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INSIEMI E FUNZIONI
1.1 Insiemi
Una delle fondamentali attivit`a del pensiero umano `e quella di formare insiemi: essa
consiste nel raggruppare gli oggetti che quotidianamente cadono sotto la nostra attenzione,
a seconda delle loro propriet`a o a seconda delle relazioni che intercorrono fra di essi.
Intuitivamente, dunque, un insieme `e un recipiente ideale contenente degli oggetti,
detti elementi dellinsieme. Per esempio:
Gli elementi di un insieme possono essere, alcuni o tutti, a loro volta insiemi. E il caso
dellinsieme (8); infatti una circonferenza pu`o essere a sua volta pensata come linsieme
di tutti i punti di un piano che hanno una distanza prefissata (il raggio) da un punto
prefissato (il centro).
Indicheremo solitamente gli insiemi con lettere (latine o greche) maiuscole come A,
B, C,. . . , A, B, C,. . . , , , ,. . . , mentre useremo lettere minuscole come a, b, c,. . . ,
, , ,. . . per indicare gli elementi di un insieme. Naturalmente non potremo sempre
osservare tale convenzione, specie quando si tratta di insiemi i cui elementi sono a loro
volta insiemi. In ogni caso la scelta di un particolare simbolo per indicare un insieme (o
un qualunque oggetto matematico) `e dettata essenzialmente da motivi di opportunit`a o
di consuetudine.
1
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 2
Principio di Uguaglianza per gli Insiemi: Due insiemi A, B sono uguali se, e solo
se, essi hanno gli stessi elementi, cio`e se, e solo se, da a A segue a B e da a B segue
a A. Si indica ci`o scrivendo A = B.
In base a tale principio due insiemi A, B sono distinti (scriviamo A 6= B) se, e solo
se, esiste almeno un elemento di A che non appartiene a B oppure un elemento di B che
non appartiene ad A (in questo caso la congiunzione oppure non `e avversativa, perch`e,
com`e evidente, non dobbiamo escludere che si verifichino tutte e due le condizioni).
Un insieme A si dice vuoto se non ha elementi, ossia se per ogni oggetto a risulta
a 6 A. Se due insiemi A, B sono vuoti allora necessariamente A = B. Infatti, se cos` non
fosse, per il Principio di Uguaglianza per gli Insiemi vi sarebbe un elemento a A tale
che a 6 B, oppure un elemento b B tale che b 6 A, quindi almeno uno degli insiemi
A, B non sarebbe vuoto in contrasto con lipotesi. Lunico insieme vuoto si indica con il
simbolo .
Consideriamo gli insiemi dati negli esempi allinizio di questa sezione e indichiamoli
rispettivamente con A1 , A2 , . . . , A8 . Osserviamo che nellassegnare tali insiemi abbiamo
seguito due distinte modalit`a. La prima consiste nellelencare esplicitamente gli elementi
dellinsieme in questione, come nel caso degli insiemi A1 , A2 , A7 ; linsieme viene allora
indicato scrivendo i simboli che denotano i suoi elementi, racchiudendoli fra due parentesi
graffe, come per esempio:
A1 = {1, 35, 4, 2, 5, 2},
A2 = {a, e, i, o, u},
A7 = {2, 4},
Si dice allora che si `e data la rappresentazione tabulare dellinsieme. Si noti che,
come conseguenza del Principio di Uguaglianza degli Insiemi, lordine nel quale vengono
scritti gli elementi `e irrilevante, come pure la ripetizione di un singolo elemento; per
esempio gli insiemi {2, 2, 1, 35, 5, 4} e {2, 1, 35, 2, 1, 5, 4, 35} coincidono con linsieme
A1 . A volte si scrive una rappresentazione tabulare di un insieme indicando solo alcuni
dei suoi elementi, risultando chiari dal contesto i rimanenti; `e il caso di A6 . La seconda
modalit`a consiste nellenunciare una certa propriet`a la quale, automaticamente, individua
linsieme di tutti gli oggetti che la verificano (come per gli insiemi A3 , A4 , A5 , A8 ). Su
questo punto torneremo nella prossima sezione.
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 3
Mentre la teoria degli insiemi fornisce alla Matematica il linguaggio, i numeri costitu-
iscono per essa gli ingredienti di base. In realt`a si sa da oltre un secolo che i numeri stessi
possono essere definiti usando unicamente il linguaggio insiemistico, addirittura assumen-
do solamente lesistenza dellinsieme vuoto e imponendo pochi postulati generali sugli
insiemi. Anche se lesporre in modo completo ed organico questa teoria esula dai nostri
scopi, nelle Sezioni 1.4, 1.6 e 2.6 noi forniremo dei concetti di base sui principali insiemi
di numeri. Tuttavia, al solo scopo di avere sottomano degli esempi concreti dei concetti
che andiamo esponendo, anticipiamo qui appresso lingresso di tali insiemi, designandoli
con i simboli che vengono usati ormai universalmente:
Esercizio 1.1.2. Di ciascuna delle seguenti affermazioni stabilire quale `e vera e quale `e
falsa, spiegando con precisione il motivo (attenzione: qui e nel seguito, salvo diversamente
specificato, il simbolo 0 indica il numero zero , da distinguere dalla lettera O):
a) 0 {}; b) {, 1}; c) ; d) {}; e) 0 {{0}}; f) {x, {}}; g) {};
h) {x, {}} = {x, }; i) {, } = {, {}}; j) {{2, 4, 2}} = {2, 4, 2}.
(il motivo delluso della seconda notazione apparir`a chiaro nel seguito).
Esempi 1.1.4. Risulta P() = {}. Se A = {x}, B = {a, b, c}, C = {4, 9}, al-
lora P(A) = {{x}, }, P(B) = {{a}, {b}, {c}, {a, b}, {a, c}, {b, c}, {a, b, c}, }, P(C) =
{{4}, {9}, {4, 9}, }.
Esercizio 1.1.5. Trovare linsieme delle parti di ciascuno dei seguenti insiemi:
a) {3, 6, 2, 3}; b) {{2}}; c) {, {2, 1}}; d) {}; e) P(); f) P(P()).
Naturalmente le (1.2.1), (1.2.2) sono vere, mentre le (1.2.3), (1.2.4) sono false. In Matema-
tica si dichiarano molti enunciati che non riguardano oggetti specifici, come ad esempio:
x `e un elemento di Y
A V V F F
B V F V F
AB V F F F
A V V F F
B V F V F
AB V V V F
A V V F F
B V F V F
A B V F F V
a) ((A)) A,
b) (A = B) ((A) B),
c) ((A B)) ((A) (B)),
d) ((A B)) ((A) (B)),
e) (A = B) ((B) = (A)),
f) ((A = B) (B = C)) = (A = C),
g) (A B) ((A) (B)),
h) A (B C)) (A B) (A C),
i) A (B C)) (A B) (A C).
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 7
Esercizio 1.2.2. Utilizzando i connettivi logici introdotti, esprimere in formule gli enun-
ciati seguenti:
il simbolo significa appunto per ogni . La propriet`a esiste un x A tale che P (x) `e
vera si usa abbreviare con
il simbolo significa esiste qualche , per qualche , per almeno un , mentre la sbarra
verticale | abbrevia la locuzione tale che . E estremamente importante notare che le
(1.2.6), (1.2.7) sono propriet`a dellinsieme A e non di x; in altre parole dipende da A se
esse sono vere o false, mentre non ha alcun senso chiedersi se esse sono vere o false per un
particolare elemento x. In tali propriet`a la lettera x funge da variabile e, chiaramente, essa
pu`o essere sostituita da qualunque altra lettera; cos` (y A)P (y) e (y A)P (y) hanno
lo stesso significato delle (1.2.6) e (1.2.7) rispettivamente. La negazione della propriet`a
(x A)P (x), ossia la propriet`a non `e vero che per ogni x A P (x) `e vera equivale
evidentemente alla propriet`a esiste un x A tale che P (x) non `e vera . Analogamente,
la negazione della propriet`a (x A)P (x) equivale alla propriet`a per ogni x A, P (x)
non `e vera . Dunque possiamo scrivere in formule:
Queste si leggono linsieme di tutti gli x A tali che P (x) `e vera oppure linsieme
degli x tali che x A e P (x) `e vera . Spesso, quando dal contesto risulta chiaro qual`e
linsieme A, linsieme di cui sopra si indica semplicemente con {x | P (x)}. Dato un
insieme B, se A `e un insieme contenente B e P (x) `e una propriet`a tale che
B = {x A | P (x)},
Lavvertenza che abbiamo dato nella sezione precedente a proposito delluso in mate-
matica della congiunzione oppure comporta, in particolare, che laffermazione x AB
equivale ad affermare che x A oppure x B oppure ambedue le condizioni.
Esempi 1.3.2. a) Se A = {a, e, i, o, u, 31, 5} e B = {a, 5, 3, b, c, o, u}, allora A B =
{a, i, o, u, b, c, 31, 5, 3}.
b) Se A `e linsieme degli interi multipli di due e B `e linsieme degli interi multipli di
tre, A B `e linsieme degli interi multipli di due, oppure di tre.
c) Sia A linsieme di tutti gli intervalli aperti a sinistra di Q+ (gli elementi di A sono
coi`e gli insiemi della forma ]a, b] =S {x Q | a < x < b}, al variare di a, b in Q con la
condizione che 0 6 a 6 b). Allora A = Q+ .
Definizione 1.3.3. Dati due insiemi A, B, linsieme degli elementi che appartengono ad
A e a B si chiama lintersezione di A e B e si indica con A B. In formule:
A B = { x | (x A) (x B) }.
In generale, se A `e un insieme di insiemi, si chiama lintersezione
T di A linsieme degli
elementi
T T a tutti i membri di A; esso si indica con {A | A A}, oppure
che appartengono
AA A, o brevemente A. In formule:
\
A = { x | (A A)(x A) }.
Dr := {(x, y) R2 | x2 + y 2 6 r2 }.
Allora risulta {R2 Dr = {(x, y) R2 | x2 + y 2 > r2 }, cio`e {R2 Dr `e linsieme dei punti di R2
che hanno distanza dallorigine maggiore di r.
A B = B A, A B = B A,
(A B) C = A (B C), (A B) C = A (B C), (1.3.1)
A A = A, A A = A,
A (B C) = (A B) (A C), A (B C) = (A B) (A C), (1.3.2)
A = A, A U = A,
A A B, B A B, A A B, B A B,
(A C) (B C) (A B C), (A C) (B C) (A B C),
(A B)0 = A0 B 0 , (A B)0 = A0 B 0 . (1.3.3)
A (B C) (A B) (A C). (1.3.4)
A (B C) (A B) (A C). (1.3.5)
Dalle due inclusioni (1.3.4) e (1.3.5) segue appunto la prima delle (1.3.2).
Proviamo la prima delle (1.3.3). Dire che x (A B)0 equivale a dire che x U e
x 6 A B, cio`e x A0 e x B 0 , ossia x A0 B 0 . Dunque (A B)0 e A0 B 0 hanno gli
stessi elementi e quindi sono uguali.
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 11
Definizione
S 1.3.10. Un insieme A di parti di un insieme U si chiama un ricoprimento
di U se A = U , cio`e se per ogni x U risulta x A per almeno un A A. Si dice che
A `e una partizione di U se valgono le seguenti condizioni:
(1) A `e un ricoprimento di U ,
(3) se A, B A e A 6= B, allora A B = .
Esercizio 1.3.12. Per ogni numero reale r > 0 si considerino i complementari Cr0 e Dr0 di
Cr e Dr rispetto al piano R2 . Posto C 0 = {Cr0 | r R+ } e D0 = {Dr0 | r R+ }, di ciascuno
di questi insiemi si decida se si tratta di una partizione, ovvero solo un ricoprimento di
R2 , oppure nessuna delle due cose.
LAddizione `
e associativa:
LAddizione `
e commutativa:
Il numero 0 `
e elemento neutro per laddizione:
Ogni elemento a N `
e cancellabile per laddizione:
dati a, b, c N, se a + b = a + c, allora b = c;
La moltiplicazione `
e associativa:
La moltiplicazione `
e commutativa:
Il numero 1 `
e elemento neutro per la moltiplicazione:
La moltiplicazione `
e distributiva rispetto alladdizione:
N`
e conico rispetto alladdizione:
N`
e conico rispetto alla moltiplicazione:
Infatti, dato a N, usando due volte il fatto che 0 `e elemento neutro per laddizione e una
volta la distributivit`a della moltiplicazione rispetto alladdizione otteniamo la seguente
catena di uguaglianze:
a0 + 0 = a0 = a(0 + 0) = a0 + a0.
Di conseguenza a0 + 0 = a0 + a0. Da questa segue a0 = 0, perche ogni elemento di N, in
particolare a0, `e cancellabile per laddizione. Infine, dati a, b N, se a b = 0 ed `e per
esempio a 6= 0, utilizzando la propriet`a (1.4.1) appena dimostrata possiamo scrivere che
a b = 0 = a 0. Avendo supposto a 6= 0, lelemento a `e cancellabile per la moltiplicazione,
per cui deve essere b = 0.
Nellinsieme N `e definito lordinamento naturale 6. Esplicitamente, dati a, b N,
si dichiara che
a 6 b : b = a + c per un c N. 2 (1.4.3)
Si noti che lelemento c di cui alla (1.4.3) `e unico (perche?); esso si chiama la differenza
tra b ed a (in questo ordine!) e si indica con il simbolo b a. Si dichiara altres` che
Naturalmente a 6 b e b > a significano la stessa cosa, come pure a < b e b > a; inoltre,
dichiarare che a < b equivale a dichiarare che `e al tempo stesso a 6 b e a 6= b. Valgono le
seguenti propriet`a:
Propriet`
a riflessiva:
per ogni a N risulta a 6 a;
Propriet`
a antisimmetrica:
Propriet`
a transitiva:
Queste propriet`a sono deducibili dalla definizione (1.4.3). Infatti, per ogni a N risulta
a = a + 0, il che significa appunto che a 6 a. Inoltre, se a, b N sono tali che a 6 b e
b 6 a, allora esistono c, d N tali che b = a + c ed a = b + d. Di conseguenza
a = b + d = (a + c) + d = a + (c + d)
Detto in altre parole, in ogni insieme non vuoto di numeri naturali `e presente il primo
numero. Vale la pena osservare che lelemento m verificante la (1.4.4) `e necessariamente
unico, perche se m0 A e risulta m0 6 a per ogni a A, in particolare m0 6 m. Siccome
`e anche m 6 m0 , segue m0 = m. Per questo si parla de il minimo di A.
La prima conseguenza immediata del Principio del Minimo in N `e la
Legge di tricotomia: per ogni a, b N vale esattamente una delle seguenti condizioni:
a 6 b, b 6 a, a = b.
Propriet`
a di isotonia rispetto alladdizione:
Propriet`
a di isotonia rispetto alla moltiplicazione:
a := {n N | a 6 n} = {a, a + 1, a + 2, a + 3, . . .}.
(2) se n X, allora n + 1 X.
In tali condizioni risulta X = a .
Dimostrazione. Siccome per ipotesi `e X a , posto Y = a X, per provare la tesi
basta mostrare che Y = . Supponiamo, per assurdo, che sia Y 6= . Per la Condizione
del Minimo Y ha allora il minimo, sia questo m. Dallipotesi (1) segue che a 6 Y , quindi
a < m, ossia a 6 m 1. Siccome m 1 a Y = X, segue dallipotesi (2) che
m = (m 1) + 1 X, in contrasto con il fatto che m Y , mentre X Y = . Deve
dunque essere Y = .
Teorema 1.5.2. Principio di Induzione. Sia a N, sia P (n) una propriet`a che
dipende dallintero n, per n che varia in a , e supponiamo che siano verificate le seguenti
condizioni:
(1) P (a) `e vera;
X = {n N | P (n) `e vera}
verifica le condizioni (1) e (2) del Teorema 1.5.1, dal quale segue allora X = a , il che `e
quanto dire che P (n) `e vera per ogni n a .
Nella maggior parte dei casi la propriet`a P (n) `e definita a partire da n = 0, quindi
per tutti gli n 0 = N. Sottolineiamo che, usando il Principio di Induzione, dopo
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 16
aver provato che P (a) `e vera (si parla di base dellinduzione) non dobbiamo cercare di di-
mostrare che P (n) `e vera! , bens` dobbiamo supporre che P (n) sia vera (si parla dellipotesi
induttiva ) e provare che, di conseguenza , `e vera anche P (n + 1).
Come Pprimo esempio di applicazione del Principio di Induzione, proviamo che che la
somma nk=1 k = 1 + 2 + 3 + + n dei primi n numeri naturali non nulli `e n(n + 1)/2.
Indichiamo con P (n) la propriet`a
1 + 2 + 3 + + n + (n + 1) = (1 + 2 + 3 + + n) + (n + 1)
n(n + 1) n(n + 1) 2(n + 1)
= + (n + 1) = +
2 2 2
(n + 1)[(n + 1) + 1]
= .
2
Ci`o prova che P (n + 1) `e vera. Finalmente dal Principio di Induzione segue che P (n) `e
vera per ogni n N .
Dai Principio di Induzione segue il seguente Principio del Massimo per i sottoinsiemi
finiti di N.
Proposizione 1.5.3. Se A `e una parte non vuota e finita di N, allora A possiede il
massimo, cio`e esiste un a A tale che x 6 a per ogni x A.
Dimostrazione. Se n N , indichiamo con P (n) laffermazione seguente:
Occorre allora provare che P (n) `e vera per ogni n N . Evidentemente P (1) `e vera:
se A = {x}, allora x `e il massimo di A. Dato n N , supponiamo che P (n) sia vera
e mostriamo che, di conseguenza, `e vera P (n + 1). Preso un sottoinsieme A N con
|A| = n + 1, scegliamo un elemento x A e consideriamo linsieme B = A {x}. Allora
|B| = n e quindi, in base allipotesi induttiva (cio`e P (n) `e vera), B ha il massimo: sia
questo b. Se x < b, allora b `e anche il massimo di A, mentre se b < x, `e allora x il massimo
di A. Dunque P (n + 1) `e vera e, in base al Principio di Induzione, concludiamo che P (n)
`e vera per ogni n N .
b = ac per qualche c Z.
Si abbrevia tale propriet`a scrivendo a | b (si legge appunto a divide b; da non confondere
con la frazione a/b). Usiamo il simbolo a - b per indicare che a non `e un divisore di b,
Fissato un intero a, indicheremo con aZ linsieme degli interi multipli di a:
aZ := {ax | x Z}.
Se a, b sono due numeri naturali con b > 0, sappiamo fare la divisione con resto di a
per b, sappiamo cio`e determinare il pi` u grande numero naturale q tale che bq 6 a, di modo
che possiamo scrivere a = bq + r dove 0 6 r < b; dichiariamo allora che b `e il quoziente e
r `e il resto della divisione. Naturalmente risulta r = 0 precisamente quando b divide a.
In realt`a la divisione con resto si estende a Z, come precisato dal teorema che segue.
Teorema 1.6.3. Dati due numeri a, b Z con b 6= 0, esistono degli unici q, r Z tali che
A := {a bq | q Z} N.
0 6 r b = a bq b = a b(q + 1) A
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 19
Definizione 1.7.1. Dati due insiemi A, B, linsieme i cui elementi sono le coppie ordinate
(a, b) con a A, b B si chiama il prodotto cartesiano di A per B e si indica con AB:
A B := { (a, b) | a A, b B }.
2A := { (a, b) A A | a = a } = { (a, a) | a A }.
A B C := (A B) C = { (a, b, c) | a A, b B, c C }.
(A B) (C D) = (A B) (C D) ?
` vero che, dati quattro insiemi A, B, C, D, risulta sempre
Esercizio 1.7.7. E
(A B) (C D) = (A B) (C D) ?
Enunciati aperti che coinvolgono due variabili vengono chiamati relazioni binarie. Se
R(x, y) `e una relaziona binaria e A, B sono due insiemi per i quali ha senso dire se R(x, y)
`e vera o falsa quando x A e y B, linsieme
Principio di Uguaglianza per le Relazioni Binarie : Due relazioni binarie (A, B, R),
(C, D, S) sono uguali se, e solo se, A = C, B = D e R = S.
d) Il grafico in R2 della relazione x 6 y `e dato dallinsieme dei punti del piano che
appartengono alla bisettrice del primo e del terzo quadrante oppure si trovano al di sopra
di essa.
Una relazione binaria R tra due insiemi finiti A e B pu`o essere dichiarata in maniera
tabulare, compilando una tabella di due righe e tante colonne quanti sono gli elementi di
R, secondo il criterio seguente: se x A e y B, allora nella tabella compare una colonna
con x nella posizione superiore e y nella posizione inferiore se e solo se se (x, y) R, cio`e
se e solo se x `e in relazione con y tramite R.
Esempio 1.7.10. Se A = {a, b, c, d, e}, B = {1, 2, 3, 4}, la rappresentazione tabu-
lare della relazione R = {(a, 2), (a, 3), (c, 1), (c, 2), (c, 4), (d, 3), (e, 1), (e, 2)} si scrive come
segue:
a a c c c d e e
R= . (1.7.2)
2 3 1 2 4 3 1 2
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 22
Rop = {(2, a), (3, a), (1, c), (2, c), (4, c), (3, d), (1, e), (2, e)}.
` evidente
Se R `e la relazione di uguaglianza in un insieme A, allora `e chiaro che R = Rop . E
op
che la tabella che d`a la rappresentazione tabulare di R si ottiene da quella relativa ad
R scambiando le due righe
Fra le relazioni binarie pi` u importanti vi sono le funzioni, o applicazioni, che ora
andiamo a definire.
Definizione 1.7.12. Una relazione binaria (A, B, f ) si chiama una funzione o appli-
cazione da A verso B se per ogni x A esiste esattamente un y B tale che (x, y) f .
In tal caso gli insiemi A, B si dicono rispettivamente il dominio e il codominio di f .
Nella pratica non si usa quasi mai la notazione (A, B, f ) per indicare una funzione da
A verso B; si preferisce infatti usare i simboli
f
f : A B oppure A B,
e si usa dire che f `e una funzione da A verso B. Se x A, si scrive f (x) = y per indicare
che y `e lunico elemento di B tale che (x, y) f e y si chiama limmagine di x tramite
f oppure il valore di f in x o, infine, lelemento che f assegna ad x . Specie
quando A e B sono insiemi di numeri e f (x) `e unespressione matematica che coinvolge
x, la funzione viene indicata con il simbolo
x 7 f (x) : A B,
oppure solo con x 7 f (x) o, molto sovente, semplicemente con lespressione f (x) stessa.
Si noti che, usando uno di questi tre simbolismi, la lettera x ha il ruolo di variabile
indipendente e pu`o essere sostituita da qualunque altra lettera. Cos`, ad esempio, se
A = B = R parleremo della funzione 1 + x2 , intendendo x 7 1 + x2 : A B.
Dal Principio di Uguaglianza per le Relazioni Binarie discende il seguente
Si noti che la relazione di cui allesempio 1.7.10 non `e una funzione per due ragioni: nella
prima riga vi sono delle ripetizioni e in essa non figurano tutti gli elementi di A.
Linsieme di tutte le funzioni da A verso B si indica con il simbolo B A ; dunque
Af := f 1 (b) | b f (A) ,
il quale `e a sua volta un sottoinsieme di P(A). Con la proposizione che segue vogliamo
evidenziare una peculiarit`a molto importante dellinsieme Af .
A = {};
{}, se A = ;
A =
, se A 6= ;
1 = .
Esercizio 1.7.16. Posto A = {1, 2}, si elenchino tutte le relazioni binarie in A (cio`e
tutti i sottoinsiemi di A A) e, fra queste, si individuino le funzioni da A in A.
X Y f (X) f (Y ), (1.7.5)
S T f 1 (S) f 1 (T ); (1.7.6)
X f 1 (f (X)) e S f (f 1 (S)); (1.7.7)
f (X) = f (f 1 ((f (X))) e f 1 (S) = f 1 (f (f 1 (S))); (1.7.8)
f (X Y ) = f (X) f (Y ); (1.7.9)
f (X Y ) f (X) f (Y ); (1.7.10)
f (X Y ) f (X) f (Y ). (1.7.11)
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 25
(1) f (0) = a;
Si dice che f `
e definita per ricorrenza tramite le (1) e (2).
f (0) = 1,
f (1) = f (0 + 1) = g(f (0)) = g(1) = x,
f (2) = f (1 + 1) = g(f (1)) = g(x) = xx,
f (3) = f (2 + 1) = g(f (2)) = g(xx) = (xx)x = xxx.
Non resta altro che definire successione geometrica di ragione x la funzione f , deno-
tando con il simbolo xn il numero f (n). La Definizione 1.8.2 `e cos` legittimata (vedi pi`
u
avanti la Definizione 2.4.1).
Altro esempio importante `e il seguente.
0! := 1,
per ogni n N, (n + 1)! := n!(n + 1).
1! = 1,
2! = 1 2 = 2,
3! = 2! 3 = 6,
4! = 3! 4 = 24,
e, per n > 1, n! = 1 2 3 (n 1) n.
Il lettore pu`o controllare che anche tale definizione `e legittimata dal Teorema di Ri-
correnza, nel quale si ponga A = N, a = 1 e si prenda come funzione ausiliaria g : N N
quella definita da g(y) = y(y + 1).
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 27
ciascun Ai `e un elemento di P(A). Dunque (Ai )iI `e una famiglia di elementi di P(A).
Lunione U e lintersezione dellinsieme {Ai | i I} si chiamano rispettivamente lunione
e lintersezione della famiglia (Ai )iI e si usano i seguenti rispettivi simboli:
[ [
Ai := {Ai | i I} = {x | x Ai per qualche i I},
iI
\ \
Ai := {Ai | i I} = {x | x Ai per ogni i I}.
iI
(3) Si dice che f `e biiettiva, o che `e una biiezione, se essa `e al tempo stesso iniettiva
e suriettiva.
(4) Se A = B, si dice che f `e una permutazione di A se f `e biiettiva.
Nota 1.10.2. E ` importante rilevare che liniettivit`a di una funzione f : A B equivale
a ciascuna delle due condizioni seguenti:
(5) Per ogni x, y A, se x 6= y, allora f (x) 6= f (y);
(6) Per ogni z B, il sottoinsieme f 1 (z) di A possiede al massimo un elemento.
Cos` pure, la suriettivit`a di f `e equivalente a ciascuna delle due condizioni seguenti:
(7) f (A) = B;
(8) Per ogni z B, il sottoinsieme f 1 (z) di A possiede almeno un elemento.
Esempio 1.10.3. Se B `e un sottoinsieme di un insieme A e f : B A `e liniezione
canonica, allora f iniettiva avendosi f (x) = x per ogni x B; chiaramente f `e anche
suriettiva, e quindi biiettiva, se e solo se B = A, risultando allora f = 1A .
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 29
non `e ne iniettiva ne suriettiva. Infatti, da un lato risulta f (a) = 3 = f (c), per cui f non
`e iniettiva essendo a 6= c; inoltre non vi `e alcun x A tale che f (x) = 2 e quindi f non `e
suriettiva.
Esercizio 1.10.8. Dato un insieme A, con riferimento allEsercizio 1.7.15 controllare che
lunica funzione A `e iniettiva; essa `e suriettiva se e solo se A = . Inoltre, lunica
funzione A (se esiste) `e suriettiva. In particolare, lunica funzione `e biiettiva.
Esercizio 1.10.9. Provare che una funzione f : A B `e iniettiva se e solo se per ogni
coppia di sottoinsiemi X, Y di A risulta
f (X Y ) = f (X) f (Y ).
Esercizio 1.10.10. Provare che una funzione f : A B `e iniettiva se e solo se per ogni
sottoinsieme X di A risulta
X = f 1 (f (X)).
Esercizio 1.10.11. Provare che una funzione f : A B `e suriettiva se e solo se per ogni
sottoinsieme S di B risulta
S = f (f 1 (S)).
Esercizio 1.10.12. Provare che una funzione f : A B `e iniettiva se e solo se per ogni
coppia di sottoinsiemi X, Y di A risulta
f (X Y ) = f (X) f (Y ).
Esercizio 1.10.14. Sia A = {1, 2, 3}. Tramite la loro rappresentazione tabulare (come
nella (1.7.3), per intenderci), elencare tutte le funzioni non iniettive e quelle non suriettive
da A verso A. Elencare inoltre tutte le permutazioni di A.
Esercizio 1.10.15. Dato un insieme A qualunque, provare che la funzione f : P(A)
P(A) definita da
f (X) = {A X per ogni X A
`e biiettiva. Determinare f 1 .
Esercizio 1.10.16. Dato un insieme qualunque A, per ogni sottoinsieme X A defini-
amo la funzione X : A 2 (ricordiamo che 2 = {1, 2}) definita come segue:
(
1 se a 6 X,
per ogni a A, X (a) =
2 se a X.
In un certo senso la funzione X , che si chiama la funzione caratteristica di X , dichiara
se un dato elemento a A non appartiene o appartiene ad X. Possiamo allora considerare
la funzione
: P(A) 2A
definita da (X) = X per ogni X P(A), ossia la funzione che ad ogni parte di A
assegna la sua funzione caratteristica. Si provi che `e una funzione biiettiva.
f 1A = f = 1B f.
f f 0 = 1B , (risp. f 0 f = 1A ). (1.11.2)
Se f 0 `e sia inversa destra che sinistra per f , allora si dice che f 0 `e uninversa per f . Si
dice che la funzione f : A B `e invertibile a destra (risp. invertibile a sinistra,
invertibile) se ammette uninversa destra (risp. uninversa sinistra, uninversa).
Se f 0 : B A f 00 : B A sono rispettivamente uninversa sinistra e uninversa destra
per una funzione f : A B, allora f 0 = f 00 ; infatti risulta:
f 0 = f 0 1B = f 0 (f f 00 ) = (f 0 f )f 00 = 1A f 00 = f 00 , (1.11.3)
Di conseguenza, se f `e invertibile, allora per essa vi `e ununica inversa, che viene di solito
indicata con f 1 .
Proposizione 1.11.6. Una funzione f : A B `e invertibile se e solo se `e biiettiva. In
tal caso anche linversa f 1 : B A `e biiettiva e risulta (f 1 )1 = f .
