria”, segnata dal permanere della
divisione in classi della società), si potranno porre i problemi non
storici, atemporali, si potrà aprire la fase della dialettica non storica;
solo dopo la rivoluzione l’uomo potrà veramente cercare la sua
autenticità, la sua libertà, che non è nei bisogni materiali, nei fini
utilitari, nel lavoro, ma non può fare a meno della preliminare
soluzione dei problemi che riguardano tali campi:

L'homme sera libre, parce que, comme dit Breton, «la précarité artificielle de la
condition sociale de l'homme ne lui volera plus la précarité réelle de sa condition
humaine», c'est-à-dire, parce que, dans une société libre où il ne pourra que se choisir
libre, il lui faudra tout de même encore se choisir lui-même, sans pouvoir se décharger
sur personne de ce soin, ni en être «affranchi» jamais21.

Se passiamo al saggio su Char , in esso troviamo commentato di


22

nuovo Partage formel, a proposito del tema dell’immaginazione e della


sua capacità di metterci in contatto con l’infinitamente altro, l’assente
dal reale e, nello stesso tempo, di realizzare (tema così tipicamente
18 Blanchot, La part du feu, cit., p.97.
19 Blanchot, La part du feu, cit., p. 98, dove vengono riportati passaggi da Partage
formel.
20 Blanchot, La part du feu, cit., p.99.
21 Blanchot, La part du feu, cit., pp.100-101.
22 Blanchot, La part du feu, cit., pp. 103 e sgg. .

9
bretoniano) la sintesi di questo assente con il reale, che viene così
trasfigurato . Subito dopo, viene riproposta, attraverso la discussione
23

della poesia, la questione della totalità, del rapporto uomo-cose, uomo-


mondo come viene rinnovato dalla poesia:

Tout poème se présente, au poète, comme un tout où il se voit engagé,


ensemble qu'il domine quoique n'en étant qu'une partie, composé qui le définit
et le constitue, quoiqu'il en soit le maître. Pour les uns, comme Mallarmé,
cette totalité est celle du langage, dont tous les éléments, s'échangeant
librement les uns avec les autres, réalisent l'équivalence complète de la parole
et du silence. Pour d'autres, le poème les conduit à affirmer la totalité des
choses et leur libre communication entre elles à travers le poète, et la
possibilité pour le poète de se fonder, de se créer à partir de cette totalité que
lui-même crée. «En poésie, dit Char, c'est seulement à partir de la
communication et de la libre-disposition de la totalité des choses entre elles à
travers nous que nous nous trouvons engagés et définis, à même d'obtenir
notre forme originale et nos propriétés probatoires. » L'ambiguïté de ce
rapport explique que le poème devance le poète, en qui cependant il prend
origine, car c'est dans le poème que se réalise la présence totale et totalement
libre des êtres et des choses, à partir desquels le poète obtient de devenir ce
qu'il est24.

Blanchot sviluppa poi ancora più chiaramente il tema dell’immagine e


del desiderio come trasfigurazione rivoluzionaria del mondo in totalità:

L'image, dans le poème, n'est pas la désignation d'une chose, mais la manière
dont s'accomplit la possession de cette chose ou sa destruction, le moyen
trouvé par le poète pour vivre avec elle, sur elle et contre elle, pour venir à son
contact substantiel et matériel et la toucher dans une unité de sympathie ou
une unité de dégoût. L'image est d'abord une image, car elle est l'absence de ce
qu'elle nous donne et elle nous le fait atteindre comme la présence d'une
absence, appelant, par là en nous, le mouvement le plus vif pour le posséder
(c'est le désir dont parle Char). Mais, en même temps, l'image poétique, dans
cette absence même de la chose, prétend nous restituer le fond de sa présence,
non pas sa forme qui est ce qu'on voit, mais le dessous qui est ce qu'on
pénètre, sa réalité de terre, sa «matière-émotion». Dans cette présence
nouvelle, la chose perd son individualité d'objet fermé par l'usage, elle tend à
se métamorphoser en tout autre chose et en toutes choses, de sorte que l'image
première est, elle aussi, conduite à changer et, entraînée dans le cycle des
métamorphoses, devient sans cesse un pouvoir plus complexe et plus fort de
transformer le monde en un tout par l' appropriation du désir25.

Idea di comunità, idea di totalità, idea di rivoluzione totale,


23 Blanchot, La part du feu, cit., p.108-9.
24 Blanchot, La part du feu, cit., p.109.
25 Blanchot, La part du feu, cit., p.112-3.

