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DISPENSA PER IL CORSO

FONDAMENTI DI
MECCANICA STRUTTURALE

DI

LUCA GOGLIO

LAUREE IN

INGEGNERIA CHIMICA E ALIMENTARE

INGEGNERIA DEI MATERIALI

INGEGNERIA ELETTRICA

2017
ALFABETO GRECO
minuscola

maiuscola

minuscola

maiuscola
lettera lettera

alfa α Α ni ν Ν

beta β Β xi ξ Ξ

gamma γ Γ omicron ο Ο

delta δ ∆ pi π Π

epsilon ε Ε rho ρ Ρ

zeta ζ Ζ sigma σ, ς Σ

eta η Η tau τ Τ

theta θ, ϑ Θ upsilon υ Υ

iota ι Ι phi ϕ, φ Φ

kappa κ Κ chi χ Χ
lambda λ Λ psi ψ Ψ

mi µ Μ omega ω Ω
1. RICHIAMI DI STATICA

1.1. Grandezze e operazioni fondamentali


La grandezza fondamentale della statica è la forza, che ha natura vettoriale in quanto è definita
assegnandone modulo, direzione e verso. Essa costituisce la causa che altera lo stato di quiete o
moto rettilineo uniforme di un corpo.
r
Di un sistema di forze è possibile ottenere la risultante R F applicando le consuete regole di somma
dei vettori, ad esempio considerando le componenti cartesiane:
R Fx = ∑i Fxi R Fy = ∑i Fyi RFz = ∑i Fzi
La risultante è un vettore libero, cioè non applicato.
r r
Il momento M O rispetto a un punto O, detto in questo contesto polo, di una forza F applicata nel
punto P è dato dal prodotto esterno
r r
M O = (P − O) ∧ F
Anche il momento è un vettore di tipo libero. Per la definizione stessa di prodotto esterno il vettore
r r
M O risulta perpendicolare sia a F sia a (P-O); inoltre il momento non cambia se la forza viene
spostata lungo la sua retta d'azione.

Momento di una forza:


rappresentazione 3D
Momento di una forza:
rappresentazione 2D
M
O
O MO
b F
O
b F
P
piano contenente polo e P
retta d’azione della forza

Una rappresentazione grafica del momento non del tutto rigorosa, ma molto comoda e
comunemente utilizzata (soprattutto nel caso di problemi piani), è costituita da un arco di cerchio
con l'aggiunta di una freccia per indicare il verso di azione (v. figura).
La distanza dal polo O alla retta d'azione della forza rappresenta il braccio b, che fornisce la
relazione tra le intensità della forza e del momento:
M O = Fb
r
Si definisce momento risultante rispetto al polo O la somma dei singoli momenti di ogni forza Fi e
r
dei momenti di tipo “puro” Ci (come, per esempio, il momento all’uscita da un motore):
r
(r r
) ( r r
RM O = ∑i M Oi + Ci =∑i ( Pi − O) ∧ Fi + Ci )
I momenti risultanti di un sistema di forze rispetto a due diversi poli O e O' sono legati dalla
relazione seguente
Statica

r
( r r
) ( r r
RM O ' = ∑i ( Pi − O ' ) ∧ Fi + Ci = ∑i (( Pi − O) + (O − O ' ) ) ∧ Fi + Ci )
( r r
)
= ∑i (Pi − O ) ∧ Fi + Ci + (O − O ') ∧ ∑i Fi
r
r r
= RM O + (O − O ') ∧ RF
r
Quindi per un sistema a risultante nulla ( RF = 0 ) il momento risultante non dipende dal polo scelto.
Un corpo è in equilibrio se le somme vettoriali sia delle forze (equilibrio alla traslazione) sia dei
momenti rispetto ad un polo qualsiasi (equilibrio alla rotazione) sono nulle:
∑i i
F
r r
= 0 M
r
∑ i Oi i +
r
C =(r
0 )
Nel caso dei sistemi piani le condizioni suddette si riducono alle tre equazioni scalari:
∑ i Fxi =0 ∑ i Fyi = 0 ∑ (− F
i xi y i + F yi xi + C i ) = 0
L’ultima equazione è stata scritta assumendo un riferimento xy con origine nel polo e
convenzionalmente il verso antiorario come positivo; i due termini relativi ai contributi delle forze
hanno segno discorde perché corrispondono a versi di momento rispettivamente orario e antiorario.
Due sistemi di forze sono equivalenti (ai fini dell'equilibrio) se hanno stessa risultante e stesso
momento risultante. Due conseguenze di tale proprietà di cui si farà uso sono le seguenti:
i) è possibile trasportare una forza perpendicolarmente alla propria direzione aggiungendo un
momento “di trasporto” pari al prodotto della forza stessa per la distanza fra le due rette di
azione
sistema originale sistema equivalente

d M=Fd
d
F

ii) un sistema di forze può essere sostituito con la sua risultante, applicata in un certo punto, e con
un momento pari al momento risultante valutato rispetto allo stesso punto.
Per sistemi di forze piani esiste una retta, detta asse centrale, tale che il momento risultante rispetto
ai punti di essa è nullo. Risulta allora possibile sostituire il sistema di forze con la sola risultante
applicata in corrispondenza dell'asse centrale.
Per determinare l'asse centrale si riduce il sistema di forze alla
r
risultante RF applicata in un punto arbitrario O e al momento
r
risultante RM O , successivamente sfruttando la formula di RF RF
trasposizione dei momenti si cerca un altro punto O' tale che
r r RMO
RM O ' = 0 : F1
F3
RM O ' = RM O − ξRF = 0
O F2
(relazione scritta senza notazione vettoriale, superflua in questo ξ
O'
caso) da cui si ottiene
ξ = RM O / RF
1.2. Carichi e vincoli

Carichi
I carichi rappresentano le azioni esterne, forze e momenti, applicate sulla struttura; tradizionalmente
si distingue tra carichi concentrati, cioè applicati puntualmente, e carichi distribuiti, che interessano
una zona significativamente estesa della struttura in esame. I carichi distribuiti vengono ancora
suddivisi in carichi di linea (per esempio il peso per unità di lunghezza di un albero di trasmissione),
carichi di superficie (per esempio la pressione idrostatica) e carichi di volume (per esempio il peso
specifico del materiale in cui la struttura è realizzata).
La distinzione tra carichi concentrati e distribuiti è in realtà convenzionale, in quanto a rigore
l'applicazione di un qualunque carico interessa una zona più o meno estesa ma comunque finita
della struttura. Ai fini pratici consideriamo un carico come concentrato quando la zona in cui è
applicato è di estensione trascurabile rispetto alle dimensioni caratteristiche della struttura.

Vincoli
I vincoli hanno lo scopo di collegare gli elementi delle strutture tra di loro o al basamento (suolo,
telaio); nel primo caso si parla di vincoli interni, nel secondo di vincoli esterni. E' possibile
descrivere il ruolo dei vincoli in due modi diversi, a seconda che si consideri l'aspetto cinematico o
quello statico del comportamento delle strutture.
Dal punto di vista cinematico i vincoli riducono le possibilità di movimento degli elementi delle
strutture; nel caso di vincoli interni punti diversi (appartenenti a corpi diversi della struttura) sono
obbligati ad assumere componenti di traslazione e rotazione uguali; nel caso di vincoli esterni
alcune componenti di traslazione e rotazione vengono annullate.
Dal punto di vista statico i vincoli esercitano forze e momenti di reazione sugli elementi delle
strutture; i vincoli interni trasmettono forze e momenti tra un elemento e l'altro; i vincoli esterni
applicano forze e momenti che globalmente equilibrano i carichi.
I più comuni vincoli nel piano sono schematizzati nelle figure seguenti; li definiamo come singoli,
doppi, tripli a seconda del numero di componenti di reazione esercitate (rispettivamente una, due,
tre), ovvero a seconda del numero di componenti di traslazione o rotazione vincolate.

appoggio cerniera incastro


(v. (v. (v.
semplice) doppio) triplo)

cerniera
coppia
interna
prismatica
(v.
(v. doppio)
doppio)
Statica

Grado di iperstaticità
Un corpo o un sistema di corpi può essere vincolato in modo insufficiente, sufficiente o
sovrabbondante a fissarne la posizione. Nel caso dei problemi piani definiamo il grado di
iperstaticità h con l'espressione seguente:
h = v − 3m
Il termine v rappresenta il numero totale di reazioni vincolari (interne o esterne) calcolabile con
l'espressione:
v = 3i + 2(c + p ) + a
in cui i è il numero di incastri (ognuno dei quali introduce 3 reazioni), c è il numero di cerniere
(ognuna delle quali introduce 2 reazioni), p è il numero di coppie prismatiche (ognuna delle quali
introduce 2 reazioni), a è il numero di appoggi (ognuno dei quali introduce 1 reazione).
Il termine m rappresenta il numero totale di corpi semplici da cui è costituita la struttura, per ognuno
dei quali si possono scrivere 3 equazioni di equilibrio.
Si distinguono 3 situazioni:
• h < 0 sistema ipostatico o labile (meccanismo), la posizione dei corpi non è completamente
determinata dai vincoli e l’equilibrio è possibile solo se i carichi soddisfano determinate
condizioni;
• h = 0 sistema isostatico (staticamente determinato), le equazioni di equilibrio sono sufficienti
per determinare tutte le reazioni vincolari;
• h > 0 sistema iperstatico (staticamente indeterminato), le equazioni di equilibrio non sono
sufficienti per determinare tutte le reazioni vincolari.
Le figure seguenti mostrano alcuni esempi di sistemi labili, isostatici e iperstatici.

m=1 m=1 m=1


v =0 v =1 v =2
h = -3 h = -2 h = -1

a =1 c =1

m=1 m=1 m=1


v =3 v =3 v =4
h =0 h =0 h =1

c =1 i =1 c =2
a =1
m=1 m=1 m=1
v =4 v =5 v =6
h =1 h =2 h =3

i =1 i =1 i =2
a =1 c =1

m=2
m=2
v =5
h = -1 v =6
h =0

c =2
c =3
a =1

m=2 cerniera doppia


v =6
h =0

c =2
a =2

1.3. Scrittura delle equazioni di equilibrio


Il punto di partenza per la scrittura delle equazioni di equilibrio consiste nel liberare un sistema di
massa, costituito da uno o più elementi semplici, dai vincoli che lo collegano ad ulteriori elementi o
al basamento. Per i problemi piani si immagina di racchiudere il sistema considerato con una linea
di distacco chiusa: dove tale linea interseca i vincoli vengono evidenziate le corrispondenti reazioni
(che prima del distacco erano interne e quindi non visibili), per le quali si assumono dei versi
convenzionali. Si possono quindi scrivere le equazioni di equilibrio tra carichi e reazioni per il
sistema così isolato. Questa operazione è detta costruzione del diagramma di corpo libero.
Ad esempio, nel caso di un singolo elemento vincolato da una cerniera e da un appoggio si opera
nel modo indicato nelle figure seguenti. L'interruzione dei vincoli da parte della linea di distacco
(tratteggiata in figura) evidenzia le reazioni della cerniera OA e VA e quella dell'appoggio VB.
linea di
distacco F2 F2
F1
F1 B
OA
V
B
A
VA
Statica

Nel caso di vincoli interni che collegano due elementi della struttura le reazioni messe in evidenza
su un elemento sono evidentemente uguali in modulo e direzione ma opposte in verso a quelle
messe in evidenza sull’altro elemento collegato; se ne tiene conto semplicemente cambiando il
verso convenzionale delle reazioni, come mostrato nelle figure seguenti per una cerniera interna
(notare i versi opposti di OC, VC agenti sui due elementi).

C F O O F
C C
F1 2 F 2
1

OA VC VC O
B B
A

VA V
B

Ciò non è più vero in presenza di un carico applicato direttamente su una cerniera interna; in tale
caso particolare si devono distinguere le componenti di reazione scambiate con i due elementi e
quindi le incognite associate alla cerniera sono quattro, per disporre di due ulteriori equazioni si
considera anche l’equilibrio della cerniera presa come elemento a sé stante (notare i versi opposti di
OC', VC' e OC'', VC'' agenti sulla cerniera o sui due elementi).

F
OC' OC''
F C OC' VC' VC'' OC''

B VC' VC''
A OA OB

VA VB

Si opera in maniera simile nel caso di cerniere che connettono più di due elementi (multiple).
Nel piano si possono scrivere tre equazioni di equilibrio indipendenti per ogni corpo libero; esse
esprimono l'equilibrio alla traslazione lungo direzioni opportune e l'equilibrio alla rotazione intorno
a punti opportuni. Naturalmente si deve evitare di scrivere equazioni non linearmente indipendenti
fra di loro, le scelte corrette si possono classificare in tre gruppi:
a) 2 equazioni di equilibrio alla traslazione lungo direzioni non parallele + 1 equazione di
equilibrio alla rotazione intorno ad un polo arbitrario;
b) 2 equazioni di equilibrio alla rotazione + 1 equazione di equilibrio alla traslazione lungo una
direzione non perpendicolare alla congiungente i poli rispetto ai quali si calcolano i momenti;
c) 3 equazioni di equilibrio alla rotazione intorno a poli non allineati.
Per dimostrare la condizione relativa alla scelta b) si assume, senza per questo perdere di generalità,
un asse x con origine nel primo polo e avente la direzione della retta passante per i due poli; le
coordinate di questi saranno quindi O1(0;0) e O2(d1;0), dove d1 rappresenta la distanza tra di essi.
Le due equazioni di equilibrio alla rotazione intorno a O1 e O2 sono rispettivamente:
− ∑ i Fxi yi + ∑ i Fyi xi + ∑ i Ci = 0

− ∑ i Fxi y i + ∑ i Fyi ( xi − d1 ) + ∑ i Ci = 0

Sottraendo l’equazione di equilibrio intorno a O2 da quella di equilibrio intorno a O1 si scrive:


− ∑ i Fxi y i + ∑ i Fyi xi + ∑ i Ci + ∑ i Fxi yi − ∑ i Fyi xi + d1 ∑ i Fyi − ∑ i Ci = 0

Eseguite le semplificazioni si ottiene


d1 ∑ i Fyi = 0

che corrisponde (salvo la moltiplicazione per d1, ininfluente) all’equazione di equilibrio alla
traslazione lungo y, direzione ortogonale alla congiungete i due poli, ottenuta quindi come
combinazione lineare delle due equazioni di partenza.
Per dimostrare la condizione relativa alla scelta c) si aggiunge, ancora senza perdere di generalità,
un terzo polo O3 (d2;0), dove d2 rappresenta la distanza di tale polo dall’origine O1; la
corrispondente equazione di equilibrio alla rotazione è:
− ∑i Fxi y i + ∑i Fyi ( xi − d 2 ) + ∑iC i = 0

Si scrive una combinazione lineare delle due equazioni di equilibrio alla rotazione intorno a O2 e
O3, sottraendo quest’ultima moltiplicata per d1 alla precedente moltiplicata per d2:
− d 2 ∑ i Fxi yi + d 2 ∑ i Fyi xi − d1d 2 ∑ i Fyi + d 2 ∑ i C i +
+ d1 ∑ i Fxi yi − d1 ∑ i Fyi xi + d1d 2 ∑ i Fyi − d1 ∑ i C i = 0

Semplificando e raccogliendo si ottiene


− (d 2 − d1 )∑ i Fxi yi + (d 2 − d1 )∑ i Fyi xi + (d 2 − d1 )∑ i C i = 0

che corrisponde (salvo la moltiplicazione per d2−d1, ininfluente) all’equazione di equilibrio alla
rotazione intorno a O1, ottenuta come combinazione lineare degli equilibri alla rotazione intorno a
O2 e O3.
Tensione

2. STATO DI TENSIONE

2.1. Tensioni
Al fine di determinare la resistenza di un elemento strutturale, ad esempio un organo di macchina,
non è sufficiente la semplice conoscenza dei carichi a cui esso è sottoposto. E' infatti evidente che a
parità di carichi trasmessi l'elemento sarà più o meno sollecitato a seconda della propria forma e
dimensione; si pone quindi la necessità di definire delle grandezze che riferiscano i carichi all'unità
di superficie su cui agiscono.
Consideriamo la sezione di un elemento soggetto a dei carichi; essa può essere pensata come
r
formata da una somma di areole elementari, di area ∆A normale al versore n , ognuna delle quali
r r
trasmette un contributo di forza ∆ F e di momento ∆M . Considerando i rapporti tra questi ultimi e
l'area e facendo tendere a zero l'estensione di essa si assume che:
r r
∆F r ∆M r
lim = f lim =0
∆A → 0 ∆ A ∆A→ 0 ∆ A

Questa ipotesi ammette che i carichi si trasmettano all'interno del materiale con un meccanismo
analogo al caso delle pressioni nei fluidi, ma in senso generalizzato, con azioni sia normali sia
r
tangenti alle superfici. La quantità f è detta vettore della tensione, esso in generale non è parallelo
alla normale alla superficie passante per il punto P ma presenta sia una componente normale σ sia
una componente tangenziale τ.

n
∆F f

∆A
P
τ σ

L'operazione matematica di passaggio al limite per dimensioni che tendono a zero presuppone che il
materiale costituisca un continuo, ciò implica che dal punto di vista fisico questa trattazione è
applicabile finché le dimensioni in gioco sono sufficientemente grandi da non far intervenire la
natura discreta della materia.
Considerando le facce perpendicolari agli assi di un sistema di riferimento cartesiano xyz, su ognuna
di esse possiamo individuare una componente normale e due tangenziali; le componenti di tensione
in tale riferimento vengono individuate con due pedici (x, y, z): il primo identifica la direzione
normale alla faccia, il secondo indica la direzione lungo la quale la componente agisce.
Si possono quindi distinguere 9 componenti; le tre componenti σ indicano tensioni normali
rispettivamente di trazione o compressione a seconda che i valori siano positivi o negativi, le 6
componenti τ indicano invece tensioni tangenziali (dette anche di taglio)1.

1Si noti che il segno delle τ, contrariamente al caso delle σ, non indica una diversa situazione fisica.
σzz

z τzy
τ zx
τyz
y τxz
x σyy
τyx

σxx τxy

Consideriamo l'equilibrio alla rotazione intorno all'asse z di un elemento infinitesimo di materiale


nell'intorno del punto P. Sulle facce cosiddette positive, cioè quelle da cui gli assi coordinati escono
attraversando l'elementino, le componenti hanno versi positivi se concordi con quelli degli assi
stessi; viceversa sulle facce negative le componenti hanno versi positivi opposti. Ciò permette di
soddisfare il principio di azione e reazione rispetto alle tensioni mutuamente esercitate tra elementi
adiacenti.
Poiché le componenti sono in generale funzione della posizione, nell'incremento di coordinata dx o
dy queste subiscono un corrispondente incremento (v. figura).

σyy+dσyy τyx+dτyx

(+)
y (-) τxy+dτxy
σxx P
dy (+)

x τxy σxx+dσxx
z dx (-)

(+) faccia positiva τyx


(-) faccia negativa σyy

Nell'equazione di equilibrio alla rotazione compaiono le forze elementari date dalle tensioni
moltiplicate per le aree infinitesime su cui esse agiscono. Le componenti normali e l'eventuale forza
di volume hanno braccio nullo, l'equazione si riduce quindi a:
+ dzdy (τ xy + dτ xy ) − dzdx (τ yx + dτ yx ) = 0
dx dy dx dy
dzdy τ xy − dzdx τ yx
2 2 2 2
Semplificando e trascurando gli infinitesimi di ordine superiore dτij rispetto ai termini finiti τij (i, j =
x, y) si ottiene
τ xy = τ yx
Analogamente, ripetendo il medesimo ragionamento per l'equilibrio alla rotazione intorno agli assi x
e y si ottiene:
τ xz = τ zx τ yz = τ zy
Tensione

Si trova cioè che le componenti tangenziali contraddistinte da pedici omologhi sono uguali; di
conseguenza le componenti di tensione diverse si riducono da 9 a 6.
Si è visto precedentemente che su una faccia elementare generica, passante per il punto P e normale
r r
al versore n agisce il vettore della tensione f ; vogliamo valutare come variano le componenti di
quest'ultimo al variare dell'orientazione della faccia. A questo scopo consideriamo un tetraedro
infinitesimo di volume dV avente tre facce dAx, dAy, dAz perpendicolari agli assi coordinati e la
r
quarta faccia dA perpendicolare al versore n , avente come componenti i coseni direttori nx, ny, nz.

fx

fy f
P
y

fz
x

L'equazione vettoriale di equilibrio


r
alla rtraslazione
r
assumer
la forma:
r r
dA f + dAx f x + dA y f y + dAz f z + dV Φ V = 0
L'ultimo termine, corrispondente alla forza di volume, è infinitesimo di ordine superiore rispetto ai
primi ed è quindi trascurabile; i vettori tensione che compaiono sono definiti nel modo seguente:
f  σ  τ xy  τ xz 
r  nx  r  xx  r   r  
f =  f ny  f x = τ xy  f y = σ yy  f z = σ yz 
       
 f nz  τ xz  τ yz  σ zz 
Le aree delle facce sono legate dalle relazioni seguenti
dA x = dA ⋅ n x dA y = dA ⋅ n y dAz = dA ⋅ n z
Sostituendo nell'equazione di equilibrio precedente si ottiene
r r r r r
f + nx f x + n y f y + nz f z = 0
In termini scalari l'equazione corrisponde al sistema seguente
 f nx − σ xx n x − τ xy n y − τ xz n z = 0

 f ny − τ xy n x − σ yy n y − τ yz n z = 0

 f nz − τ xz n x − τ yz n y − σ zz n z = 0
dove i segni - sono dovuti al fatto che le facce normali agli assi coordinati sono di tipo negativo (nel
senso precedentemente definito). In termini matriciali il sistema assume la forma:
 f x  σ xx τ xy τ xz  n x 
    
 f y  =  τ xy σ yy τ yz  n y 
  τ τ yz σ zz  n z 
 f z   xz
In notazione compatta possiamo scrivere
{ f } = [σ]{n}
La matrice [σ], avente per colonne i vettori di tensione agenti sulle facce perpendicolari agli assi
coordinati, costituisce il tensore delle tensioni agenti nel punto P. Si deve notare che la conoscenza
di essa permette di ottenere le componenti di tensione (cioè il vettore di tensione) su una qualunque
r
faccia, identificata dalla normale n ; quindi si può concludere che [σ] definisce completamente lo
stato di tensione nel punto P.

