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7.1. I problemi dell’acqua di raffreddamento.......................................................................91
7.2. Incrostazioni......................................................................................................................94
7.3. Fouling...............................................................................................................................95
8.2. Incrostazioni....................................................................................................................110
8.3. Schiumeggiamenti...........................................................................................................111
8.11. Progettazione del sistema di controllo: punti di controllo e metodi di prelievo dei
campioni:.........................................................................................................................126
2
11.1. Ferro, acciaio, ghise comuni..........................................................................................133
11.7. Titanio..............................................................................................................................135
12.7. Ghise................................................................................................................................177
13.1. Introduzione....................................................................................................................181
3
13.4. Meccanismi fisici.............................................................................................................183
13.10. Fatica................................................................................................................................202
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APPUNTI SULLA CORROSIONE E PROTEZIONE DEI
MATERIALI.
Premessa.
Queste dispense sulla Corrosione e Protezione dei Materiali sono state preparate per il corso di
aggiornamento tecnico svolto. Si spiegano in modo semplice i concetti alla base dei fenomeni
corrosivi e si descrivono le tecniche comunemente impiegate per la protezione dei materiali in
ambienti naturali e industriali. Le dispense possono solo costituire un primo scritto di
riferimento, rimandando a testi citati in bibliografia per eventuali approfondimenti.
E’ importante osservare che per affrontare i problemi di tipo corrosionistico è necessario alcune
basilari conoscenze di metallurgia e di chimica e, cosa affatto secondaria, un buon bagaglio di
esperienza accumulato nel tempo. I fattori che possono influenzare il comportamento di un
materiale in un certo ambiente sono infatti numerosi e spesso interagenti in modo non
immediato. Individuare origine e cause scatenanti un danneggiamento corrosivo può essere
affatto semplice, così come individuare la migliore soluzione tecnico-economica al problema.
Ciò che aiuta è avere chiari i principi di base della corrosione e, prima di giungere a conclusioni
affrettate, raccogliere tutti i dati e le informazioni sull’impianto e sulla sua ‘storia’ operativa, e
condurre tutte le analisi richieste per una chiara caratterizzazione del tipo di danneggiamento,
tipo di ambiente, tipo di materiale e specifiche caratteristiche di lavoro dell’accoppiamento
materiale-ambiente. Pertanto, come parte integrante del corso, si conducono esercitazioni
pratiche di laboratorio per studiare, analizzare e risolvere alcuni casi di danneggiamenti
realmente occorsi in impianti industriali e non, in modo da proporre una metodologia sistematica
e razionale da seguire nell’analisi dei casi di corrosione.
Il fine del corso non è certo quello di formare dei professionisti della corrosione e protezione dei
materiali, ma di trasmettere la cultura e la sensibilità sui fenomeni corrosivi, requisito di grande
utilità per operare in una qualsiasi realtà industriale.
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concentrazioni (attività) delle specie coinvolte si può calcolare da dati termodinamici tabulati.
Gli ambienti naturali sono in genere caratterizzati dalla presenza di ossigeno e nell’acqua sono
sempre presenti ioni H+ che possono, in linea di principio, ossidare molti metalli. Nella Tabella 1
si riportano i valori di G relativi alle reazioni di ossidazione di alcuni metalli con quest’ultime
specie. Si osserva come K, Zn e Fe abbiano tutti G negativi in corrispondenza di entrambe le
reazioni, mentre il rame metallico può passare alla forma ossidata solo se presente ossigeno.
Infine l’oro metallico non viene ossidato spontaneamente né dall’ossigeno né dall’ambiente
acido.
Da questi dati si può capire come mai non possono esistere miniere di ferro o zinco metallico,
presenti normalmente sotto forma di ossidi/minerali. Esistono invece filoni di oro e platino
metallici.
I materiali di uso ingegneristico, quando esposti in atmosfere naturali o industriali, tendono
quindi ad ossidarsi, cioé corrodersi. Quando ciò accade si dice che il materiale è in condizioni di
attività. Tuttavia, la condizione termodinamica non è la sola a dover essere considerata. Ha infatti
enorme interesse sapere anche a quale velocità procederà il danneggiamento, cioè quale sarà la
cinetica dei processi corrosivi.
I danni causati dalla corrosione sono enormi. Il danneggiamento corrosivo spesso non si limita
alla semplice sostituzione del componente interessato (costi diretti), ma possono comprendere
una serie di danni indiretti, quali ad es. perdite di prodotto attraverso condutture o
apparecchiature, fermi impianto non programmati, incidenti agli operatori ecc. Un caso frequente
è la perdita di prodotto conseguente alla foratura di un'apparecchiatura di scambio termico; il
prodotto entra così nel circuito di raffreddamento e viene scaricato all'esterno con scarse
probabilità di individuazione. Danni indiretti sono anche la perdita di efficienza di
apparecchiature in conseguenza ad accumuli di prodotti di corrosione; questi fanno aumentare le
perdite di carico ed obbligano ad accrescere la potenza di pompaggio, o diminuiscono i
rendimenti degli scambi termici modificando i bilanci energetici, le temperature di processo, la
qualità e la resa in prodotto finito. Danni indiretti sono da considerare quelli provocati
dall'inquinamento dei prodotti (industria alimentare e farmaceutica) e dai conseguenti fermi
impianto per permettere la sostituzione delle apparecchiature deteriorate.
Il problema della corrosione deve essere affrontato già in sede di progettazione delle
apparecchiature, predisponendo un'oculata scelta dei materiali ed un'efficace sistema di
protezione; deve essere inoltre previsto un adeguato sistema di conduzione e manutenzione
dell'impianto durante la sua vita operativa seguendo il principio generale di ottenere un
grado di affidabilità per i singoli componenti tanto maggiore quanto più vitale è il ruolo da
essi ricoperto.
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Esistono due tipi di corrosione: a) corrosione a secco, cioè ossidazione dei metalli ad alta
temperatura con cinetiche dipendenti dalla Termodinamica Chimica, b) corrosione ad umido, cioè
corrosione in ambiente acquoso attraverso processi di natura elettrochimica dipendenti dalla
termodinamica e cinetica elettrochimica. Nella corrosione a umido l'ambiente corrosivo è
costituito da soluzioni acquose, con funzionamento di sistemi galvanici in cui il processo
corrosivo è la risultante di un processo anodico di dissoluzione del materiale in congiunzione a un
parallelo processo catodico. Queste semireazioni avvengono entrambe in stretta prossimità della
superficie metallica.
1) processo anodico (ossidazione). Trasferimento del metallo in ioni idratati, con un numero
equivalente di elettroni "lasciati" sulla superficie del metallo. Me -> Me++(nH2O) + 2e-
2) processo catodico (riduzione). Assimilazione dell'eccesso di elettroni da parte di
depolarizzatori (atomi, molecole o ioni capaci di essere ridotti al catodo), in questo esempio
ossigeno, tramite la semireazione O2 + 2e- + H2O -> 2OH-
Questi due processi sono indipendenti ma complementari, nel senso che il numero di elettroni
nell’unità di tempo lasciati sulla superficie metallica dalla reazione anodica deve essere uguale al
numero di elettroni nell’unità di tempo consumati dal depolarizzatore nella semireazione catodica
[ vox = vred]. Infatti, se così non fosse, si avrebbe un accumulo di carica elettrica nel metallo.
Queste relazioni avvengono entrambe all’interfaccia metallo-soluzione acquosa, zona nella quale
esse possono comportare modificazioni sensibili dell'ambiente acquoso (ad esempio un sensibile
aumento di pH). Le reazioni secondarie che avvengono quando i prodotti delle reazioni anodiche
e catodiche vengono a contatto fra loro o con altre sostanze ambientali, portano alla separazione
di ossidi, idrossidi, sali basici. In funzione delle caratteristiche chimico-fisiche e costitutive degli
eventuali strati superficiali formati (continuità, compattezza, conducibilità elettronica, ecc. ecc.)
si possono avere sensibili riflessi sulla velocità con cui proseguono nel tempo i processi corrosivi.
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A causa dell'ambiente esterno l'idrossido ferroso può a sua volta essere ossidato a idrossido
ferrico (ma anche direttamente Fe2+Fe3+):
Viene così a formarsi la ben nota ruggine di colore rosso-bruno. Tuttavia, in funzione delle
caratteristiche ambientali, sono possibili diversi stati di ossidazione del ferro. Di solito, la ruggine
spessa è formata da strati successivi di FeO (Wustite), Fe3O4 .H2O (Magnetite idrata verde), Fe3
O4 (Magnetite Anidra Nera), Fe2O3 .H2O (Ematite rosso-bruna). Il deposito di ruggine è per
sua natura discontinuo, poroso e scarsamente protettivo. Sebbene la sua presenza rallenti in
qualche misura la velocità di corrosione del metallo sottostante, il danneggiamento prosegue
comunque a velocità apprezzabili e dipendenti dall’ambiente corrosivo.
Vi sono anche strati superficiali di prodotti di corrosione abbastanza protettivi, come nel caso
dello zinco esposto all'azione atmosferica, dove vengono a formarsi miscugli di ossidi/idrossidi di
zinco e vari altri sali basici, capaci di proteggere almeno parzialmente il metallo sottostante;
oppure strati spessi e compatti di solfato di ferro per acciai in contatto con acido solforico
concentrato.
Nel caso in cui l’interazione tra metallo e ambiente comporti la formazione di composti assai
protettivi, capaci cioè di ridurre in modo drastico la velocità di corrosione, si parla di stato di
passività del metallo (ad esempio acciai inox, titanio, superleghe base nichel, alluminio in
ambienti naturali ).
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Fig.2.1
Si supponga adeso di avere tre vaschette contenenti soluzioni acquose a pH=0 di acido cloridrico
(HCl), Fig.2.2. Nella prima vaschetta si immerge una sbarretta di zinco commerciale, nella
seconda si immergono due sbarrette di zinco e di ferro saldate tra loro e nella terza una sbarretta
di zinco purissimo. Una netta separazione tra regioni a prevalente funzionamento catodico e
anodico si può osservare nelle prime due vaschette, mentre nella terza questa separazione non è
affatto evidente. Nei primi due casi si osserva lo sviluppo di bollicine di idrogeno gassoso dalla
reazione catodica 2H+ + 2e- = H2, che avviene sulle impurezze di ferro presenti nello zinco
commerciale nel primo caso e sulla barretta di ferro nel secondo. Tutte le altre aree sono
evidentemente sede della reazione anodica di ossidazione dello zinco secondo la reazione Zn =
Zn++ + 2e-.
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Teoria delle coppie locali Teoria delle tensioni miste
Fig.2.2
Nella Teoria delle coppie locali la natura elettrochimica del processo corrosivo è accertabile
visivamente, come in questi primi due casi. Appare intuitivo schematizzare il sistema corrosivo
raggruppando tutte le aree catodiche in un unico elettrodo con superficie corrispondente e tutte le
aree anodiche in un unico elettrodo con superficie corrispondente. Il sistema corrosivo può essere
così schematizzato come una cella galvanica bielettrodica cortocircuitata, vedi Fig.2.3.
Nota: Da un punto di vista elettrochimico il catodo è sempre l'elettrodo sul quale avvengono
fenomeni di riduzione.Da un punto di vista elettrico il catodo è sempre l'elettrodo entro cui
fluisce corrente proveniente dal conduttore elettrolitico.
Il catodo è l’elettrodo positivo (+) quando il sistema galvanico funge
da generatore, è l’elettrodo negativo (-) quando il sistema assorbe
energia (elettrolisi).
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2.1. Aspetti termodinamici delle reazioni di corrosione.
dove: Ecateq / Eaneq sono i potenziali elettrodici di equilibrio, calcolabili mediante l'equazione di
Nerst, z = numero di elettroni scambiati, F = costante di Faraday, T = temperatura assoluta in
Kelvin.
Per una generica reazione redox : aA + bB = cC +dD +ze- l’Equazione di Nerst si scrive:
G >0 Ecateq < Eaneq La reazione di corrosione non può avvenire. Il metallo è in stato
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di immunità.
Le reazioni anodiche che ci interessano sono quelle di dissoluzione dei metalli. Facendo
riferimento alla scala dei potenziali standard (25 °C, concentrazione di tutte le specie presenti 1
M, pressione delle specie gassose 1 atm) rispetto all’elettrodo standard di idrogeno (SHE), si può
calcolare, ad esempio, il potenziale del ferro in equilibrio con una soluzione acquosa con
concentrazione di ioni ferrosi 10-3M (coppia redox Fe++/Fe):
0.0591 0.059 3
E Fe / Fe E 0 Fe / Fe log[10 3 ] 0.409 ( ) 0.497V ( SHE )
2 2
Le reazioni catodiche di maggior interesse sono quelle possibili in ambienti naturali (P= 1 atm):
1- Riduzione di O2 O2 + 4H+ + 4e- 2H2O
EO2 / H 2O E 0 O2 / H 2O 0.059 pH 1.23 0.059 pH
2 - Riduzione di H+ a dare H2 2H+ + 2e- H2
E H / H E 0 H / H 2 0.059 pH 0.059 pH
2
Nelle soluzioni acquose possono poi esserci altre coppie redox. Ad esempio:
NO2- + 2H+ + e- NO + H2O
Fe3+ + e- = Fe2+
Cr6+ + 3e- = Cr3+
Pertanto, dalla conoscenza del potenziale elettrodico del metallo nell’ambiente aggressivo
d’interesse è possibile dedurre se il metallo è TD-nte o meno aggredibile per corrosione. Basta
calcolare il potenziale di equilibrio del metallo (se non sono inizialmente presenti di ioni del
metallo si può fare riferimento ad una concentrazione pari a 10 -6 M), calcolare il potenziale delle
possibili reazioni catodiche presenti in quell’ambiente, e verificare se almeno una di queste è
superiore in valore al potenziale di equilibrio del metallo. Se questo accade, allora la reazione di
corrosione avviene ed è spontanea. Altrimenti, il metallo è in quell’ambiente in condizioni di
immunità termodinamica e non si corrode.
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metalli usuali.
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metallico, quest’ultima sarà la forma stabile e, pertanto, il metallo non si corroderà (condizioni di
IMMUNITA’). Infine, se il metallo è portato a lavorare in condizioni di potenziale e pH
ambientale dove è stabile un ossido, per esempio Fe 3O4, sulla superficie metallica si formerà
quest’ultimo, in linea di massima capace di proteggere almeno parzialmente il metallo sottostante
(condizioni di passività). Nel diagramma sono anche riportate due rette (a, b) a differenti altezze e
di pari inclinazione (incl.= -0,059). Queste rette sono relative alla variazione del potenziale redox
della riduzione di idrogeno (retta a) e di ossigeno (retta b) al variare del pH della soluzione
acquosa. Pertanto, la condizione di corrodibilità del metallo in un ambiente naturale che contenga
solo H+ (deareato) o anche O2 (ossigenato) può essere immediatamente deducibile.
Fig.2.4
Si riportano nel seguito i diagrammi di Pourbaix relativi ad altri metalli, v.Fig.2.5. Si può ad
esempio osservare che il rame non è corrodibile da una soluzione acquosa deareata, anche se a
pH=0, mentre è corrodibile in presenza di ossigeno. Si osserva inoltre come per il cromo, metallo
decisamente poco nobile, si estenda notevolmente il campo di stabilità dell’ossido, cioè si
verificano per ampi intervalli di pH e potenziale condizioni di possibile passività.
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L’efficacia degli strati protettivi dipende da numerosi fattori, di certo non deducibili da tali
diagrammi
Fig.2.5
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suoi ioni non sono statiche ma dinamiche: si svolge in continuazione una reazione di ossidazione
del metallo a dare ioni ed una reazione di riduzione da ioni ad atomi metallici, reazioni che
avvengono però alla stessa velocità. Si ha cioé un equilibrio dinamico in condizioni di
reversibilità per cui ian = icat = i0 , dove i0 si definisce densità di corrente di scambio. In queste
condizioni di equilibrio (G =0) non si ha corrosione del metallo, poiché non vi è un flusso netto
di metallo verso la soluzione acquosa. Il Potenziale Reversibile di Equilibrio è calcolabile,
come prima visto, mediante l'equazione di Nerst:
RT a Me
E Me / Me E 0 Me / Me ln
zF a Me
All'equilibrio metallo-soluzione, il potenziale assunto dal metallo è
eq
proprio il potenziale E Me / Me calcolato con Nerst.
Se a questo punto si impone al metallo un potenziale più elevato del
eq
suo potenziale di equilibrio E Me / Me , cioè applichiamo una
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Si dimostra, parimenti, che nei dintorni del potenziale di equilibrio, cioè per sovratensioni minori
in valore assoluto di 30 mV, la relazione tra sovratensione e corrente è di tipo lineare:
act Rp.ia
cct Rp.ic
Fig.
2.6
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polarizzazione nello stesso quadrante), otterremo nei dintorni del potenziale di equilibrio un
andamento non lineare e per a , |c | > 50 mV un andamento lineare. Per metalli bivalenti come
ad esempio il Fe, si ha che la corrente varia di un fattore 10 per ogni 60 mV di sovratensione. Nel
caso si resistenza per trasferimento di carica, le correnti elettrodiche e quindi la cinetica dei
processi elettrodici è descritta dai parametri ba/bc (coeficienti di Tafel) e i0.(densità di corr. di
scambio del metallo)
Tabella 2.1
Questa situazione si verifica per tutti gli equilibri delle coppie redox presenti, sia per il metallo
sia per le possibili reazioni catodiche che avvengono sulla superficie del metallo, come la
riduzione di H+ e/o la riduzione di O2 negli ambienti naturali.
I valori delle costanti cinetiche ba, bc, i0 per vari equilibri sono tabulati in Tabella 2.1. Si può
osservare come le variabili cinetiche possono variare entro larghi intervalli numerici. Come dato
di fatto, nella cinetica dei processi elettronici sono significative molte variabili, come ad esempio
lo stato delle superfici metalliche dove vanno a stabilirsi gli equilibri.
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da una specie chimica ad un’altra del tutto differente (ad esempio dal ferro all’H +) e questo non
può essere un processo di equilibrio.
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0.059
E eq H / H E eq 0 log[ H ]
1
ox red
i Me iMe iO ,Me
SECONDO EQUILIBRIO Equilibrio T.D.
0.059
E eq Me / Me E eq 0 log[ Me ]
2
Se accoppiamo queste due reazioni redox sulla superficie del metallo e supponiamo che
E eq H / H E eq Me / Me , si avrà che:
1) L’equilibrio Me/Me2+ verrà spostato in senso anodico a causa dell’accoppiamento con
una reazione di equilibrio a potenziale redox maggiore. Il potenziale del metallo, quindi si
sposta verso potenziali più elettropositivi. Man mano che aumenta tale spostamento
(sovratensione anodica), aumentano le correnti anodiche. La relazione tra sovratensione
anodica e corrente anodica è la funzione logaritmica dell’Eq. di Tafel ;
2) L’equilibrio H+/H2 verrà spostato in senso catodico a causa dell’accoppiamento con una
reazione di equilibrio a potenziale redox minore. Il potenziale dell’equilibrio H+/H2 si
sposta verso potenziali meno elettropositivi. Man mano che aumenta tale spostamento
(sovratensione catodica), aumentano le correnti catodiche. La relazione tra sovratensione
catodica e corrente catodica è la funzione logaritmica dell’Eq. di Tafel.
Supponendo di operare in soluzione acquosa con conducibilità del mezzo corrosivo molto grande
( RI=0), le condizioni stazionarie di funzionamento si avranno quando tutta la forza motrice
disponibile (Ecat – Ean) sarà dissipata nella somma della sovratensione anodica e sovratensione
catodica, cioè quando a + /c/ = Ecat - Ean (più in generale sarà a + /c/ + RI = Ecat - Ean).
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corrosivo nel punto di intersezione tra le curve di polarizzazione delle due coppie redox,
condizioni che determinano: Ecorr= Potenziale libero di corrosione del metallo (V), i corr =
velocità di corrosione ( A/m2)
Il valore del potenziale di corrosione non è calcolabile da dati termodinamici essendo ,come
prima detto, associato ad una reazione irreversibile, ma dipenderà essenzialmente da fattori
cinetici (valori di i0 e sovratensioni elettroniche a /c) legati allo svolgimento dei processi
elettronici. Si può dire che le condizioni stazionarie di lavoro del sistema corrosivo si
raggiungeranno quando l’intero LAVORO MOTORE disponibile ( E
eq
CAT E eq AN ) andrà
dissipato negli ATTRITI del sistema causati dal passaggio di corrente.
Cioè: allo stazionario: E eq CAT E eq AN = a + |c | +RI (con RI caduta ohmica)
NOTA. Nella maggior parte dei casi di corrosione in ambiente acquoso, si tratta di soluzioni ad
alta conducibilità ionica e con distanze tra regioni anodiche/catodiche molto ridotte. Pertanto il
termine di caduta ohmica RI può essere di norma trascurato e le condizioni di lavoro del sistema
corrosivo (Ecorr/Icorr) possono determinarsi dalla intersezione delle curve anodiche e catodiche.
Riassumendo:
0.059
E eq Me / Me E 0 Me / Me log(a Me )
2 EAN
la polarizzazione impone
0.059
E eq H / H E 0 H / H log(a H )
2 ECAT
Si è detto che nei processi corrosivi in ambiente acquoso si ha generalmente, come processo
catodico, lo sviluppo di H2 e/o la riduzione di O2 disciolto. Analizziamo più in dettaglio le relative
sovratensioni elettroniche.
1) Sovratensione di H2:
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si osserva un’anticorrelazione con la
sovratensione del metallo con i propri ioni, cioè tanto maggiore è l’ i0,Me quanto minore è l’ i0,H2 su
quel metallo.
2) Sovratensione di O2.
Le sovratensioni per trasferimento c di carica
CT
Per lo studio di un sistema corrosivo tramite le curve di polarizzazione anodica e catodica, sono
importanti le implicazioni derivanti dalla teoria delle tensioni miste. Come detto in precedenza,
anche in assenza di evidenti eterogeneità superficiali (base della teoria delle coppie locali) tale
teoria ammette la possibilità che su di una stessa porzione di superficie di un materiale
perfettamente omogeneo immerso in una soluzione omogenea, si svolgano
contemporaneamente due o più processi elettronici, alcuni in un senso ed altri in senso opposto
(anodico/catodico) in un susseguirsi statistico di posizioni sulla superficie e rispetto al tempo.
Tale teoria implica la sovrapponibilità delle curve parziali di polarizzazione.
Le assunzioni sono:
1) Qualsiasi reazione elettrochimica può essere considerata come somma di due o più
processi parziali di ossidazione e riduzione;
2) Non ci può essere accumulo di cariche elettriche durante la reazione elettrochimica.
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Pertanto un qualsiasi sistema
corrosivo, anche costituito da più
reazioni anodiche e catodiche, le
condizioni stazionarie di
funzionamento si stabilizzeranno al
potenziale Ecorr per cui risulta:
i Ox
An i
red
Cat
Si intende per passivazione la perdita di reattività del materiale sotto certe condizioni ambientali.
La passività è quindi uno stato di bassa velocità di corrosione e cioé di scarsa reattività del
materiale metallico con l’ambiente aggressivo. Tale stato è in genere associato alla formazione di
un film solido interfacciale, in genere un ossido, molto protettivo e capace di rallentare
drasticamente l’attacco corrosivo del metallo sottostante. Gli stati superficiali protettivi possono
essere costituiti da uno strato monoatomico di O 2 adsorbito, o da ossidi, idrossidi, prodotti di
corrosione o sali precipitati dalla soluzione acquosa quando si raggiungono le condizioni
favorevoli: per gli ossidi Ecorr > EM/M0 dell’ossido e per i sali il superamento dei rispettivi prodotti
di solubilità (AgCl, PbSO4, FeSO4, CaCO3 ecc..). Questi strati o film superficiali costituiscono
una barriera tra il metallo e l’ambiente circostante. Non sempre gli strati superficiali che si
formano sulla superficie dei metalli sono protettivi, dipendendo tale proprietà dalla compattezza,
porosità, conducibilità ionica ed elettronica del deposito. Da un punto di vista ingegneristico il
fenomeno è molto importante, e rende conto dell’elevata resistenza alla corrosione di molti
metalli e leghe intrinsecamente poco nobili, come Al, Cr, Ti, Ta, e anche acciai inox, superleghe,
rame e le sue leghe in acqua di mare, acciaio al carbonio in H2SO4 diluito ecc…
I tipici metalli che esibiscono il fenomeno della passività sono:
Fe, Cr, Ni, Ti, Al e loro leghe.
23
Fig.2.8
24
2. La corrente anodica è controllata dalla velocità di dissoluzione del film nell’ambiente
acquoso. Essendo tale processo di natura chimica e non elettrochimica, la corrente è
indipendente dal potenziale.
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meccanici in acciaio e in acciaio zincato esposti a corrosione atmosferica,
E’ molto importante comprendere che i film di passivazione sono assai diversi dalla comune
ruggine che vediamo sull’acciaio. Entrambi sono a base di ossidi del metallo base ma, mentre i
primi sono assai sottili (pochi passi molecolari, al massimo pochi nanometri) e assai protettivi, la
comune ruggine non protegge efficacemente il metallo sottostante, che continua a corrodersi. La
ragione si comprende facilmente osservando il diverso meccanismo di formazione dei due strati
di ossido. La ruggine, composta da FeOOH, praticamente ematite idratata, si forma
nell’ambiente acquoso o nel film di condensazione presente e poi precipita per superamento del
prodotto di solubilità sulla superficie metallica. Si comprende come tale deposito sia per sua
natura poco coerente con il substrato metallico e poroso; l’ambiente aggressivo raggiunge sempre
e comunque il metallo e continua a corroderlo. Solo pochissimi depositi cristallini spessi (si
contano sulle dita di una mano) riescono ad essere efficacemente protettivi (passività chimica
prima detta)
Il meccanismo di formazione di un film passivante di ossidi è invece completamente diverso. Per
visualizzare tale differenza, consideriamo uno dei metalli che esibisce passività, come il nichel,
potendo ripetere le stesse considerazioni per il cromo, il titanio ecc. Partendo dall’iniziale
ossidazione dell’atomo metallico superficiale di nichel, quest’ultimo può:
1- Solvatarsi ed entrare come ione nella fase liquida, passando attraverso il doppio strato
elettrico. Se l’ambiente chimico nelle vicinanze della superficie metalliche lo consente,
potrebbe precipitare dalla soluzione sulla superficie metallica sotto forma di ossido o sale
insolubile. In questo caso il deposito superficiale formato è, nella maggior parte dei casi, poco
protettivo; risultando da un fenomeno di precipitazione è tendenzialmente poco aderente,
poroso e cristallino. Esempi sono la classica ruggine del ferro e i depositi blu e verdi dei tubi
di rame nei circuiti idraulici.
Se consideriamo a titolo di esempio la catena di ossidazione del nichel:
Ni H 2O NiOH ads H e
NiOH ads H Ni aq H 2O e
Lo ione in soluzione acquosa può quindi precipitare come idrossido sulla superficie metallica, nel
caso in cui il pH della soluzione sia tale da far superare il prodotto di solubilità dell’idrossido.
2- Esiste tuttavia un’altra possibilità, e cioè che l’intermedio NiOH ads si deprotoni e resti sulla
superficie metallica senza andare a formare all’interno della soluzione uno ione solvatato. La
deprotonazione possiamo rappresentarla come:
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dal potenziale e anche dalla temperatura. La formazione dell’ossido passivante è comunque
possibile solo se il potenziale di equilibrio di formazione dell’ossido è raggiunto e superato.
Naturalmente, questo accade più facilmente in soluzioni neutre o basiche.
Anche in ambiente acido, dove l’ossido è tendenzialmente instabile, può verificarsi passivazione.
In questo caso la velocità di dissoluzione dell’ossido determina l’intensità del fenomeno
corrosivo. Ad esempio il cromo (così come gli inox) possono esibire buona passivazione anche in
ambienti acidi in quanto gli ossidi di cromo III si dissolvono in modo abbastanza lento
Come prima accennato, in alcuni casi il deposito formato per precipitazione dalla soluzione può
risultare efficacemente protettivo, anche se non passivante in senso stretto. E’ il caso dell’AgCl su
Ag, del FeSO4 per acciai al carbonio in H2SO4 concentrato, del PbSO4 in H2SO4 diluito. Questi
depositi risultano molto più spessi dei film di ossidi passivanti e l’attacco corrosivo al metallo è
sensibilmente, ma non drasticamente, ridotto.
Le variabili ambientali che bisogna considerare attentamente nel valutare l’impiego di un
materiale a comportamento attivo-passivo sono:
1- Potere ossidante dell’ambiente. Deve essere abbastanza ossidante da comportare la
formazione del film passivante e non troppo ossidante da comportare il superamento della
Etr del materiale. A titolo orientativo, gli acciai inossidabili lavorano molto bene in
ambienti naturali perché il potenziale che assumono di norma negli ambienti naturali
(atmosfera, acqua potabile) li portano a lavorare nel loro intervallo di passività;
2- Presenza di ioni depassivanti quali gli alogenuri (il più comune in ambienti naturali
sono i cloruri). Per capire il perché, bisogna introdurre alcune nozioni sulla costituzione
dello strato di soluzione a diretto contatto con la superficie metallica, dove viene a
costituirsi il DOPPIO STRATO ELETTRICO. Si segua il seguente esempio. Immergendo
una lastra di Zn in H2O, una certa quantità di metallo tenderà a passare in soluzione
lasciando la superficie caricata negativamente. Gli ioni Zn++ si idratano, cioè si
circondano di molecole polari di acqua e, costituendo comunque un agglomerato carico
positivamente, tenderanno a restare vicini alla superficie in quanto attratti dalla carica
negativa, stabilendo cosi’ un DOPPIO STRATO ELETTRICO assimilabile in prima
analisi ad un condensatore. La struttura all’interfaccia metallo – soluzione elettrolitica è
supposta multistrato: a)uno strato più interno, costituito da molecole del solvente acqua e
quando presenti, da ioni di altre specie (dette di adsorbimento specifico). Questo strato è
denominato STRATO COMPATTO DI HELMHOLTZ ed il luogo dei centri elettrici degli
ioni di adsorbimento è chiamato PIANO INTERNO DI HELMHOLTZ (IHP). b) gli ioni
solvatati possono avvicinarsi alla superficie metallica fino a toccare l’IHP ed il luogo dei
centri degli ioni piu’ vicini e’ detto PIANO ESTERNO DI HELMHOLTZ (OHP).
L’interazione tra gli ioni solvatati ed il metallo carico elettricamente coinvolge solo forze
elettrostatiche a lungo raggio, pertanto l’interazione e’ sostanzialmente indipendente dalle
proprietà chimiche degli ioni, che sono denominati per tale ragione di adsorbimento non
specifico. c) a causa dell’agitazione termica, gli ioni di adsorbimento non specifico sono
distribuiti in una regione 3D, denominata STRATO DIFFUSO (di GUY-CHAPMAN) che
si estende dall’OHP fino al cuore della soluzione. Vi e’ un’apparente analogia fisica ad
una successione di CONDENSATORI in serie, anche se a differenza di quelli reali, la
capacitanza del DSE e’ funzione della d.d.p. esistente. (C DSE tipicamente varia tra 10 e 40
mF / cm2 ). Potenti ioni di adsorbimento specifico sono gli ioni di di alogenuri, come a
esempio i cloruri. Questi ioni, malgrado siano carichi negativamente, hanno una forte
tendenza ad adsorbirsi direttamente sul metallo, con affinità addirittura maggiore degli
ioni non specifici carichi positivamente. Come detto in precedenza, lo stato di passività si
27
deve alla formazione a diretto contatto con il metallo di un ossido/idrossido che in pratica
isola il metallo sottostante dall’ambiente aggressivo esterno. Se nella soluzione acquosa vi
sono ioni cloruro, questi tendono ad adsorbirsi preferenzialmente creando possibili
discontinuità nel film passivante, cioè favorendo varchi per l’ambiente aggressivo;
3- Temperatura e pH dell’ambiente. Essendo i film passivanti di norma costituiti da ossidi
del metallo, un aumento di temperatura e una maggiore acidità ambientale tendono
entrambi ad aumentare la solubilità chimica del film ed a renderlo più instabile e meno
protettivo. L’effetto di tali variabili è quello di aumentare il potenziale di passività,
decrementare quello di transpassività ed aumentare la densità di corrente nell’intervallo di
passività.
28
ai superaustenitici, fino alle leghe Hastelloy, le migliori.
Fig.2.9
.
Tratto DE - In soluzione sono presenti ioni aggressivi capaci di inficiare le condizioni di
passività (Cl- per inox, Fe, Al). Si innesca il pitting, e la corrente aumenta in funzione del numero
e crescita delle aree scoperte (il valore di i che si legge non è correlabile alla penetrazione
dell’attacco) e l’andamento E-log i non è necessariamente lineare (instabilità).;
Tratto FG - Non vi sono ioni depassivanti, ma si supera la tensione di ossidazione ad anioni più
solubili, per cui il film tende a sciogliersi in soluzione. E’ quel che accade al Cr (Cr 3+ ® CrO4--) e
Mn (MnO4-- ® Mn3+);
29
accresce linearmente con la tensione, e non si sviluppa O2. E’ il caso dell’alluminio, per cui
risulta possibile il trattamento di anodizzazione con spessori (dopo sigillatura della parte porosa
del film) anche di 10 ¸ 20 mm.
Questi risultati indicano che la passività superficiale è stabile quando si lavora nelle condizioni
della curva catodica 2; la curva catodica tipo 1, che corrisponde ad un potenziale redox minore
della precedente, può avere più intersezioni con la curva anodica del materiale e quindi sono
possibili diverse condizioni di lavoro. Se esponiamo per la prima volta un materiale a
comportamento attivo-passivo ad un ambiente dove è attiva la curva catodica 1, le condizioni di
lavoro si stabilizzeranno al potenziale di corrosione E corr (1), cioè in condizioni attive del
materiale, che potrà quindi corrodersi a velocità apprezzabili. Se invece si è già formato un film
di passivazione sulla superficie, questo potrà stabilizzarsi anche in condizioni meno favorevoli: se
passo cioè dalle condizioni di lavoro a Ecorr (2) ad un ambiente dove è attiva la curva catodica 1,
le condizioni di lavoro si stabilizzeranno questa volta al potenziale di corrosione Ecorr (3), cioè
ancora in condizioni di passività.
Questa è la ragione per cui si conducono pre-trattamenti di passivazione nelle apparecchiature
nuove prima della definitiva messa in marcia (tubazioni e apparecchiature in rame, in acciai inox
ecc). Per gli inox, ad esempio, si immette in circolo una soluzione diluita di acido nitrico o altre
soluzioni ossidanti, al fine di rimuovere tutte le impurezze superficiali e formare un film
superficiale stabile di passivazione.
dove:
iappl = densità di corrente applicata.
E = potenziale imposto.
Ecorr = potenziale di corrosione libera.
icorr = densità di corrente di corrosione.
30
C = capacitanza interfacciale del doppio strato elettrico.
ba, bc = coefficienti di Tafel.
Per valori assoluti della sovratensione c/a abbastanza grandi (> 50 mV) ® iappl = iox (o ired) per
cui:
i
b log appl
icorr
1 ba bc iappl E
R p è la resistenza di polarizzazione.
icorr dove i
2.3 ba bc E appl
Fig.2.10
2.6. RILIEVO DELLE CURVE CARATTERISTICHE E/I .
METODO DELL’ESTRAPOLAZIONE DELLE RETTE DI TAFEL.
31
del riferimento costante. Nel metodo potenziostatico si fissa un valore di set point del potenziale
dell’EL rispetto all’ER e il potenziostato lascia passare una corrente nel circuito EL-CE fino a
quando non legge una differenza di potenziale tra EL e ER uguale al set point. Operativamente si
opera come segue:
1) Si lascia stabilizzare Ecorr;
2) Si fissa un potenziale catodico rispetto a Ecorr che si vuole fare assumere all’EL e lo si
raggiunge mediante passaggio di corrente I tra EL e CE;
3) Si misura I e si ottiene un punto sperimentale sul diagramma E – log I;
4) Si incrementa il valore del potenziale dell’EL e si ottengono altre combinazioni E-log I;
5) Si ottiene in tal modo la curva di polarizzazione catodica fino a Ecorr e per valori di
potenziale maggiori la curva di polarizzazione anodica;
6) Si estrapola l’andamento lineare E-log I sulle due curve partendo dalle regioni al di fuori
dell’intervallo 50 mV da Ecorr (metodo dell’estrapolazione), fino a determinare
all’intersezione di tali rette il valore di Ecorr e Icorr.
Il valore della icorr determinata con il metodo elettrochimici può essere convertito direttamente in
penetrazione dell’attacco corrosivo. Per un acciaio si ha:
penetrazione [mm/anno] = 1-1,5 icorr [A/m2]
i C
log appl z F RT
dE 2 .3 R T icorr
1 e
dLogi zF 1
per ridurre l’entità del controllo per diffusione si può ridurre NERST aumentando il grado di
agitazione del sistema.
32
da valori alti della densità di corrente anodica, si rischia di non trovare valori rappresentativi
delle condizioni esistenti ad Ecorr, e questo per fenomeni di passivazione e/o di cambiamento
delle caratteristiche superficiali del metallo. Nel caso del catodo, possono verificarsi
adsorbimenti di H3O+ e OH- che mutano le condizioni chimiche in prossimità della superficie
elettrodica.
L’elettrone standard ad idrogeno è poco agevole a causa della sua complessità. Si impiegano di
norma elettrodi reversibili più semplici.
ELETTRODO A CALOMELANO.
Hg 2Cl2 Hg 2 Cl dissociazione sale
2e Hg 2 Hg riduzione catodica
HgCl2 2 Hg 2Cl
0 R T a 2Cl 2
ECALOM ECAL ln Hg2 2
2F aHg aCl
0 0.059 1 0 1 0
ECAL ECAL log 2
ECAL 0.059 log aCl ECAL 0.059 log aCl
2 aCl
AgCl Ag Cl
e Ag Ag
e AgCl Ag Cl
0 1
E AgCl E AgCl 0.059 ln E AgCl
0
0.059hCl
Ag Ag hCl Ag
0
E AgCl 0.222V
Ag
33
2.6.4. COMPLICAZIONI CON IL METODO DELLA MISURA DELLA
RESISTENZA DI POLARIZZAZIONE.
34
3. METODI PER LA RILEVAZIONE DELLA VELOCITA’ DI CORROSIONE. PROVE
DI CORROSIONE IN LABORATORIO E IN CAMPO. CORROSIMETRI
INDUSTRIALI
3.1. I test di laboratorio permettono sostanzialmente un confronto tra diversi materiali nelle
stesse precise condizioni di esposizione, al fine di mettere in evidenza il ruolo giocato dai
numerosi fattori che concorrono al tipo e intensità del fenomeno corrosivo (temperatura,
composizione chimica, potenziale redox, pH ecc..). Spesso queste prove sono condotte in
condizione di esposizione più gravosa che nel caso reale (prove accelerate), in modo da
ridurre il tempo di durata della prova in laboratorio; in tal caso, bisogna stare attenti nella
valutazione dei risultati: accelerare il processo corrosivo agendo su alcuni fattori
acceleranti potrebbe tradursi in un meccanismo di corrosione del materiale anche
sostanzialmente differente rispetto al tipo di esposizione prevista in servizio per il
componente. In questo caso il risultato del test accelerato potrebbe non essere
significativo o addirittura fuorviante. Un caso pratico sono le prove di corrosione in
‘camera a nebbia salina’, particolarmente impiegate per valutare la protettività di riporti
metallici, strati di conversione, pitture ecc su acciai al carbonio tal quali o acciai zincati.
In tali prove si sottopongono i provini ad un ambiente saturo di umidità per
nebulizzazione di una soluzione salina contenente NaCl, e vengono usate per valutare in
modo comparativo l’efficacia dei riporti protettivi all’esposizione atmosferica.
L’accelerazione del processo corrosivo è assicurata dalla forte concentrazione di ioni
depassivanti e dalla temperatura mantenuta intorno a 38 °C. In tale ambiente, i fenomeni
di passivazione sono fortemente inibiti e la capacità di un rivestimento protettivo si
valuta nel tempo di esposizione necessario alla comparsa della ruggine rossa del
substrato in acciaio. La durata della prova non è in nessun modo correlabile alla
resistenza che quel rivestimento avrà quando esposto all’atmosfera. Per di più, un
rivestimento che resiste molto male in c.n.s. potrebbe invece comportarsi molto bene
all’atmosfera, se nelle reali condizioni di servizio è in grado di passivarsi efficacemente.