10
apocalittica attraverso la poesia e il desiderio: se esaminassimo in
dettaglio (cosa che in questa sede non è possibile fare) il saggio su La
letteratura e il diritto alla morte , ritroveremmo questo insieme di
26

concetti in connessione con un riallaccio alla tradizione giacobina del


Terrore. Sono tutte posizioni che (salvo forse quella del Terrore, su cui
Foucault mi pare conservi sempre una certa distanza) si riscontrano in
controluce non solo nell’ Introduzione a Binswanger, ma ancora in
Folie et déraison, in cui, com'è noto, Foucault si riferisce in più luoghi
in modo tematico alla psicologia collettiva e all’ esperienza collettiva,
collegando le posizioni blanchottiane che abbiamo esaminato alla storia
delle mentalità (Ariès) e all' antropologia americana (Ruth Benedict).
Dunque una posizione, quella di Foucault, che, attraverso i
riferimenti di cui abbiamo parlato, si colloca certamente nel campo
marxista in senso lato, che meglio si potrebbe definire di
un’avanguardia rivoluzionaria molto legata alla tradizione letteraria;
bisogna infatti ricordare, sulle tracce di Surya, che c’erano parecchie
posizioni che si ponevano, in modo differente, nel campo marxista e
rivoluzionario: quella di Sartre, quella di Merleau-Ponty , quella di
27

Blanchote Bataille, quella ufficiale e dogmatica del PCF; ma


bisognerebbe ricordare (oltre al già menzionato René Char) anche il
gruppo di Socialisme ou barbarie e un personaggio come Henri
Lefebvre, marxista-nietzscheano fin dal 1939; e il discorso si potrebbe
allargare ancora, poiché la sinistra francese, che da sempre è stata una
nebulosa, lo era ancora di più in questi anni post-45. È doveroso anche
rilevare che molta parte del merito di questo dibattito così plurale e
articolato, che genera un largo ventaglio di marxismi, è da attribuire
all’impresa sartriana e merleau-pontyana dei Temps modernes: sulle
pagine dei Temps troviamo largamente rappresentata questa varietà di
posizioni (ci scrivono per es. gli stessi Bataille e Blanchot, che pure
sono in polemica con i direttori della rivista). Insomma, Sartre e
Merleau-Ponty crearono un preziosissimo organo per la discussione fra
marxisti, coinvolgendo, in senso più lato, l'intera "classe" degli
intellettuali. La posizione del giovane Foucault (ma anche quella del
Foucault successivo, che rimarrà segnato da questa sua formazione) non
può essere compresa se non la si inserisce nel contesto storico

26 Blanchot, La part du feu, cit., p. 291 e sgg.


27 La posizione di Merleau-Ponty, negli anni di cui stiamo parlando, ha una
particolare rilevanza: la sua rottura politica con Sartre si era già consumata,
ma Merleau continuava a mantenersi nel campo del marxismo, sebbene
originalmente interpretato: nel 1955 esce un testo fondamentale come Les
aventures de la dialectique, in cui, per non dir altro, c’è un lungo e profondo
dialogo con il Lukács di Storia e coscienza di classe. Certo, con il ’56 la
distanza fra il marxismo sovietico e gli altri si accentua; ma non significa
questo una maggiore pregnanza dei secondi, che fin da prima del ’56, sulle
orme di Breton, avevano battuto una strada diversa da quella sovietica e
stalinista?

11
dell’esistenzialismo post-Liberazione: il significato di quest'ultimo, in
nesso all'engagement, al rapporto stretto di cultura e democrazia che
esso proponeva, era stato quello di far uscire la cultura dalle accademie,
di coinvolgere attivamente in essa innanzitutto il complesso delle classi
colte, poi, tendenzialmente, tutte le classi. Fatta questa precisazione, è
ovvio comunque che, fra i vari marxismi in campo, Foucault è
evidentemente più vicino a quello di Blanchot-Bataille, che,
collegandosi a Breton, era il più rivoluzionario, o, per lo meno,
pretendeva di essere tale: come abbiamo visto dai saggi di Blanchot,
quello che potremmo chiamare il versante radicale dell'esistenzialismo
intendeva impostare attraverso la letteratura un progetto di liberazione
assai più eversivo del mondo borghese rispetto alle altre posizioni,
cercando di rinnovare l'esperienza dell'avanguardia surrealista fra le due
guerre.
Si potrebbero conclusivamente riassumere come segue le linee essenziali del peculiare
marxismo del giovane Foucault. Innanzitutto, c’è l’idea che la rivoluzione debba andare
ben al di là della trasformazione dei rapporti economici – ma nemmeno possa prescindere
da essa e ridursi a qualcosa di meramente morale o interiore. Poi, riguardo al tema
cruciale del rapporto fra intellettuali e classe operaia, c'è certamente in Foucault un’idea
di collettivo che, sulla traccia delle tradizioni citate ma anche di Blanchot, è più vasta di
quella a cui faceva riferimento la coscienza di classe della tradizione marxista; inoltre del
tutto diverso, rispetto al marxismo tradizionale, è il rapporto con l’idea di lavoro: il
lavoro non è, come nella tradizione marxista, un valore in sé, che solo nelle condizioni
dell’alienazione capitalistica si carica di significati negativi; esso è dressage, coazione
sociale in se stesso, alienazione nella sua stessa struttura. Realizzata la liberazione del
lavoro dal giogo capitalistico, come dicevano Breton e Blanchot, inizia la possibilità di
affrontare il problema più importante: quello della nostra libertà, del senso della nostra
esistenza. La rivoluzione comunista non è che un presupposto per un cambiamento ben
più profondo e ben più importante, per un’altra e diversa rivoluzione.