2.2. Tensioni principali


r r
Si è visto che in caso generale i vettori n e f non sono paralleli a causa della presenza di
componenti di tensione di tipo tangenziale; ci si domanda quindi se esistano orientazioni
privilegiate delle facce tali che i vettori tensione agenti su di esse siano paralleli alle normali e
quindi sulle corrispondenti facce non agiscano tensioni tangenziali. La risposta è affermativa e il
problema corrisponde alla ricerca degli autovalori/autovettori di una matrice; infatti, per
definizione, λ e {v} sono rispettivamente un autovalore e un autovettore della matrice [A] se
[A]{v} = λ{v}
Nel caso delle tensioni si deve verificare che { f } = λ{v} e ciò corrisponde alla ricerca degli
autovalori/autovettori di [σ]:
[σ]{v} = λ{v}
cioè
([σ] − λ[I ]){v} = {0}
dove [I] è la matrice identità. Il sistema omogeneo ammette soluzione non banale se
σ xx − λ τ xy τ xz 
 
det  τ xy σ yy − λ τ yz  = 0
 τ xz τ yz σ zz − λ 

L'annullarsi del polinomio caratteristico permette di determinare gli autovalori. Poiché [σ] è reale e
simmetrica esistono sempre tre autovalori reali σ1 , σ 2 , σ 3 detti tensioni principali; i corrispondenti
autovettori individuano le direzioni principali2.
Il polinomio caratteristico viene scritto usualmente nella forma sintetica
λ3 − I 1λ2 + I 2 λ − I 3 = 0
I coefficienti I1, I2, I3 sono detti rispettivamente primo, secondo, terzo invariante perché, per un dato
stato di tensione, si mantengono costanti indipendentemente dal particolare riferimento xyz in cui le
componenti di tensione sono espresse. Ciò può essere compreso pensando che per una data

2Se non diversamente specificato si denominano le tensioni principali in ordine decrescente: σ3 ≤ σ2 ≤ σ1.
Tensione

situazione fisica le tensioni principali -cioè le radici del polinomio caratteristico- sono univoche e
quindi lo devono essere anche i coefficienti del polinomio. Le espressioni degli invarianti sono:
I 1 = σ xx + σ yy + σ zz
I 2 = σ xx σ yy − τ 2xy + σ xx σ zz − τ 2xz + σ yy σ zz − τ 2yz
I 3 = σ xx σ yy σ zz − σ xx τ 2yz − σ yy τ 2xz − σ zz τ 2xy + 2τ xy τ xz τ yz
Si riconosce che I1 è la traccia di [σ], I2 è la somma dei cofattori relativi alla diagonale principale di
[σ], I3 è il determinante di [σ].
Poiché una direzione è principale se sulla faccia perpendicolare ad essa non agiscono tensioni
tangenziali, adottando come sistema di riferimento una terna principale il tensore [σ] assume la
seguente forma diagonale
 σ1 0 0
0 σ 0 
 2
 0 0 σ 3 
Per lo stesso ragionamento, se una certa riga (e colonna, data la simmetria) presenta i termini fuori
diagonale nulli allora la corrispondente direzione è principale.

2.3. Cerchi di Mohr


E' possibile eseguire una rappresentazione grafica di come variano le componenti normale e
tangenziale su una faccia, al variare dell'orientazione della faccia stessa.
n
σ
σ1 α
τ
p2 dl2 dl

dl1
p3 p1 σ2

r
Assumiamo come sistema di riferimento la terna principale p1p2p3 e consideriamo la direzione n
r
contenuta nel piano p1p2; poiché la direzione p3 è principale il vettore della tensione f agente sulla
r
faccia normale a n è pure contenuto nel piano p1p2 e può essere descritto dalle due componenti σ e
τ. Queste ultime possono essere espresse scrivendo due condizioni di equilibrio:
r
• Equilibrio alla traslazione in direzione parallela a n :
σ dl dl 3 − σ 1 dl 2 dl 3 cos α − σ 2 dl 1 dl 3 sin α = 0

(dl3 spessore dell’elemento in direzione p3). Poiché dl1 = dl sin α , dl 2 = dl cos α , si ottiene:
σ = σ1 cos2 α + σ 2 sin 2 α
r
• Equilibrio alla traslazione in direzione normale a n (cioè tangenziale alla faccia in esame):
τ dl dl 3 − σ 1 dl 2 dl 3 sin α + σ 2 dl1 dl 3 cos α = 0

da cui segue:
τ = (σ1 − σ 2 ) cos α sin α
Si verifica agevolmente che σ e τ stanno tra di loro come le coordinate dei punti di una
circonferenza. Infatti, ricordando le trasformazioni trigonometriche
1 − cos 2α 1 + cos 2α sin 2α
sin 2 α = cos 2 α = sin α cos α =
2 2 2
le relazioni trovate per σ e τ assumono la forma seguente:
 σ1 + σ 2 σ1 − σ 2
σ − = cos 2α
 2 2

τ = σ1 − σ 2 sin 2α
 2
Quadrando e sommando si ottiene
2 2
 σ + σ2  2  σ − σ2 
σ − 1  +τ = 1 
 2   2 
che rappresenta l'equazione di una circonferenza (cerchio di Mohr), in un piano di coordinate στ,
avente centro C e raggio r pari a:
 σ + σ2  σ − σ2
C = 1 ,0  r= 1
 2  2
Quindi, considerando il fascio di piani aventi in comune l'asse principale p3 nel punto P, le
componenti di tensione messe in evidenza dalla sezione eseguita con un piano di tale fascio sono
date dalle coordinate σ e τ della circonferenza; inoltre l'angolo descritto dal raggio sul cerchio è il
r
doppio dell'angolo tra n e l'asse p1.
r r
Si osserva che per α=0 ( n parallelo all'asse principale p1) si ha σ=σ1 e τ=0, mentre per α=π/2 ( n
parallelo all'asse p2) si ha σ=σ2 e τ=0; quindi le intersezioni della circonferenza con l'asse delle
ascisse corrispondono alle facce normali alle direzioni principali.

(σ1 −σ2 )/2 α


τ

σ

σ2
σ1
(σ1 +σ2 )/2

Il procedimento seguito per ottenere il cerchio relativo al fascio di piani aventi in comune l'asse p3
può essere ripetuto, in modo analogo, considerando gli assi p1 e p2. Si ottengono così altri due
cerchi, che intersecano l'asse delle ascisse rispettivamente nei punti (σ2 ,0), (σ3 ,0) e (σ1 ,0), (σ3 ,0).
Tensione

p3
α
τ

σ3 σ2 2α σ
1 σ

p2

p1

p3
τ

σ3 2α σ2 σ1
σ α

p2

p1

p3
τ

σ3 σ2 σ1
2α σ

p2

p1
α
I valori di σ e τ su una sezione qualunque, non contenente uno degli assi principali, sono contenuti
all'interno del cerchio maggiore e all'esterno dei due cerchi minori, come indicato in figura.

σ3 σ2
σ1 σ

Dall'osservazione dei cerchi di Mohr si ricavano alcune proprietà significative dello stato di
tensione agente in un punto P e caratterizzato dalle tensioni principali σ1, σ 2, σ 3:
• a seconda del piano considerato la tensione normale σ varia tra σ1 e σ3 e non può assumere

valori all'esterno di tale intervallo;


• a seconda del piano considerato la tensione tangenziale τ varia in modulo tra 0 (piani normali
alle direzioni principali) e (σ1- σ3)/2.
In caso generale il tracciamento dei cerchi di Mohr richiede la conoscenza delle tensioni principali
(e quindi di aver risolto l'autoproblema relativo a [σ]), è possibile però un tracciamento immediato
quando si verificano contemporaneamente le due condizioni seguenti:
1) una direzione principale e la corrispondente tensione principale sono note;
2) si conoscono le componenti di tensione su due piani perpendicolari tra di loro e appartenenti
al fascio di piani aventi in comune l'asse principale noto.
Per illustrare il procedimento assumiamo che z sia la direzione principale nota, detta pc3 (e quindi
σzz=σc), il tensore delle tensioni avrà quindi la forma seguente:

σ xx τ xy 0 
[σ] =  τ xy σ yy 0 
 0 0 σ zz 

Considerando il fascio di piani avente come asse z≡pc, si hanno due casi particolari in cui due piani
di esso corrispondono rispettivamente al piano ortogonale all’asse x e all’asse y. Poiché, per quanto
mostrato prima, le tensioni sui piani di tale fascio sono descritte graficamente dal cerchio di Mohr
relativo a z≡pc, sul piano στ si possono posizionare i punti:

3Non essendo inizialmente noti tutti i valori delle tensioni principali non è possibile utilizzare la nomenclatura in ordine
decrescente (σ1≥σ2≥σ3);si adotta quindi una nomenclatura provvisoria (σa,σb,σc) senza imposizioni sulla grandezza
dei termini.
Tensione

τ punto corrispondente alle


z tensioni sul piano ⊥ y

σzz (σyy,τxy)
y
x
σyy
σ 2α
τ σb σa σ
σxx τxy
τxy
Tensioni sul piano
Tensioni sui piani generico del fascio (σxx,-τxy)
ortogonali a xyz avente asse z≡pc
punto corrispondente alle
tensioni sul piano ⊥ x

• (σxx, -τxy), stato di tensione sulla superficie normale a x (il segno “-” è necessario perché il
verso di τ è opposto a quello di τxy);
• (σyy, τxy), stato di tensione sulla superficie normale a y.
Questi due punti si trovano tra di loro a 180° rispetto al centro del cerchio (doppio dell’angolo 90°
tra i piani a cui essi corrispondono) e quindi sono i due estremi di un diametro, il cerchio relativo ai
piani avente asse z≡pc è così determinato. È immediato ricavarne l'ascissa c del centro e il raggio r:
2
σ xx + σ yy  σ xx − σ yy 
c= r =   + τ 2xy
2 2 
 
Per ottenere le due tensioni principali relative al cerchio in esame è sufficiente aggiungere o
sottrarre il valore del raggio all'ascissa del centro:
2
σ xx + σ yy  σ xx − σ yy 
σ a ,b = ±   + τ 2xy
2 2 
 
Anche le direzioni principali pa pb possono essere determinate per mezzo del cerchio. Infatti,
ricordando che α rappresenta l'angolo tra l'asse pa e l'asse x, si può risalire ad esso dalla relazione
2τ xy
tan 2α =
σ xx − σ yy
Infine, ricordando il valore della tensione principale inizialmente nota (σzz), si può completare la
costruzione con i rimanenti due cerchi.
Il procedimento si applica in maniera formalmente analoga se la direzione principale nota
preliminarmente è x o y, semplicemente scambiando in modo opportuno gli indici degli assi.
3. STATO DI DEFORMAZIONE E COMPORTAMENTO ELASTICO

3.1. Spostamento e deformazione


Sotto l'azione dei carichi le strutture cambiano, in maniera più o meno marcata, la propria forma
rispetto alla configurazione originale. Ad esempio nel campo meccanico tale fenomeno è ben
evidente per componenti come le molle, ma si verifica, seppur in misura minore, in tutti gli elementi
strutturali. Nei problemi relativi al comportamento meccanico dei materiali si deve quindi
introdurre il concetto di corpo deformabile, essendo insufficiente la trattazione, tipica della
meccanica, in termini di corpo rigido. Il tener conto della deformabilità ci permette di ottenere due
risultati:
• è possibile verificare il comportamento delle strutture non solo in termini di resistenza alle
sollecitazioni, ma anche di rigidezza (ad esempio per valutare se il cambiamento di forma
dovuto ai carichi è compatibile col funzionamento della struttura);
• si possono risolvere i problemi di tipo iperstatico, per i quali le sole equazioni della statica non
sono sufficienti.
Si ricorda che la posizione di un punto è data dalle sue coordinate xyz in un sistema di riferimento,
lo spostamento di un punto è dato dalla differenza di coordinate tra due istanti successivi t e t' ed è
una grandezza di tipo vettoriale:
 u   x '− x 
r    
U =  v  =  y '− y 
 w  z '− z 
   
Il moto rigido di un corpo è caratterizzato dal fatto che le distanze relative tra i punti che lo
compongono si mantengono inalterate; possiamo distinguere inoltre tra traslazione rigida e
rotazione rigida (v. figure).
Traslazione rigida y Rotazione rigida
y

x x
Nel primo caso le componenti di spostamento u, v, w sono uguali per tutti i punti del corpo, mentre
nel secondo caso variano da punto a punto ma sempre rispettando la condizione di indeformabilità
(in particolare nei moti piani la velocità di spostamento è proporzionale alla distanza dal centro di
istantanea rotazione).
Deformazione, elasticità

Nel moto di deformazione di un corpo invece le distanze relative tra i punti possono variare; si
distinguono due meccanismi fondamentali di deformazione: dilatazione e scorrimento (v. figure).
Dilatazione y Scorrimento
y

x x
Nel caso della dilatazione i lati di un elemento che si deforma variano di lunghezza (allungandosi o
accorciandosi) mantenendo uguale orientazione. Viceversa, nel caso dello scorrimento i lati variano
di orientazione mantenendo uguale lunghezza. Si deve anche notare che queste osservazioni non
valgono per segmenti orientati diversamente; per esempio la diagonale del quadrilatero nello
schema utilizzato per mostrare la dilatazione varia anche in orientazione, nello schema utilizzato per
mostrare lo scorrimento varia di lunghezza. Il motivo di ciò sarà spiegato nel seguito.
In questa trattazione si assumerà che gli spostamenti siano comunque piccoli (rispetto alle
dimensioni caratteristiche della struttura), ipotesi che permette di linearizzare il problema e che
risulta verificata nella maggior parte dei casi di interesse pratico.
Per definire quantitativamente lo stato di deformazione a cui è sottoposto un corpo è evidente che
non è sufficiente ragionare in termini (macroscopici) di spostamenti, in quanto questi dipendono
dalle dimensioni del corpo stesso: ad esempio dire che un albero si inflette sotto carico di 1 mm non
è significativo per stabilire se esso è molto o poco deformato, dal momento che tale spostamento
dipende (oltre che dal carico) dalle caratteristiche geometriche e di materiale. Il procedimento
seguito è, dal punto di vista concettuale, analogo a quello utilizzato nello studio delle sollecitazioni
nei corpi, nel quale siamo passati da forze e momenti alle tensioni.
Per definire quantitativamente la dilatazione consideriamo il segmento di lunghezza l congiungente
i punti P e Q in un corpo deformabile.
Q
l
P
Q'
l'
P'

Durante il moto il punto P assume la nuova posizione P', analogamente Q va in Q'; a causa della
deformazione la lunghezza del segmento cambia da l a l'. Quindi lo spostamento tra i due punti
(cioè la variazione di distanza) è dato dall'allungamento del segmento:
u = l '−l
Si definisce dilatazione ε il rapporto tra allungamento e lunghezza iniziale del segmento:
l '−l u
ε= =
l l
In generale il valore di ε può dipendere dalla lunghezza del segmento considerato, per evitare tale
arbitrarietà consideriamo un segmento di lunghezza iniziale infinitesima dl che per effetto della
deformazione assume lunghezza dl' e si allunga di du; allora la dilatazione è data da:
dl '− dl du
ε= =
dl dl
Per definire quantitativamente lo scorrimento consideriamo due segmenti inizialmente ortogonali,
OP e OQ, aventi lunghezze rispettivamente pari a l e h. Durante il moto i punti O, P, Q si spostano
in O', P', Q' ; rispetto alle direzioni originali i segmenti formano gli angoli α e β
Q u Q'

π/2 π/2 − γ
h
P'
α v
O l P O'
Poiché gli spostamenti sono piccoli si può approssimare
v u
α= β=
l h
Si definisce scorrimento γ il complemento a π/2 dell'angolo formato dopo deformazione tra due
segmenti inizialmente ortogonali, pari quindi alla somma:
v u
γ = α+β = +
l h
Considerando anche in questo caso segmenti di lunghezza infinitesima dl, dh si ottiene:
dv du
γ= +
dl dh
Si fa notare che per definire lo scorrimento abbiamo bisogno di considerare due segmenti di
riferimento; infatti considerandone uno solo non potremmo separare la rotazione rigida da quella
dovuta alla deformazione.

3.2. Tensore delle deformazioni


Introdotte in forma elementare le definizioni di dilatazione e scorrimento, affrontiamo il fenomeno
della deformazione in forma analitica generale. Per questo scopo consideriamo un segmento vettore
r r
infinitesimo dX che dopo lo spostamento si trasforma in un segmento dX ' ; nel caso più generale si
verificano sia traslazione e rotazione rigide, sia deformazione e scorrimento. Supponendo che il
campo di spostamenti sia continuo e derivabile, se il primo estremo del segmento è soggetto a uno
r r r
spostamento U , il secondo estremo è soggetto ad uno spostamento U + dU .
Vale quindi l'eguaglianza vettoriale
Deformazione, elasticità

r r r r r
U + dX ' = dX + U + dU
da cui si ottiene
r r r
dX ' = dX + dU
r
Si noti che semplificare lo spostamento U , comune ai due estremi del segmento, corrisponde a
depurare lo spostamento complessivo della traslazione rigida, che dal punto di vista dello studio
r
della deformazione è ininfluente. Nel termine dU rimangono quindi i contributi dovuti sia alla
rotazione rigida sia alla deformazione.

dX'

U U+dU

dX
r
dU può essere scritto come differenziale del campo di spostamenti:
 ∂u ∂u ∂u 
 
 du   ∂x ∂y ∂z  dx 
   ∂v ∂v ∂v   
 dv  =  dy = [J ]{dX }
 
dw  ∂x ∂y ∂z  dz 
  ∂w ∂w ∂w  
 
 ∂x ∂y ∂z 
La matrice jacobiana [J] può essere scomposta nella somma di due termini sfruttando la seguente
identità:
[ J ] = 1 [J ] + 1 [ J ]
2 2
1 1 T 1 1 T
= [J ] − [J ] + [J ] + [ J ]
2 2 2 2
Poniamo ora:
 1  ∂u ∂v  1  ∂u ∂w 
 0  −   − 
 2  ∂y ∂x  2  ∂z ∂x 
 1  ∂v ∂u  1  ∂v ∂w  
[Ω] = 1 [J ] − 1 [J ]T =   −  0  − 
2 2  2  ∂x ∂y  2  ∂z ∂y  
 1  ∂w ∂u  1  ∂w ∂v  
 2  ∂x − ∂z   − 
2  ∂y ∂z 
0 
   
 ∂u 1  ∂u ∂v  1  ∂u ∂w 
  +   + 
 ∂x 2  ∂y ∂x  2  ∂z ∂x 
 1  ∂v ∂u  ∂v 1  ∂v ∂w  
[ε] = 1 [J ] + 1 [J ]T =   +   + 
2 2  2  ∂x ∂y  ∂y 2  ∂z ∂y  
 1  ∂w ∂u  1  ∂w ∂v  ∂w 
 2  ∂x + ∂z   + 
2  ∂y ∂z  ∂z 
   
Si può dimostrare che la matrice [Ω] rappresenta (nell'ambito dell'ipotesi di spostamenti piccoli) la
r
quota di dU corrispondente alla rotazione rigida, contributo che non vogliamo considerare.
I coefficienti della matrice [ε] rappresentano invece delle dilatazioni (termini sulla diagonale) o
degli scorrimenti divisi per 2 (termini fuori diagonale), secondo le definizioni viste in precedenza;
[ε] rappresenta quindi il tensore delle deformazioni, simmetrico e contenente 6 componenti diverse
∂u 1  ∂u ∂v  1
ε xx = ε xy = ε yx =  +  = γ xy
∂x 2  ∂y ∂x  2
∂v 1  ∂u ∂w  1
ε yy = ε xz = ε zx =  +  = γ xz
∂y 2  ∂z ∂x  2
∂w 1  ∂v ∂w  1
ε zz = ε yz = ε zy =  +  = γ yz
∂z 2  ∂z ∂y  2
r
Esso permette di calcolare lo spostamento infinitesimo dU dovuto alla sola deformazione del
corpo, escludendo i contributi del moto rigido:
{dU } = [ε]{dX }
Le deformazioni, sia dilatazioni sia scorrimenti, sono dei numeri puri in quanto rappresentano
rapporti di lunghezze (m/m); poiché i valori tipici sono molto piccoli (10-6 ÷ 10-3), per lavorare con
numeri più comodi da rappresentare le si esprime talvolta (soprattutto nell'analisi sperimentale delle
deformazioni) in µm/m.