Tuttavia, il test è molto impiegato in quanto di durata relativamente breve (in genere di
arriva fino a 1000 ore di esposizione) e abbastanza veritiero nella comparazione
qualitativa della protezione offerta da riporti sottili, metallici e non.
Nelle prove di corrosione per immersione, si impiegano provini prismatici sottili (intorno
a 1 mm di spessore), forati ad una estremità per sospenderli con un filo di Teflon nella
soluzione acquosa aggressiva. Prima dell’immersione i provini vengono pesati con una
bilancia di precisione. Alla fine del test, si analizza visivamente il provino, si rimuovono i
prodotti di corrosione in modo appropriato e poi si ripesano, in modo da valutare la
perdita in peso per corrosione. Nel seguito di forniscono alcuni consigli pratici per la
35
conduzione di questi test. E’ opportuno seguire con molto scrupolo le metodologie
standard reperibili in letteratura. Si consiglia di consultare sull’argomento:
“Corrosion Tests and Standards; Application and Interpretation”. ASTM Philadelphia,
Robert Baboian Ed., 1995.
3.3. Consigli pratici per la conduzione delle prove di corrosione per immersione.
1- Preparazione delle superfici. E’ preferibile avere le condizioni superficiali dei componenti reali
(difficile). Si può pertanto scegliere una particolare condizione di prova uguale per tutti i
materiali testati. I provini di corrosione devono avere larghe superfici piane e poca superficie di
spigolo e dimensioni tali da poterle pesare in bilance analitiche (precisione 0,0001 g). Le
superfici vanno sgrassate (stadio finale con alcool) ed essiccate.
A volte si preferisce eliminare tutti gli effetti di una finitura meccanica, mediante decapaggio
acido. Nel caso degli inox, bisogna decidere se condurre un pretrattamento chimico per indurre
un certo stato di passività iniziale o meno, e questo in relaione alla condizione di messa in opera
del materiale nell’impianto (come noto, negli impianti si conduce spesso un trattamento con una
soluzione diluita di HNO3, al fine di eliminare le impurezze metalliche superficiali di ferro e
favorire condizioni ottimali di passivazione iniziale).
Quando si testano rivestimenti protettivi metallici e non, può essere utile testare un campione
rivestito insieme ad uno con un graffio superficiale (leggera incisione con un bisturi) che scopra il
metallo del substrato, in modo da valutare qualitativamente l’effetto protettivo esercitato.
2- Marcatura identificativa dei provini. I marchi identificativi possono cancellarsi durante la
prova. Fare sempre un promemoria che permetta l’identificazione univoca. Possibilità: codici
punzonati, forature differenziate, incisioni con penna a vibrazione ecc..
3- Numero di provini. Almeno due per ogni caso studiato. Per un’indagine statistica più accurata,
almeno cinque provini. In genere la velocità di corrosione varia nel tempo in modo parabolico,
per effetto dell’azione schermante dei prodotti di corrosione. Occorre quindi estrarre a tempi
differenziati i provini, in modo da seguire l’evoluzione nel tempo della velocità di corrosione;
4- Volume della soluzione. Bisogna evitare che nel corso della prova si riduca in modo
considerevole la corrosività dell’ambiente e che la formazione dei prodotti di corrosione sia
troppo abbondante e tale da modificare pesantemente le caratteristiche chimico-fisiche
dell’ambiente corrosivo iniziale. In genere si assicurano almeno 250 ml di soluzione ogni 6 cm 2
di superficie metallica esposta.
5- Durata della prova. Deve essere adeguata per ottenere informazioni attendibili. La legge
36
parabolica che spesso si presenta, è tale che un’estrapolazione condotta sulla velocità di
corrosione iniziale potrebbe sovrastimare la reale entità del danneggiamento. Di norma si
raccomanda per velocità di corrosione basse o moderate:
50
DurataTEST (ore )
mm
anno
6- Controllo della temperatura (per test di laboratorio). Necessario termostatizzare con la
precisione di 1°C. Attenzione alle prove a T > 60°C per la possibilità di avere impurezze
provenienti dal recipiente usato (SiO2 inibitore per acciai al carbonio da impurezze del vetro,
usare quarzo puro o contenitori in plastica).
7- Areazione della soluzione. Difficile variarla a piacimento. Nel caso si volessero fare esperienze
con soluzioni acquose a differente contenuto di ossigeno, è meglio flussare diverse composizioni
N2/O2 a velocità costante, piuttosto che tentare un dosaggio diverso di O2 variando la velocità di
flussaggio.
8-Monitoraggio del danneggiamento (test di laboratorio). Dipende dalla finalità della prova. Il
caso più comune è la determinazione della perdita di peso come conseguenza del
danneggiamento corrosivo (almeno nel caso della corrosione uniforme). Dalla perdita in peso si
deduce il mdd (mg/dm2 al giorno) comunque convertibile in penetrazione (millimetri/anno) con la
formula:
0.0365 mm
mdd
a
Nel caso si verifichi un attacco localizzato tipo pitting, la perdita in peso di materiale nel corso
della prova può risultare assai esiguo, anche se il reale danneggiamento apportato al componente
può essere assai gravoso. In questo caso, bisogna ottenere diverse sezioni trasversali del provino,
inglobarle in resina con una pressa a caldo, lucidarle con carte abrasive di granulometria
decrescente (SiC 300/600/800/1200) fino a panno diamantato (granulometria 1 mm) e osservarle
con un microscopio metallografico ad ingrandimento adeguato. Bisogna infatti rilevare la
profondità dei 10 pits (almeno) più profondi. Come risultato della prova sperimentale si riporterà
la media di queste profondità assieme alla profondità massima rilevata. Per maggiori dettagli
consultare gli standard prima citati.
37
perdita in peso.
3.4.1. Metodo della Resistenza Elettrica. In questi corrosimetri si espone al flusso gassoso o
liquido un campione costituito da filo o un tubo o una lamina del materiale metallico da testare.
La corrosione del campione si traduce in una riduzione della sua sezione trasversale e quindi in
una variazione della sua resistività. La differenza di lettura in misurazioni successive (in genere
con frequenza giornaliera) viene riportata in grafico in funzione del tempo e l’inclinazione delle
curve ottenute viene messa in relazione alla velocità di corrosione mediante relazioni di taratura
fornite dal produttore del corrosimetro. E’ possibile disporre di campioni di diversi materiali
metallici di uso ingegneristico e quindi ottenere informazioni sul loro comportamento nelle
condizioni reali di impianto. Esistono modelli con portacampioni fissi o retrattili, vedi figure. La
temperatura massima di prova è intorno a 600 ° e le pressioni massime intorno a 200 atm
(dipende dal tipo). Il principale svantaggio di questi corrosimetri è che sono necessari diversi
giorni, se non settimane, per ottenere dati sulla velocità di corrosione. Inoltre, se la variabilità
delle condizioni di esposizione corrosiva induce un sensibile scatter di letture di resistività,
occorre condurre un gran numero di rilevazioni prima di disporre di dati affidabili. Infine, se
l’ambiente è fortemente corrosivo, la vita operativa del campione è relativamente breve, poiché
sono in genere disponibili campioni di dimensioni limitate.
38
39
3.4.2. Metodo della Polarizzazione Lineare. Questo metodo si basa sulla dipendenza lineare
tra sovratensione e corrente elettronica a valori di potenziale assai prossimi al potenziale di
corrosione libera del metallo nell’ambiente aggressivo. Il corrosimetro è costituito da un supporto
filettato che può inserirsi nel circuito o serbatoio, portante di norma tre elettrodi, v.Fig.3.1. Di
questi, uno è l’elettrodo di lavoro costituito dal materiale da testare, un altro è un controelettrodo
ed il terzo è un elettrodo di riferimento. Con tale apparecchiatura si riesce ad imporre
polarizzazioni cicliche nei dintorni del potenziale di corrosione libera del metallo, tra –10 mV e
+10 mV, rilevando il passaggio di corrente tra elettrodo di lavoro e controelettrodo. L’entità delle
sovratensioni applicate è controllata grazie all’elettrodo di riferimento a potenziale costante.
L’entità delle correnti ottenute alle sovratensioni applicate permette di stimare le velocità di
corrosione del metallo. Il vantaggio di questi corrosimetri è quello di avere dati istantanei della
velocità di corrosione ed è possibile condurre rilevazioni continue. Tuttavia, è importante rilevare
che le misure così ottenute non sono affatto precise e non possono essere usate come dati assoluti.
L’utilità di disporre di questi corrosimetri lungo l’impianto e nelle apparecchiature di interesse
consiste soprattutto nella possibilità di rilevare scostamenti nei valori usuali della velocità di
corrosione, cosa che può accadere se si verificano variazioni di temperatura, di concentrazione, di
flusso, di dosaggio di inibitori, di immissione di sostanze acide ecc. In tal modo si dispone di una
rilevazione che permette di rilevare eventuali anomalie e disporre i necessari interventi operativi.
40
Fig.3.1
3.4.3. Analisi con Ultrasuoni. E’ un metodo non distruttivo per valutare lo spessore residuo
della tubazione o di un serbatoio (ma anche la presenz di una fessura interna) costruita con un
materiale capace di trasmettere il suono. Nei test usuali con ultrasuoni si lasci passare un’onda di
vibrazione di alta frequenza (megahertz) all’interno del materiale. Si ottengono in tal modo delle
riflessioni dalle superfici del materiale e dalle varie discontinuità fisiche presenti al suo interno.
Queste vibrazioni, per mezzo di un trasduttore, sono convertite in segnale elettrico
opportunamente amplificato e inviato ad un tubo catodico per l’interpretazione. In linea di
massima, l’analisi con ultrasuoni è un metodo di trasformare degli impulsi elettrici in vibrazioni
meccaniche e ritrasformare poi le vibrazioni meccaniche in impulsi elettrici. Nella figura si
mostra l’applicazione del metodo nel caso in cui vi sia un difetto o meno all’interno del materiale.
Lo spessore della parete viene determinata dalla distanza tra i picchi relativi alla superficie
esterna ed interna.
3.4.4. Radiografia. E’ una delle tecniche più importanti e più versatili tra quelle non
distruttive. Si impiegano radiazioni penetranti come raggi X e raggi . Si ottengono immagini
visibili delle condizioni interne dei materiali, da cui si possono trarre tutte le informazioni di
integrità degli stessi. L’apparecchiatura per la radiografia è portatile ed è normalmente impiegata
per l’analisi di materiali sottili, da 1 mm a 20 mm per l’acciaio.
41
4. FATTORI INFLUENZANTI LA CORROSIONE UMIDA
Il tasso corrosivo di un materiale metallico è influenzato da tutti quei fattori che possono
modificare le specifiche condizioni termodinamiche e cinetiche del processo corrosivo
stesso. I principali fattori che concorrono nella definizione del processo elettrochimico
possono ricondursi:
i) al materiale metallico,
ii) all'ambiente,
iii) all'insieme materiale metallico-ambiente.
42
spesso regioni di attacco c. preferenziale (vedi anche la c. intergranulare). Tuttavia, anche
all'interno dei grani possono esserci difettosità varie quali difetti puntiformi, lineari
(dislocazioni) o di superficie (geminati, stacking faults).
- ACIDITA'
L'influenza del pH, come già detto a proposito dei diagrammi di Pourbaix, si esplicita nello
stabilire la forza motrice disponibile al processo corrosivo, nonché la possibilità T.D. di
precipitazione di ossidi, idrossidi e sali basici, composti che spesso portano alla
passivazione del materiale per schermatura. In Fig.4.1 è descritto qualitativamente
l'andamento della velocità di attacco di alcuni metalli al variare del pH.
43
Fig.4.1
- POTERE OSSIDANTE
Il potere ossidante di un ambiente è definito dalla nobiltà del processo catodico che in esso
si produce, cioé misurato dal valore della tensione di equilibrio e dall'andamento della
relativa caratteristica tensione-corrente. Un aumento di potere ossidante si esplica mediante
un incremento della tensione catodica e/o una minore pendenza della curva caratteristica
elettrodica. In caso di condizioni generalizzate di attività di un materiale metallico, la
disponibilità di un maggior lavoro motore, si traduce in velocità di c. più elevate; tuttavia,
nei materiali che esibiscono un comportamento attivo-passivo, tale incremento potrebbe
anche comportare il raggiungimento delle condizioni di passivazione e quindi causare un
decremento della velocità di c..(v. Fig. 4.2).
44
Fig.4.2
- TEMPERATURA
L'influenza della temperatura sul fenomeno corrosivo non può essere valutata tout-court,
poiché il processo c. è il risultato di processi sia elettrochimici, che chimici (reazioni
omogenee) e fisici (diffusione, solubilità). In particolare, la temperatura influisce sulla T.D.
della corrosione, sulle sovratensioni (che diminuiscono), sulla conducibilità e sui
coefficienti diffusivi (che aumentano), sulla solubilità dei prodotti di c. (che in genere
aumenta) e sulla solubilità dei gas disciolti (che diminuisce).
45
ed anche corrosivo, in quanto viene prontamente distrutto il film protettivo superficiale con
formazione di profonde cavità nel metallo. Casi tipici sono le brusche variazioni di
pressione nei circuiti di raffreddamento ad H2O (strozzature o angolazioni brusche) e sulle
eliche delle navi (incorretto design).
L'attacco corrosivo alle superfici metalliche può essere di tipo diffuso (Corrosione
Generalizzata) o può concentrarsi solo su alcune regioni del materiale lasciando le restanti
sostanzialmente inalterate (Corrosione Localizzata e Corrosione Selettiva).
Nella Corrosione Generalizzata l’intera superficie del metallo appare danneggiata e la
penetrazione del danneggiamento all’interno del materiale può considerarsi grosso modo
costante. In questo caso le aree anodiche e catodiche sono assai piccole e ripartite in modo
uniforme sull’intera superficie esposta, senza significative localizzazioni. La velocità di
corrosione si esprime di norma come penetrazione dell’attacco in millimetri/anno
(mm/anno);
La Corrosione Localizzata può presentarsi con morfologie molto particolari e differenziate
a seconda del diverso meccanismo dell'attacco corrosivo; può procedere ad esempio come
fenditure o come cricche normali alla superficie del materiale, o può dar luogo a cavità che a
seconda della forma assunta sono detti crateri, punte di spillo ecc ;
Nella Corrosione Selettiva si ha invece un attacco preferenziale a particolari costituenti
strutturali del materiale metallico, o si ha dissoluzione nelle regioni adiacenti il bordo dei
grani ecc.
In Figura sono riportati alcuni aspetti morfologici tipici dei fenomeni corrosivi. Mentre in
condizioni di attacco generalizzato la "velocità" di perdita di massa espressa in mdd =
2
mg/dm giorno (o in mm/anno ottenuta dalla precedente dividendo per la densità del
materiale metallico),esprime l'entità del danno realizzato, nel caso di corrosione localizzata
tale parametro perde naturalmente ogni significato; in questo caso si preferisce definire la
grandezza "intensità" di attacco che tende a dare una misura della massima penetrazione
dell'attacco (è in pratica la velocità di penetrazione misurata nel punto di massimo attacco).
Naturalmente i valori della velocità e dell'intensità di attacco coincidono nel caso di
corrosione uniforme, mentre tendono a divergere per forme di corrosione via via più
localizzate; il loro rapporto può quindi essere considerato un indice della localizzazione
stessa dell'attacco corrosivo.
46
I meccanismi di attacco localizzato sono particolarmente pericolosi in quanto possono
portare in breve tempo alla perdita di funzionalità di un componente così come dell'intera
apparecchiatura, se non ad un vero e proprio cedimento strutturale nel caso di organi
sollecitati meccanicamente.
L'attacco corrosivo localizzato è usualmente molto pericoloso sia per l'estrema velocità
con cui esso procede, sia per la difficoltà stessa di monitoraggio del danno subito dal
componente.
Le principali forme di corrosione localizzata sono:
47
- CORROSIONE PER VAIOLATURA ED IN FESSURA;
- CORROSIONE INTERGRANULARE;
- CORROSIONE PER TURBOLENZA, ABRASIONE, CAVITAZIONE;
- CORROSIONE SOTTO SFORZO;
- CORROSIONE-FATICA.
Questa tipo di corrosione si verifica quando due o più materiali metallici o comunque
dotati di conducibilità elettronica (grafite, ossidi o solfuri conduttori, ecc;) sono in contatto
elettrico tra loro. Si intende per corrosione galvanica l'aumento della velocità di
danneggiamento, che dipende in buona misura dalla loro distanza nella serie galvanica in
quell’ambiente, dal rapporto tra aree anodiche e catodiche nei materiali, dalle caratteristiche
di polarizzabilità dei materiai in quell’ambiente. Il metallo più nobile funge da catodo e
quello meno nobile da anodo, dissolvendosi.
E' possibile ordinare i metalli secondo il potenziale di corrosione libera (nobiltà pratica in
quell’ambiente) che assumono quando sono in contatto con un dato elettrolita (Serie
Galvanica). In genere sono più pericolosi gli accoppiamenti tra metalli molto distanti tra
loro nella serie galvanica anche se l'entità dell'attacco può dipendere anche in maggior
misura dai fattori cinetici che poi intervengono nel processo.
Il processo di corrosione galvanica ha luogo anche quando sulla superficie di un materiale vi
sono impurezze di un altro metallo e viene a crearsi una pila cortocircuitata, con passaggio
in soluzione del metallo meno nobile (questo accade anche anche tra metalli e ossidi
conduttori; il caso ferro/scaglia di magnetite è il più comune). Supponiamo ad es. di avere
un'impurezza di Cu su Fe. Allora, essendo E = 0,337V e E = - 0,41V il
Cu++ /Cu Fe++/Fe
2+ 2+
metallo meno nobile (Fe) manda in soluzione ioni Fe secondo la semireazione: Fe Fe
-
+ 2e .
Gli elettroni migrano verso il materiale più elettropositivo cioé il Cu, dove potrebbero
2+
ridursi sia gli stessi Fe che l'O dell'aria. La riduzione dell'O secondo la semireazione:
2 2
-
O + 2H O + 4e 40H ha un potenziale standard pari a 0,401 V; il potere ossidante è quindi
2 2
2+ o
ben maggiore di quello della coppia Fe /Fe . Sul catodo, costituito dal Cu vi sarà
-
produzione di ioni ossidrilici OH con possibile precipitazione di Fe(OH) [sale poco
2
-15 2+
solubile K = 2x10 ], sottraendo ioni Fe dalla soluzione e quindi favorendo passaggio
ps
di nuovi ioni metallici in soluzione.
Si diminuisce il pericolo di c. per contatto galvanico scegliendo combinazioni di metalli di
nobiltà simile, evitando alti rapporti Scat./San., interponendo isolanti, o anche usando
inibitori di corrosione o anodi sacrificabili.
48
49
50
5.1.2. CORROSIONE PER VAIOLATURA (PITTING) E CORROSIONE IN FESSURA
Per "vaiolatura" o "pitting" s'intende una forma di corrosione localizzata con effetto
perforante che colpisce i materiali a comportamento attivo-passivo quali il Fe, Al, Cu , Ti,
Ni, Cr e loro leghe (in particolare gli acciai inossidabili) quando il potenziale che essi
assumono (per effetto della reazione catodica) non è tale da assicurare la formazione di uno
strato continuo e protettivo sulla superficie del materiale. Il pitting si verifica in genere in
ambienti a carattere ossidante molto debole, contenenti ioni specifici (ad es. cloruri,
perclorati, ecc;) oppure in ambienti ossidanti forti (anche qui favorito per presenza di ioni
depassivanti). In tal senso, l'acqua di mare risulta un ambiente particolarmente favorevole a
questo tipo di corrosione.
Un pit superficiale procede attraverso uno stadio di innesco e successiva propagazione.
51
L'innesco può verificarsi in corrispondenza dei punti in cui il film passivo è più debole,
come per inclusioni superficiali, difetti del materiale, bande di scorrimento affioranti: l'area
scoperta diviene anodica e si innesca un processo corrosivo violento, essendo S C/SA
estremamente grande.
Al processo di innesco segue quello di propagazione, che ha in genere carattere
autostimolante ed è dovuto all’istaurarsi di una coppia galvanica, come rappresentato in Fig.
per un metallo esposto ad una soluzione areata di NaCl : la reazione catodica ha luogo su di
una vasta area esterna al pit e la formazione di ioni OH- contribuisce a rendere ancor più
catodiche le superfici esterne al pit. L'O del resto non riesce ad entrare all'interno della
2
cavità sia per la sensibile diminuzione della sua solubilità (conseguente all'aumentata
concentrazione della soluzione), sia per impedimenti geometrici
++
All'interno del pit si ha, per contro, idrolisi dello ione metallico M con locale aumento
++ +
dell'acidità locale M + 2H O = M(OH) + 2H . Infine, per trasporto elettroforetico
2 2
aumenta anche la concentrazione locale di Cl-, con ulteriore incremento dell'aggressività
ambientale nel pit. Partendo da una soluzione neutra con pohe decine di ppm di ioni cloro
nella soluzione aggressiva, si può arrivare con questo meccanismo ad avere pH molto acidi
all’interno del pit (pH = 2-3) con tenori di cloruri anche di alcune centinaia di ppm.
La c. interstiziale è una forma di c. localizzata ad azione cavernizzante che insorge in
corrispondenza di interstizi o altri punti schermati per i quali risulta difficoltoso il ricambio
della soluzione tra le zone più interne e la massa della soluzione. L'ossigeno o le altre specie
ossidate non riescono a raggiungere le zone interne schermate e quindi a sostenere in loco
lo stato di passività. Pertanto, si intuisce che anche la c. interstiziale è a carattere
autostimolante: si deternima il funzionamento catodico delle aree esterne liberamente
raggiungibili dall'ossigeno ed il funzionamento anodico delle aree più interne più limitate
52
nella superficie e quindi con correnti anodiche di elevata densità. In tal modo, la corrosione
interstiziale si verifica più facilmente del pitting in quanto, esistendo già l’interstizio, si
salta la fase di innesco.
Per avere un’idea delle resistenze a pitting ed a corrosione interstiziale dei diversi materiali
metallici da costruzione, si riportano alcuni dati tratti dalla letteratura tecnica. Si
confrontano cioè le temperature critiche di innesco del pitting e della c.interstiziale
operando come segue: si impiega una soluzione aggressiva di laboratorio composta da 4%
di NaCl + 0,1% Fe2(SO4)3 + 0,01 M HCl, soluzione fortemente ossidante e contenente ioni
cloruro come depassivanti, si immergono i campioni per 24 ore nella soluzione variando la
temperatura di 5 gradi centigradi per volta e si determinano le temperature critiche di pitting
e di c. interstiziale quando sono osservabili attacchi corrosivi con un microscopio ottico a
40 X. I provini per il pitting sono semplici sbarrette del metallo, mentre i provini per la c.
interstiziale sono provini sulla cui superficie viene premuto mediante elastico un cilindretto
di Teflon al fine di creare un interstizio. Si esamini la tabella seguente.
Temperatu Temperatur
LEGA ra criticadi a critica di
pittng c.interstizi
(°C) ale
(°C)
Hastelloy C- > 102
22 150
Hastelloy C- 15 80
276 0
Hastelloy H 9 55
5
Ferralium 255 5 35
0
Lega 904L 4 20
53
5
AISI 317L 2 15
5
AISI 316 2 < -5
0
Si può osservare che le temperature critiche diinnesco della c. interstiziale sono sempre
più basse di quelle di innesco della c. per pitting. Si apprezzi inoltre la forte differenza di
resistenza tra un AISI 316 e un Hastelloy tipo C. E’ opportuno sottolineare che questa
tabella è utile per un confronto qualitativo tra diversi materiali e che le temperature riportate
hanno una stretta attinenza all’ambiente corrosivo impiegato. In altre parole, in acqua di
mare, le temperature critiche di innesco pitting per un AISI 316 sono senza dubbio superiori
di 20 °C.
54
precipitazione omogenea nella struttura di TiC o NbC, sottraendo carbonio dalla matrice ed
impedendo la precipitazione di carburi di cromo durante saldatura.
55
4 - la presenza di alcuni elementi di lega può aumentare la suscettibilità di un metallo o
determinarne l'immunità. Ad esempio, la presenza di azoto negli acciai inox aumenta la
suscettibilità alla SCC in MgCl2 bollente. La presenza di Si (1,5 %) diminuisce la
sensibilità di certi ottoni in ambienti ammoniacali.
La SCC si realizza con formazione di cricche orientate perpendicolarmente alla direzione
della tensione meccanica applicata. Queste possono essere inter/trans-granulari, seguendo
comunque una o più direzioni principali, con piccole ramificazioni assai caratteristiche.
56
5.1.5. CORROSIONE-FATICA.
Nei materiali metallici sottoposti ad un carico variabile e ripetuto nel tempo possono
insorgere delle cricche, dette di fatica, e propagarsi fino a portarli a rottura, anche per un
valore del carico massimo applicato molto inferiore al carico statico sopportabile dal
componente. Questo meccanismo di danneggiamento è noto come fatica meccanica ed è
molto spesso responsabile della rottura dei componenti meccanici sollecitati in tal modo. La
rottura per fatica meccanica ha una prima fase di innesco sempre sulla superficie esterna del
componente dove, per la presenza di difettosità o fattori geometrici che portano a
intensificazione degli sforzi, viene a formarsi una microcricca. Questa si propaga poi
all’interno del materiale sotto l’azione delle sollecitazioni cicliche applicate, seguendo un
percorso ortogonale all’asse del carico applicato. Man mano che la cricca avanza, aumenta
57
l’effetto di concentrazione degli sforzi all’apice della cricca, fin a giungere alle condizioni
critiche di innesco della rottura di schianto. La tipica superficie di frattura per fatica è
costituita da una larga parte di sezione macroscopicamente liscia (avanzamento sub-critico),
dove ad alto ingrandimento possono osservarsi le così dette ‘linee di spiaggia’, e da una
parte finale in genere fibrosa e opaca, corrispondente alla rottura finale di schianto
(avanzamento critico).
Questo meccanismo di danneggiamento può essere promosso e accelerato nel caso il
componente meccanico si trovi a lavorare in un ambiente corrosivo. In questo caso, la
formazione di pit superficiali o comunque corrosioni di tipo localizzato, costituiscono in
pratica l’evento iniziale di innesco del danneggiamento. Inoltre, anche la successiva fase di
avanzamento della cricca all’interno del materiale può essere sensibilmente accelerata. Si
parla in questo caso di corrosione-fatica. Le superfici di frattura appaiono nel tratto di
avanzamento subcritico piene di prodotti di corrosione, formatisi nel tempo sulle pareti della
cricca.
Se l’ambiente aggressivo è anche conducibile ad un fenomeno di tensocorrosione, questi
danneggiamenti possono sommarsi tra di loro e velocizzare notevolmente il procedere delle
cricche. In questo caso non è raro osservare diramazioni secondarie ramificate lungo la
cricca principale.
Una volta innescato questo tipo di danneggiamento, non è più possibile arrestarlo. Occorre
quindi evitare assolutamente che l’ambiente corrosivo riesca a promuovere la formazione di
attacchi localizzati che possano favorire una intensificazione degli sforzi e far partire il
danneggiamento per fatica. E’ quindi sbagliato andare a cercare materiali metallici più
altoresistenziali o anche materiali di pari resistenza ma maggiore duttilità, oppure materiali
più nobili che però non garantiscono contro possibile pitting superficiale. In genere, il
rimedio più efficace è quello di usare rivestimenti protettivi capaci di protezione passiva e
attiva (catodica), che impediscano corrosioni superficiali sul componente metallico. In
alcuni casi può essere efficace una protezione per correnti impresse.
Questi casi di corrosione sono correlati al moto relativo dell'ambiente corrosivo contenente
particelle solide o bolle di gas trascinate. Il film protettivo superficiale viene danneggiato
localmente dall'azione meccanica di abrasione, cui fa seguito un attacco corrosivo
accelerato dal forte rapporto SC>>SA (zone adiacenti ancora passive).
58
(palette di una girante) o di bassa pressione (parte alta di apparecchiature) o in presenza di
vibrazioni, la pressione può scendere al di sotto della tensione di vapore del fluido e dar
luogo a bolle gassose che, collassando, generano onde d'urto che possono causare fenomeni
di fatica e deformazioni permanenti al materiale. Le superfici diventano spugnose a causa
dei profondi crateri che si vengono a formare.
I materiali più duri resistono in genere meglio a questi tipi di danneggiamento a patto che la
loro durezza non sia ottenuta troppo a scapito dell'omogeneità del materiale. Importante è
anche la compattezza e resistenza del film passivante e la sua capacità di cicatrizzarsi; non
vanno in genere bene film spessi (Cu, Pb) ma meglio quelli del tipo acciai inox.
59
metallo per corrosione, conseguente, direttamente o indirettamente, all’attività di organismi
viventi. Questi possono essere macrorganismi, come molluschi e funghi, e in questo caso il
processo corrosivo è facilitato dall’azione di schermo (crevice corrosion) oppure microrganismi,
in genere batteri solfato-riduttori, ferrobatteri e solfobatteri.
Il termine MIC (Microbiological Induced Corrosion) si riferisce alla corrosione influenzata dalla
presenza e dall’attività di microrganimi e/o dai loro metaboliti.Quando una superficie metallica si
trova a contatto con acque naturali o industriali (dolci, salmastre o di mare ), con terreni o con
qualsiasi altro ambiente biologicamente attivo, viene colonizzata da microrganismi presenti nella
fase acquosa, che formano i cosiddetti biofilm ( o feltri biologici ). Questi sono costituiti da
colonie di organismi della stessa specie o più spesso di specie diverse con morfologia, colore,
architettura, condizioni di sviluppo o di sopravvivenza, e perfino meccanismo di comunicazione (
segnali chimici ) diversi. Queste colonie sono tenute assieme da sostanze, spesso gelatinose,
prodotte dai microrganismi stessi, che, oltre a svolgere il compito di far aderire alla superficie
metallica i biofilm, modificano localmente la composizione chimica (anzitutto il pH ed il tenore
di ossigeno ) e creano microambienti adatti per la proliferazione di altre specie.
I biofilm hanno uno spessore variabile da qualche mm a qualche decina di mm e sono costituiti da
due strati: quello più esterno, a contatto con l’acqua, caratterizzato da condizioni aerobiche
e quello più interno, aderente al metallo, dove invece l’ossigeno manca. In condizioni
favorevoli, si ha il raddoppio della massa microbica in tempi compresi tra 10 e 60 minuti,
con aumento esponenziale dell’azione corrosiva e ciò spiega la comparsa talvolta
improvvisa dell’effetto corrosivo.
60
interessano gli acciai al carbonio e gli inossidabili, citiamo tre tipi di batteri:
Quelli che ossidano il ferro ed il manganese ( Gallionella, Sidercapsa, Speaerotilus);
Quelli che ossidano il ferro, lo zolfo e i solfuri a solfati ( Thiobacillus thiooxydans,
Thiobacillus ferroxidians );
Quelli che riducono i solfati a solfuri ( Desulfovibrio, Desulfomaculum ).
Questi ultimi, che sono anaerobici, sono i batteri che causano i danni maggiori. Si
trovano praticamente in tutti gli ambienti contenenti solfati anche in piccole quantità e,
ovviamente, non contenenti ossigeno.
Si può notare come i batteri coinvolti nei processi di corrosione più importanti sono quelli che
hanno metabolismo nel quale giocano un ruolo importante lo zolfo e i suoi composti e così pure
quelli connessi con il “ ciclo naturale dello zolfo “.
Esso è meno familiare di quelli rispettivamente dell’O 2 e dello N2 , tuttavia riveste un ruolo
importante soprattutto per quanto riguarda la corrosione industriale. E’ un ciclo continuo di
variazione biologica come è mostrato in figura.
61
prevedibile quando i microrganismi vengono coltivati in laboratorio sotto condizioni ben definite,
mentre, in ambiente naturale, la loro crescita è influenzata da molteplici variabili.
Da sempre si sa che i biofilm sono causa di corrosione praticamente di tutti i metalli di tipo
industriale ( acciai inossidabili compresi ).
In generale, gli effetti corrosivi dei batteri sui metalli possono essere attribuiti alla rimozione
degli elettroni dal metallo e formazione di prodotti di corrosione, attraverso i seguenti
meccanismi:
Azione chimica diretta dei prodotti metabolici ( H2SO4 ), solfuri inorganici e organici,
acidi organici );
Depolarizzazione catodica associata alla crescita di batteri anaerobici;
Variazione del potenziale dell'ossigeno, della concentrazione dei sali in soluzione, del pH
ecc. che concorrono alla formazione di celle elettrochimiche locali;
Rimozione degli inibitori di corrosione ( per esempio l’ossidazione dei nitriti o delle
ammine ) o dei rivestimenti protettivi ( per esempio il bitume nei metalli inerti );
La presenza di biomassa o di residui di biomassa ( per esempio la formazione di depositi
di sali igroscopici nei forni in cui si effettua la ricottura ).
L’azione si sviluppa con modalita’ “ ad impronta “ :
Al centro ® maggiore attacco
All’esterno ® minore attacco
62
descritto in un mezzo dalla aggiunta di adeguati inibitori di crescita ( sali della bile, pennicillina ).
La temperatura ed altri parametri fisici possono essere usati per selezionare forzatamente una
certa comunità di organismi. L'uso di un mezzo arricchito con bioacido è particolarmente
importante per stimare la probabilità che ci siano specie resistenti durante il trattamento in scala
industriale. La pratica comune è quella di raccogliere, direttamente in bottiglie sterilizzate, da
appropriate zone del sistema. I campioni vengono analizzati il più rapidamente possibile e
conservati a 2-4°C al buio. Dopo il test, i campioni vengono sterilizzati in appositi autoclave o
vengono immersi in un adeguato disinfettante per tutTa la notte.
CORROSIONE ANAEROBICA
La corrosione batterica anaerobica si riscontra spesso sulle strutture metalliche interrate in terreni
argillosi, umidi e pressochè neutri.
Una particolarità essenziale della corrosione anaerobica è il fatto che la si riscontra sulle strutture
in ghisa così come su quelle in acciaio. Su questi due materiali la corrosione presenta sintomi
caratteristici che permettono una sua agevole identificazione. L'attacco alla ghisa si manifesta con
la grafitizzazione del metallo, la cui struttura compatta viene sostituita da una crosta friabile e
fragile. Sull’acciaio, l’attacco assume la forma di una corrosione per punti (pitting ), profonda e
spesso intensamente localizzata, ciò che può condurre a confonderla con una corrosione
galvanica. I prodotti hanno colore nero e contengono il 40% circa di ione ferroso e il 5% di zolfo
come solfuro.
63
Micrografia al SEM di una colonia di batteri solfato riduttori
Per quanto riguarda il meccanismo di azione si ritiene che i batteri solfato riduttori agiscano
come depolarizzatori catodici, utilizzando l’idrogeno atomico catodico (che si ossida ) per ridurre
i solfati (S042-) a solfuri (S2-).
Per la corrosione del ferro, si ha il seguente meccanismo:
Reazione catodica:
8 H+ + 8e- ® 8 H (bio)
S042- + 8 H (bio) ® S2- + 4 H2O
Reazione anodica:
4 Fe ® 4 Fe2+ + 8 e-
Prodotti di corrosione:
Fe2+ + S2- ® FeS
3 Fe2+ + 6 OH- ® 3 Fe(OH)2
Affinché tali metodi risultino realmente efficaci, è molto importante il controllo del biofouling,
che si realizza nel seguente modo:
Controllo del colore delle acque: queste diventano più scure se c’è attivita’ batterica;
64
Inserimento di sezioni di by pass nella condotta, seguito da controlli periodici:
l’individuazione di perdite di carico indica la presenza di incrostazioni dovute al biofouling
( infatti i fluidi di esercizio sono quasi tutti antiincrostanti );
Uso di un kit di analisi: si immerge nell’acqua e dopo un po’ di tempo fornisce una
analisi grossolana ma indicativa.
Quelli oggi impiegati non possiedono tutti questi requisiti o peggio ancora non si hanno precise
informazioni sulle loro proprietà.
Il cloro è senza dubbio il biocida più usato ed è efficace a concentrazioni estremamente basse,
inferiori ad 1 ppm. E’ però volatile, inefficace contro i funghi del legno, reagisce col materiale
organico presente e, se le concentrazioni sono troppo elevate, è pericoloso verso il legno ( che
viene sfibrato ) e l’acciaio ( nel quale provoca corrosione localizzata ).
Anche i cromati sono frequentemente impiegato, che ha pure azione inibitrice per il metallo.
Negli anni più recenti sono stati introdotti e sempre più usati prodotti organici tossici come i
fenoli clorurati, che proprio per la loro pericolosità sono proibiti in molti paesi industriali. Il più
usato è il commerciale Panacide (diclorofenolo) la cui concentrazione efficace sarebbe del tutto
innocua all’uomo e agli animali. Purtroppo la legislazione sull’uso di queste sostanze è in quasi
tutti i paesi piuttosto carente, quando addirittura assente.
65
La corrosione microbiologica è un tipo di attacco molto diffuso che causa danni ingenti ad
esempio nel settore della produzione, trasporto e stoccaggio degli idrocarburi, nei sistemi
antincendio, nei circuiti di raffreddamento delle centrali termiche; negli impianti di trattamento
degli scarichi fognari; sulle strutture ricoperte dal fouling marino oppure interrate in zone
argillose o paludose.
Tanto per dare alcune cifre ricordiamo che circa la metà dei casi di corrosione che si riscontrano
su tubazioni interrate nei territori della pianura Padana hanno tale origine; che i danni prodotti
negli Stati Uniti ammontano a 4-6 miliardi di dollari all’anno; o infine che, per prevenirli, si
impiegano centinaia di migliaia di tonnellate di biocidi all’anno con tutti i costi anche ecologici
immaginabili. Meno frequente è lo sviluppo di feltri biologico nei circuiti di raffreddamento
industriali, soprattutto perché i trattamenti biocidi e anticorrosivi di questi impianti sono di norma
affidati a ditte specializzate esterne. Tuttavia, vi sono casi in cui la perdita del controllo
microbiologico delle acque causa intasamento delle linee, con gravi disservizi all’intero impianto.
Bisogna fare grande attenzione quando, per motivi particolari, si addizionano antigelo (in genere
glicol propilenico) all’acqua di raffreddamento. In questo caso i rischi di una proliferazione
microbiologica aumentano notevolmente, poiché si fornisce una gran quantità di nutrimento ai
microrganismi.
In qualsiasi impianto industriale è necessario monitorare con continuità le caratteristiche chimico-
fisico-microbiologiche delle acque, mediante analisi periodiche e opportune correzioni degli
additivi necessari. Se si permette lo sviluppo microbiologico è poi necessario fermare l’impianto
per condurre una bonifica mediante circolazione di opportune soluzioni aggressive, e ripartire (ci
vogliono almeno 48 ore di fermo).
Acciaio inox. Le cause più frequenti di questo attacco sono i collaudi idraulici di tubazioni o di
apparecchiature di acciaio inossidabile per la verifica dell’integrità delle saldature. Spesso
terminato il collaudo non si effettua un drenaggio perfetto ma si consente la permanenza di
acqua stagnante con piccoli tenori di cloruri ( a volte addirittura di solo 10 ppm ). In queste
condizioni, in presenza di batteri, si possono originare in tempi brevi condizioni favorevoli allo
sviluppo del biofilm e quindi all’attacco.
L’esperienza mostra che praticamente tutti gli acciai inossidabili, con l’esclusione dei
superaustenitici e dei superferritici, possono essere soggetti a corrosione biologica soprattutto in
vicinanza delle saldature, laddove si formano ossidi clorati non rimossi con un opportuno
decapaggio.
Molti ambienti che in passato non presentavano problemi di corrosione batterica oggi li danno.
Ad esempio, fino a metà degli anni ottanta l’acqua del fiume Reno, che contiene mediamente 100
ppm di cloruri e circa 40 ppm di solfati, poteva essere trattata in apparecchiature di acciaio
inossidabile 304 per temperature fino a 35°C e 316 fino a 55°C senza correre alcun rischio di
corrosione localizzata.
In acqua di mare le numerose famiglie di batteri aerobici che colonizzano la superficie degli
acciai inossidabili formano un biofilm che nobilita il loro potenziale anche di 200-300 mV
rispetto a quello che gli stessi materiali assumono in acqua di mare sterilizzata. Questo fatto
causa l’innesco del pitting.