Dimostrazione. Supponiamo f invertibile e sia f 0 : B A la sua inversa. Tenuto
conto che la funzione identica su un qualunque insieme `e biiettiva, dalla prima delle
(1.11.2) e dallEsercizio 1.11.3, c) segue che f `e suriettiva, mentre dalla seconda delle
delle (1.11.2) e dallEsercizio 1.11.3, b) segue che f `e iniettiva. Dunque f `e biiettiva.
Viceversa, supponiamo f biiettiva e definiamo la funzione f 0 : B A nel modo seguente:
dato y B, per la biettivit`a di f esiste un unico y 0 A tale che y = f (y 0 ). Dichiariamo
dunque f 0 (y) = y 0 . Allora
per cui f f 0 = 1B . Daltro canto, tenuto conto di come abbiamo definito f 0 risulta
Nota 1.11.7. Attenzione alluso del simbolo f 1 ! Esso `e gi`a entrato come parte delle
notazioni f 1 (S) e f 1 (b), le quali indicano le controimmagini rispettivamente di un
sottoinsieme S e di un elemento b del codominio di f . Tuttavia ci`o non significa che si
possa sempre parlare della funzione f 1 inversa di f , a meno che questultima non sia
biiettiva, come specificato dalla Proposizione precedente.
(f 1 )1 = f e (g f )1 = f 1 g 1 . (1.11.4)
Esercizio 1.11.13. Provare che una funzione invertibile a destra (risp. a sinistra) `e
suriettiva (risp. iniettiva) (Sugg.: Applicare lEsercizio 1.11.3).
Esercizio 1.11.14. Trovare almeno due inverse sinistre per la funzione f di cui allE-
sempio 1.10.4.
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 33
Esercizio 1.11.15. Trovare almeno due inverse destre per la funzione g di cui allEsempio
1.10.5.
(1) f `e iniettiva;
(2) f `e suriettiva;
(3) f `e biiettiva.
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 34
Notiamo che g `e biiettiva; essa non `e altro che la permutazione di n+1 che scambia fra loro
n + 1 e y, mentre lascia fissi gli altri elementi. Allora la funzione h = g f : n+1 n+1
`e iniettiva, in quanto composizione di funzioni iniettive, e non `e suriettiva, altrimenti
lo sarebbe f = g 1 h. Ora si controlla immediatamente che n + 1 6 h(n+1), per cui
possiamo applicare ad h largomento svolto su f nel primo caso, giungendo quindi ad una
contraddizione. Concludiamo che f deve essere suriettiva.
(2)(3) Supponiamo che f sia suriettiva. Allora f ha uninversa destra g : n+1
n+1 e g `e iniettiva (Esercizio 1.11.13), quindi biiettiva per limplicazione (1)(3) sopra
dimostrata. Dunque f = g 1 `e biiettiva.
Le implicazioni (3)(1) e (3)(2) sono ovvie.
Dimostrazione. Per il Corollario 1.12.6 f (A) `e finito e |f (A)| 6 |B|. Daltra parte la
legge x 7 f (x) definisce una biiezione da A verso f (A); dunque |A| = |f (A)| 6 |B|.
Corollario 1.12.9. Siano A, B insiemi finiti aventi la stessa cardinalit`a. Data una
funzione f : A B, le seguenti condizioni sono equivalenti:
(1) f `e iniettiva;
(2) f `e suriettiva;
(3) f `e biiettiva.
{n N | a 6 n 6 b}.
Teorema 1.13.1. Principio di Induzione Finita. Siano a, b N con a < b, sia P (n)
una propriet`a che dipende dallintero n, dove a 6 n 6 b, e supponiamo che siano verificate
le seguenti condizioni:
ogni s per il semplice motivo che largomento sopra svolto non dipende dalla scelta di un
valore specifico per s.
Passando al caso generale, abbiamo la seguente
Proposizione 1.13.3. Se A1 , A2 , . . . , An sono degli insiemi finiti, allora risulta
|A1 A2 An | = |A1 | |A2 | |An |.
Dimostrazione. Abbiamo provato sopra che la tesi `e vera se n = 2. Dato un qualunque
intero n > 2, supponiamo la tesi vera per n insiemi finiti e proviamo che essa continua ad
essere vera per n + 1 insiemi finiti A1 , A2 , . . . , An , An+1 . Usando il fatto che la tesi vale
per due insiemi, come abbiamo provato sopra, tenuto conto della Nota 1.8.6 dallipotesi
induttiva deduciamo che
|A1 A2 An An+1 | = | (A1 A2 An ) An+1 |
= | (A1 A2 An ) | |An+1 | = (|A1 | |A2 | |An |)|An+1 | = |A1 | |A2 | |An ||An+1 |,
come volevamo.
Proposizione 1.13.6. Siano A, B insiemi finiti non vuoti con |A| = k e |B| = n. Se
k 6 n e DA,B `e linsieme delle funzioni iniettive da A verso B, allora
n!
|DA,B | = . (1.13.4)
(n k)!
Indicando con c1 , c2 , . . . , ck , ck+1 gli elementi di C, osserviamo che definire una funzione
iniettiva f : C B equivale a prescrivere una successione finita
b1 , b2 , . . . , bk , bk+1
ossia dichiarare
c1 c2 . . . ck ck+1
f= : C B.
b1 b2 . . . bk bk+1
Chiaramente, posto A = {c1 , c2 , . . . , ck }, per per definire f occorre prima specificare una
funzione iniettiva
c 1 c 2 . . . ck
g= : A B,
b1 b2 . . . b k
dopo di che occorre dichiarare f (ck+1 ) = bk+1 . Dunque g va scelta in DA,B , mentre bk+1
deve essere scelto nellinsieme B {b1 , b2 , . . . , bk }, il quale ha n k elementi. Tenuto
conto dellipotesi induttiva (1.13.4), concludiamo che
n! n! n!
|DC,B | = (n k) = = ,
(n k)! (n k 1))! (n (k + 1))!
quindi la (1.13.5).
Scrivere una dimostrazione alternativa di tale uguaglianza che utilizza argomenti in-
siemistici (Sugg.: Sia A un insieme di n + 1 elementi e si fissi un suo elemento a0 . Si
suddividano i sottoinsiemi di A di cardinalit`a k +1 fra quelli ai quali a0 appartiene e quelli
ai quali a0 non appartiene.)
c) Dato un numero naturale n, si provi che
n
X n
= 2n
k=0
k
1
1 1
1 2 1
1 3 3 1
1 4 6 4 1
1 5 10 10 5 5
1 6 15 20 15 6 1
... ... ... ... ... ... ... ...,
In essa i numeri che figurano nella n-esima riga (consideriamo come 0-esima riga quella
che contiene solo 1) sono, nellordine,
n n n n n n n
= 1, = n, ,..., ,..., , = n, = 1.
0 1 2 k n2 n1 n
Si noti che ogni numero coincide con la somma dei due numeri pi` u vicini ad esso che si
trovano sulla riga immediatamente superiore; ci`o `e in accordo con la formula (1.13.7). La
successione dei numeri che si trovano nella n-esima riga del Triangolo di Tartaglia sono
i coefficienti nello sviluppo delln-esima potenza di un binomio, come meglio precisato
dalla proposizione che segue; avvertiamo che il lettore che non abbia ancora familiarit`a
con luso delle sommatorie pu`o rinviarne la lettura fino a dopo la Sezione 2.4.
Proposizione 1.13.11. Dati due numeri reali a, b, per ogni numero naturale n risulta
n
n
X n
(a + b) = ank bk . (1.13.8)
k=0
k
Dunque la (1.13.8) vale con n + 1 in luogo di n e la tesi segue dal Principio di Induzione.
Esercizio 1.14.3. Sia A linsieme delle rette di un dato piano e si dichiari che due rette
sono in relazione quando hanno almeno un punto in comune. Si tratta di una relazione
di equivalenza in A?
Esercizio 1.14.4. Si stabilisca quali delle seguenti relazioni binarie sono relazioni di
equivalenza in R:
a) x 6 y; b) x2 + y 2 = 1; c) xy = 1; d) x2 y 2 = 1; e) log x = y;
f) x = y + h per qualche h Z.
Esercizio 1.14.5. Sia A un qualunque insieme con almeno due elementi. Se a A, allora
{(a, a)} `e un esempio di relazione binaria in A che non `e riflessiva (perche?), ma `e simme-
trica e transitiva. Stabilire, allora, che cosa c`e di sbagliato nella seguente dimostrazione
del fatto che se una relazione binaria R in un insieme A `e simmetrica e transitiva allora
essa `e anche riflessiva: Siccome R `e simmetrica, da (x, y) R segue (y, x) R. Siccome
R `e anche transitiva, da (x, y) R e (y, x) R segue (x, x) R, dunque R `e anche
riflessiva.
[x] := {z A | z x}.
Osserviamo che [x] non `e mai vuoto perche, a causa della riflessivit`a di R, risulta x x
e quindi `e almeno x [x]. Linsieme [x] si chiama la classe di equivalenza modulo R
che contiene x. Dunque linsieme {[x] | x A} di tutte le classi di equivalenza modulo
R, che `e un sottoinsieme di P(A), `e un ricoprimento di A. Siano x, y due elementi di
A. Se x y, dalla simmetricit`a e dalla transitivit`a di R segue facilmente che [x] = [y];
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 44
viceversa, se vale questultima uguaglianza, siccome y [y], segue che x y. Cosa accade
se `e invece x y (intendiamo x non `e equivalente ad y modulo R)? In questo caso
risulta [x][y] = , perche se vi fosse un z [x][y], avremmo z x e z y, quindi x y
per la simmetricit`a e la transitivit`a di R. Dunque le classi di equivalenza modulo R sono a
due a due disgiunte; poiche, come abbiamo visto sopra, esse costituiscono un ricoprimento
di A, concludiamo che linsieme {[x] | x A} `e una partizione di A. Riassumendo:
Proposizione e Definizione 1.14.7. Con le notazioni di cui sopra, dati x, y A risulta:
(1) x [x];
(2) x y se e solo se [x] = [y];
(3) se x y, allora [x] [y] = .
Di conseguenza linsieme i cui elementi sono le classi di equivalenza modulo R `e una
partizione di A che si chiama linsieme quoziente di A rispetto ad R e si indica con
A/R (da leggersi: A su R):
A/R := {[x] | x A}.
La funzione : A A/R definita da
(x) := [x] per ogni x A
si chiama la proiezione canonica di A sullinsieme quoziente A/R. Com`e evidente,
`e sempre una funzione suriettiva e risulta (x) = (y) se e solo se [x] = [y], cio`e se e
solo se x y. Se x A, ogni elemento della classe di equivalenza [x] (quindi anche x
stesso) si chiama un rappresentante della classe [x] e si dice che x rappresenta [x]. Da
quanto sopra risulta evidente che due elementi x, y A rappresentano la stessa classe di
equivalenza se e solo se x y, se e solo se appartengono alla stessa classe di equivalenza,
se e solo se [x] = [y]. Infine, si chiama un insieme di rappresentanti per le classi
di equivalenza modulo R, o per A/R, ogni sottoinsieme B di A con le seguenti due
propriet`a:
(1) se x, y sono due elementi distinti di B, allora x y;
(2) per ogni z A vi `e un (unico) x B tale che z x.
Esempi 1.14.8. a) Se R `e la relazione di uguaglianza in un insieme A (questo era il nostro
primo esempio banale di relazione di equivalenza), `e ovvio che [x] = {x} per ogni x A,
di modo che A/R = {{x} | x A}, cio`e A/R `e linsieme di tutti i sottoinsiemi di A che
hanno un unico elemento. E ` allora evidente che, in questo caso, A `e lunico insieme di
rappresentanti.
b) Se A `e linsieme di tutte le rette dello spazio e R `e la relazione di parallelismo, per
ogni retta r la classe [r] `e semplicemente linsieme di tutte le rette parallele ad r. Fissato
un punto P , linsieme B di tutte le rette che passano per P `e un insieme di rappresentanti
per A/R.
c) Con riferimento allEsempio 1.14.2, f), le classi di equivalenza sono le circonferenze
del piano che hanno centro nellorigine O e ogni semiretta di origine O `e un insieme di
rappresentanti.
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 45
Concludiamo questa sezione con un teorema, la cui importanza apparir`a evidente solo
quando lo applicheremo allo studio delle strutture algebriche quozienti.
Teorema 1.14.9 (Teorema Fondamentale dellInsieme Quoziente). Sia A un insieme e
sia R una relazione di equivalenza in A. Se f : A B `e una funzione con la propriet`a
che, dati x, y A, da y segue f (x) = f (y), allora esiste ununica funzione f : A/R B
che rende commutativo il diagramma 3
A - A/R
HH
fH
HH f
H ?
jB .
H
H (1.14.1)
Inoltre risulta:
(1) f `e suriettiva se e solo se f `e suriettiva;
quindi una contraddizione. La (1.14.2) sarebbe cos` inconsistente, dal momento che il
secondo membro `e mutato pur restando invariato il primo. Fortunatamente, nel caso pre-
sente, il fatto che da y x segua f (y) = f (x) costituisce lipotesi del nostro teorema, per
cui la contraddizione di cui sopra non sorge e la (1.14.2) `e dunque una buona definizione:
essa `e atta a definire la funzione f e diremo anche che f `e ben definita.
A questo punto `e immediato verificare che il diagramma (1.14.1) `e commutativo. Sia
g : A/R B unaltra funzione tale che f = g . Allora risulta g = f = f , ossia
3
Intendiamo dire che f = f .
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 46
g([x]) = f ([x]) per ogni x A. Dunque g = f , ci`o che prova lunicit`a della funzione f
con la propriet`a voluta.
La (1) segue dal fatto che f = f , tenuto conto dellEsercizio 1.11.3 e del fatto che
`e suriettiva.
Proviamo la (2). Supponiamo che,dati x, y A, le propriet`a s y e f (x) = f (y)
siano equivalenti e proviamo che, conseguentemente, f `e iniettiva. Dati [x], [y] A/R,
se `e f [x] = f [y], dalla (1.14.2) segue f (x) = f (y), cio`e x y. In base alla Proposizione
1.14.7 questultimo fatto equivale adire che [x] = [y], per cui f `e iniettiva. Viceversa,
assumiamo f iniettiva e, dati x, y A, supponiamo che sia f (x) = f (y). Allora dalla
(1.14.2) segue f ([x]) = f ([y]) e quindi [x] = [y], ossia x y. Siccome per lipotesi del
Teorema x y implica f (x) = f (y), concludiamo che le propriet`a x y e f (x) = f (y)
sono equivalenti.
Infine la (3) segue dalle (1) e (2).
x y mod. n, oppure x n y,
Proposizione 1.15.2. Per ogni numero naturale n la congruenza modulo n `e una re-
lazione di equivalenza in Z
la transitivit`a di n .
se x n x0 e y n y 0 , allora x + y n x0 + y 0 e xy n x0 y 0 .
b) Provare che se r, s sono numeri naturali tali che 0 6 r < s 6 n 1, allora r e s non
sono congrui modulo n.
c) Provare che per ogni intero x vi `e un unico numero naturale r tale che 0 6 r 6 n 1
e x n r (Sugg.: considerare la divisione di x per n. . . ).
d) Provare che due interi x, y sono congrui modulo n se e solo se hanno lo stesso resto
nella divisione per n.
[x] = x + nZ = {x + hn | h Z}.
Sono esattamente n gli elementi indicati? La risposta viene dallEsercizio 1.15.3, b), dal
quale risulta appunto che, se r, s sono numeri naturali tali che 0 6 r < s 6 n 1, allora
[r] 6= [s]. Dunque |Zn | = n e linsieme
{0, 1, 2, . . . , n 1}
c 4 3 4 s w
b
J J
J
J
J J
J
b
J 2 1 2 r t x
a c J
J
J
J
a 3 1 u y v
I primi due diagrammi specificano due distinti ordinamenti per A, il terzo e il quarto
danno anchessi due distinti ordinamenti per B e il quinto illustra un ordinamento in C.
Precisamente, il primo specifica che a < b, b < c e a < c; inoltre a `e il minimo e c `e il
massimo. Il secondo specifica che a < b, c < b e i due elementi a, c non sono comparabili;
b `e il massimo, non vi `e minimo, mentre a, c sono minimali. Il terzo specifica che 3 < 2,
3 < 1, 2 < 4, 1 < 4, 3 < 4, mentre 1 e 2 non sono comparabili; 3 `e il minimo e 4 `e il
massimo. Il quarto specifica che 1 < 2, 2 < 3, 2 < 4, mentre 3 e 4 non sono comparabili;
qui 1 `e il minimo, non ce massimo e 3, 4 sono massimali. Infine il quinto specifica che
u < r, u < t, r < s, t < s, t < w, u < s, u < w, v < x, mentre ciascuno deli elementi
v, x non `e comparabile con alcuno degli elementi r, s, t, u, w e y non `e comparabile con
alcuno degli altri elementi di C (si dice in tal caso che y `e un elemento isolato per
quellordinamento). In questo quinto esempio sono assenti massimo e minimo, u, v sono
minimali, s, w, x sono massimali e y `e al tempo stesso minimale e massimale.
Definizione 1.17.1. Dati due insiemi ordinati A, B (indichiamo con lo stesso simbolo
600 sia lordinamento di A che quello di B), una funzione f : A B si dice:
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 51
(1) crescente (risp. decrescente) se, per ogni x, y A, da x 6 y segue f (x) 6 f (y)
(risp. f (x) > f (y));
Esempio 1.17.2. Dato un insieme E, ordiniamo P(E) per inclusione. Allora la funzione
{E : P(E) P(E) che ad ogni sottoinsieme X E assegna il suo complementare {E X `e
decrescente, avendosi infatti {E X {E Y ogni volta che X y. Siccome {E {E X = X
per ogni X E, la funzione {E `e inversa di se stessa, per cui `e un anti-isomorfismo.
Esempio 1.17.3. Consideriamo gli insiemi A = {a, b, c}, B = {1, 2} ordinati secondo i
seguenti diagrammi di Hasse:
b 2
J
J
a c 1
Una funzione f : A B fra insiemi ordinati pu`o essere biiettiva e crescente senza
per questo essere un isomorfismo, cio`e la sua inversa f 1 : B A potrebbe non essere
crescente.
Esempio 1.17.5. Sia (B, 6) un qualunque insieme ordinato nel quale lordine 6 non sia
luguaglianza (cio`e B possiede due elementi a, b tali che a < b) e consideriamo linsieme
ordinato A = (B, =), cio`e linsieme ordinato il cui insieme sostegno `e B e lordinamento
`e luguaglianza. Allora la funzione f : A B definita da f (x) = x per ogni x A (in
sostanza f = 1B ) `e ovviamente biiettiva ed `e crescente, perche se x 6 y in A, allora x = y,
per cui f (x) = f (y) e quindi `e vero che f (x) 6 f (y) in B. Linversa f 1 : B A `e sempre
lidentit`a sullinsieme B, ma non `e crescente. Infatti, presi x, y B tali che x < y, se
fosse f 1 (x) 6 f 1 (y) in A, allora avremmo f 1 (x) = f 1 (y), ossia x = y.
Esempio 1.17.6. Consideriamo gli insiemi ordinati A = (N, |) e B = (N, 6). Dunque
A, B hanno lo stesso sostegno N, ma in A consideriamo lordinamento dato dalla divisi-
bilit`a e in B lordinamento naturale. Se f : A B `e lidentit`a su N, allora f `e biiettiva
e crescente, ma non `e un isomorfismo.
La proposizione che segue fornisce un criterio per decidere se una funzione fra insiemi
ordinati `e un isomorfismo dordine.
(1) f `e biiettiva;
quindi x 6 y.
Viceversa, supponiamo che le condizioni (1) e (2) siano verificate. Siccome dalla (2)
segue che f `e crescente, dobbiamo solo provare che f 1 `e crescente. Dati u, v B
con u 6 v e posto x = f 1 (u) e y = f 1 (v), abbiamo che u = f (f 1 (u)) = f (x) e
v = f (f 1 (v)) = f (y) . Siccome u 6 v, allora f (x) 6 f (y) e dalla condizione (2) segue
x 6 y, cio`e f 1 (u) 6 f 1 (v), come volevamo.
a = inf (X);
A
a = sup(X).
A
Nota 1.18.2. Con le notazioni della Definizione 1.18.1, supponiamo che B sia un sot-
toinsieme proprio di A tale che X B, inteso come insieme ordinato con lordine indotto
da quello di A. In questo caso dobbiamo considerare sia inf A (X) che inf B (X). Infatti,
il primo `e il massimo dellinsieme A0 dei minoranti di X appartenenti ad A, mentre il
secondo `e il massimo dellinsieme B 0 dei minoranti di X appartenenti a B. Dato che
abbiamo preso B 6= A, i due insiemi A0 e B 0 potrebbero essere distinti e pu`o verificarsi
ciascuna delle seguenti cinque eventualit`a: non esistono inf A (X) e inf B (X), oppure uno
dei due esiste e laltro no (due possibilit`a), oppure esistono tutti e due ma sono distinti
oppure, infine, esistono tutti e due e coincidono. Si noti che se esistono tutti e due, allora
inf B (X) 6 inf A (X) (perche?). Analogo discorso vale per gli estremi superiori di X in A
e B, per i quali si usano i simboli supA (X) e supB (X) rispettivamente.
Esercizio 1.18.3. Aiutandosi con adeguati diagrammi di Hasse, mostrare che tutte
le circostanze considerate nella Nota 1.18.2 possono effettivamente presentarsi (bastano
pochissimi elementi...).
CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI 54
2 4
b @
J @
J @
a c @
1 3
Esercizio 1.18.14. Provare che ogni insieme ordinato filtrante superiormente e inferior-
mente che ha non pi` u di 5 elementi `e un reticolo. Dare un esempio di insieme ordinato
filtrante superiormente e inferiormente, con 6 elementi, che non `e un reticolo.
Esercizio 1.18.17. Si considerino gli insiemi A = {1, 2, 6, 10, 30}, B = {1, 6, 10, 30}
e C = {2, 6, 10, 30} ordinati secondo la divisibilit`a. Mostrare che essi sono tutti e tre
reticoli; tuttavia B non `e un sottoreticolo di A, mentre C lo `e.
Capitolo 2
LE STRUTTURE ALGEBRICHE
56
CAPITOLO 2. LE STRUTTURE ALGEBRICHE 57
sono le funzioni da N N verso N, per cui sono infiniti i gruppoidi aventi N come insieme
sostegno. In realt`a pochi fra questi sono realmente interessanti e di qualche utilit`a, come
certamente lo sono il gruppoide additivo (N, +) e il gruppoide moltiplicativo (N, ).
Vediamo allora di individuare alcune propriet`a che, se possedute da unoperazione in un
generico insieme, rendono questa interessante e di qualche utilit`a.
(1) associativa se
(2) commutativa se
per ogni x, y G, x y = x y.
x u = x = u u per ogni x G.
Definizione 2.1.3. Sia (G, ) un monoide, sia u il suo elemento neutro e siano x, y
elementi di G. Si dice che:
x y = u (risp. y x = u).
(6) x `e idempotente se x x = x.
y = y u = y (x x0 ) = (y x) x0 = (z x) x0 = z (x x0 ) = z u = z,
Definizione 2.1.4. Sia (G, ) un monoide e sia u il suo elemento neutro. Si dice che:
dati x, y G, da x y = u = y x segue x = y = u.
Fra le varie notazioni che si usano nella letteratura per indicare unoperazione binaria
in un insieme G, la notazione moltiplicativa e la notazione additiva sembrano essere di gran
lunga le pi`u favorite. Tramite esse si indica con xy, o semplicemente xy, (rispettivamente
x + y) il risultato delloperazione in oggetto effettuata su due elementi x e y di G, anche
se gli elementi dellinsieme G non hanno nulla a che vedere con i numeri e loperazione
in questione non ha nulla a che vedere con la moltiplicazione (o laddizione) fra numeri.
Vogliamo sottolineare che la scelta di una notazione per una specifica operazione non `e
vincolata dalla natura di questultima, bens` `e dettata da semplici motivi di convenienza
e/o di consuetudine. In notazione moltiplicativa (rispett. additiva) lelemento neutro, se
presente, viene indicato con il simbolo 1 (rispett. 0); quasi sempre dal contesto si capisce se
i simboli 1 e 0 sono riferiti a numeri o ad altri oggetti. Inoltre, il simmetrico di un elemento
x in notazione moltiplicativa si indica con x1 e si chiama linverso di x e, se esiste, si dice
CAPITOLO 2. LE STRUTTURE ALGEBRICHE 59
2.2 Esempi.
Studiamo ora alcuni fra gli esempi principali e pi`
u elementari di gruppoidi, ad illustrazione
e giustificazione dei concetti appena introdotti.
Esempio 2.2.1. I monoidi (N, +) e (N, ).
Considerato il ruolo centrale che essi giocano, i primi da annoverare sono gruppoidi
(N, +) e (N, ), dove + e sono le ordinarie addizione e moltiplicazione. Da quanto
abbiamo visto nella Sezione 1.4 risulta che essi sono due monoidi abeliani, con elemento
neutro il numero 0 e il numero 1 rispettivamente. In (N, ) il numero 0 `e un elemento
idempotente diverso dallelemento neutro 1. In (N, +) ogni elemento `e cancellabile, ma
solo 0 `e simmetrizzabile. In (N, ) tutti gli elementi diversi da 0 sono cancellabili e, di
nuovo, solo 1 `e simmetrizzabile. Dunque (N, +) e (N, ) non sono gruppi e sono ambedue
monoidi conici.
Esempio 2.2.2. Il gruppo (Z, +) e il monoide (Z, ).
Il gruppoide (Z, +) (vedi la Sezione 1.6) `e un gruppo abeliano, mentre (Z, ) `e un
monoide abeliano che non `e un gruppo; infatti, rispetto alla moltiplicazione solo 1 e 1
CAPITOLO 2. LE STRUTTURE ALGEBRICHE 60
risulta [
M(X) = X m.
mN
E conveniente estendere tale operazione anche al caso in cui uno dei monomi `e vuoto,
ponendo
(x1 xm )1 := (x1 xm ) := 1(x1 xm ).
E ormai ovvio che loperazione introdotta in M(X) `e associativa e con essa M(X) acquista
una struttura di monoide.
Esercizio 2.2.8. Dato un insieme X, stabilire in quali casi M(X) `e conico e in quali
casi M(X) `e un gruppo.
Esercizio 2.2.10. Sia A un reticolo completo. Provare che (A, ) e (A, ) sono monoidi
conici. In quale caso sono gruppi?
Esempio 2.2.12. Considerato linsieme 2 = {1, 2}, vi sono esattamente quattro funzioni
da 2 verso 2, precisamente
2 1 2 1 2 1 2 1 2
2 = 12 = ,f = ,g = ,h = .
1 2 1 1 2 2 2 1
12 f g h
12 12 f g h
f f f f f
g g g g g
h h g f 12
12 h
12 12 h
h h 12
Esercizio 2.2.14. Compilare le tavole dei gruppoidi (P(A), ) e (P(A), ), prima nel
caso A = 2 e poi nel caso A = 3.
Esercizio 2.2.15. Dato un intero n > 0, provare che linsieme nZ = {nx | x Z} dei
multipli interi di n `e un sottogruppo di (Z, +).
Esercizio 2.2.18. Provare che se H, K sono due sottogruppi di un gruppo (G, ), allora
anche HK `e un sottogruppo di (G, ), ma HK pu`o non esserlo (Sugg.: Per questultimo
punto considerare, per esempio, due sottogruppi di (Z, +) del tipo mZ e nZ (Esercizio
2.2.15), scegliendo opportunamente i numeri m, n).
CAPITOLO 2. LE STRUTTURE ALGEBRICHE 63
(a1 a2 ) a3 = a1 (a2 a3 ),
a1 . . . an := a1 , se n = 1; (2.3.1)
a1 . . . an := (a1 . . . an1 ) an , per ogni n > 1. (2.3.2)
Dimostrazione. Proviamo dapprima che la (2.3.3) vale per m = 1 e per ogni n > 2,
procedendo per induzione su n. Se n = 2 abbiamo
n
! n
X X
a1 + ai = a1 + a2 = ai ,
i=2 i=1
per cui la (2.3.3) vale per m = 1 e per n = 2. Dato n > 2, supponiamo che la (2.3.3) valga
per m = 1. Allora, data una successione (a1 , . . . , an , an+1 ) di elementi di G abbiamo:
n+1
! " n ! #
X X
a1 + ai = a1 + ai + an+1 per la definizione (2.3.2),
i=2 i=2
" n
!#
X
= a1 + ai + an+1 per lassociativit`a,
n
!i=2
X
= ai + an+1 per lipotesi induttiva,
i=1
n+1
X
= ai per la definizione (2.3.2).
i=1
A questo punto, dato n > 2, possiamo procedere per induzione finita su m per provare
che la (2.3.3) vale ogni volta che 1 6 m < n. Supponiamo, induttivamente, che essa valga
CAPITOLO 2. LE STRUTTURE ALGEBRICHE 65
a + b + c, a + c + b, b + a + c, b + c + a, c + a + b, c + b + a,
ottenibili operando le possibili permutazioni dellinsieme {a, b, c}. Non abbiamo dubbi sul
fatto che esse rappresentano lo stesso elemento di G; in realt`a, utilizzando ripetutamente
la propriet`a commutativa e la propriet`a associativa `e piuttosto facile provare che la prima
espressione coincide con ciascuna delle rimanenti cinque. Ci`o si generalizza al caso di una
qualunque successione finita (a1 , . . . , an ) di elementi di G, come specificato dal risultato
seguente.
bi = a(i+1)
Il lettore pu`o verificare per esercizio che `e iniettiva e quindi `e una permutazione (vedi
il Teorema 1.12.1). Inoltre per ogni i n risulta
ai , se 1 6 i 6 k 1;
b (i) = a( (i)+1) =
ai+1 , se k 6 i 6 n.
Di conseguenza abbiamo:
n+1
X n+1
X
a(i) = a(1) + a(i) per la Proposizione 2.3.1 (con m = 1),
i=1 i=2
n
X
= ak + bi
i=1
n
X
= ak + b (i) per lipotesi induttiva,
i=1
k1 n
!