3.3. Componenti e direzioni principali di deformazione


Analogamente al caso della tensione, anche il tensore della deformazione ammette 3 autovalori reali
e i corrispondenti autovettori; essi rappresentano le deformazioni principali e le direzioni principali
di deformazione. Il significato fisico in questo caso è il seguente: segmenti orientati lungo direzioni
principali si dilatano (allungandosi o accorciandosi) senza subire distorsioni (escludendo le
rotazioni rigide); inoltre, per ogni punto della struttura, la massima e la minima dilatazione
principale costituiscono la massima e la minima dilatazione possibile che un segmento può subire a
seconda della sua l'orientazione.
Anche per le deformazioni è possibile la rappresentazione grafica mediante cerchi di Mohr; in
questo caso sugli assi si pongono la dilatazione e la metà dello scorrimento. Le procedure per la
costruzione e l'utilizzo dei cerchi sono analoghe al caso delle tensioni.
Deformazione, elasticità

γ
2

ε3 ε2 ε1 ε

3.4. Relazione tra tensioni e deformazioni


I parametri che rappresentano gli stati di tensione e deformazione, cioè i coefficienti dei rispettivi
tensori, sono legati tra di loro dal comportamento del materiale. L'esperienza fisica ci mostra che se
si sottopone un materiale a degli sforzi questo si deforma, viceversa se si impone al materiale di
deformarsi questo reagisce opponendo degli sforzi.
Consideriamo ad esempio il caso di una molla sospesa verticalmente ad un estremo. Se (a)
all'estremo libero si applica un carico assiale F questo presenta uno spostamento δ, proporzionale al
carico stesso; se invece (b) si costringe l'estremo libero ad spostarsi di una quantità δ la molla
oppone una forza resistente F proporzionale allo spostamento imposto. Inoltre si osserva che
rimuovendo la causa (carico applicato o spostamento imposto) l'effetto (spostamento sotto carico o
forza resistente) si annulla.
Un comportamento di questo tipo è detto lineare elastico; si intende cioè che vi è una semplice
legge lineare tra causa ed effetto e il fenomeno è inoltre reversibile.

δ∝ F F ∝δ

1 F = kδ
δ= F
k δ F

Nel caso in esame la costante di proporzionalità k costituisce la cosiddetta rigidezza della molla.
Per caratterizzare dal punto di vista elastico il materiale, indipendentemente dalle caratteristiche
geometriche della struttura, si deve studiarne il comportamento in termini di tensioni e
deformazioni.
Consideriamo un elemento infinitesimo di materiale e supponiamo di poter applicare su di esso le
diverse componenti di tensione separatamente e di misurare le componenti di deformazione che
nascono.
σzz

z τyz
τ xz
τyz
y τxz
x σyy
τxy

σxx τxy

Applicando la componente σxx si osserva che la deformazione εxx risulta proporzionale alla tensione:
1
ε xx ∝ σ xx ε xx = σ xx
E
La costante E è detta modulo elastico (o modulo di Young) e ha il significato fisico di rigidezza del
materiale; essa ha le stesse dimensioni fisiche di una tensione (di solito MPa o N/mm2).
Applicando la sola componente σyy si osserva che la deformazione εxx risulta proporzionale anche a
questa componente di tensione:
ν
ε xx ∝ σ yy ε xx = −
σ yy
E
La costante ν è detta coefficiente di contrazione trasversale (o coefficiente di Poisson) e rappresenta
la “disponibilità” del materiale alla dilatazione in direzione perpendicolare a quella in cui agisce una
tensione di tipo normale; dimensionalmente è un numero puro.
Lo stesso comportamento si riscontra applicando la sola componente σzz:
ν
ε xx ∝ σ zz ε xx = − σ zz
E
Viceversa si riscontra che la deformazione εxx è insensibile all'applicazione delle componenti di
tensione tangenziali τxy, τxz, τyz.
Misurando le componenti di dilatazione εyy, εzz si riscontrano comportamenti analoghi (scambiando
debitamente gli indici degli assi) nei confronti delle diverse componenti di tensione.
Applicando simultaneamente σxx, σyy, σzz, si osserva che vale la sovrapposizione degli effetti:
1 ν ν
ε xx = σ xx − σ yy − σ zz
E E E
Per quando riguarda gli scorrimenti, si osserva che ognuno di essi è proporzionale alla sola
componente di tensione tangenziale corrispondente (cioè con gli stessi indici); ad esempio:
1
γ xy ∝ τ xy γ xy = τ xy
G
La costante G è detta modulo elastico a taglio e rappresenta la rigidezza del materiale rispetto alla
deformazione per scorrimento; anche essa ha le dimensioni una tensione. Si può verificare che G
non è indipendente dalle costanti E, ν del materiale ma è legata ad esse dalla relazione
E
G=
2(1 + ν )
Deformazione, elasticità

Un materiale che presenta un comportamento del tipo descritto è definito, oltre che elastico lineare,
isotropo, cioè le proprietà meccaniche sono le stesse in tutte le direzioni.
Oltre alle tensioni, un'ulteriore causa di deformazione nei problemi strutturali è rappresentata dalla
temperatura; questa provoca solo dilatazioni, uguali in tutte le direzioni, ma non causa scorrimenti:
ε xx = ε yy = ε zz = α (T − T0 )
Il termine α costituisce il coefficiente di dilatazione termica del materiale, avente le dimensioni
dell'inverso di una temperatura (1/°C), T è la variazione di temperatura a cui si trova il materiale, T0
una temperatura di riferimento (di solito, anche se non obbligatoriamente, quella ambiente).
Complessivamente la relazione fra tensioni e deformazioni, detta legge di Hooke, costituisce un
sistema di 6 equazioni che legano le componenti ε,γ alle σ,τ e alla variazione di temperatura:
 1 ν ν
ε xx = + E σ xx − E σ yy − E σ zz + α(T − T0 )

ε = − ν σ + 1 σ − ν σ + α(T − T )
0
 yy E
xx
E
yy
E
zz

ε zz = − ν σ xx − ν σ yy + 1 σ zz + α(T − T0 )
 E E E

γ xy = 1 τ xy
 G
 1
γ xz = τ xz
 G
 1
γ yz = τ yz
 G
Poiché le σ e ε sono disaccoppiate dalle τ e γ, se un sistema di riferimento è principale per le
tensioni allora lo è anche per le deformazioni e viceversa; in coordinate principali la legge di Hooke
si riduce a:
 1 ν ν
ε1 = + σ1 − σ 2 − σ3 + α(T − T0 )
E E E

 ν 1 ν
ε 2 = − σ1 + σ 2 − σ3 + α(T − T0 )
 E E E
 ν ν 1
ε3 = − E σ1 − E σ 2 + E σ3 + α(T − T0 )

3.5. Energia di deformazione


E' noto dalla fisica che un corpo elastica che si deforma sotto carico accumula energia; ad esempio
nel caso di una molla soggetta a una forza F a cui corrisponde un allungamento δ l’energia è pari a
F

1
E = Fδ
2

δ
ed è visualizzabile graficamente come area sottesa dalla retta nel diagramma forza-allungamento.
Per calcolare l'energia elastica a livello di materiale, studiamo la deformazione di un elemento
infinitesimo. Consideriamo prima il caso in cui agisca la sola tensione σxx sulla faccia di area dydz ,
la risultante elementare vale:
dF x = σ xx dydz
Lo spostamento elementare per cui tale tensione compie lavoro è dato da:
du = ε xx dx
Si può quindi calcolare la corrispondente energia elastica:
1 1 1
dE = dF x du = σ xx ε xx dxdydz = σ xx ε xx dV
2 2 2
Definiamo quindi l'energia di deformazione per unità di volume η:
dE 1
η= = σ xx ε xx
dV 2
Considerando invece il caso in cui agisca la sola tensione tangenziale τxy sulle facce dxdz e dydz,
questa genera le risultanti elementari
dFx = τ xy dxdz dF y = τ xy dydz
I corrispondenti spostamenti per cui tale tensione compie lavoro sono dati da
du = ε xy dy dv = ε xy dx
Anche in questo caso si calcola l'energia elastica:
dE = (dFx du + dF y dv ) = (τ xy ε xy + τ xy ε xy )dxdydz = τ xy γ xy dV
1 1 1
2 2 2
mentre l'energia per unità di volume è:
dE 1
η= = τ xy γ xy
dV 2
dF x du

dv
dF x du
dF y

In caso generale l'energia elastica di deformazione per unità di volume è ottenuta semplicemente
sommando i contributi di tutte le componenti; infatti le tensioni normali non producono lavoro con
Deformazione, elasticità

gli spostamenti dovuti agli scorrimenti, le tensioni tangenziali non producono lavoro con gli
spostamenti dovuti alle dilatazioni:
η = (σ xx ε xx + σ yy ε yy + σ zz ε zz + τ xy γ xy + τ xz γ xz + τ yz γ yz )
1
2
In coordinate principali l'espressione dell'energia assume la forma più compatta:
1
η = (σ1ε 1 + σ 2 ε 2 + σ 3 ε 3 )
2

3.6. Stati notevoli di tensione e deformazione


In generale i problemi di elasticità sono tridimensionali e coinvolgono tutte le componenti di
tensione e deformazione. Esistono però due casi, di notevole interesse pratico, di problemi
bidimensionali: lo stato di tensione piana e lo stato di deformazione piana.

Stato di tensione piana


In questa condizione possono essere non nulle le componenti di tensione contenute in un piano (che
assumiamo sia xy) mentre sono nulle tutte le componenti di tensione agenti trasversalmente a tale
piano (quindi lungo z):
σzz = τxz = τyz = 0
In questo caso è agevole invertire le relazioni tra tensioni e deformazioni. Posto σzz = 0 nella legge
di Hooke si ottiene per le due rimanenti tensioni normali:
E
σ xx = 2
(
ε xx + νε yy −
E
)
1− ν
α(T − T0 )
1− ν
σ yy =
E
2
(
ε yy + νε xx −
E
)
1− ν
α(T − T0 )
1− ν
L’equazione che lega tensione tangenziale e scorrimento nel piano viene riscritta come:
τ xy = Gγ xy

È da notare che gli scorrimenti γxz e γyz, sono nulli essendo nulle le corrispondenti tensioni;
viceversa la dilatazione εzz assume valori, in generale, non nulli essendo funzione di σxx, σyy:
ν
ε zz = − (σ xx + σ yy ) + α (T − T0 )
E
La condizione di tensione piana è molto frequente nei problemi strutturali. Infatti la si incontra:
• sulla superficie di tutti gli elementi strutturali, dove la tensione normale σzz è pari alla pressione
atmosferica (o, in generale, del fluido presente) di solito trascurabile rispetto alle altre tensioni;
• anche all’interno del materiale, nel caso di elementi molto sottili; infatti essendo la tensione
piana sulle superfici che delimitano la parete, anche nel piccolo spessore di quest’ultima le
componenti σzz, τxz, τyz non possono raggiungere valori significativamente diversi da zero.
superfici
interno

Stato di deformazione piana


In questa condizione si pongono delle limitazioni sulle deformazioni fuori del piano (quindi lungo
z): gli scorrimenti sono nulli, la dilatazione è costante (deformazione piana generalizzata) o nulla
(deformazione piana in senso stretto):
γxz = γyz = 0 , εzz = K (K costante, eventualmente nulla)
Eliminando σzz dalle equazioni che legano tensioni e deformazioni si ottiene:

σ xx =
E
(1 + ν )(1 − 2ν )
[ ( )
(1 − ν )ε xx + ν ε yy + K − (1 + ν )α(T − T0 ) ]
σ yy =
E
(1 + ν )(1 − 2ν )
[ ]
(1 − ν )ε yy + ν (ε xx + K ) − (1 + ν )α (T − T0 )
Tra tensione tangenziale e scorrimento nel piano vale anche in questo caso la relazione:
τ xy = Gγ xy
In questa condizione sono nulle le tensioni τxz e τyz essendo nulli i corrispondenti scorrimenti; la
tensione normale fuori piano è invece, in generale, non nulla e si calcola come:
(
σ zz = E (K − α∆T ) + ν σ xx + σ yy )
=
E
(1 + ν )(1 − 2ν )
[(1 − ν)K + ν(ε xx + ε yy ) − (1 + ν )α∆T ]
La condizione di stato di deformazione piana si presenta nei casi di solidi prismatici o cilindrici
molto estesi, nei quali le facce che delimitano una generica “fetta” devono rimanere piane o
addirittura bloccate.

x
z

“fetta” facce piane

z
Estensimetria

4. ESTENSIMETRIA ELETTRICA
La tecnica più utilizzata per la misura sperimentale delle deformazione è l’estensimetria elettrica a
resistenza, basata sul fenomeno di variazione della resistenza elettrica di un conduttore soggetto a
deformazione. Il suo campo di applicazione comprende, oltre al rilievo dello stato di deformazione
negli elementi strutturali (da cui si ricava quello di tensione), la realizzazione di strumenti di misura
di grandezze meccaniche (forze, coppie, pressioni, ecc.).

4.1. Relazione tra variazione di resistenza e deformazione


È noto dall’esperienza che un conduttore filiforme soggetto a carico assiale varia la propria
resistenza elettrica proporzionalmente al carico esercitato; il fenomeno può essere descritto in
termini analitici nel modo seguente. La resistenza R del conduttore filiforme è data dalla relazione:
ρl
R=
A
dove ρ è la resistività del materiale, l la lunghezza del conduttore, A l'area della sezione trasversale.
La variazione relativa di resistenza è pari a:
∆ R ∆ρ ∆l ∆A
= + −
R ρ l A
Il rapporto ∆ρ/ρ è la variazione relativa di resistività causata dalla deformazione, ∆l/l è la
dilatazione longitudinale ε del conduttore, ∆A/A è pari alla variazione relativa della sua sezione
trasversale. Se quest’ultima è circolare con diametro d si ha:
∆A 2∆d
=
A d
se invece la sezione è rettangolare con lati a e b si ha:
∆A ∆a ∆b
= +
A a b
In condizioni di tensione monoassiale, in entrambi i casi si ottiene che la variazione relativa di area
è pari al doppio della dilatazione trasversale εt, legata a quella longitudinale dal coefficiente di
Poisson ν:
∆A
= 2ε t = −2νε
A
Sostituendo nella formula della variazione relativa di resistenza si ottiene:
∆R ∆ ρ
= + (1 + 2ν )ε
R ρ
I semplici passaggi svolti spiegano la dipendenza di ∆R/R da ε relativamente agli aspetti geometrici;
alla luce dei risultati dell’esperienza si conclude che anche ∆ρ/ρ deve essere proporzionale alla
deformazione. In definitiva, si usa definire il rapporto tra variazione relativa di resistenza e
deformazione
∆R / R ∆ρ / ρ
= + 1 + 2ν = K
ε ε
come fattore di taratura dell’estensimetro, ottenuto in condizioni di tensione monoassiale, che
rappresenta la costante di proporzionalità che lega i fenomeni elettrico e meccanico.
Nell’utilizzazione pratica l’estensimetro viene applicato mediante incollaggio alla superficie
dell’elemento strutturale del quale si vuole misurare la deformazione; rilevando la variazione di
resistenza elettrica si risale alla deformazione dividendo per K.
L’estensimetro deve presentare resistenza elettrica sufficientemente alta per non assorbire troppa
potenza elettrica dal circuito di misura (che di solito alimenta a tensione costante), ciò che comporta
lunghezza elevata del conduttore, al contempo deve essere di piccole dimensioni per poter misurare
la deformazione puntuale. Per mediare tra queste due esigenze i primi estensimetri erano realizzati
disponendo a serpentina un filo; modernamente si costruiscono estensimetri a griglia, ricavata per
asportazione di materiale da una lamina sottile (qualche µm). Il vantaggio principale di quest’ultima
realizzazione sta nel fatto che le curve della serpentina possono avere sezione maggiore e
complessivamente l’estensimetro ha minore sensibilità trasversale (parametro definito più avanti).

4.2. Effetti della temperatura


La variazione della temperatura (dovuta alle condizioni ambientali, alle modalità di funzionamento
del componente strutturale da misurare, al riscaldamento dell’estensimetro per effetto Joule)
influenza la misura secondo tre distinti meccanismi.
In primo luogo il fattore di taratura assume, a temperatura T diversa dalla temperatura di riferimento
T0 (di solito quella ambiente), il valore KT stimabile con la relazione:
K T = K [1 + β K (T − T0 )]
dove βK è il coefficiente di temperatura dell'estensimetro.
Secondariamente, la resistenza R dell’estensimetro subisce con la temperatura una variazione, che
in termini relativi è descritta dalla relazione:
 ∆R 
  = β(T − T0 )
 R T
dove β è il coefficiente di temperatura della resistenza dell’estensimetro.
Inoltre, quando un estensimetro avente coefficiente di dilatazione termica αe è incollato su un
componente strutturale (molto più rigido) con coefficiente di dilatazione α, esso subisce la
dilatazione termica differenziale:
ε α = (α − α e )(T − T0 )
I tre effetti modificano la relazione tra resistenza e deformazione in:
∆R
= K T ε + K T (α − α e )(T − T0 ) + β(T − T0 )
R
Ricavando la deformazione effettiva si ottiene:
Estensimetria

∆R / R [β + K T (α − α e )](T − T0 )
ε= −
KT KT
Tale relazione può essere ridotta a una forma più semplice moltiplicando e dividendo tutto il
secondo membro per K e aggiungendo e sottraendo dentro la parentesi quadra la quantità K(α-αe):
 ∆R / R [β + K (α − α e )](T − T0 ) (K T − K )(α − α e )(T − T0 )  K
ε= − − 
 K K K  KT
La prima frazione fra parentesi graffe è il valore “grezzo” di deformazione ε' che si otterrebbe senza
considerare effetti termici, la seconda è la deformazione apparente (cioè dovuta agli effetti termici)
εa, la terza è trascurabile rispetto alle due precedenti; si ottiene così:

ε = (ε'−ε a )
K
KT

Il valore vero di deformazione può essere quindi ottenuto sottraendo dal valore grezzo quello
apparente e moltiplicando il risultato per il rapporto dei valori del fattore di taratura alle temperature
di riferimento e T. Nella pratica l’uso della di questa formula può essere reso difficile dalla non
conoscenza del valore di temperatura richiesto per calcolare εa e KT.
Sono disponibili sul mercato estensimetri, detti autocompensati, aventi βK, β piccoli e αe prossimo
a quello del materiale strutturale per il quale essi sono previsti. Di conseguenza la deformazione
apparente è trascurabile e il fattore di taratura praticamente costante, cosicché la correzione non è
necessaria. Nella figura seguente sono diagrammate la deformazione apparente e la variazione del
fattore di taratura in funzione della temperatura. Relativamente alla prima si nota che per salti di
temperatura di poche decine di gradi rispetto alle condizioni ambiente essa è trascurabili, mentre per
salti superiori deve essere tenuta in conto; viceversa la variazione del fattore di taratura è molto
contenuta su tutto l’intervallo di temperature.
400 4.0
variazione fattore di taratura (%)
deformazione apparente (µm/m)

300 3.0

200 2.0

100 1.0

0 0.0

-100 -1.0

-200 -2.0

-300 -3.0

-400 -4.0
-50 0 50 100 150 200 250
temperatura (°C)

4.3. Componenti degli estensimetri e loro installazione


Un estensimetro è formato da una griglia conduttrice, posta su un supporto isolante e connessa al
circuito elettrico mediante due terminali; inoltre esso viene applicato sulla superficie dell’elemento
strutturale mediante adesivo e, se necessario, ricoperto mediante un protettivo.
Griglia
Rappresenta il “cuore” dell’estensimetro, i suoi parametri caratteristici sono il materiale, la
resistenza elettrica, le dimensioni.
Il materiale usato comunemente è una lega 60% Cu, 40% Ni detta costantana in quanto presenta
coefficienti di temperatura piccoli (β≈10-5 °C-1, βK≈10-3 °C-1) e quindi adatta a realizzare
estensimetri autocompensati; il fattore di taratura è dell’ordine di 2. Più raramente si impiegano
leghe Cr-Ni, con le quali si ha il vantaggio di ottenere fattori di taratura con valori fino a 4, ma che
presentano una dipendenza dalla temperatura maggiore di un ordine di grandezza.
I valori di resistenza elettrica impiegati sono 120 Ω per la misura delle deformazioni in componenti
strutturali metallici, 350 Ω per la realizzazione di trasduttori, 700÷1000 Ω per la misura delle
deformazioni in componenti strutturali non metallici (p.e. compositi). La scelta di tali valori è frutto
del compromesso tra le opposte esigenze di valore alto per minimizzare la potenza assorbita (e
quindi il riscaldamento) e basso rispetto alla resistenza di isolamento.
La lunghezza della griglia può variare da qualche decimo fino al centinaio di mm. Si adottano
griglie corte nel caso di campo di deformazione con forte gradiente, griglie lunghe nel caso di
campo di deformazione costante o variabile linearmente e di materiale fortemente disomogeneo. Per
misure su componenti meccanici le lunghezze tipiche sono di qualche mm.

Supporto
Permette l’applicazione della griglia sulla superficie dell’elemento strutturale, garantendo
l’isolamento elettrico; deve essere sottile per porre la griglia nelle stesse condizioni della superficie
per facilitare la dispersione del calore. Inoltre il coefficiente di dilatazione termica deve essere
simile a quello del materiale strutturale per ottenere l’autocompensazione.
Il materiale più comunemente adottato è la resina poliammidica, in fogli aventi spessore di qualche
decina di µm, capace di sopportare i valori di deformazione che si desidera misurare (tipicamente
fino 5000 µm/m) e temperature fino a 200 °C. Per temperature più elevate o particolari esigenze di
robustezza si impiegano resine epossidiche o fenoliche rinforzate con fibra di vetro.