Negli anni ottanta e novanta è stato confermato che questa nobilitazione si verifica praticamente
in tutti i mari e per tutti gli acciai inossidabili appena sulla loro superficie si forma il biofilm.
Acque industriali. Uno dei casi più frequenti di infezione batterica è quello relativo alle acque
industriali e in particolare alle acque di raffreddamento degli impianti. In tutti i sistemi i batteri
66
hanno facile accesso per via aerea o direttamente attraverso l’acqua del fiume usata e trovano
nell’impianto una grande varietà di materiale organico inevitabilmente presente che provvede al
loro nutrimento e in qualche parte dell’impianto condizioni “ambientali “ favorevoli.
In linea di principio ci sono tre modi per far fronte al problema della crescita microbiologica nelle
acque industriali:
Prevenire la contaminazione batterica che però è impossibile da realizzare;
L’impiego di materiali che resistono all’azione di danneggiamento dei microbi. Il questo caso una
crescita troppo elevata dei microbi può portare a disturbi meccanici, per esempio l’ostruzione
delle tubazioni;
L’uso di biocidi.
Sistemi di alimentazione di aeroplani. Seri problemi di corrosione, tuttora non risolti, sono
causati dalla presenza di batteri nei sistemi di alimentazione degli aeroplani, soprattutto nei
serbatoi di combustibile in lega di alluminio. Gli alcani con catene da C9 a C16 risultano
particolarmente suscettibili all'attacco da parte dei microrganismi che ne utilizzano il carbonio.
Tali batteri provengono dall'aria e dall'acqua sempre presente. Sono stati individuati anche i
batteri solfato riduttori.
Due sono i meccanismi proposti per spiegare questo tipo di corrosione sulle leghe di alluminio.
Nel primo si ritiene che l'attacco sia acido, dovuto all'ampia varietà di acidi organici solubili in
acqua prodotti da batteri. Si possono avere pH 3 o 4, così bassi da depassivare la superficie.
L'altro meccanismo si basa sulla formazione di celle per areazione differenziale che si
67
formerebbero in seguito allo stabilirsi di un gradiente di ossigeno con concentrazione nulla sul
fondo, ove possono crescere i batteri solfato riduttori.
La protezione viene oggi realizzata impiegando biocidi e contemporaneamente migliorando i
sistemi di eliminazione dell'acqua ( sistemi di drenaggio nelle ali, ecc ) e usando rivestimenti
battericidi nei serbatoi.
68
6. METODI DI PROTEZIONE DEI MATERIALI METALLICI.
69
La scelta tra l’elettrodeposizione e il metallo di immersione dipende molto dall’impiego del
manufatto. In generale, se sono richiesti depositi coprenti di piccolo spessore, si sceglie
l’elettrodeposizione, in quanto è più facile dosare il materiale di placcatura (e dunque se ne
consuma meno) e la finitura superficiale è in genere buona. Per esempio, nelle confezioni
alimentari, per sostanze poco aggressive (caffè e tabacco), vanno bene film sottili
(elettrodeposizione), per elementi più aggressivi (frutta e pesce) o per scatole da inviare in zone
tropicali (corrosione filiforme) occorre aumentare lo spessore e si sceglie un deposito più spesso
ottenuto per immersione a caldo.
La deposizione chimica (electroless)sfrutta una reazione chimica superficiale per produrre il
rivestimento desiderato. L’esempio classico dello spostamento del rame da una soluzione
contenente suoi ioni con deposizione sulla superficie di compomente in ferro è istruttivo. A
livello industriale, comunque, si impiegano riducenti come l’idrazina, ipofosfiti per accelerare la
riduzione dello ione metallico desiderato. In tal modo non è necessario che abbia luogo
contemporaneamente un processo di dissoluzione anodica del metallo da rivestire e la reazione
procede finchè nel bagno c’è traccia del riducente additivato. In tal modo si possono depositare
una grande varietà di metalli, anche su substrati non metallici (argentatura degli specchi). I bagni
electroless di questo tipo sono in genere complesssi (brillantanti, emulsionanti, stabilizzanti
ecc..).
70
ha in genere solo una funzione ricoprente, fornendo una protezione di tipo passivo; l’impiego di
pigmenti, oltre alla colorazione, può essere specifica di protezione (catodica, anodica o
passivante) per cui vanno scelti in modo appropriato. Un normale rivestimento con pittura viene
condotto con una o più mani di fondo, con strati che aderiscono bene al substrato (importante è
dunque la preparazione della superficie da proteggere: sgrassaggio, decapaggio e sabbiatura) e
che svolgano una funzione attiva di protezione, ed uno o più strati di finitura, con l’intenzione di
isolare lo strato di fondo (spesso sensibile all’umidità) dall’ambiente esterno.
La natura del veicolo, può essere molto diversa e classificabile, ad esempio, in base al
meccanismo di essiccamento, che può avvenire per ossidazione-polimerizzazione (vernici a base
di olio di lino, resine alchidiche epossidiche e poliesteri) e per evaporazione (nitrato di cellulosa)
oppure per semplice raffreddamento da alta temperatura (vernici con legante catramoso o
bituminoso). Vernici a base di acqua sono impiegate nell’industria automobilistica nei bagni
elettroforetici.
Molto importante è l’azione dei pigmenti che, in buona parte, svolgono un’azione passivante, in
grado cioè di promuovere e mantenere lo strato di passività sul metallo (ad esempio il minio
2PbO-PbO2) o i cromati di Zn e Pb. Come protezione catodica può essere utilizzato lo Zn
(percentuali 50 %) (pigmenti catodici).
71
metallici da immagazzinare (spessore di fosfato minori di 100mm impiegati come base per
successiva pitturazione) oppure il pretrattamento superficiale alle operazioni di formatura di pezzi
metallici (fisso il lubrificante, ad esempio stearati ® estrusione, trafilatura).
72
La corrente di corrosione I sarà data da (I = I + I) e cioé BR = BC+ BD dove BC e BD,
corr. A C
sono le correnti relative ai processi parziali catodici di sviluppo d'H sui 2 materiali catodici (ad
2
esempio avendo Zn = A e Pt = L la curva tratteggiata si ricava sommando VE le correnti catodiche
sulle aree sia dello Zn che del Pt).
In pratica con questo accoppiamento si realizza una nobilitazione catodica del materiale, in quanto
la tensione di lavoro si sposta verso valori più elettropositivi. Mentre per un materiale in stato di
attività questo fenomeno si traduce sempre in un aumento della I , per un materiale a
corr.
comportamento ATTIVO-PASSIVO, questo può anche comportare l’entrata in regione di
PASSIVITA' del materiale. Anche in questo caso vale la relazione I = I + I ma I è molto basso
A C C
e diminuisce la stessa I della macrocoppia. Su questo principio si basa il concetto della
PROTEZIONE ANODICA che consiste, lo ripetiamo, nell'accoppiare al metallo da proteggere un
secondo elettrodo a comportamento catodico in modo da nobilitare il materiale metallico, oppure
imponendo dall'esterno una corrente in senso anodico. Nella figura si mostra l’applicazione della
protezione anodica per correnti impresse ad un serbatoio in acciaio contenente una soluzione di
H SO . In pratica si aumenta I fino a portarsi dalle condizioni di lavoro rappresentate dal punto A
2 4
73
alle condizioni rappresentate dal punto P, controllando tramite un potenziostato la tensione anodica
raggiunta.
Se con riferimento allo schema iniziale accoppiamo invece un materiale meno catodico (meno
nobile) del materiale da proteggere, sarà verificata la condizione: I = I – I . Questo intervento
C A
comporta una snobilitazione del materiale metallico, forzando il processo corrosivo verso tensioni
operative meno elettropositive e quindi, per un metallo che lavora in condizioni di attività, verso
correnti anodiche minori. Lo nobilitamento del processo corrosivo è alla base della PROTEZIONE
CATODICA.
La protezione catodica, è una tecnica elettrochimica che viene impiegata per la protezione di
metalli in ambienti naturali (cioè non modificabili) aperti, quali il terreno, l’acqua dolce, l’acqua
di mare ecc… La principale applicazione riguarda strutture in acciaio, come le tubazioni interrate
o quelle in mare dei gasdotti e degli oleodotti, delle piattaforme offshore e delle navi. Si
proteggono anche le armature del cemento armato, i serbatoi di stoccaggio corrosivi ecc. Nelle
acque naturali, così come in acqua di mare, il ferro si corrode per l’attivazione della riduzione di
O2, essendo il suo EREV di circa 0.5 ¸ 0.6 V. Il punto rappresentativo, valido anche per l’acqua di
mare, è quello indicato in figura. Partendo di li vi sono diverse opzioni possibili:
1. Quando possibile modificare l’ambiente, e cioè il pH, incrementando per favorire la
formazione di una pellicola di prodotti di corrosione protettiva. Chiaramente ciò non è
fattibile nei sistemi aperti. Tuttavia non vi sono garanzie sulla effettiva efficacia della
protezione offerta.
2. Decrementare il potenziale per muovere il metallo verso la zona di immunità. Questo viene
realizzato, o sfruttando i principi della corrosione bimentallica, accoppiando all’acciaio un
metallo meno nobile (anodo sacrificale), oppure impoverendo con un generatore il potenziale
desiderato (correnti impresse). L’insieme costituisce la protezione catodica.
3. Incrementare il potenziale per entrare nella regione di passività. Sebbene il ferro non sia facile
da passivare, questo principio, noto come protezione anodica, è stato recentemente applicato
per particolari combinazioni acciaio elettrolita o anche per altri metalli elettroliti.
74
Da un altro punto di vista, si può vedere la protezione catodica come il privare di O 2 il sottile
stato superficiale a contatto con il ferro, essendo la sua riduzione a OH - a carico di un altro
metallo o di una corrente esterna. Sono in pratica gli elettroni forniti attraverso il metallo stesso,
polarizzato catodicamente, che fungono da oxigen scevenger. Facendo riferimento alle curve di
polarizzazione del ferro, si vede che l’intensità di corrente da fornire è proprio la i L dell’O2 che
chiaramente dipenderà dalla salinità, agitazione e temperatura ecc… L’entità della i L dipende
anche dalla applicazione eventuale di pitture o rivestimenti protettivi, in relazione alle porosità
presenti ed alla resistività trasversale.
Dalla seguente tabelle si può notare l’estrema variabilità delle correnti i L da fornire per la
protezione del ferro.
TIPO DI SUPERFICIE iL
Superficie nuda in acqua di mare. 50 ¸ 1000 mA/m2
Superficie nuda nel terreno. 10 ¸ 40 mA/m2
Superficie protetta nel terreno. 10-3 ¸ 0.1 mA/m2
75
rappresenta il valore ottimale di potenziale per cui non si manifesta un’apprezzabile evoluzione di
H2. Al di sotto di questo, la corrente catodica è dovuta sia alla riduzione di O 2 che di H+. Per cui,
se il metallo viene portato a valori molto bassi, diviene preponderante l’evoluzione di H 2, e in
questo caso si ha sovraprotezione. L’evoluzione di H2 è indesiderata per diversi motivi:
Parte da un’eccessiva alcalinizzazione locale dell’ambiente, oltre quella desiderabile per la
precipitazione di sali di magnesio e di calcio (pH = 8.5 ¸ 10), per cui i rivestimenti polimerici
di norma impiegati possono degradarsi (le migliori resine epossidiche hanno un E MAX di circa
-1.5 V SHE).
Se troppo accentuata può anche danneggiare la struttura stessa per infragilimento da idrogeno.
Il potenziale di protezione EPROT = EREV-Fe++/Fe dipende dall’ambiente, e di norma vale circa -0.5 ¸
-0.6 V (SHE). Tuttavia, la presenza di complessanti o di altre specie particolari può variarlo in
misura considerevole. Ad esempio, se è presente un’atmosfera di batteri solfato-riducenti, che
incrementano [S--] che incrementano il KPS del FeS (minore del KPS del Fe(OH)2), il potenziale
reversibile decresce a valori di circa –0.65 V (SHE). Anche tenendo conto di questi fattori, il
potenziale di protezione comunemente applicato è intorno a – 0.9 V Cu/CuSO4. Per avere dati più
precisi sul potenziale di protezione e sull’entità della reazione catodica con scarica di H 2, occorre
eseguire prove di polarizzazione simulando l’ambiente reale.
Bisogna infine osservare che le densità di correntie richiesta decresce dopo applicazione della
protezione elettrica. Infatti, l’applicazione della protezione catodica porta ad una locale
alcalinizzazione, e quindi favorisce spesso la precipitazione di sali di Ca e Mg protettivi, che
determinano una polarizzazione elettrodica e una diminuzione del potenziale di protezione e della
densità di corrente di protezione, con riduzioni fino ad 1/10 del valore iniziale, dato che
diminuisce progressivamente la quantità di ossigeno che arriva alla superficie.
Le grandi strutture richiedono alti valori di corrente, e per questo si impiega in genere un
rivestimento protettivo. E’ difficile che quest’ultimo sia esente da difettosità e pertanto la
protezione catodica si incarica di eliminare del tutto il problema. Anche quando durante il
servizio si vengono a creare punti di discontinuità nella protezione.
Non ci si può quindi basare su un valore di corrente, in quanto questa cambia in funzione
76
dell’ambiente (come iLIMITE di O2) e in funzione del tempo. Ci si basa sul valore del potenziale
della struttura. I criteri più usati sono:
1) E £ - 0.85 V Cu/CuSO4 con corrente applicata (correggere per IR).
2) Shift negativo ³ 300 mV quando si aplica la corrente.
3) Shift positivo ³ 100 mV quando si stacca la corrente.
In condizioni anaerobiche si preferisce E » -0.95 V Cu/CuSO4 per la possibile presenza di batteri
solfato riduttori.
E’ sempre preferibile, per gli acciai al carbonio ad alta resistenza, non andare in sovraprotezione.
Come valore di riferimento, mai superare –1.0 V per acciai con R = 700 ¸ 800 MPa. Da un
semplice calcolo con Nerst:
0.058
Ea E 0 log aFe 0.62V ( SHE) 0.93(Cu / CuSO4 )
2
77
I materiali usati sono leghe di Zn, Al e Mg con varie aggiunte di elementi di lega che
impartiscono diverse proprietà, come abbassare il potenziale operativo e quindi aumentare il
voltaggio motore, o impedire la formazione di ossidi passivanti in superficie o eliminare
problemi derivanti dalle impurezze o modificare le proprietà meccaniche dei prodotti di
corrosione, impedendo che formino uno strato compatto.
Nel caso di protezione catodica con anodi sacrificali, non si verificano in genere problemi di
sovraprotezione, a meno che non si usino elettrodi di magnesio ad alta attività elettrochimica.
Mg-Al-Zn [magnesio]. Addizioni per incrementare l’efficienza altrimenti bassa (50 ¸ 60 %).
Al-Zn-Ir [alluminio]. L’alluminio puro è ricoperto in aria o in acqua naturale da un velo di
Al2O3 che lo rende inservibile. Con le addizioni di Zn e Ir si evita la formazione di un film
continuo ed aderente; per le piattaforme off-shore l’Al sta rimpiazzando lo Zn;
Zn-Al-Cd [zinco]. Addizione di alluminio per ridurre il pericolo di concentrazione di
impurezze di Fe che portano a coppie galvaniche con locale formazione di idrossido e
carbonato di Zn, insolubile, che precipitando limita l’efficienza dell’anodo sacrificale. Con
l’alluminio si forma un intermetallico Al-Fe meno nobile.
Dati da acquisire:
1) Superficie della struttura in acciaio da proteggere.
2) Tipo di rivestimento impiegato.
3) Densità di corrente catodica.
4) Tempo di protezione.
iav A l 8760
W
C
dove:
A = superficie da proteggere (superficie rivestita più difettosità coating (variabile nel tempo).
iav = densità di corrente richiesta (A/m2).
L = vita richiesta (anni).
78
8760 = ore in un anno.
C = capacità anodica (Ah/Kg).
OUTPUT DELL’ANODO.
E’ la corrente disponibile calcolata con la formula seguente:
Er E1
I
R
dove:
Er = Potenziale di protezione [V].
E1 = Potenziale dell’anodo [V].
R = Resistenza dell’anodo [W].
R è calcolata con le formule disponibili in funzione dell’applicazione e della geometria degli
anodi. Per il calcolo è sempre comunque necessario conoscere la resistività del mezzo [].
VITA DELL’ANODO.
Si calcola con la seguente relazione:
M v
L
I E
dove:
M = massa del singolo anodo.
E = Velocità di consumo [Kg/Ay]; inverso della capacità.
I = output dell’anodo.
v = fattore di utilizzazione (dipende dalla geometria dell’anodo; 0.75 per i bracciali, ad esempio).
A iav
N
I
Deve uscire fuori un numero ragionevole; bisogna verificare che alla fine della vita ci sia un
output sufficiente per la richiesta della struttura.
DISTRIBUZIONE ANODI.
E’ importante prevedere l’attenuazione, e quindi un’adeguata protezione della struttura. Il numero
di anodi non deve essere esorbitante (costa l’installazione), bisogna inoltre fare attenzione alla
distanza dalla struttura. Si impiegano complesse procedure di computo.
79
6.2.6. ESEMPIO APPLICATIVO NUMERICO
Si vuole proteggere mediante protezione catodica con anodi sacrificali una struttura portante off-
shore in acqua di mare. Si dispone di anodi semicilindrici di diametro 100 mm e lunghezza 400
mm, con un cuore in acciaio al carbonio per la saldatura alla struttura alla parte piatta dell’anodo.
Si richiede:
a) Di selezionare un materiale per l’anodo.
b) Il numero minimo di anodi da installare, supponendo una richiesta di 100 mA/m2.
c) Di mostrare per calcolo se 2500 anodi sono sufficienti a fornire protezione per 10 anni.
Soluzione:
(a) Anodi di Zn o di Al ma non di Mg.
(b) Si suppone un output anodico per lo Zn di 6 A/m 2. In realtà si potrebbe calcolare con più
precisione l’output mediante la formula:
Er E1
I
I
R 2 0.4
V 10 5 m3
2
80
10 5 2
R 4 10 3 m 4mm
3.14 0.4
2 R L
3.14 0.004 0.4 5 10 3 m 2
2
A
6 5 10 3 m 2 2500 12.5 A
m2
3.7 10 4 2
R 2.43 10 2 m 2 24.3mm
3.14 0.4
81
Metalli preziosi e loro ossidi: Ti platinato, Nb platinato, Ag platinato e metalli + ossidi
metallici su titanio.
Materiali ferrosi: acciaio, ghisa, inox, ghisa al Si e magnetite (Fe3O4).
Materiali al piombo: Pb-Sb-Ag, Pb/Fe3O4 e PbO2-Ti.
Materiali carboniosi: grafite, carbone e polimeri conduttivi.
Metalli consumabili non ferrosi: Al e Zn.
82
6.2.9. Scelta del sistema.
Per la scelta del sistema bisogna innanzitutto considerare la conducibilità dell’ambiente. Per
ambienti di resistività > 6000 W cm è sconsigliabile impiegare anodi sacrificali in quanto
inefficaci. La f.e.m. con anodi di Mg rispetto al Fe è al massimo 0,7 V ed è quindi molto limitata.
Con le correnti impresse si va tra 6 e 50 V e quindi non ci sono problemi.
Le reazioni anodiche sono:
E’ molto importante considerare le reazioni anodiche e le relative implicazioni. Per gli anodi
sacrificali è necessario che i prodotti di corrosione vengano allontanati o comunque non vadano a
passivare la superficie dell’anodo. Per le correnti impresse deve essere garantito
l’approvvigionamento di acqua sull’anodo e la possibilità di evacuazione dei prodotti gassosi. A tal
riguardo, in acqua di mare non vi sono problemi e si possono usare anodi di piccole dimensioni ed
alte densità di corrente (500 – 1000 Am -2), mentre nel suolo possono verificarsi queste difficoltà ed
è necessario impiegare grandi superfici anodiche con bassa densità di corrente, onde non avere
fortissime sovratensioni di concentrazione. Si usano in tali applicazioni letti di posa con
riempimento in materiale carbonioso e si impiegano anodi in ghisa o grafite con il solo scopo di
ottenere una buona connessione elettrica con l’alimentazione.
Il terreno è un mezzo corrosivo solido a conducibilità ionica, le cui proprietà dipendono dalle
proporzioni relative dei suoi tre costituenti principali: sabbia, argilla e limo (più eventualmente
ciotoli). Quando tali costituenti sono in proporzioni equivalenti, il terreno risulta leggero e poroso
83
(terreno agricolo). A determinare il suo potenziale corrosivo contribuiscono le sue caratteristiche
fisiche (capacità di assorbimento dell’acqua e permeabilità all’O 2) e chimiche (solfati e cloruri di
Na e K) compresa la presenza di bicarbonato di Ca (possibilità di formazione di depositi calcarei).
Il terreno è spesso eterogeneo riguardo a tali caratteristiche (sia nello sviluppo orizzontale che
verticale) e possono facilmente verificarsi fenomeni di aerazione differenziale. La reazione
catodica è quella di riduzione: O2 2 H 2O 4e 4OH
con alcalinizzazione locale e possibile precipitazione di carbonato secondo la:
Ca ( HCO3 ) 2 OH CaCO3 HCO3 H 2O
La formazione dello strato di carbonato rallenta in un primo momento la corrosione, ma l’azione
di schermo alla diffusione dell’O2, l’idrolisi degli ioni ferrosi e il trasporto di anioni aggressivi
induce la formazione di pustole (creazione di coppie galvaniche sulla superficie della tubazione
in ferro).
Nota: spesso sono importanti i fenomeni di corrosione biologica (terreni ricchi di solfati). Sono
pericolosi anche i terreni a bassa conducibilità come quelli sabbiosi e ghiaiosi (104 ¸ 5·104
Wcm).
PROTEZIONE.
1. Fasciare la tubazione con rivestimenti bituminosi supportati da fibra di vetro (facilmente
ripristinabile nelle zone di saldatura).
2. Separare fisicamente la tubazione dal terreno mediante rivestimenti epossidici, estrusi
(polietilene) o applicati a nastro (PVC e polietilene).
3. Applicare in congiunzione la protezione catodica (per le tubature in pressione e per gli
oleodotti e i metanodotti, è imposto per legge).
L’impiego di inibitori di corrosione può essere prevista già in sede di progetto, in modo da
selezionare materiali costitutivi poco pregiatio, o anche per decrementare l’entità di fenomeni
corrosivi in atto.
Appare chiaro che l’impiego di inibitori di corrosione è soprattutto indicato in circuiti chiusi o
dove l’ambiente corrosivo non si rinnova continuamente.
84
6.3.1. MECCANISMO DI FUNZIONAMENTO DEGLI INIBITORI.
Per gli inibitori sono possibili differenti classificazioni. Per semplicità, si distingue tra inibitori
con azione anodica, azione catodica, inibitori filmanti e inibitori di adsorbimento.
Inibitori anodici. Questi inibitori agiscono incrementando il potenziale di corrosione libera del
metallo, Ecorr, e quindi favorendo la formazione di film superficiali protettivi per i materiali a
comportamento attivo-passivo. Tale azione può essere svolta aumentando la sovratensione del
processo anodico (ad esempio nel caso di borati, benzoati e sali degli acidi carbossilici), o
fornendo direttamente un ulteriore processo catodico abbastanza nobile (potenziale redox
elevato) da portare il materiale in condizioni di passività (ad esempio permanganati, molibdati,
acqua ossigenata) o mediante entrambi (ad esempio cromati e nitriti). Tipici inibitori anodici per
gli acciai al carbonio sono appunto i nitriti ed i cromati (ambienti neutri o alcalini).
L’inconveniente di questi inibitori è di dover ben dosare la loro concentrazione nella soluzione,
badando a non scendere mai al di sotto di certi valori (per i cromati ad es. circa 10 -3 M) per non
incorrere nel rischio di pitting intenso. Per questa ragione gli inibitori anodici sono detti
‘pericolosi’. Questo accade perché tali sostanze nobilitano il processo corrosivo per entrare nella
regione di passività del metallo; tale effetto possono esplicarlo solo laddove la sostanza
addizionata all’acqua raggiunge le superfici metalliche. Nelle regioni di difficile accesso tale
azione può risultare difficoltosa. Inoltre, anche quando si è costituito un buon film protettivo
superficiale, vi è sempre bisogno di un approvvigionamento di inibitore sulle superfici, vuoi per
un certo ricambio, vuoi per fenomeni di degrado nel tempo. La situazione ottimale per assicurare
il mantenimento di un film continuo e protettivo richiede quindi una concentrazione
sufficientemente alta di inibitore in soluzione e, possibilmente, condizioni di moto relativo tra
soluzione e superfici metalliche, quest’ultime capaci di favorire il raggiungimento delle superfici
e il ricambio locale di inibitore. Le condizioni stagnanti sono pertanto le più sfavorevoli per il
buon funzionamento degli inibitori. Nella pratica corrosionistica, si impongono all’inizio del
trattamento concentrazioni anche maggiori di inibitore, in modo da promuovere la formazione di
un primo film compatto di passivazione (come parametro si considera di norma la superficie
totale da proteggere). Poi si mantengono nel tempo concentrazioni superiori a quelle richieste al
sistema, avendo cura di monitorare periodicamente le concentrazioni di inibitore e operare
eventuali aggiunte. Se non si opera in tal modo si corrono gravi rischi corrosivi, soprattutto con
questo tipo di inibitori. Infatti se in qualche regione della superficie metallica si lesiona il film
protettivo, si creano condizioni di intensa corrosione localizzata, favorite dal grande rapporto
Scat./San. e dall’imporre alla regione diventata anodica elevati potenziali di corrosione.
L’azione degli inibitori anodici è di consueto specifica per i diversi materiali. Nel caso di
apparecchiature costituite da materiali diversi, si ricorre ad opportune formulazioni di inibitori
diversi.
Cromati (Cromo esavalente). Sono tra gli inibitori anodici più efficaci, ma sono stati in pratica
abbandonati a causa dello scarso livello di tollerabilità ambientale (legge Merli), in quanto tossici
e cancerogeni per inalazione. Nel tentativo di limitare la concentrazione di cromati in soluzione si
sono proposti bassi dosaggi di 5-6 ppm di CrO4= a pH=7, avendo però cura di fare pretrattamenti
a più forte dosaggio (20-30 ppm). Il film di passivazione costituito dai cromati è tra i più stabili e
anche resistente a impoverimento di inibitore in ciclo. Hanno tuttavia l’inconveniente di passare a
cromiti in ambienti riducenti.
85
Nitriti. Richiedono dosaggi di diverse centinaia di ppm per evitare il pericolo di pitting. In
ambienti contenenti cloruri e solfati anche livelli di 200-500 ppm perdono però efficacia. Inoltre
possono venire usati dai nitro-batteri nel loro ciclo metabolico, sottraendo inibitore al ciclo e
producendofouling biologico. Vengono usati prevalentemente per circuiti chiusi alimentati con
acqua demineralizzata e nei circuiti di raffreddamento delle automobili, poiché non reagisce con i
normali glicoli usati come antigelo.
Molibdati. Il molibdato sodico produce un film di passiva azione paragonabile a quello dei
cromati in un campo di pH che va dal neutro all'alcalino (pH > 7, 5) con dosaggi di qualche
decina di ppm. Tuttavia, anche in questo caso la presenza di cloruri e solidi disciolti ne
diminuiscono l’efficacia. Si utilizzano in congiunzione altri inibitori anodici e catodici. L'alto
costo è almeno in parte controbilanciato dal fatto che il composto non è tossico.
Borati. Agiscono in modo abbastanza simile ai polifosfati. Dati gli alti dosaggi richiesti, il loro
impiego è limitato ai circuiti chiusi in congiunzione con i nitriti.
86
6.3.3. Inibitori di adsorbimento (filmanti).
Si tratta di inibitori organici ed in particolare di ammine. L'aumento della lunghezza della catena
di atomi di carbonio accresce il carattere idrofugo dell'inibitore, anche se il tale numero deve
essere compatibile con la solubilità del composto in acqua. L'inibitore riesce a fissarsi
tramite un gruppo funzionale attivo, nella maggior parte dei casi capace di realizzare un
chemiadsorbimento sulla superficie del metallo. L'adsorbimento sir ializza sotto forma di
film macromolecolare, attraverso l'intermediario di un gruppo funzionale (ammine, S<, OH -),
come mostrato in figura per le ammine che completano con il loro doppietto elettronico uno
strato insaturo del metallo.
Il gruppo radicale è invece idrorepellente e crea una barriera fisica al contatto acqua-metallo. I
tipici inibitori di questa categoria sono la tetraetilendiammina, la formaldeide, derivati della
tiourea, ecc. ecc.. Gli inibitori organici più comunemente adottati sono:
Mercaptobenzotiazolo ( M.B.T.). Questo composto si idrolizza in soluzione acquosa secondo la:
La specie ionica forma può i sali insolubili con gli ioni metallici. La protezione del M.B.T. è
quindi legata alla presenza di un gruppo con zolfo ionizzabile e di un altro zolfo attaccato
all'anello benzenico, capaci di formare legami coordinati con il metallo. Tale composto è
addizionato come sale sodico (solubile) per proteggere il rame e le sue leghe (efficace fino a pH
= 4 ). Per l'alluminio l'efficacia è fino a pH = 7,5. Il principale svantaggio è la facilità ad essere
ossidato da agenti quali il cloro
Benzotriazolo (B.Z.T.)
è analogo al MBT, ma più resistente all'ossidazione. Per le leghe di rame viene usato
nell'intervallo di pH fra 6,5 e 8,5. Non adatto per l'alluminio.
Polisilicati. Con il termine polisilicati ci si riferisce a sostanze con diverso rapporto di Na 2O,
SiO2, e H2O. Data la complessità della loro chimica, lo stesso meccanismo di inibizione della
corrosione non è stato chiarito. Si utilizzano in prevalenza a pH basici, con formazione di un
deposito polimerico alcalino che produce per proteggere uno strato di ossidi protettivo per il
materiale base. La cinetica del processo è tuttavia lenta e può richiedere tempi considerevoli
(diverse settimane) per esplicarsi efficacemente. I silicati sono impiegati per le leghe di alluminio
ed utilizzati a dosaggi elevati (50 ppm) dei circuiti chiusi in cui l'acqua di reintegro è addolcita
demineralizzata. Nel progettare un trattamento con silicati è da tener presente il prodotto di
solubilità del silicato di magnesio.
87
6.3.4. Inibitori da imballaggio ed in fase vapore.
Questi inibitori sono utilizzati per proteggere dalla corrosione atmosferica oggetti in materiale
metallico durante il loro trasporto o stoccaggio. Si distinguono essenzialmente in inibitori per
contatto ed inibitori volatili. I primi si addizionano agli olii e grassi che ricoprono le
superfici, tipo ad esempio la lanolina (composta da alcoli ed acidi grassi ad alto peso
molecolare) pronto a seconda classe è costituita da sostanze ad alta tensione di vapore
( Vapor Phase Inibitor o VPI): in tal modo si possono proteggere parti meccaniche di
geometria complessa. Sostanze del genere sono carbonati o nitriti organici (ad esempio
nitrito di dicicloesilammonio e carbonato di etanolammina). Il problema di questi inibitori è
la necessità di utilizzare imballaggi e chiusura a tenuta stagna. Questi inibitori sono benefici
per i materiali ferrosi ma possono risultare nocivi e incrementare l'attacco corrosivo a
materiali non ferrosi, plastiche e pitture.
88
6.3.6. Metodi di studio degli inibitori.
Si può definire il tasso di inibizione apportato da uno specifico composto come:
89
( A0 A1)
T % 100
A0
dove, in funzione del metodo di determinazione prescelto, A0 rappresentare la perdita in peso, o
una quantità di idrogeno sviluppata, o l’intensità di corrente di corrosione del metallo
immerso nella soluzione tal quale e con alluminio la stessa grandezza e le stesse condizioni
sperimentali ma in presenza di inibitore.
1) Metodo ponderale. Si determina la perdita in peso di un campione in assenza (A0) ed in
presenza (A1) di un inibitore. Il vantaggio dell'esperienza è che ci si avvicina alle
condizioni reali di impiego dei materiali. Tuttavia, il metodo può essere piuttosto lungo e
più che altro condotto per verificare l'azione inibitrice già testata mediante tests accelerati.
Si può procedere alla pesatura del campione (precisione > 10 -5 g) o al rilievo della
concentrazione degli ioni metallici passati in soluzione (cosa che permette anche uno
studio della cinetica del processo corrosivo).
90
molto spesso necessario monitorare in continuo l'effettiva efficienza dell'inibizione del fenomeno
corrosivo.
L’industria è seconda solo all’agricoltura per consumo di acqua e ben il 70% dell’acqua
industriale viene impiegata come fluido refrigerante. Infatti, sebbene l’acqua venga usata
nell’industria anche come solvente e/o come reagente e come vettore per la produzione di
energia, il vero impiego massiccio avviene nei circuiti di raffreddamento.
Essi sono infatti presenti in praticamente tutte le industrie, dalle centrali a vapore (dove l’acqua
viene impiegata per condensare il vapore che esce dalla caldaia) alle industrie nucleari (dove
esistono ben tre circuiti di raffreddamento), dalle industrie chimiche e petrolchimiche (per
condensare distillati o in generale per mantenere costante la temperatura delle reazioni
esotermiche) alle industrie metallurgiche (per raffreddare le fornaci). Ma l’acqua viene impiegata
anche nelle industrie minori tutte quelle volte che sia necessario mantenere la temperatura in
limiti accettabili (e quindi nelle turbine, nei compressori, nei motori elettrici) oppure si vada
incontro a passaggi di stato (come nei semplici impianti di condizionamento d’aria).
Le caratteristiche che fanno dell’acqua il più diffuso fluido refrigerante per lo scambio di calore
sono di natura prevalentemente economica e fisica; l’acqua infatti:
- è abbondante in natura;
- è notevolmente economica;
- può essere trasportata e immagazzinata con facilità;
- può assorbire grandi quantità di calore per unità di volume;
- non espande o comprime significativamente nei normali range di temperatura;
- non decompone alle elevate temperature.
91
una notevole conducibilità (aumentata ulteriormente dalla presenza degli ioni in soluzione) e
infine rappresenta un ambiente ideale per il proliferare di micro e macro-organismi.
Queste caratteristiche rendono quindi l’acqua naturale, da un punto di vista corrosionistico, un
ambiente molto aggressivo per la maggioranza dei materiali di impiego comune e quindi anche
per quelli utilizzati nei circuiti di raffreddamento per i quali si rende strettamente necessario un
trattamento dell’acqua.
Il potere aggressivo dell’acqua dei circuiti di raffreddamento interviene in generale attraverso
quattro problemi principali i quali raramente accadono separati, ma più spesso concorrono
simultaneamente, essendo di solito l’uno la causa dell’altro; essi sono:
1) CORROSIONE;
2) INCROSTAZIONI;
3) FOULING;
4) CONTAMINAZIONE MICROBIOLOGICA.
5) CORROSIONE
I sistemi di raffreddamento sono soggetti a molti tipi corrosione i quali possono essere
brevemente riassunti in:
- CORROSIONE GENERALIZZATA: è il risultato della reazione di natura elettrochimica
tra il materiale metallico delle tubazioni (costituiti di solito da acciai, leghe di rame, leghe di
alluminio) che, fungendo da anodo, si dissolve in forma ionica cedendo elettroni all’idrogeno
o all’ossigeno (catodo) inevitabilmente presenti nell’acqua di raffreddamento (che funge
quindi da elettrolita). È la forma di corrosione meno pericolosa perché generalizzata a tutta la
superficie del metallo e quindi facilmente controllabile o tollerabile (grazie ad esempio a
sovradimensionamenti operati in fase di progetto).
- CORROSIONE SOTTO DEPOSITO: è la forma di corrosione più facilmente riscontrabile
nei sistemi di raffreddamento, perché può essere provocata direttamente o indirettamente
anche dagli altri problemi (come incrostazioni e fouling); è una forma di corrosione
localizzata che interviene quando si produce una schermatura della superficie del materiale
metallico a causa della precipitazione di prodotti di corrosione o di corpi estranei (sabbia,
polveri e, in particolar modo per i circuiti di raffreddamento, incrostazioni e ammassi
biologici) che provoca un aumento notevole di aggressività dell’ambiente in quella zona
92
ristretta (anche a causa dell’impossibilità della diffusione di eventuali inibitori presenti in
soluzione). Si instaura cioè il cosiddetto meccanismo dell’aerazione differenziale che può
provocare attacchi altamente localizzati e penetranti (che possono interessare ad esempio tutto
lo spessore della tubazione che alla fine dell’attacco risulta quindi forata).
- VAIOLATURA (PITTING): forma particolare di corrosione estremamente localizzata e
penetrante causata dalla rottura locale del film di passività; è provocata dalla presenza
nell’ambiente aggressivo di particolari ioni depassivanti come gli alogeni (e quindi in
particolar modo di Cl- per i sistemi di raffreddamento che fanno uso di acqua di mare).
- CORROSIONE PER CONTATTO GALVANICO: interviene quando due o più metalli a
diversa nobiltà (pratica, e cioè nel determinato ambiente in cui si trovano, in questo caso
l’acqua di raffreddamento) entrano in contatto fra loro; tipico esempio di corrosione per
contatto galvanico che si può riscontrare in sistemi costituiti da più materiali (come possono
essere i sistemi di raffreddamento) è quello che interviene quando ioni rameici dissolti
nell’acqua refrigerante (prodotti ad esempio a causa della semplice corrosione generalizzata),
trasportati dal flusso convettivo, entrano in contatto con tubazioni in alluminio che, meno
nobile, si corrode immediatamente.
- CORROSIONE MICROBIOLOGICA: è causata dall’azione nociva di particolari
microrganismi (vedi paragrafo sulla contaminazione microbiologica).
- CORROSIONE PER TURBOLENZA E ABRASIONE: provocano il danneggiamento
dello strato di passivazione della superficie metallica, la prima con l’insorgere di elevata
turbolenza nel flusso dell’acqua, la seconda dalla presenza in seno al fluido di materiale
solido in sospensione (prodotti di corrosione, materiale biologico).
Queste forme di corrosione vengono combattute con svariati metodi che, analizzati nello
specifico in seguito, si possono riassumere in:
- Accurata scelta dei materiali costruttivi (e anche degli eventuali rivestimenti protettivi);
- Trattamenti dell’acqua (controllo della velocità, del pH, della temperatura e della
composizione);
- Aggiunta di inibitori di corrosione; sono questi particolari sostanze che, presenti in piccole
concentrazioni nell’acqua di raffreddamento (nell’ordine di alcune ppm), interagiscono col
sistema corrosivo modificando o la reazione catodica aumentandone la sovratensione (e
quindi si parla di inibitori catodici), o quella anodica promuovendo la formazione di ossidi
superficiali protettivi (inibitori anodici). La capacità protettiva degli inibitori è in forte
dipendenza col pH del sistema; per i circuiti di raffreddamento (pH neutro-alcalini) si usano
di solito inibitori catodici come sali di zinco, nichel, manganese accompagnati da inibitori
anodici come nitriti, fosfati, silicati, molibdati e, in piccole concentrazioni a causa della loro
tossicità, cromati. Di notevole impiego sono anche i cosiddetti inibitori per adsorbimento,
composti organici polimerici che si adsorbono sulla superficie metallica (attraverso doppietti
elettronici liberi o doppi o tripli legami) facendo da schermo all’ambiente aggressivo.
Queste forme di corrosione non devono essere controllate solo per evitare problemi catastrofici
(come fori nelle tubazioni o cedimenti meccanici), ma soprattutto per garantire una certa
efficienza del sistema refrigerante; i prodotti di corrosione possono infatti provocare gravi perdite
sia fluidodinamiche (restringendo la sezione di passaggio del flusso), sia termiche (in quanto
strati di prodotti di corrosione riducono di diversi ordini di grandezza i coefficienti di
trasferimento di calore). Una perdita di efficienza dell’impianto di raffreddamento può
pregiudicare infatti l’efficienza globale di tutta l’industria (basti pensare alle centrali a vapore) e
quindi, in un certo senso, l’economicità dell’intero processo.
93
7.2. INCROSTAZIONI
94
materiali dei sistemi di raffreddamento (sono queste “incrostazioni intrinseche” perché si
formano a causa di sostanze presenti all’interno del sistema e non a causa di sostanze estranee
introdotte nel sistema dall’esterno).