X X
= ak + b (i) + b (i)
i=1 i=k
k1 n+1
!
X X
= ak + ai + ai
i=1 i=k+1
k1
! n+1
X X
= ak + ai + ai
i=1 i=k+1
k1
! n+1
X X
= ai + ak + ai
i=1 i=k+1
k
X n+1
X
= ai + ai
i=1 i=k+1
n+1
X
= ai .
i=1
quanto dire che la somma degli elementi di A non dipende dalla numerazione scelta per
essi. Lelemento di G che `e il risultato di tale somma viene allora chiamato la somma del
sottoinsieme A e viene indicato con il simbolo
X X
x oppure {x | x A}.
xA
Supponiamo che la (2.3.6) valga per un dato m > 0 e per ogni n > 0. Allora abbiamo:
m+1 n
! " m n
!# n
!
X X X X X
aij = aij + am+1,j per la definizione (2.3.2),
i=1 j=1 i=1 j=1 j=1
" n m
!# n
!
X X X
= aij + am+1,j per lipotesi induttiva,
j=1 i=1 j=1
n
" m
! #
X X
= aij + am+1,j per la Proposizione 2.3.3,
j=1 i=1
n m+1
!
X X
= aij per la definizione (2.3.2).
j=1 i=1
In vista dellultima proposizione, nella pratica vengono omesse le parentesi nelle som-
matorie a primo e secondo membro della (2.3.6) sempreche, ribadiamo, il monoide nel
quale si effettua loperazione sia commutativo.
Dunque
a2 = aa, a3 = a2 a = (aa)a = aaa, . . . .
Se loperazione del monoide G `e denotata additivamente, in luogo di an si usa il simbolo
na e si parla allora delln-esimo multiplo di a; esso `e dunque lelemento di G definito
per ricorrenza come segue:
0a := u,
(n + 1)a := na + a per ogni n N.
Dunque
2a = a + a, 3a = 2a + a = (a + a) + a = a + a + a, . . . .
Proposizione 2.4.2. Sia G un monoide con elemento neutro u, siano a, b due elementi
di G e siano m, n N. Se loperazione di G `e notata moltiplicativamente ed `e ab = ba,
allora valgono le uguaglianze
am bn = bn am ; (2.4.1)
(ab)n = an bn ; (2.4.2)
am an = am+n ; (2.4.3)
(am )n = amn = (an )m . (2.4.4)
ma + nb = nb + ma; (2.4.5)
n(a + b) = na + nb; (2.4.6)
ma + na = (m + n)a; (2.4.7)
m(na) = (mn)a = n(ma). (2.4.8)
am+1 b = (am a)b = am (ab) = am (ba) = (am b)a = (bam )a = b(am a) = bam+1 .
Dunque am+1 b = bam+1 e, tenuto conto del Principio di Induzione, concludiamo che vale
laffermazione (2.4.9). Ora, per provare che per ogni m, n N vale la (2.4.1) basta
mostrare che, dato m N, la (2.4.1) vale per ogni n N. Essa `e vera per n = 0, avendosi
am b0 = am u = uam = b0 am . Supponiamo che la (2.4.1) valga per un dato n N. Allora
abbiamo
3) 1R S.
CAPITOLO 2. LE STRUTTURE ALGEBRICHE 72
Esercizio 2.5.7. Provare che se R `e un campo, allora R `e stabile rispetto alla moltipli-
cazione ed `e un gruppo abeliano.
X + Y := {x + y | x X, y Y }, (2.5.1)
XY := {xy | x X, y Y }. (2.5.2)
Si tratta di due operazioni definite nellinsieme P(Z) delle parti di Z. Il fatto notevole e
che linsieme Zn , il quale e ovviamente un sottoinsieme di P(Z), e stabile rispetto a tali
operazioni, risultando
(Esercizio!). Si noti che queste uguaglianze sono in accordo con quanto visto nellEser-
cizio 1.15.3, a). A questo punto il lettore provi per esercizio che Zn , con laddizione
(2.5.3) e la moltiplicazione (2.5.4), `e un anello commutativo. Per questa ragione Zn viene
chiamato lanello degli interi mod. n, considerando tacitamente in esso le operazioni
(2.5.3) e (2.5.4), oppure il gruppo (additivo) degli interi mod. n, se ci si interessa solo
alladdizione.
Nella pratica `e comodo rappresentare gli elementi di Zn con i numeri 0, 1, 2, . . . , n 1,
cio`e i possibili resti della divisione per n. Cos`, se r, s {0, 1, 2, . . . , n1}, allora [r]+[s] =
[v] e [r][s] = [w], dove v e w sono i resti delle divisioni per n di r + s e rs rispettivamente.
CAPITOLO 2. LE STRUTTURE ALGEBRICHE 73
+ 0 1 2 0 1 2
0 0 1 2 0 0 0 0
Z3 :
1 1 2 0 1 0 1 2
2 2 1 0 2 0 2 1
+ 0 1 2 3 0 1 2 3
0 0 1 2 3 0 0 0 0 0
Z4 : 1 1 2 3 0 1 0 1 2 3
2 2 3 0 1 2 0 2 0 2
3 3 0 1 2 3 0 3 2 1
+ 0 1 2 3 4 0 1 2 3 4
0 0 1 2 3 4 0 0 0 0 0 0
1 1 2 3 4 0 1 0 1 2 3 4
Z5 :
2 2 3 4 0 1 2 0 2 4 1 3
3 3 4 0 1 2 3 0 3 1 4 2
4 4 0 1 2 3 4 0 4 3 2 1
+ 0 1 2 3 4 5 0 1 2 3 4 5
0 0 1 2 3 4 5 0 0 0 0 0 0 0
1 1 2 3 4 5 0 1 0 1 2 3 4 5
Z6 : 2 2 3 4 5 0 1 2 0 2 4 0 2 4
3 3 4 5 0 1 2 3 0 3 0 3 0 3
4 4 5 0 1 2 3 4 0 4 2 0 4 2
5 5 0 1 2 3 4 5 0 5 4 3 2 1
Esercizio 2.5.9. Provare che Z2 , Z3 e Z5 sono campi, mentre Z4 e Z2 non lo sono.
In realt`a, come vedremo pi`
u avanti, Zn `e un campo esattamente quando n `e un numero
primo (vedi Teorema 4.2.11).
Esercizio 2.5.10. Stabilire se linsieme P(Z) delle parti di Z, con laddizione e molti-
plicazione definite rispettivamente dalle (2.5.1) e (2.5.2), `e un anello.
a a0 c c0
= 0 e = 0, (2.6.3)
b b d d
allora
ad + bc a0 d0 + b0 c0 ac a0 c 0
= e = . (2.6.4)
bd b0 d0 bd b0 d0
Infatti, tenuto conto che le (2.6.3) si traducono rispettivamente nelle
abbiamo
(ad + bc)b0 d0 = ab0 dd0 + bb0 cd0 = a0 bdd0 + bb0 c0 d = (a0 d0 + b0 c0 )bd
e
(ac)(b0 d0 ) = ab0 cd0 = a0 bc0 d = (a0 c0 )(bd),
da cui le (2.6.4). Lasciamo al lettore la facile ma noiosa dimostrazione della proposizione
che segue; per essa va usata semplicemente la naturale struttura di anello commutativo
di Z.
ad 6 bc = a0 d0 6 b0 c0 . (2.6.7)
Da queste segue limplicazione (2.6.7). Il passo successivo `e provare che la relazione 600
in Q definita dalla (2.6.6) `e effettivamente un ordinamento. Evidentemente, per ogni
a
Q risulta
b
a a
6 .
b b
a c
dato che ab 6 ab. Inoltre, dati , Q, se
b d
a c c a
6 e 6 ,
b d d b
a c a c e
ossia ad 6 bc e bc 6 ad, allora ad = bc, per cui = , Infine, siano , , Q e
b d b d f
supponiamo che sia
a c c e
6 e 6 ,
b d d f
cio`e ad 6 bc e cf 6 ed. Come visto poco sopra, allo scopo di provare che risulta di
a e
conseguenza 6 , possiamo supporre che i denominatori b, d, f siano positivi. Allora
b f
abbiamo, tenuto conto dellEsercizio 1.6.1, b):
per cui af d 6 bcf 6 bed. Da questa, tenuto conto dellEsercizio 1.6.1, d), otteniamo
a e
af 6 bcf 6 be, per cui = . Possiamo concludere che la relazione 6 in Q definita
b f
dalla (2.6.6) `e un ordinamento, che chiamiamo ancora ordinamento naturale di Q.
CAPITOLO 2. LE STRUTTURE ALGEBRICHE 76
Propriet`
a di isotonia rispetto alladdizione:
Propriet`
a di isotonia per fattori positivi rispetto alla moltiplicazione:
In virt`
u di tali propriet`a si dice che Q `e un campo ordinato.
per ogni x, y R, se x < y allora esiste almeno un z Q tale che x < z < y.
(2) R `e completo, nel senso che ogni sottoinsieme di R limitato superiormente (rispett.
limitato inferiormente) ha un estremo superiore (rispett. un estremo inferiore).
(3) propriet`
a archimedea:
per ogni x, y R, se y 6= 0 allora esiste un numero intero n tale che x < ny.
Si pu`o dimostrare che esiste almeno un campo ordinato con le condizioni imposte in
tale definizione e che, inoltre, due di tali campi sono necessariamente isomorfi (vedi la
Definizione 4.2.1). Si pu`o inoltre dimostrare che, dato un numero reale positivo a e un
intero n > 1, esiste un numero reale b tale che bn = a. Il numero b si chiama la radice
1
n-esima di a e si indica con n a, oppure a n .
Circa la propriet`a (2) di completezza di cui alla definizione precedente, `e importante
osservare che il campo ordinato Q non `e completo in quel senso. A titolo di esempio,
consideriamo i sottoinsiemi
A = {x Q+ | x2 < 2}, B = {y Q+ | 2 6 y 2 }.
` facile controllare che A `e limitato superiormente in Q, mentre B `e limitato inferiormente
E
in Q. Si pu`o dimostrare (noi non lo faremo) che se A avesse estremo superiore u in
2
questo sarebbe anche lestremo inferiore per B e risulterebbe u = 2, ossia
Q, u =
2. Tuttavia, come proveremo pi` u avanti (vedi la Proposizione 3.5.17), risulta 2 6 Q.
Dunque Q non `e completo, perche A non ha estremo superiore in Q e B non ha estremo
inferiore in Q.
Ogni numero reale positivo x ha ununica rappresentazione decimale; precisamente
esiste ununica successione finita a0 , a1 , a2 , . . . , an e ununica successione non necessaria-
mente finita b1 , b2 , b3 , . . ., dove ai , bj variano nellinsieme delle cifre decimali
{0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9}
x = a0 a1 a2 . . . an , b1 b2 . . . .
Esercizio 2.6.8. Per funzione reale di una variabile reale si intende una funzione
che ha per dominio un sottoinsieme di R e per codominio R. Dato un sottoinsieme
C R, consideriamo linsieme RC di tutte le funzioni reali che hanno C per dominio e,
se f, g RC , definiamo la funzione somma f + g : C R nel modo seguente:
Provare che linsieme RC di tutte le funzioni reali che hanno C per dominio `e un anello
commutativo rispetto alladdizione ed alla moltiplicazione definita dalle (2.6.9) e (2.6.10)
rispettivamente. Pu`o mai essere un campo?
CAPITOLO 2. LE STRUTTURE ALGEBRICHE 79
2.7 Matrici.
Generalmente parlando, dato un insieme X e due interi positivi m, n, una matrice ad m
righe e n colonne, oppure una matrice di formato (o tipo) m n `e una qualunque
funzione A : m n X. Se i m, j n, lelemento A(i, j) X che A associa alla
coppia (i, j) si chiama lelemento, o entrata, di posto (i, j) della matrice A e lo si
indica di solito con Aij , mentre la matrice A si rappresenta con una tabella scrivendo
A11 A12 . . . A1n
A21 A22 . . . A2n
A = .. .. .
..
. . ... .
Am1 Am2 . . . Amn
Occasionalmente pu`o risultare conveniente indicare gli elementi di una matrice con lettere
minuscole, per esempio scrivendo aij in luogo di Aij . Linsieme di tutte le matrici di tipo
m n ad elementi in un insieme X ( insistiamo: `e linsieme X mn delle funzioni da m n
verso X) si indica con Mm,n (X). Naturalmente hanno particolare interesse le matrici di
tipo n n, nelle quali il numero delle righe `e uguale al numero delle colonne; una matrice
di questo tipo si chiama una matrice quadrata di ordine n e linsieme di tali matrici
si indica con Mn (X), anziche Mn,n (X). Dal Principio di Uguaglianza per le Funzioni
discende il Principio di Uguaglianza per le Matrici: due matrici A, B Mm,n (X) sono
uguali se e solo se per ogni i m, j m risulta Aij = Bij ; in particolare una matrice A
`e individuata quando, e solo quando, per ogni i m, j m viene specificato lelemento
Aij . Naturalmente si possono considerare anche matrici di formato 1 1 le quali, com`e
evidente, possono identificarsi con i singoli elementi di X.
Le matrici che a noi pi` u interessano sono quelle le cui entrate sono elementi di un
assegnato anello R, cio`e dove X = R. Per esempio, ecco alcune matrici con elementi nel
campo R:
0 0 0
2 3/5
0 3 3 4
1 ;
A= , B= 4 , C = 0 1 1 2 , D = 0
31 3 5 0 0 2
2 5 0 2
abbiamo cos`, rispettivamente, una matrice di tipo 2 3, una di tipo 4 3, una di tipo
1 4 ed una di tipo 4 1. Una matrice ad una riga viene anche detta matrice riga,
o semplicemente riga; analogamente una matrice ad una colonna viene detta matrice
colonna, o semplicemente colonna.
Data una matrice A Mm,n (X) e fissati i m, j n, le due particolari matrici
A1j
A2j
e Aj = ..
Ai = Ai1 Ai2 . . . Ain
.
Amj
si chiamano rispettivamente la i-esima riga e la j-esima colonna della matrice A, di
modo che Aij `e lelemento di X che si trova allincrocio della i-esima riga con la j-esima
CAPITOLO 2. LE STRUTTURE ALGEBRICHE 80
Da questo punto in poi, salvo diversamente specificato, consideriamo matrici con el-
ementi in un assegnato anello R. Vogliamo definire laddizione e la moltiplicazione
matriciali. Incominciamo con laddizione.
Definizione 2.7.1. Date due matrici A, B Mm,n (R), si definisce la matrice somma
A + B Mm,n (R) come segue: per ogni i m, j m
La (2.7.1) va letta come segue: per ogni i m, j m lentrata di posto (i, j) della
matrice A + B `e definita come la somma delle entrate di posto (i, j) delle matrici A e B,
utilizzando laddizione dellanello R, si intende. Per esempio, prendendo R = R, siano
1
2 1 2 0 1
A= , B= .
0 2 1 6 3 1
Allora
1
1 23
2+ 1 + 0 2
+1 2+
A+B = = .
0 + (6) 2 + 3 1 + 1 6 3 + 2 0
E ora facile provare che Mm,n (R), con laddizione (A, B) 7 A + B appena definita, `e un
gruppo abeliano il cui elemento neutro `e quella che si chiama la matrice nulla, cio`e la
matrice con tutte le entrate uguali a 0R ; inoltre per ogni matrice A Mm,n (R) lopposta
A `e la matrice definita da (A)ij = Aij per ogni i m, j m, cio`e lentrata di posto
(i, j) di A `e lopposta dellentrata di posto (i, j) di A.
Passiamo a definire la moltiplicazione fra matrici, cosiddetta righe per colonne.
Definizione 2.7.2. Dati degli interi positivi m, n, p e due matrici A Mm,n (R), B
Mn,p (R), si chiama matrice prodotto di A per B la matrice AB Mnp (R) definita da
n
X
(AB)ik := Ai1 B1k + Ai2 B2k + + Ain Bnk = Aij Bjk
j=1
per ogni i m, k p.
vogliamo calcolare la matrice C = AB M2,4 (Z). In base alla definizione C deve essere
una matrice a due righe e quattro colonne:
C11 C12 C13 C14
C= ,
C21 C22 C23 C24
dove
Dunque
3 5 0 21
C= .
5 3 6 3
Si comprende dalla definizione che il prodotto AB fra due matrici ha senso quando il
numero delle colonne di A coincide con il numero delle righe di B.
Il prodotto fra matrici `e associativo e distributivo rispetto alla somma, come appresso
specificato.
p
" n #
X X
= Aik (Bkh Chj ) per lassociativit`a della moltiplicazione in R,
h=1 k=1
n
" p #
X X
= Aik (Bkh Chj ) per la Proposizione 2.3.4,
k=1
n
" h=1 p
!#
X X
= Aik Bkh Chj per la distributivit`a della moltiplicazione
k=1 h=1
sulladdizione in R,
n
X
= [Aik (BC)kj ]
k=1
= (A(BC))ij .
U(m) A = A = AU(n) .
2
Qui e nel seguito, quando nella rappresentazione di una matrice certi elementi non vengono indicati,
si intende che questi sono uguali a 0R .
CAPITOLO 2. LE STRUTTURE ALGEBRICHE 83
A questo punto possiamo concludere che per ogni intero n > 0 laddizione e la moltipli-
cazione matriciali sopra definite danno allinsieme Mn (R) una struttura di anello: l anello
delle matrici quadrate di ordine n ad elementi nellanello R. E chiaro che M1 (R),
come anello, si identifica con R. Per n > 2 lanello Mn (R) non `e mai commutativo, perche
posto per esempio
0 0 0 ... 0
1 1 0 ... 0 1 1 0 . . . 0
0 0 0 . . . 0
0 0 0 . . . 0
A = .. .. .. . , B= ,
. . . . . . .. .. .. .. ..
. . . . . . .
0 0 0 ... 0
0 0 0 ... 0
risulta AB = A 6= B = BA.
Se A Mn (R) `e una matrice quadrata di ordine n, la sequenza (A11 , A22 , . . . , Ann ) si
chiama la diagonale principale di A. Per esempio, se
2 0 1
A = 4 1 1 , (2.7.4)
2 3 0
allora la diagonale principale di A `e (2, 1, 0). Anche per le matrici non quadrate a volte
`e utile far riferimento ad una diagonale privilegiata. Precisamente, sia A Nm,n (R);
se m > n, si chiama diagonale principale di A ancora la sequenza (A11 , A22 , . . . , Ann ),
mentre se m < n, si chiama diagonale principale di A la sequenza (A11 , A22 , . . . , Amm ).
Per esempio, se
3 0 5
1 4 2
2 3 0 3
B= 0 0 1 , C=
1 1 5 2
, (2.7.5)
6 2 0
1 1 1
La matrice trasposta si ottiene dunque ribaltando la matrice data rispetto alla sua
` evidente che per ogni matrice A risulta
diagonale principale. E
( A ) = A. (2.7.6)
3
2
6
b) 2 1 5 1 7 2 ;
6 5
(1/7) 2
4
3
2
6
c) 2 1 5 1 7 2 .
6 5
(1/7) 2
4
a c
Esercizio 2.7.7. Sia K un campo. Data una matrice M2 (K) con a 6= 0 6= b,
0 0 0 b
0 0
a c a c a c 1 0
determinare una matrice 0 M2 (K) in maniera che 0 = .
0 b 0 b 0 b 0 1
per ogni a R `e chiaramente biiettiva; inoltre essa rispetta le operazioni, nel senso che
risulta
come `e immediato verificare. In virt` u di questo fatto, usando una terminologia che in-
trodurremo pi`u avanti diremo che `e un isomorfismo dallanello R verso lanello S; per
questa ragione `e consentito, e risulta conveniente, identificare ogni elemento a R con la
corrispondente matrice scalare (a).
Una verifica diretta mostra subito che C `e un sottoanello commutativo di M2 (R). Seguendo
lindicazione di cui alla fine della sezione
precedente,
identifichiamo ogni numero reale a
a 0
con la corrispondente matrice scalare . In questa maniera il campo reale R viene
0 a
ad essere identificato con il sottoanello
a 0
aR
0 a
di C delle matrici scalari. Tradizionalmente la lettera i viene usata per indicare uno
speciale numero complesso, precisamente
0 1
i := .
1 0
2 1 0 a b
Allora i = = 1. In tal modo per ogni C abbiamo
0 1 b a
a b 1 0 a 0 0 1 b 0
= + = 1a + ib = a + ib.
b a 0 1 0 a 1 0 0 b
Dunque ciascun numero complesso si pu`o scrivere sotto la forma a + ib per degli unici
numeri reali a, b. Inoltre, presi due numeri complessi w = a + ib, z = c + id, abbiamo
a b c d a + c (b + d)
w+z = + = = a + c + i(b + d), (2.8.1)
b a d c b+d a+c
a b c d ac bd (ad + bc)
wz = = = ac bd + i(ad + bc). (2.8.2)
b a d c ad + bc ac bd
Come si vede, la rappresentazione sotto la forma a + ib per i numeri complessi offre il
vantaggio che con essa le operazioni di addizione e moltiplicazione si possono effettuare
utilizzando le consuete regole formali del calcolo letterale, oltre alla regola i2 = 1.
Definizione 2.8.2. Sia dato un numero complesso z = a+ib. Il numero reale a e il numero
complesso ib si chiamano rispettivamente la parte reale e la parte immaginaria di
z. Si chiama il coniugato di z il numero complesso z = a ib. Il numero reale (non
2 2
negativo)
p a + b = zz si chiama la norma di z e si indica con N (z), mentre il numero
reale N (z) si chiama il modulo di z e si indica con |z|.
w+z =w+z e wz = w z
per ogni w, z C.
b) Si provi che
N (wz) = N (w)N (z) e |wz| = |w||z|
per ogni w, z C.
Per come abbiamo definito i numeri complessi, dovrebbe essere chiaro che la legge
(a, b) 7 a + ib definisce una biiezione dallinsieme R2 delle coppie ordinate di numeri reali
verso C. Ci`o suggerisce di rappresentare i numeri complessi come i punti di un piano
euclideo reale P , nel quale si sia fissato un sistema di coordinate cartesiane ortonormali
(3 ). In tale contesto il piano P viene anche chiamato il piano di Argand-Gauss.
Precisamente, un numero complesso z = a + ib si rappresenta con il punto di ascissa a e
ordinata b, oppure (il che `e equivalente) con il vettore del piano, applicato allorigine, di
coordinate a, b rispetto alla base canonica i = (1, 0), j = (0, 1), il quale `e rappresentato
dal segmento orientato di origine il punto O = (0, 0) e termine il punto (a, b) (vedi figura).
b z
*
j 6
- -
O i a
Chiaramente il numero |z| = a2 + b2 `e anche il modulo (= lunghezza) del vettore che
rappresenta z. Viceversa, `e evidente che ogni vettore del piano, applicato allorigine,
rappresenta un unico numero complesso. In questo contesto gli assi Ox e Oy si dicono
rispettivamente lasse reale e lasse immaginario. Naturalmente un numero complesso
z `e reale se e solo se `e rappresentato da un punto dellasse Ox. E interessante osservare
che il vettore che rappresenta la somma w + z di due numeri complessi w, z coincide con
la somma dei vettori (secondo la nota regola del parallelogramma) che rappresentano w
e z, come subito si deduce dalla (2.8.1).
3
Significa scegliere gli assi coordinati perpendicolari fra loro, con i punti unit`a alla stessa distanza
dallorigine.
CAPITOLO 2. LE STRUTTURE ALGEBRICHE 88
Definizione 2.8.5. Dato un numero complesso non nullo z = a+ib, si chiama argomen-
to di z, e si indica con Arg(z), la misura (compresa tra 0 e 2) (4 ) dellangolo orientato
formato dalla semiretta positiva Ox e la semiretta di origine O passante per il punto di
coordinate (a, b).
Dalla definizione segue che, dati w, z C , risulta
w = z se e solo se |w| = |z| e Arg(w) = Arg(z). (2.8.3)
Posto = |z| e = Arg(z), dalla definizione precedente risulta
a = cos , b = sen , (2.8.4)
quindi
z = (cos + i sen ). (2.8.5)
Questultima prende il nome di rappresentazione trigonometrica o polare di z.
Viceversa, dati due numeri reali , con > 0, resta definito il numero complesso z
dato dalla (2.8.5). Con la rappresentazione trigonometrica il prodotto di due numeri
complessi assume un nuovo aspetto, come illustrato di seguito.
Proposizione 2.8.6. (Formula di De Moivre) Per ogni , 0 , , 0 R con , 0 > 0,
risulta
(cos + i sen ) 0 (cos 0 + i sen 0 ) = 0 (cos( + 0 ) + i sen( + 0 )). (2.8.6)
Come conseguenza, per ogni n Z risulta
((cos + i sen ))n = n (cos (n) + i sen (n0 )). (2.8.7)
Dimostrazione. Il calcolo `e diretto, avendosi
(cos + i sen ) 0 (cos 0 + i sen 0 )
= 0 (cos cos 0 sen sen 0 + i sen cos 0 + i cos sen 0 )
= 0 (cos( + 0 ) + i sen( + 0 )).
z = cos + i sen U.
Preso un intero k Z qualunque, operiamo la sua divisione per n con resto, scrivendo cio`e
k = nq + r per degli unici q, r Z con 0 6 r 6 n 1 (Teorema 1.6.3). Allora troviamo
che
z1k = z1nq+r = z1nq z1r = (z1n )q z1r = 1q z1r = z1r
Di conseguenza Un non ha pi`
u di n elementi:
oppure, pi`
u esplicitamente,
2 2 4 4 2(n 1) 2(n 1)
Un = 1, cos + i sen , cos + i sen , . . . , cos + i sen .
n n n n n n
CAPITOLO 2. LE STRUTTURE ALGEBRICHE 90
In realt`a Un possiede esattamente n elementi, dato che quelli indicati nella (2.9.1) sono
effettivamente distinti. Infatti, se r, s fossero due interi tali che 0 6 r < s 6 n 1 e
z1r = z1s , allora avremmo
2(s r) 2(s r)
1 = z1sr = cos + i sen ,
n n
per cui vi sarebbe un k Z tale che
2(s r)
= 2k,
n
da cui s r = kn. Ci`o `e assurdo perche risulta 0 < s r < n.
Esercizio 2.9.2. Dato un intero n > 0, si provi che le radici n-esime di 1 sono rappre-
sentate nel piano di Argand-Gauss dai vertici del poligono regolare di n lati inscritto nella
circonferenza di centro lorigine e raggio 1, di cui un vertice coincide con il punto (1, 0).
Capitolo 3
I GRUPPI
Ricordiamo che un gruppo `e un monoide nel quale ogni elemento `e simmetrizzabile (vedi
la Definizione 2.1.3). Il nostro programma in questo capitolo `e quello entrare in maggiore
dettaglio nella struttura dei gruppi. Per questo scopo `e innanzi tutto necessario introdurre
il concetto generale di omomorfismo fra strutture algebriche.
3.1 Omomorfismi.
Definizione 3.1.1. Siano G = (G, ) e G0 = (G0 , ) due gruppoidi. Si dice che una
funzione f : G G0 `e un omomorfismo se:
f (u) = u0 .
91
CAPITOLO 3. I GRUPPI 92
Con questa definizione possiamo vedere come la Proposizione 2.4.2 ammette la seguen-
te estensione, nel caso di un gruppo.
Dimostrazione. Per quanto riguarda le (2.4.1) e (2.4.2) basta usare il fatto che esse
valgono per esponenti non negativi e il Lemma 2.4.3. Dunque, dati m, n N, abbiamo
ad esempio:
am bn = (am )1 bn = bn (am )1 = bn am .
Inoltre
Considerando poi lunico omomorfismo f : Z G tale che f (1) = a, per il Lemma 3.1.5
abbiamo
an = (an )1 = f (n)1 = f (n)
per ogni n N. Dunque per ogni m, n N abbiamo
Ci`o prova che la (2.4.3) vale per ogni m, n Z. Per ogni m, n N abbiamo ora:
per ogni m N. Basta infatti osservare che (si usi la (2.4.2) ponendo a1 , a, m in luogo
di a, b, n rispettivamente, ricordando che a1 a = u = aa1 )
Dunque la tesi.
Regola (B) Ogni elemento di G possiede un solo inverso (od opposto se G `e notato
additivamente).
(a1 )1 = a, (ab)1 = b1 a1
xa = b, ax = b
a0 = u, a1 = a,
(a1 )n = an = (an )1 ,
am+n = am an ,
(am )n = amn = (an )m .
0a = 0, 1 a = a, (3.2.1)
n(a) = (n)a = (na),
(m + n)a = ma + na,
n(ma) = (nm)a = m(na),
n(a + b) = na + nb.
Si faccia attenzione alla prime delle (3.2.1): il simbolo 0 nel primo membro indica il
numero zero, mentre nel secondo membro indica lelemento neutro di G.
(1) u H;
Dalla definizione segue immediatamente che G stesso e {u} sono in modo ovvio sot-
togruppi di G : essi si dicono i sottogruppi banali di G. Ogni sottogruppo di G distinto
da G si chiama sottogruppo proprio. Per indicare che H `e un sottogruppo di G usere-
mo la notazione H 6 G. Con la proposizione che segue elenchiamo dei criteri alternativi
che possono risultare utili nel decidere se un dato sottoinsieme di un gruppo `e un suo
sottogruppo.
(1) H `e un sottogruppo di G.
(2) H `e una parte stabile di G che e un gruppo rispetto alloperazione indotta da quella
di G.
Esempio 3.3.1. Nellesempio 2.2.5 abbiamo introdotto il gruppo S(A) delle permu-
tazioni di un qualunque insieme A. In particolare, per ogni intero positivo n abbia-
mo il gruppo simmetrico Sn di grado n, cio`e il gruppo delle permutazioni dellinsieme
{1, 2, . . . , n}. Ricordiamo che Sn ha ordine n! (Corollario 1.13.7). Con n = 3, il gruppo S3
fornisce il primo esempio di gruppo non commutativo. Per compilarne la tavola pitagorica,
poniamo
1 2 3 1 2 3 1 2 3 1 2 3
1= , = , = , = ,
1 2 3 1 3 2 3 2 1 2 1 3
1 2 3 1 2 3
= , = .