2. L’ Introduzione all’antropologia pragmatica di Kant

Facciamo ora un salto di uqalche anno per arrivare a un testo che è già del Foucault
maturo, quello che, insieme a Storia della follia, scrive un’introduzione
all’Antrop.pragm. di Kant assai importante per mettere a fuoco la sua posizione filosofica
esplicita (di rado, poi, così esplicita,salvo che nellaPref alla I edizione poi soppressa, e
che è l’altro testo che sottoporremo ad analisi). Abbiamo già visto come già emergesse,
attraverso Blanchot e anche attraverso Bataille, la fondamentalità del rapporto con
Heidegger. Nel testo che ora esamineremo si precisano le linee di lettura del filosofo
tedesco che già abbiamo visto, ma i presupposti romantici di cui sopra abbiamo parlato
vengono messi a maggior distanza, anche se non totalmente rescissi. Si tratta certamente
di una lettura più accurata e diversa, da parte di Foucvault, delle posizioni di Bataille e di
Blanchot ; e ciò è condizionato soprattutto dall’irrompere della centralità del discorso
nietzzscheano. Analizziamo il testo, per trarre poi leconclusioni sulle radici francesi del
discorso di Foucault.

12
Essenzialmente, nel commento al testo kantiano, il riferimento a Heidegger, e in
particolare al suo Kant, emerge nel fatto che, sulla falsariga di quel testo, in Kant si cerca
non colui che ha definitivamente posto fine alla metafisica, ma, al contrario, colui che,
recingendo il territorio della finitudine, ha posto le basi per una nuova metafisica. Il
lavoro critico non serve per tenere l'uomo dentro i suoi confini, ma per contestare al
contrario che la struttura antropologica sia l'unico modo in cui vi sia accesso all'Essere;
detto altrimenti: per scoprire che essa nasconde una temporalità originaria che deborda e
contesta la struttura tradizionale dell'uomo.
Quindi l' Antropologia viene letta secondo la griglia della finitudine; Kant, certo,
se guardiamo al complesso della sua opera, dice Foucault ripetendo Heidegger, ha esitato,
ha fatto un passo indietro di fronte al compito di aprire una via nuova alla metafisica; ma
se facciamo perno sull' Antropologia, possiamo rovesciare il kantismo e vederlo non
come affermazione di una antropologia positiva, ma come negazione di essa: come
affermazione della finitudine costitutiva dell'uomo che rimanda a una dimensione di
infinitezza che la fonda e la costituisce – non, naturalmente, dell'infinitezza positiva
dell'idealismo, che toglie il finito e conserva il finito nell'infinito, ma (sempre sulle tracce
della polemica di Heidegger con l'idealismo) di un'infinitezza che, aprendosi nel finito, ne
conserva la radicale finitezza, la sua "estraneità" e alterità rispetto al fondamentale. Il
discorso critico diventa non esclusione della metafisica, ma sua fondazione:
esplicitazione del fatto che il limite in tanto è limite in quanto sporge su un illimitato che
è la sua radice più profonda. Foucault denuncia quindi tutto il pensiero contemporaneo,
riferendosi evidentemente non solo alle antropologie filosofiche ma anche
all'antropologia come disciplina (quella di Mauss e Lévi-Strauss, per intenderci), per
esser rimasto coinvolto nel "passo indietro" kantiano . 28

Foucault denuncia anzi tutto il pensiero postkantiano come irretito nella confusione che
l'Antropologia, il livello antropologico della riflessione autorizza: il carattere intermedio
dell'originario fra a priori e fondamentale, che farà sì che esso verrà scambiato per un
"misto impuro", è appunto la chiave dell'equivoco, che farà giocare a volta a volta fra a
priori e fondamentale . Al posto di questo equivoco antropologico, va accettata
29

