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Virgolette sadiche
1.
Voglio essere sincero. Non sono sicuro che il titolo
scelto sia quello adatto. Mi ero proposto di usare una
citazione che mi sembrava (e mi pare) molto
intelligente. Ricavata da un recente libretto di
Giampaolo Dossena, pagina dieci. Cioè all’inizio. E se
dici inizio per un libro, significa che il lettore è ancora lì
a bocca aperta per gustarsi quelle pagine. Anche per i
libri che poi non piacciono e si accantonano perché si
arriva soltanto alle prime dieci o quindici pagine.
Dossena comincia il vero libro («cose» sue e non indici,
apparati, dediche o quant’altro), soltanto a pagina
sette. La otto è bianca, quindi la citazione di cui ho
detto è in effetti alla pagina tre delle «cose» di
Dossena. Quando l’ho letto ero nello stato d’animo
vergine che si ha con un libro appena iniziato. Oltretutto
con la voluttà d’incontrare nuovamente uno scrittore
che apprezzi a prescindere. Altrimenti non avresti
neanche speso dieci euro per 110 fogli in gran parte
bianchi. Perché gli editori, si sa, con poco fanno molto.
Ma poi le pagine di questo libro sono annotazioni molto
stitiche anche se divertenti. Le apprezzo perché
divertenti. Se dicessi che sono soprattutto stitiche farei
la figura del tirchio che si lamenta di aver pagato dieci
euro per un totale di sole 82 pagine filate di testo. Più
una nota di nove righe che riempie tutto un foglio di
carta. Quasi tredici centesimi a facciata.
2.
Dunque alla terza pagina reale del libro di Dossena, c’è
un passo che ha attirato l’attenzione, svegliando ricordi
personali. Quando ci ho ripensato ed ho progettato di
stenderli, l’avevo accettato come titolo.
Quel passo dice che i collezionisti di pennini sono sadici.
Poi mi sono detto: cosa vuoi che interessi un titolo
come: «I collezionisti di pennini sono sadici»?
Siccome poi la frase non è un mio brevetto, ma
ricopiata da un vero scrittore e da un vero libro (quello
che sto scrivendo non lo è ancora e non so nemmeno se
mai lo diventerà perché come si sa tra il dire ed il fare
c’è di mezzo il mare), per questo fatto avrei dovuto
usare le virgolette.
Per cui adesso, citandolo qui come progetto, dovrei
usare le doppie virgolette perché si usa così. Infatti se
l’idea fosse stata mia, avrei dovuto e potuto scrivere
semplicemente come ho fatto sopra «I collezionisti di
pennini sono sadici». E magari avrei indotto in
tentazione qualcuno a pensare: ma guarda che idea
geniale, si deve trattare senz’altro di un trattato
scientifico. Ma poi esaminando nome e cognome
dell’autore sarebbero sorti i primi dubbi, forse si tratta
di un caso di omonimia. Come mi diceva mia madre: di
gente che si chiama come te, ce n’è più che nella litanie
dei santi. Ed io ho appurato che esiste anche un illustre
studioso che è un abate di qualche ordine religioso, ma
che credo sia poco conosciuto per cui nessuno avrebbe
avuto il dubbio che a scriverlo fosse stato lui, un libro
che correttamente avrebbe dovuto intitolarsi «“I
collezionisti di pennini sono sadici”».
Dove le virgolette alte (o inglesi) stanno ad indicare che
è appunto una citazione quanto introdotto dalle
virgolette basse o francesi, come dicono gli addetti ai
lavori. Forse come dicevano, perché credo che
diminuisca il numero degli addetti ai lavori che
conoscono le cose di cui parlano.
L’altra settimana in un quotidiano locale, una fanciulla
ha scritto: «… per distinguere il grano dall’olio»,
ignorando che l’olio è una cosa che si usa non sul grano
ma sulla pasta o sul pane ricavati da quel grano, e che
il loglio è tutt’altra faccenda, quella che va strappata
dai campo di grano, essendo un’erbaccia. Mentre un
assessore alla Cultura (non esageriamo: alla cultura) ha
parlato dei «pizzini» di Alfredo Panzini, anziché di
foglietti di appunti, come se si fosse trattato di un
mafioso siciliano in piena regola e non di un illustre
letterato romagnolo. Ma tant’è.