2 3 1 3 1 2
Notiamo allora che valgono le seguenti uguaglianze (per semplicit`a usiamo la notazione
moltiplicativa):
2 = 2 = 2 = 1,
= = = ,
= = = .
Esercizio 3.3.5. Provare che linsieme delle simmetrie di una figura F di un piano `e
un sottogruppo del gruppo S() delle permutazioni di .
Figura 3.1:
a b
2
2
3 1
3 1
Figura 3.2:
CAPITOLO 3. I GRUPPI 101
1 R R2 R3 D RD R2 D R3 D
1 1 R R2 R3 D RD R2 D R3 D
R R R2 R3 1 RD R2 D R3 D D
R2 R2 R3 1 R R2 D R3 D D RD
R3 R3 D 1 R R2 R3 D D RD R2 D
D D R3 D R2 D RD 1 R3 R2 R
RD RD D R3 D R2 D R 1 R3 R2
R2 D R2 D RD D R3 D R2 R 1 R3
R3 D R3 D R2 D RD D R3 R2 R 1
Esercizio 3.3.7. Provare che se P e Q sono due poligoni regolari aventi uno stesso
numero di lati, allora i loro gruppi delle simmetrie sono isomorfi.
` vero che per ogni intero n > 3 i gruppi Sn e Dn sono isomorfi?.
Esercizio 3.3.8. E
Esercizio 3.3.11. Studiare il gruppo delle simmetrie di un triangolo isoscele non equi-
latero.
dove k N, x1 , x2 , . . . , xk X e m1 , m2 , . . . , mk Z.
Dimostrazione. Indichiamo con H linsieme di tutti gli elementi del tipo (3.4.1). Per
provare che H = hXi basta mostrare che H `e un sottogruppo di G, che H contiene X e
che H `e a sua volta contenuto in ogni sottogruppo di G contenente X. Risulta X H,
dato che se x X, allora x pu`o essere scritto nella forma (3.4.1) prendendo k = 1, x1 = x
CAPITOLO 3. I GRUPPI 104
e m1 = 1. Ora H `e stabile perche, com`e evidente, il prodotto di due elementi del tipo
(3.4.1) `e a sua volta un elemento dello stesso tipo. Inoltre u H, perche u pu`o essere
scritto nella forma (3.4.1) prendendo k, x1 , x2 , . . . , xk arbitrari e m1 = m2 = = mk = 0.
Infine, dati k N, x1 , x2 , . . . , xk X e m1 , m2 , . . . , mk Z abbiamo
mk 1
(xm1 m2
1 x2 xk ) = xm
k
k
xm
2
2 m1
x1 ,
tenuto conto delle regole di calcolo in un gruppo. Dunque linverso di un elemento del
tipo (3.4.1) `e a sua volta un elemento dello stesso tipo. Con ci`o abbiamo provato che H
`e un sottogruppo di G e X H. Per finire, se K `e un sottogruppo di G tale che X K,
allora in K vi sono, oltre agli elementi di X, anche tutte le potenze con esponente intero
relativo degli elementi di X, nonche tutti i prodotti finiti di tali potenze. Dunque H K,
come volevamo.
m1 x1 + m2 x2 + + mk xk , (3.4.2)
mk
g(a) = g(xm 1 m2
1 x2 xk )
= g(x1 )m1 g(x2 )m2 g(xk )mk
= f (x1 )m1 f (x2 )m2 f (xk )mk
mk
= f (xm 1 m2
1 x2 xk )
= f (a).
Dunque g = f .
X + Y := {x + y | x X, y Y }.
Proposizione 3.4.8. Se G e G0 sono due gruppi isomorfi, allora i rispettivi reticoli dei
sottogruppi sono isomorfi. Precisamente, se f : G G0 un isomorfismo, allora la funzione
G(f ) : G(G) G(G0 ) definita da G(f )(H) = f (H), per ogni H G(G), `e un isomorfismo
dordine.
Se due gruppi G, G0 sono isomorfi, allora tutte le propriet`a delluno, espresse in termini
algebrici, si trasferiscono allaltro. Cos`, per esempio, G `e finitamente generato se e solo
se lo `e G0 , G `e ciclico se e solo se lo `e G0 : si tratta di due immediate conseguenze della
Proposizione 3.4.4. Inoltre G `e abeliano se e solo se lo `e G0 . Spesso ci si trova di fronte
ad un gruppo G definito in modo del tutto astratto. In questa circostanza il problema
tipico consiste nel mostrare che G `e isomorfo a qualche gruppo concreto G0 , scelto in
una lista di gruppi standard abbastanza noti. A quel punto tutte le informazioni che
possiediamo su G0 ci forniranno delle corrispondenti informazioni sulla struttura di G.
(2) dZ = x1 Z + x2 Z + + xn Z.
(3) d `e il pi`
u piccolo intero positivo che si pu`o scrivere sotto la forma
d = x1 y1 + x2 y2 + + xn yn (3.5.1)
per certi y1 , y2 , . . . , yn Z.
(1)(2) Supponiamo la (1). Allora ogni xi `e multiplo di d e quindi xi Z dZ in base
al Lemma 3.5.2, per cui
x1 Z + x2 Z + + xn Z dZ. (3.5.2)
Per il Teorema 3.5.1 esiste un unico intero positivo d0 tale che d0 Z = x1 Z+x2 Z+ +xn Z.
Di conseguenza, da un lato d0 `e un divisore di ciascun xi e quindi d0 6 d, dallaltro lato la
(3.5.2) implica che d | d0 per il Lemma 3.5.2. Concludiamo che d0 = d e quindi la (3).
(2)(1) Assumiamo la (2). Allora ciascun xi appartiene a dZ e quindi d divide tutti
gli xi . Sia d0 > 0 anchesso un divisore comune degli xi e mostriamo che, di conseguenza,
d0 divide d, dal che seguir`a d0 6 d e quindi la (1). Per il Lemma 3.5.2 risulta xi Z d0 Z,
per cui
dZ = x1 Z + x2 Z + + xn Z d0 Z.
Dunque d0 | d, come volevamo.
Lequivalenza (2)(3) segue dal Teorema 3.5.1, tenuto conto dellosservazione prece-
dente.
1 = x1 y1 + x2 y2 + + xn yn .
mZ = x1 Z x2 Z xn Z. (3.5.3)
I numeri primi svolgono un ruolo di primaria importanza nella teoria della divisibilit`a
in Z, per via del loro comportamento caratteristico illustrato dalla seguente proposizione.
x1 x2 = hp. (3.5.4)
per cui p divide x2 . Procedendo per induzione, dato n > 2, supponiamo che se p divide il
prodotto di n interi, allora p divide almeno uno di essi. Mostriamo che, di conseguenza, p
verifica la stessa propriet`a per n + 1 interi. Se p divide x1 x2 xn xn+1 = (x1 x2 xn )xn+1
ma non divide xn+1 , per quanto sopra dimostrato p divide x1 x2 xn . Allora, per lipotesi
induttiva p divide almeno uno degli x1 , x2 , . . . , xn .
Viceversa, supponiamo che p verifichi la propriet`a di cui allenunciato e mostriamo
che, di conseguenza, p `e primo. Supposto, per assurdo, che p abbia un divisore proprio,
allora ne avrebbe uno d > 1, per cui vi sarebbe un intero positivo q tale che
p = dq. (3.5.5)
Ora p divide ovviamente p e quindi anche dq, per cui p divide d oppure q. Ci`o `e impos-
sibile perche, essendo d > 1 e d 6= p, dalla (3.5.5) segue d < p e q < p. Dunque p deve
essere primo.
CAPITOLO 3. I GRUPPI 110
Esercizio 3.5.10. Sia p un numero primo e n un intero positivo. Dati due interi non
nulli x1 , x2 , provare che se pn divide x1 x2 e p non divide x1 , allora pn divide x2 (Sugg.:
Induzione su n.).
Ogni intero positivo ammette una scomposizione in fattori primi, nel senso precisato
dal seguente teorema, noto per motivi storici come il Teorema Fondamentale dellArit-
metica
Teorema 3.5.11. Per ogni intero x > 1 esiste una successione finita (p1 , p2 , . . . , pr ) di
numeri primi tale che
x = p1 p2 pr . (3.5.6)
Tale fattorizzazione di x `e essenzialmente unica, nel senso che se anche (q1 , q2 , . . . , qs ) `e
una successione di numeri primi tale che x = q1 q2 qs , allora s = r e la successione
(q1 , q2 , . . . , qs ) differisce dalla (p1 , p2 , . . . , pr ) al pi`
u per lordine nel quale si susseguono gli
elementi.
Dimostrazione. Sia A linsieme degli interi maggiori di 1 che non sono prodotto di
numeri primi e supponiamo, per assurdo, che sia A 6= . Dato che A N, per il Principio
del Minimo in A vi `e il minimo, sia questo z. Ora z non pu`o essere primo, per come
abbiamo preso A, quindi z ha un divisore proprio positivo h e possiamo scrivere z = hk
per qualche intero k > 1. Dovendo essere h < z e k < z, segue h, k 6 A. Di conseguenza
h e k sono ambedue prodotto di numeri primi e quindi lo `e anche z = hk, in contrasto
con il fatto che z A. Concludiamo che deve essere A = , il che prova la prima parte
del teorema.
Proveremo lunicit`a della scomposizione in fattori primi (3.5.6) procedendo per in-
duzione su r. Se r = 1 lunicit`a `e immediata, dato che un singolo numero primo non pu`o
essere prodotto di pi`u numeri primi. Supponiamo che, per un dato r > 1, ogni intero
maggiore di 1 che `e prodotto di r numeri primi abbia fattorizzazione essenzialmente unica
e supponiamo che un intero x > 1 abbia due fattorizzazioni
x = p1 p2 pr pr+1 = q1 q2 qs , (3.5.7)
p1 p2 pr = q1 q2 qs1 .
Una prima conseguenza del teorema precedente `e il fatto che linsieme dei numeri
primi `e infinito.
CAPITOLO 3. I GRUPPI 111
P = {p1 , p2 , . . . , pn }.
Corollario 3.5.13. Degli interi non nulli x1 , x2 , . . . , xn sono relativamente primi se e solo
se non sono divisibili per uno stesso numero primo.
Nota 3.5.14. Si osservi che nel secondo membro della (3.5.6) ciascun numero primo pi
pu`o comparire pi` u volte; comunque, riordinando eventualmente i fattori, si vede che x
pu`o essere scritto come prodotto di potenze di numeri primi distinti.
dove uj = inf(h1j , h2j , . . . , hnj ) e vj = sup(h1j , h2j , . . . , hnj ) per ogni j r. Di conseguen-
za, per n = 2 risulta
Proposizione 3.5.17. Se p `e un numero primo e n `e un intero tale che n > 2, non esiste
alcun numero razionale x tale che xn = p. In altri termini, la radice n-esima di p non `e
un numero razionale.
Dimostrazione. Supponiamo che, al contrario, vi sia un x Q tale che xn = p e
a
scriviamo x = , dove a, b sono relativamente primi (Proposizione 3.5.16). Dunque risulta
b
an
= p, per cui
bn
an = pbn . (3.5.11)
Di conseguenza p divide an , per cui p divide a (Proposizione 3.5.9) ma non divide b.
Dunque a = pc per un c Z e quindi dalla (3.5.11) segue che pn cn = pbn . Da questa
deduciamo che
pn1 cn = bn .
Siccome n 1 > 1, dallultima uguaglianza segue che p divide bn e quindi anche b (ancora
la Proposizione 3.5.9), quando invece avevamo appena osservato che p non divide b. La
contraddizione ottenuta prova che quel numero razionale x non esiste.
aH = {ah | h H} , Ha = {ha | h H}
G/LH = LH e G/RH = RH ;
CAPITOLO 3. I GRUPPI 114
(2) a bH.
(3) aH = bH.
(4) b1 a H.
(5) a1 b H.
(6) RH (a1 , b1 ).
(7) a1 Hb1 .
Esercizio 3.6.3. Sia G un gruppo, sia H un suo sottogruppo e sia a G. Provare che
le seguenti tre condizioni sono equivalenti:
(1) aH = H.
(2) a H.
(3) aH `e un sottogruppo di G
Proposizione e Definizione 3.6.4. Sia G un gruppo e sia H un suo sottogruppo.
Allora vi `e una funzione biiettiva da LH verso RH . Di conseguenza, se G `e finito, allora
|LH | = |RH |; tale numero si chiama lindice di H in G e si indica con il simbolo (G : H).
CAPITOLO 3. I GRUPPI 115
Teorema 3.6.5 (Teorema di Lagrange). Sia G un gruppo finito e sia H un suo sot-
togruppo. Allora lordine di H `e un divisore dellordine di G; precisamente vale la seguente
uguaglianza:
|G| = (G : H)|H|.
Facciamo notare che il Teorema di Lagrange non si inverte!, nel senso che se G `e un
gruppo di ordine n e un intero positivo h divide n, ci`o non comporta necessariamente che
in G vi sia qualche sottogruppo di ordine h. Mentre ci`o `e vero p. es. quando G `e un
gruppo ciclico finto (vedi il Teorema 3.9.2), vedremo pi` u avanti un esempio di gruppo di
ordine 12 sprovvisto di sottogruppi di ordine 6 (vedi lEsercizio 3.11.6).
(1) H G.
H K = HK = KH
Dunque HK G.
Dalla proposizione precedente segue che linsieme N (G) dei sottogruppi normali di un
gruppo G `e un sottoreticolo del reticolo G(G) di tutti i sottogruppi di G.
I sottogruppi normali di un gruppo G sono strettamente legati a delle speciali relazioni
di equivalenza in G, che ora andiamo a definire.
Definizione 3.7.9. Una relazione di equivalenza R in un gruppo G si dice compatibile
(con loperazione di G) se vale la seguente propriet`a:
Per esempio, dato un numero naturale n, sappiamo che nel gruppo Z la congruenza
mod. n `e compatibile con laddizione (vedi lEsercizio 1.15.3, a)).
Sia G un gruppo e sia H un sottogruppo normale di G. Allora le classi laterali sinistre
modulo H (che ora sono anche le classi laterali destre) formano una partizione di G e
quindi individuano una relazione di equivalenza in G; si tratta di dichiarare equivalenti due
elementi di G che si trovano nella stessa classe laterale. Precisamente, se a, b G, diciamo
che a `e congruo a b modulo H , abbreviando con a b mod. H, se aH = bH, cio`e se
b1 a H (si tenga presente il Lemma 3.6.2); chiamiamo tale relazione di equivalenza la
congruenza modulo H. Per esempio, nel gruppo Z la congruenza modulo un numero
naturale n e la congruenza modulo il sottogruppo nZ sono la stessa cosa. Sottolineiamo
che per il Lemma 3.6.2 risulta:
a R b se e solo se aH = bH.
per cui
(aH)1 = a1 H.
CAPITOLO 3. I GRUPPI 119
Definizione 3.7.11. Con le notazioni di cui sopra, il gruppo G/H si chiama il gruppo
quoziente di G rispetto ad H. La funzione : G G/H definita da
Daltra parte, se a f 1 (f (H)), allora f (a) f (H), ossia esiste un h H tale che
f (a) = f (h), da cui f (ah1 ) = u0 e quindi ah1 Ker(f ). Di conseguenza a = ah1 h
(Ker(f ))H. Concludiamo che f 1 (f (H)) (Ker(f ))H e quindi luguaglianza.
(3) `e una diretta conseguenza di (2).
: G(N, G) G(G/N )
definita da (H) = H/N per ogni H G(N, G). Se prendiamo un altro sottogruppo
K G(N, G) ed `e H K, allora chiaro che H/N K/N , per cui `e una funzione
CAPITOLO 3. I GRUPPI 121
crescente. Vogliamo provare che `e un isomorfismo dordine, cio`e che possiede uninversa
anchessa crescente; questo comporter`a che ogni sottogruppo di G/N `e della forma H/N
per un unico sottogruppo H di G contenente N . Definiamo dunque la funzione
: G(G/N ) G(N, G)
((H 0 )) = ( 1 (H 0 )) = ( 1 (H 0 )) = H,
Inoltre risulta:
1
Intendiamo dire che f = f .
CAPITOLO 3. I GRUPPI 122
Il risultato che segue `e una prima importante conseguenza del teorema precedente.
Corollario 3.8.9 (Primo teorema di isomorfismo). Sia f : G G0 un omomorfismo
di gruppi. Allora vi `e un isomorfismo
f : G/ Ker(f ) Im(f )
definito da
f (a Ker(f )) = f (a) per ogni a Ker(f ) G/ Ker(f ). (3.8.3)
Dimostrazione. Consideriamo la funzione g : G Im(f ) definita da g(a) = f (a) per
ogni a G; in sostanza g non `e che la funzione f nella quale abbiamo alterato il
codominio, sopprimendo gli eventuali elementi di G0 che non si trovano in Im(f ) = f (G).
Evidentemente g `e suriettiva; essa `e un omomorfismo perche lo `e f . Dunque g `e un
epimorfismo e, ovviamente, Ker(g) = Ker(f ). Il Teorema 3.8.8, nel quale si pone rispet-
tivamente Im(f ) e g al posto di G0 ed f e si pone N = Ker(g) = Ker(f ), ci fornisce
direttamente la tesi attuale.
CAPITOLO 3. I GRUPPI 123
G = {ah | h Z},
oppure
G = {ha | h Z},
a seconda che loperazione di G sia notata moltiplicativamente o additivamente. Ogni
gruppo G contiene sottogruppi ciclici; preso un singolo elemento a G, se a non genera
lintero G, abbiamo comunque il sottogruppo ciclico hai = {ah | h Z} generato da
a. Quanto ad esempi concreti di gruppi ciclici, innanzi tutto disponiamo del gruppo
additivo Z degli interi. Se n `e un intero positivo, il gruppo Zn degli interi mod. n `e
ciclico di ordine n ed `e generato da [1] = 1 + nZ, com`e immediato verificare. Anche il
gruppo moltiplicativo Un delle radici n-esime complesse del numero 1 `e ciclico di ordine
n, essendo generato dal numero z1 = cos 2 n
+ i sen 2
n
(Sezione 2.9). Supponiamo, dunque,
che G sia un gruppo ciclico generato da un suo elemento a. Per il Teorema 3.1.7 possiamo
considerare lomomorfismo : Z G definito da (h) = ah , per ogni h Z, il quale
`e un epimorfismo perche Im() = {ah | h Z} = G. In base al Primo Teorema di
Isomorfismo (Corollario 3.8.9) abbiamo allora un isomorfismo : Z/ Ker() G definito
da (h + Ker()) = ah . Tenuto conto del Teorema 3.5.1, abbiamo che Ker() = nZ per
un unico intero n > 0. Se G `e finito, `e evidente che non pu`o essere iniettivo e quindi
Ker() 6= {0}, per cui n > 0 e `e un isomorfismo da Zn verso G; come si vede n `e
precisamente lordine di G. Se G `e infinito, per quanto appena visto deve essere n = 0,
ossia Ker() = {0} e quindi `e un isomorfismo. Abbiamo dunque dimostrato il teorema
che segue.
Teorema 3.9.1 (Teorema di Struttura dei Gruppi Ciclici). Sia G un gruppo ciclico
e sia a un suo generatore.
G = {u = a0 , a1 , a2 , . . . , an1 },
dove gli elementi indicati sono distinti. Di conseguenza an = u e n divide ogni intero
h tale che ah = u; in particolare n `e il pi`
u piccolo intero positivo tale che an = u.
Passiamo ora allo studio dei sottogruppi di un gruppo ciclico. Supponiamo che G sia
un gruppo ciclico finito di ordine n e consideriamo lisomorfismo : Zn G di cui al
Teorema 3.9.1. In base alla Proposizione 3.4.8 abbiamo allora lisomorfismo di reticoli
G() : G(Zn ) G(G) definito da G()(H) = (H) per ogni sottogruppo H di Zn . Di
conseguenza, ogni informazione che possiamo ottenere analizzando i sottogruppi di Zn ci
CAPITOLO 3. I GRUPPI 124
fornir`a uninformazione sui sottogruppi di G. Dato che Zn = Z/nZ, per il Teorema 3.8.6 i
sottogruppi di Zn sono tutti e solo della forma L/nZ, dove L `e un sottogruppo di Z conte-
nente nZ, ossia L = rZ/nZ, dove r `e un divisore positivo di n (vedi il Lemma 3.5.2). Indi-
cando con D(n) linsieme dei divisori positivi di n, la funzione : D(n) G(Zn ) definita
da (r) = rZ/nZ `e biiettiva (perche?), per cui la composizione = G() : D(n) G(G)
`e anchessa biiettiva; precisamente, per ogni r D(n) risulta:
Per quanto riguarda lordine di har i, posto n = rs, lasciamo al lettore per esercizio la prova
del fato che |rZ/nZ| = |har i| = s. Concludiamo che lassegnazione r 7 har i definisce una
biiezione da D(n) verso linsieme G(G) dei sottogruppi di G, i quali sono dunque tutti
ciclici.
Occupiamoci ora del caso in cui G `e infinito. Ancora dal Teorema 3.9.1 abbiamo
lisomorfismo : Z G definito da (h) = ah , il quale induce lisomorfismo di reticoli
G() : G(Z) G(G) definito da G()(H) = (H) per ogni sottogruppo H di Z. Tenuto
conto del Teorema 3.5.1, la funzione : N G(Z) definita da (r) = rZ `e biiettiva, per
cui la composizione = G() : N G(G) `e anchessa biiettiva; per ogni r N abbiamo:
Lassegnazione r 7 har i definisce dunque una biiezione da N verso linsieme G(G) dei
sottogruppi di G, i quali sono dunque tutti ciclici.
Riassumendo, possiamo enunciare quanto segue.
Teorema 3.9.2. Ogni sottogruppo di un gruppo ciclico G = hai `e a sua volta ciclico.
Precisamente:
7 har i definisce una biiezione dallin-
(1) Se G `e finito di ordine n, lassegnazione r
sieme D(n) dei divisori positivi di n verso il reticolo G(G) dei sottogruppi di G.
Se r D(n), allora har i ha ordine n/r.
Proposizione 3.9.3. Sia G un gruppo ciclico finito di ordine n, sia a un suo generatore
e sia k un intero tale che 2 6 k 6 n 1. Allora risulta hak i = had i, dove d = MCD(k, n),
per cui hak i ha ordine n/d.
hak i = hadh i = h(ad )h i had i = hakx+ny i = hakx any i = hakx i = h(ak )x i hak i,
(abbiamo usato il fatto che any = u per ogni y Z) da cui hak i = had i.
Corollario 3.9.4. Sia G un gruppo ciclico finito di ordine n, sia a un suo generatore e
sia k un intero tale che 2 6 k 6 n 1. Allora ak `e un generatore di G se e solo se k e n
sono relativamente primi.
ah = ak se e solo se h n k.
Di conseguenza
hai = {ah | h N} = {u = a0 , a, a2 , . . . , an1 }.
Esercizio 3.9.7. Determinare gli elementi di torsione nel gruppo moltiplicativo U dei
numeri complessi di modulo 1.
Esercizio 3.9.8. Il gruppo Q/Z `e infinito (Esercizio 3.7.14); mostrare che ogni suo
elemento ha periodo finito.
Con il teorema seguente determiniamo la struttura dei gruppi finiti il cui ordine `e un
numero primo.
ossia vi sono h, k Z tali che y = h (x) e z = k (y), allora z = k (h (x)) = h+k (x),
per cui x z. Le classi di equivalenza dellinsieme n modulo si chiamano le orbite
della permutazione . Come sono fatte le orbite di ? Sia X una di esse. Se X consiste
di un singolo elemento x, ci`o significa semplicemente che x non viene mosso da , ossia
(x) = x; in tal caso si dice che X `e unorbita banale di . Altrimenti X ha almeno
due elementi e si dice allora che X `e unorbita non banale di . In questo caso, scelto
un qualunque elemento x X, per quanto detto sopra i rimanenti elementi elementi sono
quelli della forma h (x) al variare di h Z. Dunque
X = {h (x) | h Z}.
Dato che X `e un insieme finito, vi sono due interi distinti h, k tali che h < k e h (x) =
k (x); questa equivale alla kh (x) = x (perche?). Se `e per esempio h < k, ossia kh > 0,
ci`o permette di affermare che linsieme
A = {m N | m (x) = x}
non `e vuoto e per il Principio del Minimo esso ha il minimo: sia questo r. Mostriamo
che, dato un intero h, risulta h (x) = x se e solo se r divide h. Infatti, da un lato per
ogni intero t risulta rt (x) = x (vedi lEsercizio 2.4.4). Viceversa, supponiamo che sia
h (x) = x e scriviamo h = qr + s, dove q ed s sono rispettivamente il quoziente e il resto
della divisione di h per r (Teorema 1.6.3). Allora otteniamo:
Per esempio, se
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
= S9 ,
5 1 7 6 2 3 4 10 9 8
quindi {8, 10} `e una terza orbita. Lultimo elemento che rimane, cio`e 9, `e lasciato fisso
da e riempie lunica orbita banale {9}.
Di particolare interesse sono le permutazioni che hanno una sola orbita non banale.
Se `e una tale permutazione e X `e la sua unica orbita non banale, posto r = |X| e preso
un elemento x1 X deve risultare
Nota 3.10.2. Un ciclo non `e univocamente individuato conoscendo la sua orbita; occorre
precisare anche la sequenza secondo cui vengono mossi gli elementi di questa! (Vedi
lesercizio che segue).
Esercizio 3.10.3. Dati degli interi r, n tali che 2 < r 6 n e un sottoinsieme X n con
|X| = r, quanti sono i cicli di Sn che hanno X come orbita?
(si tenga presente che, essendo 0 6 k < r, risulta j + k < 2r, per cui j + k r < r).
Possiamo ora concludere che la (3.10.2) vale ancora sostituendo k + 1 in luogo di k.
Infine dalla (3.10.2) otteniamo che r = 1n . Se fosse s = 1n per un intero positivo
s < r, allora lorbita di avrebbe non pi`u di s < r elementi, in contrasto con lipotesi.
Dunque lordine di `e r.
Due cicli , si dicono disgiunti se le loro orbite hanno intersezione vuota, cio`e se,
dato x n, da (x) 6= x segue (x) = x e da (x) 6= x segue (x) = x: ciascuno dei due
lascia fermi gli elementi mossi dallaltro.
Teorema 3.10.6. Sia Sn , con 6= 1n . Allora esistono dei cicli a due a due disgiunti
1 , . . . , s tali che
= 1 s . (3.10.3)
Tale scomposizione `e essenzialmente unica, nel senso che se `e anche = 1 t , dove
1 , . . . , t sono anchessi cicli a due a due disgiunti, allora s = t e la successione (1 , . . . , s )
differisce dalla (1 , . . . , t ) al pi`
u per lordine nel quale si susseguono gli elementi.
`e ora chiaro che i cicli 1 , . . . , s sono a due a due disgiunti e vale la (3.10.3), come risulta
facilmente confrontando le immagini tramite i due membri del generico elemento x n
(Esercizio!).
Infine, supponiamo di avere una seconda scomposizione = 1 t di nel prodotto
di cicli a due a due disgiunti, diversa dalla (3.10.3). Se Y1 , . . . , Yt sono le orbite rispettive
di 1 , . . . , t , deve allora risultare
{Y1 , . . . , Yt } = {X1 , . . . , Xs },
per cui s = t. In vista del Lemma 3.10.5 possiamo cos` supporre che sia 1 6= 1 ma
Y1 = X1 . Ci`o significa che vi `e un x X1 n tale che (x) = 1 (x) 6= 1 (x) = (x),
quindi una contraddizione. Concludiamo che la scomposizione di nel prodotto di cicli
a due a due disgiunti `e unica, a parte lordine dei fattori.
quindi (1 7 4 3) `e uno dei cicli della scomposizione di , la cui orbita `e {1, 3, 4, 7}. Conside-
rato poi un elemento mosso da che non si trova in quellorbita, per esempio 5, troviamo
che
(5) = 8, 2 (5) = (8) = 5.
Dunque (5 8) `e un altro dei cicli della scomposizione di con corrispondente orbita {5, 8}.
Nuovamente, si prende un elemento mosso da che non si trova in qualcuna delle orbite
gi`
a trovate e si procede come sopra, fino ad esaurire tutti gli elementi mossi da . Troviamo
cos` i rimanenti cicli di , che sono (2 , 12 , 11) e (6 , 10). Concludiamo che
`e la scomposizione di a nel prodotto di cicli a due a due disgiunti. Si noti che 9 non
compare in nessun ciclo, per il semplice motivo che non viene mosso da .
Esempio 3.10.8. Dovrebbe essere abbastanza evidente che, affinche una permutazione
diversa dallidentit`a non sia un ciclo, bisogna che muova almeno 4 elementi. Di
conseguenza nei gruppi S2 e S3 tutte le permutazioni diverse dallidentit`a sono cicli. Nel
gruppo S4 le 23 permutazioni diverse dallidentit`a sono ripartite come segue:
(1) 6 cicli di lunghezza 2: (1 2), (1 3), (1 4), (2 3), (2 4), (3 4);
CAPITOLO 3. I GRUPPI 131
(2) 8 cicli di lunghezza 3: (1 2 3), (1 3 2), (1 2 4), (1 4 2), (1 3 4), (1 4 3), (2 3 4), (2 4 3);
(3) 6 cicli di lunghezza 4: (1 2 3 4), (4 3 2 1), (1 3 2 4), (4 2 3 1), (1 4 2 3), (3 2 4 1);
(4) 3 prodotti di due cicli disgiunti: (1 2)(3 4), (1 3)(2 4), (1 4)(2 3).
Esercizio 3.10.9. Decomporre nel prodotto di cicli a due a due disgiunti le due permu-
tazioni (1 2 3 4)(1 2 3 5)(1 2 3 6)(1 2 3 7) e (1 2 3)(2 3 4)(3 4 5)(4 5 6)(5 6 7).
Esercizio 3.10.10. Dati due interi k, n con 2 6 k 6 n, calcolare quanti sono i cicli di
lunghezza k in Sn .