28 In realtà l'antropologia di Kant, rivelandosi dipendente dalle Critiche, dimostrava


l'impossibilità di chiarire cos' è l'uomo al suo livello, e cioé: "l´Anthropologie montre du
doigt l´absence de Dieu, et se déploie dans le vide laissé par cet infini. Là où la nature des
corps physiques dit synthèse, la nature empirique de l´homme dit limite." (A, f.121).
29 "Depuis Kant, implicitement, le projet de toute philosophie sera bien de surmonter cet

essentiel partage, (106) jusqu´à ce que devienne claire l´impossibilité d´un pareil
dépassement en dehors d´une réflexion, qui le répète, et en le répétant le fonde. L
´Anthropologie sera précisément le lieu où cette confusion, sans cesse, renaîtra. Désigné
sous son propre nom, ou cachée sous d´autres projets, l´Anthropologie, ou du moins le
niveau anthropologique de réflexion tiendra à aliéner la philosophie. Le caractère
intermédiaire de l´originaire, et avec lui, de l´analyse anthropologique, entre l´a priori et
le fondamental l´autorisera à fonctionner comme mixte impur et non réfléchi dans l
´économie interne de la philosophie: on lui prêtera à la fois les privilèges de l´a priori et
le sens du fondamental, le caractère préalable de la critique, et la forme achevée de la
philosophie transcendantale; il se déploiera sans différence de la problématique du

13
radicalmente la finitudine, essa va vista come condizione che deve essere trasgredita: "le
problème de la finitude" va letto come "une interrogation sur la limite et la
transgression"30

Il comparire di questo termine-chiave, che è inequivocabilmente di Bataille (e che


naturalmente non è citato espressamente), precede di pochissimo quello di un altro
personaggio fondamentale per Foucault, ma la cui brusca convocazione qui, nel contesto
così heideggeriano che abbiamo ripercorso, non può non sorprendere; infatti, negli ultimi
due periodi del suo testo, Foucault inserisce il superuomo di Nietzsche – il testo termina
anzi con il termine "der Übermensch":

Et pourtant de cette critique [dell'umanesimo] nous avons reçu le modèle depuis


plus d´un demi-siècle. L´entreprise nietzschéenne pourrait être entendue comme point d
´arrêt enfin donné à la prolifération de l´interrogation sur l´homme. La mort de Dieu n
´est-elle pas en effet manifestée dans un gest doublement meurtrier qui, en mettant un
terme à l´absolu, est (128) en même temps assassin de l´homme lui-même. Car l´homme,
dans sa finitude, n´est pas séparable de l´infini dont il est à la fois la négation et le
hérault; c´est dans la mort de l´homme que s´accomplit la mort de Dieu. N´est-il pas
possible de concevoir une critique de la finitude qui serait libératrice aussi bien par
rapport à l´infini, et qui montrerait que la finitude n´est pas terme, mais cette courbure et
ce noeud du temps où la fin est commencement? La trajectoire de la question: Was ist der
Mensch? dans le champ de la philosophie s´achève dans la réponse qui la récuse et la
désarme: der Übermensch . 31

Lo scarto è brusco, come dicevo, rispetto alla ripetizione heideggeriana fin qui fatta
di Kant e coinvolge il problema dell'infinito, che comunque già campeggiava nel testo
foucaultiano assai più che in quello heideggeriano: invece di stare alla finitezza
originaria, Foucault ricorre al superuomo di Nietzsche per spiazzare la coppia finito-

nécessaire à celle de l´existence; il confondra l´analyse des conditions, et l´interrogation


sur la finitude. Il faudra bien un jour envisager toute l´histoire de la philosophie
postkantienne et contemporaine du point de vue de cette confusion entretenue, c´est à dire
à partir de cette confusion dénoncée." (A, f.105-6) E più sotto: "en fait, elle ne peut parler
que le langage de la limite et de la négativité: elle ne doit avoir pour sens que de
transmettre de la vigueur critique à la fondation transcendantale la préséance de la
finitude. Au nom de ce qu´est, c´est à dire de ce que doit être son essence l´Anthropologie
dans le tout du champ philosophique, il faut récuser toutes ces "anthropologies
philosophiques" qui se donnent comme accès naturel au fondamental; et toutes ses
philosophies dont le point de départ et l´horizon concret sont définies par une certaine
réflexion anthropologique sur l´homme. Ici et là joue une "illusion" qui est propre à la
philosophie occidentale depuis Kant. elle fait équilibre, dans sa forme anthropologique, à
l´illusion transcendantale que recélait la métaphysique prékantienne. C´est par symétrie et
en s´y référant comme un fil directeur qu´on peut comprendre en quoi consiste cette
illusion anthropologique." (A, f. 123-4)
30 A, f.125.
31 A, f. 127-8.

14
infinito; di fatto propone che si possa riaprire la comunicazione del finito coll'infinito.
Questo processo avviene col ricorso a quelle che Foucault chiama esperienze del limite,
facendo forza, di nuovo, su Blanchot e sulla trasgressione di Bataille. Questa
esplicitazione non avviene nel testo dell' Antropologia, ma in testi contemporanei o di
qualche anno dopo, che comunque appartengono ancora alla sua stessa configurazione
teorica. In particolare tre sono i testi che dovremmo prendere in considerazione (ma
possiamo solo accennarvi) per mettere a fuoco quest'operazione:

1) la prefazione alla prima edizione di Folie et Déraison :


32

2) I testi Preface à la transgression (1963) e La pensée du dehors (1966) : in essi il