I fattori che regolano la stabilità delle incrostazioni e sui quali si deve giostrare per il loro
controllo, sono:
- pH: condiziona la stabilità termodinamica dell’incrostazione; ad esempio, per eliminare le
incrostazioni di carbonato di calcio, si può semplicemente aggiungere un acido all’acqua,
perché la sua solubilità aumenta con l'aumentare del pH (inconveniente: l’aggiunta di acido
provoca il passaggio da carbonati a bicarbonati e da bicarbonati ad anidride carbonica, molto
difficile da rimuovere se indesiderata).
- Temperatura: nei circuiti di raffreddamento raramente si può porre dei vincoli corrosionistici
al valore della temperatura, valore che è invece condizionato sia dalle condizioni ambientali,
sia soprattutto dalla temperatura del fluido da raffreddare (vincoli termodinamici).
- Concentrazione: a parità delle altre condizioni, la concentrazione dei sali può aumentare solo
fino alla saturazione, quando il sale precipita formando le incrostazioni.
Altri fattori che influenzano la formazione delle incrostazioni possono essere la particolare
geometria dei circuiti di raffreddamento (curve a gomito, raccordi dove i depositi solidi si
possono addensare), la composizione chimica della superficie metallica delle tubazioni e
soprattutto la presenza di depositi organici o inorganici (fouling) dove le incrostazioni si formano
preferenzialmente.
I trattamenti a cui l’acqua di raffreddamento deve essere sottoposta per evitare gli inconvenienti
delle incrostazioni sono in stretta dipendenza col tipo di circuito con cui abbiamo a che fare, ma
possono essere schematizzati in:
- Decarbonatazione dell’acqua: con cui si riduce al minimo la concentrazione dei carbonati;
viene operata di solito attraverso l’uso di resine a scambio ionico che catturano i cationi Ca ++
(incrostanti) fornendo cationi Na+ (non incrostanti ma che possono essere successivamente
rimossi fornendo cationi H+); alla fine del processo, la resina deve essere rigenerata attraverso
l’aggiunta di NaCl che somministra di nuovo i cationi originari Na+.
Un altro metodo adottato è il trattamento alla calce e soda, cioè l’aggiunta all’acqua di
Ca(OH)2 (che rimuove i carbonati) e Na 2CO3 (che rimuove i solfati) che, reagendo con gli
ioni calcio e magnesio, formano carbonati che sono in seguito rimossi tramite una adeguata
filtrazione.
- Addizione di acidi: aggiunta di H2SO4 o HCl per diminuire il pH dell’acqua a valori in cui i
carbonati non sono stabili;
- Addizione di anti-incrostanti (organic scale inhibitors): come polifosfati, fosfonati,
poliacrilati, che prevengono la formazione di incrostazioni attraverso il blocco della
nucleazione cristallina oppure aumentando semplicemente la solubilità del sale nell’acqua.
7.3. FOULING
95
Col termine inglese “fouling” si definisce l’accumulazione e la deposizione di materiale solido
presente in sospensione nel fluido. Nei sistemi di raffreddamento esso può essere di due tipi:
1) Fouling inorganico: deriva dalla presenza di sabbia, limo, polvere, fango, argilla, oli, detriti e
prodotti di corrosione;
2) Fouling organico (BIO-FOULING): deriva dall’accumulo di sostanze organiche che, se
visibili a occhio nudo, danno origine al cosiddetto macrofouling (per esempio quello causato
dalla presenza di cozze, ostriche, molluschi), altrimenti al cosiddetto microfouling (causato
dalla presenza di alghe, batteri e funghi).
Nei sistemi di raffreddamento il fouling (e soprattutto il bio-fouling) è uno degli inconvenienti
più seri, perché presente sempre in grande quantità (soprattutto a causa della proliferazione dei
microrganismi, vedi paragrafo seguente) e se non controllato e limitato a sufficienza, può
provocare i seguenti problemi:
- Riduzione o blocco del flusso di acqua nelle tubazioni o nello scambiatore di calore;
- Riduzione estrema dell’efficienza di scambio termico (soprattutto per i depositi organici i
quali tendono a formare una barriera isolante nello scambiatore chiamata biofilm);
- Promozione di forme di corrosione localizzata come la corrosione sotto deposito o la
corrosione microbiologica (causata sia dal fatto che molti di questi depositi sono formati
dall’accumulo di microbi che esplicano una vera e propria attività corrosiva, sia dal fatto che i
microbi proliferano con più facilità sotto i depositi rispetto che sulla superficie pulita delle
tubazioni);
- Promozione della formazione di nuovi depositi, come fouling di diversa origine o
incrostazioni.
I principali fattori che influenzano la comparsa e la crescita del fouling sono:
- Caratteristiche dell’acqua: ovvero la presenza nell’acqua di materiale solido in sospensione
o la presenza di micro e macro organismi;
- Temperatura: l’aumento della temperatura causa l’aumento della tendenza al fouling;
- Velocità del flusso: più la velocità è bassa, più il deposito delle sostanze organiche è facilitato
(esse non vengono trascinate via dal flusso convettivo);
- Contaminazione microbiologica: le colonie di microbi formano aggregati dove i depositi
solidi si vanno ad accumulare preferenzialmente;
- Corrosione: la corrosione forma sovente prodotti insolubili che si possono mischiare con i
detriti solidi o con le masse microbiologiche aggravando ulteriormente il fouling.
Per eliminare o limitare dalle acque di raffreddamento questo gravoso problema, si può agire con
due strategie differenti: cercare di colpire la causa della formazione del fouling ancor prima che
questo problema insorga, oppure cercare di eliminarlo una volta che si è formato.
Per quel che riguarda il primo caso, si eseguono operazioni di depurazione sull’acqua di
raffreddamento (per eliminare le sostanze solide in sospensione) e si fa uso di biocidi (per
eliminare la presenza dei microrganismi, vedi paragrafo seguente); nel secondo caso, si fa uso di
disperdenti.
Le operazioni di depurazione dell’acqua sono costituite nella norma dalla presenza di semplici
filtri a monte del circuito di raffreddamento (e cioè nella tubazione che fornisce l’acqua al
circuito) che possono arrivare a catturare particelle con dimensioni di 5 – 10 mm.
Con la parola disperdenti si indicano quei polimeri i quali, aggiunti all’acqua di raffreddamento,
riescono a separare per repulsione elettrostatica le particelle che costituiscono il fouling
disperdendole all’interno del flusso convettivo; esempi di disperdenti sono: i sulfonati, i fenolati,
i tiofosfonati, i poliacrilati, i polimetacrilati.
96
7.4. CONTAMINAZIONE MICROBIOLOGICA
97
- FOULING: come è già stato detto in precedenza, il fouling può essere costituito direttamente
da specie microbiologiche (microfouling) che amalgamandosi tra loro formano accumuli
limacciosi che si depositano sulla superficie delle tubazioni; questi depositi (chiamati biofilm)
hanno la caratteristica di avere un coefficiente di scambio
termico molto basso (ancora più basso di quello dei carbonati,
vedi figura) che, qualora essi si formino all’interno dello
scambiatore di calore, pregiudica il rendimento termico (e
quindi economico) dell’intero circuito di raffreddamento. Ma le
colonie microbiologiche, anche se non presenti in grande
quantità, possono fornire siti preferenziali su cui si vadano a
depositare i solidi presenti nell’acqua, come la sabbia, il fango
e i prodotti di corrosione, formando agglomerati che rallentano
il flusso e promuovono forme di corrosione localizzata.
Da tutto ciò si comprende come il controllo e quindi il blocco della proliferazione microbiologica
sia una delle operazioni centrali di un impianto di raffreddamento; detto che la prevenzione
completa di questa sia praticamente impossibile da realizzare e che il solo impiego di materiali
resistenti al danneggiamento dei microbi sia insufficiente (non abbiamo nessuna protezione dal
fouling), l’unica soluzione adottata a livello industriale consiste nell’aggiunta all’acqua di
raffreddamento di biocidi; sono questi particolari sostanze chimiche che uccidono i microbi o ne
impediscono la crescita interagendo con il loro metabolismo cellulare.
I biocidi si dividono in due categorie:
1) Biocidi ossidanti: esplicano la loro azione ossidando il citoplasma cellulare dei
microrganismi, inibendo i processi enzimatici e portando alla morte la cellula attaccata; la
loro azione non è basata sulla specificità dell’attacco, ma solo sulla forza dello stesso (sono
infatti biocidi non specifici, attaccano quasi tutte le specie di microbi); sono quindi specie
chimiche altamente ossidanti e per questo altamente instabili e pericolose; se la loro
concentrazione non è infatti continuamente monitorata, possono attaccare le altre specie
chimiche presenti in soluzione come inibitori di corrosione, disperdenti, acidi,
compromettendo la loro funzione protettiva. Da non sottovalutare la loro inerente tossicità. I
più comuni biocidi ossidanti sono quelli a base di cloro (Cl2 gassoso, NaOCl ipoclorito di
sodio, ClO2), di bromo (HOBr), di acqua ossigenata (H2O2) e recentemente di ozono (O3).
2) Biocidi non ossidanti: sono estremamente più selettivi e complessi dei biocidi ossidanti in
quanto reagiscono solo con alcune componenti specifiche delle cellule dei microbi; la loro
velocità di reazione è infatti molto bassa e quindi possono essere impiegati solo in circuiti
dove il tempo di permanenza sia abbastanza elevato. Nella pratica si impiegano solo quando
la protezione offerta dai biocidi ossidanti sia insufficiente. Esempi di biocidi non ossidanti
sono i composti di ammonio quaternari (QAC), la glutaraldeide, l’isotiazolo, i sali di rame.
Anche loro non sono esenti da interazioni indesiderate con gli altri additivi aggiunti all’acqua;
per esempio i QAC, essendo carichi positivamente, reagiscono con i disperdenti (di solito
carichi negativamente) formando composti insolubili che possono provocare problemi di
fouling e di corrosione localizzata.
98
7.5. TIPOLOGIE DI CIRCUITI DI RAFFREDDAMENTO
Analizzati schematicamente i principali problemi dell’acqua di raffreddamento, risulta evidente
che essa debba sempre passare attraverso trattamenti che eliminino o più spesso mitighino i
problemi a cui si andrà inevitabilmente incontro se essa verrà lasciata non trattata.
Le tipologie di trattamento utilizzate sono in forte dipendenza col tipo di circuito di
raffreddamento con cui abbiamo a che fare; essi si possono dividere schematicamente in tre tipi:
1) SISTEMI A SINGOLO ASSAGGIO: l’acqua passa attraverso il circuito una sola volta;
sono necessarie quindi grandi quantità di acqua la quale, una volta attraversate le tubazioni, le
pompe e assorbito il calore nello scambiatore, viene scaricata nuovamente nella riserva di
provenienza.
2) SISTEMI CHIUSI: l’acqua passa attraverso il circuito innumerevoli volte senza subire
significative perdite né aggiunte; grazie al riciclo si usa quindi pochissima acqua che viene
trattata specificamente e resa il meno possibile aggressiva.
3) SISTEMI APERTI: l’acqua passa attraverso il circuito in continuazione assorbendo calore in
uno scambiatore e cedendo approssimativamente il medesimo calore a una corrente d’aria di
solito all’interno di una torre di raffreddamento; il calore viene ceduto all’aria
prevalentemente come calore latente e quindi l’acqua subisce una certa evaporazione che
deve essere rimpiazzata da un adeguato reintegro.
Nella realtà industriale odierna il sistema di raffreddamento più diffuso è senza dubbio quello
open recirculating che rappresenta anche il caso più difficile da gestire dal punto di vista
corrosionistico; nel seguito si daranno quindi brevi cenni agli altri due sistemi, mentre una
descrizione più specifica spetterà in ultimo al terzo.
VANTAGGI: SVANTAGGI:
Economicità Spreco di acqua
Trattamento dell’acqua ridotto al minimo Inquinamento termico dell’acqua
Un tempo i sistemi di raffreddamento più diffusi, oggi confinati solo alle grandi industrie come le
centrali a vapore o le raffinerie situate in zone dove ci sia larga disponibilità d’acqua a
relativamente bassa temperatura (e cioè presso mari o grandi laghi e fiumi).
99
L’acqua di raffreddamento che viene usata per questi sistemi non subisce mai trattamenti molto
sofisticati e costosi per l’ovvia ragione di garantire economicità al processo (l’acqua infatti non
viene riciclata) e per evitare l’inquinamento chimico dell’ambiente.
Gli unici trattamenti che vengono applicati con sistematicità riguardano l’accurata scelta dei
materiali in fase di progetto e la protezione dai macro e microrganismi.
A causa infatti dei minimi trattamenti a cui viene sottoposta l’acqua, si cerca di scegliere nei
limiti dell’economicità i materiali che offrano la resistenza a corrosione più elevata possibile;
quindi si evitano quasi sempre i materiali a base di ferro, a cui si preferiscono le leghe di
alluminio e soprattutto le leghe di rame (ottoni, bronzi, leghe cupro-nichel).
Inoltre a monte dell’impianto di raffreddamento si installa sempre una certa protezione
meccanica che eviti la contaminazione di macrorganismi, specialmente se l’acqua viene prelevata
dal mare; si usano quindi filtri e grigliature che imbrigliano fisicamente le specie biologiche che,
una volta penetrate nel circuito, provocherebbero gravi problemi di fouling e di corrosione per
abrasione.
Vengono infine aggiunti all’acqua differenti tipologie di biocidi sempre di tipo ossidante (il
tempo di permanenza medio dell’acqua nel circuito è troppo breve perché i biocidi non ossidanti
abbiano effetto); il caso più diffuso è quello dell’uso di ipoclorito di sodio (NaOCl che, se il
circuito fa uso di acqua di mare, può essere prodotto in sito con elettrolisi della stessa).
A seconda della qualità dell’acqua che viene impiegata, molto spesso vengono aggiunti in
quantità limitata altri additivi per migliorarne la resistenza a corrosione; tra gli inibitori si usa
aggiungere polifosfati con piccole quantità di ioni zinco (Zn2+) in modo da fornire un
accoppiamento di protezione anodica e catodica (in ogni caso non si aggiungono mai i cromati
perché troppo inquinanti e i molibdati perché troppo costosi).
SISTEMI CHIUSI
VANTAGGI: SVANTAGGI:
Risparmio notevole di acqua Alto costo di installazione
Quasi totale assenza di fenomeni corrosivi Necessari trattamenti accurati dell’acqua
Sono questi gli unici sistemi di raffreddamento chiusi, in cui l’acqua viene riciclata in continuo
senza andare incontro a perdite o reintegri (l’acqua viene sostituita solo durante le fermate per la
manutenzione). Sono circuiti che attraversano quindi due scambiatori di calore, uno per
100
raffreddare, l’altro per cedere il calore acquistato (di solito questo scambiatore è raffreddato ad
aria o meccanicamente o fa parte di un altro circuito di raffreddamento, di solito un open
recirculating come accade nelle centrali nucleari). Sono quindi sistemi di ridotte dimensioni che
si trovano praticamente dovunque: nelle auto, nei frigoriferi, negli impianti di condizionamento;
industrialmente trovano applicazione nel raffreddamento delle presse, dei compressori, dei
motori, dei sistemi idraulici e di controllo della temperatura.
Di solito l’acqua che scorre in questi circuiti è a pressioni maggiori di 1 atm e quindi anche a
temperature più elevate degli altri tipi di circuiti; ciò causa un aumento dell’aggressività corrosiva
e incrostante dell’acqua che deve necessariamente passare attraverso trattamenti molto accurati.
La purificazione dell’acqua per i sistemi di raffreddamento chiusi varia da impianto ad impianto,
ma essa è sempre di due tipologie:
- PURIFICAZIONE FISICA: può essere operata in diversi modi a seconda del grado di
purezza che si vuole raggiungere; si può semplicemente far passare l’acqua attraverso griglie
e filtri in cui vengono catturate le particelle solide (organiche e inorganiche) di dimensioni
macroscopiche, oppure su carboni attivi (per una purificazione più accurata); si può
sottoporla al processo di ultrafiltrazione (per eliminare particelle fino a dimensioni di 0.001
mm), o si può investirla con radiazioni ultraviolette (per uccidere i microrganismi). Ma i
metodi fisici più diffusi su scala industriale sono l’osmosi inversa, l’elettrodialisi e la
distillazione con i quali, se ben applicati, si riesce a deionizzare completamente l’acqua.
Nell’osmosi inversa si applica una differenza di pressione maggiore della pressione osmotica
del sistema a due scomparti contenenti acqua pura e acqua da purificare divisi da una
membrana permeabile al solo flusso dell’acqua che passa quindi verso la zona meno
concentrata. Nell’elettrodialisi si separano i sali grazie all’applicazione di un campo elettrico
(i sali sono infatti disciolti nell’acqua in forma ionica) tra membrane semi-permeabili al
flusso degli ioni positivi o negativi. Nella distillazione si porta l’acqua all’ebollizione
promuovendo l’allontanamento dei soluti volatili e successivamente la si condensa per
riportarla di nuovo in forma liquida ma senza impurezze.
- PURIFICAZIONE CHIMICA: attraverso l’uso di resine a scambio ionico di tipo cationico o
anionico (più successiva rigenerazione delle stesse), l’aggiunta di calce e soda (che reagendo
con i bicarbonati solubili formano carbonati insolubili che vengono poi rimossi con appositi
filtri) e il trattamento con cloro (per eliminare i microrganismi).
Una volta poi che l’acqua ha ottenuto il desiderato grado di purificazione (con il quale si elimina
praticamente la possibilità di formazione di incrostazioni e fouling), si aggiungono gli inibitori di
corrosione e i biocidi; l’acqua infatti rimane pur sempre un mezzo aggressivo per i materiali del
circuito di raffreddamento che viene così tutelato anche da eventuali contaminazioni del sistema
(come infiltrazioni d’aria dai giunti di collegamento delle tubazioni).
I più comuni inibitori usati sono i cromati (ma solo in piccole concentrazioni per la tossicità), i
nitriti, i molibdati, gli inibitori organici filmanti (che però possono contribuire alla proliferazione
microbiologica perché molti microbi li usano come cibo) e i sali di zinco o magnesio; tra i biocidi
sono usati esclusivamente quelli non ossidanti, per fornire un attacco più mirato evitando
l’interazione con le altre sostanze presenti in soluzione.
101
SISTEMI APERTI
VANTAGGI: SVANTAGGI:
L’acqua viene riciclata al 98 % Elevato costo di installazione
È l’unico metodo adottabile industrialmente Seri problemi di corrosione, incrostazioni,
per il raffreddamento di grandi quantità di fouling e contaminazione microbiologica
fluidi dove non ci siano grandi disponibilità Inquinamento ambientale
di acqua Elevato ingombro
102
recirculating l’acqua cede calore all’aria atmosferica in un apposita struttura chiamata torre di
raffreddamento.
103
EP
BD
CR 1
Questa equazione ci fornisce immediatamente la quantità di spurgo da effettuare per mantenere il
sistema ad un rapporto di concentrazione prefissato (CR viene controllato con rapidità attraverso
misure di concentrazione degli ioni Cl- che vengono presi come campioni di riferimento).
La scelta della quantità di acqua da spurgare è centrale all’interno di un impianto di
raffreddamento e deve essere effettuata essenzialmente su basi economiche; infatti l’aumento
dello spurgo e cioè la diminuzione del rapporto di concentrazione, richiede anche un parallelo
aumento dell’acqua di reintegro e quindi dei trattamenti chimici che essa e l’acqua di riciclo
devono subire (più inibitori di corrosione, più biocidi e quindi più costi).
Schema di
circuito open
recirculating
con evidenziati
i flussi entranti
e uscenti
L’adozione dello spurgo risulta efficace per evitare i problemi di incrostazioni, ma non è
sufficiente per risolvere i problemi derivati dalla presenza di microrganismi che, essendo esseri
viventi e non particelle inorganiche, riescono, una volta entrati all’interno del circuito, a stabilirsi
e a proliferare dimostrando estrema adattabilità e versatilità.
Nei sistemi di raffreddamento open recirculating si possono incontrare le seguenti tre classi di
microbi:
1) ALGHE: le alghe sono microscopiche piante contenti clorofilla che sono capaci di convertire
l’energia solare in energia chimica attraverso la fotosintesi clorofilliana (che trasforma la CO 2
dell’aria in biomassa); per questo motivo esse possono vivere solo in presenza della luce del
sole e quindi proliferano solo nel sistema di distribuzione dell’acqua e nella parte alta del
riempimento della torre di raffreddamento. I principali problemi causati dalle alghe sono
essenzialmente legati al fouling in quanto esse sono molto appiccicose e, una volta stabilitesi
nella torre, sono estremamente difficili da rimuovere; in sintesi le alghe causano
un’inefficiente distribuzione dell’acqua di raffreddamento sulla torre (ostruendo i fori che
devono spruzzarla in infinite goccioline) e una disuniformità della fluidodinamica all’interno
del riempimento. Una volta poi che le alghe muoiono, esse possono essere trasportate dal
flusso convettivo nelle tubazioni fino ad arrivare allo scambiatore di calore dove provocano
inevitabilmente problemi di fouling accelerando nel contempo i problemi già esistenti di
104
incrostazioni e di corrosione localizzata (soprattutto microbiologica). Le alghe forniscono
infine una fonte nutriente di sostentamento per gli altri microrganismi, la cui crescita aumenta
sensibilmente in loro presenza. Le alghe sono presenti nel terreno e sono introdotte nella torre
di raffreddamento dal vento, ma non sono rari i casi in cui la contaminazione avviene a causa
dell’acqua di reintegro.
2) FUNGHI: i funghi sono semplici piante microscopiche filamentose senza clorofilla; essi non
si nutrono quindi di energia solare, ma ottengono il cibo dalle piante e dagli animali
attraverso la secrezione di enzimi. Nella torre di raffreddamento la principale fonte di
sostentamento per i funghi è rappresentata dal legno (più propriamente dalla cellulosa del
legno) di cui sono costituiti in genere gran parte del riempimento e del sistema di
distribuzione dell’acqua; i funghi, oltre a provocare i comuni problemi di fouling, causano
quindi anche la rottura dei componenti lignei della torre di raffreddamento che, a seconda del
tipo di attacco subito, possono diventare estremamente fragili, possono sfibrarsi o addirittura
essere forati nell’interno.
3) BATTERI: i batteri sono microrganismi unicellulari che si differenziano in moltissime specie
ma che possono essere schematizzati semplicemente in aerobici e anaerobici.
I batteri aerobici possono vivere solo in presenza di ossigeno; le specie più pericolose presenti
nei sistemi di raffreddamento sono:
- Slime-forming bacteria (letteralmente “batteri che producono melma”): questi tipi di batteri
sono stati trovati dovunque, ma i danni maggiori si rilevano quando si stabiliscono nello
scambiatore di calore dove provocano danni ingenti sia a livello di disturbi della
fluidodinamica, sia a livello di fouling, sia infine come isolanti per lo scambio termico; essi
infatti sono capaci di produrre bio-depositi che, in unione con l’acqua, formano strati sottili
estremamente appiccicosi e limacciosi, i cosiddetti biofilm. Questi ultimi sono anche i siti
preferenziali su cui inizia la nucleazione delle incrostazioni e in generale dei depositi solidi
che causano il fouling e inoltre formano delle zone ristrette tra il biofilm e la parete metallica
prive di ossigeno dove i batteri anaerobici possono prosperare.
- Batteri acido produttori: sono capaci di produrre acidi corrosivi come ad esempio i
tiobacilli che ossidano lo zolfo o i solfuri ad acido solforico.
- Ferrobatteri: ossidano gli ioni Fe2+ (presenti in soluzione a causa ad esempio di semplice
corrosione generalizzata) a Fe3+ che forma prodotti di corrosione molto più voluminosi e
porosi e quindi meno protettivi.
I batteri anaerobici invece possono vivere solo in assenza di ossigeno; prosperano sotto i
biofilm e gli altri depositi solidi provocando forme di corrosione altamente penetrante e
localizzata; la specie più diffusa e pericolosa è quella dei cosiddetti batteri solfato riduttori (es:
desulfovibrio desulfuricans); come dice il nome stesso, questi batteri producono l’energia
metabolica attraverso la riduzione dei solfati presenti in soluzione a solfuri; questa reazione
elettrodica porta a due conseguenze principali: la produzione di solfuri (come il solfuro di
idrogeno, H2S, estremamente corrosivo o i solfuri metallici che, depositandosi, promuovono la
corrosione sotto deposito) e la diminuzione della sovratensione catodica del processo corrosivo
che quindi viene notevolmente accelerato.
Risulta evidente che l’acqua di raffreddamento dei sistemi open recirculating dovrà sempre essere
trattata sia prima dell’impiego, sia durante l’impiego stesso. I trattamenti precedenti all’utilizzo
servono soprattutto per eliminare i sali minerali disciolti e le impurità macroscopiche (e quindi
filtri, griglie e trattamenti alla calce – soda o con resine a scambio ionico); non si applicano in
generale trattamenti troppo sofisticati perché antieconomici (a causa dello spurgo, del reintegro) e
105
in un certo senso inutili, perché il sistema di raffreddamento viene in continuazione contaminato
dal contatto con l’aria.
I veri e propri trattamenti sistematici si operano durante il circolo dell’acqua attraverso l’aggiunta
di numerosi additivi i quali possono essere schematizzati principalmente in:
1) INIBITORI DI CORROSIONE: si impiegano gli inibitori più comuni come i nitriti (anche
se potenzialmente pericolosi perché possono essere ridotti da alcune specie batteriche ad
ammoniaca che provoca la corrosione sotto sforzo dei materiali a base di rame e che reagisce
con il cloro disattivando la sua funzione biocida), i borati, i cromati (ma solo in piccole
concentrazioni per la loro tossicità), i molibdati, i polifosfati (anche se contribuiscono ad
aumentare la durezza dell’acqua), i sali di zinco e gli inibitori organici filmanti.
2) DISPERDENTI E ANTI-INCROSTANTI: si usano in basse quantità oppure non si
aggiungono proprio se come fluido di raffreddamento viene usata un’acqua abbastanza dolce
(con pochi ioni incrostanti Ca2+ e Mg2+). Di solito se possibile si cerca sempre di operare in
condizioni debolmente alcaline (pH = 8 – 9) aggiungendo fosfonati organici per prevenire la
formazione di incrostazioni eccessive.
3) BIOCIDI: si impiegano biocidi ossidanti a base di cloro, bromo o ozono con talvolta
l’aggiunta dei più comuni biocidi non ossidanti per migliorare l’azione dei primi.
L’impiego dei biocidi ossidanti risulta quello applicato più massicciamente tra tutti gli additivi
aggiunti all’acqua di raffreddamento e risulta anche quello più rischioso e problematico; esso
verrà quindi analizzato nello specifico.
dai quali si evince che la stabilità termodinamica di HOCl è fortemente influenzata dal pH
dell’acqua; quantitativamente l’acido ipocloroso può essere presente in quantità apprezzabili solo
per pH < 8 (vedi figura), in quanto a pH maggiori (che
rappresentano condizioni debolmente alcaline), è presente
solo lo ione OCl- che ha proprietà molto meno ossidanti.
Per la scelta della quantità di cloro da somministrare al
circuito bisogna tenere conto che, proprio per il suo forte
potere ossidante, esso reagisce con numerosi composti che
possono essere presenti nell’acqua di raffreddamento; ciò
rappresenta un inconveniente perché in questo modo la
quantità di cloro libero disponibile (free available chlorine:
concentrazione di Cl2, HOCl e OCl-) diminuisce e quindi
molto più cloro deve essere aggiunto rispetto alla quantità
realmente necessaria per neutralizzare i microrganismi.
106
Principalmente il cloro reagisce con l’ammoniaca e derivati (formando cloro-ammine), con gli
ioni ferrosi, gli ioni manganosi, i nitriti (inibitori di corrosione), i solfuri e molte molecole
organiche.
Da non dimenticare l’interazione del cloro con le radiazioni ultraviolette del sole.
Nella pratica industriale non si adopera quasi mai il cloro gassoso ma si preferisce usare
l’ipoclorito di sodio: NaOCl; il cloro presenta infatti numerosi svantaggi:
- È altamente corrosivo soprattutto per gli acciai (provoca pitting) e per il legno;
- È molto volatile (gran parte del cloro viene dissipato nella torre di raffreddamento);
- È pericoloso sia nelle operazioni di stoccaggio, sia in quelle di movimentazione.
NaOCl invece è liquido e quindi è molto più facile da gestire. Esso in acqua si dissocia così:
NaOCl H 2 O HOCl NaOH
Se l’acqua di raffreddamento deve operare a valori di pH > 8, la soluzione migliore è quella di
operare con l’aggiunta di una soluzione di NaOCl \ NaBr.
Ogni buon impianto di raffreddamento deve infine possedere metodi di monitoraggio che diano
informazioni in continuo nel tempo riguardo alla situazione fisica e chimica del circuito; saranno
quindi indispensabili controllori di temperatura, di pressione, di flusso (per misurare la presenza
di fouling o incrostazioni), corrosimetri e particolari apparecchi che possono fornire la
concentrazione nell’acqua di raffreddamento di numerose specie chimiche (come ad esempio gli
ioni cloro per le misure del rapporto di concentrazione).
107
8. PROBLEMATICHE DI CORROSIONE IN CALDAIE E TRATTAMENTI CHIMICO-
FISICI DELL’ACQUA DI ALIMENTO.
Esistono diverse tipologie di caldaie che si diversificano in base alle loro caratteristiche:
- Natura del fluido evaporante: in genere è acqua, ma esistono anche caldaie che impiegano fluidi
diversi.
- Natura del combustibile impiegato: in base alla natura del combustibile impiegato si hanno
caldaie a combustibili solidi (carbone), a combustibili liquidi (nafte),a combustibili gassosi (gas
naturale), miste (sono alimentate da combustibili di natura diversa), a recupero di calore
(producono vapore a spese del calore sensibile di gas caldi ), ad energia termonucleare.
- Disposizione dei percorsi acqua-vapore ed aria-fumi: in base a tale aspetto si distinguono le due
grandi famiglie delle caldaie a tubi di fumo (i prodotti della combustione passano all'interno dei
tubi) e delle caldaie a tubi d'acqua (l'acqua da evaporare passa attraverso i tubi).
- Tipo di scambio termico: fa riferimento al tipo prevalente di scambio termico tra la sorgente
calda (fumi-prodotti di combustione) e il fluido riscaldato (acqua-vapore). Si distinguono
generatori di vapore ad irraggiamento, a convezione e a riscaldamento indiretto.
- Tipo di circolazione: tale classificazione riguarda solo le caldaie a tubi d'acqua e si riferisce alla
modalità di circolazione dell'acqua nei fasci tuberi. Si distinguono le caldaie a circolazione
forzata e quelle a circolazione naturale.
- Pressione di esercizio: si dividono in caldaie subcritiche e supercritiche.
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magnesio (possono essere eliminati perché ad alta temperatura si decompongono a dare carbonati
che precipitano) e della durezza permanente che è dovuta a tutti gli altri sali di Ca ed Mg (sono
principalmente cloruri e solfati).
- Alcalinità Totale: è determinata dalla presenza di ioni in grado di neutralizzare l'acidità
(bicarbonati, carbonati, idrati..) .Una forte alcalinità può provocare corrosione per fragilità
caustica e facilitare la formazione di schiume, con conseguenti trascinamenti di acqua da parte
del vapore.
- Silice: la presenza di silice nei fluidi in caldaia è particolarmente dannosa perché può provocare
incrostazioni molto compatte e coibenti, che sono difficilmente asportabili in quanto subiscono
poco l'attacco degli acidi.
- Ferro e rame: in genere sono presenti in quantità non molto elevate nelle acque gregge: una loro
forte presenza è dovuta a fenomeni di corrosione o erosione delle superfici.
- Sostanze organiche: nelle acque gregge sono sempre presenti, ma una loro eccessiva presenza è
indice di inquinamento delle falde o può essere provocata dall'introduzione di prodotti
condizionanti. Se provenienti da acque inquinate possono provocare acidificazioni, corrosioni,
formazioni di schiume e depositi.
- Ossigeno: è presente naturalmente nelle acque, a 25°C si trova disciolto in tenori di circa
10ppm, la concentrazione è inversamente proporzionale alla temperatura. La presenza di ossigeno
nell'acqua di caldaia deve essere evitata in quanto è la principale causa di corrosione dei circuiti
termici.
- Anidride carbonica: nelle acque gregge è presente in basse quantità, ma si forma
successivamente per decomposizione termica dei bicarbonati presenti nelle acque di
alimentazione. La sua presenza comporta problemi di corrosione perché passa dalla fase vapore
nelle condense come acido carbonico abbassandone il pH e rendendole più aggressive.
- Ammoniaca: la sua presenza nei circuiti termici è elevata perché è usata per innalzare il pH o
può derivare dalla decomposizione termica delle ammine filmanti. In presenza di ossigeno può
provocare fenomeni di corrosione per il rame e le sue leghe, dovuti alla formazione di complessi
cuproammoniacali.
Nell'acqua sussiste un equilibrio tra carbonati e bicarbonati:
CaCO 3 H 2 O CO 2 Ca (HCO 3 ) 2
Se il tenore della anidride carbonica non è sufficiente a stabilizzare i bicarbonati allora l'acqua si
dice incrostante (tende a separare carbonato di calcio), se il tenore di CO2 supera quello
necessario per stabilizzare i bicarbonati allora si dice aggressiva.
Il parametro che indica la tendenza aggressiva o incrostante dell'acqua è l'indice di Langelier:
IL = pH - pHs
dove pH indica il pH dell'acqua mentre pHs è il pH di saturazione, cioè quello per cui si realizza
l'equilibrio tra carbonati e bicarbonati.
109
b. Schiumeggiamento , il cui verificarsi può causare problemi alle turbinae, la formazione di
incrostazioni e l'innesco di fenomeni corrosivi;
c. Corrosione
8.2. Incrostazioni
Sono causate dalla presenza di sali poco solubili (anche alle basse temperature) e dal fenomeno
dell'hide-out che porta alla precipitazione di sali solubili. Tale fenomeno è dovuto al fatto che la
solubilità dei sali diminuisce all'aumentare della temperatura e che vicino alla superficie di
evaporazione avviene una concentrazione di soluto che può portare localmente in condizioni di
sovrasaturazione.
Tale concentrazione è dovuta al fatto che, mentre nell'ebollizione normale il continuo allontanarsi
di bollicine di vapore favorisce un rimescolamento, quando c'è un'elevata differenza di
temperatura tra superficie e fumi caldi della combustione, lo spazio di una bolla viene subito
occupato da un'altra portando alla formazione di uno strato di vapore.
L'hide out si manifesta con la comparsa, durante il funzionamento, di incrostazioni che durante i
periodi di fermata si sciolgono visto che si ritorna a temperature molto più basse.
Gli effetti delle incrostazioni dipendono dalla loro natura, dal loro spessore e dalla porosità ma
tutti rappresentano una resistenza in più allo scambio termico e possono causare il
surriscaldamento del metallo fino a portarlo in condizioni in cui non sono più garantite le
caratteristiche di resistenza meccanica volute.
Si riportano di seguito i sali che solitamente danno origine ad incrostazioni in caldaia.
Il carbonato di calcio è il sale presente in maggiore quantità, è dovuto alla decomposizione
termica del bicarbonato di calcio
Ca(HCO3)2 = CaCO3 + H2O + CO2
Il silicato di calcio alle alte temperature (intorno ai 290°C) diventa meno solubile del carbonato
di calcio.
Il solfato di calcio è più solubile dei precedenti ma anche questo alle alte temperature precipita
dando depositi che aderiscono fortemente alle superfici.
110
Le incrostazioni dovute alla presenza di SiO2 (principalmente silicati di calcio e magnesio) hanno
una conducibilità termica particolarmente bassa, sono molto compatte e difficili da eliminare,
inoltre, poichè la silice è solubile nel vapore, può dar luogo anche a incrostazioni molto dannose
sui surriscaldatori e sulle palette delle turbine. Aumentando il pH si riesce ad aumentare la
solubilità e a diminuire la quantità di silice che va nel vapore.
Nel condensato sono presenti sali e ossidi di ferro dovuti a fenomeni corrosivi, questo precipita in
caldaia come ossido idrato.
Il rame, anch'esso proveniente da processi corrosivi, si riduce a rame metallico se l'ambiente è
riducente mentre dà luogo alla corrosione della caldaia altrimenti a causa della seguente reazione
di spostamento:
Fe + Cu++ = Fe++ + Cu
8.3. Schiumeggiamenti
Durante la vaporizzazione in caldaia è inevitabile che una seppur piccola quantità di acqua
liquida insieme ai sali in essa disciolti venga trascinata con il vapore e se si verificano fenomeni
di schiumeggiamento tale quantità può aumentare, causando notevoli problemi che vanno dalla
corrosione e erosione delle linee di utilizzo del vapore. Nel caso in cui il vapore vada in turbina,
le particelle d'acqua provocano gravi processi erosivi sia sulle palette che sulle superfici interne
ed i depositi dei sali ne riducono il rendimento; nei fasci surriscaldatori i depositi ostacolano lo
scambio termico determinandone il surriscaldamento che può portare anche allo scoppio.
Per evitare questi pericoli bisogna limitare i trascinamenti e limitare la quantità di sali presenti
nell'acqua. Per impedire lo schiumeggiamento si utilizzano prodotti che agiscono sulla tensione
111
superficiale dell'acqua nella zona di ebollizione e che siano termostabili e attivi ad elevati valori
di pH, per questo si adoperano poliesteri, alcooli, amidi e prodotti a base siliconica.
Se sono presenti sostanze grasse, reagendo con la soda caustica che è sempre presente, si
generano saponi molto schiumogeni e bisogna per questo eliminarle. Nel caso di caldaie a tubi di
fumo si può alimentare temporaneamente acqua greggia aggiungendo prodotti condizionanti di
tipo disperdente, così precipitano i sali di calcio e magnesio inglobando le sostanze grasse, poi i
depositi saranno allontanati tramite gli spurghi.
Negli zuccherifici si alimenta in caldaia vapore condensato che può avere disciolte sostanze
zuccherine le quali, per decomposizione termica, danno sostanze organiche a carattere acido
dotate di notevole schiumosità. Questo può causare l'abbassamento del pH fino a valori tali per i
quali si ha la distruzione dello strato di magnetite e l'innesco di processi corrosivi molto veloci,
mentre il forte schiumeggiamento porta i problemi descritti in precedenza.
Per risolvere questo problema si usano degli alcalinizzanti inorganici specifici a base di idrato
sodico e antischiuma termostabili in modo da riportare il pH sopra 9 controllando
contemporaneamente lo schiumeggiamento.
112
La presenza di ossigeno causa due forme di corrosione: la corrosione per aerazione differenziale
e la corrosione per turbolenza e abrasione, per entrambe l'azione corrosiva inizia durante un
periodo di arresto (nei quali il tenore di ossigeno è superiore) mentre la propagazione si ha anche
quando la caldaia è in funzione (ovviamente per la corrosione per turbolenza e abrasione
precedentemente deve essere avvenuta un'azione meccanica durante il funzionamento che ha
scalfito l'ossido).
La corrosione per aerazione differenziale o sotto deposito si ha quando ci sono zone in cui
l'ossigeno arriva meno che in altre, comporta la formazione di pustole sotto le quali procede una
corrosione molto penetrante che può perforare le tubazioni.
È favorita dalla presenza di ioni cloruro (hanno un effetto peptizzante sullo strato di idrossidi di
ferro che viene distrutto) e ipoclorito mentre è ostacolata dalla presenza di ioni ossidrile, cromato,
nitrato, silicato.
All'interno della cella si crea un ambiente acido che impedisce la precipitazione di ossidi e
idrossidi che ostacolerebbero la corrosione mentre esternamente l'ossigeno si riduce a ioni
ossidrile aumentando il pH quindi la superficie esterna non si corrode.
Se la soluzione aggressiva che c'è dentro la cella occlusa esce fuori, si formerà una fila di crateri
in corrispondenza dei punti bagnati da tale soluzione, nel caso di parete verticale saranno uno
sotto l'altro.
La corrosione per turbolenza e abrasione si ha quando la velocità di flusso supera i 10m/s e il pH
non è molto elevato: dipende in minor misura dalla durezza del metallo piuttosto che dalle
caratteristiche chimiche dell'acqua. Per evitarla bisogna aumentare il pH utilizzando basi forti
(per la presenza degli idrossidi di ferro le basi deboli rimarrebbero indissociate).