Esercizio 3.10.11. Trovare tutti i sottogruppi di ordine 2 di S4 .
Esercizio 3.10.12. Trovare tutti i sottogruppi di ordine 3 di S4 .
Abbiamo visto con la Proposizione 3.10.4 che se Sn `e un ciclo di lunghezza r, allora
r `e lordine di , ossia lordine del sottogruppo hi generato da . La scomposizione
nel prodotto di cicli a due a due disgiunti di una permutazione permette di valutare
immediatamente lordine di questultima, come precisato dal risultato che segue.
Proposizione 3.10.13. Sia Sn con 6= 1n e sia = 1 s la fattorizzazione di
nel prodotto di cicli a due a due disgiunti. Se r1 , . . . , rs sono le lunghezze di 1 , . . . , s
rispettivamente, allora lordine di `e mcm(r1 , . . . , rs ).
Dimostrazione. Posto m = mcm(r1 , . . . , rs ), risulta
m = 1m sm = 1n .
La prima uguaglianza deriva dalla Regola (F) di calcolo in un gruppo, tenuto conto del
fatto che cicli disgiunti sono permutabili (Lemma 3.10.5), mentre la seconda segue dal
fatto che km = 1n per ogni k = 1, . . . , s. Ricordiamo poi che, per ogni k = 1, . . . , s,
la restrizione di allunica orbita non banale del ciclo k coincide con k stesso: di
conseguenza, se per un intero l Z risulta l = 1n , allora kl = 1n e quindi l `e divisibile
per rk (ricordare la (1) del Teorema 3.9.1). Dunque l `e divisibile per m e ci`o prova che m
`e lordine di .
infatti, essendo biiettiva, ogni fattore presente nel primo membro compare esattamente
una volta a secondo membro e viceversa. Di conseguenza il numero
,
Y (y) (x) Y Y
= ((y) (x)) (y x)
x,yn
y x x,yn x,yn
x<y x<y x<y
poiche, essendo biiettiva, ogni fattore presente nel primo membro compare esattamente
una volta a secondo membro e viceversa. Di conseguenza abbiamo:
Y ()(y)) ()(x))
sgn() =
x,yn
yx
x<y
Y ((y)) ((x))
=
x,yn
yx
x<y
Q Q
x,yn (((y)) ((x))) x,yn ((y) (x))
x<y x<y
= Q Q
x,yn ((y) (x)) x,yn (y x)
x<y x<y
Y ((y)) ((x)) Y (y) (x)
=
(y) (x) yx
x,yn x,yn
x<y x<y
Y (y) (x) Y (y) (x)
=
yx yx
x,yn x,yn
x<y x<y
= sgn() sgn().
Se `e una trasposizione, allora sgn() = 1. Infatti scambia fra loro due elementi
distinti x, y e lascia fissi i rimanenti, per cui nel prodotto a secondo membro della (3.11.2)
tutti i fattori valgono 1 eccetto
(y) (x) xy
= = 1.
yx yx
Se consideriamo una qualunque permutazione Sn , questa `e uguale ad un prodotto di
trasposizioni in base alla Proposizione 3.11.1:
= 1 t . (3.11.3)
Tenuto conto della Proposizione 3.11.4 abbiamo allora
Teorema e Definizione 3.11.5. Il numero dei fattori che compaiono in una qualunque
scomposizione di una permutazione Sn nel prodotto di trasposizioni `e sempre pari
o sempre dispari, questo fatto dipendendo unicamente da . Nel primo caso risulta
sgn() = 1 e si dice che `e una permutazione pari; nel secondo risulta sgn() = 1 e si
dice che `e una permutazione dispari. Linsieme di tutte le permutazioni pari si indica
con il simbolo An ; esso `e il nucleo dellomomorfismo sgn : Sn {1, 1} ed `e quindi un
sottogruppo normale di Sn che si chiama il gruppo alternante di grado n.
GLI ANELLI
135
CAPITOLO 4. GLI ANELLI 136
S[a] := { f0 + f1 a + f2 a2 + + fn an | f0 , f1 , f2 , , fn S, n N }.
Si noti che Z `e un dominio che non `e un campo. Segue inoltre dalla definizione che
ogni sottoanello di un dominio `e a sua volta un dominio.
CAPITOLO 4. GLI ANELLI 138
(2) (1R ) = 1S .
(1) Se Z1R = Zn per un intero n > 0, allora si dice che lanello R ha caratteristica n.
In tal caso, per ogni a R e per ogni h, k Z risulta ha = ka quando h k mod. n;
in particolare ha = 0R quando h nZ.
(2) Se Z1R
= Z, allora si dice che R ha caratteristica zero.
il primo membro di questa. Daltra parte p non divide k! (p k)!, perche questultimo
`e un prodotto di numeri naturali minori di p e p `e primo. Dunque p divide kp (stiamo
usando la Proposizione 3.5.9). A questo punto la (4.2.1) segue dalla (4.1.4), tenuto conto
della Proposizione 4.2.5. Sia ora j un intero positivo fissato e supponiamo che la (4.2.1)
sia vera per ogni i < j. Allora abbiamo
j j1 p j1 p j1 p j j
(a + b)p = (a + b)p = ap + bp = ap + b p .
Teorema 4.2.11. Dato un numero naturale p > 0, le seguenti condizioni sono equivalenti:
(2) Zp `e un dominio.
(3) Zp `e un campo.
Dimostrazione. (1) (2) Supponiamo che p sia primo e siano a, b Z con a b = 0.
Allora p divide a oppure b; dunque a = 0 oppure b = 0. Ci`o prova che Zp `e un dominio.
Viceversa, supponiamo che Zp sia un dominio. Se a, b N e ab = p, allora a b = ab = 0
in Zp , quindi a = 0 oppure b = 0, ossia a = p oppure b = p. Dunque p `e primo.
(2) (3) Supponiamo che Zp sia un dominio. Allora p `e primo in virt` u di quanto
appena provato. Se 0 6= a Zp , per il Corollario 4.2.10 risulta (a) = a, cio`e (a)p1 a = 1a.
p
Essendo a cancellabile in Zp (vedi Esercizio 4.1.8 a)), segue (a)p1 = 1, da cui a (a)p2 = 1
e quindi a `e invertibile in Zp .
(3) (2) Ogni campo `e un dominio.
4.3 Polinomi.
In questa sezione e nelle successive, salvo avviso contrario, tutti gli anelli che consideriamo
sono da intendersi commutativi.
Fissiamo un anello R e consideriamo linsieme RN di tutte le successioni di elementi
di R (Definizione 1.8.1). Se
f = (f0 , f1 , f2 , . . . , fn , . . .)
`e una di tali successioni, si chiama supporto di f linsieme degli i N per i quali `e
fi 6= 0. Dire che tale insieme `e finito equivale a dire che vi `e un n N tale che fi = 0
se i > n. Consideriamo il sottoinsieme S di RN tutte le successioni di supporto finito
e, in esso, introduciamo unaddizione e una moltiplicazione secondo le regole che ora
precisiamo. Innanzi tutto ricordiamo che per dichiarare una successione occorre e basta
specificare i suoi termini. Se f, g S, definiamo dunque la somma f + g e il prodotto
di convoluzione f g come segue: per ogni n N
(f + g)n = fn + gn (4.3.1)
e X
(f g)n := f0 gn + f1 gn1 + + fn1 g1 fn g0 = fi gj . (4.3.2)
i+j=n
Il fatto che le due successioni f e g hanno supporto finito comporta che anche f + g e f g
hanno supporto finito (verificare!), per cui abbiamo effettivamente definito due operazioni
in S.
Proposizione 4.3.1. Rispetto alladdizione puntuale e al prodotto di convoluzione lin-
sieme S `e un anello commutativo.
Dimostrazione. Siano date tre successioni f, g, h S. Per ogni n N abbiamo
! !
X X X X X
(f (gh))n = fi (gh)j = fi gr hs = fi (gr hs )
i+j=n i+j=n r+s=j i+j=n r+s=j
X
= fi gr hs ;
i+r+s=n
CAPITOLO 4. GLI ANELLI 142
P
in modo analogo si vede che ((f g)h)n = i+r+s=n fi gr hs . Dunque (f (gh)) = ((f g)h), per
cui il prodotto di convoluzione `e associativo. Quanto allelemento neutro per il prodotto
di convoluzione, si controlla facilmente che questo `e dato dalla successione 10 : N R tale
che 10 (0) = 1 e 10 (n) = 0 per ogni n > 0, ossia 10 = (1, 0, 0, . . .). Con ci`o abbiamo provato
che S `e un monoide rispetto al prodotto di convoluzione, la cui commutativit`a segue dalla
definizione stessa (4.3.2). Per ogni n N abbiamo ora:
X X X
(f (g + h))n = fi (g + h)j = fi (gj + hj ) = fi gj + fi hj
i+j=n i+j=n i+j=n
X X
= fi gj + fi hj = (f g)n + (f h)n
i+j=n i+j=n
= (f g + f h)n ,
(lo si pu`o provare con una facile induzione su n). Chiaramente xm 6= xn se m 6= n e risulta
x0 = 1. Se a R, allora axn `e la successione definita come segue:
n a, se k = n,
(ax )k = per ogni k N. (4.3.6)
0, se k 6= n
Indichiamo definitivamente con il simbolo R[x] lanello (S, +, ), chiamando i suoi elementi
i polinomi nellindeterminata x a coefficienti in R. Se f R[x], per ogni n N
CAPITOLO 4. GLI ANELLI 143
da questa, tenuto conto della (4.3.6) otteniamo la seguente rappresentazione usuale per i
polinomi:
f = f0 + f1 x + f2 x2 + + fm xm . (4.3.7)
Dalle definizioni si deduce facilmente che se f, g sono polinomi non nulli, allora risulta
(2) R `e un dominio se e solo se R[x] `e un dominio, nel qual caso la seconda delle (4.3.8)
`e unuguaglianza.
Dimostrazione. La (1) segue dal fatto che R[x] contiene R come sottoanello, per cui il
loro sottoanello fondamentale coincide con quello di R.
(2) Supponiamo che R sia un dominio, siano f, g R[x] due polinomi non nulli e siano
u piccoli numeri naturali tali che fr 6= 0 e gs 6= 0. Allora abbiamo
r, s i pi`
Dunque f g 6= 0, per cui R[x] `e un dominio. Daltra parte, se R[x] `e un dominio, allora
anche R `e un dominio in quanto sottoanello di R[x]. Infine, siano f, g R[x] polinomi non
nulli e siano m = gr(f ), n = gr(g). Allora (f g)i = 0 se i > m+n, mentre (f g)m+n = fn gn ;
di conseguenza, se R `e un dominio, risulta fn gn 6= 0 e quindi
Esercizio 4.3.3. Provare che se R `e un qualunque anello, in R[x] vi sono infiniti polinomi
che non hanno un inverso in R[x].
Esercizio 4.3.4. Provare che se R `e un dominio, un polinomio f R[x] ha un inverso
in R[x] se e solo se f `e una costante invertibile in R.
CAPITOLO 4. GLI ANELLI 144
b(x) = x e
b(a) = a per ogni a R; (4.3.9)
precisamente
Dunque 0 = b. La prova della parte rimanente della proposizione viene lasciata come
esercizio per il lettore.
Teorema 4.3.12. Sia R un anello e supponiamo che vi sia un anello S, un omomorfismo
di anelli : R S e un elemento b S tali che
4.4 Ideali.
In un anello, oltre ai sottoanelli, vi sono altri sottoinsiemi che hanno una rilevanza
fondamentale.
Definizione 4.4.1. Sia R un anello. Si dice che un sottoinsieme I di R `e un ideale di
R, e si scrive I 6 R, se:
(1) I `e un sottogruppo additivo di R;
Esempio 4.4.2. In ogni anello R, sia {0} che R stesso sono evidentemente ideali; essi si
chiamano gli ideali banali di R. Si chiamano invece ideali propri quelli diversi da R.
(a) = {ar | r R}
Proposizione 4.4.5. Gli ideali dellanello Z sono esattamente i suoi sottogruppi. Infatti
questi sono tutti del tipo nZ per un n N e sono quindi ideali principali.
Esercizio 4.4.6. Sia R un anello e sia a R. Tenuto conto della Nota 4.4.3, provare
che (a) = R se e solo se a `e invertibile. Dedurre che se I `e un ideale di R, allora I = R
se e solo se I contiene un elemento invertibile.
Proposizione 4.4.7. Un anello R 6= {0} `e un campo se e solo se {0} e R sono gli unici
ideali sinistri di R.
Nota 4.4.9. Importa sottolineare che, ferme restando le ipotesi, non vale lanaloga della
proposizione precedente che si ottiene scambiando nella tesi R ed S. Precisamente, pu`o
accadere che I sia un ideale di R ma non di S, pur continuando ad essere un sottogruppo
additivo di S. Ad illustrare ci`o basterebbe il caso in cui R `e un sottoanello proprio di S;
infatti, da un lato R `e ideale di se stesso, ma non `e ideale (ne destro ne sinistro) di S, dal
momento che 1S = 1R R ma R 6= S (vedi la Nota 4.4.3). Come altro esempio, abbiamo
che Z `e un sottoanello proprio di Q e Z ha infiniti ideali (Proposizione 4.4.5) ma, tenuto
conto della Proposizione 4.4.7, di questi solo {0} `e anche ideale di Q.
CAPITOLO 4. GLI ANELLI 147
Terminiamo questa sezione mostrando come gli ideali di un anello R sono intimamente
legati agli omomorfismi di anelli che hanno per dominio R.
Vedremo pi` u avanti (Proposizione 4.5.3) che vale anche il viceversa, cio`e ogni ideale
di R `e il nucleo di qualche omomorfismo di anelli di dominio R.
Dato un anello R, indichiamo con il simboli L(R) linsieme degli ideali di R. In quanto
insieme di parti di R, penseremo L(R) ordinato rispetto allinclusione; il fatto notevole
`e che esso risulta essere un reticolo. Considerati infatti due ideali I, J di R, `e un facile
esercizio mostrare che I J `e ancora un ideale; esso `e ovviamente il massimo ideale
contenuto in I e J, per cui risulta
inf (I, J) = I J.
L(R)
sup(I, J) = I + J.
L(R)
1 ((I)) = I + K.
(vedi il Teorema 3.7.10). Il fatto che I `e un ideale comporta che la congruenza mod. I `e
compatibile anche con la moltiplicazione. Infatti, se a a0 mod. I e b b0 mod. I, cio`e
a a0 I e b b0 I, allora ab a0 b = (a a0 )b I e a0 b a0 b0 = a0 (b b0 ) I, quindi
ab a0 b0 = (ab a0 b) + (a0 b a0 b0 ) I, per cui aa0 bb0 mod. I.
Viceversa, sia una relazione di equivalenza in R compatibile con laddizione e la
moltiplicazione. Segue allora dal Teorema 3.7.10 che la classe di equivalenza che contiene
0 `e un sottogruppo additivo I di R e vale la (4.5.1). Inoltre I `e un ideale. Infatti, se
a R e x I, allora x 0 mod. I e a a mod. I. Dalla compatibilit`a di rispetto alla
moltiplicazione segue xa 0a = 0 mod. I, per cui xa I. Possiamo dunque concludere
con il seguente teorema, che `e lanalogo per gli anelli del Teorema 3.7.10.
R/I = {a + I | a R};
(1) R `e un campo.
Il teorema che segue fornisce delle caratterizzazioni equivalenti per gli ideali primi.
Dimostrazione. Lequivalenza (1)(3) segue dal fatto che la (3) `e semplicemente una
riformulazione, con parole diverse, della Definizione 4.6.6, mentre lequivalenza (1)(2)
si prova immediatamente tenendo presente che se a R, allora a + P = 0 + P = P se e
solo se a P .
(1)(4) Supponiamo che P sia un ideale primo e siano I, J ideali di R. Se fosse I 6 P
e J 6 P , allora vi sarebbero x I e y J tali che x P e y P , in contrasto con il
fatto che xy P .
(4)(1) Supponiamo che valga la (4) e siano a, b R tali che ab P . Considerati gli
ideali principali (a) e (b), risulta (a)(b) = (ab) P , per cui deve essere (a) P oppure
(b) P . Dunque a P oppure b P .
Esempio 4.6.9. Dalle Definizioni 4.1.7 e 4.6.6 risulta che un anello R `e un dominio se e
solo se {0} `e un ideale primo.
Esempio 4.6.10. Si vede facilmente che in Z gli ideali primi non nulli sono quelli del
tipo pZ con p numero primo, quindi sono tutti massimali (Esempio 4.6.3). Naturalmente,
essendo Z un dominio che non `e un campo, {0} `e un ideale primo che non `e massimale.
Il seguente teorema fondamentale (di cui omettiamo la dimostrazione) ci dice che ogni
anello (non banale) contiene abbastanza ideali massimali.
4.7 Divisibilit`
a nei domini.
Definizione 4.7.1. Sia R un dominio e siano a, b, c elementi di R. Si dice che:
Si vede facilmente che se a a0 , allora a possiede una delle propriet`a sopra elencate
se e solo se la possiede a0 .
Laffermazione (4) della proposizione precedente non si inverte: vi sono domini che
hanno elementi irriducibili che non sono primi.
R `e un dominio nel quale 3 `e irriducibile ma non `e primo. Infatti, per quanto riguarda
lirriducibilit`a, supponiamo che
3 = (a + b 5)(c + d 5)
per certi a, b, c, d Z. Posto = a + b 5 e = c + d 5 e considerando le norme,
risulta N ()N () = 9. Sono quindi possibili solo tre casi: N () = 9 e N () = 1, oppure
N () = 1 e N () = 9, ovvero N () = 3 e N () = 3. Questultimo caso non pu`o
sussistere, perche non esistono a, b Z tali che N () = a2 + 5b2 = 3. Daltro canto
N () = 1 implica = 1 e quindi = 3; analogamente N () = 1 implica = 1
e quindi = 3. Dunque 3 `e irriducibile. Infine 3 non `e primo, perche per esempio
abbiamo che
3 | 9 = (2 + 5)(2 5),
ma `e subito visto che 3 - (2 + 5) e 3 - (2 5).
Esempio 4.8.4. Si controlla facilmente che la funzione a 7 |a| `e una valutazione euclidea
in Z, il quale `e cos` un dominio euclideo.
Dimostrazione. Proviamo dapprima lesistenza. Se gr(f ) < gr(g) non c`e nulla da
dimostrare: basta prendere q = 0 e r = f . Procedendo per induzione sul grado di f ,
prendiamo dunque n > gr(g), supponiamo induttivamente che la tesi sia vera per tutti i
polinomi f di grado < n e sia f un polinomio di grado n. Posto m = gr(g), essendo gm
invertibile possiamo considerare il polinomio
1 nm
h = fn gm x g;
f = f 0 + h = q 0 g + fn gm
1 nm
g + r0 = q 0 + fn gm1 nm
g + r0 .
x x
Dunque f = qg + r con q = q 0 + fn gm 1 nm
x e r = r0 . Supponiamo che sia f = qg + r =
q g + r con r = 0 oppure gr(r ) < gr(g). Supponiamo che sia q 6= q 00 , cio`e q q 00 6= 0.
00 00 00 00
a = p1 pm , a = q 1 qn
f0 + f1 x + + fn xn = 0, (4.8.1)
Definizione 4.8.11. Sia R un dominio e sia f R[x]. Se a `e una radice per f , si chiama
a di a il massimo intero positivo k tale che (a x)k divide f .
molteplicit`
Teorema 4.8.14. Ogni polinomio di grado positivo f C[x] ha almeno una radice in
C.
Dimostrazione. Si tratta di una conseguenza del Teorema 4.8.9, tenuto conto che C[x] `e
un dominio euclideo (Corollario 4.8.7). Si noti che c non `e altro che il coefficiente direttivo
di f moltiplicato per (1)n .
Gli elementi della successione (z1 , . . . , zn ) di cui allultimo corollario sono evidente-
mente tutte e sole le radici di f ; naturalmente esse non sono necessariamente distinte e
ciascuna di esse compare un numero di volte pari alla sua molteplicit`a.
Proposizione 4.8.17. Sia f R[x] un polinomio reale di grado > 1. Allora le radici
di f sono reali oppure numeri complessi coniugati a coppie, nel senso che se z C,
allora f (z) = 0 se e solo se f (z) = 0, nel qual caso z e z hanno la stessa molteplicit`a.
Conseguentemente, se f ha grado dispari, allora f ha almeno una radice reale.
158
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 159
r `e contenuta in ;
Diremo che e r sono paralleli nei primi due casi ed incidenti nel terzo.
Se r `e una retta e A `e un punto che non appartiene ad r, allora:
due di essi sono paralleli e il terzo non `e parallelo ad essi, quindi li interseca secondo
due rette necessariamente parallele;
tra essi non ve ne sono due paralleli, ma tutti e tre sono paralleli ad una stessa retta;
Si noti che i primi quattro casi sono esattamente quelli che si presentano quando vi `e una
retta alla quale i tre piani sono paralleli; in tal caso di tali rette ve ne sono infinite e,
nel secondo, terzo e quarto caso, si tratta di tutte le rette che hanno una determinata
direzione.
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 160
Nota 5.2.1. La legge che ad ogni punto A associa la sua proiezione A0 parallela ad
r su s definisce una funzione pr,s : s, la quale si chiama ancora la proiezione su
s parallela ad r; essa `e suriettiva ma non `e iniettiva. Infatti, se B s, `e chiaro che
B = p(C) per ogni punto C della retta t per B parallela ad r, risultando p1 (B) = t.
In questo modo si vede che la partizione di associata a p (Proposizione e Definizione
1.7.14) `e semplicemente linsieme di tutte le rette di parallele ad r. Questa osservazione
si estende allo spazio, potendo parlare della proiezione su parallela ad r pr, : E
che ad ogni punto dello spazio E associa la sua proiezione parallela ad r su . Anche in
questo caso, per ogni punto B E, la controimmagine p1 r, (B) `
e la retta per B parallela
ad r e la partizione di E associata ad p `e linsieme di tutte le rette di E parallele ad r.
Un segmento va inteso come uno speciale sottoinsieme della retta nella quale si
trova ed `e individuato completamente dai suoi estremi; se questi sono i punti A e B,
indicheremo il segmento in questione indifferentemente con AB oppure BA. Si noti che
la legge {A, B} 7 AB definisce una funzione biiettiva dallinsieme i cui elementi sono i
sottoinsiemi dello spazio costituiti da due soli punti, verso linsieme di tutti i segmenti
dello spazio medesimo. Con il simbolo |AB| indicheremo la lunghezza del segmento AB,
valutata rispetto ad ununit`a di misura fissata a priori. Per ogni punto A sar`a comodo
poter considerare anche il segmento di lunghezza zero AA. Si noti che se A, B sono punti
di una retta r, il segmento AB pu`o essere definito formalmente come segue:
AB := {P r | |P A| 6 |AB| e |P B| 6 |AB|}.
Ricordiamo il seguente
Proposizione 5.2.7. Quattro punti non complanari O, A, B, C dello spazio E sono sem-
pre vertici di un unico parallelepipedo; precisamente vi sono degli unici punti U, D, E, F
tali che OAF C, OBEC, U EBD, U DAF , OADB e CF U E sono parallelogrammi.
OA AB AC , OB AB BC , OC BC AC ,
BC AC AB = {O}.
Sia C il piano per C parallelo a AB . In accordo con la Proposizione 5.2.6, vi sono degli
unici punti D AB , E BC , F AC , U C tali che OADB, OBEC, OAF C
e CF U E sono parallelogrammi. Il lettore pu`o provare per esercizio che anche U DAF
e U DBE sono parallelogrammi e O, A, D, B, C, F, U, E sono i vertici del parallelepipedo
cercato.
Nota 5.2.8. Con riferimento alla Proposizione 5.2.7 e alla sua dimostrazione, se A , B
sono rispettivamente il piano per A parallelo a BC e il piano per B parallelo a AC ,
allora i parallelogrammi U DAF , U EBD e CF U E sono contenuti nei piani A , B e C
rispettivamente (perche?); inoltre
A B C = {U }.
SOr := SO r, SO := SO .
Nota 5.3.1. Se OA SO e A 6= O, allora la retta che passa per O e A `e lunica retta
tale che OA SOr . Inoltre, preso un secondo vettore OB tale che B non `e allineato con
O e A, il piano che passa per O, A e B `e lunico piano tale che OA, OB SO .
Nota 5.3.2. Fissato un punto O E, la legge che ad ogni punto A E assegna il vettore
GOr : r SOr , GO : SO ,
dove GOr (A) := OA e GO (A) := OA per ogni A r oppure A rispettivamente.
Per via della biiezione GO , spesso ciascun punto A E viene identificato con il vettore
OA, confondendo cos` una retta r e un piano passanti per O con gli insiemi SOr e SO
rispettivamente.
Un segmento orientato AB si dice equipollente ad un segmento orientato CD se il
quadrilatero ABDC `e un parallelogramma (Figura ??; attenzione allordine nel quale si
dichiarano i punti!);
se ci`o accade scriviamo AB CD. Chiaramente ci`o accade esattamente quando AB e
` utile contemplare anche
CD sono paralleli, hanno la stessa lunghezza e lo stesso verso. E
i casi degeneri in ci il parallelogramma ABDC collassa in un segmento (vedi la Nota
5.2.4). In ogni caso `e chiaro che AB CD se e solo se AC BD.
Importa osservare che, come si evince subito dalla definizione, la relazione di equipol-
lenza `e una relazione di equivalenza in S. Rispetto ad essa, per ogni punto O E
linsieme SO dei vettori applicati in O `e un insieme di rappresentanti (Definizione 1.14.7).
Infatti, da un lato `e evidente che due distinti vettori OP e OQ applicati in O non sono
equipollenti. Dallaltro lato vale la seguente
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 164
Proposizione 5.3.3. Dato un punto O dello spazio, per ogni segmento orientato AB
esiste un unico punto C tale che OC AB.
Dimostrazione. Per la Proposizione 5.2.6 vi `e un unico punto C tale che OABC `e un
parallelogramma (eventualmente degenere), ossia OC AB.
Esercizio 5.3.4. Dati sei punti A, A0 , B, B 0 , C, C 0 dello spazio, supponendo che AB
A0 B 0 e BC B 0 C 0 , provare che di conseguenza AC A0 C 0 .
Esercizio 5.4.1. Con riferimento alla Figura 3.2, si individui il punto V che ha ascissa
1/2 rispetto a i (in altri termini V = Hi (1/2)) e si consideri il vettore j = OV . Si calcolino
le coordinate dei punti O, U, V, A, B, C, D rispetto a j. Individuare inoltre i punti
Hi,j : R2
tale che, per ogni (a, b) R2 , Hi,j (a, b) `e il punto di che ha coordinate (a, b) rispetto
a (i, j). Come per la funzione Hi : R r, nella Hi,j `e indispensabile specificare sia i
vettori i e j che lordine nel quale questi devono comparire, ossia occorre specificare la
coppia ordinata (i, j). Si tenga infatti presente che, per esempio, se un punto A ha
coordinate (1, 2) rispetto ad un riferimento (i, j), lo stesso punto avr`a coordinate (2, 1)
rispetto al riferimento (j, i), di modo che Hi,j 6= Hj,i .
Passando allo spazio E, fissiamo quattro punti O, U, V, W non complanari, consi-
deriamo i tre vettori i = OU , j = OV e k = OW applicati in O e siano x, y e z le rette
(ovviamente passanti per O e non complanari) che li contengono rispettivamente. Diciamo
che la terna ordinata (i, j, k) `e un sistema di riferimento cartesiano nello spazio, il
punto O ne `e lorigine e le rette x, y, z gli assi coordinati. In aggiunta, questa volta
compaiono quelli che chiamiamo piani coordinati: si tratta dei tre piani xy , yz e xz
che contengono x, y il primo, y, z il secondo e x, z il terzo; naturalmente questi hanno
come unico punto comune lorigine O. Ad ogni punto A E associamo la terna ordinata
(a, b, c) delle coordinate di A rispetto a (i, j, k), le quali sono quei numeri reali che si
determinano nel modo che ora spieghiamo. Dal punto A si considerino i piani A,x , A,y ,
A,z paralleli rispettivamente ai piani coordinati yz , xz , xy ; essi intersecano gli assi
coordinati x, y, z rispettivamente nei punti Ax , Ay , Az . Ora a, b, c sono rispettivamente
lascissa di Ax rispetto a i, lascissa di Ay rispetto a j e lascissa di Az rispetto a k.
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 166
Esercizio 5.4.2. Con i dati e le notazioni di cui sopra, siano Axy , Ayz , Axz rispettiva-
mente la proiezione di A su xy parallela a z, la proiezione di A su yz parallela ad x, la
proiezione di A su xz parallela ad y. Controllare che Axy ha coordinate (a, b) rispetto a
(i, j), Ayz ha coordinate (b, c) rispetto a (j, k) e Axz ha coordinate (a, c) rispetto a (i, k).
Verificare, infine, che OAx Axy Ay e Az Axz AAyz sono parallelogrammi e sono facce opposte
di un parallelepipedo.
Prendendo di nuovo un sistema di riferimento cartesiano (i, j, k) con origine O nello
spazio E, partiamo da una terna ordinata (a, b, c) di numeri reali e individuiamo sullasse
x il punto A di ascissa a rispetto ad i, sullasse y il punto B di ascissa b rispetto ad j
e sullasse z il punto C di ascissa c rispetto ad k. In base alla Proposizione 5.2.7 vi `e
un unico modo di aggiungere quattro punti D, E, F, U in maniera che questi, assieme a
punti O, A, B, C, siano vertici di un parallelepipedo; precisamente D `e il punto di xy che
ha coordinate (a, b) rispetto a (i, j), E `e il punto di yz che ha coordinate (b, c) rispetto
a (j, k) e F `e il punto di xz che ha coordinate (a, c) rispetto a (i, k). Finalmente U `e
lunico punto di E che ha coordinate (a, b, c) rispetto a (i, j, k). Anche ora resta definita
la funzione (biiettiva per quanto detto finora)
Hi,j,k : R3 E
tale che, per ogni (a, b, c) R3 , Hi,j,k (a, b, c) `e il punto che ha coordinate (a, b, c) rispetto
a (i, j, k).