33

discorso sul rapporto limite-trasgressione (come già accennato di passaggio nel


commento all' Antropologia) è chiaramente, anche se non troppo esplicitamente,
un'interpretazione del tema heideggeriano della finitudine: trasgredire il limite, dice
Foucault, è insieme porre la finitudine e porre l'essere. Nell'istante della trasgressione il
lampo illumina la notte, si ha la correlatività di finito e essere, si ha una negatività che è
puramente affermativa e non dialettica; dove, al di là delle assonanze con temi
heideggeriani, c'è una differenza fondamentale: a compiere questa trasgressione è il
superuomo, che per Foucault (e per Bataille) è l'uomo del sacrificio, che attivamente fa
dépense di se stesso, che entra in comunicazione con la totalità. Qui c'è, nonostante il
carattere particolare di queste esperienze, un aspetto attivo e trasformativo di se stessi e
del mondo difficilmente riconducibile all' Ereignis e all' Andenken heideggeriani; anche
la Gelassenheit e l'appello di Heidegger alla poesia mi sembrano sostanzialmente diversi.
E soprattutto: in Foucault, sono i concetti di finito e infinito, di singolo e totalità, e del
ritorno dei primi termini nei secondi a essere centrali.
Prima di passare al punto 1), cioé all’analisi della Préface del 1961, traiamo qualche
conclusione provvisoria sul nostro problema.
Per un lato il giovane Foucault è nettamente influenzato dal
primo Heidegger e in particolare dallo Heidegger del Kant; di
conseguenza, quello di Foucault era uno Heidegger per cui contava di
più l'ontico, per cui sembrava contare la finitudine dell' Esserci più che
quella dell' Essere; e quindi l'ontico, il finito hanno un ruolo molto
maggiore, uno statuto meno "svalutato" rispetto all'ontologico. Ma,
oltre a questa accentuazione dovuta a una forzatura interpretativa di
quella falda di testi heideggeriani, c'è un altro aspetto del discorso
foucaultiano che accresce la differenza rispetto al filosofo tedesco:
Foucault per un lato innesta su questo Heidegger già un po' particolare
il dionisiaco di Nietzsche, per l'altro concentra tutto sul momento in cui
il finito, il limite può istantaneamente ricongiungersi coll'infinito: si
potrebbe dire che rivaluta in un unico gesto entrambi queste categorie e
lo fa perché il suo interesse è: come trasformare il nostro presente,
come rovesciarlo, come rivoluzionarlo: come convocare la società
32Paris, Plon, 1961, pp. I e sgg.
33Cfr. M. Foucault, Dits et écrits, Paris, Gallimard, 1994, vol.I, rispettivamente, p. 233 e
sgg. e p. 518 e sgg.

15
borghese di fronte alla repressione del dionisiaco che essa opera? È per
questo che si dedicherà sempre all'analisi puntuale dell'ontico, del
finito, che la sua analitica esistenziale prenderà la forma di un'analisi
dei manicomi, delle prigioni, della sessualità: solo attraverso l'analisi e
lo scioglimento del modo in cui il trascendentale si è fatto empirico,
creando ospedali, prigioni ecc., si può accedere a una vita liberata.
Dunque: maggior accentuazione sul Dasein e sull'ontico, più importante
ruolo conferito sia al finito che, correlativamente, all'infinito: alla
maggior insistenza sull'ontico, sul finito corrisponde l'interesse
epistemologico e politico foucaultiano per i limiti che ogni cultura
impone all'Essere ovvero a Dioniso; al maggior rilievo sull'infinito
corrisponde l'esigenza politica, rivoluzionaria, di rinnovamento totale
attraverso il ricongiungimento con l'infinito. Quindi, si potrebbe dire:
uno Heidegger letto attraverso le lenti deformanti di Kant e di
Nietzsche, ma anche di Marx e del surrealismo. Ma se si vuol capire il
perché di queste lenti deformanti, bisogna concentrarsi sulla centralità
che Foucault conferisce al presente, alla storia, alla politica: è questo il
filtro tipicamente francese (intendendo con questo anche la temperie
storico-culturale francese degli anni 50-60) a cui Foucault sottopone
Heidegger e per cui si può dire che in lui i concetti heideggeriani
diventano operazionali: strumenti all'interno di un intervento attivo,
etico-politico nel presente in cui la lezione di Kant, di Nietzsche e di
Marx sono profondamente solidali. Torneremo su questo nelle
conclusioni.