L'anidride carbonica deriva dalla dissociazione termica del bicarbonato di calcio
Essendo un gas, passa nel circuito di utilizzazione del vapore dove si scioglie nella condensa
come acido carbonico abbassandone il pH e rendendola aggressiva nei confronti delle superfici
metalliche (la velocità di corrosione diventa molto elevata già per pH=5) .La reazione che
avviene è la seguente:
Fe + 2 H+ = Fe++ + H2
Quindi si forma carbonato ferroso che reagisce con l'ossigeno nell'acqua per dare idrossido
ferrico.
Il seguente grafico mostra la velocità di corrosione del ferro da parte dell'anidride carbonica a
vari valori di pH. Mentre fino a pH=7 è praticamente nulla,diventa elevatissima a pH<5.
La figura seguente mostra come sia sufficiente una piccola quantità di CO2 per abbassare il pH
sotto 6 ed indurre così una corrosione molto veloce.
113
pericolosa perché è possibile non accorgersene da una normale ispezione e si sviluppa
rapidamente. Considerando le temperature a cui lavora la caldaia (anche intorno ai 300°C) e il
fatto che si ha a che fare con acciaio e leghe di rame, si vede che per avere garantita una bassa
velocità di corrosione bisogna che il pH dell'acqua sia compreso tra 9 e 11.
Si avrà un pH minore se nell'acqua utilizzata ci sono sali di magnesio, cha acidificano secondo la
reazione d'idrolisi:
Se ci sono depositi porosi come quelli di ferro e rame, a contatto con la caldaia si può creare un
ambiente ancora più acido (si formano sacche di acidità).
114
Per la presenza dell'ambiente acido si innesca un processo di corrosione localizzato che porta alla
formazione di FeCl2 e magnetite di tipo poroso che provoca il distacco dello strato protettivo di
magnetite compatta, quindi l'acciaio arriva a contatto con l'acqua dove il cloruro ferroso si
idrolizza acidificando ulteriormente. Perciò si crea un ambiente localmente molto aggressivo che
porta ad una corrosione piuttosto veloce.
Se invece il pH diventa molto basico allora lo strato protettivo di magnetite non risulta molto
compatto e gli ossidrili riescono a passare attraverso le sue porosità e raggiungere l'acciaio.
La presenza di soda caustica porta a fenomeni corrosivi
2NaOH + Fe = Na2FeO2 + H2
Viste le alte temperature e pressioni a cui si lavora si possono avere fenomeni di attacco da
idrogeno, l'idrogeno atomico diffonde nel reticolo cristallino formando metano con conseguente
decarburazione della zona circostante. Questo causa un peggioramento delle caratteristiche
meccaniche dell'acciaio e, a causa della elevata pressione, ci può essere un cedimento fragile.
Anche disomogeneità presenti sulla superficie vaporizzante possono provocare corrosione perché
determinano punti preferenziali di vaporizzazione dove si instaurano concentrazioni saline
elevate.
* Tensocorrosione.
115
8.5. Trattamenti sulle acque di reintegro utilizzate nei circuiti termici.
I metodi impiegati per evitare o limitare l'insorgenza di fenomeni corrosivi si basano soprattutto
sul trattamento delle acque di reintegro in caldaia. Si riporta una breve descrizione dei metodi più
comunemente utilizzati.
1. Chiarificazione: è usata per la rimozione di sostanze sospese nell'acqua, che avviene per
decantazione o flocculazione.Quando le particelle disperse sono assai grandi (d>10 microns)
precipitano per effetto della gravità, altrimenti la loro precipitazione deve essere indotta mediante
l'aggiunta di opportuni coagulanti. Tale tecnica è quella che si adotta per le particelle colloidali:
hanno un peso molto basso e sono cariche, perciò non possono aggregarsi per formare un corpo
più pesante. Per promuovere la precipitazione si aggiungono coagulanti: sostanze capaci di
cedere uno ione di carica positiva che, neutralizzando la carica del colloide ne permettono
l'aggregazione e la precipitazione.Talvolta si aggiungono anche flocculanti, sostanze costituite da
lunghe catene polimeriche contenenti numerosi gruppi funzionali attivati impartendogli cariche:
su tali siti aderiscono le particelle colloidali per dare origine a fiocchi pesanti, che precipitano per
decantazione.
116
3. Osmosi inversa: L'osmosi diretta è un fenomeno che si verifica quando due soluzioni saline a
diversa concentrazione sono poste a contatto attraverso una membrana semipermeabile (consente
il passaggio dell'acqua ma non dei sali disciolti) e consiste nel passaggio dell'acqua dalla
soluzione più diluita A a quella più concentrata B. Tale passaggio determina un innalzamento del
livello di B: il valore della pressione idrostatica corrispondente all'aumento di livello indica la
pressione osmotica. L'osmosi inversa consiste nel passaggio dell'acqua dalla soluzione più
concentrata B a quella più diluita A: tale passaggio si può indurre sottoponendo la soluzione B ad
una pressione maggiore della pressione osmotica. Il processo di purificazione che sfrutta l'osmosi
inversa è molto efficace: possono essere trattenute particelle e colloidi fino a 3micron, ma per
non intasare la membrana in genere si esegue prima una filtrazione che elimini le particelle più
grossolane.
117
può comportare problemi se l'acqua da trattare ha un'elevata durezza; infatti i carbonati di Na che
si formano possono, per decomposizione in caldaia, dare origine a CO2 , estremamente corrosiva.
Inoltre si può verificare una parziale idrolisi del carbonato sodico con conseguente formazione di
NaOH, che va estratta per mantenere i valori di alcalinità desiderati.
- Decarbonatazione e addolcimento: questo trattamento consta di 3 stadi:
a. Colonna a resina carbossilica: tali resine sono selettive nei confronti dei bicarbonato, nel
senso che scambiano con l'H+ solo i cationi legati all'anione bicarbonato. In questo stadio
avviene tale scambio e si forma acido carbonico.
2R – COOH + Ca(HCO3)2 = (R-COO)2Ca + 2H2CO3
c. Colonna a resina cationica:in tale stadio i sali residui di Ca e Mg vengono trasformati nei
corrispondenti sali sodici.
118
Grazie a tali ammine, quando il condensato con l'anidride carbonica neutralizzata passa nei
degasatori termici, la CO2 viene rilasciata mentre l'ammina rimane nella fase liquida.
A temperature minori di 100°C questa reazione diventa troppo lenta allora si rende necessario
l'utilizzo di appositi catalizzatori.
Poiché si vede dalla stechiometria di reazione che servono circa 8g di solfito per un grammo di
ossigeno, allora è evidente come alla fine si otterranno elevate quantità di solfato con
conseguente forte aumento di salinità che non è accettabile nelle caldaie moderne.
Inoltre in certe particolari condizioni di temperatura e pressione il solfito può liberare anidride
solforosa che si comporta in modo molto simile all'anidride carbonica.
L'idrazina serve sia per la deossigenazione che per la neutralizzazione della CO2 , infatti si mette
in eccesso rispetto all'ossigeno (di 2 o 3 volte rispetto allo stechiometrico) in modo che dia
N2H4 + O2 = N2 + 2H2O
2N2H4 = 2NH3 + N2 + H2
con l'idrazina non si ha l'aumento di salinità che c'è con il solfito, anche in questo caso si devono
usare dei catalizzatori per avere elevata velocità di deossigenazione anche alle basse temperature.
119
L'ammoniaca prodotta serve per neutralizzare l'anidride carbonica ma, avendo una elevata
volatilità, nelle tubazioni in cui si ha la fase vapore in equilibrio con quella liquida, l'NH 3 rimane
prevalentemente in fase vapore mentre la CO 2 si trova in fase liquida come acido carbonico e non
viene neutralizzata.
Per questo spesso nelle tubazioni delle linee di ritorno del condensato la parte inferiore (a
contatto con il liquido) è corrosa mentre quella in corrispondenza del vapore è integra (si nota tra
le due una differenza di spessore).
Se sono presenti superfici in rame o di sue leghe, l'ammoniaca insieme all'ossigeno provoca la
loro corrosione (si formano complessi cuproammoniacali) e questo può succedere nei momenti di
arresto della caldaia.
L'idrazina è stata classificata dall'American Conference of Governmental Industrial Hygienists tra
le sostanze sospette di attività cancinogenica per l'uomo.
Il solfito sodico e la idrazina sono stati molto usati ma ora si cerca di sostituirli con altri visti i
problemi che presentano.
L'acido ascorbico presenta l'effetto deossigenante desiderato ma la velocità non è molto elevata,
inoltre non è volatile: utilizzando i suoi sali di ammonio questi idrolizzandosi liberano
ammoniaca e si ottiene l'alcalinizzazione di vapore e condense (con i problemi detti in
precedenza per l'NH3), ma occorre utilizzare un alcalinizzante non volatile per non fare abbassare
il pH dell'acqua in caldaia.
Il prodotto si decompone termicamente sopra i 150°C e per questo non si può utilizzare per
caldaie che lavorino sopra i 20bar, inoltre in particolari condizioni può dare luogo a fenomeni
corrosivi.
L'acido ascorbico e tutti i prodotti di decomposizione non sono tossici.
La carboidrazide non è cancerogena ma presenta caratteristiche tossicologiche simili all'idrazina,
in caldaia si decompone a dare N2H4 tra i 50°C e i 170°C , la velocità di deossigenazione è
piuttosto bassa .
La dietilidrossilammina (DEHA) anche se ha una buona volatilità e un discreto potere
alcalinizzante, viene commercializzata con ammine volatili per assicurare l'alcalinizzazione delle
linee di utilizzo vapore e recupero condensa.
Non è tossica, è molto termostabile e offre una buona velocità di deossigenazione.
L'idrochinone è nocivo e può causare modificazioni genetiche, viene commercializzato con
ammine volatili alcalinizzanti dato che non possiede caratteristiche alcalinizzanti e insieme ad
alcalinizzanti non volatili perché, a causa dell'idrolisi del prodotto, causerebbe un abbassamento
del pH dell'acqua di caldaia.
In ambiente alcalino la reazione di deossigenazione ha una buona velocità anche a basse
temperature, non si utilizza sopra gli 85bar perché si decompone termicamente.
L'idrochinone colora sensibilmente l'acqua di caldaia ostacolando i controlli analitici su questa,
inoltre non esiste nessun metodo di controllo efficace della sua concentrazione nei cicli termici.
Si utilizza anche un derivato della etanolammina insieme a catalizzatori e ammine alcalinizzanti
volatili che risulta avere elevate velocità di deossigenazione anche a basse temperature e ha una
buona termostabilità.
I derivati della etanolammina non presentano tossicità.
Il metiletilchetossima presenta effetto riducente solo sopra gli 80°C (la velocità di reazione
rimane però sempre bassa), questa in caldaia produce radicali acidi che passano anche nel vapore,
perciò si utilizza insieme a alcalinizzanti inorganici per mantenere sufficientemente basica l'acqua
di caldaia e con alcalinizzanti volatili per neutralizzare gli acidi passati nel vapore.
Non è tossico ma sembra essere cancerogeno e capace di provocare mutazioni genetiche.
120
I tannini sono stati precedentemente indicati come antincrostanti per caldaie a media e bassa
pressione ma svolgono anche un'azione protettiva contro i fenomeni corrosivi dato che si legano
agli ioni ferro dando film termicamente stabili.
Non sono dei veri e propri deossigenanti ma lo possono diventare se sottoposti a processi di
solfitizzazione, in questo modo però si produrrebbe un aumento di salinità, inoltre la reazione con
l'ossigeno avviene solo per pH superiori a 10.
I tannini si decompongono sopra i 200°C allora sono utilizzabili solo per caldaie che lavorano a
pressioni non superiori a 20bar , non sono tossici.
Si utilizzano anche ammine con caratteristiche filmanti però lo strato protettivo certe volte
presenta forti disomogeneità di spessore e allora ci sono problemi nello scambio termico dove lo
spessore è maggiore e fenomeni corrosivi dove è assente.
Inoltre possono essere impiegate solo per caldaie a bassa pressione perché, se si degradano, i
prodotti possono accumularsi sulle superfici di vaporizzazione, se le superfici sono ossidate
questi possono staccarsi e andare ad intasare valvole, tubazioni di piccolo diametro, etc...
Ultimamente vengono adoperate poliammine alifatiche filmanti di natura grassa che formano film
monomolecolari molto stabili che impediscono il contatto diretto tra liquido e metallo senza
ostacolare lo scambio termico, sono particolarmente utili negli impianti con funzionamento
intermittente.
Inoltre passano anche nel vapore anche alle basse pressioni proteggendo quindi tutto il circuito.
Non sono utilizzabili dove c'è vapore surriscaldato e il film ha difficoltà a formarsi in caso di
eccessiva turbolenza, grandi velocità di flusso, elevata salinità, e in presenza di sostanze in
sospensione, di acidi o olii o grassi.
Il vantaggio delle ammine filmanti è che il dosaggio non dipende dalla concentrazione di
sostanze corrosive (di solito bastano 1-2mg/kg).
121
Questo fenomeno ha luogo nei tubi bollitori delle moderne caldaie a tubi d'acqua dentro le quali
l'acqua passa a vapore e il fango, non essendo più immerso nel liquido, perde la consistenza
melmosa e aderisce alle pareti costituendo incrostazioni dure e compatte che fanno aumentare le
perdite di carico e ostacolano lo scambio termico favorendo fenomeni di surriscaldamento
localizzato.
Tale problema si verifica soprattutto se l'acqua è molto dura e quindi c'è una elevata
concentrazione di ioni calcio e magnesio da abbattere che porterà ad avere grandi quantità di
fanghi.
Anche se l'acqua ha una bassa durezza questo condizionante causa comunque problemi perché
può dare luogo al fenomeno dell'hide-out (il fosfato scompare quando la caldaia è in funzione e
ricompare durante la fermata).
Questo è causato dal fatto che il fosfato trisodico ha la massima solubilità a120°C e oltre i 200°C
diminuisce rapidamente, e per l'effetto di concentrazione che si ha vicino alle superfici
vaporizzanti (dovuto al fatto che ciò che evapora è acqua pura)
L'hide-out ostacola lo scambio termico determinando un surriscaldamento dei tubi bollitori nelle
zone a maggiore sollecitazione termica
Inoltre Na3PO4 è altamente schiumogeno e può portare a fenomeni di ebollizione tumultuosa che
causano il trascinamento di acqua di caldaia insieme al vapore.
Visti i problemi che porta, le normative attuali pongono un limite massimo alle concentrazioni in
caldaia di fosfato.
Si preferisce utilizzare composti organici come i derivati della lignina, gli alginati e i tannini che
hanno grosse molecole di natura colloidale a forte attività superficiale di assorbimento insieme a
sostanze in grado di bloccare lo schiumeggiamento.
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In questo modo precipitano fanghi leggeri non aggregabili che possono essere allontanati dagli
spurghi e inoltre questi condizionanti sono in grado di provocare la disgregazione di depositi già
esistenti grazie al fatto che le molecole colloidali si infiltrano nelle porosità delle incrostazioni.
Non hanno effetti secondari nocivi quindi possono essere utilizzati in grande quantità.
Alcuni provocano la precipitazione anche della silice.
I condizionanti solubilizzanti e stabilizzanti più usati sono i poliacrilati (resistono particolarmente
bene alle alte temperature ma se sono utilizzati in quantità eccessive possono dare origine a
poliacrilati di calcio insolubili), i fosfonati e i policarbossilati (hanno un elevato potere
complessante cioè la quantità di ioni calcio e magnesio che il prodotto è in grado di rendere
solubile è grande rispetto agli altri).
Questi prodotti presentano un elevato potere disperdente cioè, anche se il sale dovesse
precipitare, il precipitato rimarrebbe estremamente disperso, importante per questo tipo di
condizionanti è la stabilità termica, il potere complessante e il peso molecolare (in genere è tra
1000 e 3000).
I polimeri stabilizzanti presentati fino a qui hanno effetti positivi sui fenomeni corrosivi dato che
migliorano le caratteristiche dello strato protettivo di magnetite che diventa più stabile e la sua
cicatrizzazione più rapida.
Possono anche essere utilizzati prodotti chelanti cioè composti chimici che formano un
complesso stabile e solubile con gli ioni metallici (però non complessano atomi allo stato
metallico) come l'EDTA (sale sodico dell'acido etilendiammino-tetracetico).
Ci sono delle limitazioni al loro utilizzo dovute al fatto che se il pH è molto alto gli ioni da
complessare precipitano rendendo inutile il loro utilizzo, inoltre i chelanti non hanno una buona
stabilità termica. Sono facilmente ossidabili e per questo sono utilizzabili solo se è stata fatta una
totale deossigenazione dell'acqua altrimenti possono accelerare i processi corrosivi perché
asportano i prodotti della corrosione.
I prodotti di tipo deossigenante devono essere immessi a valle del degasatore in modo da non
dover eliminare per via chimica ciò che si può eliminare per via fisica, se non c'è allora si
immetterà nel punto di massima temperatura in modo che la velocità di reazione sia maggiore
possibile.
I condizionanti devono essere immessi il più a monte possibile per favorire l'intima miscelazione
con l'acqua e proteggere una maggiore porzione del circuito.
I condizionanti, oltre che dalla tubazione o dal serbatoio di alimento e dal generatore di vapore,
possono essere immessi anche nelle linee del vapore o del condensato se è necessario per poter
proteggere particolari zone del circuito.
Tali composti devono raggiungere rapidamente la concentrazione desiderata in tutta la tubazione
e per questo si può utilizzare un ugello eiettore contro corrente.
Ogni prodotto deve avere un serbatoio di stoccaggio, occorrerà un sistema di agitazione per
diluirlo e il suo volume deve garantire l'alimentazione del sistema di dosaggio per almeno un
giorno di funzionamento.
Il dosaggio deve essere effettuato mediante pompe dosatrici (come indicato dalla norma CTI UNI
7550) che assicurano una regolazione precisa delle quantità e un dosaggio realizzato in maniera
continua.
Si deve installare una pompa per ogni reagente, ognuna deve funzionare ad una pressione
maggiore di quella esistente nel punto di iniezione, deve avere una valvola di sicurezza e deve
123
garantire una portata massima che assicuri la concentrazione di condizionante voluta anche se la
portata di fluido da condizionare è del 50% maggiore di quella nominale.
Infine la regolazione della portata deve essere ottenibile facilmente.
Si utilizzano pompe a pistone per dosaggi in continuo a tutte le portate e pressioni, la portata è
modificata variando la corsa del pistone.
Le pompe a membrana sono simili alle precedenti ma in queste il pistone non viene a contatto
con il liquido che è contenuto in un cuscino elastico, per questo sono utilizzate per prodotti molto
viscosi.
Le pompe a controllo elettronico sono costituite da un circuito elettronico che manda degli
impulsi ad un diaframma che, attraverso un tubo di piccola sezione, inietta il prodotto.
Nelle pompe peristaltiche il moto del fluido è ottenuto comprimendo il tubo elastico mediante
rulli, queste pompe operano a temperatura ambiente con piccole prevalenze e hanno il vantaggio
di richiedere una manutenzione limitata.
Per limitare o evitare problemi di corrosione è essenziale un adeguato trattamento delle superfici,
volto ad eliminare eventuali depositi superficiali e a ripristinare le condizioni di protezione delle
superfici. I trattamenti da eseguire sono diversi a seconda che si abbia una caldaia nuova o non
nuova.
* Lavaggi di caldaie nuove: Tali lavaggi sono indispensabili in quanto in una caldaia nuova
possono essere presenti depositi superficiali di varia natura: residui di olii, grassi, scarti di
lavorazione (rimasti a seguito delle lavorazioni subite dalle superfici) o ossidi metallici (che si
possono essere formati a seguito di una inadeguata conservazione della caldaia prima della messa
in opera, ad esempio a seguito di una prova idraulica con acqua greggia non seguita da
essiccamento). La procedura prevede un pretrattamento alcalino, seguito da un trattamento acido
e da una passivazione finale. Il lavaggio alcalino viene effettuato con prodotti specifici, ad una
pressione dipendente dalla pressione di esercizio della caldaia e con una durata che può variare da
24 a 48 ore.
* Lavaggi e decapaggi acidi di caldaie non nuove: Tali lavaggi vengono effettuati per rimuovere
depositi od ossidi formatisi in caldaia. Per l'esecuzione dei lavaggi si usano soluzioni acide inibite
con opportuni inibitori di corrosione. La temperatura cui eseguire il trattamento dipende
dall'acido impiegato e dalla stabilità dell'inibitore. Quando si devono eliminare depositi di sali
incrostanti è opportuno eseguire un preliminare trattamento alcalino: infatti solo i depositi
costituiti da carbonato di calcio e magnesio sono facilmente asportati con acidi, ma depositi di
solfati, silicati,ecc..non si disgregano con l'acido senza pretrattamento alcalino. Dopo il lavaggio
acido si esegue la neutralizzazione, con una soluzione contenente prodotti alcalinizzanti, e la
passivazione immettendo in caldaia una soluzione acquosa di ammine filmanti e riducenti. Tale
trattamento consente la formazione di uno strato di magnetite assai spesso, aderente e dunque in
grado di proteggere da corrosione.
124
In tutti gli impianti si verificano, più o meno frequentemente, periodi di fermata programmati
oppure dovuti ad imprevisti: in tutti questi casi è importante adottare opportuni provvedimenti
per proteggere la caldaia da attacchi corrosivi. Infatti nel periodo in cui la caldaia è ferma l'acqua
contenuta si raffredda, con conseguente aumento della solubilità dell'ossigeno: se non vengono
adottati opportuni provvedimenti le superfici della caldaia saranno sottoposte all'inevitabile
fenomeno di ossidazione ad opera dell'ossigeno sciolto nell'acqua.
Per la protezione della caldaia nei periodi di inattività si può adottare uno dei seguenti metodi:
- Protezione a secco.
- Protezione ad umido.
Protezione a secco: Tale metodo consiste nello svuotamento dell'impianto, con successiva
eliminazione dell'umidità residua e conservazione dell'impianto in presenza di aria secca. Se si
utilizza tale metodo bisogna accertarsi che la caldaia rimanga effettivamente secca: infatti per
l'instaurarsi di processi corrosivi basta una piccolo film di acqua, che può formarsi anche per
valori di umidità molto bassi (negli interstizi capillari delle superfici porose l'acqua condensa per
tensioni di vapore più basse).
La normativa tedesca V.G.B. indica le condizioni da soddisfare per avere una buona protezione a
secco:
a. Mantenere all'interno dell'impianto una umidità relativa inferiore al 50%.
b. Evitare che prodotti igroscopici usati per seccare l'aria rimangano a contatto con la superficie
della caldaia.
c. Eliminare anche l'acqua che rimane nelle parti non drenabili dell'impianto.
d. Evitare la condensazione dell'umidità residua dell'aria, mantenendo le superfici da proteggere
ad una temperatura tale da non raggiungere mai il punto di rugiada.
Per effettuare la protezione a secco di una caldaia bisogna effettuare le seguenti operazioni:
Un altro metodo, che si può usare sia per la conservazione a secco che per quella ad umido,
prevede lo svuotamento dell'impianto e il successivo riempimento con una soluzione contenente
sostanze filmanti (ammine o poliammine alifatiche). Sulle superfici metalliche, a seguito
dell'introduzione della soluzione filmante, rimane un film protettivo assai stabile e le eventuali
zone non drenabili rimangono protette dalla soluzione filmante residua. All'avviamento dopo la
fermata è sufficiente, per eliminare lo strato filmante, far fluire acqua demineralizzata o di
condensa contenente una adeguata quantità di prodotto condizionante riducente.
Protezione ad umido: Questo metodo consiste nel conservare l'impianto riempito di acqua:
l'acqua usata per riempire l'impianto deve avere particolari caratteristiche che impediscono
l'instaurarsi dei processi corrosivi.
L'acqua di riempimento deve essere infatti demineralizzata, esente da ossigeno e addizionata con
reagenti chimici riducenti ,alcalinizzanti, passivanti o filmanti.
125
Per assicurare una completa deossigenazione, oltre all'introduzione di agenti chimici
deossigenanti è opportuno effettuare il riempimento a caldo ( o scaldare subito dopo). Se non si
ha a disposizione acqua sufficientemente pura è opportuno aggiungere agenti alcalinizzanti per
mantenere il pH a valori intorno a 11, per assicurare l'effettiva passivazione delle superfici ( gli
ioni, in particolare Cl-, hanno effetto depassivante).
8.11. Progettazione del sistema di controllo: punti di controllo e metodi di prelievo dei
campioni:
In un circuito termico è necessario controllare alcuni parametri chimici dei fluidi circolanti al fine
di evitare l'insorgere di fenomeni di tipo incrostante o corrosivo. A tal fine la NORMA CTI UNI
7550 riporta i parametri chimici da tenere sotto controllo nelle acque di alimentazione e di
caldaia. Comunque è opportuno estendere il controllo anche ad altri fluidi circolanti nel circuito,
per evidenziare l'insorgere di anomalie e localizzare subito i punti dove sono sorte. Da ciò nasce
l'esigenza di scegliere i parametri più significativi e progettare al meglio il sistema di controllo:la
norma indica quali sono i punti in cui è opportuno fare un controllo del fluido circolante.
* Punti di controllo: Nella figura seguente è schematizzato un circuito termico e sono riportati i
punti dove occorre un controllo del fluido. In seguito a particolari necessità il controllo può
essere esteso anche ad altri parametri. Come regola generale è importante effettuare il controllo in
ogni stadio di un impianto costituito da più stadi operativi, per avere le informazioni adeguate e
poter identificare subito il punto dove si è verificato il disservizio. La frequenza delle analisi
dipende dalle caratteristiche di esercizio dell'impianto
126
NB: l'acqua di reintegro è presente perché si deve effettuare uno spurgo dell'acqua in caldaia per
evitare che, in seguito alla produzione di vapore, la concentrazione salina raggiunga valori
pericolosi.
* Parametri da controllare:
La NORMA CTI UNI 7550 indica, oltre ai punti dove effettuare il controllo, anche i parametri
che è opportuno controllare per avere indicazioni su possibili disservizi:
Punto 4 X X X
Punto 5 X X X
Punto 6 X X (X) X X X X
Note:
- La determinazione di O2 si può sostituire con la determinazione dell'eccesso di condizionante
deossigenante.
- La durezza dell'acqua depurata va determinata per valutare l'efficienza dell'impianto di
addolcimento.
- Controllare la silice sia nel vapore saturo che in quello surriscaldato serve per evidenziare
eventuali deposizioni nel surriscaldatore.
- Il pH e la conducibilità del vapore possono evidenziare eventuali trascinamenti di acqua di
caldaia.
- La determinazione di Fe e Cu nel condensato serve per evidenziare eventuali fenomeni corrosivi
sulle linee di utilizzo di vapore e di recupero delle condense.
- Misurare i cloruri nell'acqua depurata serve per evidenziare eventuali disservizi delle resine
dopo rigenerazione con NaCl.
127
La NORMA CTI UNI 7550 fornisce anche una indicazione sui valori limite di tali parametri da
mantenere nel circuito,al fine di preservare i materiali e di consentire la gestione economica
dell'impianto. Tali limiti valgono in generale per la gestione normale dell'impianto: possono
essere superati per brevi periodi e possono essere modificati per impianti particolari.
* Metodi di prelievo dei campioni: Nel prelievo dei campioni bisogna adottare alcuni
accorgimenti per impedire contaminazioni del campione, che porterebbero ad una misura falsata.
Si riportano alcune indicazioni da tenere presenti:
- Per il prelievo di campioni omogenei di acqua (punti 1,2,3) bisogna assicurarsi che il campione
fluisca in modo continuo dalla presa. Se ciò non avviene prima di prelevare il campione è
necessario effettuare spurghi al fine di asportare gli eventuali materiali estranei presenti lungo la
linea.
- Per il prelievo di campioni di acqua ad alta temperatura che devono essere inviate ad
apparecchiature di misura in continuo è necessario effettuare un raffreddamento preliminare.
- Per il prelievo di vapore bisogna evitare che si formi condensa nella zona di prelievo o lungo le
tubazioni del sistema di campionamento, perché nella condensa si concentrano i sali provenienti
dal vapore. Tali prelievi si eseguono con particolari sonde.
- Il dispositivo di prelievo non deve inquinare il campione (in genere è in acciaio inox).
- I contenitori per i campioni devono essere di materiale inerte compatibile con il campione (per
esempio di politene) e prima del prelievo devono essere puliti usando lo stesso fluido del
campione.
- Le analisi devono essere effettuate subito dopo il prelievo.
128
129
9. CRITERI DI SCELTA DEI MATERIALI
130
collaudate dall'esperienza, le più importanti delle quali sono:
- piombo ---- soluzioni di acido solforico;
- acciaio --- acido solforico concentrato;
- acciai inox --- soluzioni acido nitrico;
- Monel (66Ni-31Cu) --- acido fluoridrico;
- Hastelloy (Ni-Cr-Mo) --- acido cloridrico;
- alluminio --- atmosfere varie;
- stagno --- acqua distillata e mezzi alimentari
- titanio --- mezzi fortemente ossidanti.
Esistono tuttavia banche dati su cui cercare dati più specifici; le più utilizzate sono:
131
10. PREVENZIONE DELLA CORROSIONE IN SEDE DI PROGETTO
Come visto, la velocità di corrosione dipende dall'entità del lavoro motore disponibile e dalle
resistenze reattive offerte al processo. I metodi di prevenzione/controllo della c. tendono
quindi a modificare tali fattori, in modo da ridurre per quanto possibile l'entità del
danneggiamento ai materiali. Si può:
i) adottare un materiale stabile nell'ambiente considerato;
ii) utilizzare rivestimenti protettivi;
iii) ridurre l'aggressività ambientale (controllo pH, O2, T, condizioni di moto, sollecitazioni, uso
di inibitori);
iv) ricorrere a tecniche di protezione catodica o anodica del materiale.
132
Nella definizione dell'aggressività ambientale, bisogna soprattutto considerare fattori
quali:
- TEMPERATURA
- pH
- COMPOSIZIONE CHIMICA
- TENORE IN OSSIGENO
- PRESENZA DI SOLLECITAZIONI MECCANICHE
In questo paragrafo si intende delineare quali siano i principali campi di applicazione delle
varie classi di materiali di uso ingegneristico, fornendo una guida di consultazione rapida.
Nel seguito si entrarà più nel dettaglio delle caratteristiche resistenziali dei vari materiali sia
in ambienti naturali che industriali.
Sono i materiali più usati grazie al loro basso costo ed alle buone caratteristiche
meccaniche, ampiamente migliorabili mediante trattamenti termici e meccanici. Per avere
un'idea della loro economicità basti pensare che il loro costo è 1/3 dello Zn e Pb, 1/4
dell'Al, 1/10 del Cu, 1/20 del Sn e del Ni, 1/80 del Ti. La loro resistenza alla corrosione è
comunque scarsa, anche in ambiente atmosferico, risultando soddisfacente solo in taluni
ambienti alcalini e in soluzioni concentrate di H 2SO4. L'impiego di questi materiali è
tuttavia possibile ricorrendo a rivestimenti protettivi o imponendo adeguate protezioni
catodiche. Per quanto riguarda il fenomeno della S.C.C. questi materiali ne sono soggetti
soprattutto in presenza di nitrati, carbonati, bicarbonati alcalini e solfuri.
La Ghisa al Silicio di composizione approssimata 0,85% C, 14,5% Si, 0,65% Mn, esibisce
un ottima resistenza agli acidi organici ed inorganici. Tuttavia, essendo difficilmente
133
saldabile si può disporre solo sotto forma di getti. Se l'ambiente contiene cloruri viene
aggiunto un 3% Mo che incrementa la resistenza al pitting.
Le Ghise Austenitiche che contengono il 1436% di Ni e 1,755,5 Cr devono alla loro
struttura austenitica (conferita dal Ni) un'ottima resistenza agli ambienti alcalini, ma anche
ad acido solforico e cloridrico. Questo materiale possiede anche buone caratteristiche
meccaniche e quindi resistenza alla corrosione-erosione. La differenza tra le ghise
austenitiche e le ghise grigie (più comuni) è pressappoco la stessa che tra un acciaio inox
austenitico ed uno dolce al carbonio.
DENOMINAZIONE Cr Fe Ni
Inconel 600 15 7,2 Resto
Inconel 625 22 3 Resto
Inconel 718 19 18 Resto
Incoloy 800 20,5 46 Resto
134
Hastelloy C 15 Resto 54
L'Alluminio deve la sua buona resistenza alla corrosione alla formazione di un film
passivante molto compatto e resistente, anch'esso prodotto in ambienti ossidanti (neutri o
acidi). In ambienti riducenti l'Al viene rapidamente corroso.
Le leghe dell'Al con il Cu (durallumini serie 2000) sebbene abbiano caratteristiche
meccaniche notevoli, subiscono un netto decremento di resistenza alla corrosione dovuto
alla precipitazione della fase secondaria CuAl , catodica rispetto alla matrice; nelle leghe
2
contenenti Mg e Mn invece, precipitano composti anodici rispetto a quest'ultima. Eseguendo
opportuni trattamenti termici o rivestendo con Al puro, anche queste leghe possono essere
impiegate in molti ambienti corrosivi.
Le leghe di rame più importanti sono i Bronzi, gli Ottoni e il Cupronikel. Questi materiali
sono molto utilizzati nelle apparecchiature di scambio termico e resistono bene in qualsiasi
tipo di ambiente (neutro, acido, alcalino), purché vi sia un minimo di areazione e non vi
=
siano specie particolarmente ossidanti (HNO , CrO ) o complessanti (amb. ammoniacale)
3 4
o in grado di reagire direttamente con il rame (H S, S , Hg). La migliore resistenza alla
2 2
corrosione è comunque esibita dai Cupronikel.
11.7. TITANIO
Anche il Ti deve la sua resistenza alla corrosione in ambienti ossidanti alla formazione di
uno strato d'ossido superficiale particolarmente compatto e resistente. In ambienti molto
ossidanti il Ti resiste bene in ambienti anche molto concentrati in cloruri o cloro. In ambienti
riducenti viene utilizzato in lega con piccole percentuali di Palladio.
135
Nel tipo "L" (saldabile) contenuto di C < 0.035% si ha
una minor tendenza alla precipitazione dei carburi.
316. Migliore resistenza alla corrosione del 304 con una
eccezione: agenti ossidanti come acido nitrico.
Ottima resistenza al pitting per effetto della
presenza di Mo (circa 2 %).
Ottimo nei casi (farmaceutica, alimentare) dove non si
desidera contaminazione dei prodotti da parte dei
metalli. Tipo L saldabile.
347. Come 304 con addizione di columbio. Minor corrosione
intergranualre.
321. Come 304 stabilizzato con addizione di titanio.
Minor corrosione intergranulare.
Gli acciai inossidabili lavorano bene anche in contatto con fluidi aerati. In generale
resistono bene alla corrosione da:
- acido nitrico;
- acido solforico diluito a temperatura ambiente;
- quasi tutti gli acidi organici;
- alcali eccetto che a caldo e sotto tensione;
Non resistono a:
- HCl e HF concentrati o diluiti;
- soluzioni di cloruri areata o in presenza di ossidanti;
- acido ossalico, formico o lattico.
Alluminio
136
Rame e sue leghe
137
Titanio. Resiste bene a soluzioni areate di cloruri, cloro umido, acqua regia a freddo. Buona
resistenza HNO anche a temperature elevate. Non resiste ad HF e a composti clorurati
3
secchi.
Zirconio. Buona resistenza alla corrosione per medi ossidanti e riducenti.
Resiste a:
- alcali in tutte le concentrazioni sino al punto
di ebolizzione;
- HCl;
- HNO ;
3
- H SO < 70% (bollente);
2 4
- H PO < 55% (bollente);
3 4
Non resiste a:
- Cl umido;
2
- HF;
- acqua regia;
- acido ossalico bollente.
138
12. MECCANISMI DI CORROSIONE E DATI RESISTENZIALI DELLE PRINCIPALI
CLASSI DI MATERIALI METALLICI.
Sottogruppo I2.
Vengono indicati dalla sigla Fe seguita da una lettera caratterizzante le proprietà particolari
seguita da un numero di due o più cifre (grado di qualità).
Esempio:
Fe P 03 Acciaio per imbutitura, grado di qualità 03.
II GRUPPO.
Sottogruppo II1.
Vengono designati con la lettera C (GC nel caso di acciai per getti) seguita dal tenore di carbonio
moltiplicato per 100 ed eventualmente dal simbolo di un elemento la cui presenza (pur in bassi
tenori) determina proprietà particolari, seguita a volte da una cifra.
Esempio:
C 40 S Acciaio legato con tenore medio di carbonio dello 0.4 % e con tenore minimo di zolfo
garantito.
Sottogruppo II2.
139
Si distinguono in: acciai il cui tenore di ogni elemento di lega è minore del 5 % e acciai il cui
tenore di almeno un elemento è maggiore del 5 %.
I primi vengono designati con una cifra indicante il tenore di carbonio moltiplicata per 100,
seguita dai simboli chimici degli elementi di lega in ordine corrispondente a tenori decrescenti, e
da un numero che corrisponde al prodotto del tenore dell’elemento di lega presente in quantità
maggiore moltiplicato per un fattore convenzionale che è 4 per [Co, Cr, Mn, Ni, Si, W], 10 per
[Al, Be, Cu, Mb, Nb, V, Pb, Ti, Ta], 100 per [N, P, S] e 1000 per [B].
Esempio: 18 Ni Cr 16 Acciaio debolmente legato con tenore medio di carbonio dello 0.18 %,
tenore di Ni di circa il 4 % e tenore di Cr inferiore e imprecisato.
I secondi vengono designati con la lettera X (XG nel caso di acciai per getti) seguita dal tenore di
carbonio moltiplicata per 100, dal simbolo degli elementi di lega caratterizzanti l’acciaio e dai
loro tenori.
Esempio: X10 Cr Ni 18 8 Acciaio legato con tenore medi di carbonio dello 0.1 %, tenore di Cr di
circa il 18 % e tenore di Ni di circa 8 %.
Normativa AISI.
Per gli acciai al carbonio o basso legati: sistema numerico formato da 4 o 5 cifre di cui le prime
due individuano la classe di appartenenza dell’acciaio e le ultime due (o tre) il tenore di carbonio
moltiplicato per 100. In aggiunta si può includere una lettera per indicare il processo di
fabbricazione dell’acciaio.
Esempio 10 30 Acciaio al solo carbonio con tenore di carbonio dello 0.3 %.
Nella tabella seguente sono riportate le designazioni convenzionali degli acciai secondo AISI.
DESIGNAZIONE AISI ELEMENTI DI LEGA
10XX Solo carbonio
11XX Carbonio e zolfo per la lavorabilità
13XX Manganese 1.5 % – 2.0 %
23XX Nichel 3.25 % - 3.75 %
25XX Nichel 4.75 % - 5.25 %
31XX Nichel 1.10 % - 1.40 %, Cromo 0.55 % - 0.90 %
33XX Nichel 3.25 % - 3.75 %, Cromo 1.40 % - 1.75 %
40XX Molibdeno 0.20 % - 0.40 %
41XX Cromo 0.40 % - 1.20 %, Molibdeno 0.08 % - 0.25 %
43XX Ni 1.4 % - 2.0 %, Cr 0.4 % - 0.9 %, Mo 0.20 % - 0.30 %
46XX Nichel 1.4 % - 2.0 %, Molibdeno 0.15 % - 0.30 %
48XX Nichel 3.25 % - 3.75 %, Molibdeno 0.20 % - 0.30 %
51XX Cromo 0.70 % - 1.20 %
61XX Cromo 0.70 % - 1.10 %, Vanadio 0.10 %
81XX Ni 0.2 % - 0.4 %, Cr 0.3 % - 0.55 %, Mo 0.08 % - 0.15%
86XX Ni 0.3 % - 0.7 %, Cr 0.4 % - 0.85 %, Mo 0.08 % - 0.25%
87XX Ni 0.4 % - 0.7 %, Cr 0.4 % - 0.6 %, Mo 0.2 % - 0.3 %
92XX Silicio 1.80 % - 2.20
2XX Inox austenitici al Cr Mn Ni
3XX Inox austenitici al Cr Ni
4XX Inox martensitici o ferritici al Cr
5XX Martensitici a medio tenore di Cr (5 % - 10 %)
XX-X PH Inox indurenti per precipitazione
140
Per finire vediamo la classificazione funzionale.
Secondo tale criterio gli acciai possono essere divisi nei seguenti gruppi:
Acciai da costruzione per uso generale.