Esercizi 5.4.3. Sia dato un sistema di riferimento cartesiano (i, j, k) con origine O nello
spazio E.
a) Cercando, alla meglio, di illustrare su un foglio di carta la relativa situazione tridi-
mensionale e scegliendo per i, j, k unorientazione simile a quella che appare nella Figura
XXX, individuare la collocazione dei punti
Hi,j,k (1, 1, 1), Hi,j,k (1, 1, 1), Hi,j,k (1, 1, 1), Hi,j,k (1, 1, 1),
Hi,j,k (1, 1, 1), Hi,j,k (1, 1, 1), Hi,j,k (1, 1, 1), Hi,j,k (1, 1, 1).
b) Dove sono i punti che hanno coordinate della forma (a, b, 0), con a, b qualunque?
c) Dove sono i punti che hanno coordinate della forma (a, 0, c), con a, c qualunque?
d) Dove sono i punti che hanno coordinate della forma (0, b, c), con b, c qualunque?
b) Dove sono i punti che hanno coordinate della forma (a, 0, 0), con a qualunque?
c) Dove sono i punti che hanno coordinate della forma (0, b, 0), con b qualunque?
d) Dove sono i punti che hanno coordinate della forma (0, 0, c), con c qualunque?
OB:
OA + OB := OC.
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 167
Per provarlo, consideriamo gli unici punti B 0 , C 0 , C 00 tali che (Proposizione 5.3.3)
0
AB OB, B 0 C 0 OC e BC 00 OC.
Allora AC 0 OC 00 (vedi lEsercizio 5.3.4) e risulta inoltre
0
OA + OB = OB e OB + OC = OC 00 ,
di conseguenza
(OA + OB) + OC = OB 0 + OC = OC 0 .
Daltro canto risulta anche
OA + (OB + OC) = OA + OC 00 = OC 0 ,
lultima uguaglianza seguendo dal fatto che AC 0 OC 00 , dunque vale la (5.5.1).
Infine ogni vettore v = OA SO ha un simmetrico rispetto alladdizione tra
vettori applicati in O. Infatti, se A0 `e lunico punto della retta contenente v tale che
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 168
0
OA AO, `e chiaro che OA + OA0 = OO. Il vettore OA0 , simmetrico di v, si chiama il
vettore opposto di v e si indica con v:
v := OA0 , dove OA0 AO. (5.5.2)
di conseguenza OC = a OB = a(b OA), da cui (ab)v = a(bv). A questo punto, usando
la terza delle (5.5.4) e le (5.5.5) otteniamo:
il lettore non avr`a difficolt`a a riconoscere che C ha ascissa a+b rispetto a v. Di conseguenza
(a + b)v = av + bv.
Sia a R e siano v, w SO . Al fine di dimostrare la (5.5.8) possiamo supporre che
a 6= 0 e v 6= 0 6= w, altrimenti luguaglianza da provare si riduce alla 0 = 0 nel primo
caso e, nel secondo, alla av = av se `e per esempio w = 0. Considerando dapprima
il caso a > 0, poniamo OA = v, OB = w, OC = v + w, OA0 = av, OB 0 = aw e
0
OC = av + aw. Considerato il parallelogramma (eventualmente degenere) OA0 C 0 B 0 ,
una facile applicazione del Teorema di Talete 5.2.2 porta a concludere che il punto C `e
allineato con O e C 0 e risulta aOC = OC 0 , ossia a(v + w) = av + aw. A questo punto
otteniamo:
dove abbiamo usato la (5.5.5) per la prima e la quarta uguaglianza, la (5.5.3) per la
seconda e, per la terza, abbiamo usato la tesi gi`a dimostrata per il caso in cui a > 0. La
(5.5.8) `e ora completamente provata.
Passando alla (5.5.9), dalla Definizione 5.5.4 segue subito che 0v = 0 per ogni v SO .
Inoltre, tenuto conto della (5.5.8) per ogni a R abbiamo
a0 = a(0 + 0) = a0 + a0,
per cui v = 0.
Infine, se 0 6= v e av = bv, allora
Fi : R SOr
che agisce nel modo seguente: per ogni a R, Fi (a) `e il vettore applicato in O con termine
il punto di r che ha ascissa a rispetto ad i. Tenuto conto della Definizione 5.5.4 risulta
allora
Fi (a) = ai per ogni a R. (5.6.1)
Si noti che la funzione Fi `e biiettiva ed `e la composizione della biiezione Hi : R r,
introdotta nella Sezione 3.4, seguita dalla biiezione GOr : r SOr (Sezione 3.2):
Fi = GOr Hi .
v = ai;
In altre parole, il singolo vettore i `e sufficiente per determinare tutti i vettori di SOr ;
questi sono tutti e soli i multipli ai di i e risulta ai = bi se e solo se a = b. Per questa
ragione, anticipando una nozione che introdurremo nella Sezione 4.9, si dice che il vettore i
costituisce una base per SOr . Se prendiamo un altro vettore non nullo i0 SOr , anchesso
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 171
`e una base per SOr (per lo stesso motivo per cui lo `e i!); dunque, se v `e un generico vettore
di SOr , vi sono degli unici a, a0 R tali che
v = ai = a0 i0 .
` tuttavia importante rendersi conto che se i0 6= i, allora a 6= a0 , eccetto il caso in cui
E
v = 0, perche allora a = a0 = 0 in base alla (5.5.9).
Esercizi 5.6.2. Su una retta r fissiamo un riferimento cartesiano i = OU e consideriamo
il vettore i0 = (2/3)i.
a) Presi i vettori v = (4/3)i e w = 2i, determinare i numeri reali a, b in maniera che
v = ai0 e w = bi0 . (Sugg.: Dal momento che i0 = (2/3)i, allora i = (3/2)i0 . . . ).
b) Presi i vettori v0 = (1/3)i0 e w0 = (2/5)i0 , determinare i numeri reali a0 , b0 in maniera
che v0 = a0 i e w0 = b0 i.
Fi,j : R2 SO
definita da
Fi,j (a, b) = ai + bj per ogni (a, b) R2 ; (5.6.3)
largomento appena svolto sopra mostra che tale funzione `e suriettiva. In realt`a Fi,j `e
anche iniettiva, quindi biiettiva. Infatti, supponiamo che sia Fi,j (a, b) = Fi,j (a0 , b0 ) per due
coppie (a, b), (a0 , b0 ) R2 , ossia
ai + bj = a0 i + b0 j. (5.6.4)
Da questa otteniamo
ai + (a0 )i = (b)j + b0 j
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 172
(questo passaggio `e lecito: esso consiste nellaggiungere (b)j + (a0 )i ai due membri
della (5.6.4), usando poi le regole formali gi`a stabilite per laddizione fra vettori e la
moltiplicazione per uno scalare), quindi
(a a0 )i = (b + b0 )j. (5.6.5)
Dunque ogni insieme {i, j} formato da due vettori non proporzionali `e sufficiente a
determinare tutti i vettori di SO ; ciascuno di questi si esprime in modo unico sotto la
forma (5.6.6). Si dice allora che linsieme {i, j} `e una base per SO e la coppia (a, b)
di numeri che compaiono nella (5.6.6) si chiama anche la copia delle coordinate del
vettore v rispetto alla base {i, j}. Lanalisi del modo di variare delle coordinate di
un vettore di SO , quando si passa da una base allaltra, `e sensibilmente pi`u complessa
rispetto a quanto visto sulla retta. Su questo punto torneremo pi` u avanti. Per ora ci
limitiamo a qualche esercizio elementare.
base per SO , si trovino le coordinate, rispetto ad essa, del generico vettore v = ai + bj.
Analogamente a quanto fatto per una retta e per un piano, fissiamo nello spazio E
unorigine O e poniamoci il problema di trovare una base per SO , cio`e un insieme minimo
di vettori con i quali sia possibile determinare tutti i vettori di SO , utilizzando le operazioni
di addizione fra vettori e moltiplicazione di questi per uno scalare. Considerati due vettori
non proporzionali i = OU e j = OV , dalle considerazioni svolte finora risulta chiaro che
essi non sono pi` u sufficienti per il nostro scopo, dal momento che, comunque si prendono
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 173
due numeri reali a, b, il vettore ai+bj rimane nel piano (unico) che contiene i punti O, U, V .
Siamo dunque costretti a prendere un terzo vettore k = OW non complanare con i e j,
altrimenti, qualunque siano i numeri reali a, b, c, il vettore ai + bj + ck continuerebbe
a trovarsi nel piano che contiene i e j. La terna di vettori (i, j, k) costituisce ora un
riferimento cartesiano in E (vedi la Sezione 4.4). Dato un punto A E e considerati
i piani A,x , A,y , A,z paralleli rispettivamente ai piani coordinati yz , xz , xy , essi
intersecano gli assi coordinati x, y, z rispettivamente nei punti Ax , Ay , Az . Ricordiamo
che la terna di numeri (a, b, c) d`a le coordinate di A rispetto a (i, j, k) esattamente quando
a, b, c sono rispettivamente lascissa di Ax rispetto a i, lascissa di Ay rispetto a j e lascissa
di Az rispetto a k (Figura XXX), per cui
OAx = ai, OAy = bj e OAz = ck.
Naturalmente A potrebbe trovarsi su uno dei piani coordinati o, addirittura, su uno degli
assi coordinati. Ecco lelenco delle situazioni possibili:
A xy se e solo se c = 0;
A yz se e solo se a = 0;
A xz se e solo se b = 0;
Ax se e solo se b = c = 0;
Ay se e solo se a = c = 0;
Az se e solo se a = b = 0.
Supponiamo che A non si trovi in alcuna delle situazioni particolari elencate e siano Axy ,
Ayz , Axz rispettivamente la proiezione di A su xy parallela a z, la proiezione di A su yz
parallela ad x, la proiezione di A su xz parallela ad y. Allora OAx Axy Ay e Az Axz AAyz
sono parallelogrammi non degeneri e sono facce opposte di un parallelepipedo, per cui
Ax Axy `e equipollente a OAy e Axy A `e equipollente a OAz . Possiamo allora concludere
che OA = OAx + OAy + OAz e quindi
OA = ai + bj + ck.
Naturalmente questa uguaglianza resta valida anche se A si trova in una delle sei situazioni
particolari sopra elencate. Seguendo la stessa traccia del ragionamento svolto per il piano,
consideriamo la funzione
Fi,j,k : R3 SO
definita da
Fi,j,k (a, b, c) = ai + bj + ck per ogni (a, b, c) R3 ; (5.6.8)
la quale `e suriettiva per quanto visto sopra. Proviamo che Fi,j,k `e anche iniettiva, quindi
biiettiva. Infatti, consideriamo due terne (a, b, c), (a0 , b0 , c0 ) R3 , supponiamo che sia
Fi,j,k (a, b, c) = Fi,j,k (a0 , b0 , c0 ), cio`e
ai + bj + ck = a0 i + b0 j + c0 k, (5.6.9)
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 174
da cui
(a a0 )i = (b + b0 )j + (c + c0 )j. (5.6.10)
Moltiplicando ambo i membri di questa per (a a0 )1 otteniamo
b + b0 c + c0
i= j + )j.
a a0 a a0
Questa uguaglianza comporta che il vettore i si trova sullo stesso piano di j e k, mentre
noi avevamo supposto i, j e k non complanari. Deve dunque essere a = a0 e, in maniera
analoga, si vede che b = b0 e c = c0 , con il che rimane provato che Fi,j,k `e iniettiva.
Possiamo finalmente enunciare quanto segue.
Proposizione 5.6.5. Fissata unorigine O dello spazio E e tre vettori non complanari i,
j, k applicati in O , allora per ogni vettore v = OA SO vi `e ununica terna (a, b, c)
di numeri reali tale che
v = ai + bj + ck; (5.6.11)
precisamente (a, b, c) `e la terna delle coordinate di A rispetto al riferimento cartesiano
(i, j, k). Inoltre la funzione Fi,j,k : R3 SO definita dalla (5.6.8) `e biiettiva, per cui
Come si vede, ogni insieme {i, j, k} formato da tre vettori non complanari costituisce
una base per SO , nel senso che ogni vettore di SO si esprime in modo unico sotto la
forma (5.6.11) e la terna di numeri (a, b, c) si chiama anche la terna delle coordinate del
vettore v rispetto alla base {i, j, k}.
Esercizi 5.6.6. Nello spazio E si fissi unorigine O e un riferimento cartesiano (i, j, k).
Considerati i vettori i0 = (1)i, j0 = (1/2)j, k0 = (1/2)j, dopo aver stabilito che (i0 , j0 , k0 )
`e una base per SO , si trovino le coordinate, rispetto ad essa, del generico vettore v =
ai + bj + ck.
Definizione 5.7.1. Uno spazio vettoriale o spazio lineare (reale) `e un gruppo abelia-
no V , i cui elementi vengono detti vettori e la cui operazione viene di norma denotata
additivamente, per il quale `e stata definita una moltiplicazione esterna tra i numeri
reali (che nel presente contesto si chiamano gli scalari) e gli elementi di V , ossia unope-
razione che ad ogni coppia ordinata (a, v) R V associa un elemento av V , la quale
verifica le seguenti condizioni:
V1 a(v + w) = av + aw per ogni a R e v, w V ;
V2 (a + b)v = av + bv per ogni a, b R e v V ;
V3 (ab)v = a(bv) per ogni a, b R e v V ;
V4 1v = v per ogni v V .
Indichiamo sempre con 0 lelemento neutro del gruppo V , chiamandolo il vettore
nullo, e chiamiamo il vettore opposto di un vettore v V lelemento simmetrico
di v, indicandolo con v. Come per i vettori di SO , se v, w V , diciamo che w `e
proporzionale a v, oppure che w `e multiplo di v, se vi `e un numero reale a tale che
w = av. Se ci`o accade e a 6= 0, allora a1 w = a1 (av) = (a1 a)v = 1v = v, per cui v `e
proporzionale a w.
Elenchiamo alcuni esempi.
Esempio 5.7.2. Dalla Proposizione 5.5.2 sappiamo che linsieme SO dei vettori dello
spazio applicati nel punto O `e un gruppo abeliano rispetto alladdizione fra vettori di cui
alla Definizione 5.5.1. Se in aggiunta consideriamo la moltiplicazione fra uno scalare e
un vettore di cui alla Definizione 5.5.4, le propriet`a (5.5.8), (5.5.7), (5.5.6) e la (5.5.4)
dichiarate dalla Proposizione 5.5.5 ci dicono che valgono le condizioni V1, V2, V3 e V4,
per cui SO `e uno spazio vettoriale.
Esempio 5.7.3. Facendo svolgere ad ogni numero reale contemporaneamente il ruolo di
vettore e quello di scalare, le usuali operazioni di addizione e moltiplicazione danno ad R
una naturale struttura di spazio vettoriale. Infatti gi`a sappiamo che (R, +) `e un gruppo
abeliano, le V1 e V2 esprimono la distributivit`a della moltiplicazione sulladdizione, la
V3 esprime lassociativit`a della moltiplicazione e la V4 dichiara che il numero 1 `e elemento
neutro per la moltiplicazione.
Esempio 5.7.4. Dato un intero n > 0, nel prodotto cartesiano Rn di n copie di R
consideriamo laddizione definita da
(x1 , . . . , xn ) + (y1 , . . . , yn ) := (x1 + y1 , . . . , xn + yn )
per ogni (x1 , . . . , xn ), (y1 , . . . , yn ) Rn . Allora (Rn , +) `e un gruppo abeliano il cui ele-
mento neutro `e ln-pla nulla (0, . . . , 0), mentre lopposta di unn-pla (x1 , . . . , xn ) `e ln-pla
(x1 , . . . , xn ) (vedi lEsercizio 2.2.22). Definiamo il prodotto fra i numeri reali e gli
elementi di Rn come segue:
a(x1 , . . . , xn ) := (ax1 , . . . , axn ) per ogni a R e (x1 , . . . , xn ) Rn .
Il lettore pu`o verificare per esercizio che le condizioni V1, V2, V3 e V4 sono soddisfatte
e quindi Rn `e uno spazio vettoriale rispetto alle operazioni dichiarate. Si noti che per
n = 1 ritroviamo lesempio b).
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 176
Nota 5.7.6. Evidentemente una n-pla ordinata di numeri reali pu`o essere considerata
come una matrice ad una riga ed n colonne, di modo che lo spazio vettoriale Rn delle n-ple
di numeri reali, discusso nellEsempio 5.7.4, `e un caso particolare dellEsempio 5.7.5, dato
che Rn = M1,n (R). Nel seguito faremo largo uso anche dello spazio vettoriale Mn,1 (R)
delle colonne ad n righe, che indichiamo brevemente con il simbolo Rn :
x1
..
Rn := . x 1 . . . , xn R .
x
n
` evidente che
E
Rn = { X | X Rn }.
af : C R
tale che
(af )(x) := af (x) per ogni x C. (5.7.1)
Per esempio, prendendo C = R, se f : R R `e la funzione definita da f (x) = 3 + 2x2 ,
5 5 10
allora f `e la funzione x 7 (3 + 2x2 ) = 5 + x2 . Anche in questo caso il lettore pu`o
3 3 3
verificare per esercizio che RC `e uno spazio vettoriale rispetto alla somma (2.6.9) e al
prodotto (5.7.1), controllando che valgono le condizioni V1, V2, V3 e V4.
Esempio 5.7.8. Un caso particolare dellesempio precedente `e dato dallo spazio vetto-
riale RN delle successioni di numeri reali, dove le operazioni sono definite come segue:
date due successioni (a0 , a1 , . . . , an , . . .), (b0 , b1 , . . . , bn , . . .) e un numero reale c,
Questa propriet`a `e, in realt`a, una facile conseguenza del fatto che (V, +) `e un gruppo
abeliano (confronta con la seconda delle (2.2.1), Esercizio 2.2.21). Daltro canto, con
lEsercizio 5.5.3 abbiamo richiamato lattenzione sul fatto che questa propriet`a gi`a vale
nello spazio vettoriale SO . Altre propriet`a individuate nello spazio SO si estendono ad
ogni spazio vettoriale V , specificamente le (5.5.5) e (5.5.9):
Esercizio 5.7.10. Sia V uno spazio vettoriale. Procedendo per induzione, provare che
per ogni numero naturale n > 2 valgono le seguenti generalizzazioni delle condizioni V1
e V2:
5.8 Sottospazi.
Certi sottoinsiemi di uno spazio vettoriale rivestono una particolare importanza.
d) Un sottospazio E di uno spazio V `e a sua volta uno spazio vettoriale rispetto alle
operazioni di V ristrette a E (controllare!); inoltre, se E F V e F `e un sottospazio
di V , allora E `e un sottospazio di V se e solo se E `e un sottospazio di F .
Per controllare che un sottoinsieme non vuoto E di uno spazio vettoriale V `e un
sottospazio, risulta spesso pi`
u comodo utilizzare il seguente criterio, la cui prova lasciamo
al lettore per esercizio.
Proposizione 5.8.3. Un sottoinsieme non vuoto E di uno spazio vettoriale V `e un
sottospazio se e solo se vale la seguente condizione:
av + bw E per ogni v, w E e a, b R.
W = {(x1 , . . . , xn ) | xi = 0 se i = i1 , . . . , ik }
Esercizio 5.8.10. Provare che se E, F sono sottospazi di uno spazio vettoriale V , allora
anche E F `e un sottospazio di V .
Esercizio 5.8.11. Provare che se E, F sono sottospazi di uno spazio vettoriale V , allora
E F `e un sottospazio se e solo se E F oppure F E.
Proposizione e Definizione 5.9.4. Con i dati e le notazioni di cui sopra, hAi `e il pi` u
piccolo sottospazio che contiene A; esso si chiama il sottospazio generato da A, o il
sottospazio generato dai vettori v1 , v2 , . . . , vn nel caso in cui A = {v1 , v2 , . . . , vn }. Se E
`e un sottospazio di V , si dice che un sottoinsieme A di E `e un insieme generatore per
E, oppure che genera E, se
E = hAi.
Dimostrazione. La dimostrazione `e praticamente identica a quella svolta sopra per
il caso in cui A = {v1 , v2 }; tuttavia riteniamo utile presentarla ugualmente. Se v
A, allora v `e banalmente una combinazione lineare di vettori di A: basta prendere a
secondo membro della (5.9.2) n = 1, v1 = v e a1 = 1. Dunque A hAi. Siano
v, w hAi. Allora vi sono dei vettori v1 , v2 , . . . , vm , w1 , w2 , . . . , wn di A e dei numeri
reali a1 , a2 , . . . , am , b1 , b2 , . . . , bn tali che
v = a1 v1 + a2 v2 + + am vm e w = b1 w1 + b2 w2 + + bn wn ,
per cui
v + w = a1 v1 + a2 v2 + + am vm + b1 w1 + b2 w2 + + bn wn
e quindi v + w hAi. Inoltre, dato c R, abbiamo
cv = c(a1 v1 + a2 v2 + + an vn ) = (ca1 )v1 + (ca2 )v2 + + (can )vn ,
per cui cv hAi. Dunque hAi `e un sottospazio di V . Se E `e un qualunque sottospazio
di V contenente A, allora in E vi sono anche tutti i multipli di ciascun vettore di A e
quindi ogni combinazione lineare di vettori di A (tenere conto dellEsercizio 5.8.6), per
cui hAi E.
Esercizio 5.9.5. Stante il significato del simbolo hv1 , v2 , . . . , vn i dichiarato nella Propo-
sizione e Definizione 5.9.4, `e essenziale lordine nel quale vengono scritti in esso i vettori
v1 , v2 , . . . , vn ? In particolare, sono uguali o distinti i sottospazi hv1 , v2 i e hv2 , v1 i?
Esercizio 5.9.6. Siano A e B due sottoinsiemi di uno spazio V .
(1) Provare che se A B, allora hAi hBi.
(2) Provare che A hBi se e solo se hAi hBi.
Esercizio 5.9.7. Dato uno spazio vettoriale V e presi due vettori non nulli v1 , v2 V ,
provare che sono equivalenti le seguenti condizioni:
(1) hv1 i = hv2 i;
(2) v1 hv2 i;
(3) v1 e v2 sono proporzionali;
(4) hv1 , v2 i = hv1 i.
Esercizi 5.9.8. Si fissi nello spazio E unorigine e un riferimento cartesiano (i, j, k).
a) Considerati i vettori v1 = 2i3j, v2 = i+2j e v3 = ij, determinare il sottospazio
hv1 , v2 , v3 i di SO .
b) Trovare il sottospazio h3k, 2i, j + 2k, 4ji di SO .
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 182
a1 v1 + a2 v2 + + an vn = 0. (5.10.1)
Se ci`o non accade, cio`e lunico caso in cui vale la (5.10.1) `e quando a1 = a2 = =
an = 0, allora si dice che i vettori v1 , v2 , . . . , vn sono linearmente indipendenti.
(3) Si dice che un sottoinsieme (finito o infinito) A di V `e una base per V se:
La propriet`a che segue, che noi enunciamo limitatamente al caso in cui lo spazio
vettoriale in questione possiede qualche insieme generatore finito, illustra la ragione per
cui le basi, fra tutti gli insiemi generatori, hanno un interesse particolare.
v = a1 v1 + a2 v2 + . . . + an vn . (5.10.2)
v = b1 v1 + b2 v2 + . . . + bn vn
a1 v1 + a2 v2 + . . . + an vn = b1 v1 + b2 v2 + . . . + bn vn ,
ossia
(a1 b1 )v1 + (a2 b2 )v2 + . . . + (an bn )vn = 0.
Siccome v1 , v2 , . . . , vn sono linearmente indipendenti, deve risultare ai bi = 0 per ogni
i n e quindi ai = bi .
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 183
av = 0.
Tenuto conto della (5.5.9), ci`o significa che v = 0. Di conseguenza, dire che {v} `e
linearmente indipendente significa semplicemente affermare che v 6= 0.
Se i vettori v1 , v2 , . . . , vn sono linearmente indipendenti, allora essi sono distinti. In-
fatti, se p. es. fosse v1 = v2 , presi a1 = 1, a2 = 1, a3 = = an = 0 sarebbe vera la
(5.10.1). Tuttavia, come ora vedremo per il caso n = 2, il fatto che v1 , v2 , . . . , vn siano
distinti non comporta che essi siano necessariamente linearmente indipendenti.
Prendiamo due vettori non nulli v1 , v2 di V . Linsieme {v1 , v2 } `e linearmente dipen-
dente se vi sono due numeri reali a1 , a2 , di cui almeno uno non nullo, tali che
a1 v1 + a2 v2 = 0. (5.10.3)
(2) Se a1 , . . . , an , b1 , . . . , bn R e
a1 v1 + + an vn = b1 v1 + + bn vn , (5.10.4)
allora a1 = b1 , . . . , an = bn .
(3) Se 1 6 i 6 n 1, allora
v hv1 , . . . , vi i hvi+1 , . . . , vn i.
v = a1 v1 + + ai vi = bi+1 vi+1 + + bn vn ,
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 185
per cui
a1 v1 + + an vn = 0 (5.10.5)
e supponiamo, per assurdo, che qualcuno dei numeri a1 , . . . , an , ad esempio a1 , sia non
nullo. Allora a1 v1 6= 0 e, siccome dalla (5.10.5) risulta a1 v1 = a2 v2 an vn ,
seguirebbe
0 6= a1 v1 hv1 i hv2 , . . . , vn i,
in contrasto con lipotesi (3). Dunque deve essere a1 = = an = 0.
Tenuto conto della Proposizione 5.6.5, tre vettori non complanari (quindi linearmente
indipendenti per quanto detto sopra) costituiscono sempre una base per SO . Prendiamo,
invece, un insieme {v1 , v2 , . . . , vn } di vettori non nulli di SO con n > 3. Se gli n vettori
sono complanari, lintero insieme `e linearmente dipendente per la Proposizione 5.10.9.
In caso contrario, tre di quei vettori non sono complanari, diciamo v1 , v2 , v3 . Dunque
{v1 , v2 , v3 } `e una base per SO e quindi i rimanenti vettori v4 , . . . , vn appartengono a
hv1 , v2 , v3 i, per cui linsieme {v1 , v2 , . . . , vn } `e linearmente dipendente per la Proposizione
5.10.4. Possiamo allora concludere con la seguente
Occupiamoci ora dello spazio vettoriale Rn e, per ogni i {1, 2, . . . , n}, sia ei la n-pla
le cui coordinate sono tutte zero salvo la i-esima, la quale `e 1:
a1 e1 + a2 e2 + + an en = 0 = (0, 0, . . . , 0),
Questo `e un sistema lineare di tre equazioni nelle incognite x, y, z che si risolve in modo
elementare.)
d) Stesso quesito di c), con v1 = i + j, v2 = j 2k, v3 = 2i.
e) Stesso quesito di c), con v1 = 2j + k, v2 = 3j k, v3 = 2i.
Esercizio 5.10.13. Sia v un vettore non nullo di uno spazio vettoriale V . Provare che se
a1 , . . . , an sono numeri reali (con n > 2), allora i vettori a1 v, a2 v, . . . , an v sono linearmente
dipendenti.
Esercizio 5.10.14. Sia {v1 , v2 , . . . , vn } una base di uno spazio vettoriale V . E ` sempre
vero che, se a1 , a2 , . . . , an sono numeri reali, allora {a1 v1 , a2 v2 , . . . , an vn } `e ancora una
base per V ?
Esercizio 5.10.15. Si consideri lo spazio vettoriale R4 . Di ciascuno dei seguenti insiemi
di vettori di R4 , stabilire se si tratta di una base per R4 (Sugg.: Procedere come suggerito
nellEsercizio 5.10.12, c), esprimendo i vettori in questione come combinazioni lineari dei
vettori e1 , e2 , e3 , e4 della base canonica):
a) {(1, 2, 0, 5), (1, 0, 1, 3), (0, 1, 5, 2), (1, 1, 1, 0)};
b) {(1, 2, 0, 5), (2, 0, 2, 6), (0, 2, 10, 4), (3, 4, 8, 3)};
c) {(1, 2, 0, 0), (0, 1, 2, 0), (0, 0, 3, 3), (1, 0, 0, 5)}.
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 188
Supponiamo che R(N) abbia una base finita, sia questa {a1 , a2 , . . . , ar }. Per ogni indice
i {1, 2, . . . , r}, denotiamo con aij il j-esimo termine della successione ai . Siccome le
successioni a1 , a2 , . . . , ar hanno ciascuna un numero finito di termini diversi da zero,
vi deve essere un indice k sufficientemente grande tale che a1 , a2 , . . . , ar si trovano in
Vk . Ma questultimo `e un sottospazio, quindi ogni combinazione lineare delle successioni
a1 , a2 , . . . , ar rimane in esso, per cui ha1 , a2 , . . . , ar i Vk $ R(N) , quando noi avevamo
preteso che fosse ha1 , a2 , . . . , ar i = R(N) . Questa contraddizione prova che R(N) non ha
una base finita.
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 189
Esercizio 5.11.2. Non `e difficile individuare una base (necessariamente infinita) per
R(N) . Per ogni n N indichiamo con ei la successione che ha nulli tutti i suoi termini
salvo ln-esimo, che `e 1:
Provare che {e0 , e1 , . . . , ek } `e una base per Vk , per ogni k N. Dedurre che linsieme
{ek | k N} = {e0 , e1 , e2 , . . .} `e una base per R(N) .
Limitando la nostra attenzione agli spazi vettoriali che hanno una base finita, abbiamo
allora il seguente problema:
Problema 2. E ` possibile che uno spazio vettoriale V abbia due basi {v1 , v2 , . . . , vm } e
{w1 , w2 , . . . , wn } con m 6= n?
Questa volta la risposta `e negativa; la chiave di ci`o risiede nel seguente fondamentale
teorema, detto anche Teorema del completamento.
Teorema 5.11.3. Sia V uno spazio vettoriale che ha una base A di n elementi. Se B `e
un sottoinsieme indipendente di V di cardinalit`a m 6 n, allora `e possibile estrarre n m
vettori v1 , v2 , . . . , vnm della base A tali che B {v1 , v2 , . . . , vnm } `e una base di V di n
elementi. In particolare, se B ha n elementi, allora anche B `e una base.