Terminali
Collegano l'estensimetro al circuito elettrico di misura. Possono essere del tipo a filo o a piazzola,
nella quale l’utente salda un proprio tratto di filo.
In entrambi i casi si fa uso di una basetta intermedia di ancoraggio, incollata all’elemento
strutturale, nella quale si collegano i terminali ai cavi del circuito; in questo modo si evita che
un’eventuale trazione nei cavi solleciti l’estensimetro.

Adesivo
Rende solidale l’estensimetro con la superficie dell’elemento strutturale. Il tipo più usato
comunemente è il cianoacrilato, di facile e rapida applicazione ma adatto a temperature non
superiori a 50-100 °C. Gli adesivi epossidici resistono a temperature fino a 250-300 °C (e
Estensimetria

consentono installazioni di lunga durata) ma l’applicazione è più laboriosa e usualmente richiede la


cottura in forno.

Protettivo
Se necessario, l’estensimetro e i terminali vengono protetti da umidità e contatti accidentali con
resine siliconiche, gomme, ecc. che ricoprono o inglobano l’installazione.

4.4. Circuito di misura


Poiché le variazioni di resistenza in gioco sono estremamente piccole (tipicamente decimi di Ω), la
misura deve essere precisa. Ciò è normalmente ottenuto mediante il circuito a ponte di Wheatstone,
nel quale i quattro rami possono essere tutti estensimetri o una combinazione di estensimetri e
resistori fissi di completamento.
Nel caso generale vale la relazione (nel caso di rami costituita da resistori fissi le corrispondenti
deformazioni sono, ovviamente, nulle):
U =V
K
(ε I − ε II + ε III − ε IV ) = V K ∑ε
4 4
dove V è la tensione di alimentazione applicata tra due vertici non consecutivi del ponte, mentre U è
la tensione (detta di sbilanciamento) rilevata tra gli altri due vertici. Dall’esame della formula si
deduce, come regola generale, che le deformazioni corrispondenti a lati contigui contribuiscono alla
formazione del segnale con segni discordi, mentre quelle corrispondenti a lati non contigui
contribuiscono con segni concordi. Tale proprietà del ponte viene sfruttata per eliminare la
deformazione apparente e innalzare il segnale di misura; inoltre è possibile realizzare dei
collegamenti “selettivi”, cioè sensibili solo ad alcune componenti di deformazione (caratteristica
utile, ad esempio, nella realizzazione di trasduttori di forza).

RIV RI

V U

RIII RII

Collegamento a quarto di ponte


In questo caso, applicato in figura a un elemento a mensola, si ha un solo estensimetro e tre resistori
fissi, quindi la sommatoria delle deformazioni si riduce a:
∑ε = εI = ε + εa
I
RIV RI

V U

I RIII RII

Il principale vantaggio di tale collegamento è la semplicità ed economicità di preparazione, esso


presenta però l’inconveniente di risentire dell’eventuale deformazione apparente dell’estensimetro.

Collegamento a mezzo ponte


Questo caso prevede l’uso di due estensimetri, montati su due lati contigui, e due resistori fissi. Il
collegamento è utilizzato in due diverse versioni.
Nella prima il secondo estensimetro, detto compensatore, mentre il primo è detto attivo, è posto su
una zona scarica dell’elemento strutturale, o su un altro elemento dello stesso materiale e posto alla
stessa temperatura. In questo modo la deformazione apparente rilevata dall’estensimetro
compensatore è la stessa dell’estensimetro attivo e la sommatoria delle deformazioni diventa:
∑ ε = ε I − ε II = ε + ε a − ε a = ε
I
RIV RI

V U

I RIII RII

Si ottiene quindi la cancellazione della deformazione apparente, indipendentemente


dall’autocompensazione dell’estensimetro; questa versione è frequentemente usata nella misura
sperimentale delle deformazioni.
Nella seconda versione il secondo estensimetro è posto in modo da misurare una deformazione di
segno opposto a quella misurata dal primo. Ad esempio, se i due estensimetri misurano
deformazioni di flessione, aventi uguale modulo e segni opposti; la sommatoria vale:
∑ ε = ε I − ε II = ε + ε a − (− ε + ε a ) = 2ε
Estensimetria

I
RIV RI
II
V U
I
RIII RII

Nel caso seguente invece il secondo estensimetro misura la deformazione trasversale pari a –νε,
perciò la sommatoria vale:
∑ ε = ε I − ε II = ε + ε a − (− νε + ε a ) = (1 + ν)ε
I II
RIV RI

V U

I RIII RII
II

Si nota che questa versione del circuito, oltre a cancellare la deformazione apparente, ha l’effetto di
incrementare il segnale rilevato, a favore della precisione della misura.

Collegamento a ponte completo


In questo caso tutti i lati del ponte sono costituiti da estensimetri; per il suo maggior costo e
complicazione questo collegamento è impiegato nella realizzazione di trasduttori. Due esempi di
applicazione sono mostrati nel seguito; in essi sono semplicemente raddoppiati i circuiti delle figure
precedenti. Per il caso di misura di deformazioni opposte di flessione si ottiene:
∑ ε = ε I − ε II + ε III − ε IV = 2(ε + ε a ) − 2(− ε + ε a ) = 4ε
I, III
RIV RI
II, IV
V U

I RIII RII
III

Invece, misurando la contrazione trasversale si ha:


∑ ε = ε I − ε II + ε III − ε IV = 2(ε + ε a ) − 2(− νε + ε a ) = 2(1 + ν)ε
I, III II, IV
RIV RI

V U
II
I RIII RII
III
IV

4.5. Alimentazione del circuito - Problemi legati ai cavi


I circuiti estensimetrici possono essere alimentati in alternata o in continua. L’alimentazione del
primo tipo, applicata con frequenza di qualche centinaio di Hz o di pochi kHz, consente misure più
stabili nei confronti della “deriva” (variazione nel tempo del segnale misurato mentre la
deformazione è costante) ed è adatto al caso di misure eseguite in condizioni statiche o variabili
lentamente nel tempo. Invece nel caso di misure eseguite in condizioni dinamiche si alimenta in
continua, evitando così che le frequenze del fenomeno interagiscano con quella dell’alimentazione.
In entrambi i casi il livello di tensione di alimentazione è scelto come compromesso tra le esigenze
di ottenere un segnale elevato, e quindi misurabile con precisione, e di non causare riscaldamento
della griglia. I produttori di estensimetri indicano, per ogni tipo di estensimetro e a seconda del
materiale strutturale su cui esso è applicato, i valori di tensione adeguati. Come regola indicativa si
può assumere una tensione di alimentazione che produca una potenza massima (per unità di
superficie della griglia) di 8 mW/mm2 nel caso di elementi strutturali che disperdono bene il calore
(metalli di spessore elevato), e di 1.5 mW/mm2 nel caso di elementi strutturali che costituiscono dei
cattivi pozzi di calore (metalli di spessore sottile, polimeri, ecc.).
Per la misura si utilizzano appositi strumenti, comunemente detti centraline, che:
• forniscono al circuito l’alimentazione desiderata;
• completano il ponte di Wheatstone con resistori contenuti in essi nel caso di collegamento a
mezzo o a quarto di ponte;
• permettono l’azzeramento iniziale del segnale (i lati del ponte sono solo nominalmente identici
e quindi anche in assenza di deformazione si ha una tensione di sbilanciamento U);
• amplificare il segnale di un guadagno opportuno e visualizzarlo nella forma desiderata,
consentendo anche l’introduzione del fattore di taratura, delle caratteristiche del circuito, ecc.
L’estensimetro o gli estensimetri sono collegati alla centralina mediante cavi, preferibilmente di
tipo schermato. Nel caso in cui essi siano “lunghi”, cioè con resistenza non trascurabile, si possono
presentare errori nella misura.
In primo luogo, la resistenza elettrica dei cavi può variare durante la misura a causa di variazioni di
temperatura e ciò si traduce in deformazioni apparenti rilevate dal circuito; per ovviare a questo
Estensimetria

problema si deve ricorrere a particolari collegamenti.


Nel caso del quarto di ponte non si deve semplicemente prolungare il lato attivo con due fili, ma
adottare lo schema detto a tre fili. In esso la deformazione apparente dovuta al cavo posto sul lato
attivo (I) è compensata da quella dovuta al cavo sul lato contiguo (II); il terzo filo, necessario per
leggere la tensione di sbilanciamento U non induce errore in quanto attraverso esso (in serie con lo
strumento di misura, avente impedenza molto elevata) non passa praticamente corrente e quindi non
si ha variazione di tensione tra i suoi estremi.

Rc
RIV
RI
Rc
V U
Rc
RIII
RII

Lo schema a tre fili è applicabile anche al caso del mezzo ponte, come mostrato in figura.

RIV Rc
RI
Rc
V U

RII
RIII
Rc

Nel caso del ponte completo si adotta il seguente schema a quattro fili, dei quali due prolungano
l’alimentazione V e due la lettura di U.

Rc
RIV
Rc RI

U
V
Rc

RIII RII
Rc

I circuiti presentati consentono di eliminare le deformazioni apparenti, sono invece inevitabili gli
effetti dell’attenuazione del segnale nei cavi. Questi sono rispettivamente quantificati per il
collegamento con tre fili dalla relazione
(∑ ε)vera = R +RRc (∑ ε)misurata
e per il collegamento con quattro fili dalla relazione
(∑ ε)vera = R +R2Rc (∑ ε)misurata
In pratica, considerando che la resistenza Rc del cavo è dell’ordine dell’Ohm, a fronte delle
centinaia di Ohm della resistenza R degli estensimetri, questo tipo di errore è nella maggior parte
delle applicazioni trascurabile.

4.6. Rosette estensimetriche


Quando le direzioni principali non sono conosciute a priori, si affronta il problema considerando le
componenti del tensore delle deformazioni relative al piano xy, cioè εxx, εyy, εxy, come tre incognite
da determinare in base ad altrettante condizioni note. Infatti, ricordando che la misura avviene in
stato di tensione piana, delle rimanenti componenti di deformazione εxz e εyz sono nulle, mentre εzz
può essere determinata successivamente a partire dalle tensioni normali nel piano.
Si applica allora la relazione ε = {n}T [ε ]{n} per lo stesso punto su tre direzioni distinte, ciascuna
corrispondente all’orientazione di un estensimetro, ottenendo:
ε a = ε xx cos 2 θ a + ε yy sin 2 θ a + 2ε xy sin θ a cos θ a

2 2
ε b = ε xx cos θ b + ε yy sin θ b + 2ε xy sin θ b cos θ b
 2 2
ε c = ε xx cos θ c + ε yy sin θ c + 2ε xy sin θ c cos θ c

dove, rispettivamente, θa, θb, θc sono gli angoli formati dalle direzioni delle griglie rispetto al
riferimento (asse x), mentre εa, εb, εc sono i risultati delle misure (ottenute collegando
separatamente ogni estensimetro a quarto di ponte, o a mezzo ponte con compensatore). Dal sistema
di equazioni si ricavano le componenti di deformazione incognite dalle quali, applicando la legge
elastica corrispondente allo stato di tensione piana, si ottengono le tensioni σxx, σyy, τxy
(successivamente si può calcolare εzz, ricordando che σzz = 0).
Per facilitare l’applicazione del metodo appena descritto i produttori di estensimetri realizzano le
rosette, gruppi di tre griglie collocate su un unico supporto. Sono inoltre prodotte rosette a due
griglie perpendicolari, da allineare con le direzioni principali (che evidentemente devono essere
note), e anche a quattro griglie, usate per installazioni del tipo a ponte completo o più raramente per
ottenere un sistema sovracondizionato –tre incognite e quattro equazioni– che viene risolto con il
metodo dei minimi quadrati.
Il tipo di rosetta più comune è quella detta rettangolare, contenente tre griglie orientate
rispettivamente a 0° (asse x), 45°, 90°. Il sistema di equazioni in questo caso fornisce:

ε xx = ε 0

 1 1
ε xy = ε 45 − ε 0 − ε 90
 2 2
ε yy = ε 90
Cedimento statico

5. CEDIMENTO STATICO DEI MATERIALI METALLICI

5.1. Prova di trazione a temperatura ambiente


Il metodo più comune per valutare sperimentalmente le caratteristiche meccaniche di un materiale
strutturale è rappresentato dalla prova di trazione. Essa consiste nel sottoporre una provetta
(normalmente di forma cilindrica o prismatica) a carico di trazione assiale crescente, generalmente
fino a produrne la rottura; durante la prova si registrano le coppie di valori carico-allungamento per
costruire il relativo diagramma.
L'esecuzione delle prove è regolata da norme dedicate che prescrivono i parametri geometrici delle
provette, le modalità di applicazione del carico e i procedimenti per l'elaborazione dei risultati.

Provette
Le provette da impiegare per le prove di trazione hanno forma e dimensioni unificate; ciò è dettato
non solo da motivi di ordine pratico (facilità di realizzazione delle provette, compatibilità con le
macchine di prova), ma anche dal fatto che i risultati ottenuti possono essere in una certa misura
influenzati dalla geometria della provetta. La sezione delle provette può essere di tipo circolare (per
materiale in barre) o rettangolare (lamiere); in entrambi i casi si distinguono: la parte calibrata, le
due teste di afferraggio e le due zone di raccordo.
La parte calibrata è la zona a sezione costante con dimensioni controllate (si impongono tolleranze
dimensionali e di forma) e di lunghezza Lc, che viene utilizzata per le misure; nell'interno della zona
calibrata si tracciano due linee trasversali di riferimento distanti tra di loro L0. Le provette impiegate
sono usualmente di tipo proporzionale, cioè soddisfano la condizione:
L0 = 5.65 S 0
che corrisponde ad un tratto calibrato di lunghezza pari a 5 diametri nel caso di sezione circolare.
Le teste di afferraggio sono gli estremi della provetta, aventi sezione maggiore rispetto alla parte
calibrata, che vengono afferrati dai morsetti della macchina per l'applicazione del carico di trazione.
Le zone di raccordo collegano la parte calibrata alle teste di afferraggio, evitando brusche
variazioni di sezione.

teste di afferraggio teste di afferraggio


zone di raccordo zone di raccordo

tratto calibrato L0 tratto calibrato L0


S0 S0
Lc Lc

Provetta a sezione piatta Provetta a sezione circolare


Macchine di prova
Le macchine di prova permettono di esercitare la trazione sulle provette, in modo controllato,
misurando inoltre lo sforzo applicato e l'allungamento della provetta durante l'esame. L'architettura
tipica della macchina comprende il basamento, due o più colonne-guide, la traversa mobile e i
morsetti per l'afferraggio delle provette; il movimento della traversa è generato da viti di manovra
(azionamento meccanico) o da cilindri attuatori (azionamento oleodinamico).
Un morsetto è collegato al basamento, l'altro è solidale con la traversa mobile; lo spostamento di
quest'ultima manda in trazione la provetta.

colonne

traversa mobile

cella di carico

morsetti

basamento

L'afferraggio della provetta è ottenuto di solito per mezzo di ganasce autoserranti a cunei, aventi
superfici piane per provette di lamiera e superfici concave per provette a sezione circolare; per le
provette a sezione circolare e dotate di spallamenti si utilizzano attacchi a filiera (smontabili per
consentire l'inserimento delle provette).
A Sez. A-A provette piatte
A Attacchi a filiera

provette circolari

La misura della forza è ottenuta per mezzo di un apposito dinamometro detto “cella di carico”,
funzionante per mezzo di un circuito estensimetrico a ponte completo, posto in serie sul sistema di
applicazione della forza di trazione.
Cedimento statico

La misura dell'allungamento della provetta è eseguita in due modi diversi, a seconda della
precisione richiesta e dell'entità dell'allungamento stesso:
• misurando lo spostamento della traversa mobile si rileva qualunque livello di allungamento
(fino all'eventuale rottura), ma la precisione non è elevata (errori dovuti ai giochi meccanici, alla
deformabilità della traversa, ecc.);
• utilizzando un estensometro, apposito strumento che viene agganciato alla provetta e che misura
l'allontanamento tra due sezioni di riferimento, la precisione è molto elevata ma la corsa
misurabile è breve (pochi mm), questa tecnica è quindi impiegata per misurare gli allungamenti
elastici che hanno piccola entità.

Comportamento dei materiali durante la prova


La risposta dei materiali metallici sottoposti a trazione è evidentemente assai diversa a seconda del
tipo di materiale e dei trattamenti che questo ha subito, in termini sia qualitativi (tipi di
comportamento presentato) sia quantitativi (valori dei parametri caratteristici). Nel seguito si
cercherà di illustrare i concetti fondamentali, cercando di classificare i comportamenti dal punto di
vista strutturale.
E' necessario definire alcune grandezze che vengono impiegate per descrivere le caratteristiche
meccaniche del materiale.
• Deformazione convenzionale: è il rapporto tra la variazione di lunghezza del tratto compreso tra
i due riferimenti e la lunghezza iniziale del tratto stesso
ε = ∆L / L0
invece della deformazione frequentemente si utilizza l'allungamento percentuale:
100 ⋅ ∆ L / L 0
• Tensione convenzionale (o carico unitario): è il rapporto tra la forza di trazione applicata e l'area
iniziale della sezione retta del tratto calibrato
σ = F / S0
• Carico di scostamento dalla proporzionalità (totale o unitario): è il carico al quale corrisponde
un allungamento non proporzionale pari alla percentuale p della distanza tra ai riferimenti; ad
esempio Fp0,2 (e, analogamente, Rp0,2=Fp0,2/S0) è il carico che determina un allungamento avente
una quota non proporzionale pari allo 0,2% della distanza tra i riferimenti.
Durante la prova la sezione retta del provino è sollecitata dall'unica componente di tensione
perpendicolare σ e tale tensione è principale, inoltre le due restanti tensioni principali sono nulle e il
materiale è quindi in condizioni di tensione monoassiale.
I dati rilevati nel corso della prova sono riportati su un diagramma forza-allungamento o, dividendo
la prima per la sezione iniziale del tratto calibrato, tensione-allungamento.
Nella fase iniziale della prova, finché il carico si mantiene sufficientemente basso, il
comportamento del materiale è elastico e il corrispondente tratto del diagramma è lineare. La
pendenza di tale retta nel diagramma σ- ε rappresenta il modulo elastico E.
Continuando ad esercitare la trazione sulla provetta si arriva ad un certo livello per il quale la forza
e l'allungamento cessano di essere proporzionali e il diagramma si scosta dalla linearità; da questo
punto in poi il comportamento si differenzia a seconda del tipo di materiale in esame.
Per alcuni materiali, come gli acciai a basso contenuto di carbonio, ciò è particolarmente evidente:
la forza cessa improvvisamente di salire (addirittura decresce leggermente) mentre la provetta
continua ad allungarsi. Il fenomeno è detto snervamento, esso segna la fine del comportamento
elastico del materiale e l'inizio delle deformazioni plastiche permanenti; si definisce carico di
snervamento superiore FeH il valore di picco della forza di trazione corrispondente alla fine del
comportamento elastico, mentre il carico di snervamento inferiore FeL è il valore a cui la forza
scende (assestandosi dopo alcune oscillazioni) quando il fenomeno si è manifestato.
Successivamente, continuando a esercitare la trazione sulla provetta la forza riprende a salire, ma
con pendenza molto inferiore a quella del tratto elastico: siamo nella fase delle deformazioni
plastiche aventi entità assai superiore di quelle elastiche. In tale fase il volume del materiale si
mantiene approssimativamente costante, quindi l'allungamento è compensato da una contrazione
trasversale. Il fatto che la forza continui a salire, malgrado la riduzione della sezione, indica che il
carico unitario (cioè la tensione) necessario per deformare il materiale cresce in misura tale da
compensare la perdita di sezione resistente: tale fenomeno è noto come incrudimento. Questo
comportamento prosegue finché la curva presenta un massimo Fm, detto anche carico di rottura; da
questo punto in poi si la riduzione della sezione si verifica in una zona localizzata, tale fenomeno è
noto come strizione. La forza necessaria ad allungare ulteriormente la provetta diminuisce perché
l'incrudimento del materiale non basta più a compensare la riduzione di sezione. Infine la provetta si
rompe, dividendosi in due parti in corrispondenza della sezione ristretta.
F rottura

Fm

FeH deform. plastica


localizzata (strizione)
FeL deform. plastica
uniforme

allungamento (%)

Per altri materiali, come ad esempio gli acciai a medio contenuto di carbonio, il fenomeno dello
snervamento non è più evidente, ma si osserva semplicemente una progressiva deviazione dalla
linearità; in questo caso, invece del carico di snervamento FeH si determina il carico di scostamento
dalla proporzionalità, di solito allo 0,2%: Fp0,2. La procedura consiste nel tracciare la retta parallela
al tratto elastico del diagramma e distante in orizzontale 0,2%; l'intersezione con la curva fornisce il
Cedimento statico

valore di Fp0,2. Col procedere della prova si osservano anche in questo caso la crescita della curva
dovuta all'incrudimento e il successivo calo dovuto alla strizione.

rottura

F m

F p0,2 deform. plastica


localizzata (strizione)
deform. plastica
uniforme

0,2% allungamento (%)

Per alcuni materiali, come ad esempio le ghise grigie, la fase delle deformazioni plastiche è assente
o praticamente trascurabile; la rottura si manifesta immediatamente alla fine del tratto elastico della
curva.
F

rottura
Fm

allungamento (%)