1. Di base.
2. Di qualità.
Acciai speciali da costruzione.
1. Da bonifica
2. Da cementazione.
3. Da nitrurazione.
4. Autotempranti.
5. Per molle.
6. Per cuscinetti a rotolamento.
Acciai per utensili.
Acciai inossidabili.
Acciai per usi speciali.
1. Acciai per alte temperature.
2. Acciai per basse temperature.
3. Acciai maraging.
4. Acciai per usi elettrici.
5. Etc.
Effetto della composizione. Nel ciclo produttivo dell'acciaio (forgiatura e laminatura a caldo) si
forma uno spesso film di ossidi sulla superficie (70%FeO, 20% Fe3O4, 10% Fe2O3) affatto
protettivo (si scaglia facilmente), che dev'essere pertanto rimosso per decapaggio acido.
Le aggiunte di elementi di lega abbassano la velocità di corrosione: 0,2%Cu decrementa di 2-3
volte la c. e le aggiunte di C, Mn, Si (per le proprietà meccaniche) pure, anche se in misura molto
minore. Importanti possono essere gli effetti delle lavorazioni meccaniche a freddo, soprattutto
nel favorire il pitting.
141
pulita la ruggine incomincia a formarsi solo per valori dell'umidità relativa superiori ad un certo
valore critico, ma una volta formata può continuare anche a valori ben inferiori, poiché in
atmosfera inquinata possono formarsi sali igroscopici. Importante è l'azione di SO 2 (atm. ind.),
NH4+, Cl- (atm. marina).
Corrosione in acqua. Gli acciai ordinari al C ed anche i bassolegati si corrodono pressocché alla
stessa velocità in acqua naturale. Occorrono tenori di Cr >3% per avere un effetto sensibile di
riduzione della v.c.. Da segnalare è la diminuzione della tendenza al pitting con addizioni di Cu.
Nella maggior parte delle applicazioni è importante rimuovere la scaglia di ossidi superficiali
(buon conduttore elettronico) che facilita l'innesco del pitting.
Nelle tubazioni di acqua potabile o industriale, occorre sempre verificare il potere
aggressivo/incrostante dell’acqua, tramite il computo dell’Indice di Langelier o dell’indice di
Ryznard (vedi sezione caldaie). Le migliori condizioni di impiego di una tubazione in acciaio al
C (zincato o meno) sono quelle con acqua in movimentazione di caratteristiche leggermente
incrostanti. In tale situazione si favorisce la formazione di un deposito non troppo spesso di
carbonato di calcio con frammisti prodotti di corrosione del ferro di buone caratteristiche
protettive. Quando invece l’acqua ha caratteristiche di aggressività, i prodotti di corrosione del
ferro si presentano sotto forma fioccosa e incoerente, venendo facilmente rimossi dal fluido in
movimento e non esplicando alcun effetto protettivo. Le tubazioni che hanno movimentato acque
aggressive appaioni in genere ricoperte da film molto porosi con formazione di ‘tubercoli’ al di
sotto dei quali si osserva una localizzazione dell’attacco corrosivo con penetrazioni all’interno
del materiale molto maggiori della penetrazione media. Una volta formati questi ‘tubercoli’ è
molto difficile rimediare e l’attacco localizzato tende a proseguire.
142
metallo, così come la migrazione per elettroforesi del Cl -. Sulla superficie viene a formarsi una
patina di FeOOH (rossa) e Fe3O4 (magnetite bruna) che impedisce il mescolamento delle
soluzioni acide dentro e fuori il pit, mentre la depolarizzazione avviene per cessione di elettroni
all'O2 e all'H+ con possibile formazione di H2 e probabile fessurazione della cappa di ossidi
sovrastante. Al di fuori del pit la riduzione di O 2 porta a condizioni locali basiche, con locale
passivazione per riduzione della ruggine FeOOH a magnetite Fe 3O4. Il rilevamento di FeCl2 sul
fondo del pit ha portato a supporre il raggiungimento di condizioni di saturazione con pH intorno
a 3,5. Questo meccanismo permetterebbe in qualche modo di spiegare l'effetto benefico del
rame sulla resistenza alla corrosione degli acciai al C in atmosfera e in soluzioni acide e neutre.
Infatti verrebbe, in questo caso, a formarsi Cu2S, che riduce moltissimo l'attività di HS- e S=,
tanto da non catalizzare più la dissoluzione anodica del materiale.
Altra peculiarità delle acque naturali è la presenza di spore, microrganismi, alghe, ecc. che
possono in certe condizioni innescare corrosioni biologiche.
Fattori che influenzano la v.c. degli acciai in acqua sono la presenza di gas, quali la CO 2 e l'O2, il
primo in termini di acidità indotta nell’acqua (come acido carbonico) e il secondo in qualità di
potente depolarizzatore. Un buon afflusso di O 2 in genere aumenta la v.c. (anche un basso
apporto, se innesca il pitting), così come la presenza di cloruri (Cl -). Come valori indicativi, per
immersione in mare si possono avere penetrazioni dell'attacco corrosivo di circa 0,2 mm/anno,
anche se come pitting si arriva fino a circa 2 mm/anno. In condizioni di bagnasciuga si possono
moltiplicare questi valori per 2-3.
Corrosione nel suolo. In genere non si impiegano acciai al C tal quali, ma previo opportuno
rivestimento e protezione catodica. Pericolosi sono gli attacchi localizzati, causati da lacerazioni
del rivestimento con pitting locale per correnti vaganti. La corrosività del suolo dipende molto
dalla sua conducibilità elettrica. I meno pericolosi sono quelli secchi, sabbiosi o argillosi, i più
aggressivi quelli salini.
Gli acciai basso-legati sono stati sviluppati per ottenere sensibili miglioramenti delle
caratteristiche meccaniche degli acciai al solo C. Quelli di solito impiegati per resistere a
corrosione hanno addizioni di Cr, Cu, Ni (weathering). Lo strato di ruggine che si forma è più
scuro di quello su acciai non legati e le pitture protettive impiegate tengono meglio (prodotti di c.
meno voluminosi e quindi minor spalling). Sono utili nelle applicazioni in cui si prevede la
facilità di lacerazione della pittura e la lunga esposizione atmosferica. Il Cu e il Cr innalzano il
potenziale del metallo favorendone anche la passivazione, e quindi anche il metallo esposto
liberamente ha buona resistenza a c.. L'ossido formato è aderente e per cicli
bagnamento/asciugatura i pori presenti sono chiusi da sali insolubili, con il risultato di creare una
patina superficiale impermeabile all'esterno.
143
Tenore minimo 12%Cr. Come per gli acciai/ghise si distinguono acciai inox/ghise altolegate,
impiegate soprattutto per la resistenza a ossidazione ad alta temperatura e laddove sia richiesta
una buona combinazione resistenza abrasione-corrosione. La paternità degli inox è usualmente
attribuita a Brearly che intravide (1912-15) la possibilità commerciale degli inox martensitici
(coltelli). Gli inox austenitici, come base 18Cr-8Ni, partirono dal '20. Si scoprì ben presto la
migliore resistenza agli acidi con addizioni di Mo e Cu e subito dopo si misero a punto gli inox
stabilizzati (contro la sensibilizzazione alla c.intergranulare).
NORMATIVA AISI si utilizzano tre cifre con eventuale aggiunta di alcune lettere, di cui la prima
indica la classe. Gli Acciai austenitici appartengono alla Serie 2XX ed alla Serie 3XX. Gli inox
ferritici e martensitici sono tutti nella Serie 4XX.
Acciai martensitici. Buona parte hanno come base il 13%Cr, come il 410/420, con vari tenori di
C. Aggiunte di zolfo e selenio migliorano la lavorabilità (416). Con varie aggiunte di altri
elementi di lega (base 410), quali Mo,Cu,Al,Nb e Ti, si producono acciai che, in funzione della
loro composizione, esibiscono migliore resistenza meccanica, o tenacità, o saldabilità o resistenza
a c. (non tutti insieme). Sono impiegati allo stato temprato e rinvenuto e in funzione della
temperatura di rinvenimento hanno resistenze meccaniche diverse. Loro particolarità è la brusca
variazione della transizione duttile-fragile (per T.T. che portano a circa 1000 MPa di carico di
rottura, si ha transizione vicino a TAMB). Un miglioramento sensibile a tal riguardo si ottiene
con gli acciai PH, che esibiscono una transizione meno netta (ma la resistenza all'impatto è molto
scarsa a bassa T). Quando si desiderano alte durezze si impiegano basse T di rinvenimento, ma è
necessario limitare l'applicazione a piccole sezioni.
Acciai austenitici. Basse caratteristiche meccaniche (s0,2 200 MPa, sR 500 MPa) nello stato
ricotto. Migliorabili per deformazione plastica a freddo, grazie ad un'elevata velocità di
incrudimento. Si lavorano spesso per stampaggio 'a caldo' (ma non a T>Tricr.) in modo da
ridurre il lavoro richiesto e sfruttando la loro capacità di dare allungamenti uniformi prima di
raggiungere la rottura. Un altro modo per aumentare la resistenza meccanica, senza peraltro
ridurre quella a corrosione, è quello di aggiungere azoto come elemento di lega, raggiungendo
s0,2 di circa 500 MPa.
Acciai duplex. Si intendono per duplex gli acciai inox austeno-ferritici, con migliori
caratteristiche meccaniche rispetto agli austenitici.
144
circa 800 °C e raffreddati in aria, gli austenitici riscaldati a 1000-1100 °C e raffreddati in aria o
acqua (dipende dalla sezione), i duplex riscaldati a 1000-1100 °C e raffreddati in acqua per
ridurre la fase s formata. Per le saldature, pochi problemi per gli austenitici (attenzione al weld
decay), più difficili i martensitici (prevedere pre- e post-riscaldamento), i ferritici (rischiano di
rompersi per i maggiori spessori), i duplex per i materiali giusti di apporto. Non ci sono problemi
di lavorabilità alle macchine utensili, almeno se gli inox sono allo stato ricotto. Qualche
problema per gli austenitici, che non hanno la rottura del truciolo e possono presentare difficoltà
al taglio per la facilità all'incrudimento (addizioni di S per migliorarla, anche se decrementa la
resistenza a trazione).
Gli acciai inossidabili esibiscono il fenomeno della passività superficiale in un gran numero di
ambienti. Nei precedenti paragrafi è stata introdotta la curva di polarizzazione tipica di questi
materiali a comportamento attivo-passivo.
Il potenziale di pitting Etr è fortemente decrementato dagli ioni degli alogenuri (in special modo
Cl- e Br-). Altri anioni si comportano in modo differenziato, come NO3- che lo alza o S= che lo
abbassa. La temperatura abbassa fortemente tale potenziale, il pH lo innalza.
In pratica, un acciaio inox si corrode velocemente se assume un valore di potenziale superiore a
quello critico relativo alla soluzione con cui è a contatto. Per questo i sali ossidanti di alogenuri,
come FeCl3 e CuCl2, sono particolarmente pericolosi. Non ha senso prevedere una protezione
anodica, ma una protezione catodica sì.
E' diventato di uso comune un undice di resistenza al pitting di un acciaio, ottenuto come:
145
%Cr + 3,3% Mo +16% N
Corrosione atmosferica. Tutti gli inox resistono in ambienti da interno alla scolorazione,
mantenendo una buona brillantezza. All'atm. esterna, invece, i martensitici ed alcuni ferritici
perdono riflettività a causa di un fine pitting (invisibile ad occhio nudo) e diventano opachi. Le
cause sono da ricercarsi nelle impurezze presenti nell'atmosfera (SO 2, Cl-, ecc.). Molto
importante agli effetti della resistenza al pitting è l'addizione di Mo. All’aumentare del Mo
migliore sensibilmente la resistenza a pittino ed a corrosione interstiziale. Tenori crescenti di Mo
si trovano da AISI 304 (0 %) ad AISI 316 (circa 2%) ad AISI 317 (circa 3%).
Corrosione in acque naturali. Uno dei fattori principali è il contenuto di Cl-. Importante è anche
il contenuto di O2, la T, il pH e le condizioni di moto relativo. Gli inox martensitici non possono
essere impiegati in mare, risultando efficaci quelli della Serie 300 in relazione al contenuto di Cr,
Mo, N (v.indice). L'attacco è sempre per pitting, le condizioni stagnanti risultando le più gravose.
146
La presenza di fessure, la formazione di microrganismi marini e di depositi vari, costituiscono
facile innesco. Bisogna fare attenzione ai contatti galvanici: gli inox martensitici e gli acciai al C
si corrodono facilmente al contatto con gli austenitici o leghe di rame. Se a contatto con gli
austenitici si pongono leghe meno nobili come Al, Zn, Pb allora ne scaturisce una v.c. alta.
Per le acque potabili non ci sono particolari pb. a freddo, ma ve ne sono a caldo se in presenza di
Cl- (>200 ppm).
Corrosione nel suolo. In genere non si interrano strutture in inox. Nelle rare applicazioni,
bisogna fare attenzione al contenuto in Cl-.
Acido solforico. I martensitici riescono a passivarsi in parte solo in sol. diluite, mentre gli
austenitici, grazie al Ni e Mo, riescono meglio (anche perché la densità di corrente nel ramo
attivo è fortemente ridotta e possono essere usati anche se si corrodono). Anche l'addizione di Cu
è migliorativa. Nb e Ti aiutano, ma non vengono aggiunti per migliorare la resistenza a c. (uno
stabilizzato si comporta all'incirca come un 304). La presenza di un agente riducente o ossidante
può modificare fortemente la risposta dei materiali, come mostrato in figura dall'aggiunta di
HNO3. La temperatura aggrava molto i problemi.
Acido cloridrico. Molto aggressivo per questi materiali, che possono essere usati solo per
soluzioni diluite (v. figura).
Alcali. Nessun pb. con ammoniaca. Gli austenitici resistono bene in ambiente caustico fino a T
moderate.
PRINCIPALI IMPIEGHI
147
148
149
150
12.4. NICKEL E SUE LEGHE.
Il Ni occupa una posizione intermedia nella serie elettrochimica con E(Ni ++/Ni) = - 0,227 V. Dal
diagramma di Pourbaix si osserva che:
i) Il Ni è TD stabile in soluzioni neutre o leggermente alcaline, ma non in soluzioni acide o
fortemente alcaline;
ii) la passivazione è possibile con formazione di Ni(OH)2 o forse NiO in soluzioni neutra o
debolmente alcaline;
iii) in soluzioni fortemente ossidanti con pH neutro o debolmente alcalino, è possibile la
passivazione con formazione di un film di Ni00H.
Da queste osservazioni si conclude che il Ni è un metallo abbastanza nobile. Tuttavia, nella realtà
è molto più resistente in acidi e sol. alcaline di quanto non appaia dal diagramma. All'incremento
della T, il diagramma E-pH esibisce alcune trasformazioni, la più importante risultando
l'allargamento del campo di stabilità TD dell'idrossido Ni(OH)2.
Comportamento anodico del Nickel. Dalla curva di polarizzazione anodica si comprende come
il Ni riesca a passivarsi anche in ambiente acido, con un intervallo di passività abbastanza ampio.
Il comportamento soddisfacente in soluzioni acide è dovuto a questa sua capacità di passivazione
e all'alta sovratensione per la dissoluzione del metallo, dovuta anche alla bassa densità di corrente
di scambio i0. Considerato il valore di E0, ne deriva che in soluzioni dove non vi sono ossidanti
più forti dell'H+, oppure catalizzatori per la dissoluzione del metallo, la corrente di corrosione è
limitata. Si è osservato che la densità di corrente anodica del Ni dipende notevolmente dalle
modalità sperimentali di prova e dal pH. Questo comportamento, legato in qualche modo alla
stessa resistenza anomala all'ambiente acquoso, ha portato a formulare una cinetica di
dissoluzione del Ni quale:
Influenza degli elementi di lega. Tali elementi si possono dividere grosso modo in due categorie:
1- Miglioramento della passività del Ni ------- Cr, Si, Sn, Ti, Al
2- Incremento nobiltà del Ni ------- Cu, Mo
151
Nota- Il Fe e Mn non sono riportati. In effetti il Fe è benefico solo quando impiegato insieme al
Cr, migliorando ulteriormente la passività.
Gli elementi di lega (1) migliorano sensibilmente la resistenza del materiale agli ambienti
ossidanti (attenzione alla transpassività) ma non tutti sono utili in ambiente acido debolmente
ossidante. Ad esempio, Cr-Si-Al non lo sono perché non abbassano il potenziale Epp, mentre
addizioni di Ti e Sn lo sono perché lo fanno (leghe elettrodepositate Sn-35Ni). Possono essere
molto efficaci in tali ambienti Mo e Cu perché nobilitano il materiale e quindi decrementano la
corrente di dissoluzione. Leghe tipo Ni-Mo e NiCu (Monel) non sono capaci di passivarsi e
pertanto non possono essere impiegate in soluzioni ossidanti. Tuttavia, addizioni di Mo e Cu a
leghe Ni-Cr-Fe (INCONEL acciai inox) possono migliorare sensibilmente la passività. Pertanto
le leghe Ni-Cr-Fe-Mo e Ni-Cr-Fe-Mo-Cu (INCOLOY) hanno buona resistenza in sol. acida sia
ossidanti che in quelle che possono sviluppare idrogeno.
L'addizione di cromo a leghe Ni-Mo/Ni-Mo-Cr (Hastelloy) conferisce la capacità di resistere in
ambienti ossidanti, ma tale addizione sposta la ragione attiva a potenziali meno nobili e pertanto
le leghe ternarie resistono peggio delle binarie in ambiente acido non ossidante.
Resistenza al pitting. Il meccanismo del pitting é analogo a quello degli acciai inox. Pertanto in
avviene in ambienti acidi contenenti ioni depassivanti (Cl -). L'influenza del pH sul potenziale di
rottura é mostrato in figura.
Per le leghe che devono la loro resistenza a c all'incrementata nobiltà come Ni-Mo e Ni-Cu
(Monel), di norma non si osserva pitting in soluzione acida. Tuttavia il Monel si passiva come
152
acido superficiale in H2O mare e deve a questo il suo largo impiego; se c'é poco O2, tuttavia, può
anche essere soggetto a pitting.
Corrosione in H2O mare. Ottima resistenza del Monel 400 che riesce a formare un film passivo
molto stabile (c'é anche la variante indurita per precipitazione - Lega K500).
Per un'ottimo funzionamento bisogna che la velocità relativa sia > 2m/sec, altrimenti possibilità
di pitting.
Resistono molto bene, anche al pitting, le leghe Ni-Cr-Mo (Hastelloy).
Resistenza agli alcali. Ottima, come del resto quella del Ni puro.
153
RAME. Per evitare l'infragilimento da H nel rame deossigenato, si aggiunge P. stando attenti ai
tenori residui. As ---- migliora sR a T elevate
Te ---- migliora la lavorabilità
2% Be --- trattabile termicamente
OTTONI Mediamente contengono dal 10 al 45% Zn e con varie addizioni originano una vasta
gamma di leghe.
Ottoni Monofasici fino al 37% Zn (in leghe binarie)
+ 1% Sn Lega Ammiragliato
+ 2% Al Ottone all'Alluminio
+ 1-2% Pb miglioramento lavorabilità
BRONZI E GUNMETALS. Leghe Cu-Sn. Noti soprattutto i bronzi al fosforo con 3-10% Sn e
0,02- 0,04 P (anche con aggiunta di Pb). I gunmetals sono leghe Cn-Sn-Zn.
BRONZI ALL'ALLUMINIO Leghe complesse (contenenti più dell' 8% Al --- struttura duplex)
CLASSIFICAZIONE.
I tipi di rame, e le sue leghe, commercialmente più importanti sono:
154
Bronzi allo stagno
Bronzi al silicio
Bronzi all’alluminio : Cuprallumini binari monofasici
Cuprallumini binari bifasici
Cuprallumini complessi monofasici
Cuprallumini complessi polifasici
Cupronikel : 90Cu 10Ni
70Cu 30Ni
88 Cu 10 Ni 1.5 Fe 0.5 Mn
68 Cu 30 Ni 1 Mn 1 Fe
COMPORTAMENTO A CORROSIONE
In generale buono, sia quello del Cu puro che delle sue leghe, data la sua relativa nobiltà
termodinamica.Alcune leghe hanno resistenza a c. maggiore di quelle del Cu, grazie all'impiego
di elementi di lega resistenti a c. come Ni e Sn, o di elementi lega capaci di migliorare e facilitare
la formazione di un film d'ossidi protettivo, come l'Alluminio o il Berillio. In generale gli ottoni
sono meno resitenti (S.C.C., dezincificazione).
Corrosione in acque naturali. Sottodeposito e pitting. In acque stagnanti (<1m/s) il pitting del
rame e sue leghe può aver luogo per areazione differenziale. L'innesco può essere un residuo
carbonioso sulla superficie, o un deposito superficiale di sudicio o molluschi e crostacei marini.
La presenza di solfuri facilita la formazione di depositi non protettivi.
Tubi di condensatori e scambiatori di calore. Le leghe più impiegate sono gli ottoni all'alluminio
(76Cu-22Zn-2Al-0,04As) ed i cupronickel contenenti addizioni di Fe e Mn (30Ni-0,7Fe-0,7Mn;
30Ni-2Fe-2Mn; 10Ni-1,5Fe-1Mn). Questi materiali sono di impiego comunissimo sulle navi,
155
nelle raffinerie, negli impianti di potenza ecc. con velocità attraverso i tubi fino a 3 m/sec.. Per
impieghi a T elevata si comporta meglio l'ottone all'Al oppure il cupro-nickel 90/10 al posto del
70/30.
Le rotture che si verificano sono dovute frequentemente a:
1- Attacco localizzato o pitting in acque fortemente contaminate (pb. per acque con H2S da
batteri solfato-riducenti);
2- Pitting da sottodeposito;
3-Attacco per impingment, dovuto ad alte velocità locali (ostruzioni parziali, ad es.)
4- erosione da sabbia o altre particelle sospese;
5- Scelta della lega sbagliata.
Nell'impiegare il Cu e sue leghe in ambiente industriale bisogna considerare che:
1- I composti del rame possono essere tollerati nell'acqua potabile solo in piccole quantità;
2- I composti del rame sono molto colorati e quindi possono macchiare i prodotti;
3-Il collegamento con parti in rame può indurre corrosione galvanica;
4- Gli ioni di rame possono causare pb. di c. in altre parti dell'impianto, ad es. in Zn, Al e acciai al
carbonio, innescando fenomeni di pitting.
AMBIENTI AGGRESSIVI.
CORROSIONE IN ACIDI. In generale le leghe di rame possono essere usate con acidi non
ossidanti come CH3COOH , HCl , H2SO4 e H3PO4 in condizioni disareate e in assenza di ioni
ferrici e dicromati . Maggiori problemi si incontrano con acidi ossidanti come HNO 3 , H2SO4
concentrato e H2SO3 o con acidi e sali recanti nella soluzione ioni ferrici , dicromati , o
permanganati .
Per soluzioni totalmente disareate di acidi non ossidanti la corrosione si mantiene a valori molto
bassi ( 4 mm / anno ) , sale in presenza di ossigeno assorbito dall’atmosfera ( da 20 a 250 mm /
anno ) e arriva a valori ben più alti per soluzioni sature di aria ( da 200 a 1250 mm / anno ) . Acidi
ossidanti anche in basse concentrazioni corrodono molto velocemente le leghe di rame (> di 2000
mm / anno). I fattori che possono influenzare la corrosione di una lega in presenza di un certo
acido sono comunque molti ed è bene non solo reperire più dati possibili in letteratura, ma anche,
effettuare delle prove operative prima di realizzare l’apparecchiatura o l’impianto reale .
156
Figura 13 : Influenza dell’ossigeno nella corrosione in soluzioni 1.2 N di acidi non ossidanti
Figura 14 : influenza degli ioni di ferro sulla corrosione del rame in H2SO4 al 30 %
CORROSIONE IN ALCALI.
La resistenza in alcali appare accettabile eccetto nei casi in cui è presente NH 4OH che, non solo
aumenta l’intensità dell’attacco formando ioni complessati di rame , ma può creare problemi di
S.C.C. soprattutto negli ottoni con più del 15 % di zinco .
Generalmente la corrosione si attesta fra i 50 e i 500 mm / anno in situazioni stagnanti e a
temperatura ambiente mentre sale fra i 500 e i 1750 mm / anno in soluzioni areate bollenti .
I cupronichel mostrano una resistenza sensibilmente superiore anche in presenza di NH 4OH
areato così come tutte le leghe in presenza di ammoniaca completamente anidra a temperatura
ambiente .
157
La corrosione , che nel primo caso varia dai 3 ai 1500 mm / anno , nel secondo può arrivare anche
a valori di 8000 – 9000 mm / anno.
Riportiamo solo pochi brevi cenni sul comportamento delle leghe di rame nei confronti di alcune
sostanze organiche :
Idrocarburi : in condizioni di purezza elevata non attaccano il rame e le sue leghe tuttavia in
presenza di contaminanti e impurezze come acqua , solfuri o altri composti organici i ratei di
corrosione aumentano parecchio . Materiali come gli ottoni ammiragliato e i cupronichel
mostrano , invece , una resistenza maggiore anche in quest’ultimo condizioni e sono , per questo ,
impiegati comunemente nell’industria petrolifera .
Benzene : rame tough pitch , ottone rosso , ottone Cartridge e bronzi allo stagno resistono a
benzene o benzolo con profondità di attacco minori di 500 mm / anno .
Zuccheri : molto utilizzate con queste sostanze, sono le leghe come : ottoni ammiragliati, ottoni e
bronzi all’alluminio e cupronichel .
Composti solforati : questi tendono ad attaccare il rame per dare CuS con velocità di attacco
dipendenti dal tenore di lega . I materiali più resistenti sono gli ottoni ad alto contenuto di zinco
mentre per fluidi come acqua marina o idrocarburi inquinati da questi solfuri sono utilizzati con
successo anche
ottoni ammiragliato e cupronichel .
Ossigeno anidro : forma uno strato superficiale di ossido rameoso , di colore variabile con lo
spessore , sulla cui superficie è presente un film di ossido rameico . Lo spessore degli strati di
ossido dipende dal tempo e dallo temperatura .
CO e CO2 : in forma anidra sono praticamente inerti per il rame , in presenza di umidità invece
sono corrosive .
Idrogeno : non dà problemi eccetto che per il rame tough pitch esposto a temperature elevate
quando reagisce con l’ossigeno del Cu2O per dare vapore che poi fessura il materiale .
Idrogeno solforato : in presenza di umidità reagisce col rame per dare CuS . La corrosione è
meno marcata in ottoni ad alto contenuto di zinco : un ottone ammiragliato mostra una profondità
di attacco di 50 – 75 mm / anno mentre un ottone rosso viene aggredito al ritmo di 1200 – 1600
mm / anno .
TIPI DI CORROSIONE.
CORROSIONE GALVANICA.
Questo tipo di corrosione interviene quando due metalli diversi sono posti in contatto elettrico fra
loro ed immersi in una soluzione conduttrice . Il suo manifestarsi porta alla corrosione
preferenziale del metallo meno nobile della coppia mentre l’altro si trova ad agire da anodo .
158
Il rame e le sue leghe in genere sono catodici rispetto all’alluminio e agli acciai ; possono essere
catodici o anodici se accoppiati con Inox in funzione dell’ambiente e delle condizioni di
esposizione e si comportano anodicamente con leghe ad alto tenore di nichel e col titanio .
Accoppiamenti fra leghe di rame danno raramente problemi .
L’effettivo comportamento e l’entità del danneggiamento del materiale che si rivela più anodico
sono comunque determinati da molti fattori :
1. dalla nobiltà pratica dei materiali nell’ambiente specifico in cui si trovano
2. da film passivanti o strati di prodotti di corrosione che possono proteggere uno dei due
materiali
3. dalla natura e dalla conducibilità elettrica della soluzione
4. dal tipo di controllo ( anodico , catodico , misto , ohmico o diffusivo ) e dalle sovratensioni
anodiche e catodiche che influenzando l’intersezione tra curva anodica e catodica determinano
il potenziale e la corrente di corrosione
5. dal rapporto delle aree anodica e catodica
6. dalla temperatura che influisce sulle cinetiche , sugli equilibri e sulla stabilità dei film
protettivi e che può innescare , in presenza di marcati gradienti termici , effetti termogalvanici
7. dalla forma del pezzo che insieme alla conducibilità elettrica dell’ambiente determina la
distribuzione delle correnti
E’ quindi buona norma riferirsi a tabelle o dati reperibili in letteratura specifici per l’ambiente in
cui si vengono a trovare i materiali e che possibilmente diano anche un indicazione del rapporto
fra le aree prese in considerazione .
Riportiamo nella pagina seguente una tabella con i valori di coppia galvanica per i cupronichel
C70600 e C 71500 , con altri metalli , in acqua di mare , dopo un anno di esposizione , con un
flusso di 0.6 m/s ed un rapporto fra area anodica e catodica unitario .
C70600 3
Acciaio 787
C70600 208
Titanio 2
C71500 18
C61400 64
C71500 3
Acciaio 711
C71500 107
Titanio 2
159
CORROSIONE ATMOSFERICA.
Il rame e le sue leghe mostrano , come evidenziato anche da test condotti su periodi fino a 20
anni , una buona resistenza alla corrosione in ambiente atmosferico eccetto nei casi in cui la
presenza di NH3 può dare problemi di stress corrosion cracking . Questa buona resistenza a
corrosione è dovuta alla formazione , sulla superficie del materiale , di una “ patina “ protettiva
costituita da solfato basico di rame che da CuSO 4 Cu(OH)2 passa gradualmente a CuSO4
3Cu(OH)2 , da carbonato basico di rame CuCO 3 Cu(OH)2 e vicino al mare da cloruro basico di
rame CuCl2 3Cu(OH)2 ; spesso risulta presente sotto alla patina un film di ossidulo di rame
Cu2O .
L’efficacia protettiva di questa patina risente notevolmente delle condizioni di prima esposizione
del materiale infatti film inizialmente malformati mostrano una protettività marcatamente
minore .
Altri fattori che influenzano il rateo di corrosione in atmosfera sono l’inquinamento dell’aria , la
temperatura e l’alta umidità che tendono ad aumentare la severità dell’attacco e altri come la
finitura superficiale del materiale o l’opportuna composizione della lega che tendono a ridurla .
( in genere alti tenori di elementi di lega rallentano la corrosione eccetto nel caso degli ottoni in
cui al crescere dello Zn si presentano problemi di dezincificazione e SCC .
In generale si può dire che :
1 La corrosione è quasi sempre uniforme ed esente da pitting.
2 Le varie leghe mostrano comportamenti simili.
3 Il rateo di attacco è basso e decresce nel tempo.
4 L’ambiente più aggressivo è quello industriale seguito da quello marino ed infine da quello
rurale.
Fra i materiali più usati in ambiente atmosferico ricordiamo : il rame tough pitch , l’ottone
commerciale , l’ottone rosso e quello architettonico .
Per quanto riguarda la profondità degli attacchi generalizzati riportiamo i valori ottenuti da vari
ricercatori nella tabella e nei grafici seguenti .
160
CORROSIONE MARINA.
Dal punto di vista chimico il mare è una soluzione di NaCl (circa il 3.4 %) che, come costituenti
minori , conta anche praticamente tutti gli elementi conosciuti . Inoltre l’acqua di mare contiene
disciolti i gas dell’atmosfera come ossigeno e anidride carbonica . Sono poi presenti numerosi
composti organici, idrogeno solforato, ammoniaca ed altri inquinanti derivanti dall’attività
biologica ed in prossimità delle coste dagli scarichi civili ed industriali.
L’ossigeno disciolto, i cloruri , gli altri sali in soluzione e la composizione in generale
influenzano pesantemente l’aggressività dell’acqua , le reazioni catodiche possibili e la
formazione di strati passivanti sui materiali . Ai fenomeni corrosivi generalizzati o localizzati
(pitting , dezincificazione , S.C.C. ) che l’acqua marina può innescare si aggiungono inoltre
fenomeni di corrosione erosione dovuti al moto delle acque responsabile anche di carichi statici e
dinamici sulle strutture immerse e non ultimo il problema del biofouling che , oltre ad appesantire
le superfici e peggiorare i coefficienti di scambio termico , può aumentare i rischi di corrosione
sotto deposito e aumentare localmente la concentrazione di sostanze organiche aggressive
.L’elevata conducibilità elettrica inoltre se da una parte accresce l’efficacia dei metodi di
protezione attiva , dall’altra accresce i problemi di corrosione galvanica .
Il mare rappresenta pertanto un ambiente corrosivo molto complesso e variabile che da’ luogo a
numerose forme di attacco .
Le leghe di rame più usate in applicazioni in campo marino o in apparecchiature in contatto con
acqua di mare sono : i cupronichel , gli ottoni ammiragliato e all’alluminio e i bronzi
all’alluminio.
Naturalmente le caratteristiche e le “ prestazioni “ variano da materiale a materiale e in ogni caso
specifico la scelta deve essere fatta , oltre che su considerazioni corrosive , anche in base ad
aspetti ingegneristici e di costo sia diretto che di funzionamento.
Generalmente il rateo di corrosione uniforme di tutti questi materiali è abbastanza basso (< di 25
mm / anno) grazie ad uno strato superficiale di ossidi molto compatto e aderente .Per temperature
non troppo elevate (< di 50 – 60 °C) gli ottoni all’alluminio sono competitivi nei confronti dei
cupronichel che , tuttavia , mostrano la loro superiorità a temperature più alte alle quali oltretutto
conservano migliori caratteristiche meccaniche . I cupronichel esibiscono anche minore
sensibilità alla corrosione termogalvanica dovuta a gradienti termici marcati (Hot-Spot) almeno
in ambienti non fortemente inquinati da solfuri o ammoniaca.
Per quanto riguarda il pitting la resistenza decresce passando dai bronzi all’alluminio ai
cupronichel ai cupronichel modificati d infine agli ottoni all’alluminio . Per evitare il pitting nei
cupronichel modificati con aggiunte di Fe , Mn e Cr occorre che la frazione di Cr e Fe in
soluzione sia > dello 0.7 .
161
Figura 9 : Cr e Fe in soluzione e suscettibilità a pitting della lega C72200.
Figura 10 : velocità di corrosione erosione in acqua a 2.1 m / sec con 1000 ppm di SiO 2 (5
mm).
Ulteriori vantaggi dei cupronichel si riscontrano nella loro immunità alla S.C.C. in presenza di
ammoniaca e nella loro maggiore resistenza alla corrosione in contatto con acqua inquinate da
solfuri in cui gli ottoni accelerano il loro deterioramento.
162
A questo proposito risulta molto importante , per aumentare la resistenza alla corrosione degli
ottoni, effettuare un trattamento con solfato ferroso : esso infatti si ossida a ossido ferrico e forma
un’ulteriore strato protettivo sul materiale diminuendo l’intensità dell’attacco corrosivo .
Naturalmente occorre evitare l’accumulo di spessi strati di ossido che potrebbero dare problemi
di intasamento e difficoltà di scambio termico per cui generalmente le aggiunte di solfato ferroso
vengono fatte ad intervalli opportuni così come la pulizia dei tubi mediante ad esempio palline
abrasive.
Per quanto riguarda il problema della dezincificazione , già limitato negli ottoni considerati dalla
presenza nella lega dell’1 % di stagno (ammiragliato) o del 2 % di alluminio (ottone
all’alluminio) , esso viene praticamente eliminato con l’aggiunta di un 0.06 % di arsenico .
Ultimo aspetto importante comune a tutti questi materiali è l’elevata resistenza al biofouling che
viene attribuita soprattutto a due fattori :
1. l’azione tossica dei prodotti di corrosione
2. al distacco periodico dello strato esterno dei prodotti di corrosione stessi che si porta dietro
eventuali organismi ad esso attaccati.
(il distacco periodico del CuCl23Cu(OH)2 superficiale viene considerato importante in quanto si
è visto che l’azione dei prodotti di corrosione da sola non previene il biofouling di superfici
verniciate vicine ad altre libere sulle quali non si evidenzia invece sporcamento) .
CORROSIONE EROSIONE.
La corrosione erosione è una forma di attacco dovuta all’azione meccanica esercitata dal fluido
sul materiale a causa della loro velocità relativa . Essa porta alla rottura del film protettivo
superficiale e , scoprendo continuamente il metallo attivo , provoca un inasprimento della
corrosione .
L’attacco può arrivare a formare sulla superficie vere e proprie impronte a forma di ferro di
cavallo che oltretutto tendono ad innescare fenomeni di corrosione localizzata.
La gravità di questa forma corrosiva aumenta al crescere della velocità del fluido e della sua
turbolenza ( es. nelle zone di ingresso ed uscita di un fluido dai tubi di uno scambiatore o in
prossimità delle curve di una tubatura ) ; un ulteriore aggravio viene ad essere rappresentato da
eventuali particelle e bolle di gas trascinate dal fluido stesso .
La resistenza dei materiali dipende in gran parte dalla loro durezza e soprattutto dalla durezza e
resistenza degli strati passivanti superficiali . Fra le leghe di rame , come abbiamo visto , le più
resistenti sono i cupronichel , i cupronichel modificati e gli ottoni all’alluminio .
CAVITAZIONE.
Questo tipo di attacco è tipico delle pompe e consiste nella formazione e collasso di bolle di
vapore a ridosso della superficie delle giranti che vengono cosi assoggettate a carichi meccanici
locali elevati tali da provocare la rottura dello strato protettivo esterno e accelerare i fenomeni di
163
corrosione e corrosione fatica . La lega di rame che meglio resiste alla cavitazione è il bronzo
all’alluminio .
Anche il rame e le sue leghe , come molti altri materiali , sono soggetti alla particolare forma di
corrosione localizzata nota come pitting ; essa si presenta però nel caso del rame con una
morfologia e un meccanismo particolari che gli sono valsi ampi studi da parte di molti
ricercatori .
Ad una sezione il pit del rame mostra una struttura , detta “ nodulare “ , in cui si possono
riconoscere uno strato più interno di Cu 2Cl2 di colore bianco depositato sul metallo , uno strato di
Cu2O a cristalli grossolani derivante dall’idrolisi del Cu2Cl2 , una sottile membrana di Cu2O con
alcune lacerazioni ed infine sull’esterno un cumulo di prodotti di corrosione costituito da
malachite ( verde ) e carbonato di calcio ( bianco ) .
MECCANISMO.
164
In accordo con il lavoro di Lucey si può dire che , quando si considerano le condizioni degli strati
di acqua vicini alla superficie del rame in servizio , sono importanti le seguenti reazioni :
1. Cu0 + Cu++ 2 Cu+
2. 2 Cu+ +H2O Cu2O + 2H+
3. 2 Cu+ +H2O + ½ O2 + 2OH + 2 Cu++
gli ioni Cu++ sono i prodotti della corrosione primaria cioè della dissoluzione generalizzata del
materiale e il loro aumento spinge la reazione 1 verso destra con formazione di ioni Cu + i quali in
condizioni normali sono poi rimossi dalle reazioni 2 e 3 in modo tale che non si passi il limite di
solubilità , peraltro molto basso , del Cu2Cl2 .
Se però , localmente , la velocità di formazione degli ioni Cu + diventa più alta di quella con cui le
reazioni 2 e 3 li convertono allora si può superare il suddetto limite di solubilità ed avere la
formazione di un film di cloruro rameoso fra il metallo e lo strato di ossido superficiale .
E’ questa precipitazione localizzata di Cu 2Cl2 che innesca il pitting del materiale ; il film di
cloruro infatti scherma il metallo sottostante dall’ossigeno e acidificando per idrolisi la soluzione
nel pit impedisce la riformazione di una pellicola protettiva di ossido . Il pit così innescato può
adesso procedere più o meno velocemente nella sua azione di danneggiamento asseconda del
potenziale delle zone esterne del materiale .
Come evidenziato infatti da Pourbaix il pit si troverà in equilibrio con una soluzione interna
contenente 270 ppm di Cl e 250 ppm di Cu++ a pH 3.5 e a un potenziale di 24 mVsce per cui un
aumento del potenziale stesso all’apice del pit provocherà una maggiore dissoluzione del
metallo . Tutto questo da’ luogo a una situazione per cui : se le zone esterne si trovano a un
potenziale inferiore a 170 mVsce anche il potenziale all’interno del pit è sufficientemente basso da
non provocare un attacco penetrante mentre , se all’esterno si supera il suddetto valore critico , lo
sbilanciamento interno al pit diventa tale da far procedere rapidamente l’attacco corrosivo
localizzato e portare a un grave danneggiamento in tempi relativamente brevi .