Dimostrazione. Se 0 6 m 6 n, indichiamo con P (m) la seguente affermazione:
Dobbiamo allora dimostrare che P (m) `e vera per ogni m tale che 0 6 m 6 n. Per
raggiungere tale obiettivo applicheremo il Principio di Induzione Finita 1.13.1 allintervallo
[0, n]. Laffermazione P (0) `e unovviet`a: per m = 0 si prende B 0 = A. Assumiamo
0 6 m < n, supponiamo che P (m) sia vera e proviamo che, di conseguenza, anche
P (m + 1) `e vera. Supponiamo dunque di avere un sottoinsieme indipendente C V tale
che |C| = m + 1 e mostriamo che vi `e un sottoinsieme C 0 A tale che |C 0 | = n (m + 1)
e C C 0 `e una base di V di n elementi. Se C A, basta prendere C 0 = A C; in caso
contrario, scelto w C A, linsieme B = C {w} `e indipendente ed ha m elementi; in
base allipotesi induttiva esiste un sottoinsieme B 0 A tale che |B0 | = n m e B B 0 `e
una base di V di n elementi. Di conseguenza, scrivendo
risulta
wm+1 = a1 v1 + + anm vnm + b1 w1 + + bm wm (5.11.1)
per certi a1 , . . . , anm , b1 , . . . , bm R. Almeno uno dei coefficienti a1 , . . . , anm non `e nullo
(perche?); eventualmente rinumerando gli elementi di B 0 e, in corrispondenza, i coefficienti
a1 , . . . , anm , possiamo supporre che anm 6= 0, per cui dalla (5.11.1) otteniamo
a1 anm1 b1 bm
vnm = v1 vnm1 w1 wm + wm+1 .
anm anm anm anm
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 190
La prima importante conseguenza del teorema appena dimostrato `e il fatto che se uno
spazio vettoriale V ha una base di n elementi, allora ogni altra base di V ha n elementi.
Per provare ci`o abbiamo bisogno del seguente utile lemma, la cui dimostrazione lasciamo
al lettore per esercizio.
Lemma 5.11.4. Dati m vettori v1 , . . . , vm di uno spazio vettoriale V , se per qualche
n < m linsieme {v1 , . . . , vn } `e una base per V , allora i vettori v1 , . . . , vm sono linearmente
dipendenti.
Teorema e Definizione 5.11.5. Sia V uno spazio vettoriale. Se V ha una base A di n
elementi, allora tutte le basi di V hanno n elementi. Si dice allora che V ha dimensione
n e si scrive dim(V ) = n.
Dimostrazione. Supponiamo che B sia una base di V di cardinalit`a m. Se fosse m < n,
essendo B indipendente, in base al Teorema 5.11.3 vi sarebbe un sottoinsieme A0 di AB,
avente n m > 0 elementi, tale che B A0 `e una base di n elementi. Ci`o `e impossibile,
perche B era gi`a una base di V e quindi, per il Lemma 5.11.4, B A0 non potrebbe essere
indipendente, dato che contiene B ed ha pi` u elementi di B. Dunque deve essere m > n e,
scambiando i ruoli di A e B, lo stesso argomento mostra che deve essere n > m, per cui
m = n.
In generale, per spazio vettoriale di dimensione finita si intende uno spazio vet-
toriale che ha una base finita. Salvo diversamente specificato, tutti gli spazi vettoriali che
consideriamo sono da intendersi di dimensione finita.
Corollario 5.11.6. Se V `e uno spazio vettoriale di dimensione n, allora un sottoinsieme
linearmente indipendente di V ha al massimo n elementi.
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 191
Teorema 5.11.7. Se V `e uno spazio vettoriale di dimensione finita n, allora ogni sot-
toinsieme A di V contiene almeno un sottoinsieme libero massimale B, nel senso che se
B $ C A, allora C non `e libero. Inoltre
|B| 6 n
a0 w + a1 v1 + + ar vr = 0.
dim(E) = n se e solo se E = V.
Tenendo presente quanto abbiamo visto nella sezione precedente, fissata unorigine
O nello spazio E, le rette per O sono spazi vettoriali di dimensione uno, i piani per O
sono spazi vettoriali di dimensione due e lintero spazio SO dei vettori applicati in O ha
dimensione tre. La Proposizione 5.10.11 ci dice che, per ogni intero positivo n, gli spazi
vettoriali Rn e Rn hanno dimensione n. Uno spazio vettoriale V ha dimensione zero se e
solo se V = {0} (vedi la Nota 5.10.7).
Esercizio 5.11.10. Se m, n sono due interi positivi, qual`e la dimensione dello spazio
vettoriale Mm,n (R) delle matrici di formato m n?
a1 w1 + a2 w2 = a1 u1 + a2 u2 + a1 v1 + a2 v2 E + F,
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 193
E1 + E2 + + En = : {v1 + v2 + + vn | v1 E1 , v2 E2 , . . . , vn En }; (5.12.2)
sar`a cura del lettore provare che il secondo membro `e effettivamente un sottospazio.
Osserviamo che, fissato un i n e preso un vettore u Ei , possiamo ovviamente scrivere
u = u1 + + ui + + un
ui = ai1 ui1 + + ai mi ui mi ,
per cui
u1 + u2 + + un = + a11 u11 + + a1 m1 u1 m1
+ a21 u21 + + a2 m2 u2 m2
+ + an1 un1 + + an mn un mn ,
ed `e (1, 1, 0), (1, 2, 0), (1, 5, 0) E1 e (0, 0, 1), (0, 1, 1), (0, 4, 1) E2 . Invece, se pren-
diamo due sottospazi E1 , E2 tali che E1 E2 = {0}, allora ogni vettore di E1 + E2 ha
ununica scomposizione nella somma di un vettore di E1 pi` u un vettore di E2 . Infatti, se
v1 + v2 = w1 + w2
con v1 , w1 E1 e v2 , w2 E2 , allora
v1 w1 = w2 v2 E1 E2 ,
per cui
v1 w1 = w2 v2 = 0;
di conseguenza v1 = w1 e v2 = w2 . La situazione appena descritta `e, in rea`a, un caso
particolare di una delle propriet`a descritte nel seguente fondamentale teorema.
F = E1 + E2 + + En ,
v = v1 + v2 + + vn . (5.12.3)
(2) Se v1 E1 , v2 E2 , . . . , vn En e risulta
v1 + v2 + + vn = 0, (5.12.4)
allora v1 = v2 = = vn = 0.
ci + + En ) = {0} 2 ;
Ei (E1 + E2 + + E (5.12.5)
Se vale una (e quindi anche le rimanenti) di tali condizioni, si dice che il sottospazio F
`e somma diretta dei sottospazi E1 , E2 , . . . , En e che questi ultimi sono indipendenti.
In tali condizioni si scrive anche
F = E1 E2 En ,
a1 v1 + a2 v2 + + an vn = 0.
Allora segue dalla condizione (2) che deve essere ai vi = 0 per ogni i n. Siccome ciascun
vi `e diverso dal vettore nullo, concludiamo che a1 = a2 = = an = 0, per cui linsieme
{v1 , v2 , . . . , vn } `e linearmente indipendente.
(3)(4) Assumiamo (3), sia i n e mostriamo che se
v Ei (E1 + E2 + + E
ci + + En ), (5.12.7)
allora v = 0. Dalla (5.12.7) segue che vi sono dei vettori vj Ej , con j n {i}, tali
che
v = v1 + + c
vi + + vn ,
ossia
v v1 c
vi vn = 0.
In forza dellipotesi (3) deve essere v = 0 e vj = 0 per j n {i}.
(4)(1) Assumendo (4), consideriamo dei vettori v1 , w1 E1 , v2 , w1 E2 , . . . ,
vn , w1 En e supponiamo che
v1 + v2 + + vn = w1 + w2 + + wn .
2
Salvo diversamente specificato, quando in una sommatoria su un termine viene apposto il cappello
c , si intende che tale termine non deve comparire.
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 196
vi wi = (w1 v1 ) + + (w\
i vi ) + + (wn vn ),
di modo che
vi wi E1 (E1 + E2 + + E
ci + + En ).
Ai Ei e Aj E1 + E2 + + E
ci + + En ,
dalla (5.12.5) seguirebbe che v = 0, contro il fatto che 0 6 Ai . Dunque deve essere
Ai Aj = . Poniamo ora A = A1 A2 An e notiamo che F = hAi, tenuto conto
della Proposizione 5.12.1; di conseguenza, per provare che A `e una base per F , non resta
che mostrare lindipendenza di A. Per questo scopo applichiamo la Proposizione 5.10.5,
facendo vedere che nessun vettore di A appartiene al sottospazio generato dai rimanenti.
Supponiamo che, al contrario, vi sia un v A tale che
v hA {v}i. (5.12.8)
Dallipotesi (4) risulta v hAi i per un unico i n e quindi dalla (5.12.8) segue che
v hAi {v}i + E1 + E2 + + E
ci + + En .
A Ai = A 1 A
ci An = {v1 , . . . , vs },
per cui
E1 + E2 + + E
ci + + En = hA Ai i,
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 197
tenuto conto della Proposizione 5.12.1. Dalla (5.12.7) deduciamo allora che vi sono
a1 , . . . , ar , b1 , . . . , bs R tali che
v = a1 u1 + + ar ur = b1 v1 + + bs vs
e quindi
a1 u1 + + ar ur b1 v1 bs vs = 0.
Ma A = {u1 , . . . , ur , v1 , . . . , vs } `e indipendente, quindi a1 = = ar = b1 = = bs = 0.
Dunque v = 0, come volevamo.
La condizione (5) del Teorema 5.12.3 suggerisce come ottenere delle decomposizioni
dirette di uno spazio V , una volta che si disponga di una sua base A. Infatti, considerata
una qualunque partizione {A1 , A2 , . . . , An } di A e posto Ei = hAi i per ogni i n, risulta
V = E1 E2 En .
Esercizio 5.12.4. Provare che se E1 , E2 , . . . , En sono sottospazi di uno spazio vettoriale
V , allora risulta
dim(E1 + E2 + + En ) 6 dim(E1 ) + dim(E2 ) + + dim(En ) (5.12.9)
(Sugg.: tenere presenti la Proposizione 5.12.1 e il Corollario 5.11.8).
In quali casi nella (5.12.9) vale luguaglianza? Una risposta parziale `e fornita dal
seguente risultato.
Proposizione 5.12.5. Se E1 , E2 , . . . , En sono sottospazi indipendenti di uno spazio vet-
toriale V , allora risulta
dim(E1 E2 En ) = dim(E1 ) + dim(E2 ) + + dim(En ). (5.12.10)
Dimostrazione. Siano A1 , A2 , . . . , An delle basi di E1 , E2 , . . . , En rispettivamente e
poniamo A = A1 A2 An . Allora la condizione (5) del Teorema 5.12.3 ci dice che
{A1 , . . . , An } `e una partizione di A. Di conseguenza |A| = |A1 | + |A2 | + + |An | (vedi
la Proposizione 1.13.2) e quindi la (5.12.10).
Come vedremo fra breve, laffermazione di cui alla proposizione appena dimostrata
si inverte, ossia il fatto che nella (5.12.9) valga luguaglianza `e una condizione non solo
necessaria, ma anche sufficiente affinche la soma dei sottospazi E1 , E2 , . . . , En sia diretta.
Se V `e uno spazio vettoriale (di dimensione finita), ogni sottospazio di V `e membro
di qualche decomposizione diretta di V , come precisato dalla proposizione che segue.
Proposizione e Definizione 5.12.6. Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n e sia
E un sottospazio di V . Allora esiste un sottospazio F di V tale che V = E F ; il
sottospazio F si chiama un complemento di E in V .
Dimostrazione. Scegliamo due basi A, B per V ed E rispettivamente e sia m = dim(E).
Per il Teorema 5.11.3 esiste un sottoinsieme C di A tale che |C| = n m e A B `e una
base per V . Se prendiamo F = hCi, la tesi segue immediatamente dalla condizione (5)
del Teorema 5.12.3.
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 198
E = H (E F ) e F = K (E F ) (5.12.12)
e quindi
E + F = H + K + (E F ). (5.12.13)
Vogliamo mostrare che la somma a secondo membro della (5.12.13) `e diretta. Per questo
scopo verifichiamo che i sottospazi H, K, E F soddisfano la condizione (2) del Teorema
5.12.3. Presi u H, v K, w E F , supponiamo che
u+v+w =0 (5.12.14)
u = v w K (E F ) = F
dim(E1 + + En + En+1 )
= dim(E1 + + En ) + dim(En+1 ) dim((E1 + + En ) En+1 );
Di conseguenza abbiamo
(per la prima disuguaglianza vedi lEsercizio 5.12.4). Dunque abbiamo da un lato che
dim((E1 + + En ) En+1 ) = 0,
per cui
(E1 + + En ) En+1 = {0};
dallaltro lato deve essere
v1 + + vn + vn+1 = 0.
Allora
vn+1 = (v1 + + vn ) (E1 + + En ) En+1 = {0},
da cui
vn+1 = 0 e v1 + + vn = 0.
Dal Teorema 5.12.3 segue che deve essere anche v1 = = vn = 0, dato che la somma
E1 + + En `e diretta. Ancora grazie al Teorema 5.12.3, possiamo concludere che la
somma E1 + + En + En+1 `e diretta.
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 200
Il lettore pu`o provare per esercizio che LA `e unapplicazione lineare, che viene detta
lapplicazione lineare associata alla matrice A. Se m = n, ossia A `e una matrice
quadrata, allora LA : Rn Rn `e unomotetia se e solo se A `e una matrice scalare; in tal
caso LA = k , dove k = A11 = A22 = = Ann .
Nota 5.13.5. Circa lapplicazione lineare LA : Rn Rm di cui allesempio precedente,
nel seguito risulter`a estremamente utile osservare che, per ogni j n, risulta
A1j
A2j
LA ( ej ) = A ej = .. ,
.
Amj
ossia limmagine tramite LA del j-esimo vettore ej della base canonica di Rn `e esatta-
mente la j-esima colonna della matrice A.
Limportanza dellesempio precedente risiede nel fatto che le applicazioni lineari da
Rn verso Rm sono tutte della forma LA , come precisato dal risultato che segue.
Proposizione 5.13.6. Per ogni applicazione lineare f : Rn Rm esiste ununica matrice
A Mm,n (R) tale che f = LA . Tale matrice si chiama la matrice associata allappli-
cazione lineare f (relativamente alle basi canoniche) e si indica con il simbolo M (f ) .
Di conseguenza risulta:
Dimostrazione. Per quanto riguarda lunicit`a, se per due matrici A, B Mm,n (R)
risulta LA = LB , allora per ogni per ogni j n deve essere
LA ( ej ) = LB ( ej ).
Tenuto conto della Nota 5.13.5, i due membri di questuguaglianza sono la j-esima colonna
di A il primo e la j-esima colonna di B il secondo. Dunque A = B. Supponiamo ora
di avere unapplicazione lineare f : Rn Rm e consideriamo le immagini tramite f dei
vettori e1 , . . . , en della base canonica di Rn ; in quanto vettori di Rm , queste saranno
delle colonne ad m righe:
A11 A12 A1n
A21 A22 A2n
f ( e1 ) = .. , f ( e2 ) = .. , . . . , f ( e1 ) = .. .
. . .
Am1 Am2 Amn
Possiamo allora considerare la matrice M (f ) Mm,n (R) che possiede, nellordine, queste
colonne:
A11 A12 . . . A1n
A21 A22 . . . A2n
M (f ) = .. .. .
..
. . ... .
Am1 Am2 . . . Amn
Lasciamo al lettore la facile verifica del fatto che per ogni vettore x Rm risulta f (x) =
M (f )x e quindi f = LM (f ) . Infine, data una matrice A Mm,n (R), la matrice M (LA )
associata allapplicazione lineare LA `e necessariamente A stessa (vedi ancora la Nota
5.13.5), ossia A = M (LA ).
Esercizio 5.13.7. Sia V uno spazio vettoriale, sia E un sottospazio di V e sia F un
complemento di E in F ; per ogni v V indichiamo con vE e vF gli unici vettori di E ed
F , rispettivamente, tali che v = vE + vF . Provare che la funzione pE
F : M F definita
da
pE
F (v) = vF per ogni v V ,
`e lineare; essa si chiama la proiezione di V su F parallela ad E.
Proposizione 5.13.8. Se V, W, X sono spazi vettoriali e f : V W , g : W X sono
applicazioni lineari, allora anche la composizione g f : V X `e unapplicazione lineare.
Dimostrazione. Possiamo usare il criterio di cui alla Nota 5.13.2, a). Dati v1 , v2 V
e a1 , a2 R, abbiamo
Dunque la tesi.
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 203
Esercizio 5.13.9. Date due matrici A Mm,n (R), B Mn,p (R) e considerate le
applicazioni lineari associate LA : Rn Rm , LB : Rp Rn , provare che risulta
LA LB = LAB .
Inoltre
LU(n) = 1Rn .
Esercizio 5.13.10. Date due applicazioni lineari f : Rn Rm e g : Rp Rn , provare
che risulta
M (g f ) = M (g)M (f );
in parole: la matrice associata allapplicazione lineare composta g f `e uguale al prodotto
della matrice associata a g per la matrice associata ad f . Inoltre risulta
M (1Rn ) = U(n) .
Unapplicazione lineare `e determinata dalla sua azione sui singoli vettori di una fissata
base del dominio. Precisamente, consideriamo unapplicazione lineare f : V W e sia
A = {v1 , v2 , . . . , vn } una base per lo spazio V . Se v V , allora vi sono degli unici
x1 , x2 , . . . , xn R tali che
v = x1 v1 + x2 v2 + + xn vn (5.13.4)
(vedi la Proposizione 5.10.2); da questa ricaviamo facilmente che
f (v) = x1 f (v1 ) + x2 f (v2 ) + + xn f (vn ). (5.13.5)
Dunque f `e determinata dalle immagini f (v1 ), f (v2 ), . . . , f (vn ) dei vettori della base A.
La proposizione che segue ci dice che accade qualcosa di pi` u.
Proposizione 5.13.11. Siano V , W due spazi vettoriali e sia A = {v1 , v2 , . . . , vn } una
base per V . Se w1 , w2 , . . . , wn sono dei vettori assegnati di W , allora esiste ununica
applicazione lineare f : V W tale che
f (v1 ) = w1 , f (v2 ) = w2 , . . . , f (vn ) = wn . (5.13.6)
Precisamente, dato v V e considerata lunica scomposizione (5.13.4), risulta
f (v) = x1 w1 + x2 w2 + + xn wn . (5.13.7)
Dimostrazione. Visto che ciascun vettore v V determina in modo univoco le sue
coordinate x1 , x2 , . . . , xn rispetto alla base A, il secondo membro della (5.13.7) dipende
solo da v, per cui la (5.13.7) stessa definisce in modo univoco una funzione f : V W .
Il lettore provi, per esercizio, che f `e lineare e che se g : V W `e unapplicazione lineare
tale che
g(v1 ) = w1 , g(v2 ) = w2 , . . . , g(vn ) = wn ,
allora g = f .
Le applicazioni lineari rispettano i sottospazi del dominio e del codominio, nel senso
chiarito dalla proposizione seguente.
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 204
Come vedremo pi` u avanti, il fatto che unapplicazione lineare conservi lindipendenza
lineare `e legato alliniettivit`a.
Come applicazione, data una matrice A Mm,n (R), possiamo facilmente determinare
limmagine dellapplicazione lineare LA : Rn Rm associata ad A. Indicando con w1 , w2 ,
. . . , wn le colonne di A, ricordiamo che queste sono le rispettive immagini, tramite LA ,
dei vettori e1 , e2 , . . . , en della base canonica di Rn (vedi la Nota 5.13.5). La (5.13.10)
ci permette allora di affermare quanto segue.
Corollario 5.13.18. Sia data una matrice A Mm,n (R), sia LA : Rn Rm lapplicazione
lineare associata ad A e siano w1 , w2 , . . . , wn le colonne di A. Allora
Im(LA ) = hw1 , w2 , . . . , wn i.
Basta allora provare che dim(Im(f )) = dim(E). Scelta una base u1 , . . . , ur per E, abbi-
amo che i vettori f (u1 ), . . . , f (ur ) di Im(f ) sono linearmente indipendenti. Infatti, dati
x1 , x2 , . . . , xr R, se x1 f (u1 ) + + xr f (ur ) = 0, allora per la linearit`a di f segue che
f (x1 u1 + + xr ur ) = 0 e quindi x1 u1 + + xr ur Ker(f ). Daltra parte `e anche
x1 u1 + + xr ur E; siccome E Ker(f ) = {0}, deve essere x1 u1 + + xr ur = 0 e
quindi x1 = x2 = = xr = 0. Infine, siccome
(usare lEsercizio 5.13.13 e la (3) della Proposizione 5.13.12) concludiamo che i vettori
f (u1 ), . . . , f (ur ) costituiscono una base di Im(f ), per cui dim(Im(f )) = r = dim(E).
(1) f `e iniettiva.
(3) Vi `e una base {u1 , u2 , . . . , un } di V tale che i vettori f (u1 ), f (u2 ), . . . , f (un ) sono
linearmente indipendenti.
Il primo membro di questuguaglianza coincide con f (x1 v1 +x2 v2 + +xn vn ) a causa della
linearit`a di f , per cui x1 v1 +x2 v2 + +xn vn Ker(f ) e quindi x1 v1 +x2 v2 + +xn vn = 0.
Di conseguenza x1 = x2 = = xn = 0, per cui f (v1 ), f (v2 ), . . . , f (vr ) sono linearmente
indipendenti.
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 207
(3)(2) Supponiamo che valga la (3) e prendiamo v Ker(f ). Vi sono degli unici
x1 , x2 , . . . , xn R tali che v = x1 v1 + x2 v2 + + xn vn , per cui
Dunque x1 = x2 = = xn = 0 e quindi v = 0.
(2)(4): si tratta di unovvia conseguenza del Teorema 5.13.19.
f (f 1 (a1 w1 + a2 w2 )) = a1 w1 + a2 w2
= a1 f (f 1 (w1 )) + a2 f (f 1 (w2 ))
= f (a1 f 1 (w1 ) + a2 f 1 (w2 )),
quindi la linearit`a di f 1 .
Definizione 5.14.2. Unapplicazione lineare f : V W si dice un isomorfismo se `e
biiettiva; in tal caso anche f 1 : W V `e un isomorfismo, detto lisomorfismo inverso
di f . Si dice che due spazi vettoriali V , W sono isomorfi se esiste almeno un isomorfismo
da V verso W , e quindi anche uno da W verso V (dato dallinverso del primo).
Se V, W, X sono spazi vettoriali e f : V W , g : W X sono due isomorfismi,
allora anche la composizione g f : V X `e un isomorfismo (perche?). La funzione
identica 1V : V V `e ovviamente un isomorfismo. Altri esempi, di importanza cruciale,
li presentiamo negli esercizi seguenti.
Esercizio 5.14.3. Sia V uno spazio vettoriale, sia A = {v1 , v2 , . . . , vn } una base di V e
consideriamo la funzione
FV,A : Rn V
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 208
definita da
x1
x2
FV,A = x1 v1 + x2 v2 + + xn vn . (5.14.1)
..
.
xn
La Proposizione 5.10.2 afferma che FV,A `e una biiezione, di cui le Fi , Fi,j , Fi,j,k introdotte
nella Sezione 5.6 sono casi particolari. A titolo di esercizio, il lettore provi che FV,A `e
lineare, quindi `e un isomorfismo.
Esercizio 5.14.4. Dati due interi positivi m, n, provare che la funzione : Mm,n (R)
Mn,m (R) che ad ogni matrice A assegna la trasposta A `e un isomorfismo. Come caso
particolare, la funzione : Rn Rn definita da
x1
x2
x1 x2 xn 7 x1 x2 xn = ..
.
xn
`e un isomorfismo.
Proposizione 5.14.5. Sia f : V W un isomorfismo di spazi vettoriali e sia A =
{v1 , v2 , . . . , vn } un sottoinsieme finito di V . Allora A `e una base per V se e solo se
f (A) = {f (v1 ), f (v2 ), . . . , f (vn )} `e una base per W .
Dimostrazione. Se A `e una base per V , allora i vettori v1 , v2 , . . . , vn sono linearmente
indipendenti. Essendo f iniettiva, in base alla Proposizione 5.13.20 sono linearmente in-
dipendenti le immagini f (v1 ), f (v2 ), . . . , f (vn ). Inoltre dalla Proposizione 5.13.17 risulta
che f (A) `e un insieme generatore per Im(f ) = W , dunque f (A) `e una base per W .
f = FW,B (FV,A )1 .
(1) f `e iniettiva.
(2) f `e suriettiva.
(3) f `e un isomorfismo.
Dimostrazione. (1)(3) Supponiamo che f sia iniettiva e sia {v1 , v2 , . . . , vn } una base
per V . Allora i vettori f (v1 ), f (v2 ), . . . , f (vn ) sono linearmente indipendenti per la Propo-
sizione 5.13.20 e generano Im(f ) per la Proposizione 5.13.17, per cui essi formano una
base per Im(f ). Di conseguenza dim(Im(f )) = n e quindi Im(f ) = W in base al Teorema
5.11.9, dato che dim(W ) = n. Ci`o prova che f `e suriettiva e quindi `e un isomorfismo.
(3)(2): `e ovvio.
(2)(1) Supponiamo che f sia suriettiva e sia {w1 , w2 , . . . , wn } una base per W . Vi
sono dei vettori u1 , u2 , . . . , un V tali che f (u1 ) = w1 , f (u2 ) = w2 , . . . , f (un ) = wn .
Siccome u1 , u2 , . . . , un devono essere linearmente indipendenti (vedi lEsercizio 5.13.21),
essendo dim(V ) = n essi formano una base per V . Liniettivit`a di f segue allora dalla
Proposizione 5.13.20, dato che `e verificata la condizione (3) di questultima.
Definizione 5.15.1. Data una matrice A Mmn (R), si chiama rango di A la dimensione
del sottospazio di Rn generato dalle righe di A; esso si indica con il simbolo rg(A).
Introduciamo ora una classe speciale di matrici, per le quali la determinazione del
rango `e immediatamente possibile con un esame diretto di esse.
Definizione 5.15.2. Si dice che una matrice A Mm,n (R) `e una matrice a scala (o a
gradini) se:
(1) vi `e un intero positivo r 6 m tale che le prime r righe di A sono tutte e sole le righe
non nulle;
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 210
(2) per ogni i r, se Aiji `e la prima entrata non nulla delli-esima riga, le entrate della
ji esima colonna al di sotto di Aiji sono tutte zero.
Le entrate A1j1 , A2j2 , . . . , Arjr si chiamano i cardini (o pivots) della matrice A.
Dunque la matrice A `e a scala se ha il seguente aspetto, il quale ne giustifica il nome:
(quando unentrata di una matrice viene indicata con un asterisco, si intende che il suo
valore non `e rilevante nel contesto). Si noti che il numero r dei cardini di A non pu`o
superare il pi`
u piccolo dei numeri m, n. Nel seguito potr`a risultare conveniente chiamare
i cardini A1j1 , A2j2 , . . . , Arjr rispettivamente il primo cardine, il secondo cardine, . . . ,
lultimo cardine di A.
Per esempio, sono a scala le seguenti matrici:
6 5 2 2
2 0 0 1 1 0 1 1 2
0 1 0 0 3
0 0
0 3 1 0 1 0 5
3 0
0 0 0 , 0 0 2 0 ,
0 0 0 0 4 , 0 0 ,
0 2
0 0 0 0 0 0 3
0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0
3
1 2 1 1 2 1 3 0
0 3 1 , 0 3 1 0 , 2 1 5 0 2 , 0 ;
0 0 5 0 0 5 0
0
Proposizione 5.15.3. Sia A Mmn (R) una matrice a scala con r cardini e siano E,
F rispettivamente il sottospazio di Rm generato dalle righe di A e il sottospazio di Rn
generato dalle colonne di A. Allora:
(1) Le righe di A contenenti i cardini costituiscono una base per E, mentre le colonne
contenenti i cardini costituiscono una base per F .
c1 v1 + c2 v2 + + cr vr = (0, 0, . . . , 0).
c2 v2 + + cr vr = (0, 0, . . . , 0)
La terminologia `e giustificata dal fatto che la relazione binaria in Mm,n (R), la quale
dichiara che A `e in relazione con B quando il sottospazio di Rn generato dalle righe di
A coincide con il sottospazio generato dalle righe di B, `e chiaramente una relazione di
equivalenza. Evidentemente, se A e B sono equivalenti, allora rg(A) = rg(B). Tuttavia,
il fatto che A e B abbiano lo stesso formato e rg(A) = rg(B) non comporta lequivalenza
di A e B (Esercizio 5.15.6).
Esercizio 5.15.6. Stabilire che le due seguenti matrici hanno lo stesso rango ma non
sono equivalenti:
1 0 1 2 1 1 2 2
2 1 1 0 , 0 1 3 4 .
1 1 0 2 1 0 1 2
(3) sommare ad una riga una delle rimanenti moltiplicata per un numero reale os-
sia, scelti i, j m con
i 6= j e un numero reale r, sommare
alla i-esima riga
Ai1 Ai2 Ain la riga rAj1 rAj2 rAjn , sostituendo dunque la
i-esima riga con la nuova riga
Ai1 + rAj1 Ai2 + rAj2 Ain + rAjn ,
per cui A e B sono equivalenti. Infine, supponiamo che B sia ottenuta da A tramite
unoperazione di tipo (3), ossia che vi siano degli indici i, j m, con i 6= j, e un numero
reale r tali che
wi = vi + rvj = Ai1 + rAj1 Ai2 + rAj2 Ain + rAjn , (5.15.1)
hw1 , w2 , . . . , wm i hv1 , v2 , . . . , vm i,
per cui
hw1 , w2 , . . . , wm i hv1 , v2 , . . . , vm i.
Dunque i due sottospazi coincidono, per cui A e B sono equivalenti.