Per tutti i materiali duttili si osserva inoltre che se il carico viene rilasciato durante la deformazione
plastica il diagramma relativo allo scarico è lineare e parallelo alla retta che descrive l'andamento
elastico iniziale; di conseguenza la provetta non riassume la lunghezza originale ma presenta un
allungamento residuo. Se si applica nuovamente il carico il diagramma è lo stesso segmento fino al
livello massimo di carico che era stato raggiunto in precedenza, da questo punto in poi viene di
nuovo seguita la curva relativa alla fase plastica del materiale, come se lo scarico non fosse
avvenuto. Si osserva quindi che un materiale che ha subito un certo livello di deformazione plastica
presenta una fase elastica più ampia.
F

allungamento allungamento (%)


residuo
Come già anticipato nelle definizioni, il passaggio dai valori caratteristici di forza (carico) a quelli
corrispondenti di tensione (carico unitario) avviene semplicemente dividendo per l'area iniziale S0
della provetta:
carico unitario di snervamento superiore ReH = FeH / S0
carico unitario di snervamento inferiore ReL = FeL / S0
carico unitario di rottura Rm = Fm / S0
E' evidente che tali definizioni hanno valore convenzionale; in particolare il carico unitario di
rottura viene definito dividendo la forza massima misurata durante la prova per un valore di area
che non è quello su cui essa agisce, ma è il valore della sezione indeformata. Il tratto decrescente
della curva, corrispondente alla strizione della provetta, non è in pratica utilizzabile in quanto lo
stato di tensione diventa triassiale e, inoltre, la tensione assiale non è uniforme sulla sezione.
Riaccostando i due spezzoni della provetta si può misurare la lunghezza finale Lu tra i due
riferimenti tracciati prima della prova a distanza L0; si definisce la grandezza seguente:
allungamento dopo rottura (%) A = 100⋅(Lu -L0)/ L0

Si definiscono duttili quei materiali che presentano elevata deformazione plastica prima della
rottura, fragili quelli che presentano deformazione plastica limitata; poiché la deformazione plastica
determina il valore della lunghezza finale dopo rottura Lu , si può eseguire una distinzione di
massima in base all'entità dell'allungamento dopo rottura:

A > 10%: materiali duttili A < 5%: materiali fragili


Per valori di A compresi tra 5% e 10% si osserva un comportamento intermedio tra fragilità e
duttilità.
La tabella seguente riporta, a titolo di esempio, i valori tipici delle caratteristiche di resistenza per
alcuni materiali ferrosi utilizzati nelle costruzioni meccaniche; dati completi per le diverse tipologie
di materiali possono essere trovati nelle corrispondenti tabelle UNI.
Cedimento statico

Materiale ReH (Rp0,2) Rm A


(MPa) (MPa) %
acciai per carpenteria S235 ≥ 235 ≥ 360 ≥ 26
S275 ≥ 275 ≥ 430 ≥ 23
S355 ≥ 355 ≥ 510 ≥ 21
acciai da bonifica C30 325 540 20
C40 370 590 18
41Cr4 540 740 14
39NiCrMo3 540 740 13
ghise grigie GJL-100 - 100 -
GJL-200 - 200 -
GJL-300 - 300 -
ghise sferoidali GJS-350-22 230 350 22
GJS-500-7 370 500 7
GJS-700-2 420 700 2
Dall'esame della tabella si osserva che per gli acciai le caratteristiche di resistenza (carichi unitari di
snervamento e di rottura) sono in generale inversamente proporzionali all'allungamento a rottura,
inoltre per gli acciai ad alta resistenza il limite di snervamento è (proporzionalmente) più vicino a
quello di rottura che per gli acciai a bassa resistenza.

5.2. Ipotesi di cedimento


I dati relativi alla resistenza dei materiali ottenuti mediante la prova di trazione corrispondono al
cedimento in condizioni di tensione monoassiale. In generale ogni punto di un elemento di
macchina può essere soggetto ad uno stato di tensione pluriassiale, definito dal tensore delle
tensioni cartesiane [σ] o dalle tensioni principali σ1, σ2, σ3. Al fine di stabilire se lo stato di tensione
agente nel punto considerato è compatibile con la resistenza del materiale si pone quindi il
problema di definire un unico valore (scalare) equivalente, da confrontare con il valore che esprime
il limite caratteristico del materiale.
Si deve cioè definire una tensione, detta ideale o equivalente, funzione delle 3 tensioni principali
effettivamente agenti e che equivalga dal punto di vista del pericolo di cedimento allo stato di
tensione vero:
σ id = f (σ 1 , σ 2 , σ 3 )
Tale funzione non è univoca e dipende dal comportamento tipico del materiale; per la sua
determinazione si deve analizzare più dettagliatamente ciò che si verifica nel materiale in
condizioni di cedimento.
Il differente comportamento, duttile o fragile, del materiale durante la prova di trazione corrisponde
ai diversi fenomeni che si producono nel materiale quando la sollecitazione cresce.
Nel caso dei materiali fragili il cedimento consiste nella perdita di coesione fra gli atomi del reticolo
cristallino del metallo, fenomeno che porta al distacco frontale del materiale. L'intuizione fisica ci
porta a presumere che tale distacco si verifichi per effetto delle tensioni di tipo normale (σ), tale
ipotesi è confermata sperimentalmente dal fatto che le superfici di rottura a trazione di materiali di
questo tipo sono perpendicolari alla direzione della forza.
Nel caso dei materiali duttili il cedimento che mette fine al comportamento elastico è causato dallo
scorrimento dei piani cristallini, che si verifica su piani inclinati di circa 45° rispetto alla direzione
di applicazione della forza dove le tensioni di tipo tangenziale (τ) sono massime. Esaminando le
superfici di rottura a trazione di un materiale di questo tipo si riscontra infatti che esse, almeno nella
zona esterna del provino, sono inclinate dell'angolo suddetto rispetto alla direzione della forza.

σ σ
σ σ

materiali fragili: decoesione frontale materiali duttili: scorrimento plastico

Numerose ipotesi di cedimento sono state proposte dai ricercatori che si sono occupati di resistenza
dei materiali; in questa trattazione ci si limiterà a presentare quelle più comunemente adottate per i
materiali metallici impiegati nelle costruzioni meccaniche.

Ipotesi della massima tensione normale (Galileo, Rankine)


Si suppone che il materiale ceda quando la massima delle tensioni principali, che è la massima
tensione normale tra quelle agenti sugli infiniti piani passanti per il punto in cui si esegue la
verifica, raggiunge un valore limite:
σid = σ1
Per quanto discusso in precedenza, questa ipotesi risulta applicabile ai materiali che presentano
comportamento fragile.

σ3 σ2 σ1 σ

limite di cedimento
(rottura)

Ipotesi della massima tensione tangenziale (Tresca, Guest)


L'ipotesi è applicabile ai materiali di tipo duttile. Si suppone che il materiale ceda, nel senso di
iniziare a deformarsi plasticamente, quando la massima tensione tangenziale tra quelle agenti sugli
infiniti piani passanti per il punto in cui si esegue la verifica raggiunge un valore limite.
Cedimento statico

τ
τ max

limiti di cedimento
σ3 σ2 σ1 σ (plasticizzazione)

Dall'esame dei cerchi di Mohr si ricava immediatamente che la tensione tangenziale massima è il
raggio del maggiore dei cerchi e vale:
σ − σ3
τ max = 1
2
Nel caso dello stato di tensione monoassiale che si ha nella prova di trazione, due cerchi di Mohr
coincidono e il terzo degenera in un punto; la massima tensione tangenziale vale quindi:
σ
τ max,id = id
2
Confrontando le due espressioni si ottiene:
σ id = σ 1 − σ 3
Si noti che secondo questa ipotesi la tensione principale intermedia non influisce sul valore della
tensione ideale; inoltre se a tutte le tensioni principali si aggiunge una costante (cosa che
corrisponde a traslare orizzontalmente i cerchi di Mohr) il valore della tensione ideale non cambia.

Ipotesi dell'energia di distorsione (Huber, Hencky, von Mises)


Anche questa ipotesi è applicabile ai materiali di tipo duttile. Si suppone che il materiale inizi a
deformarsi plasticamente quando la quota di energia elastica di deformazione (cfr. paragrafo 3.5.)
che corrisponde al puro cambiamento di forma (distorsione) raggiunge un valore critico.

τ
τ13
τ23
τ12
σ3 σ2 σ1 σ
Si può dimostrare che l'energia D corrispondente alla pura distorsione del materiale è data dalla
media dei tre prodotti delle tensioni tangenziali massime per le corrispondenti deformazioni:
1
D = (τ12 γ 12 + τ 23 γ 23 + τ13 γ 13 )
3
Per la legge di Hooke γ = τ/G e quindi:
D = (
1
3G
)
τ12 2 + τ 23 2 + τ13 2

Esprimendo le tensioni tangenziali massime in funzione di quelle principali si ottiene:


2 2
1  σ1 − σ 2 
2
 σ 2 − σ 3   σ1 − σ 3  
D=   +  +  
3G  2   2   2  

Nel caso della prova di trazione due tensioni tangenziali massime coincidono e la restante è nulla:
2 2 2
1  σ id − 0   0 − 0   σ id − 0   1   σ id  
2
D=   +  +  = 2  
3G  2   2   2   3G   2  
   
Confrontando le due espressioni si ottiene:
1
σ id = (σ 1 − σ 2 )2 + (σ 2 − σ 3 )2 + (σ 1 − σ 3 )2
2
Questa ipotesi tiene conto del contributo da parte di tutte le tre tensioni principali; anche in questo
caso se a tutte le tensioni principali si aggiunge una costante il valore della tensione ideale non
cambia, ciò è giustificato dal fatto che tale aggiunta fa crescere l’energia di deformazione associata
al cambiamento di volume ma non di forma.

Confronto tra le ipotesi della massima tensione tangenziale e dell'energia di distorsione


Poiché entrambe queste ipotesi sono state formulate per rappresentare il cedimento dei materiali
duttili, si pone il problema di valutare di quanto esse differiscano e di stabilire quale delle due sia
più adeguata a rappresentare le condizioni limite. Un confronto diretto tra le due ipotesi può essere
eseguito in forma grafica considerando uno spazio cartesiano in cui le coordinate rappresentano i
valori assunti dalle tensioni principali. In questo spazio ad ogni ipotesi corrisponde una superficie
limite; se il punto rappresentativo dello stato di tensione sta all'interno di tale superficie non si
verifica il cedimento, se sta all'esterno il materiale cede. Di conseguenza, a parità di resistenza del
materiale, un'ipotesi è tanto più cautelativa quanto più la zona ammessa è limitata. Adottando
questa rappresentazione si trova che:
Ipotesi della σc Ipotesi dell’energia
massima tensione di distorsione
tangenziale (cilindro)
(prisma)

σa σb
Cedimento statico

• l'ipotesi dell'energia di distorsione corrisponde ad un cilindro, il cui asse è la retta trisettrice


dello spazio avente come coordinate le tensioni principali e la cui sezione ha forma circolare;
• l'ipotesi della massima tensione tangenziale corrisponde ad un cilindro, il cui asse è la retta
trisettrice dello spazio avente come coordinate le tensioni principali e la cui sezione ha forma
esagonale.
Una situazione di particolare interesse dal punto di vista applicativo è quella di tensione piana, già
definita in precedenza, in cui una delle tensioni principali è uguale a zero. Graficamente, in un
piano cartesiano avente per coordinate le due restanti tensioni principali4 σa e σb, i limiti
corrispondenti alle due ipotesi di rottura sono rappresentati da un'ellisse per l'energia di distorsione
e da un esagono per la massima tensione tangenziale.
σb σ1=σb
σ1=σb σ2=σa
σ2=0 σ3=0
σ3=σa σ1=σa
σ2=σb
σ3=0
σa
σ1=0
σ1=σa
σ2= σb
σ2=0
σ3=σa
σ1=0 σ3=σb
σ2= σa
σ3=σb

Dal confronto grafico si deduce che la curva limite corrispondente alla massima tensione
tangenziale è completamente inscritta in quella corrispondente all'energia di distorsione, la prima
ipotesi risulta quindi più cautelativa. La discrepanza tra le due curve è in generale abbastanza
limitata; esse coincidono quando σa=0 o σb=0 e per σa= σb; la massima differenza si verifica per
σa= - σ b e in tali condizioni si verifica che
σ id (en. dist.) 3
= = 0.866
σ id ( max τ) 2
Sperimentalmente si osserva che i punti di cedimento ottenuti esercitando contemporaneamente
tensione su due direzioni si dispongono approssimativamente in posizione intermedia tra le curve
corrispondenti alle due ipotesi.
Si può quindi concludere che la scelta dell'una o dell'altra ipotesi viene effettuata principalmente per
motivi di comodità. L'ipotesi dell'energia di distorsione porta a un'unica formula, valida in ogni

4Come già fatto in un caso precedente, si adotta questa notazione perché i simboli σ1, σ2, σ3 corrispondono ai valori
ordinati in senso decrescente.
caso, che però presenta lo svantaggio di essere non-lineare nelle tensioni; l'ipotesi della massima
tensione tangenziale presenta il vantaggio di essere lineare, ma l'equazione della superficie limite
non è unica in quanto questa consta di diversi segmenti.

5.3. Coefficiente di sicurezza


Per quanto esposto finora la resistenza strutturale di un componente risulta verificata quando in tutti
i suoi punti (e in particolare in quello più sollecitato) la tensione ideale (che, come già detto,
rappresenta con un unico numero le tensioni applicate nel punto) è inferiore alla tensione limite del
materiale:
σid ≤ σlim
La tensione limite che si assume per il materiale corrisponde a quella di rottura nel caso di materiale
fragile e a quella di snervamento (o scostamento dalla proporzionalità) nel caso di materiale duttile.
Quest'ultima assunzione è motivata dal fatto che in un componente meccanico non è accettabile che
si produca snervamento; infatti anche se non avviene la rottura il cambiamento permanente di forma
associato alle deformazioni plastiche può essere incompatibile col funzionamento.
Affinché l'elemento strutturale operi con sufficiente sicurezza la diseguaglianza precedente deve
essere soddisfatta con un certo margine; si deve infatti considerare che:
• i carichi applicati possono essere soggetti a incertezze di tipo statistico, inoltre nel servizio si
possono presentare condizioni di carico non previste in sede di progetto;
• anche le caratteristiche di resistenza del materiale, essendo frutto dei procedimenti di
fabbricazione, sono soggette a incertezze di tipo statistico;
• i valori delle tensioni agenti che si considerano sono in generale ottenuti per mezzo di modelli
teorici di calcolo, più o meno affetti da approssimazioni.
In termini quantitativi il margine tra resistenza e sollecitazione è rappresentato dal coefficiente di
scurezza, definito come5:
C S = σ lim σ id
I valori di CS sono di solito imposti dalle norme che regolano i diversi settori applicativi (es.:
strutture in carpenteria metallica, recipienti in pressione, apparecchi di sollevamento); tali valori
sono stati scelti principalmente in base all'esperienza specifica nei vari settori delle costruzioni,
tenendo inoltre conto delle caratteristiche della struttura e delle perdite, in termini economici e
umani, causate dall’eventuale raggiungimento delle condizioni limite. Al proposito si deve
osservare che il comportamento duttile contiene un margine di sicurezza intrinseco, in quanto se si
supera la tensione limite σlim si produce snervamento ma usualmente il componente non va incontro
a rottura ed è ancora in grado di sopportare carichi superiori, pur deformandosi in modo
irreversibile. Viceversa nel caso di comportamento fragile il raggiungimento della condizione limite
comporta la rottura del componente, con effetti potenzialmente più gravi. Di conseguenza i

5Un approccio più moderno e corretto consiste nel valutare le distribuzioni statistiche del carico applicato e della
resistenza del materiale; da esse si può stimare la probabilità di rottura, che viene limitata al valore desiderato.
Cedimento statico

coefficienti di sicurezza da adottare nel caso di materiale fragile dovranno essere opportunamente
più elevati che nel caso di materiale duttile. Ad esempio, valori tipici di CS sono: 1.5 per elementi in
materiale duttile sollecitati staticamente; 3 o più nel caso di sollecitazione statica e materiale fragile;
3 per elementi soggetti a sollecitazioni variabili nel tempo (di “fatica”), per le quali l'incertezza di
comportamento è più elevata; addirittura 10 o più nel caso delle funi, per le quali il calcolo è
estremamente incerto.
In un calcolo di progetto, quando la condizione di resistenza è utilizzata per stabilire un parametro
della struttura (es. uno spessore, una sezione, ecc.), si usa definire la tensione ammissibile σamm, pari
alla tensione limite del materiale divisa per CS, e si pone, nel punto più sollecitato:
σ id = σ amm = σ lim C S
Da questa equazione si ricava il parametro della struttura da determinare.
6. RICHIAMI DI GEOMETRIA DELLE AREE
Gli elementi strutturali che si trovano nelle applicazioni pratiche
hanno sezioni di forme caratteristiche, che dipendono
dall’applicazione stessa e dal procedimento di fabbricazione. La
maggiore complicazione della forma della sezione ha lo scopo di
ottenere le proprietà desiderate minimizzando la quantità di
materiale necessaria, e quindi anche il peso e il costo.
Infatti a parità di area della sezione, e quindi di materiale
impiegato, le proprietà dipendono da come l’area è distribuita
nel piano. Ciò è quantificato dai alcuni parametri matematici:
• i momenti di primo ordine;
• i momenti di secondo ordine.
Questo capitolo è dedicato allo studio delle proprietà geometriche delle sezioni, che saranno
necessarie nel seguito della trattazione in quanto indispensabili a descrivere il comportamento di un
elemento strutturale.

6.1. Definizioni
Per introdurre le definizioni seguenti, considerando una y
figura nel piano assumiamo un riferimento xy di partenza,
per ora generico; altre definizioni di sistemi di riferimento
dA
saranno adottate successivamente.

Area, momenti di primo ordine


O x
area (momento di ordine zero) A = ∫ dA
A

momenti statici (di primo ordine) S x = ∫ ydA S y = ∫ xdA


A A
Si noti che i momenti statici, riferendosi ad aree, hanno le dimensioni fisiche di lunghezza alla terza
potenza. La conoscenza dei momenti statici permette di calcolare la posizione del baricentro G della
sezione:
Sy Sx
xG = yG =
A A
Queste due relazioni si giustificano con il ragionamento seguente. Si consideri una lastra omogenea,
di peso all’unità di superficie p, agente trasversalmente al piano della lastra (asse z); si vuole
sostituire il peso distribuito con la sola forza risultante.
Separatamente per i piani xz e yz , si determina l’asse centrale:
Geometria delle aree

• la forza risultante è il peso della lastra


P=
∫ pdA = pA
A

• volendo ridurre temporaneamente a O (frecce tratteggiate nella figura), le componenti di


momento risultante sono
Mx =
∫ ypdA = p ∫ ydA = pS
A A
x , My =
∫ xpdA = p ∫ xdA = pS
A A
y

• sfruttando in entrambi i piani verticali (xz, yz) la nota relazione ξ = RM O / RF per portare la
forza risultante (peso P) sull’asse centrale si ottiene
M y pS y S y M pS x S x
xG = = = , yG = x = =
P pA A P pA A

z y P
My p
G
dA

Mx
O
x
P

Momenti di secondo ordine

momenti d'inerzia J xx = ∫ y 2 dA J yy = ∫ x 2 dA
A A

momento centrifugo J xy = ∫ xydA


A
Nel caso della sola sezione circolare si farà uso anche del
momento d'inerzia polare (
J p = ∫ x 2 + y 2 dA
A
)
Trattandosi di momenti riferiti ad aree le dimensioni fisiche sono di lunghezza alla quarta potenza
in tutti i momenti di secondo ordine.
Diversamente dal caso dei momenti di primo ordine, quelli del secondo non possono essere spiegati
con un ragionamento elementare come quello svolto per le relazioni che forniscono le coordinate
del baricentro. I momenti di secondo ordine vengono definiti in dinamica del corpo rigido nel
procedimento di riduzione delle azioni d’inerzia, in particolare nella definizione del momento
risultante della quantità di moto {K} nello spazio:
{K } = [I ]{ω}
dove [I] è il tensore d’inerzia e {ω} è il vettore velocità di rotazione. In tale definizione, trattandosi
di masse, le componenti di [I] hanno le dimensioni di massa per lunghezza alla seconda potenza.
I momenti di secondo ordine Jxx, Jyy, Jxy utilizzati nella presente trattazione possono essere
interpretati come casi particolari, nel piano (invece che nello spazio) e riferiti ad aree (invece che a
masse).
6.2. Sistemi di riferimento
Si vedrà in seguito che spesso si adotta per la sezione un sistema di riferimento avente l’origine nel
baricentro della figura, perciò detto baricentrico. In questo riferimento i momenti statici sono nulli,
ciò è evidente notando che le coordinate di G sono (0;0). Se la figura presenta un asse di simmetria
il baricentro deve trovarsi su tale asse; infatti il momento statico di metà figura ha stesso modulo e
segno opposto di quello dell’altra metà e il momento statico complessivo è nullo.
y Per esempio, nella figura qui riportata, in
cui y è asse di simmetria, si ha:
A1 A2
simmetria
asse di

Sy =
∫ xdA = ∫ xdA + ∫ xdA = 0
A A1 A2

Se gli assi di simmetria sono due il baricentro si trova in corrispondenza della loro intersezione.
Un riferimento è detto è detto principale d’inerzia se il momento centrifugo rispetto a esso è nullo,
cioè se
J xy =
∫ xydA = 0
A

Il riferimento e i momenti d’inerzia principali vengono trovati con procedimento, analogo a quello
per tensioni e deformazioni, che sarà spiegato in un paragrafo successivo. Se la sezione presenta un
asse di simmetria questo è asse principale d’inerzia: infatti il momento centrifugo di metà figura ha
stesso modulo e segno opposto di quello dell’altra metà. Per esempio, facendo di nuovo riferimento
alla figura precedente si ha:

∫ ∫ ∫
J xy = xydA = xydA + xydA = 0
A A1 A2

Se l’origine è posta nel baricentro e gli assi sono principali d’inerzia il riferimento è detto centrale
principale d’inerzia (o talvolta, per brevità, soltanto centrale).