3. La Préface del 1961


Mi limiterò a richiamare alcuni passi-chiave della Prefazione alla
prima edizione di Storia della follia, seguendo la traccia delle acute
critiche che gli rivolse Derrida in una famosa conferenza del 1963, poi
ripubblicata in ED: F oscilla fra una posizione che è più vicina al
Romanticismo della fase del Sogno (la chiameremo «Posizione 1») e
una (prevalente), in cui, come nell’Introd all’Antrop, più profonda
appare la comprensione di Blanchot: è una posizione che associa
Husserl e Heidegger, che pensa all’idea fenomenologica del recupero di
una falda originaria, ma non come pienezzza, bensì come momento
della separazione e del relazionarsi dei contrari (che sono il dionisiao e
l’apollineo); e che manifesta in questo un residuo legame con il
Romanticismo, ma anche con l’idea di falda prelogica dell’esistenza
del Merleau-Ponty della Feonomenologia della percezione, di cui F era
stato, come è noto, allievo per molti anni (La chiameremo «Posizione
2»). Passiamo dunque all’analisi del testo.

Foucault apre la Prefazione enunciando questo intento


programmatico:

16
[Si tratta di] Cercare di raggiungere nella storia questo grado zero della storia
della follia, quando è ancora esperienza indifferenziata, esperienza, non ancora scissa,
della scissura stessa34.

Per quanto riguarda quella che abbiamo definito come «Posizione


1», troviamo affermazioni di questo genere:

…il tempo storico impone silenzio a qualcosa che in seguito non possiamo più
apprendere se non sotto le forme del vuoto, del vano, del nulla. La storia non è
possibile se non si basa su un’assenza di storia, in mezzo a quel grande spazio di
sussurri spiati dal silenzio, come se fossero la sua vocazione e la sua verità…
Equivoco di questa oscura regione: essa è pura origine poiché da lei nascerà il
linguaggio della storia, conquistando a poco a poco su tanta confusione le forme della
sua sintassi e la consistenza del suo vocabolario; ed è ultimo residuo, spiaggia sterile
delle parole, sabbia percorsa e subito dimenticata, e che non conserva, nella sua
passività, se non la vuota impronta delle figure prelevate35.

E ancora:

Bisognerebbe dunque tendere l’orecchio, chinarsi verso questo borbottio del


mondo, cercare di scorgere tante immagini che non sono mai state poesia, tanti
fantasmi che non hanno mai raggiunto i colori della veglia.36

Il testo della Prefazione evidenzia uno stretto legame con la


concezione nietzscheana del tragico, che emerge con evidenza da passi
di questo genere e che appartengono sia alla «Posizione 1» che alla
«Posizione 2»:

Interrogare una cultura sulle sue esperienze-limite significa interrogarla ai


confini della storia, su una lacerazione che è come la nascita stessa della sua storia.
Allora la continuità temporale di un’analisi dialettica e il sorgere, alle porte del tempo,
di una struttura tragica si trovano confrontati in una tensione sempre in via di
scioglimento.
Al centro di queste esperienze originarie del mondo occidentale prorompe,
beninteso, quella del tragico stesso: e Nietzsche ha mostrato che la struttura tragica a
partire dalla quale si forma la storia del mondo occidentale non è altro che il rifiuto,
l’oblio e la silenziosa ricaduta della tragedia.37

E poco più sotto:

Lo studio che segue non sarà che la prima tappa, e la più facile senza dubbio, di
questa lunga inchiesta, che, sotto il sole della grande ricerca nietzschiana, vorrebbe

34 Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica(1961), tr.it. a cura di Franco
Ferrucci, Rizzoli, Milano,1963, p. 9.
35 Michel Foucault, Storia della follia..., cit., p.14.
36 Michel Foucault, Storia della follia..., cit., p.15.
37 Michel Foucault, Storia della follia..., cit., p.11-2.

17
confrontare le dialettiche della storia con le immobili strutture del tragico.38

Per quanto riguarda la «Posizione 2», si può ricordare il passo che


segue:

In questo semplice problema di elocuzione si nascondeva e si esprimeva la


difficoltà maggiore dell’impresa: bisognava fare affiorare alla superficie del
linguaggio della ragione una separazione e una disputa che devono necessariamente
rimanere al di qua. Poiché questo linguaggio non acquista significato se non molto al
di là di esse. Occorreva quindi un linguaggio abbastanza neutro (abbastanza libero
dalla terminologia scientifica e da opzioni sociali e morali) da potersi accostare quanto
più possibile a quelle parole primitivamente aggrovigliate, e da abolire la distanza con
la quale l’uomo moderno si garantisce contro la follia; ma un linguaggio abbastanza
aperto da permettere che venissero a iscriversi senza tradimento le parole decisive con
le quali si è costituita, per noi, la verità della follia e della ragione. Quanto ai principi
di regola e di metodo, non ho tenuto a mente se non quello che si trova in un testo di
Char, dove si può anche leggere la più calzante e la più cauta definizione della verità:
“Io tolsi alle cose l’illusione che esse producono per preservarsi da noi, e lasciai loro
la parte che esse ci concedono”.39