Le reazioni che portano avanti la corrosione nella parte interna della membrana sono:
4. Cu2Cl2 CuCl2 Cu+ + e
5. Cu0 + Cu++ 2 Cu+
gli ioni Cu++ formati secondo la reazione 4. proseguono l’attacco del materiale secondo la
reazione 5. ; gli elettroni prodotti passano all’esterno attraverso la membrana di Cu 2O che è
elettroconduttrice mentre gli ioni Cu+ oltre a dare il Cu2Cl2 per la reazione 4. fuoriescono dalle
porosità della membrana stessa .
165
FATTORI DI PITTING.
Fra i numerosi fattori che hanno influenza sull’innescarsi e il procedere del pitting per il rame e le
sue leghe ricorderemo :
1. Eventuali film carboniosi sulla superficie del materiale derivanti dal cracking di residui dei
lubrificanti di trafila i quali aumentano i rischi di pitting fornendo una membrana simile a
quella di Cu2O fin dall’inizio del funzionamento e innalzando il potenziale delle zone esterne
(accoppiamento galvanico fra rame e grafite che è più nobile ) .
2. La temperatura , la composizione e la fluidodinamica dell’acqua in contatto col materiale. In
particolare il pit risulta favorito da condizioni di bassa velocità del flusso e bassa
temperaturadell’acqua così come da elevati contenuti di ossigeno e anidride carbonica
disciolti, da un pH compreso fra 6.8 e 7.5 e da alti rapporti fra SO 4 e Cl . Inoltre spesso le
acque di superficie danno meno problemi di pitting rispetto alle acque di pozzo o di sorgenti
profonde a causa sembra di un non ancora ben identificato inibitore organico presente nelle
prime ma non nelle seconde .
3. Il materiale : la resistenza al pit infatti decresce passando da bronzi all’alluminio e ottoni a
basso tenore di zinco a Cupronichel e bronzi allo stagno ed infine al rame e ai bronzi al silicio
.
4. Depositi superficiali che creano zone di areazione e composizione diverse.
5. Rotture locali degli strati protettivi dovute a fenomeni di corrosione erosione.
STRESS-CORROSION CRACKING.
Anche il rame e le sue leghe , come altri materiali , sono soggetti , in presenza di tensioni di
trazione ( imposte o interne ) e di uno specifico ambiente corrosivo , a Stress Corrosion
Cracking . In questa forma di attacco tenso-corrosivo il carico e la corrosione agiscono
sinergicamente a dare un danneggiamento del materiale che non sarebbero capaci di provocare da
soli .
MECCANISMO.
Numerosi lavori hanno messo in evidenza come l’ammoniaca e i composti ammoniacali siano
fondamentali per il verificarsi della S.C.C. del rame attraverso la formazione di ioni complessati
Cu(NH3)4++ . Questi infatti secondo la reazione
Cu(NH3)4++ + e ® Cu(NH3)2++ + 2 NH3
forniscono il processo catodico necessario alla corrosione . A partire da difetti preesistenti o da pit
formatisi sulla superficie del materiale si ha quindi , per azione congiunta della corrosione e
dell’intensificazione degli sforzi all’apice della cricca , l’avanzamento della cricca stessa anche
fino a rottura del pezzo . Il tipo di rottura che generalmente è , per i nostri materiali ,
intercristallina fa supporre che nell’intaccare la resistenza del materiale lungo certi cammini
preesistenti che poi vengono “ aperti “ meccanicamente dalla tensione , facendo avanzare la
cricca , siano prevalenti gli aspetti di attacco corrosivo e dezincificazione , che spesso si è rilevata
nelle rotture per S.C.C. .
166
Non possiamo comunque dimenticare che in molti casi si sono rilevate anche fratture
transcristalline in cui sembra prevalere l’aspetto meccanico che provocando la rottura degli strati
protettivi superficiali scopre il sottostante materiale attivo e permette l’attacco corrosivo nel
punto di rottura stesso .
FATTORI INFLUENTI.
Tra i numerosi fattori che influenzano l’innesco e la propagazione della S.C.C. possiamo
individuarne alcuni nell’ambiente corrosivo ed altri nel materiale stesso .
Per quanto riguarda l’ambiente possiamo dire che molto pericolosi sono quegli ambienti che
promuovono una passività imperfetta e che mostrano una aggressività non troppo elevata : questo
infatti favorisce non solo la formazione di pit , che rappresentano possibili punti di innesco delle
cricche , ma tende anche a mantenere attivo solo l’apice dei difetti che penetrando nel materiale
senza avere un eccessivo “ stondamento “non perdono quell’acutezza che mantiene elevato il
fattore di intensificazione degli sforzi .
Per quello che concerne il materiale occorre segnalare l’importanza della composizione e della
microstruttura . La prima è importante in quanto per le leghe di rame la resistenza a S.C.C.
decresce passando dai cupronichel , che ne sono praticamente immuni , al rame e agli ottoni rossi
ed infine agli ottoni ad alto contenuto di zinco ; la seconda poiché una grana cristallina troppo
grossa o eventuali fasi precipitate e bordi di grano meno nobili possono venire a rappresentare
cammini corrosivi preferenziali all’interno del materiale .
Estremamente importante infine sono la buona finitura superficiale del materiale , che allunga
notevolmente i tempi di innesco del fenomeno incrementando la vita utile dei pezzi , e
un’accurata riduzione delle tensioni interne con trattamenti termici opportuni .
167
Oltre all’ammoniaca e ai composti ammoniacali , che provocano S.C.C. in quasi tutte le leghe a
base rame , sono stati individuati altri casi in cui particolari sostanze o composti , in determinate
concentrazioni e condizioni di pH , determinano problemi di S.C.C. in alcune leghe di rame . Dati
su questi accoppiamenti pericolosi sono reperibili in letteratura .
CORROSIONE FATICA.
L’azione congiunta di carichi meccanici ciclici e di un ambiente corrosivo da’ luogo all’attacco
della corrosione fatica in cui i due aspetti operano sinergeticamente accelerando il
danneggiamento del materiale . Per la corrosione fatica non è necessario un ambiente aggressivo
specifico come per la S.C.C. . In genere questo attacco provoca una serie di cricche parallele fra
loro e perpendicolari alla direzione di applicazione del carico che partono da zone di pitting e
penetrano nel materiale provocando quasi sempre rotture transcristalline .
Fra le leghe di rame più resistenti a corrosione fatica annoveriamo : il rame al berillio, i bronzi
all’alluminio , quelli allo stagno e i cupronichel .
168
Figura 4 : Dezincificazione a bande.
Questo fenomeno interessa gli ottoni con zinco maggiore del 15 % e cresce di pericolosità
all’aumentare del tenore di quest’ultimo.
MECCANISMO.
Per spiegare la dezincificazione sono state proposte due teorie ; la prima ipotizza una
dissoluzione selettiva del solo zinco , la seconda invece considera una completa dissoluzione del
materiale e una rideposizione del rame . Poiché esistono prove metallografiche ed elettrochimiche
a sostegno di ambedue le teorie a tutt’oggi il meccanismo esatto resta sconosciuto anche se la
seconda teoria gode di un credito maggiore .
Secondo questa quindi la dezincificazione procede tramite la dissoluzione completa della lega e
la rideposizione del rame all’interfaccia fra il fronte di attacco avanzante e il materiale non ancora
aggredito . Durante l’attacco esistono allora due siti catodici a sostegno della reazione anodica di
corrosione : uno sulla superficie esterna del materiale su cui avviene la riduzione dell’ossigeno e
uno sul fronte avanzante dell’attacco su cui avviene la riduzione degli ioni di rame . La prima
reazione catodica bilancerà la dissoluzione dello zinco e la seconda quella del rame .
La rideposizione degli ioni Cu+ e Cu++ è possibile a potenziali minori rispettivamente di -0.41 V
e -0.16 V per cui , essendo i potenziali all’interfaccia interna del metallo -0.38 V e -0.56 V
rispettivamente per ottoni e b , risulta che i Cu++ possono essere ridotti da ambedue i tipi di
ottoni mentre i Cu+ solo dagli ottoni b . Questo spiega inoltre l’azione di protezione svolta
dall’arsenico nei confronti degli ottoni : esso infatti si deposita lungo il fronte avanzante
preferenzialmente rispetto al Cu++ riducendo quest’ultimo a Cu+ e rigenerandosi secondo le
seguenti reazioni :
3 Cu++ + As ® 3 Cu+ +As+++
3 Cu + As+++ ® 3 Cu+ +As
eliminando così la reazione catodica interna al metallo in quanto gli ottoni non sono poi in
grado di ridurre gli ioni Cu+.
169
12.5.1. BRONZI
BRONZI AL SILICIO.
170
Materiale Composiz. Stato R kg / mm2 Rs kg / mm2 A %
C65100 98.5 Cu 1.5 Ricotto 27.5 10.5 50
Si
Duro 48.5 38 12
C65500 97 Cu 3 Si Ricotto 40 15 60
Duro 63.5 38 22
BRONZI ALL’ALLUMINIO.
Sono leghe rame alluminio apprezzate ed usate per le loro ottime caratteristiche meccaniche , di
resistenza all’usura e all’ossidazione a caldo e di resistenza alla corrosione . Quest’ultima in
particolare è dovuta alla formazione superficiale di un sottile strato protettivo di allumina che se
anche asportato si riforma quasi istantaneamente .
I cuproallumini commerciali possono esibire 3 diverse fasi : la fase in cui rame e alluminio
danno una soluzione solida sostituzionale C.F.C. che è stabile per tenori di alluminio del 7.4 % a
1035 °C e del 9.4 % sotto i 565 °C , la fase b che presenta un reticolo C.C.C. e che , pur potendo
essere presente a temperatura ambiente se raffreddata velocemente , a 565 °C subisce una
trasformazione eutettoidica per dare un eutettoide di tipo lamellare costituito dalla fase e dalla
terza fase 2 . Le fasi b e 2 hanno il loro campo di esistenza rispettivamente fra il 10 e il 15 % e
tra il 15.6 e il 20 % di alluminio .
Variando il tenore di alluminio e dosando altri opportuni elementi di lega è possibile ottenere
molti tipi di cuproallumini che per semplicità classificheremo come :
1. Cuproallumini binari monofasici
2. Cuproallumini binari bifasici
3. Cuproallumini complessi monofasici
4. Cuproallumini complessi polifasici
Gli usi dei cuproallumini sono molti e in molti campi ; per quanto riguarda quelli tipici
dell’industria chimica possiamo ricordare gli impieghi per serbatoi o apparecchiature in contatto
con soluzioni acide o saline , per tubi e piastre di scambiatori o condensatori , per evaporatori ,
parti di pompe o valvole e tubature in genere anche in ambiente marino .
Cuproallumini binari monofasici : contengono fino al 7 % di alluminio e sono costituiti dalla solo
fase il che gli conferisce un’ottima lavorabilità a freddo ma una certa fragilità a caldo .
Caratteristiche meccaniche :
Cuproallumini binari bifasici : Sono leghe con alluminio compreso fra l’8 e il 12 % lavorabili a
caldo sopra i 565 °C dove è presente la sola fase b . A temperatura ambiente possono presentare
insieme alla fase le fasi b ( con raffreddamenti abbastanza rapidi ) o 2 ; nel primo caso la
struttura aciculare dura e fragile ottenuta dalla tempra di b deve essere rinvenuta dando luogo a
un materiale tenace ed adatto allo stampaggio a caldo ; nel secondo caso la presenza della fase 2
171
come eutettico lamellare al bordo dei grani aumenta la durezza e la resistenza meccanica ma
peggiora la lavorabilità e da’ problemi di dealluminazione .
Caratteristiche meccaniche :
Materiale Composiz. Stato R kg / mm2 Rs kg / m2 A %
C61000 92 Cu 8 Al Ricotto 48 20 65
Duro 55 38 25
Cuproallumini complessi monofasici : in queste leghe sono aggiunti al rame e all’alluminio altri
elementi come ferro ( 1.5 – 3 % ) , nichel ( 2 % ) , manganese ( 0.5 – 1 % ) e cobalto ( 1 – 3 % )
per migliorare le caratteristiche di base della fase senza pregiudicarne la lavorabilità a freddo .
Il ferro viene aggiunto per affinare la grana cristallina ed aumentare il carico di rottura ( + 30
MPa per ogni 1 % di ferro ) ma per tenori superiori al 3 % può dare problemi di corrosione
preferenziale . Il nichel aumenta la resistenza a corrosione e il limite di snervamento oltre a
facilitare la solubilità del ferro . Il manganese migliora la colabilità , la lavorabilità a caldo e la
saldabilità infine stabilizza la fase b rispetto alla 2 che per applicazioni in determinati ambienti
non è desiderata essendo più soggetta ad attacco corrosivo dalla matrice . Il cobalto riduce
fortemente fino ad annullarla la presenza della fase 2 aumentando la plasticità e la resistenza
corrosiva del materiale .
Caratteristiche meccaniche :
Materiale Composiz. Stato R kg / mm2 Rs kg / mm2 A %
C61300 92 Cu 7 Al Ricotto 54 24 42
2.7 Fe 0.3
Co
Duro 59 40 35
172
Cuproallumini complessi polifasici : contengono anch’essi ferro , nichel , cobalto e manganese
ma in tenori molto maggiori che modificano pesantemente la struttura e le caratteristiche del
materiale .
Caratteristiche meccaniche :
Materiale Composiz. Stato R kg / mm2 Rs kg / mm2 A %
C62500 87.2 Cu 13 Ricotto 69 38 1
Al 4.3 Fe
C63000 82 Cu 10 Al Ricotto 76 47 10
5 Ni 3 Fe
C63200 82 Cu 9 Al Ricotto 64 33 18
5 Ni 4 Fe
Duro 62 28 20
12.5.2. OTTONI.
Gli ottoni sono essenzialmente leghe rame zinco con possibilità di aggiunte di altri elementi come
piombo , stagno o alluminio in piccoli tenori al fine di ottenere opportune caratteristiche di
colore, lavorabilità , resistenza meccanica o alla corrosione .
Le leghe rame zinco di interesse pratico sono quelle con un tenore di zinco fino al 45 % campo
che, come si può vedere dal diagramma di equilibrio , comprende ottoni costituiti dalla sola fase
e ottoni bifasici +b . La fase è una soluzione solida primaria disordinata con reticolo C.F.C.
che presenta una buona lavorabilità sia caldo che a freddo , la fase b è invece una soluzione
solida secondaria con reticolo C.C.C. che fra i 468 e 454 °C subisce una trasformazione
disordine-ordine dando luogo a una struttura in cui gli atomi di rame occupano le posizioni ai
vertici e gli atomi di zinco quelle al centro dei cubi . La lavorabilità della fase b è possibile solo
a caldo .
Le caratteristiche meccaniche degli ottoni variano all’aumentare del contenuto di zinco :
l’allungamento cresce fino a un massimo in corrispondenza del 30 % di Zn per poi diminuire , il
carico a rottura cresce fino a tenori di Zn del 45 % così come la durezza . ( al crescere del tenore
di zinco si fa sentire in misura maggiore la presenza della fase b più dura e fragile della fase .
Grazie alle loro diversificate caratteristiche meccaniche , di colore , lavorabilità e resistenza
chimica gli ottoni sono impiegati nell’industria elettrica , meccanica , automobilistica , militare e
non ultima in quella chimica ( scambiatori , evaporatori e altre apparecchiature anche in ambiente
marino ) sotto forma di laminati, nastri, tubi, barre, trafilati e profilati .
Sono gli ottoni a più basso tenore di zinco ( dal 5 al 20 % ) , risultano facilmente lavorabili a
freddo ( la lavorabilità decresce al crescere del tenore di Zn ) , hanno colore variabile dal rosso al
giallo e una resistenza alla corrosione migliore degli altri ottoni essendo praticamente immuni ai
problemi di dezincificazione e di season cracking , risultano però più costosi a causa dell’alto
contenuto di rame .
173
Caratteristiche meccaniche :
Materiale Composiz Stato R kg / Rs kg / A %
ione mm2 mm 2
174
OTTONI b.
Caratteristiche meccaniche :
Materiale Composizio Stato R kg / Rs kg / A %
ne mm2 mm 2
12.5.3. CUPRONICHEL.
Con il termine cupronichel si indicano le leghe rame nichel con un contenuto di rame superiore al
50 % . Essendo i due elementi completamente miscibili l’uno nell’altro in ogni proporzione i
cupronichel sono soluzioni solide primarie monofasiche che non possono essere trattate
termicamente . Fra i più usati commercialmente ricordiamo i 70 / 30 e i 90 / 10 . Tutte queste
leghe mostrano ottima resistenza alla corrosione e per quelle con aggiunte di ferro o manganese
anche una durezza superficiale elevata che si traduce in una aggiuntiva resistenza alla corrosione
erosione .
Sono utilizzati in molti campi ed anche nell’industria chimica e dello zucchero per la
costruzione di serbatoi , scambiatori ed altre apparecchiature o tubature in genere .
175
Caratteristiche meccaniche :
Alluminio puro. (serie 1XXX) Con purezze di 99,8-99,9% si ha un'ottima resistenza alla c. ma,
date le basse caratteristiche meccaniche, s'impiega nell'industria solo come rivestimento.
L'alluminio puro al 99% è quello più impiegato per scopi generali, come pannellature o utensili
da cucina.
Al-Cu. durallumini (Serie 2XXX). Allumini strutturali con impiego in cui la resistenza
meccanica è primaria. Si proteggono con laminati in Al e per verniciatura.
Al-Mn. (Serie 3XXX). Buona combinazione di resistenza alla c. e caratteristiche meccaniche.
Largamente impiegato per costruzioni e utensili da cucina.
Al-Mg. (Serie 5XXX). Resistenza alla corrosione ottima, come quella dell'Al puro, ma con
migliori p.m.. Con tenori di Mg tali da non causare un'intensa precipitazione di Al3Mg2 resiste
meglio in H2O mare ed è intensamente impiegato nella costruzione delle barche. Bisogna fare
attenzione se nell'impiego si scalda il materiale, perché la precipitazione degli intermetallici può
causare problemi (esfoliazione, CSS).
Al-Mg-Si. (Serie 6XXX). Induriti per precipitazione. Sono materiali strutturali che comunque
conservano buona resistenza alla c..
Al-Zn-Mg (Serie 7000). Impieghi strutturali in campo aeronautico. Minore resistenza alla c. e
rischio di SCC se non impiegati bene o con T.T. inadeguato.
COMPORTAMENTO A CORROSIONE
In sol. acide o alcaline l'Al resiste male. Tuttavia in ambiente acido ma fortemente ossidante
(HNO3) l'Al si passiva e con inibitori come silicati si può impiegare fino a pH circa 11. La
forma di c. più comune è il pitting, con diminuzione del pH all’inerno del pit, che rende
impossibile la formazione dell'ossido passivante al suo interno. Una volta che l'Al 3+ si allontana
dalla regione di basso pH, si riformano precipitati che formano una membrana sull'esterno del pit
con incremento della v.c. nel pit. La presenza di alogenuri aggrava il problema, soprattutto
quando sono presenti impurezze di rame ridepositato da altre parti dell'impianto, con formazione
176
di celle galvaniche locali. Altra forma pericolosa è la c. intergranulare, dovuta alla precipitazione
di particelle di Cu2Al (più nobile della matrice) o Mg2Al3 (meno nobile). Tuttavia, se il
trattamento termico condotto è corretto, in genere non si verificano grossi pb.. Ad es., nel sistema
Al-Mg in genere tutto il Mg è in soluzione solida e la sensibilizzazione della si ha solo nel caso si
formi un film continuo di Mg2Al3 sul bdg. Per le leghe alto-resistenziali Al-Zn-Mg-Cu si è
molto studiato il fenomeno della SCC e si è arrivati alla conclusione che sensibili
sovrainvecchiamenti del materiale sono favorevoli (variazione del fattore di forma dei precipitati
sul bdg). Le altre leghe in genere non hanno problemi di tensocorrosione.
Un attacco particolare è quello per 'esfoliazione', anch'esso in prevalenza su leghe alto-
resistenziali, anche se, a differenza della SCC, può aver luogo in numerosi ambienti (anche poco
aggressivi), soprattutto su componenti con forte tessitura indotta da deformazioni plastiche
durante il ciclo di lavorazione.
L'effetto degli elementi di lega è riportato in figura, e chiaramente tali dati valgono se l'elemento
è in soluzione solida (gli effetti sono all'incirca additivi); sono stati anche valutati i potenziali di
soluzione delle particelle secondarie più importanti. L'utilità dei primi è quella di poter seguire
l'andamento della T.T. e quindi del tenore in elementi di lega ancora in soluzione. Per i secondi,
si può valutare separatamente il pot. del bdg e del centro del grano e quindi avere un'idea della
ddp responsabile per la c. intergranulare, l'esfoliazione, ecc..
Corrosione atmosferica. Conservano a lungo il loro colore grigio, reso più cupo per esposizione
prolungata in atmosfere industriali. In atmosfere urbane si può verificare pitting da depositi
grafitici (non pericoloso). In tutti i casi si ha un effetto sensibile solo durante il primo anno, poi
l'attacco va a decrescere. Le leghe Al-Zn-Mg necessitano protezione (cladding, verniciatura). Le
condizioni più gravose sono in atmosfera marina.
Corrosione in acque naturali. Hanno in genere ottime resistenze, in special modo in H2O
distillata o pura ed infatti sono molto impiegate nell'industria per apparecchiature di distillazione
o di H2O deionizzata.
Per impieghi in H2O mare si impiegano di solito leghe Al-Mg che devono comunque essere
protette contro la possibile formazione di microrganismi e alghe. Nella formulazione di queste
pitture c'è come base ossido rameoso (antivegetativo) che potrebbe innescare c. bimetallica. Si
esegue pertanto un pretrattamento chimico sull'alluminio seguito da una prima mano di vernice
contenente cromati.
Acque contenenti Cl- o ioni Cu2+ possono essere pericolose per il pitting. Attenzione ad
impiegare leghe di Al e di Cu nello stesso circuito (ricordare che le acque dolci sciolgono più
rame delle acque dure).
Molto spesso, in applicazioni in acque naturali fredde, quando non è possibile lavare
regolarmente le superfici, si impiegano leghe Al-Mn rivestite con leghe Al-Zn (prot. catodica).
Corrosione nel suolo. Pericolo per contaminanti lisciviati dal terreno. Si possono usare tutte le
leghe a meno di quelle contenenti rame. In genere comunque vengono protetti con bitume o, nel
caso di cavi, con guaine polimeriche. La prot. cat. è meglio non farla, perché in sovraprotezione
si alcalinizza l'ambiente a contatto con il componente e può aumentare la corrosione.
12.7. GHISE
177
Quattro classi principali:
1- GHISE BIANCHE, in cui tutto il carbonio è in soluzione solida nella cementite e nella
matrice;
2- GHISE GRIGIE, nelle quali tutto il carbonio precipita sotto forma di lamelle di grafite:
3- GHISE MALLEABILI O NODULARI, in cui tutto o la maggior parte del carbonio si trova
sotto forma di particelle rotondeggianti di grafite (nelle malleabili dopo ricottura delle ghise
bianche, nelle nodulari dopo solidificazione.
Queste classi possono essere ulteriormente suddivise sulla base delle loro matrici:
Ghisa bianca ----- matrice perlitica (non dev'essere solidificata velocemente
come in conchiglia, altrimenti prende tempra).
Ghisa grigia ------ in genere matrice perlitica. Sono le ghise più usate.
Ghisa malleabile ----- possono essere con matrice ferritica o perlitica, in
funzione del processo impiegato. lega ipoeutettica.
Ghise nodulari (o sferoidali) ----- in buona parte solidificano con matrice
perlitica, ma molto spesso si impiegano trattamenti termici per
ottenere una matrice ferritica (migliore duttilità), lega
ipereutettica.
Effetto della struttura sulla corrosione. Una prima differenza essenziale tra le ghise e gli acciai è
che gli acciai, corrodendosi in modo uniforme, diminuiscono gradualmente le loro dimensioni
globali; le ghise invece, da un primo esame visivo non sembrano sensibilmente corrose, in quanto
mantengono pressocché inalterate le loro dimensioni geometriche. Questo dipende dalla
presenza nelle sole ghise di costituenti microstrutturali poco o per nulla presenti negli acciai,
come la grafite, la steadite (eutettico ternario Fe-Fe3C-Fe3P) e, anche se in minor misura, i
carburi. Quando la ghisa si corrode, rimane uno scheletro formato dalle lamelle di grafite
irrigidite dall'eutettico steadite e riempite dai detriti di carburo della ex-perlite e dall'acido
salicidico derivante dal Si della ghisa. Questa struttura ha una certa consistenza e mantiene il
contorno originale del componente.
Corrosione nel suolo. L'applicazione più diffusa delle ghise è per condutture di acqua potabile,
acqua nera e gasdotti. La velocità dell'attacco dipende fortemente dall'aggressività del suolo, in
ragione delle sue caratteristiche chimico-fisiche e di conducibilità elettrica. Si è cercato di
classificare i terreni in base alla loro aggressività per le strutture interrate. Un possibile valore di
riferimento è una resistività di 4000 ohm.cm (misurato al livello della tubazione), al di sopra il
terreno non è praticamente aggressivo per la ghisa. Tuttavia, non si può prescindere totalmente
dalla natura del terreno: i terreni più aggressivi sono quelli argillosi, che sono conduttivi e
scarsamente compattabili sulla superficie della struttura e quindi più capaci di innescare fenomeni
di pitting che, in questi terreni, possono procedere a velocità di diversi mm/anno. Da ricordare,
inoltre, la difficoltà e l'incertezza nel caso di valori della misurazione della resistività del terreno
e quindi l'incertezza nel caso di valori di resistività non molto alta.
178
12.7.1. GHISE AD ALTO CONTENUTO DI NICKEL.
L'aggiunta di circa il 20%Ni alle ghise permette di ottenere una matrice austenitica in leghe
denominate ghise Ni-resist. Oltre ad essere più resistenti agli shock termici e più duttili, sono
sensibilmente più resistenti a c.. Disponibili con grafite lamellare e sferoidale, esistono 5 Gradi
di quest'ultima e 6 Gradi della lamellare. La migliore resistenza a c. è in primo luogo dovuto
all'effetto del Ni (vedi figura) e il confronto delle curve di polarizzazione mostra una corrente
anodica molto minore ai bassi pot. (quindi miglior comportamento in soluzioni acide diluite) e
una minore densità di corrente critica. Un'altro importante vantaggio rispetto alle ghise grigie è
una maggior resistenza alla 'grafitizzazione' del materiale, che si manifesta in alcuni ambienti e
che consiste nell'accelerazione del fenomeno corrosivo all'interno del materiale a causa della
pellicola di grafite formata sulla superficie (la grafite è più nobile del metallo).
Applicazioni ghise ad alto Ni. Non molto resistenti agli acidi forti (anche se migliori delle non
legate); possono essere impiegate per trattare acidi organici (ossalico, formico, acetico). Buona
resistenza agli alcali (migliora con il tenore di Ni), ampiamente impiegato negli impianti
produzione soda caustica. Altre applicazioni nell'imdustria sono mostrate in tabella.
Non esiste una profonda differenza tra acciai e ghise ad alto cromo, se non per il tenore di
carbonio (<0,3 acciai, 0,6-3 % ghise) e per la necessità di ottenere i componenti per fusione. Per
ottenere film protettivi efficaci, occorre che una certa quantità minima di cromo sia libera (>12%)
dal carbonio. In prima approssimazione occorre quindi %Cr = (%C x10) +12. Il silicio sembra
migliorare sensibilmente (tenore massimo circa 2%) la resistenza a c., probabilmente perché
raffina i carburi di cromo. Comunque migliora la colabilità della lega e l'aspetto superficiale. La
struttura risultante consiste in una matrice ricca in Cr con una dispersione uniforme di carburi
tipo Cr7C3 e Cr23C6. Le proprietà meccaniche sono molto interessanti, con valori di durezza
circa 300 HB e sR circa 500 MPa e si capisce come le applicazioni più interessanti siano in
ambienti dove la resistenza all'abrasione è importante.
Resistenza a corrosione. Devono la loro resistenza alla formazione di un fitto reticolo di ossidi di
cromo, ossidi di ferro, pertanto lavorano bene in ambienti areati o comunque ossidanti; in
condizioni anareobiche si corrodono velocemente, così come in ambienti inquinati con
depassivanti come i cloruri.
In acido nitrico resistono molto bene ed a T elevata per concentrazioni basse dell'acido
(comportamento complementare alle ghise al silicio), vedi figura. L'effetto di aggiunte di 2%
Mo può migliorare anche la resistenza in H2SO4, comunque scarsa. Scarsa resistenza all'HCl.
Resistenza alla corrosione-erosione. Queste leghe con contenuti di C tra 0,5-2% presentano
un'ottima combinazione. Aumentando il tenore di C diminuisce la resistenza alla c. e aumenta la
durezza. Importanti applicazioni per movimentazione slurry con abrasivi.
179
praticamente lavorabili alle macchine utensili. La microstruttura consiste in una matrice di ferro-
silice a in cui la maggior parte del carbonio è sotto forma di lamelle di grafite. Si è cercato di
ottenere noduli, ma è inutile, dato che in questo caso è la matrice ad essere fragile. Sono talmente
fragili che nella fase di produzione del getto è meglio liberarli dalla forma quando sono ancora al
colore rosso (senza farli raffreddare a temperatura ambiente) e trattarli termicamente a 850 °C per
4-5 ore con raffreddamento in forno (sono pochi i produttori specializzati).
Resistenza agli acidi. Incompatibile con HF. Vanno bene con tutti gli acidi, anche se attaccati in
modo abbastanza severo da HCl, HBr e H2SO3. Si è provato ad incrementare la composizione
fino a 17-18 %Si oppure ad aggiungere al 14,5%Si cromo più 3%Mo, con buoni risultati. Il
primo lascia uno strato più compatto di SiO2 dopo la prima corrosione, con il secondo si formano
(circa 6%Cr) ossidi di cromo molto stabili con eliminazione della grafite. In figura sono riportati
i campi di applicazione (v.c. < 0,1 mm/anno) della lega base e di quella al 18%Si per HCl.
Utilissimi questi materiali per impiego in H2SO4 (non acido fumante), ed HNO3.
180
13. I MATERIALI POLIMERICI NELL'INDUSTRIA CHIMICA
Andrea Lazzeri - Dipartimento di Ingegneria Chimica, Chimica Industriale e Scienza dei
Materiali - Università di Pisa
13.1. Introduzione
Una delle principali caratteristiche delle materie plastiche è la loro inerzia chimica. Alcuni
polimeri resistono ad acidi così corrosivi da poter attaccare e dissolvere rapidamente molti
metalli. Una famiglia di materie plastiche, i fluoropolimeri, spicca per la sua resistenza ad una
grande varietà di sostanze chimiche, e include quello che è senza dubbio il materiale in assoluto
più inerte attualmente conosciuto, il politetrafluoroetilene (Teflon). Se la resistenza chimica dei
polimeri è molto grande, le limitate proprietà meccaniche ne limitano l'uso come materiali
strutturali nell'impiantistica chimica. Da questa limitazione sono esclusi i materiali compositi a
matrice polimerica, che costituiscono una famiglia di materiali strutturali tra i più versatili. Al
momento sono prevalentemente usate le resine termoindurenti con rinforzo in fibra di vetro, ma il
progresso nelle tecnologie di produzione per le matrici termoplastiche potrebbe modificare
notevolmente la scelta dei materiali. Anche nella costruzione di impianti chimici, la resistenza
alla corrosione non è l'unica proprietà da considerare e le caratteristiche complessive dei materiali
devono essere considerate, comprese la resistenza alla combustione, la tenacità e la resistenza al
calore.
1) Ossidazione
2) Idrolisi
3) Disidratazione
4) Degradazione termica
5) Disintegrazione o degradazione a causa di solventi
181
delaminare, scolorire, dissolversi, o rigonfiare. I primi quattro processi di attacco comportano la
rottura di legami chimici e possono considerati come meccanismi di tipo chimico, mentre la
degradazione di un polimero da parte di solventi non comporta rotture di legami e può essere
considerata un meccanismo di tipo fisico.
(a) idrolisi da parte di acqua calda, acidi e alcali. l'effetto dell'acqua è più pronunciato con
polimeri contenenti gruppi soggetti a idrolisi, come i gruppi esterei, ammidici e nitrilici. L'idrolisi
è un problema particolarmente con i polimeri ottenuti per policondensazione, perché questo è un
processo reversibile. L'idrolisi in questo caso provoca la depolimerizzazione. Particolarmente
attaccabile è il legame estereo. La mobilità della catena riveste un ruolo importante.
(b) ossidazione da parte di aria, ozono, agenti ossidanti liquidi come l'acido nitrico, e i sali acidi.
In condizioni normali l'ossigeno atmosferico è sempre presente nei polimeri a causa della
diffusione. L'ossidazione di solito avviene attraverso la rottura di legami e la formazione di
radicali liberi che successivamente danno luogo a composti di più basso peso molecolare.
Talvolta si possono anche avere fenomeni di reticolazione. In ogni caso ciò porta ad un aumento
di fragilità.
L'esposizione ad atmosfere ossidanti congiunte ad alte temperature, talvolta variabili nel tempo,
costituisce uno dei tipi di processi degenerativi più comuni per i manufatti in vetroresina. Esempi
si hanno nei processi di cristallizzazione discontinua durante i quali le temperature possono
ciclare tra 0°C e 60°C diverse volte al giorno oppure nei reattori batch in vetroresina dove
avvengono reazioni esotermiche e la temperatura può ciclare da quella ambiente a 105°C tre o
quattro volte al giorno.
(c) pirolisi. Si tratta di un processo degradativo di tipo chimico (carbonizzazione) che non
comporta necessariamente l'intervento diretto di un aggressivo chimico. Può avvenire a causa di
un incendio o, ad esempio con acido solforico concentrato (es. 93%). Questo processo distrugge
la struttura molecolare del materiale che annerisce e perde completamente la resistenza
meccanica.
Questi processi sono fortemente influenzati dalla temperatura e dalla concentrazione dei reagenti.
La dipendenza dalla temperatura segue la legge di Arrhenius:
Se la reazione è rapida, dopo una breve esposizione, divengono apprezzabili variazioni di peso e
aspetto superficiale. Se la reazione è lenta, sono più significative variazioni di proprietà
meccaniche, come l'allungamento e il carico a rottura.
182
Per poter determinare la durata in servizio, un test efficace è quello di frattura al creep,
dove si misura il tempo per provocare la rottura del provino, sottoposto all'azione dell'ambiente
aggressivo, in funzione dello sforzo di progetto.
G = H – T S
Il miscelamento avverrà se G è negativo e, dal momento che per il processo di soluzione tra un
polimero e un solvente S > 0, H deve essere piccolo. Infatti per la maggior parte delle
soluzioni di polimeri il processo di soluzione è endotermico. Per Hildebrand H può essere
espresso in termini delle proprietà chimico-fisiche dei singoli composti che prendono parte al
processo, in base alla seguente espressione:
2
E 1 / 2 E
1/ 2
H Vm 1
2
j 1j 2
V1 V
2
Dove E/V è la densità di energia coesiva che per polimeri e solventi non polari è definita come
il rapporto tra E, l'energia di vaporizzazione e V il volume molare. Vm è il volume totale della
miscela e ji sono le frazioni volumetriche. È evidente che se H deve essere piccolo, i valori di
E/V per il solvente e il polimero devono essere simili. Quindi se i valori di tutte le densità di
energia coesiva fossero note per tutti i polimeri e tutti i solventi, sarebbe sufficiente confrontare
coppie di valori. La densità di energia coesiva E per i solventi è data dall'espressione:
E Hvap - RT
dove Hvap è il calore latente di vaporizzazione e R la costante dei gas. Così E è
approssimativamente uguale al calore di vaporizzazione.
Per i polimeri E deve essere determinato attraverso una strada differente.
183
Al posto della densità di energia coesiva, può essere utilizzato il parametro di solubilità, , ad
essa strettamente correlato, che è dato da questa espressione:
= (E/V)0,5
=DG/M
I parametri di solubilità, per alcuni dei polimeri più frequentemente usati nell'industria chimica,
sono riportati in tab. 1.2.
tab. 1.2
polimero parametro di solubilità
(J/cm3)1/2
gomme fluorurate 13,5-17,0
gomma naturale 16,2-17,1
gomma butadiene-stirene 16,6-17,6
gomma butile 15,8-16,0
butadiene-nitrile 18,9-20,3
peek 19,4
policloroprene 16,7-19,2
polietilene 16,2
polipropilene 16,6
polivinilcloruro 19,4-19,8
polistirene 17,0-19,8
polimetilmetacrilato 18,4-19,4
polivinil acetato 19,2
teflon 12,7
nylon 66 27,8
184
tab. 1.3
(J/cm3)1/2
decafluorobutano 10,6
neopentano 12,9
n-esano 14,9
dietil etere 15,1
cicloesano 16,8
tetracloruro di carbonio 17,6
toluene 18,2
benzene 18,8
cloroformio 19,0
metil etil chetone 19,0
cloruro di metilene 19,8
acetone 20,3
nitrobenzene 20,5
disolfuro di carbonio 20,5
1,4-diossano 20,5
dietilen glicol 20,9
DMSO 24,6
dimetil formammide 24,8
nitrometano 26,0
m-cresolo 27,2
acido formico 27,6
metanolo 29,7
acqua 47,9
Dal punto di vista della differenza del parametro di solubilità tra il polimero P e il liquido con
esso a contatto L, si possono distinguere due casi:
P - L > 0
2. liquidi che dissolvono o rigonfiano (senza provocare variazioni nella struttura chimica)
P - L ® 0
185
Una differenziazione quantitativa tra i due gruppi non è ancora possibile.
Un parametro importante è la variazione di peso del polimero, provocata dal contatto con il
liquido. Si possono considerare tre casi, a seconda che il liquido provochi (fig. 1.1):
I polimeri cristallini non si sciolgono rapidamente a freddo in nessun solvente, perché l'entropia
di miscelamento è insufficiente a fornire la necessaria energia libera per superare la coesione inter
e intramolecolare. I polimeri semicristallini che contengono legami a idrogeno tendono perciò a
dissolversi a freddo solamente in solventi che formano anche essi legami a idrogeno, con un forte
effetto termico. Esempi sono le poliammidi che si dissolvono in acido formico, e il PET nel
fenolo. Il polietilene non dà luogo a legami a idrogeno e non si scioglie finché non è riscaldato
quasi fino al punto di fusione.
Una importante circostanza che può essere spesso incontrata nell'impiantistica chimica è quando
si ha a che fare con una miscela di solventi. In tale caso il parametro di solubilità della miscela
può essere espressa dall'equazione:
j1V11 + j2V22
m = -----------------------
j1V1 + j2V2
186
13.5. Tensocorrosione (stress corrosion cracking)
La corrosione sotto sforzo è il meccanismo di attacco chimico che si ha se un reagente che non
attacca o dissolve in modo apprezzabile un polimero quando questo non è sollecitato, causa una
rottura catastrofica quando questo si trova sotto sforzo. Di solito ciò accade per la nucleazione e
la propagazione di fratture o crazes. È il meccanismo di attacco chimico più complesso e quello
più difficile da predire. Per questo è anche il più importante.
Due tipi di corrosione da sforzo sono generalmente distinti:
2. il liquido è un solvente debole, come nel caso di soluzioni di cloruro di zinco a contatto con
nylon o di alcol con polistirene.
In ambedue i casi, i test standard, variazioni di peso, dimensioni e aspetto superficiale dopo una
esposizione al liquido in assenza di sollecitazioni, non sono indicative di un attacco chimico. Lo
stesso si può dire della curva sforzo deformazione. Il fenomeno si manifesta infatti solo quando si
ha insieme uno sforzo accompagnato dall'esposizione ad un agente aggressivo. Occorrono perciò
test più specifici.
La velocità a cui un agente causa stress-cracking può variare considerevolmente. In taluni casi
l'esposizione di un agente di stress-cracking può provocare, in un polimero sollecitato,
l'immediata formazione di crack seguita da una rapida frattura. In altri, occorre un tempo molto
più lungo e spesso è difficile distinguere questo dal caso di attacco chimico ad un polimero non
sollecitato. Un confronto tra l'effetto di due reagenti, un plasticizzante e un agente di stress
cracking, sul comportamento alla rottura per creep nel PVC, è rappresentato in fig. 2.1.