6.3. Traslazione degli assi


È utile, per le applicazioni successive, stabilire le relazioni fra i momenti (di primo e secondo
ordine) espressi secondo due sistemi di riferimento traslati l’uno rispetto all’altro e dei quali uno sia
baricentrico:
y
Y

• OXY riferimento non baricentrico


X = XG + x YG
• Gxy riferimento baricentrico  G x
Y = YG + y
• XG, YG coordinate di G secondo OXY

O XG X
Geometria delle aree

Relativamente ai momenti di primo ordine, considerando prima SX si ha


S X = YdA =
A ∫ (Y
A
G + y )dA = YG dA +
∫ A ∫ ydA = Y A
A
G

L’ultimo passaggio vale perché xy è un riferimento baricentrico. Il momento statico risulta quindi
essere dato semplicemente dal prodotto della coordinata baricentrica per l’area.
Analogamente si trova che
SY = X G A
Relativamente ai momenti di secondo ordine, considerando prima JXX si ha

∫ ∫ (Y + y ) dA = YG
∫ dA + ∫ y dA + 2Y ∫ ydA
2 2
J XX = Y 2 dA = G
2
G
A A A A A

L’ultimo integrale si annulla anche in questo caso perché xy è un riferimento baricentrico; i due
integrali rimanenti corrispondono rispettivamente al prodotto della coordinata baricentrica elevata al
quadrato per l’area e al momento d’inerzia rispetto all’asse baricentrico:
2
J XX = YG A + J xx
Analogamente si trova che:
J YY = X G 2 A + J yy , J XY = X GYG A + J xy
Questi risultati costituiscono l’applicazione della formula di Huygens al caso dei momenti di area.

6.4. Figure composte


Nelle applicazioni pratiche si incontrano spesso casi in cui la sezione dell'elemento strutturale che si
considera è una figura composta da parti semplici, le cui caratteristiche sono già note o facilmente
determinabili.
Consideriamo allora un sistema di riferimento xy globale, cioè relativo a tutta la figura, mentre ξiηi
sono riferimenti locali e baricentrici delle singole parti con assi paralleli a xy. Valgono le seguenti
relazioni:
area A= ∑i Ai
(Ai area della parte i-esima)
momenti statici S x = ∑ i y i Ai Sy = ∑ xA i
i i

(xi, yi coordinate globali del baricentro della parte i-esima)

momenti d'inerzia (
J xx = ∑i yi 2 Ai + J ξiξi ) (
J yy = ∑i xi 2 Ai + J ηiηi )
(Jξiξi, Jηiηi momenti d'inerzia della parte i-esima rispetto agli assi locali)

momento centrifugo (
J xy = ∑ i xi yi Ai + J ξi ηi )
(Jξiηi, momento centrifugo della parte i-esima rispetto agli assi locali)

Le formule precedenti esprimono la semplice proprietà additiva delle aree e dei momenti, con una
distinzione:
• per quanto riguarda le aree, i contributi delle singole parti vengono semplicemente sommati par
formare l'area totale della figura;
• per quanto riguarda i momenti, è necessario esprimere il termine dovuto a ogni singola parte nel
sistema di riferimento globale xy, successivamente i contributi delle singole parti possono essere
sommati.
Nel caso dei momenti statici, i valori corrispondenti alle singole parti espressi nei sistemi di
riferimento locali sono nulli perché tali sistemi sono (per assunzione) baricentrici; rimangono
soltanto i valori “di trasporto” xiAi e yiAi che permettono di esprimere tutti i contributi nello stesso
riferimento globale in cui si può eseguire la somma.
Nel caso dei momenti d'inerzia e centrifugo, i termini espressi nei sistemi di riferimento locali Jξiξi,
Jηiηi, Jξiηi vengono corretti con i valori “di trasporto” xi2Ai, yi2Ai, xiyiAi (formula di Huygens) che
permettono di esprimere tutti i contributi nello stesso riferimento globale in cui si può eseguire la
somma. La tabella seguente riporta i valori dei momenti d'inerzia per alcune figure elementari, di
utilizzo frequente nel calcolo di elementi di macchine.

Figura Momento d'inerzia Schema

rettangolo bh 3
J ξξ =
12
h
ξ

triangolo bh 3
J ξξ =
36
h
ξ

cerchio r4 d4
J ξξ = π =π d=2r r
4 64
ξ

4r
c=

semicerchio 4 π 8  d4 π 8 
J ξξ =r  − =  −  d=2r r
c
 8 9π  16  8 9π 
ξ
Geometria delle aree

6.5. Rotazione degli assi p2


y
Ricordando quanto accennato in precedenza a proposito dei
momenti di secondo ordine, si può dimostrare che i momenti α
d'inerzia e centrifugo di una figura piana costituiscono i
coefficienti di un tensore [J], simmetrico 2×2, costruito nella x
α
maniera seguente: p1
 J − J xy 
[J ] =  xx
J yy 
 − J xy
Analogamente a quanto visto in precedenza per i tensori delle tensioni e delle deformazioni, anche
in questo caso esiste un sistema di riferimento privilegiato, avente stessa origine di xy e assi ruotati,
tale che calcolando i momenti rispetto ai suoi assi, detti principali d’inerzia, il tensore diventa
diagonale:
J1 0 
0 J 
 2

È utile calcolare i valori che assumono i momenti d'inerzia Jxx, Jyy e centrifugo Jxy in un sistema di
riferimento xy ruotato del generico angolo α rispetto al riferimento principale p1p2.
La relazione tra le coordinate x, y e quelle p1, p2 è data da:
 x = p1 cos α + p 2 sin α

 y = − p1 sin α + p 2 cos α
I momenti d'inerzia e centrifugo nel riferimento xy valgono, per definizione:
J xx = ∫ y 2 dA J yy = ∫ x 2 dA J xy = ∫ xydA
A A A

Sostituendo le espressioni per x e y in funzione di p1 e p2 nelle definizioni dei momenti si ottiene:


 J = (− p sin α + p cos α )2 dA = cos 2 α p 2 dA + sin 2 α p 2 dA − 2 cos α sin α p p dA
 xx


A
1 2
A
∫ 2
A
1∫ A

1 2


 J yy = ( p1 cos α + p 2 sin α ) dA = sin α p 2 dA + cos α p1 dA + 2 cos α sin α p1 p 2 dA
∫ ∫ ∫ ∫
2 2 2 2 2

 A A A A

 J xy = ( p1 cos α + p 2 sin α )(− p1 sin α + p 2 cos α )dA = cos α sin α p 2 2 dA − cos α sin α p12 dA +
 ∫ ∫ ∫
 A A A

+ cos 2 α p p dA − sin 2 α p p dA

 A
∫ 1 2 ∫
A
1 2

Ricordando che il riferimento p1p2 è principale le relazioni precedenti si riducono a:


 J xx = J 1 cos 2 α + J 2 sin 2 α
 2 2
 J yy = J 1 sin α + J 2 cos α

J = J 1 cos α sin α − J 2 cos α sin α
 xy
E' conveniente esprimere le funzioni trigonometriche in funzione dell'angolo 2α:
1 − cos 2 α 1 + cos 2α sin 2α
sin 2 α = cos 2 α = sin α cos α =
2 2 2
Sostituendo nelle equazioni precedenti e mettendo in evidenza i momenti J1, J2 si ottengono le
relazioni seguenti:
 J1 + J 2 J1 − J 2
 J xx = 2 + 2 cos 2α

 J1 + J 2 J1 − J 2
 J yy = − cos 2α
 2 2
 J1 − J 2
 J xy = 2 sin 2α

Si verifica agevolmente che in un piano cartesiano in cui l'ascissa è il momento d'inerzia Ji e
l'ordinata il momento centrifugo Jc, i punti di coordinate (Jxx, Jxy) e (Jyy, -Jxy) stanno su una
circonferenza, in posizioni diametralmente opposte.
Si è infatti ottenuto il cerchio di Mohr per i momenti d'inerzia, che rappresenta i valori assunti dai
momenti d'inerzia e centrifugo al ruotare del sistema di riferimento generico xy rispetto al sistema
principale p1p2.

Jc
(Jxx, Jxy)


J2 J1 Ji

(Jyy, -Jxy)

Le intersezioni del cerchio con l'asse orizzontale hanno ascisse pari ai momenti principali d'inerzia
J1 e J2, che rappresentano rispettivamente il massimo e il minimo fra tutti i momenti d'inerzia
calcolabili al ruotare dell'asse di riferimento.
In pratica, la determinazione dei momenti principali d'inerzia e dei relativi assi avviene mediante la
procedura seguente:
• nel generico riferimento xy si calcolano i momenti d'inerzia Jxx, Jyy e centrifugo Jxy;
• si calcolano i momenti d'inerzia principali J1 e J2, con le formule
2 2
J xx + J yy  J xx − J yy  2
J xx + J yy  J xx − J yy  2
J1 = +   + J xy
 J 2 = − 

 + J xy
 ;
2  2  2  2 
• si ottiene l'angolo α tra l'asse principale p1 e l'asse x dalla relazione
2 J xy
tan 2α =
J xx − J yy
Geometria delle aree

Per determinare il segno dell'angolo α si devono considerare i valori di Jxx, Jyy e Jxy; possono
presentarsi i casi illustrati negli schemi seguenti:

Jxy > 0
Jxx ≥ Jyy Jxx ≤ Jyy

Jc Jc
(Jxx, Jxy) (Jxx, Jxy)


J2 J1 Ji J2 J1 Ji

(Jyy, -Jxy) (Jyy, -Jxy)

0° < α ≤ 45° 45° ≤ α < 90°


Jxy < 0
Jxx ≥ Jyy Jxx ≤ Jyy
Jc Jc
(Jyy, -Jxy) (Jyy, -Jxy)

J2 2α J1 Ji J2 J1 Ji

(Jxx, Jxy) (Jxx, Jxy)

-45° ≤ α < 0° -90° < α ≤ -45°

Un procedimento alternativo per determinazione del riferimento principale consiste nel calcolare
autovalori e autovettori della matrice [J]: i momenti principali J1, J2 sono dati dai due autovalori λ1,
λ2; le direzioni degli assi principali d'inerzia p1, p2 sono definite dagli autovettori {v1},{v2}, come
mostrato in figura.

y
p2

v2 v1 p1
x
7. SOLIDO DI SAINT VENANT
La determinazione per via analitica degli stati di deformazione e tensione nei punti dei corpi
sollecitati è possibile solo per alcuni tipi di elementi strutturali. Tra di essi un posto di primo piano
spetta al cosiddetto solido di Saint Venant6, che fornisce la soluzione per elementi di tipo
monodimensionale, cioè dotati di una dimensione molto maggiore delle altre due. A questo modello
di calcolo si possono ricondurre molti elementi strutturali di comune impiego, come ad esempio le
travi dei telai, gli alberi delle macchine, ecc.

7.1. Ipotesi
Si devono formulare alcune ipotesi di partenza sulle caratteristiche del solido e sulle sue condizioni
di carico e vincolo:
• il solido è un cilindro ottenuto per traslazione di una figura piana in direzione della propria
normale, l'estensione in tale direzione è molto maggiore delle dimensioni nel piano della figura
generatrice;
• carichi e vincoli sono applicati solo in corrispondenza delle basi;
• in tutto il solido il materiale è elastico, omogeneo, isotropo.
y

Si sceglie un sistema di riferimento cartesiano xyz avente gli assi x e y contenuti nel piano della
figura che genera il solido e l'origine posta nel baricentro di quest'ultima; l'asse z rappresenta la
traiettoria del baricentro durante il moto di generazione e costituisce la cosiddetta linea d'asse del
solido. Evidentemente tutte le sezioni normali all'asse z sono sezioni rette del solido e sono tutte
identiche alla figura generatrice.
A causa dell'assenza di carichi applicati sulla superficie cilindrica e delle limitate dimensioni
trasversali si può ammettere che:
σxx = 0 σyy = 0 τxy = 0
Possono invece essere presenti le tensioni:
σzz τxz τyz

6Adhémar Jean Claude Barré de Saint Venant (Villiers-en-Bière 1797 - St. Ouen 1886); suo è il merito di aver
sistematizzato le soluzioni relative alle sollecitazioni nel solido prismatico.
Solido di St. Venant

7.2. Caratteristiche di sollecitazione


Consideriamo la generica sezione retta (cioè normale all'asse z) del solido di Saint Venant; su di
essa agiscono le componenti di tensione σzz, τxz, τyz la cui distribuzione deve essere calcolata per le
possibili condizioni di sollecitazione. Indipendentemente dalla distribuzione delle tensioni, è lecito
sostituire a quest'ultima un insieme di forze e momenti staticamente equivalenti; si definiscono
quindi le cosiddette caratteristiche di sollecitazione della sezione:
forza normale N = ∫ σ zz dA
A

tagli Tx = ∫ τ xz dA T y = ∫ τ yz dA
A A

momenti flettenti M x = ∫ σ zz ydA M y = − ∫ σ zz xdA


A A

momento torcente ( )
M z = ∫ τ yz x − τ xz y dA
A

Le definizioni della forza normale N e dei tagli Tx, Ty rappresentano semplicemente le risultanti di
tutte le forze infinitesime σzzdA, τxzdA, τyzdA rispettivamente agenti lungo x, y, z e ottenute
integrando i contributi di tutti i punti della sezione.
y y y

τyzdA
σzzdA τxzdA

x x x
z z z

I momenti flettenti Mx e My sono definiti come momenti risultanti delle forze infinitesime σzzdA,
aventi braccio y dall'asse x e braccio x dall'asse y, ottenuti integrando i contributi di tutti i punti della
sezione. Il momento torcente Mz è definito come momento risultante delle forze infinitesime τxzdA,
τyzdA aventi bracci dall'asse z pari rispettivamente a y e x.
y
τyzdA
y σzzdA x σzzdA
τxzdA
z y z x
x z

Le componenti di sollecitazione possono essere messe in evidenza interrompendo il solido in una


sezione generica mediante una superficie di distacco; il procedimento è analogo a quello seguito
quando si distacca la struttura dai vincoli per mettere in evidenza le reazioni.
Sulle due sezioni generate dal taglio e reciprocamente affacciate agiscono componenti (forze e
momenti) uguali in modulo e opposte in verso, in virtù del principio di azione e reazione. Di
conseguenza, se sulla cosiddetta faccia positiva, (quella da cui l'asse z è uscente), si assumono come
versi positivi per le forze (N, Tx, Ty) quelli degli assi e come versi positivi per i momenti (Mx, My,
Mz) quelli dati dalla regola della vite (destra), sulla faccia negativa (asse z entrante) si assumono
versi positivi opposti.
Ty
My

faccia positiva

My y Mx
Mz Tx
Ty x
Mz z
y N
N

z x Tx
Mx
faccia negativa

7.3. Principio di Saint Venant


Il modo in cui i carichi sono effettivamente applicati sulle sezioni di estremità del solido dipende
dal caso tecnico considerato; in particolare la distribuzione delle tensioni localmente prodotta dal
carico esterno può essere diversa da quella prevista dalle soluzioni di Saint Venant che verranno
presentate nei paragrafi successivi.
Si osserva che a una distanza dalla sezione di applicazione del carico circa pari alle dimensioni
trasversali del solido il particolare modo in cui il carico è applicato non influisce più; diventano
quindi significative solo le risultanti (forze e momenti) che il carico genera e la distribuzione delle
tensioni torna a essere quelle prevista dalle soluzioni di Saint Venant. Questa proprietà, nota come
principio di Saint Venant, consente notevoli semplificazioni nella soluzione di problemi strutturali:
• le non-conformità all'ipotesi sulla geometria (solido cilindrico generato per traslazione di una
figura) che interessano zone limitate, ad esempio brusche variazioni di sezione o presenza di
fori, causano perturbazioni di carattere solo locale nella distribuzione delle tensioni;
• le modalità con cui vincoli e carichi sono imposti hanno influenza solo sulla zona di
applicazione.
A titolo di esempio, le immagini successive mostrano due casi di conferma sperimentale, per mezzo
del metodo fotoelastico, del principio di Saint Venant. Tale metodo consente di visualizzare lo stato
di tensione in un modello della struttura realizzato in materiale trasparente e si basa su particolari
Solido di St. Venant

fenomeni a cui è soggetta la luce che attraversa un materiale sottoposto a sforzi; nelle immagini le
frange scure indicano l'intensità delle sollecitazioni.
Il primo caso si riferisce alla regione di incastro di un elemento sottoposto a flessione, si osserva
che appena al di sopra della sezione del vincolo le frange presentano andamento regolare,
corrispondente alla distribuzione di tensioni del solido di Saint Venant.

Il secondo caso si riferisce ad un albero, soggetto a trazione assiale, in cui è ricavata una gola che
causa un variazione locale della sezione; si osserva che nella zona della gola l'andamento delle
tensioni risulta perturbato, ma a breve distanza la situazione ritorna regolare.

Anche se tali perturbazioni dello stato di tensione e deformazione hanno carattere locale,
nondimeno sono importanti dal punto di vista strutturale; infatti proprio in corrispondenza di esse si
presentano dei massimi di tensione e quindi si possono superare i limiti di resistenza del materiale.
La trattazione di questi fenomeni, noti come effetti di intaglio, è oggetto di studi specifici; una
descrizione sintetica è data in un’altra sezione della dispensa.

7.4. Comportamento estensionale (trazione-compressione)


Consideriamo il caso in cui il moto di deformazione elastica del solido di Saint Venant è tale che
tutti i punti di una generica sezione traslano, in direzione della linea d'asse, della stessa quantità w,
proporzionale alla distanza z dall'origine, posta nella base che si considera fissa7:

7Essendo interessati alla sola quotaparte deformativa del moto, questa assunzione non costituisce un caso particolare.
y x

w w
w = k0 z
x z y z

Ricordando la definizione delle deformazioni, si può immediatamente calcolare la dilatazione in


direzione z:
∂w
ε zz = = k0
∂z
Il termine costante k0 ha quindi il significato fisico di dilatazione assiale. Applicando la legge di
Hooke e ricordando che per ipotesi σxx=σyy=0 si ricava che (E= modulo di Young):
σ zz = E ε zz = Ek 0
Si possono quindi calcolare le caratteristiche di sollecitazione, agenti sulle sezioni, corrispondenti
alla tensione ricavata; i tagli e il momento torcente sono ovviamente nulli in quanto non legati a σzz,
per quanto riguarda forza normale e momenti flettenti si ha
N = ∫ σ zz dA = σ zz ∫ dA = σ zz A = Ek 0 A
A A

M x = ∫ σ zz ydA = σ zz ∫ ydA = 0 M y = − ∫ σ zz xdA = −σ zz ∫ xdA = 0


A A A A

L'annullarsi dei due momenti è dovuto al fatto che in ogni sezione il riferimento xy ha l'origine nel
baricentro. Quindi la distribuzione di tensione considerata corrisponde a una condizione di trazione
o compressione semplice, a cui è equivalente la sola forza normale applicata in corrispondenza del
baricentro della sezione.
Utilizzando le relazioni trovate si può determinare la costante k0 in funzione della forza normale N:
N
k0 =
EA
Sostituendo nella relazione per la tensione assiali σzz si lega quest'ultima alla forza normale:
N
σ zz = Ek 0 =
A
E' comune rappresentare la distribuzione della tensione in una sezione del solido mediante un
diagramma riportato a fianco del profilo della sezione stessa. L'asse delle ascisse di tale diagramma
è parallelo al profilo della sezione, l'asse delle ordinate è rivolto come la linea d'asse del solido, così
come lo è, nella realtà fisica, la tensione σzz.

y x
N N
x z y z
σzz σzz
Solido di St. Venant

Si ricava inoltre che i punti delle generica sezione subiscono, oltre allo spostamento elastico w in
direzione assiale già citato, anche degli spostamenti trasversali u e v rispettivamente lungo x e y
dovuti alla contrazione trasversale (ν coefficiente di Poisson):
u = −νk 0 x v = −νk 0 y

Da queste due relazioni si deduce che la sezione, oltre a traslare assialmente, si contrae o si espande
intorno al proprio baricentro.
In queste particolari condizioni di sollecitazione (solo forza normale) il solido di Saint Venant è
detto asta. In campo meccanico esempi tipici di questo comportamento sono costituiti dai tiranti di
fissaggio.

7.5. Comportamento flessionale


Per semplificare la trattazione è conveniente assumere che per la sezione retta del solido di Saint
Venant gli assi xy siano, oltre che baricentrici, anche principali d'inerzia, cioè che xy sia il
riferimento centrale principale. In generale, nel moto elastico di flessione la sezione può ruotare
intorno ad un asse qualsiasi; è conveniente studiare il fenomeno separatamente nei due piani
coordinati e considerare il caso generale mediante la sovrapposizione degli effetti.