Un’adeguata caratterizzazione storica e concettuale di queste posizioni di Foucault non è


stata, che io sappia, ancora fatta; penso però che possiamo provvisoriamente osservare
quanto segue. In entrambe le «Posizioni» che abbiamo distinto, Foucault rivela un
progetto filosofico che certamente ha in Nietzsche il suo cardine, ma che è altrettanto
debitore verso Husserl e verso Heidegger. Infatti l’idea del recupero di un’esperienza
muta è senz’altro debitrice della fenomenologia e anche il movimento di “riduzione” di
ogni sapere costituito della follia e il tentativo di costituire un linguaggio che riesca a
risalire all’origine e all’essenza è un evidente debito fenomenologico. Ma a mio parere è
il debito verso l’ontologia di Heidegger che è altrettanto importante: l’analisi che sopra
abbiamo condotto del contemporaneo testo dell’ IA, permette di vedere come quella
particolare lettura francese, «finitizzante», della filosofia del maestro tedesco, che sopra
abbiamo messo in rilievo, si declinase seondo due modelli: la «Posizione 1», che appare
più vicina al Nietzsche di Bataille, al suo estremismo dionisiaco, al suo privilegiamento
del momento dell’appertura, con conseguente estinzione, del singolo nella comunità; per
questo verso Foucault appare più vicino alle posizioni giovanili del Sogno e alla
tradizione romantica che in quel testo era così presente; la «Posizione 2», che appare una
lettura più fedele dello heideggerismo di Blanchot e anche un’interpretazione meno
romantica dello stesso Nietzsche: l’ «origine» che qui si vuol recuperare non è una
pienezza dionisiaca, ma piuttosto il momento, che nella storia si ripresenta via via in
modo diverso, in cui ordine e caos, apollineo e dionisiaco insieme si relazionano e si
separano per dar luogo a diversi reciproci allacci. Questa linea è quella che avrebbe
animato l’epistemologia storica di SF e di PC: la distinzione di un’epoca medioevale e
Rinascimentale, di un’epoca classica, dell’epoca ottocentesca e infine dell’epoca attuale

38Michel Foucault, Storia della follia..., cit., p.13.


39Michel Foucault, Storia della follia..., cit., p.18-9; la citazione di Char è tratta da
Suzerain, che si trova nella raccolta Fureur et mystère.

18
in SF; la distinzione di 4 episteme e 4 epoche storiche simili alle precedenti, ma con
alcune sostanziali messe a punto in PC. Attraverso Blanchot, i temi nicciani e
heideggeriani diventavano strumenti di un’epistemologia storica che si ricongiungevano a
quella linea Koyré-Cavaillés-Canguilhem che era tipicamente francese; e al posto di un
tentativo di ricongiungimento, attraverso la poesia, con la voce dell’Essere, avevamo qui
una complessa e articolata analisi dell’allaccio moderno fra senso e non ssenso, fra la
razionalità e il suo altro: una traduzione francese della filosopfia tedesca che ne faceva
uno strumento critico del presente, un’analisi concreta e puntuale della contemporaneità.
All’ascolto della voce dell’Essere, corrispondeva qui un ripensamento profondo delle
scienze umane, cioé della cultura strutturalistica degli anni Sessanta, trasformata e
rovesciata come un guanto, grazie al riferimento alla tradizione filosoficatedesca, a
Husserl e Heidegger congiuntamente, in una critica radicale del neocapitalismo che negli
anni 60 celebrava i suoi fasti.

4.Conclusioni

1)Conclusioni: F cosmopolita, come tutti i grandi intellettuali a partire dalla Weltlitteratur


e dal romanticismo tedesco, ma con radici molto francesi: non c’è da stupirci, la
nazionalità, filosofica e no, è tutt’altro che scomparsa, anzi sta riemergendo; si trasforma,
certo, con la mondializzazione, ma non muore, come non muoiono le culture regionali
ecc.
Ma qual è il messaggio della Francia che emerge dal discorso di F? Una sintesi di Kultur
e Zivilisation e una democratizzazione dell’elitismo nietzscheno-heideggeriano
(riprendere conclusioni di L-MP e Pross. E dist.) Inoltre nuova-vecchia figura
dell’intellettuale: Foucault sullo sfondo di Dreyfus; rottura e rinnovamento con Sartre, ma
anche oscillazione.

2) Altra volta mi sono soffermato sulla differenza indubbia fra lo heideggerismo di