I meccanismi fondamentali di corrosione sotto sforzo postulano l'esistenza di un punto di
indebolimento localizzato sulla superficie del polimero, dovuto all'azione chimica dell'agente di
stress-cracking. Lo sforzo (particolarmente pericolosi quello tensile o flessionale) causa un
cedimento localizzato, che porta alla formazione di una cricca, esponendo così la superficie di
frattura e l'apice di questa alla penetrazione del solvente. La cricca agisce poi come concentratore
di sforzo, amplificando l'effetto del reagente e provocando ulteriori cedimenti. Il risultato è la
propagazione di una frattura attraverso il materiale, finché questa non diviene instabile e porta ad
un cedimento catastrofico.
187
Sono state identificate numerose sorgenti di nucleazione di cricche, in particolare:
1) l'assorbimento selettivo del reagente in zone particolari del polimero, ad esempio nelle zone
amorfe di un polimero semicristallino. Questo è seguito da plasticizzazione, dovuto alla
diminuzione della temperatura di transizione vetrosa, e da indebolimento localizzato che provoca
prima una frattura e successivamente la sua propagazione.
2) la solvatazione selettiva da parte del reagente di parti localizzate del polimero, per esempio
dove è più alta la concentrazione di frazioni a basso peso molecolare e da oligomeri, lasciando un
punto di maggiore debolezza sulla superficie. Lo sforzo, amplificato in prossimità del difetto,
produce poi un cedimento iniziale seguito da frattura rapida.
3) la complessazione da parte del reagente di centri attivi lungo la catena polimerica, per
esempio, gruppi polari in polimeri semicristallini, portando ad una distruzione localizzata del
grado di cristallinità e conseguentemente ad una minore resistenza meccanica. Lo sforzo provoca
poi una frattura in corrispondenza del punto di minore resistenza.
Sono stati messi a punto molti metodi di prova per studiare la corrosione sotto sforzo, ma il
metodo migliore è il test di rottura al creep, che permette sia di ottenere dati i progetto sia di
studiare gli altri tipi di attacco chimico.
188
13.6. Distacco tra fibra e matrice.
Nei materiali compositi il rigonfiamento della matrice a causa di un solvente porta ad una
riduzione dello sforzo di compressione sulle singole fibre che è indotto durante la gelazione, con
conseguente distacco dell'interfaccia. L'azione di idrolisi può anche esercitarsi sull'agente
accoppiante o sui legami tra questo e la fibra, o tra la matrice e l'agente accoppiante.
All'interfaccia, una pressione osmotica può essere causata dalla lisciviazione di ioni dalle fibre di
vetro. Il distacco tra fibra e matrice è parzialmente reversibile dopo un essiccamento, ed anche la
resistenza meccanica può tornare ai valori iniziali.
I termoplastici sono generalmente più resistenti all'attacco di sali acquosi, acidi minerali forti o
deboli, alcali o agenti ossidanti rispetto alle resine termoindurenti (poliestere o epossidiche)
rinforzate con vetro, ma queste ultime offrono una superiore rigidezza e resistenza. Tubi
costituiti da un tubo interno termoplastico, rinforzato con un tubo in vetroresina aderente al
primo, offrono la migliore combinazione di proprietà per molte applicazioni critiche che
comportano combinazioni severe di temperature, pressioni e ambienti chimicamente aggressivi.
I termoplastici possono essere prodotti sia per estrusione che per stampaggio, ma sono meno
adatti ad essere rinforzati con fibre, a causa della loro alta viscosità allo stato fuso. Per questo
sono di solito rinforzati con fibre corte e si possono raggiungere frazioni volumetriche del
rinforzo minori di quelle possibili con le resine termoindurenti.
189
13.8. Termoplastici di interesse
I costi dei materiali principali sono riportati in tabella 3.1.
tabella 3.1
_____________________________
costo costo
PB 2900 2600
Tre dei quattro polimeri considerati di uso generale (commodity), come il polietilene (PE),
il polipropilene (PP), e il PVC non plasticizzato (UPVC), sono usati in grande misura per la
fabbricazione di tubi. Sebbene siano tra i polimeri più economici sul mercato, offrono una
migliore resistenza chimica complessiva all'attacco chimico di alcuni tecnopolimeri più costosi,
compreso il nylon (PA), il policarbonato (PC) e il polifenilenossido (PPO). Infatti i polimeri con
struttura chimica semplice sono in genere più stabili e, ad eccezione dei fluorocarburi, meno
costosi da produrre.
PREGI
basso costo della materia prima ed alta resistenza e rigidezza
bassi costi di installazione:
i tubi in PVC rigido possono essere saldati a solvente, dando luogo a giunzioni di buona qualità.
190
buona resistenza chimica.
________________________________________
Proprietà unità
________________________________________
allungamento a rottura 25 %
LIMITAZIONI
stretto intervallo di temperature di esercizio sopra i 60°C la sua resistenza e rigidezza
decadono a livelli che ne rendono impossibile l'impiego. A temperature inferiori a 0°C, diviene
poi notevolmente fragile.
tenacità relativamente limitata.
La resistenza all'urto a temperatura ambiente e minori è bassa in confronto a quella del HDPE e
dell'ABS. Il PVC rigido non è adatto a trasportare gas compressi perché il cedimento è di tipo
fragile ed esteso.
191
tabella 3.3 - concentrazioni tollerate dal PVC rigido
__________________________________________
Sono disponibili anche tipi di PVC rigido modificato per conferirgli determinate
proprietà. Ad esempio vi sono quelli ottenuti mediante rinforzo con fibre, in genere di vetro,
quelli ad alta resistenza all'impatto (HIPVC) e quelli clorurati, che raggiungono temperature
massime di esercizio di circa 85°C.
192
chimica. Il PVC clorurato ha un contenuto in cloro di circa il 65% contro il 57% del comune
PVC rigido, e una massima temperatura operativa di 85 C (60°C per il PVC).
La clorurazione del PVC ne riduce la duttilità, mentre ne aumenta il costo. Il materiale
presenta anche maggiori difficoltà di lavorazione, avendo una maggiore tendenza a rilasciare
acido cloridrico durante la fase di processazione. Il PVC clorurato può essere utilizzato per la
realizzazione di tubi e di pompe centrifughe.
Alcoli Nafta
Petrolio e oli minerali Acido solforico concentrato
Acido acetico Acido nitrico concentrato
Fluoro gassoso Acqua regia
Formaldeide Freon
Il PVC tenacizzato risulta più resistente del PVC comune, alla fessurazione sotto sforzo (stress
cracking) a contatto di idrocarburi aromatici. Per questo è da preferirsi al PVC in applicazioni
quali la distribuzione di gas a bassa pressione.
I tubi in PVC tenacizzato costano circa il 40% in più dei tubi in PVC rigido. I costi di
installazione sono simili.
193
tabella 3.4 - proprietà tipiche dell'ABS
________________________________________
Proprietà unità
________________________________________
allungamento a rottura 35 %
temp. distorsione 95 °C
acrilonitrile-butadiene-stirene (ABS)
Appartengono a questa categoria miscele di gomme insature butadiene acrilonitrile con il
copolimero termoplastico stirene-acrilonitrile (SAN). La fase gommosa conferisce resistenza
all'impatto, mentre la fase termoplastica vetrosa, rigidezza e resistenza meccanica.
Sono disponibili tipi di ABS con diverso tenore di gomma. Se questo è limitato, l'ABS ha una
buona resistenza al creep e alla rottura al creep, e possiede inoltre una alta temperatura di
distorsione. Con il massimo contenuto di gomma, l'ABS diviene molto tenace, a scapito però
delle altre proprietà.
Sebbene i tubi in ABS abbiano un costo decisamente superiore a quelli in UPVC, HDPE e PP,
essi offrono una buona combinazione di proprietà fisiche e meccaniche, come mostrato in tab.
3.4.
Il maggiore costo dell'ABS è compensato in una certa misura dalla maggiore facilità di
giunzione. Come per il PVC rigido, i tubi possono essere saldati per mezzo di un solvente. I costi
di processazione sono particolarmente bassi per la facilità con cui l'ABS può essere stampato.
194
grazie alle sue buone caratteristiche reologiche , e alla sua stabilità chimica alle temperature di
lavorazione, senza dover ricorrere, come nel caso del PVC, all'uso di costosi (e spesso tossici)
additivi stabilizzanti. Queste caratteristiche spiegano perché l'ABS sia preferito al PVC nelle
industrie alimentari.
In termini della sua resistenza chimica l'ABS è inferiore al PVC rigido, al HDPE e al PP. In
particolare è notevolmente inferiore al PVC in contatto con:
È invece superiore al PVC riguardo ad un limitato numero di prodotti chimici, come gli oli
minerali e il gasolio, a temperature fino a 50 °C.
1. linee di aria compressa ad alta pressione esposte ad attacco chimico esterno. Il PVC rigido, in
queste condizioni può dar luogo a rotture catastrofiche.
2. ambienti di processo e di fabbrica dove esiste la probabilità che la tubazione subisca urti.
3. condizioni di temperature basse (da -30 +10 °C) e alte (da 50 a 80 °C).
4. nelle industrie farmaceutiche e alimentari dove anche la minima contaminazione è
inaccettabile.
polietilene (PE)
È una poliolefina semicristallina e perciò è simile come proprietà al polipropilene e al
polibutilene. Può essere classificato in base alla sua densità in tre tipi, bassa (LDPE), media
(MDPE), e alta (HDPE). Al crescere della sua densità (e quindi della sua cristallinità) aumentano
la rigidezza, la resistenza e la temperatura di distorsione, a spese della tenacità e della resistenza
agli urti. È inoltre disponibile un polietilene reticolato (XPE).
195
tabella 3.5 - proprietà tipiche dell'HDPE
________________________________________
Proprietà unità
________________________________________
HDPE
Come mostrato in tab. 3.5, il polietilene ad alta densità, rispetto ad altri materiali
termoplastici usati nella produzione di tubi, è più tenace e flessibile. Tubazioni in polietilene ad
alta densità sono utilizzate per condotte di scarichi industriali, reti di distribuzione di acqua anche
in pressione, e per impieghi a bassa temperatura.
La resistenza chimica dell'HDPE è di più difficile determinazione rispetto agli altri
termoplastici. Tutti i polietileni sono suscettibili alla corrosione sotto sforzo. Sebbene per la
produzione di tubi siano usati HDPE ad alto peso molecolare, che sono meno sensibili a questo
tipo di corrosione, esiste tuttora una mancanza di precise informazioni riguardo alla loro
resistenza. I dati di resistenza chimica sono quasi sempre ottenuti in assenza di sforzi. Questi dati
indicano che l'HDPE ha una resistenza chimica superiore all'ABS e al PVC e simile a quella del
polipropilene.
Il meccanismo responsabile della corrosione sotto sforzo non è ancora completamente chiarito.
Comunque si può supporre che agisca in tutti gli ambienti, compresi l'aria e l'acqua. Come
vedremo in seguito, la rottura di un tubo in HDPE passa da una modalità duttile ad una fragile
all'aumentare del tempo che il tubo è stato in pressione, anche se con sola aria o acqua. Alcune
sostanze chimiche accelerano la transizione alla frattura fragile.
196
A causa della corrosione sotto sforzo l'HDPE è usato limitatamente nell'industria chimica per
tubazioni in pressione.
MDPE
Il polietilene a media densità ha una buona saldabilità e una buona resistenza alla
propagazione di fratture. La sua tenacità è molto superiore a quella dell'HDPE, e sebbene le sue
proprietà meccaniche a breve termine (modulo elastico e carico di rottura) sono inferiori a quelle
dell'HDPE, quelle a lunga scadenza (creep e fatica) sono simili. Sebbene non sia ancora molto
usato nell'industria chimica, il MDPE può potenzialmente essere una alternativa ai metalli nella
realizzazione di tubazioni per gas e vapori pericolosi e corrosivi.
polipropilene (PP)
Il polipropilene omopolimero ha proprietà simili all'HDPE ma con superiore resistenza
meccanica, rigidezza e resistenza alle alte temperature. La resistenza all'urto del PP omopolimero
è decisamente inferiore a quella dell'ABS e dell'HDPE e di poco superiore a quella del PVC. Il
polipropilene copolimero (PP/PE) ha una resistenza all'urto intermedia tra quella dell'ABS e
dell'HDPE, ovviamente a spese di una riduzione di rigidezza e di resistenza meccanica.
______________________________________________
temp. fragile-duttile 0 0 °C
197
I tubi in PP tendono a infragilirsi per causa dell'ossidazione termica. Questo può essere
evitato con l'aggiunta di antiossidanti. In ogni caso deve essere evitato il loro uso in contatto con
rame, manganese, cobalto o loro leghe perché questi metalli sono dei catalizzatori per
l'ossidazione.
La resistenza chimica e alla corrosione sotto sforzo del PP è notevole e superiore a quella
di altri polimeri di basso costo (HDPE e PVC). La sua resistenza agli ossidanti forti come l'acido
nitrico, l'acido cromico, l'ipoclorito di sodio e l'acqua ossigenata non è altrettanto buona di quella
del PVC, ma a parte poche eccezioni (idrocarburi paraffinici) è più resistente del PVC e dell'ABS
ai solventi organici. Il PP è comunemente usato nell'industria chimica a temperature comprese tra
60 e 90 C. a temperature inferiori il PVC rigido, per la sua migliore resistenza e, rigidezza e
facilità di giunzione è da preferirsi.
polibutene (PB)
È una poliolefina semicristallina tenace, flessibile e resistente con eccellente ritenzione di
proprietà a temperature elevate. Inoltre possiede eccellente resistenza all'abrasione.
Essendo un polimero di relativamente recente commercializzazione non è ancora molto usato
nell'industria chimica. I suoi usi potenziali sono nel settore delle tubazioni per acqua calda dove
può competere con il polietilene reticolato e il PVC clorurato.
tabella 3.7 - proprietà tipiche del PB
________________________________________
Proprietà unità
________________________________________
198
polivinilidenfluoruro (PVDF)
Rispetto agli altri fluorocarburi, il PVDF è eccezionale in termini di facilità e versatilità di
processazione e in termini di resistenza, tenacità e resistenza all'abrasione. In confronto alle
termoplastiche più convenzionali offre una superiore resistenza chimica e eccellente resistenza
alle alta e le basse temperature. Essendo il suo costo circa 20 volte superiore delle plastiche di
uso generale, il PVDF è riservato per applicazioni con fluidi estremamente corrosivi.
Il PVDF è anche disponibile con rinforzo fibroso. È stato stimato che il costo di un sistema
di tubi in PVDF comprensivo dei costi di installazione è simile a quelli in acciaio inossidabile e
all'acciaio ebanitato.
La resistenza chimica del PVDF è inferiore a quella del PTFE. Mentre resiste molto bene
a molti prodotti chimici fino alla sua massima temperatura di impiego (150 C), in ambienti più
aggressivi mostra una resistenza solo fino a temperature inferiori (tab. 3.9).
________________________________________
benzene 60
cloroformio 100
199
cicloesano 150
________________________________________
Il PVDF mostra invece una resistenza solo parziale a molti composti chimici,
prevalentemente organici, come:
________________________________________
Proprietà unità
________________________________________
allungamento a rottura 75 %
200
3.3 comportamento meccanico dei tubi in termoplastico
La resistenza e la rigidezza dei termoplastici sono fortemente dipendenti dal tempo e dalla
temperatura. Sotto l'azione di un carico la deformazione gradualmente aumenta fino
all'inevitabile cedimento. Questo processo è accelerato dalla temperatura.
201
Il "ginocchio" nella curva per L'HDPE coincide con una variazione da un comportamento duttile
ad uno relativamente fragile. Le rotture fragili predominano a temperature elevate e lunghi tempi
di servizio (bassi carichi). Questo comportamento è osservato anche nel PP, ma la transizione è
ritardata. Per esempio, a 40 °C la transizione duttile fragile per il PP avviene dopo circa 5 anni,
mentre nell'HDPE compare dopo circa 6 mesi.
Per altre termoplastiche l'andamento è relativamente lineare, ma in presenza di intagli,
sforzi intermittenti di contemporaneo attacco chimico, si osserva una decisa transizione. Si
definisce fattore di corrosione sotto sforzo come il rapporto tra il tempo necessario per provocare
la rottura in presenza di un certo prodotto chimico e il tempo necessario in presenza di acqua, allo
stesso livello di sforzo e di temperatura. Una selezione di dati disponibili per il PP e l'HDPE sono
riportati in tab. 3.11.
13.10. Fatica
I tubi termoplastici sono raramente soggetti a pressione costante durante la loro vita. Carichi
ondulanti (presenza di pompe centrifughe), impulsivi (chiusura di valvole), o intermittenti
(processi discontinui) sono molto frequenti in un impianto chimico. Quando la pressione è
variabile nel tempo, la resistenza a lungo termine può essere inferiore a quella indicata dalle
prove di rottura al creep.
In genere le termoplastiche amorfe (ABS, PVC, HIPVC) hanno un comportamento inferiore in
condizioni di carico non stazionarie. La fig. 3.3 mostra la caratteristiche di fatica statica e
dinamica per il PVC.
I termoplastici semicristallini sono meno sensibili ai carichi ciclici dei polimeri amorfi.
Comunque mostrano una notevole debolezza, in presenza di carichi pulsanti, in corrispondenza
delle regioni di saldatura tra i tubi. La concentrazione di sforzi e l'infragilimento della zona di
saldatura provocano l'innesco e la propagazione di fratture.
202
13.11. Strutture in materiali compositi
Le caratteristiche di resistenza dei polimeri possono essere drasticamente migliorate
rinforzandole con fibre, ottenendo così materiali con una notevole combinazione di proprietà
chimiche e meccaniche.
I materiali compositi sono attualmente usati, negli impianti chimici, prevalentemente per lo
stoccaggio e la movimentazione di fluidi corrosivi. L'eccellente resistenza all'attacco atmosferico,
batterico e chimico, l'alto rapporto resistenza peso, la semplicità di stampaggio in costruzioni
monolitiche, sono tra i principali vantaggi dei materiali compositi. Alcuni svantaggi però limitano
ancora un loro più largo uso. In particolare la minore rigidezza rispetto ai metalli, la limitata re-
sistenza interlaminare e la loro sensibilità alle concentrazioni di sforzo sono i principali difetti.
Inoltre hanno una minore resistenza alla temperatura dei metalli e delle ceramiche, e sono
sottoposti al creep.
Tuttavia una buona resistenza alla corrosione significa una maggiore vita del prodotto e
minori perdite di produzioni durante le fermate per manutenzione. Inoltre, considerati i costi di
installazione, le strutture in vetroresina sono di solito più economiche dell'acciaio al carbonio
rivestito con gomma e meno costose degli acciai speciali.
I compositi sopportano bene sforzi nel piano delle fibre, ma non si comportano altrettanto
bene a flessione o a compressione. Per questo i compositi sono prevalentemente utilizzati in
strutture cilindriche, come nei tubi e nei recipienti sottoposti a pressione interna. Non sono invece
utilizzati per applicazioni sotto vuoto. Per la loro natura fragile le vetroresine, non sono adatte a
contenere liquidi ad alta pressione e gas anche a pressioni basse. L'elevata energia potenziale di
questi sistemi potrebbe dar luogo a fratture estese. Per questo motivo la pressione dei liquidi nei
tubi non deve superare 20 atm, e un massimo di 5 atm nei recipienti.
Gli svantaggi sopra descritti sono relativi alle resine termoindurenti rinforzate con fibre di
vetro, mentre le nuove matrici termoplastiche rinforzate con fibre di carbonio non soffrono di
queste limitazioni. Sebbene il costo delle fibre di carbonio e delle matrici termoplastiche ad alta
resistenza termica ed alta tenacità diminuisce rapidamente, per ora il loro impiego
nell'impiantistica chimica è limitato ad applicazioni speciali.
Certi processi chimici sono fortemente dipendenti dalle vetroresine. Tra gli esempi vi sono le
attività che utilizzano il cloro e l'acido cloridrico, acido solforico diluito, alcali, e le industrie
alimentari.
203
Resine utilizzate nei materiali compositi
resine termoindurenti
Le termoindurenti più importanti nel settore anticorrosione sono:
204
205
usato per le poliestere. Inoltre, il fatto che il gruppo insaturo si trovi soltanto all'estremità della
molecola, favorisce una completa reticolazione, evitando così la probabilità di rotture di catena a
causa dell'ossidazione o dell'alogenazione dei legami C=C che non hanno preso parte alla
reazione di cura.
Altre resine poliestere di rilievo per l'industria chimica sono quelle basate sull'acido tereftalico
e quelle ottenute a partire da acido HET. Le prime hanno una struttura simile alle isoftaliche e
sembrano avere, rispetto a queste, una migliore resistenza in presenza di alcoli, acido fosforico e
acido cromico. L'alto contenuto in cloro delle poliestere a base di HET impartisce sia una buona
resistenza alla fiamma che una resistenza alla corrosione paragonabile alle migliori resine
disponibili.
(2) epossidiche
Anche per le resine poliestere esistono vari tipi. Le differenze principali non stanno, in questo
caso, soltanto nel tipo di resina ma anche negli agenti di cura che possono impartire varie
proprietà. Nei compositi usati nell'impiantistica chimica si usa generalmente un prepolimero
prodotto per policondensazione tra epicloridrina e bisfenolo A:
206
Questo prepolimero è poi curato con indurenti a base di ammine.
Le applicazioni delle resine epossidiche sono simili a quelle delle poliestere. I loro svantaggi
sono un costo maggiore e una più complessa tecnologia per produrre grandi strutture. In
compenso il loro ritiro è molto minore e aderiscono meglio ai substrati metallici e ai rinforzi
fibrosi; questo a sua volta significa che le proprietà meccaniche sono migliori.
(3) furaniche
Sono prodotte a partire da alcool furfurilico anziché da intermedi petrolchimici. Sono note
come la base dei cementi resistenti chimicamente, ottenuti miscelandole con fiocchi o fibre corte,
ma sono adesso disponibili formulazioni che permettono la realizzazione di laminati strutturali in
fibra di vetro con eccellenti prestazioni. Le resine stesse possiedono ottima resistenza agli acidi,
alcali, agenti ossidanti e una notevole gamma di solventi organici. Sono relativamente costose e
opache, rendendo così difficile la localizzazione di vuoti e difetti.
(4) fenoliche
Sono note da molti anni come polveri da stampaggio e furono le prime resine usate come
rivestimento. La loro resistenza ai prodotti chimici organici si avvicina a quella fornita dalle
resine furaniche: resistono all'acido solforico concentrato fino a 75°C. Hanno invece un scarsa
resistenza agli alcali e agli alogeni. Recentemente sono state commercializzate resine fenolo-
formaldeide da stampaggio con fibre di carbonio o di vetro.
Le resine termoindurenti hanno dei vantaggi di fabbricazione rilevanti per il loro uso nella
processistica chimica, in particolare la possibilità di realizzare manufatti singoli o di grandi
dimensioni. Possono poi sostenere temperature di servizio superiori a quelle delle più comuni
termoplastiche. D'altra parte non sono adatte a produzioni di massa, se si escludono i tubi da
filament winding. Le loro strutture chimiche sono quasi invariabilmente idrofile, ed inferiori alle
termoplastiche semicristalline sia in resistenza all'assorbimento di liquidi che di tenacità.
resine termoplastiche
207
Il problema dei metodi di fabbricazione viene affrontato sviluppato nuove tecniche di filament
winding. Il secondo problema sarà alleviato se le termoplastiche ad alte prestazioni di tipo
poliarilico diverranno competitive.
Tra i termoplastici rinforzati con fibre corte di vetro le poliammidi mostrano notevole
resistenza meccanica e una buona resistenza chimica agli oli, all'acetone e al toluene ma
subiscono idrolisi in presenza di soluzioni acide o basiche. Anche le poliestere sature (PET e
PBT) rinforzate con fibre corte di vetro uniscono buone caratteristiche meccaniche ad un ridotto
assorbimento di umidità, petrolio e benzine.
Il polieter eter chetone (PEEK) è il polimero più importante della sempre più vasta famiglia
delle termoplastiche aromatica ad alte prestazioni ed alti costi. Può essere rinforzato con fibre
lunghe di carbonio o di vetro. Studi preliminari suggeriscono che il PEEK rinforzato con
carbonio (APC, Aromatic Polymer Composite) ha una resistenza chimica eccellente, con
pochissime debolezze (tab. 4.1). Gli acidi ossidanti forti come l'acido nitrico lo dissolvono, e così
pure il bromo. Ma a parte un piccolo rigonfiamento da parte di pochi solventi come il
diclorometano e il tricresil fosfato, il PEEK appare un eccellente materiale per applicazioni
anticorrosione, tenuto anche conto del suo T g di circa 143°C e la sua estrema resistenza alla
combustione.
tab. 4.1
ambiente aumento %
Rinforzo fibroso
La maggior parte dei materiali compositi sono rinforzati con fibre di vetro. Queste, con o
senza trattamento superficiale, non sono danneggiate dalla maggior parte dei solventi organici,
ma sono attaccate dalle soluzioni acide o alcaline, molto lentamente dall'acqua calda. Di
conseguenza la resistenza alla corrosione sotto sforzo di resine rinforzate con fibre di vetro
unidirezionale in acido cloridrico diluito o idrossido di sodio non è buona e si possono
manifestare rotture complete. Probabilmente fratture nel gelcoat, ad esempio conseguenza del
208
creep sugli strati ricchi di resina, possono provocare concentrazioni di sforzo che provocano poi
la rottura delle fibre.
Le resine fenoliche sono indurite con catalizzatori acidi ed eventuali residui di catalizzatore
possono attaccare il vetro.
Le fibre di carbonio resistono agli acidi non ossidanti come l'idrocloridrico, all'acqua calda e al
vapore fino a 1000 C, e agli alcali. Sono rapidamente attaccate dagli agenti ossidanti forti.
(1) una superficie ricca in resina, senza fibre di rinforzo, per minimizzare l'esposizione della
fibra al mezzo acquoso. Si utilizzano per questo le resine più resistenti alla corrosione
(bisfenoliche, vinil estere, clorurate).
(2) un velo di superficie che consiste di uno strato di fibra di vetro resistente chimicamente o
mat termoplastico.
209
(3) alcuni strati di mat impregnati di resina. Il contenuto in resina in questo strato è ancora alto,
tipicamente il 70%.
(4) lo strato di rinforzo, ad esempio alcuni strati di stuoia. Il contenuto in resina cade intorno al
50%.
Lo strato resistente alla corrosione (dallo strato esterno di resina allo strato di mat compreso)
devono essere più spessi quando vengono usati cloro o altri prodotti chimici particolarmente
aggressivi.
Una alternativa alla barriera anticorrosione è costituita dalla combinazione di un tubo in
termoplastico come rivestimento interno, e di una struttura esterna in composito per dare
rigidezza e resistenza. Il termoplastico può essere in PVC, PP o in casi estremi PVDF.
Un fattore importante nella scelta del tipo di rivestimento è la sua permeabilità a liquidi o vapori.
Se il polimero è permeabile o se lo spessore del rivestimento è troppo piccolo, il liquido
210
aggressivo può penetrare ed attaccare il metallo. Questo fenomeno è più probabile con le resine
amorfe (in particolare termoindurenti) che non con le termoplastiche semicristalline, perché in
queste ultime l'impacchettamento più stretto dei cristalliti non permette il passaggio di altre
molecole. Si può ritardare questo processo utilizzando una barriera a bassa permeabilità. Sul
metallo vengono applicati strati ricchi in resina contenenti fiocchi di vetro o grafite che si
dispongono a caso ortogonalmente al flusso dei vapori aggressivi attraverso il rivestimento. Se la
carica è scelta opportunamente, il coefficiente di espansione termica del rivestimento può
risultare molto vicino a quello del metallo. Si deve inoltre, in sede di progettazione, permettere al
liquido permeato tra il metallo e il rivestimento di fuoriuscire senza provocare ristagni.
Sia che si voglia rivestire un metallo con una resina o con un elastomero, la sua superficie deve
essere accuratamente trattata per eliminare ruggine o scorie di lavorazione, mediante rettifica,
pallinatura o sabbiatura. Una volta completata questa operazione occorre procedere al lavaggio
con un solvente per eliminare tracce di grasso e di sporco residuo, e al trattamento del metallo
con un primer adatto all'adesivo da usare.
metodi di applicazione
Per le resine le tecniche di rivestimento sono principalmente:
immersione
Si usa una tecnica a letto fluido, in cui il polimero in polvere è scaldato in una corrente d'aria. Il
manufatto preriscaldato viene immerso nel "fluido". Successivamente il pezzo subisce un
ulteriore trattamento termico per omogeneizzare il rivestimento.
spruzzatura
Nella spruzzatura elettrostatica, le particelle del polimero sono caricate applicando una alta
tensione, mentre l'articolo da rivestire viene messo a terra. Le particelle vengono così attratte sul
manufatto e vi aderiscono. Successivamente vengono fuse in un forno per fornire un rivestimento
continuo.
Se il polimero è termicamente stabile, si può impiegare la spruzzatura al plasma . La polvere, in
questo caso, è scaldata a circa 400 C in una pistola al plasma. Le plastiche che possono essere
spruzzate in questo modo comprendono le poliammidi (nylon 11 e 12), il polietilene, il
polisolfuro, le resine epossidiche e il PVDF.
rotolamento
Si pone la quantità di resina necessaria al rivestimento all'interno di un pezzo cavo riscaldato e
posto in rotazione. Quando la temperatura del pezzo raggiunge quella di fusione del polimero si
forma un rivestimento uniforme.
a mano
È il più vecchio e costoso metodo. Si usa solo quando gli altri non sono utilizzabili in caso di
pezzi che presentino particolari difficoltà di lavorazione.
Il metodo classico per il rivestimento con gomma è l'applicazione di una lastra di gomma non
vulcanizzata sull'acciaio, per mezzo di un opportuno adesivo, seguita dall'applicazione di calore
per permettere la vulcanizzazione.
211
Il rivestimento con gomma di un acciaio comune è attualmente più economico dell'impiego
dell'acciaio inox. L'uso dell'acciaio rivestito sta adesso declinando per il crescente impiego delle
vetroresine. Se si prendono in considerazione anche i costi di installazione nella valutazione
economica, spesso risulta che il minore peso di un manufatto in vetroresina, comporta un costo di
installazione nettamente inferiore rispetto a quello di uno in acciaio rivestito. Comunque, in
situazioni in cui l'impianto può essere sottoposto a pressioni sia alte che basse, l'uso della
vetroresina non è spesso praticabile, mentre il comportamento dei recipienti in acciaio è ben
conosciuto e compreso.
13.13.1.rivestimenti termoindurenti
resine fenolo-formaldeide
Vengono normalmente applicate per spruzzatura e possono essere ibridizzate con altri
materiali. L'incorporazione di siliconi fornisce prodotti con maggiore resistenza termica (fino a
180°C), che possono essere impiegati, ad esempio, nel rivestimento di scambiatori.
Le resine fenolo-formaldeide possono reagire con le resine epossidiche per dare prodotti con
migliore resistenza chimica agli alcali e maggiore tenacità, con una certa riduzione della massima
temperatura di esercizio.
resine epossidiche
Sono disponibili due tipi di rivestimenti epossidici, uno contenente un solvente e l'altro senza.
Sono pure disponibili tipi flessibilizzati ottenuti con l'aggiunta di polisolfoni o poliammidi prima
della cura.
Le resine epossidiche sono utilizzate per proteggere i metalli in condizioni di corrosione
relativamente moderate. Sebbene il loro uso è soddisfacente in contatto con alcali forti, resistono
agli acidi solo se diluiti e non sono adatte ai composti organici, escluso gli idrocarburi e gli alcoli
superiori. L'etanolo e il metanolo possono essere tollerati solo se diluiti, come nel caso delle
bevande alcoliche.
resine poliestere
Il coefficiente di espansione termica delle resine epossidiche e poliestere è circa 10 volte
maggiore di quello dell'acciaio, ma mentre per le resine epossidiche, scegliendo opportunamente
l'indurente (a parte i tipi flessibilizzati), si può produrre un rivestimento relativamente flessibile,
nel caso delle resine poliestere il differenziale di espansione termica porta alla formazione di
microfratture. È necessario, in questo caso, un rinforzo con tessuto di vetro.
212
Tra i vari tipi di resina poliestere sono utilizzati solo i tipi di elevata resistenza agli agenti
chimici.
resine furaniche
Sono utilizzate quale agente ricoprente interno di laminati epossidici poliestere per il
miglioramento della resistenza chimica e come sigillante per rivestimenti ad alta resistenza agli
acidi e ai solventi.
13.13.2.Rivestimenti termoplastici
I rivestimenti ottenuti con lastre di termoplastico non possono, in generale, essere applicati
direttamente alle superfici metalliche se sono previste oscillazioni di temperatura durante
l'esercizio. Tra le eccezioni vi è, ad esempio, il PVDF che è sufficientemente flessibile da poter
essere usato con adesivi epossidici o poliuretanici. Se viene laminato con tessuto di vetro, si può
migliorare l'adesione e ridurre il coefficiente di espansione, permettendo così di realizzare
strutture in vetroresina rivestite in PVDF. Simili tecniche possono essere usate con il
polipropilene.
Per recipienti di notevoli dimensioni si possono utilizzare rivestimenti liberi in PVC
plasticizzato, poliuretano o polietilene clorosolfonato.
polivinilcloruro
Il PVC può essere applicato anche in forma liquida, cioè in una sospensione di resina in un
plastificante (plastisol), che diviene omogenea per riscaldamento. Il PVC plastificato può inoltre
esser applicato in forma di lastre flessibili, per mezzo di adesivi. Se la temperatura di impiego è
minore di 65 C, è una alternativa ai rivestimenti in gomma nelle applicazioni meno impegnative.
poliolefine
Sono usate utilizzate estesamente laddove sono richiesti basso costo ed inerzia chimica. Con il
polietilene si realizzano rivestimenti per mezzo di lastre o con ricoprimenti a spruzzo. L'impiego
è limitato a temperature moderate.
Il polipropilene, sebbene di simile composizione chimica, tende ad ossidarsi più facilmente ad
alta temperatura e non è impiegabile, per questo, per verniciature. È invece impiegato come
rivestimento per laminati in vetroresina, producendo manufatti di assoluta non tossicità, di
estrema resistenza chimica e che si possono pulire a vapore, come è richiesto nell'industria
alimentare.
fluoropolimeri
Tutti i fluoropolimeri hanno le stesse caratteristiche generali e sono utilizzati per rivestimenti di
tubi, e recipienti. L'etilene-clorotrifluoroetilene (ECTFE) è applicato con i metodi elettrostatico e
a letto fluidizzato. Per oggetti cavi, come valvole e tubi, si può anche usare lo stampaggio
rotativo. Anche il PVDF può essere applicato con il metodo elettrostatico e a letto fluidizzato.
Inoltre può essere spruzzato col metodo al plasma. Tra gli inconvenienti del PVDF, oltre al suo
costo elevato, vi è la sua elevata permeabilità alle molecole di piccole dimensioni, come l'acqua,
che possono attraversare il rivestimento ed attaccare il substrato.
Il Teflon non può essere usato per verniciatura, perché forma una pellicola non omogenea. È
invece utilizzabile come rivestimento.
213
13.13.3.Rivestimenti con gomme
L'uso principale delle gomme negli impianti di processo è nel rivestimento di recipienti e di
tubazioni. Le gomme più comunemente usate sono la gomma naturale, l'ebanite, il
policloroprene, la gomma butile e l'Hypalon.
Prima di esaminare in dettaglio le proprietà e le prestazioni delle varie gomme che possono
essere utilizzate, è opportuno fare un confronto tra gli elastomeri di uso più diffuso. Per quanto
riguarda la resistenza termica e la resistenza chimica si può dire che variano, schematicamente, in
questo ordine
gomma naturale
Ancora frequentemente usata, nonostante le numerose gomme sintetiche, per la sua
resistenza agli acidi (escluso per gli acidi forti ossidanti), agli alcali e ai prodotti organici polari.
Non è invece resistente agli idrocarburi alifatici e aromatici, che ne provocano il rigonfiamento
(swelling).
ebanite
L'ebanite conserva le stesse caratteristiche di resistenza chimica della gomma naturale, ma
per la sua maggiore densità di reticolazione possiede una superiore resistenza agli idrocarburi.
L'ebanite, per contro, risulta più fragile e meno resistente agli urti. Può, inoltre, subire danni
a causa di cicli termici.
In ambiente inerte, può essere utilizzata in continuo fino a 100°C.
gomma butile
Possiede una resistenza chimica simile a quella della gomma naturale, ma mostra una
resistenza molto maggiore agli acidi sia minerali che grassi.
La sua superiorità rispetto alla gomma naturale, sta nella sua resistenza termica. Un
compound in gomma butile standard ha una temperatura di esercizio continuo di 120°C, per un
compound in clorobutile questa temperatura si può innalzare di 5-10°C, mentre per compound
speciali si possono raggiungere temperature fino a 160°C.
Una importante proprietà della gomma butile è la sua relativa impermeabilità a molti fluidi
e ai gas, che la rende eccezionalmente utile nel rivestimento di apparecchiature da usare con
acqua deionizzata o con vapore. Non mostra invece una buona resistenza alla abrasione.
policloroprene
È una eccellente gomma di impiego generale, spesso nota col nome commerciale neoprene
(Du Pont). La sua resistenza ai prodotti chimici inorganici è intermedia tra quella della gomma
naturale e quella della gomma butile. Ha una maggiore resistenza agli oli e agli idrocarburi
alifatici, ma non agli aromatici.
Il policloroprene mostra una buona resistenza all'abrasione e può essere utilizzato fino a
105°C in esercizio continuato, se l'ambiente non è aggressivo.
214
gomma nitrile
Più precisamente nota come gomma butadiene-acrilonitrile, è infatti un copolimero
costituito da butadiene e acrilonitrile. È usata quando occorre una buona resistenza ai derivati del
petrolio. Il suo effettivo grado di resistenza dipende dal tenore di acrilonitrile; quanto più alta la
quantità presente, migliore è la resistenza chimica.
Le gomme nitrili hanno una moderata resistenza ai composti aromatici, ma sono più
suscettibili di attacco da parte di prodotti inorganici, in particolare acidi.
polietilene clorosolfonato
Noto con il nome commerciale di Hypalon, ha una resistenza agli acidi, alle basi e in
generale ai composti inorganici, superiore agli elastomeri visti sopra. Può essere usata , al
contrario delle altre gomme di uso generale, in contatto di acido nitrico al 10%. Mostra anche una
buona resistenza agli oli e agli altri derivati del petrolio.
La temperatura limite per l'impiego dell'Hypalon è 110°C.
fluoroelastomeri
Noti con i nomi commerciali Viton e Fluorel. Il Viton è un copolimero
dell'esafluoropropilene e del fluoruro di vinilidene. Questi materiali possono resistere ad acidi
ossidanti concentrati a temperatura ambiente, e a molti composti aromatici sia a temperatura
ambiente che a temperature elevate. Le gomme fluorurate sono però fortemente attaccate da
ammoniaca e dai composti organici polari a basso peso molecolare, come chetoni, aldeidi, alcoli,
acidi grassi e ammine a basso peso molecolare.
L'alto costo di questi materiali limita molto le loro possibilità di utilizzo negli impianti
chimici.
I materiali elastomerici ora visti sono quelli di uso più diffuso. In particolari applicazioni
sono impiegate anche altre gomme, come quelle etilene propilene, le poliuretaniche, quelle al
polisolfuro e le cloridriniche.
Per impieghi ad alta temperatura sono utilizzabili anche le gomme siliconiche. Di costo
elevato, come i fluoroelastomeri, presentano una buona resistenza agli oli di natura alifatica e
possono essere utilizzate con alcoli, acidi diluiti e in genere con i composti inorganici. Una
importante eccezione è rappresentata dalla soluzioni di idrossido di sodio, che insieme ad altri
alcali forti, attacca rapidamente le gomme siliconiche, anche a basse concentrazioni.
Bibliografia
G. Menges, K. Lutterbeck
Stress Corrosion in Fibre-Reinforced Plastics in Aqueous Media, cap. 4 in Development in
Reinforced Plastics - 3, edito da G.Pritchard, Elsevier Applied Science Publishers, Londra, 1984.
G. Pritchard
Reinforced Plastics in Anti-Corrosion Applications
215
Seminari sui Compositi Avanzati, 24 Novembre 1987
Cranfield Institute of Technology
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