Flessione nel piano zy


Per quanto riguarda la flessione nel piano zy si determina la soluzione assumendo che la generica
sezione ruoti dell'angolo αx (piccolo) intorno all'asse x rimanendo piana; ciò implica che lo
spostamento assiale dei punti della sezione segua la legge:
y
w
αx
w = αxy

x z

La corrispondente dilatazione assiale è data da:


∂w dα x
ε zz = = y = kx y
∂z dz
Si mostrerà in seguito che il termine kx, qui utilizzato per indicare la derivata della rotazione rispetto
alla coordinata assiale, ha il significato fisico di curvatura del solido nel piano zy.
Applicando la legge di Hooke e ricordando che per ipotesi σxx=σyy=0 si ricava che:
dα x
σ zz = Eε zz = E y = Ek x y
dz
Il tipo di moto elastico assunto per la sezione porta quindi a una distribuzione di tensione assiale di
tipo lineare; si possono calcolare la forza normale e i momenti flettenti a cui essa dà luogo (tagli e
momento torcente sono ovviamente nulli)
N = ∫ σ zz dA = Ek x ∫ ydA = 0
A A
2
M x = ∫ σ zz ydA = Ek x ∫ y dA = Ek x J xx M y = − ∫ σ zz xdA = − Ek x ∫ yxdA = 0
A A A A

Si deduce quindi che la sezione ruota intorno all'asse x ed è soggetta al solo momento Mx; tale
proprietà non è ovvia ma deriva dall'avere assunto assi xy centrali principali d'inerzia.
Dalla definizione di Mx si ottiene
Mx
kx =
EJ xx
Sostituendo kx nella formula della tensione σzz si lega quest'ultima al momento:
M
σ zz = Ek x y = x y
J xx
Anche nel caso della flessione si usa rappresentare la distribuzione della tensione in una sezione del
solido mediante un diagramma, riportato a fianco del profilo della sezione stessa.

σzz
y
Mx
x z

Si verifica agevolmente che la tensione σzz raggiunge valori massimi in modulo e opposti in segno
agli estremi della sezione ed è nulla in corrispondenza della retta y=0 (asse x) che costituisce l'asse
neutro.

Flessione nel piano zx


La flessione nel piano zx viene trattata, fatte le debite sostituzioni di simboli, in modo identico a
quella nel piano zy; in questo caso si ottiene la soluzione assumendo che la generica sezione ruoti
dell'angolo αy (piccolo) intorno all'asse y rimanendo piana:
x
αy

w = −α y x

y z

Il segno “-“ tiene conto del fatto che, per una rotazione αy positiva, punti aventi coordinata y
positiva compiono spostamento w negativo, mentre punti aventi coordinata y negativa compiono
spostamento w positivo. La corrispondente dilatazione assiale è data da:
Solido di St. Venant

∂w dα y
ε zz =
=− x = −k y x
∂z dz
Il termine ky, come si vedrà successivamente, ha il significato fisico di curvatura del solido nel
piano zx. Applicando la legge di Hooke e ricordando che per ipotesi σxx=σyy=0 si ricava che:
dα y
σ zz = Eε zz = − E x = − Ek y x
dz
Si possono quindi calcolare la forza normale e i momenti flettenti:
N = ∫ σ zz dA = − Ek y ∫ xdA = 0
A A

M x = ∫ σ zz ydA = − Ek y ∫ yxdA = 0 ∫ ∫
M y = − σ zz xdA = Ek y x 2 dA = Ek y J yy
A A A A

Quindi in questo caso la sezione ruota intorno all'asse y ed è soggetta al solo momento My;
dall'ultima equazione si ottiene:
My
ky =
EJ yy
Sostituendo ky nella formula della tensione σzz si lega quest'ultima al momento:
My
σ zz = − Ek y x = − x
J yy
Anche in questo caso il diagramma della tensione σzz è lineare tra gli estremi della sezione, in cui
raggiunge valori rispettivamente massimo e minimo, l'asse neutro è rappresentato dalla retta x=0.

σzz
x
My

y z

Flessione combinata
Nel caso in cui agiscano simultaneamente entrambi i momenti flettenti Mx, My la distribuzione della
tensione σzz sulla sezione si ottiene per sovrapposizione degli effetti:
M My
σ zz = x y − x
J xx J yy
In questo caso l'asse neutro non coincide più con uno degli assi coordinati, si può determinarlo
considerando i punti per i quali σzz=0:
Mx My
y− x=0
J xx J yy
L'andamento della tensione può essere riportato graficamente misurando i valori di σzz a partire
dalla normale all'asse neutro, come mostrato in figura. Dalla costruzione grafica si individua
agevolmente la tensione nel punto più sollecitato, come indicato in figura.
y
asse neutro

σzz

Il momento flettente risultante Mf può essere ottenuto come somma vettoriale delle componenti Mx,
My:
M f = M x2 + M y2
Il vettore Mf è inclinato rispetto all'asse x dell'angolo ϕ, definito dalla relazione:
My
tan ϕ =
Mx
Invece la rotazione della sezione avviene intorno all'asse neutro, la cui inclinazione ψ rispetto
all'asse x è definita da:
M y J xx
tan ψ = ⋅
M x J yy
In generale Jxx ≠ Jyy e quindi ϕ ≠ ψ ; l'asse intorno a cui la sezione ruota non è parallelo a quello del
momento ma ha una diversa inclinazione, che dipende dalle caratteristiche di sezione Jxx e Jyy. Tale
fenomeno è noto come flessione deviata.

asse neutro

Mf

My ϕ
ψ Mx

La sezione circolare rappresenta un caso che si incontra frequentemente nei componenti delle
macchine (alberi, assi, ...); per questa particolare geometria qualunque riferimento baricentrico è
anche principale e la flessione non è mai deviata. Si può quindi adottare un sistema di riferimento
avente un asse parallelo al momento risultante che agisce sulla sezione, la rotazione di quest'ultima
avviene intorno allo stesso asse.
Solido di St. Venant

Mx
y Y

X
σzz

asse neutro

7.6. Caso generale: comportamento estensionale e flessionale


Nel caso più generale, in cui agiscano simultaneamente sia la forza normale N sia i momenti
flettenti Mz e My, la distribuzione della tensione σzz può essere ottenuta ancora per sovrapposizione
degli effetti:
N Mx My
σ zz = + y− x
A J xx J yy
Dal punto di vista grafico, il diagramma della tensione sulla sezione è la somma della distribuzione
uniforme dovuta alla forza normale e di quella con andamento lineare dovuta alla flessione.

x
σzz

+
+

-
L'asse intorno a cui avviene la rotazione della sezione non passa per il baricentro ma può trovarsi
anche al di fuori della sezione stessa.

7.7. Comportamento torsionale


Si considera ora un moto di deformazione in cui la generica sezione del solido ruota intorno all’asse
z o a un asse parallelo a z. La determinazione della soluzione esatta è possibile in forma elementare
solo per il caso della sezione a forma circolare (peraltro assai comune nelle costruzioni
meccaniche). Per altri tipi di sezione la soluzione non è ottenibile in forma altrettanto semplice;
nell'ambito di questa trattazione ci si limita a descrivere le formule approssimate per il calcolo delle
tensioni e della rigidezza nel caso di sezioni a parete sottile.

Sezione circolare
Oltre al consueto riferimento xyz in questo studio è y
utile adottare anche un riferimento cilindrico rβz; le θr
coordinate sono legate dalle note relazioni: v
θ u
x = r cos β
r
y = r sin β β
x
Assumendo che la sezione ruoti di un angolo θ
(piccolo) intorno all'asse z rimanendo piana e
indeformata, un generico punto di essa compie uno
spostamento θr in direzione circonferenziale; le
componenti di spostamento valgono quindi:
u = −θr sin β = −θy
v = θr cos β = θx
w=0
Le dilatazioni εxx , εyy , εzz sono evidentemente nulle, per quanto riguarda gli scorrimenti si ha:
∂u ∂v
γ xy = + = −θ + θ = 0
∂y ∂x
∂u ∂w dθ
γ xz = + =− y = −θ' y
∂z ∂x dz
∂v ∂w dθ
γ yz = + = x = θ' x
∂z ∂y dz
Il termine θ'=d θ/dz è detto “gradiente di torsione” e rappresenta la rotazione per unità di lunghezza
della linea d'asse. Applicando la legge di Hooke si ottiene (G= modulo elastico tangenziale):
τ xz = Gγ xz = −Gθ' y
τ yz = Gγ yz = Gθ' x
Il tipo di moto assunto porta quindi a una distribuzione di tipo lineare delle tensioni τxz , τyz. Forza
normale e momenti flettenti sono nulli perché σzz=0, per tagli e momento torcente si ottiene:
Tx = ∫ τ xz dA = −Gθ' ∫ ydA = 0 Ty = ∫ τ yz dA = Gθ' ∫ xdA = 0
A A A A
Solido di St. Venant

( ) ( )
M z = ∫ τ yz x − τ xz y dA = Gθ' ∫ x 2 + y 2 dA = Gθ' ∫ r 2 dA = Gθ' J p
A A A
Nella formula precedente Jp è il momento d'inerzia polare della sezione, pari al doppio del
momento diametrale. La distribuzione delle tensioni τxz , τyz dovute alla torsione ha risultante nulla e
momento risultante, che costituisce il momento torcente, di valore indipendente dal polo scelto.
Dall'ultima relazione trovata si può ricavare il gradiente di torsione:
Mz
θ' =
GJ p
Poiché nel solido di Saint Venant i carichi sono applicati soltanto in corrispondenza delle estremità,
il momento torcente Mz è costante, e quindi lo è anche θ'. Di conseguenza la rotazione θ cresce
linearmente lungo la linea d'asse.
Sostituendo nelle formule che danno le tensioni τxz , τyz si ottiene:
M M
τ xz = − z y τ yz = z x
Jp Jp

y Grazie all'assialsimmetria della sezione, l'orientazione del


sistema di riferimento xy è ininfluente; la tensione agente in
τcz ogni punto risulta (come lo spostamento) orientata in direzione
τyz
circonferenziale “c” ed è data da:
τ xz M
τ cz = z r
Jp
x

Questa orientazione rispetta la condizione al contorno di tensione tangenziale nulla sulla superficie
laterale (cilindrica) esterna o interna. Infatti, se esistesse una componente τ orientata
trasversalmente rispetto al bordo interno o esterno della sezione (cioè, in pratica, orientata
radialmente), per il principio di eguaglianza delle tensioni tangenziali agenti su superfici ortogonali
(paragrafo 2.1) la stessa τ dovrebbe esistere anche sulla superficie laterale, che però è scarica per le
ipotesi del solido di St. Venant.
In conclusione si osserva che la tensione ha andamento lineare rispetto al raggio e presenta
simmetria polare, il valore di picco si presenta sul bordo esterno. I casi di sezione piena e cava
differiscono evidentemente per il momento polare Jp ma le relazioni matematiche dei campi di
spostamento e di tensione rimangono le stesse.

τcz sezione circolare τcz sezione circolare


piena cava
Sezione di forma generica (cenni)
Per il caso di una sezione di forma generica, si deve modificare il campo di spostamenti
ammettendo che:
• la sezione conservi indeformata solo la propria proiezione sul piano xy, subendo quindi un
“ingobbamento” prodotto dalla componente di spostamento assiale w;
• la rotazione avvenga intorno al “centro di torsione” Ct (xCt,yCt), coincidente con il baricentro solo
in casi particolari, il cui significato viene descritto nel paragrafo 7.8.

y v
θ u

Ct x z

Le componenti di spostamento si esprimono come


(
u = − θ y − yC t )
(
v = θ x − xC t )
w = θ ω ( x, y )
dove ω(x,y) è la funzione di ingobbamento. La trattazione sviluppata a partire da queste assunzioni
risulta molto più complicata rispetto al caso della sezione circolare e non porta a una semplice
soluzione in forma chiusa.
Sono però disponibili trattazioni approssimate per i casi di sezione a parete sottile, cioè aventi
spessore piccolo rispetto alle dimensioni della sezione stessa. Si distinguono due tipi di
comportamento diversi, a seconda che la sezione sia aperta o chiusa.
Fin qui si è indicato il momento torcente con Mz (la sezione ruota intorno al baricentro, che è anche
polo del momento risultante della distribuzione di tensione tangenziale); nel seguito si utilizzerà il
simbolo Mt per indicare che la sezione ruota intorno al centro di torsione Ct, polo del momento
risultante della distribuzione di tensione tangenziale8. La necessità di questa distinzione sarà
giustificata nello studio delle tensioni dovute ai tagli, presentato nel paragrafo 7.8.

8In caso di condizione di sola torsione, e quindi di forza risultante nulla, la scelta della posizione del polo è ininfluente;
questa però risulta necessaria per tener conto anche della presenza delle forze di taglio.
Solido di St. Venant

Sezione rettangolare e sezioni a parete sottile aperte


Si consideri una sezione rettangolare di lati l e s, con l >> s e soggetta ad un
momento torcente Mt. Anche in questo caso, per rispettare la condizione di s
tensione tangenziale nulla sulla superficie laterale (scarica, ipotesi St.
Venant), le tensioni tangenziali in corrispondenza dei bordi devono essere
parallele ai bordi stessi. 0.3s
A causa della limitatezza della dimensione s è lecito assumere che le tensioni y
tangenziali dovute alla torsione siano, tranne che nelle zone vicine ai lati
τ yz
corti, tutte parallele al lato lungo (quindi del tipo τyz). Poiché esse devono
l
avere forza risultante nulla, mentre il momento risultante corrisponde al x
momento torcente, la loro distribuzione dovrà essere antisimmetrica rispetto
alla mezzeria della sezione (asse y).
0.3s
Si può dimostrare che il gradiente di torsione θ' in questo caso è dato da:
M
θ' = t
GJ t
dove il termine Jt vale:
1 3
Jt = ls
3
Si noti che Jt ha le dimensioni fisiche di un momento d’inerzia di area, ma la sua formula non
corrisponde a un momento per l’area rettangolare.
La distribuzione della tensione può essere considerata in prima approssimazione lineare rispetto a x
e costante rispetto a y, con valori di picco in corrispondenza dei lati maggiori pari a:
M
τ picco = ± t s
Jt
Nel caso in cui la sezione non sia sottile, cioè non sia più vero che l >> s, le espressioni precedenti
rimangono valide con buona approssimazione se si corregge la formula di Jt nel modo seguente:
1
J t = (l − 2 ⋅ 0.3s )s 3
3
Tale correzione corrisponde a eliminare una fascia di altezza 0.3s per ogni estremo del rettangolo,
in cui l’assunzione di tensioni parallele al lato maggiore cade in crisi; il confronto con la soluzione
esatta mostra che gli errori commessi utilizzando questa formula approssimata sono estremamente
ridotti (< 3%) in tutto il campo di variazione di l/s da 1 a ∞.
Per considerare sezioni sottili aventi il lato maggiore parallelo all'asse x si utilizzano formule
analoghe alle precedenti scambiando i ruoli di x con y (tensioni di tipo τxz , con picco in y = ± s/2).
In generale una sezione aperta a parete sottile (profilati a L, C, doppio T, ecc.) può essere trattata
come insieme di sezioni rettangolari che lavorano in parallelo contribuendo a sopportare
complessivamente il momento torcente Mt :
M t = ∑i M ti
La rotazione delle singole sezioni rettangolari deve essere la stessa, quindi
M t = ∑ i θ' GJ ti = θ' G ∑ i J ti = θ' GJ t
Il fattore Jt , corrispondente alla sezione completa è la somma di quelli relativi alle singole sezioni
rettangolari Jti :
J t = ∑ i J ti
In questi casi la correzione 0.3s viene eseguita eliminando gli estremi liberi, come mostrato in
figura.

Sezioni a parete sottile chiuse


Queste sezioni sono definite geometricamente da due linee
chiuse, una interna e una esterna; nel caso di spessore s
linea media
sottile, cioè piccolo rispetto alle dimensioni della sezione, è s
y
possibile una trattazione approssimata basata su un'analogia τ
con l'idrodinamica. Per la condizione di superficie laterale
scarica, come notato in precedenza per la sezione circolare,
in ogni punto dei bordi interno o esterno la tensione τ, x
risultante di τxz e τyz, deve essere tangente ai bordi stessi.
Poiché lo spessore è sottile possiamo assumere che τ sia
ovunque orientata come la tangente alla linea media della
parete.
Definiamo flusso della tensione τ, attraverso una corda di
lunghezza pari allo spessore s della parete, la quantità seguente:
t = ∫ τds
s

Si immagini che i profili interno ed esterno della sezione rappresentino due pareti impermeabili
attraverso le quali scorre un liquido incompressibile, con velocità v tangente alla linea media del
profilo. Se nella formula precedente invece della tensione τ si considera la velocità v, allora il
risultato dell'integrazione è la portata di liquido attraverso la corda; tale analogia è concettualmente
valida perché l'equazione di equilibrio che lega τxz e τyz è formalmente analoga alla condizione di
incompressibilità che lega vx e vy nel caso dell'idrodinamica. Per la proprietà di conservazione della
Solido di St. Venant

portata il flusso deve essere lo stesso attraverso una qualunque corda (congiungente il profilo
esterno e quello interno) considerata nella parete.
r r
Su un tratto infinitesimo di linea media avente lunghezza dl agisce la forza elementare t ⋅ dl , in
direzione tangente al profilo; poiché la linea si chiude su sé stessa si verifica che:
r r r
∫ t ⋅ d
l
l = t
l∫ =0
dl

Quindi la distribuzione di tensione considerata ha risultante nulla. Preso un polo generico O il


r
momento torcente elementare dovuto a t ⋅ dl , la cui retta d'azione è distante r da O, è pari a:
t ⋅ dl ⋅ r = 2t ⋅ dΩ
dove dΩ è l'area infinitesima del triangolo di altezza r e base dl. Integrando su tutta la lunghezza
della linea media si ottiene il momento torcente Mt:
M t = ∫ t ⋅ dl ⋅ r = 2t ∫ dΩ = 2tΩ
l l

Indipendentemente dalla scelta di O, Ω rappresenta l'area racchiusa dalla linea media del profilo
della sezione. Ciò è ovvio se O giace all'interno della sezione; se O è esterno alla linea media
l'affermazione è ancora vera perché l'area della zona OAB (doppiamente tratteggiata in figura) è
considerata due volte nell'integrazione: una quando si percorre la linea media da A a B, l'altra nel
percorso da B a A. I versi con cui tale area viene considerata sono opposti e quindi i relativi
contributi si elidono. Peraltro, poiché la risultante è nulla, la scelta del polo deve essere ininfluente.

dl

dΩ

A
B

O
Dalla formula precedente si esprime il flusso della tensione t in funzione del momento torcente Mt:
M
t= t
2Ω
Per calcolare la tensione τ si ammette che essa sia uniforme nello spessore della parete:
t Mt
τ= =
s 2 Ωs
Per il calcolo della rigidezza torsionale delle sezioni cave a parete sottile, si consideri la
deformazione di un tratto di solido di Saint Venant di lunghezza dz sollecitato dal momento torcente
(costante) Mt e le cui sezioni di estremità ruotano dell'angolo relativo dθ. L'energia di deformazione
elastica vale:
1
dE = M t dθ
2
La stessa energia di deformazione può essere calcolata a partire da tensioni e deformazioni:
1 1 τ2 1 t2 dl
2 ∫
dE = dz τγdA = dz
A 2 AG ∫
dA =
2G
dz τ 2 sdl =
l 2G
dz
∫ ∫
l s

L'ultimo passaggio è stato eseguito approssimando t = τs (costante lungo il profilo); l'integrale è


esteso alla linea media del profilo, di cui dl rappresenta un tratto infinitesimo e s lo spessore locale.
Eguagliando l'energia ottenuta nei due modi si ottiene:
t2 dl
M t dθ = dz ∫
G l s

Sostituendo a t l'espressione trovata in precedenza e ponendo anche in questo caso θ'=dθ/dz si


ottiene:
Mt dl Mt
θ' = ∫2
4Ω G l s
=
GJ t
Si è quindi ottenuta l'espressione per il modulo caratteristico della sezione Jt :
4Ω 2
Jt =
dl
∫l s
Di solito nei casi pratici lo spessore è costante in ognuna delle pareti da cui la sezione è composta e
la formula precedente assume la forma:
4Ω 2
Jt =
l
∑i si
i
dove la sommatoria è estesa su ognuna delle pareti di spessore uniforme si e lunghezza li .

7.8. Tensioni dovute ai tagli


Il comportamento della generica sezione del solido di Saint Venant sotto l'azione delle forze di
taglio Ty, Tx non può essere descritto in maniera semplice come nei casi di comportamento
estensionale o flessionale; in questa trattazione ci si limiterà a valutare l'andamento delle tensioni
tangenziali τyz, τxz che agiscono sulla sezione. Per semplificare l'analisi conviene studiare
separatamente il comportamento nei due piani yz e xz, il caso generale può essere risolto applicando
la sovrapposizione degli effetti.
Comportamento nel piano zy - taglio Ty

Si consideri un elemento infinitesimo del solido di Saint Venant compreso tra due sezioni distanti
dz. Mancando per ipotesi i carichi distribuiti, la forza di taglio Ty deve essere uguale sulle due
Solido di St. Venant

sezioni per garantire l'equilibrio alla traslazione verticale,


dz
invece il momento Mx passando da un estremo all'altro può Ty
subire un incremento infinitesimo dMx. y
Per l'equilibrio alla rotazione intorno a x possiamo scrivere: Mx Mx + dMx
− M x + M x + dM x − T y dz = 0 x z
Da essa si ottiene
Ty
dM x
Ty =
dz
Si è quindi mostrato che il taglio rappresenta, in ogni sezione del solido, la derivata del momento
flettente rispetto alla coordinata z della linea d'asse.