3.
Il ragionamento su virgolette basse ed alte potrebbe
indurre qualcuno a fraintendere. E ritenere che quelle
basse sono oscene: perché alludono ad argomenti
volgari. Come succede ad esempio con i calzoni a vita
bassa. Che davanti arrivano appena all’orlo
dell’indicibile. E dietro scorrono a rivelare l’osso sacro
che profanamente introduce alla divisione delle due
parti corporee volgarmente dette chiappe.
Posso garantirlo e persino giurarlo. Le virgolette basse
una volta erano le più usate. Non perché ci si arrivasse
meglio pure dalle persone culturalmente meno alte. Ma
perché usava così. Adesso per colpa dei programmi dei
computer, che hanno quasi sempre origine nel mondo
anglosassone, tu apri un libro e trovi che non c’è
nemmeno una virgoletta bassa (o «francese»), ma tutte
sono alte (appunto le «inglesi»).
Per cui succede il classico casino, quando si debbono
fare delle citazioni dentro le citazioni, come sarebbe nel
mio titolo: «“I collezionisti di pennini sono sadici”».
Titolo che alla fine risulterebbe scritto da quei computer
in maniera ridicola, se fosse citato da qualcuno che
usasse un programma anglosassone, ed apparirebbe
come ““I collezionisti di pennini sono sadici””. Il che
sarebbe fonte di disprezzo intellettuale ancora prima di
affacciarsi alla prima pagina.
Una soluzione ci sarebbe, usare il classico corsivo dei
titoli dove basterebbe una coppia di virgolette, francesi
od inglese fa lo stesso, ma oggi chi sa che cos’è il
corsivo (detto anche stile italico)?
4.
Nella prima pagina sarei costretto a mettere una
premessa, appunto per spiegare che le parole di
Dossena: «I collezionisti di pennini sono sadici»,
diventando titolo di questo libro, obbligatoriamente
diventavano pur anche una citazione. Per cui la
citazione corretta del titolo se dovesse a qualcuno
capitare di farla chissà per quale motivo, probabilmente
per sputtanarlo, sarebbe questa: «“I collezionisti di
pennini sono sadici”». Aggiungendo che se avessero
trovato scritto ““I collezionisti di pennini sono sadici””,
si sarebbe trattato di un errore dovuto ai computer dei
compositori moderni ed ultrapiatti (come gli schermi dei
televisori) che quando impaginano un libro scritto
correttamente lo vanno a rovinare perché non hanno
impostato composizione e sillabazione in modalità
italiana.
E questo aspetto della sillabazione all’inglese crea veri
e propri errori per cui il lettore legge «esame di
cos/cienza» (dove il segno «/» indica l’andare a capo o
daccapo), mentre la sillabazione italiana dà
correttamente «esame di co/scienza».
Ma se queste cose il lettore non le sa, dà la colpa
all’autore e pensa che lui (l’autore) sia un ignorante,
mentre ignorante è il lettore, ma questo non si può dire
perché se ha comperato il libro va rispettato, punto e
basta.
5.
Insomma sinora ho scritto quasi settemila battute spazi
compresi per spiegare quello che non c’è, quindi senza
combinare nulla. È ora che arrivi ad una conclusione
cioè ad un principio del discorso. Una conclusione
qualsiasi, tanto quella che si legge non si può
immaginare migliore o peggiore di una che non c’è,
nero su bianco.
Ho deciso di lasciare perdere la frase di Dossena sui
collezionisti di pennini (a suo dire) sadici, per la storia
delle virgolette. Le quali, a quel punto, erano diventate
le protagoniste del mio discorso (come dovrebbe
apparire da quanto ho masticato sin qui).