Foucault e quello di Derrida. Oggi mi sembra più importante sotttolinearne le afffinità su
alcuni temi di fondo: Idea, riferimento a Kant, finito-infinito, ruolo del concetto,
particolare rilievo conferito all'ontico, ruolo della politica. Sul ruolo di Kant, sul suo
significato bisognerebbe approfondire il discorso (sul piano storiografico, ad esempio, il
positivismo francese, a cui sopra ho accennato, si lega con il kantismo della III
Repubblica in una concordia discors); un solo cenno a una direzione possibile: se si
pensa a quanto abbia contato per il Foucault maturo il Kant di Che cos'è l'illuminismo?,
ma anche a tutte le posizioni politiche del Derrida post-1980, non è la storia francese
successiva alla Rivoluzione che fa da griglia a questa lettura? La trasformazione critica
del presente, l'impegno nelle battaglie quotidiane, l'aggiornamento dell' engagement
sartriano non è lo stile inequivocabilmente francese che sia Foucault che Derrida
conferiscono al pensiero di Heidegger? Non abbiamo qui il confrontarsi di due accezioni
della libertà? Per offrire uno spunto di risposta a quest'ultimo interrogativo, un cenno
brevissimo a un testo di Foucault che va oltre le opere e la configurazione teorica che ho
esaminato: L'hermeneutique du sujet . Da esso si ricava che l'ultimo Foucault cerca di
40

40 Paris, Seuil/Gallimard, 2001.

19
andare più in profondo in questa operazione di meticciato franco-tedesco: cerca cioé di
sintetizzare il suo codice politico-collettivo francese con la cultura della spiritualità (la
cura di sé), che è uno dei portati della cultura antica, ma che è anche così tipicamente
tedesca e di cui considera Heidegger un esponente importante: in questo ultimo tentativo,
interrotto dalla morte e assai diverso, categorialmente, da quello giovanile che sopra
abbiamo esaminato, sta forse un estremo messaggio di prossimità e distanza rispetto a
Heidegger; è come se Foucault dicesse: la libertà francese, quella delle istituzioni, delle
folle e delle Rivoluzioni, deve aprirsi alla libertà spirituale, interiore, intimamente
individuale, a cui Heidegger, gran lettore di Lutero e di Schelling, ha guardato: solo la
sintesi di queste libertà è all'altezza dei problemi posti dalla storia contemporanea. Come
i precedenti, è un modo molto originale per "sollecitare" Heidegger; a me sembra che sia
anche un programma estremamente attuale nella crisi politica e di valori che stiamo
attraversando e, dunque, una strada feconda per mantenere viva l'attualità del pensiero di
Martin Heidegger.

3) Vorrei ora concludere con qualche considerazione comparativa sulla posizione di


Löwith e Merleau-Ponty, ma anche degli altri pensatori a cui ho accennato, sullo sfondo
delle rispettive culture nazionali e della situazione storico-politica in cui si inseriscono,
tornando ai temi generali di cui ho parlato all’inizio. Mi pare infatti che dietro ai dettagli
filologici di cui ho parlato, e al dibattito indiretto e punteggiato da silenzi che abbiamo
visto intessersi fra una serie di filosofi di spicco del nostro immediato passato, si
intravedano, in scorcio, alcuni temi fondamentali della cultura filosofica europea fra la
fine del XIX secolo e l’inizio del XX. Nel momento in cui Merleau-Ponty ripropone il
tema della Natura nel modo peculiare che ho cercato di chiarire, la sua posizione, in cui
confluscono eredità apparentemente inconciliabili come quella di Schelling, di Nietzsche,
di Bergson, di Heidegger da un lato, e di Husserl, di Cassirer, di Koffka e di Wertheimer
dall’altro, non va vista anche come un tentativo di superamento dell’antitesi fra Kultur e
Zivilisation , su cui si era imperniata tanta cultura tedesca fin dal XIX secolo? Da una tale
angolatura, la posizione del filosofo francese rispetto a quella dei suoi interlocutori d'oltre
Reno, e in particolare di Löwith, si staglia piuttosto chiaramente: se quest’ultimo, come
appare chiaro non solo dalla seconda edizione del suo libro su Nietzsche, ma anche da un
classico come Significato e fine della storia , traeva come lezione dalle tragiche vicende
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del XX secolo il rifiuto della storia e del moderno e il ritorno all’antico, per Merleau-
Ponty, anche dopo il ’56, anche dopo il fallimento dell’esperienza sovietica, rimane vero
che la storia non è necessariamente una dimensione negativa; che non ogni volontà, non
ogni azione è necessariamente nichilistica; e che non è fatale che fra l' essere e il divenire,
fra la natura e la storia, fra la Kultur e la Zivilisation si debba tragicamente scegliere.
Riannodando i fili fra Schelling e la cultura romantica tedesca da un lato e tutto quello
che la civilisation francese aveva prodotto fra la fine dell'800 e gli anni '30, intrecciando
inoltre un proficuo dialogo con Nietzsche e Heidegger, mi pare che Merleau-Ponty
cercasse di realizzare una sintesi fra le due tradizioni nazionali, segnando così un passo
avanti rispetto alle contrapposizioni polari e spesso reciprocamente speculari in cui esse
si erano arenate; e mi pare anche che tale sintesi reimpostasse le questioni del nichilismo,

41 tr.it. Milano, Edizioni di Comunità, 1963.

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della metafisica, della natura e della cultura in un modo nuovo, che oggi, e forse oggi più
che nel nostro immediato passato, ha ancora molto da dirci.

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