A* ∫A*σ dA
zz
dz
∫A*(σ +dσ )dA
zz zz

t yz t yz dz
c
y y
x
x z

Si consideri una parte A* di sezione, delimitata superiormente dal contorno e inferiormente da un


segmento, detto corda, parallelo a x; non conoscendo quale sia la distribuzione della tensione τyz si
definisce il suo flusso tyz attraverso la corda c nel modo seguente:
t yz = ∫ τ yz dx
c
Come verso positivo di tale flusso si assume quello entrante nell'area A*.
Imponendo l'equilibrio alla traslazione assiale della parte di materiale compresa tra le due aree A*
poste sulle sezioni distanti dz si scrive l'equazione:
− ∫ σ zz dA − t yz dz + ∫ (σ zz + dσ zz )dA = 0
A* A*
Semplificando e ricordando che il differenziale dσzz è dovuto alla sola variazione della coordinata z
si ottiene:
∂σ zz
t yz = ∫
dA
∂z A*

Avendo adottato un riferimento centrale principale la tensione σzz è data da


Mx
σ zz = y
J xx
Sostituendo nell'espressione di tyz si ottiene
∂ Mx  1 dM x
t yz = ∫  y dA = ⋅ ∫A* ydA
A* ∂z  J J xx dz
 xx 
L'ultimo integrale della formula precedente è semplicemente il momento statico rispetto a x
dell'area A*, indicando questo con Sx* e ricordando che la derivata del momento è pari al taglio si
può scrivere:
Ty S x *
t yz =
J xx

Comportamento nel piano zx - taglio Tx

Lo studio viene eseguito in maniera formalmente dz


analoga al caso precedente, semplicemente scambiando Tx
gli assi. In questo caso l'equilibrio alla rotazione
x
dell'elemento infinitesimo di solido di Saint Venant My My + dM y
porta all'equazione seguente: y z
− M y + M y + dM y + Tx dz = 0
Tx
Da essa si ottiene
dM y
Tx = −
dz
Anche in questo caso il taglio rappresenta la derivata rispetto a z del momento flettente (il segno “-“
è dovuto al differente verso positivo del momento).

∫A*σ dA
zz
dz
∫A*(σ +dσ )dA
zz zz

A* t xz
x
y
y z
x t xz
c

In questo caso si considera una parte A* di sezione delimitata dal contorno esterno e da una corda
parallela a y; non conoscendo quale sia la distribuzione della tensione τxz si definisce il suo flusso txz
attraverso la corda c:
t xz = ∫ τ xz dy
c
Il verso positivo del flusso è ancora quello entrante nell'area A*.
Imponendo l'equilibrio alla traslazione assiale della parte di materiale considerata si scrive
l'equazione:
− ∫ σ zz dA − t xz dz + ∫ (σ zz + dσ zz )dA = 0
A* A*
Semplificando e ricordando che il differenziale dσzz è dovuto alla sola variazione della coordinata z
si ottiene:
∂σ zz
t xz = ∫ dA
A* ∂z
Solido di St. Venant

In questo caso la tensione σzz è data da:


My
σ zz = − x
J yy
Sostituendo nell'espressione di txz si ottiene
∂  M y  1 dM y
t xz =

A* ∂z 

 J yy
x dA = −



J yy dz ∫ xdA
A*

L'ultimo integrale della formula precedente è il momento statico rispetto a y dell'area A*, indicando
questo con Sy* e ricordando che la derivata del momento è pari al taglio cambiato di segno si ricava:
Tx S y *
t xz =
J yy
Sezioni a parete sottile
Nelle costruzioni meccaniche è frequente l'uso di elementi la cui sezione è formata da pareti sottili,
cioè di spessore piccolo rispetto alle dimensioni della sezione. Esempi tipici sono costituiti dai
profilati a C, I, H, ecc. e dai longheroni dei veicoli.
s ξ
t
τ
linea media
y y
A*

x x

Analogamente al caso della torsione, per il rispetto della condizione di superficie laterale scarica in
ogni punto del contorno della sezione la tensione τ, risultante di τxz e τyz, deve agire in direzione
tangente al contorno stesso; ancora, poiché lo spessore è sottile, possiamo assumere che τ sia
ovunque orientata come la tangente alla linea media della parete.
Per il calcolo del flusso t dovuto ai tagli si assume una coordinata locale ξ (lungo la linea media del
profilo) che definisce la posizione della corda che stacca l'area A*; la corda non è parallela ad un
asse ma è normale alla linea media ed è quindi pari allo spessore locale s della parete. Come verso
positivo del flusso t (e quindi anche di τ) si assume quello entrante nell'area A*.
Grazie alla condizione di spessore piccolo possiamo assumere che la tensione sia uniforme
attraverso quest’ultimo, la si ottiene quindi dividendo il flusso per la corda s:
T y S x * Tx S y *
τ= +
sJ xx sJ yy
Per semplificare il calcolo delle caratteristiche geometriche della sezione (momenti statici e
d'inerzia) si considera che l'area sia concentrata nella linea media del profilo; come in precedenza, i
momenti statici Sx* e Sy* si riferiscono alla parte di sezione staccata dalla corda, i momenti d'inerzia
Jxx e Jyy si riferiscono all'intera sezione.

Esempi di calcolo delle tensioni dovute ai tagli

1. Sezione rettangolare sottoposta a taglio nella direzione del lato maggiore.


A* b

ξ
τ yz
ξ
y
a y A*
x +
a
x

+
b τxz

Nel caso in cui sia a > b e agisca il solo taglio Ty si calcola la tensione τyz dividendo il flusso
per la lunghezza b della corda:
t yz Ty S x * ba 3 a ξ
τ yz = = dove J xx = , S x * = ξb − 
b bJ xx 12  2 2
Tale relazione è esatta per b/a→0 in quanto assume che la tensione τyz sia distribuita
uniformemente lungo la corda; essa può quindi essere usata per un calcolo approssimato se il
rapporto b/a è piccolo rispetto all'unità. L'andamento della τyz è parabolico, il valore massimo
si presenta sulla corda che stacca metà sezione (ξ= a/2)e vale:
Ty ba 2 / 8 3Ty 3Ty
τ yz = 2 3 = =
b a / 12 2ba 2 A
Nel caso in cui sia b > a e agisca il solo taglio Tx si calcola la tensione τxz dividendo il flusso
per la lunghezza a della corda:
t xz Tx S y * ab 3 b ξ
τ xz = = dove J yy = , S y * = ξa − 
a aJ yy 12 2 2
Analogamente al caso precedente, la relazione è esatta per a/b→0 e può essere usata per un
calcolo approssimato se il rapporto a/b è piccolo rispetto all'unità. L'andamento della τyz è
ancora parabolico e il valore massimo, che si presenta sulla corda che stacca metà sezione (ξ=
b/2), vale:
Solido di St. Venant

Tx ab 2 / 8 3Tx 3Tx
τ xz = 2 3 = =
a b / 12 2ba 2 A
2. Sezione a parete sottile a C sottoposta a forze di taglio Tx e Ty.

s ξ1
1

ξ 2

y
y
h anima e
piattabande
x (o ali) x
s2

s1

b
ξ3

Le caratteristiche utili della sezione sono le seguenti:


2
h 3 s2 h 2 bs1 2 b  s1b 3 b 2 s1
J xx = + J yy = hs 2 e + 2bs1  − e  + dove e =
12 2 2  6 2bs1 + hs 2
Si consideri per primo il caso in cui agisca soltanto il taglio Ty. Per calcolare la tensione nella
piattabanda superiore conviene adottare la coordinata locale ξ1, misurata a partire dall'estremo
destro della piattabanda; il momento statico Sx* assume la forma:
h
S x * = ξ1 s1
2
La tensione τ (che in questa zona è del tipo τxz) cresce linearmente lungo la piattabanda; in
ξ1 = 0 si ha Sx* = 0 e τ = 0, il massimo è raggiunto per ξ1 = b in cui Sx* = bs1h/2 e
Ty S x * Ty bh
τ= =
s1 J xx 2 J xx
Per calcolare la tensione nell'anima conviene adottare la coordinata locale ξ2, misurata a
partire dall'estremo superiore dell'anima; il momento statico Sx* assume la forma:
h h ξ 
S x * = bs1 + ξ 2 s2  − 2 
2 2 2 
La tensione τ (che in questa zona è del tipo τyz) varia lungo l'anima con legge parabolica,
raggiungendo il massimo per ξ2 = h/2 in cui Sx* = bs1h/2 + s2h2/8 e
Ty S x * Ty  h s2 h 2 
τ= =  bs1 + 
s2 J xx s2 J xx  2 8 
In ξ2 = h, estremo inferiore dell'anima, il momento statico ritorna al valore Sx* = bs1h/2. Per il
calcolo della tensione nella piattabanda inferiore si adotta la coordinata locale ξ3, misurata a
partire dall'estremo sinistro della piattabanda; il momento statico Sx* assume la forma:
h h
S x * = bs1
− ξ 3 s1
2 2
La tensione τ (che in questa zona è del tipo τxz) decresce linearmente lungo la piattabanda;
parte dal valore massimo per ξ3 = 0 in cui Sx* = bs1h/2 e
Ty S x * Ty bh
τ= =
s1 J xx 2 J xx
mentre per ξ3 = b si ha Sx* = 0 e τ = 0.
Si consideri ora il caso in cui agisca soltanto il taglio Tx. Nella piattabanda superiore il
momento statico Sy* assume la forma:
 ξ  ξ2
S y * = ξ1 s1  b − e − 1  = s1 (b − e)ξ1 − s1 1
 2 2
La tensione τ (che in questa zona è del tipo τxz) varia con legge parabolica lungo la
piattabanda; per ξ1 = 0 si ha Sy* = 0 e τ = 0, il massimo è raggiunto per ξ1 = b-e (in
corrispondenza dell'asse y) in cui Sy* = s1(b-e)2/2 e
Tx S y * Tx (b − e )2
τ= = ⋅
s1 J yy J yy 2
All'estremo sinistro della piattabanda ξ1 = b si ha Sy* = bs1(b/2-e) e la tensione vale:
Tx S y * Tx  b 
τ= = b − e 
s1 J yy J yy  2 
Nell'anima il momento statico Sy* assume la forma:
b 
S y * = bs1  − e  − ξ 2 s2 e
2 
La tensione τ (che in questa zona è del tipo τyz) varia lungo l'anima con legge lineare;
nell'estremo superiore ξ2 = 0 si ha Sy* = bs1(b/2-e) e
Tx S y * T b 
τ= = x bs1  − e 
s 2 J yy s 2 J yy 2 
Per ξ2 = h/2 (in corrispondenza dell'asse x), il momento statico assume valore nullo:
b  h b 2 s1 e
S y * = bs1  − e  − s 2 e = − (s 2 h + 2s1b )
2  2 2 2
b 2 s1 b 2 s1
= − (s2 h + 2s1b ) = 0
2 2(s 2 h + 2 s1b )
Nell'estremo inferiore dell'anima ξ2 = h, il momento statico assume il valore
S y * = bs1 (b 2 − e ) − hs2 e = bs1 (b 2 − e) − 2bs1 (b 2 − e) = −bs1 (b 2 − e) e quindi la tensione vale:
Tx S y * T b 
τ= = − x bs1  − e 
s 2 J yy s 2 J yy 2 
Nella piattabanda inferiore il momento statico Sy* assume la forma:
b  ξ 
S y * = −bs1  − e  + ξ 3 s1  3 − e 
2   2 
Solido di St. Venant

La tensione τ (che in questa zona è del tipo τxz) varia lungo la piattabanda inferiore con legge
parabolica; all'estremo sinistro ξ3 = 0 si ha Sy* = -bs1(b/2-e) e quindi la tensione vale:
Tx S y * T b 
τ= = − x b − e 
s1 J yy J yy  2 
Il minimo della parabola è raggiunto per ξ3 = e (asse y) in cui Sy* = -s1(b-e)2/2 e
Tx S y * Tx (b − e )2
τ= =− ⋅
s1 J yy J yy 2
mentre per ξ3 = b si ha Sy* = 0 e τ = 0.
2
Taglio T y Taglio T x T x (b-e)
Tx b
T y bh b ( -e) 2 Jyy
J yy 2
2 J xx + +
Ty bs1h s2h 2 +
( 8 )
+ Tx b
s2 Jyy 1 ( 2 )
s2 Jxx 2 bs -e
y y

+ x x
Tx 2
-
b
b ( -e ) - T (b-e)
J yy 2 - x
2 Jyy
-
T y bh Tx b
s2 Jyy 1 ( 2 )
2 J xx + - bs -e

Le frecce indicano il verso convenzionale assunto per la τ (flusso entrante in A* attraverso la


corda), come al solito il segno di quest'ultima determina il verso in cui essa effettivamente
agisce.
3. Sezione a parete sottile a doppio T sottoposta a forze di taglio Ty e Tx.
y s1 ξ1 ξ1
y

ξ2

h
s2 x x

s1

b ξ3 ξ3
Con procedimento analogo a quello impiegato per la sezione a C si ottengono gli andamenti
della tensione tangenziale illustrati nelle figure seguenti.
2
Taglio Ty Ty bh Taglio Tx Tx b
y y
4 J 8 J yy
xx
+ +

Inversione di
segno dovuta
+ alla convenzione
x sul verso di τ x


+ +
2
Ty bs1h 2 Ty bh Tx b
s2h
( + ) 4 J xx 8 J yy
s2 Jxx 2 8

In conclusione di questi esempi, si fa notare che ciascuna componente di taglio Tx o Ty può causare
entrambe le tensioni tangenziali τxz, τyz; i valori massimi (in modulo) di tensione si raggiungono
dove il profilo interseca l'asse normale a quello in direzione del quale agisce il taglio.

Centro di taglio o di torsione


Si consideri la sezione a C per la quale si è ricavato l'andamento della tensione tangenziale τ (τxz,,
τyz) corrispondente all'applicazione dei tagli Tx, Ty.
Se agisce solo il taglio Ty si è trovato che la distribuzione delle τ ha andamento lineare nelle
piattabande e parabolico nell'anima.

T y bh s1
2 J xx +
Fx

g y
y Ty Fy
e
h
+ x Ct s2 x

s
1

Ty bh Fx
+
2 J xx b
Solido di St. Venant

La distribuzione di tensione in ciascuna piattabanda può essere sostituita da una forza Fy applicata
sulla linea media e pari al semiprodotto del valore massimo di τ assunto dalla distribuzione
triangolare per l'area della piattabanda stessa:
1 T y bh T y b 2 hs1
Fx = bs1 =
2 2 J xx 4 J xx
Le tensioni τ nell'anima possono essere sostituite da una forza verticale Fy applicata sulla linea
media dell'anima stessa e pari al taglio:
Fy = T y
Al sistema di forze formato dalle due componenti Fx e dalla Fy deve essere equivalente il solo taglio
Ty applicato su una retta d'azione (asse centrale) la cui posizione g rispetto al riferimento xy si trova
imponendo l'eguaglianza dei momenti:
T y g = Fy e + Fx h
Sostituendo a Fx e Fy le loro espressioni in funzione di Ty si ottiene:
b 2 h 2 s1 b
g =e+ =e+
4 J xx 2 + hs 2 / 3bs1
Se agisce solo il taglio Tx l'andamento delle τ è parabolico nelle ali e lineare nell'anima; la
distribuzione delle tensioni è simmetrica rispetto a x e quindi la loro risultante, pari a Tx , è applicata
sull'asse x.
Il punto Ct di coordinate (-g,0) costituisce il “centro di taglio” della sezione; per tale punto devono
infatti passare i tagli Tx, Ty affinché nella sezione si abbiano le distribuzioni di tensioni τ
corrispondenti alle condizioni di taglio puro. Di conseguenza, se la retta d'azione della risultante T
dei tagli dista da tale punto del valore (eccentricità) ec si producono nella sezione anche delle
sollecitazioni aggiuntive dovute al momento torcente Mt pari a:
M t = Te c dove T = Tx2 + T y2
Il punto Ct coincide con il centro di torsione della sezione (visto al paragrafo 7.7) intorno al quale la
sezione ruota per effetto del momento torcente.
Con procedimento analogo a quello qui mostrato nel caso della sezione a C il centro di taglio può
essere determinato per una generica sezione. Per alcuni casi particolari, ma di notevole interesse
pratico, il centro di taglio coincide col baricentro della sezione; ad esempio ciò si verifica nel caso
di sezione doppiamente simmetrica (rettangolare, circolare, a I, ecc.).

7.9. Tensioni principali e ipotesi di cedimento


Per le ipotesi effettuate, il tensore della tensione agente in un qualsiasi punto di una sezione del
solido di Saint Venant assume la forma seguente:
0 0 τ xz 
 
0 0 τ yz 
τ xz τ yz σ zz 

Note le componenti di tensione σzz, τxz, τyz, calcolabili utilizzando le formule presentate nei
paragrafi 7.1÷7.8, si possono calcolare le tensioni principali come autovalori del tensore:
0 − λ 0 τ xz 
 
det  0 0−λ τ yz  = 0
 τ xz τ yz σ zz − λ 

Sviluppando il determinante si ottiene
[ ] [ ]
(− λ ) − λ (σ zz − λ ) − τ 2yz + τ xz [− τ xz (− λ )] = −λ − λ (σ zz − λ ) − τ 2xz − τ 2yz = 0
Si ricava immediatamente che una tensione principale è sempre nulla, cioè i punti del solido si
trovano in condizioni di tensione piana, le due rimanenti tensioni principali si ottengono come
radici del polinomio di secondo grado:
(
λ2 − σ zz λ − τ 2xz + τ 2yz = 0 )
2
σ σ 
(
λ = zz ±  zz  + τ 2xz + τ 2yz
2
)
 2 
Si riscontra quindi che una radice è sempre positiva e l'altra negativa, le tre tensioni principali sono:
2 2
σ σ 
σ1 = zz +  zz  + τ 2xz + τ 2yz
2
( ) σ2 = 0
σ σ 
(
σ3 = zz −  zz  + τ 2xz + τ 2yz )
 2  2  2 
Nel caso in cui entrambe le componenti tangenziali τxz, τyz siano nulle anche una delle radici del
polinomio di secondo grado è nulla; il punto si trova in condizione di tensione monoassiale (ciò che
si verifica nel caso di comportamento estensionale e/o flessionale, in assenza di torsione o taglio).
Per comodità le tensioni tangenziali τxz, τyz possono essere sostituite da un’unica componente τ, di
cui il modulo e l'orientazione sono determinate calcolando la risultante delle forze elementari:
dF x = τ xz dA , dF y = τ yz dA
La risultante infinitesima vale y
dF = τdA dFy dF
dove
τ 2 = τ 2xz + τ 2yz
dFx
La direzione principale relativa a σ2=0 è data dalla dA
direzione
retta contenuta nel piano xy e perpendicolare alla principale 2
direzione di τ. di tensione

Le tensioni principali possono essere quindi scritte x


nella forma più compatta:
2 2
σ σ  σ σ 
σ1 = zz +  zz  + τ 2 σ2 = 0 σ3 = zz −  zz  + τ 2
2  2  2  2 
I cerchi di Mohr per un punto qualsiasi di una sezione del solido di Saint Venant assumono la forma
mostrata in figura. E' possibile tracciare direttamente i cerchi (senza aver determinato
preliminarmente le tensioni principali) in quanto si conoscono le componenti di tensione su due
Solido di St. Venant

piani perpendicolari tra di loro e appartenenti al fascio che ha in comune la direzione principale 2. Il
primo piano è quello della sezione del solido (piano xy) su cui agiscono le componenti (σzz , τ), il
secondo piano è parallelo a z e su esso agisce la sola τ. Si hanno quindi gli elementi per costruire il
cerchio passante per σ1 , σ3 ; i cerchi rimanenti vengono tracciati ricordando che σ2=0.
τ

(0,τ)
τmax

σ3 σ2=0 σ1 σ

(σzz,−τ)

Come già mostrato in precedenza, la massima tensione tangenziale agisce su un piano del fascio
avente in comune la direzione principale 2 ed è pari al raggio del cerchio passante per σ1 , σ3 :
2
σ 
τ max =  zz  + τ 2
 2 
Utilizzando questi risultati si possono calcolare le tensioni ideali, le cui formule sono state ottenute
al par. 4.2 in funzione delle tensioni principali, direttamente in termini di σzz e τ.
Materiali fragili
2
σ zz σ 
Ipotesi della massima tensione normale: σid = σ1 = +  zz  + τ 2
2  2 
Materiali duttili
Ipotesi della massima tensione tangenziale: σ id = σ1 − σ 3 = σ 2zz + 4τ 2

Ipotesi dell'energia di distorsione: 2


σ id =
1
2
[ ]
(σ1 − 0 )2 + (0 − σ 3 )2 + (σ1 − σ 3 )2 = σ12 + σ 32 − σ1σ 3
2
σ σ 
Ponendo, per semplicità di notazione, a = zz , b =  zz  + τ 2 , si ottiene l'espressione:
2  2 
2  σ  2 
 σ zz 
= (a + b ) + (a − b ) − (a + b )(a − b ) = a + 3b = 
2 2 2 2 2 2 2 2
σ id  + 3 zz  + τ  = σ zz + 3τ
 2   2  
Si ricava quindi: σ id = σ 2zz + 3τ 2

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