Il fulmine della genialità (se è permesso l’ardire) mi ha
suggerito di mettere le virgolette non dentro il titolo
(altrui), ma come protagoniste assolute. Cioè come se
fossero loro una Maria Callas od un Vittorio Gassman
che appaiono sulla scena, mentre la citazione potrebbe
essere interpretata come una copia diversa
dall’originale, un semplice imitatore che fa il verso
all’attore o alla cantante.
A proposito di fulmine della genialità temo che la frase
possa suggerire a qualcuno il commento: che il fulmine
ti fulmini con la tua genialità e tutto. Grazie comunque
lo stesso. Sperando che l’augurio non si avveri.
6.
Però, per onestà, ho voluto che si conservasse traccia di
tutto il preludio su Dossena. O per meglio dire tutto il
travaglio provocato dalla frase di Dossena alla pagina
dieci del suo libretto. Anche perché sarebbe stato più
logico tagliare quanto avevo scritto sin qui e partire da
zero, facendo finta di niente. E tutta la fatica fatta dove
sarebbe andata a finire?
Il lettore deve sapere che una seconda scelta mi aveva
portato verso un altro titolo diverso da quello che
appare, «Tra virgolette». L’ho accettato ed amato per
varie settimane. Poi mi sono convinto che era traditore,
che poteva trarre in inganno. Cioè suonava minaccioso
come se poi all’interno (o sotto) quel titolo fossero
soltanto apparse cose altrui che riportavo appunto tra
virgolette.
Fu così che scelsi «Virgolette sadiche» che buttato là
senza avvertenza non è che dica granché, ma il bello
dovrebbe stare nel gioco da fare per spiegare tutto
quello che in esso c’è di misterioso e nascosto, oltre a
quello che non c’è. Di tutto ciò siamo fiduciosi nel
sèguito dell’impresa perché per il momento non osiamo
dire.
Infatti, mi sono posto il problema di educazione di
spiegare il titolo al lettore, senza stare lì a fare la solfa
di Dossena, dei collezionisti di pennini e del loro
presunto sadismo. Sul quale aspetto comunque sarebbe
utile per il bene dell’umanità soffermarsi in una sede
non così terra terra come questa, dove non posso
scomodare trattati di psichiatria o di psicologia
criminale, sperando che si dica così, bisognerà che
m’informi, conosco degli avvocati e dei medici.
7.
Meglio fidarsi dei primi o dei secondi? Chi conosce
meglio l’animo umano? Ci vorrebbe un filosofo. Ma non
ho amici tra i filosofi. Ne vedo passare qualcuno per la
strada. Lui dice in giro di essere filosofo, ma non è che
sia come per i preti. Uno è prete e basta. Lo sanno tutti
per mille motivi, anche quelli che non praticano le
chiese. Per i filosofi è diverso: non celebrano, non sono
consacrati, l’ordinazione è per loro un rito da rifiutare se
sono liberi pensatori, o da nascondere se sono affiliati a
qualche setta o ad un partito come erano una volta ed
allora si facevano chiamare ideologi. Ma oggi che le
ideologie sono morte, sono forse sopravvissuti gli
ideologi? Ho motivo di pensare che non sono bene
informato.
Per esperienza personale, come conoscitori dell’animo
umano scarterei sia i medici sia gli avvocati.
Ma se poi comincio a porre domande io, non finiscono
più di farmene loro, e perché e percome, per cui va a
finire che il medico o l’avvocato sospettano (guai se
tutti due assieme) che con quella domanda mi confessi
autore di atti di sadismo mediante l’uso di pennini, per
cui è meglio restare nel dubbio, non chiedere nulla.
Perché mi è già successo da ragazzo che ho chiesto
dov’era l’appendice, per la verità avevo detto
l’appendicite, e tac il dottore aveva sospettato che io
sospettassi di avere l’appendicite per l’appendice
infiammata, mentre era semplicemente un dubbio che
mi era venuto perché sapevo dov’era l’appendice, ma
non ne ero del tutto convinto per motivi che
sinceramente ora non saprei spiegare (turbe
adolescenziali, definizione che va bene per tutto come
dimostrano gli esperti cha appaiono in tivù).
29.09.2007, 10:34