Teorema 5.15.9. Ogni matrice non nulla `e equivalente ad una matrice a scala.
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 214
hu1 , . . . , um i = hv1 , . . . , vm i
= hv1 i + hv2 , . . . , vm i
= hv1 i + hw1 , . . . , wm1 i
= hv1 , w1 , . . . , wm1 i.
wj x = (a1 v1 + + am vm )x
= (a1 v1 )x + + (am vm )x
= a1 (v1 x) + + am (vm x) = 0.
Abbiamo ormai gli strumenti sufficienti per provare che, come anticipato, in ogni
matrice la dimensione dello spazio generato dalle colonne coincide con la dimensione dello
spazio generato dalle righe, cio`e con il rango di essa.
Teorema 5.15.12. Sia data una matrice non nulla A Mm,n (R), sia B una riduzione a
scala di A avente r cardini B1j1 , B2j2 , . . . , Brjr e siano u1 , . . . , un le colonne di A. Allora
risulta:
(2) Le colonne uj1 , uj2 , . . . , ujr costituiscono una base per hu1 , . . . , un i.
alla matrice a scala B 0 che si ottiene da B sopprimendo le colonne che non contengono
i cardini. Ora A0 e B 0 sono matrici equivalenti di formato m r e B 0 `e una matrice
a scala con r cardini (gli stessi di B, naturalmente); con riferimento alle applicazioni
lineari LA0 , LB 0 : Rr Rm , tenendo presente la Proposizione 5.15.11, il fatto che Im(LB 0 )
`e generato dalle colonne di B 0 (Corollario 5.13.18) e la Proposizione 5.15.3, abbiamo:
dim(Im(LA0 )) = dim(Im(LB 0 )) = r.
Alla luce di quanto fin qui acquisito, la definizione di rango di una matrice, dovrebbe
apparire coerente con la definizione di rango di unapplicazione lineare, dato che il rango
di una matrice A coincide con la dimensione di Im(LA ), ossia con il rango di LA :
Se A `e una matrice, la valutazione del suo rango permette di decidere liniettivit`a e/o
la suriettivit`a dellapplicazione lineare associata LA , come qui di seguito specificato.
Proposizione 5.15.13. Sia data una matrice non nulla A Mm,n (R). Allora, con
riferimento allapplicazione lineare associata LA : Rn Rm , risulta:
Dimostrazione. La (1) segue dalla (3) del Teorema 5.15.12. Per quanto riguarda
la (2), abbiamo che LA `e suriettiva se e solo se Im(LA ) = Rm , quindi se e solo se
rg(A) = rg(Im(LA )) = dim(Im(LA )) = m.
ax = b, (5.16.1)
dove a, b sono numeri reali preassegnati, il primo dei quali si chiama il coefficiente e
il secondo termine noto (o termine costante). La lettera x indica una variabile;
ogni numero reale c che, sostituito ad x, rende vera la (5.16.1) si chiama una soluzione
dellequazione. Ovviamente, se a = b = 0 ciascun c R `e soluzione della (5.16.1), mentre
questa non ha soluzioni se a = 0 e b 6= 0 ed ha come unica soluzione c = ba1 se a 6= 0.
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 218
A1 x1 + + An xn = B, (5.16.2)
delle incognite e consideriamo il numero B come matrice ad una riga ed una colona. Allora
il primo membro della (5.16.2) `e precisamente il prodotto righe per colonne di A per X e
la (5.16.2) pu`o essere riscritta sotto la forma
Ax = B,
In questo caso la matrice riga dei coefficienti `e (5, 2) e la colonna delle incognite `e xx12 .
0
Chiaramente le colonne 2
8 e 3 sono soluzioni della (5.16.3), mentre ( 21 ) non lo `e.
Come determinare tutte le soluzioni? A questo fine, notiamo che la (5.16.3) equivale alla
seguente:
2 6
x1 = x2 + . (5.16.4)
5 5
Passando dalla (5.16.3) alla (5.16.4) si dice che si `e risolta la (5.16.3) rispetto a x1 .
Dunque una colona ( xx12 ) `e una soluzione della (5.16.3) se e solo se vale la (5.16.4), per
cui, scegliendo arbitrariamente x2 e determinando x1 tramite la (5.16.4), abbiamo che la
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 219
colonna ( xx12 ) `e una soluzione della (5.16.3). Concludiamo che le soluzioni della (5.16.3)
sono precisamente gli elementi dellinsieme (chiaramente infinito)
2 6
5
x 2 + 5
x2 R .
S=
x2
Nota 5.16.1. Vale la pena insistere sul fatto che se da un lato la (5.16.3) `e verificata, ad
esempio, per x1 = 2 e x2 = 8, non `e tuttavia corretto dire che
A1 \Ai An B X Ak B
xi = x1 xi xn + = xk + (5.16.6)
Ai Ai Ai Ai kn
A i A i
k6=i
Ai
(il simbolo \ x sta ad indicare che A i
x non figura). Di conseguenza una colon-
x1 Ai i Ai i
(anche qui, il simbolo c xi sta ad indicare che xi non figura). Dovrebbe essere chiaro
che S ammette tante di queste rappresentazioni quanti sono gli indici i per i quali il
corrispondente coefficiente Ai `e diverso da zero.
Nella maggior parte dei casi si `e interessati alle soluzioni simultanee di pi`
u equazioni
lineari date. Formalmente, si chiama sistema lineare di m equazioni in n incognite
lassegnazione simultanea di m equazioni lineari in n incognite x1 , . . . , xn , secondo lo
schema seguente:
A11 x1 + A12 x2 + + A1n xn = B1
A21 x1 + A22 x2 + + A2n xn = B2
.. (5.16.7)
.
A x + A x + + A x = B .
m1 1 m2 2 mn n m
Dati i m, j n, chiamiamo
Ai1 x1 + Ai2 x2 + + Ain xn = Bi
la i-esima equazione del sistema, mentre diciamo che Aij `e il coefficiente della j-
esima incognita xj nella i-esima equazione c1 e Bi `e li-esimo termine costante
(o termine noto). Una colonna v = .. Rn si dice una soluzione del sistema
.
cn
(5.16.7) quando essa `e una soluzione di tutte le n equazioni che compongono il sistema.
Volendo usare il linguaggio insiemistico, indicando con S linsieme delle soluzioni del
sistema (5.16.7) e, per ogni j m, indicando con Sj linsieme delle soluzioni della j-esima
equazione, abbiamo
S = S1 Sm .
Definizione 5.16.2. Un sistema lineare si dice non banale o proprio se almeno uno
dei coefficienti `e diverso da zero; altrimenti il sistema si dice banale.
` evidente che un sistema banale in n incognite x1 , . . . , xn non ha soluzioni se qualcuno
E
dei termini costanti `e diverso da zero, altrimenti ogni vettore di Rn `e una soluzione.
Chiaramente un sistema lineare `e totalmente individuato quando sono prescritti i
coefficienti e i termini costanti, assieme alle loro posizioni. Per la precisione, fissando
lattenzione sul sistema (5.16.7) vediamo che i coefficienti e i termini costanti, con le loro
posizioni, vengono stabiliti dalle matrici
A11 A12 . . . A1n B1
A21 A22 . . . A2n B2
A = .. .. , B = .. ,
..
. . ... . .
Am1 Am2 . . . Amn Bm
le quali si chiamano, appunto, rispettivamente la matrice dei coefficienti e la matrice
dei termini costanti del sistema. Spesso la matrice dei coefficienti si chiama anche la
matrice incompleta del sistema, mentre viene chiamata matrice completa la matrice
A11 A1 . . . A1n B1
A1 A22 . . . A2n B2
(A , B) = .. .. .
.. ..
. . ... . .
Am1 Am2 . . . Amn Bm
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 221
Notiamo che il complesso delle m uguaglianze che figurano nel sistema (5.16.7) equivalgono
alluguaglianza
A11 x1 + A12 x2 + + A1n xn B1
A21 x1 + A22 x2 + + A2n xn B2
= .. (5.16.8)
..
. .
Am1 x1 + Am2 x2 + + Amn xn Bm
x1
fra matrici di formato m1; considerando la colonna x = ... formata con le incognite,
xn
a sua volta la (5.16.8) `e equivalente allequazione matriciale
Ax = B , (5.16.9)
Ax = B , (5.17.2)
dove indichiamo con A la matrice dei coefficienti, con B la colonna dei termini costanti
e con x la colonna delle incognite. Possiamo allora considerare lapplicazione lineare
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 222
Nel caso particolare in cui B = 0, cio`e il sistema (5.17.1) `e omogeneo, tale insieme `e
chiaramente il nucleo Ker(LA ) di LA , dunque `e un sottospazio di Rn (Definizione 5.13.15).
Proposizione 5.17.1. Data una matrice A Mm,n (R), linsieme delle soluzioni del
sistema omogeneo
Ax = 0 (5.17.4)
`e dato da Ker(LA ), quindi `e un sottospazio di Rn che ha dimensione n rg(A). Di
conseguenza il sistema omogeneo (5.17.4) ammette autosoluzioni se e solo se
rg(A) < n
Dimostrazione. La prima affermazione segue dalla (3) del Teorema 5.15.12, mentre
la seconda segue dal fatto che il sistema (5.17.4) ammette autosoluzioni se e solo se
Ker(LA ) 6= {0}, cio`e se e solo se dim(Ker(LA )) > 0.
Utilizzando il metodo che descriveremo nella prossima sezione, potremo trovare delle
autosoluzioni (se ve ne sono!) v1 , v2 , . . . , vr che formino una base per Ker(LA ), con il che
potremo dire di conoscere linsieme di tutte le soluzioni: queste sono tutte le combinazioni
lineari delle particolari soluzioni v1 , v2 , . . . , vr , ossia
Come descrivere linsieme delle soluzioni (5.17.3) nel caso non omogeneo, ossia con
B 6= 0? Per questo fine ci sar`a di aiuto il seguente risultato.
sia B la colonna dei suoi termini costanti e sia v = ... Rn una sua soluzione. Allora
cn
risulta
{ x Rn | Ax = B} = {v + u | u Ker(LA )}, (5.17.6)
ossia le soluzioni di (5.17.1) sono precisamente i vettori di Rn che si ottengono sommando
alla particolare soluzione v una soluzione del sistema omogeneo associato a (5.17.1). Di
conseguenza il sistema (5.17.1) ha infinite soluzioni se rg(A) < n, mentre v `e lunica
soluzione se rg(A) = n.
Dimostrazione. La (5.17.6) segue dal Lemma 5.17.2 e dalla (5.17.3), mentre lultima
affermazione segue dalla (3) del Teorema 5.15.12.
Im(LA ) = hv1 , v2 , . . . , vn i,
La tesi segue ora dal fatto che, in base al Teorema 5.15.12, il primo membro e il secondo
della (5.17.7) coincidono rispettivamente con rg(A) e rg(A, B).
Se nel sistema (5.17.1) la matrice A dei coefficienti ha rango m, cio`e pari al numero
delle equazioni, allora anche la matrice completa (A, B) ha rango m (perche?). Possiamo
allora enunciare quanto segue.
Corollario 5.17.5. Se in un sistema lineare il rango della matrice dei coefficienti coincide
con il numero delle equazioni, allora il sistema ha almeno una soluzione.
Grazie al procedimento della riduzione a scala illustrato nella Sezione 5.15, il Teorema
di Rouche-Capelli fornisce un criterio di uso immediato per decidere se un sistema ha
soluzioni.
Esempio 5.17.6. Consideriamo il sistema
2x1
4x3 + 4x4 =1
3x1 + 2x2 4x3 + 8x4 =1 (5.17.8)
x1 + x2 + 3x3 x4 =2
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 224
Teorema 5.17.7. Supponiamo che nel sistema lineare (5.17.1) sia m = n, cio`e che il
numero delle equazioni sia uguale al numero delle incognite. Allora il sistema ha ununica
soluzione se e solo se rg(A) = n.
Siccome dalla Definizione 5.15.2 risulta che una matrice a scala non pu`o essere nulla,
un sistema a scala `e sempre non banale. Ovviamente, ogni singola equazione lineare non
banale `e un sistema a scala, dato che la matrice dei suoi coefficienti `e costituita da una
singola riga non nulla. Ai fini della ricerca delle soluzioni, possiamo supporre che nel
sistema in esame il numero dei cardini coincida con il numero delle equazioni ; se cos` non
fosse, essendo m il numero delle equazioni e r < m il numero dei cardini, per r < j 6 m
la j-esima equazione avrebbe la forma
0 = Bj .
Lo stesso ragionamento svolto per il sistema (5.18.1) porta a concludere che deve essere
x3 = 2 e x2 = 4. Quanto ad x1 , esso non compare in alcuna delle equazioni del sistema
(ovviamente, si intende che il coefficiente di x1 `e 0 in tutte e due le equazioni), il che
significa che il sistema non pone per x1 alcuna condizione. Le soluzioni del sistema
(5.18.2) appartengono dunque al sottoinsieme
x1
S= 4 x 1 R
2
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 226
(perche?).
Dalla quarta equazione vediamo che deve essere x4 = 2/3; sostituendo questo valore di
x4 nella terza equazione, da questa otteniamo che x3 = 2. Proseguendo, nella seconda
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 227
Nota 5.18.5. Ad un esame superficiale, i sistemi di cui agli Esempi 5.18.2 e 5.18.3
potrebbero apparire come due scritture diverse di uno stesso sistema di due equazioni in
due incognite. Naturalmente non `e cos` e la diversa numerazione delle incognite lo sta
ad indicare; a seconda del contesto in cui si opera, il fatto che una particolare incognita
non compaia in una equazione non significa che di essa non occorre tenere conto. Infatti,
nellEsempio 5.18.2 il problema da risolvere `e la ricerca delle soluzioni del sistema (5.18.1)
nello spazio R2 , mentre nellEsempio 5.18.3 sono richieste le soluzioni del sistema (5.18.2)
presenti nello spazio R3 . In questo ordine di idee, in un dato contesto si potrebbe essere
interessati alle soluzioni del sistema (5.18.1) nello spazio R3 , considerando allora (5.18.1)
come sistema lineare nelle incognite x1 , x2 , x3 , dove il coefficiente di x3 `e 0 in tutte e
due le equazioni. Questa volta, ragionando come nellEsempio 5.18.3, non sono imposte
condizioni su x3 e quindi linsieme delle soluzioni `e
4
2 x3 R .
x3
Nei sistemi a scala (5.18.1) e (5.18.3) il numero delle incognite coincide con il numero
dei cardini, ossia con il rango della matrice dei coefficienti; inoltre essi hanno ciascuno
ununica soluzione, il che `e coerente con Teorema 5.17.7. Si tratta di casi particolari di
una speciale classe di sistemi lineari a scala: quelli nei quali la matrice dei coefficienti `e
una matrice quadrata triangolare superiore, nella quale tutti gli elementi della diagonale
principale sono diversi da zero. Per tali sistemi il Teorema 5.17.7 fornisce direttamente il
seguente risultato.
Il metodo abbastanza elementare con il quale abbiamo risolto i sistemi degli esempi
citati `e applicabile ad un qualunque sistema verificante le ipotesi del teorema precedente;
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 228
y 1 u1 + y 2 u2 + + y r ur = 0 (5.18.8)
y1 e1 + y2 e2 + + yr er = 0,
per cui y1 = y2 = = yr . Dato che Il sottospazio E delle soluzioni del sistema omogeneo
(5.18.6) ha dimensione r, concludiamo che i vettori u1 , u2 , . . . , ur costituiscono una base
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 230
E = hu1 , u2 , . . . , ur i. (5.18.9)
Caso non omogeneo, cio`e i termini costanti B1 , B2 , . . . , Bm non sono tutti nulli. Pre-
scrivendo a xj1 , xj2 , . . . , xjr dei valori arbitrari, diciamo cj1 , cj2 , . . . , cjr rispettivamente (in
pratica risulter`a conveniente scegliere cj1 = cj2 = = cjr = 0), il sistema 5.18.7 di-
0
viene un sistema a scala, cavente
di nuovo A come matrice dei coefficienti e quindi dotato
i1 a1 !
ci2 a2
di ununica soluzione .. . A questo punto il vettore v = .. , dove aih = cih e
. .
cim an
ajk = cjk per 1 6 h 6 m e 1 6 k 6 r, `e una soluzione per il sistema (5.18.6). Infine,
considerando il sottospazio E, descritto dalla (5.18.9), delle soluzioni del sistema omoge-
neo Ax = 0 associato al sistema (5.18.6) e indicando con S linsieme di tutte soluzioni di
questultimo, in conformit`a con il Teorema 5.17.3 risulta
S = {v + w | w E}.
per il quale, con una facile risoluzione allindietro, troviamo lunica soluzione
x1 7
x2 2
x4 = 0 .
x6 2
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 231
Il vettore
7
2
0
v=
0
0
2
0
`e dunque una soluzione per il sistema (5.18.10). Per determinare tutte le soluzioni occorre
ora individuare il sottospazio E di R7 delle soluzioni del sistema omogeneo
x1 2x2 +x3 +3x4 x6 x7 = 0
4x2 +x4 +x5 2x6 = 0
(5.18.11)
+2x4 x5 +2x7 = 0
x6 +x7 = 0
Occorre fare attenzione al fatto che questi sono tre sistemi nelle sette incognite x1 , x2 ,
x3 , x4 , x5 , x6 , x7 , anche se qualcuna di queste non compare esplicitamente in tutte le
equazioni. Con lormai consueto procedimento della risoluzione allindietro, troviamo per
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 232
che sappiamo essere linearmente indipendenti e quindi formano una base per E. La
descrizione esplicita per E (come insieme, si intende) `e la seguente:
1 9/4 5/2
0 3/8 1/4
1 0 0
E = a1 0 + a2 1/2 + a3 1 a1 , a2 , a3 R ,
0 1 0
0 0 1
0 0 1
oppure
a1 94 a2 + 52 a3
3 a2 1 a3
8 4
a1
1
E= a a3
2 2
a1 , a2 , a3 R .
a2
a
3
a3
Finalmente, ecco la descrizione delinsieme S delle soluzioni del sistema (5.18.7) dal quale
eravamo partiti:
7 a1 94 a2 + 52 a3
3 1
2 a a
2 3
8 4
a1
1
S = {v + w | w E} = a a3
2 2 a1 , a2 , a3 R .
a
2
2 a
3
a3
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 233
(2) moltiplicare unequazione per un numero reale non nullo, ossia sostituire la i-esima
equazione
Ai1 x1 + Ai2 x2 + + Ain xn = Bi (5.19.1)
con lequazione
rAi1 x1 + rAi2 x2 + + rAin xn = rBi , (5.19.2)
dove r `e un numero reale non nullo;
(3) sommare ad unequazione una delle rimanenti moltiplicata per un numero reale ossia,
scelti i, j m con i 6= j e un numero reale r, sommare alla i-esima equazione
Ai1 x1 + Ai2 x2 + + Ain xn = Bi lequazione rAj1 x1 + rAj2 x2 + + rAjn xn = rBj ,
sostituendo dunque la i-esima equazione con la nuova equazione
cio`e
(Ai1 + rAj1 )x1 + (Ai2 + rAj2 )x2 + + (Ain + rAjn )xn = Bi + rBj . (5.19.3)
Di conseguenza
(Ai1 + rAj1 )v1 + (Ai2 + rAj2 )v2 + + (Ain + rAjn )vn = Bi + rBj (5.19.5)
e quindi v `e anche una soluzione per Cx = D. Viceversa, supponiamo che v sia una
soluzione per Cx = D. Allora, in particolare, vale la seconda delle (5.19.4) e la (5.19.5).
Deduciamo che
Teorema 5.19.3. Ogni sistema lineare non banale `e equivalente ad un sistema a scala.
Eventualmente alterando lordine delle equazioni, ossia effettuando una sequenza finita
di operazioni elementari di tipo (1), possiamo supporre che sia A11 6= 0. Per ogni i
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 235
{1, 2, . . . , m}, aggiungiamo alla i-esima equazione la prima moltiplicata per (Ai1 /A11 ),
effettuando cos` m 1 operazioni di tipo (3). Dunque, tenuto conto della Proposizione
5.19.2, il sistema (5.19.6) `e equivalente al sistema
A11 x1 = B1
0 = (A21 /A11 )B2
.. (5.19.7)
.
0 = (Am1 /A11 )Bm ,
il quale `e un sistema a scala con unico cardine A11 . Dunque P (1) `e vera. Dato un intero
positivo n, supponiamo che P (n1) sia vera e proviamo che, di conseguenza, `e vera anche
P (n). In maniera esplicita, supponiamo che ogni sistema lineare non banale con meno
di n incognite sia equivalente ad un sistema a scala (Ipotesi Induttiva), consideriamo un
sistema non banale Ax = B in n incognite x1 , . . . , xn e mostriamo che anche questo `e
equivalente ad un sistema a scala. Se il coefficiente di x1 `e zero in tutte le equazioni del
sistema Ax = B, questultimo `e un sistema nelle n 1 rimanenti incognite x2 , . . . , xn ,
per cui esso `e equivalente ad un sistema a scala in base allipotesi induttiva. Altrimenti,
alterando eventualmente lordine delle equazioni, possiamo supporre che sia A11 6= 0.
Come abbiamo fatto per il caso n = 1, se m `e il numero delle equazioni di Ax = B,
per ogni i {1, 2, . . . , m} aggiungiamo alla i-esima equazione la prima moltiplicata per
(Ai1 /A11 ). Perveniamo cos` al sistema
A11 x1 +A12 x2 + +A1n xn = B1
(A21 /A11 )A22 x2 (A21 /A11 )A2n xn = (A21 /A11 )B2
..
.
(A /A )A x (A /A )A x = (A /A )B ,
m1 11 m2 2 m1 11 mn n m1 11 m
il quale `e un sistema a scala nel caso in cui sono nulli tutti i coefficienti delle equazioni
dalla seconda in poi. In caso contrario, passiamo a considerare il sistema
(A21 /A11 )A22 x2 (A21 /A11 )A2n xn = (A21 /A11 )B2
..
.
(A /A )A x (A /A )A x = (A /A )B .
m1 11 m2 2 m1 11 mn n m1 11 m
5.20 Problemi.
Esercizio 5.20.1. Tramite la riduzione a scala, decidere la risolvibilit`a, o meno, dei
seguenti sistemi lineari. In caso affermativo, descrivere gli insiemi delle soluzioni.
x1 + 2x2 x3 + 3x4 + x5 = 6
2x + 3x + x + 5x
1 2 3 4 =8
(a)
4x1 + x2 + x3 + 8x4 + 2x5 = 21
x1 + 4x3 + 3x4 + x5
= 3.
2x1 + x2 + 2x3 + x4 + 13x5 =0
5x 5x + 20x + 25x 5x = 2
1 2 3 4 5
(b)
x1 x2 + 4x3 + 5x4 x5 = 1
x1 + x2 x4 + 9x5
= 0.
x1 + 4x2 + 5x3 2x4 = 12
3x + 3x + 6x 2x = 14
1 2 3 4
(c)
x1 + x2 + 5x3 + 5x4 = 0
2x1 + x3 = 3.
x1 + 4x2 + 5x3 + x4 =2
3x + 3x + 6x + 3x = 1
1 2 3 4
(d)
x1 + x2 + 5x3 6x4 = 5
2x1 + x3 + 3x4 = 3.
x1 + 4x2 + 5x3 + x4 =0
3x + 3x + 6x + 3x
1 2 3 4 =0
(d)
x1 + x2 + 5x3 6x4 =0
2x1 + x3 + 3x4 = 0.
Esercizio 5.20.3. E ` noto che le tre operazioni elementari sulle righe di una matrice
A Mm,n (R) non alterano il sottospazio h(A1 ) , (A2 ) , . . . , (Am ) i di Rn generato dalle
(trasposte delle) righe di A. Illustrare, con quattro diversi esempi, che le medesime
operazioni possono invece alterare il sottospazio hA1 , A2 , . . . , An i di Rm generato dalle
colonne.
Esercizio 5.20.4. Provare che, per ogni vettore (b1 , b2 , b3 , b4 ) R4 , il sistema lineare
x1 + 2x2 x3 + 3x4 + x5 = b1
2x + 3x + x + 5x
1 2 3 4 = b2
4x1 + x2 + x3 + 8x4 + 2x5 = b3
x1 + 4x3 + 3x4 + x5
= b4
ha infinite soluzioni.
Esercizio 5.20.5. Stabilire se esiste, o meno, un vettore (b1 , b2 , b3 , b4 ) R4 tale che il
sistema lineare
x1 + 2x2 + 4x3 x4 = b1
2x1 + 3x2 + x3 = b2
x1 + x2 + x3 + 4x4 = b3
3x1 + 5x2 + 8x3 + 3x4 = b4
x + 2x + x
1 3 4 = b1
non ha soluzioni.
Esercizio 5.20.6. Quali sono i valori per a tali che il sistema lineare
2x1 + 5x2 + x3 x4
=8
x + 2x x =0
1 2 4
2x1 + x2 + x3 3x4 =0
3x1 + 2x2 + 2x3 + ax4 =3
ha soluzioni?
Esercizio 5.20.7. Quale relazione deve legare i numeri b1 , b2 , b3 affinche il sistema lineare
2x1 + 5x2 + 3x3 = b1
3x1 x3 = b2
5x1 + 5x2 + 2x3 = b3
abbia soluzioni?
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 238
Esercizio 5.20.9. E` possibile che per una matrice A = ( a b ) risulti An = 0 per un intero
c d
n > 2, ma A2 6= 0?
Esercizio 5.20.10. Trovare due matrici non nulle B M2,3 (R) e C M3,2 (R) tali che
1 3 5 1 3 5
B 4 1 1 = 0 e 4 1 1 C = 0.
0 1 2 0 1 2
x1 v1 + x2 v2 + x3 v3 + x4 v4 + x5 v5 = 0.
Esercizio 5.20.12. Trovare tre distinte basi di E che non includano alcuno dei vettori
v1 , v2 , v3 , v4 , v5 .
Esercizio 5.20.13. Estrarre dallinsieme M cinque distinte basi M1 , M2 , M3 , M4 , M5 per
E in maniera che vi Mi per i {1, 2, 3, 4, 5}.
Esercizio 5.20.14. Completare le basi M1 , M2 , M3 , M4 , M5 di cui al Problema 13 con
vettori presi dalla base canonica
1 0 0 0
0 1 0 0
e1 = 0 , e 2 = 0 , e 3 = 1 , e 4 = 0
0 0 0 1
Esercizio 5.20.20. Determinare una quaterna non nulla di numeri reali (A1 , A2 , A3 , A4 )
tale che lequazione
A1 x 1 + A2 x 2 + A3 x 3 + A4 x 4 = 0 (5.20.1)
abbia come soluzioni i vettori
1 0
1 0
, .
0 3
0 3
Esiste una quaterna non nulla di numeri reali (A1 , A2 , A3 , A4 ) tale che lequazione (5.20.1)
abbia come soluzioni i vettori
1 1 0 0
0 1 0 1
0 , 0 , 1 , 1 ?
1 0 1 0
con righe non nulle, tale che il sottospazio di R4 delle soluzioni del sistema lineare
(
A11 x1 + A21 x2 + A31 x3 + A41 x4 = 0
A12 x1 + A22 x2 + A32 x3 + A42 x4 = 0
1 1
coincida con il sottospazio generato dai vettori 10 , 11 .
0 0
a rb + sb0 a b0
a b
(A) D = rD + sD ;
c rd + sd0 c d c d0
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 241
a b b a
(B) D = D ;
c d d c
a a
(C) D = 0;
c c
!
a b a b
(D) D =D ;
c d c d
1 0
(E) D = 1;
0 1
0 0 0 0
a b a b a b a b
(F) D 0 0 =D D .
c d c d c d c0 d0
Le propriet`a (A), (A) si esprimono dicendo che la funzione D `e lineare nelle colonne,
mentre la propriet`a (B) si esprime dicendo che la funzione D `e alternante nelle colonne.
In realt`a D `e lineare e alternante anche nelle righe, come segue facilmente dalla (D). Le
(E), (F) ci dicono che D `e un omomorfismo di monoidi dal monoide moltiplicativo M2 (R)
verso il monoide moltiplicativo R.
Il nostro programma `e di estendere il concetto di determinante ad una qualunque
matrice quadrata di numeri reali. Dato un intero n > 1, se A M2 (R) e i n, sar`a
comodo indicare con Ai la i-esima colonna e con Ai la I-esima riga di A, cos` che possiamo
scrivere
A1
A = A1 , . . . , An , oppure A = ... .
An
Se B `e una colonna ad n righe e C `e una riga ad n colonne, le scritture
A1
..
.
A = A1 , . . . , B , . . . , A n , A = i C
i ..
.
An
Definizione 5.21.1. Dato un intero positivo n, diciamo che una funzione D : Mn (R) R
`e un determinante se verifica le seguenti condizioni:
(I) D `e lineare nelle colonne, cio`e: data una matrice A Mn (R), se per un i n
risulta Ai = rv + sw, dove v, w sono due colonne ad n righe e r, s R, allora
D A , . . . , rv + sw, . . . , A = rD A1 , . . . , v, . . . , An + sD A1 , . . . , w, . . . , An .
1 n
i i i
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 242
per cui D(A) = 0. Viceversa, supponiamo che verifichi la (II), sia A Mn (R) e sia
i n 1. Siccome D verifica la (I), allora risulta
1 i i+1 i i+1 n
0 = D A ,...,A + A ,A + A ,...,A
i i+1
1 i i i+1 n 1 i+1 i i+1 n
= D A ,...,A ,A + A ,...,A + D A ,...,A ,A + A ,...,A
i i+1 i i+1
= D A1 , . . . , Ai , Ai , . . . , An + D A1 , . . . , Ai , Ai+1 , . . . , An
i i+1 i i+1
1 i+1 i n 1 i+1 i+1 n
+ D A ,...,A , A ,...,A D A ,...,A ,A ,...,A
i i+1 i i+1
1 i i+1 n 1 i+1 i n
= D A ,...,A ,A ,...,A + D A ,...,A , A ,...,A ,
i i+1 i i+1
Corollario 5.21.4. Per ogni matrice A Mn (R) e per ogni permutazione Sn risulta:
in parole: operando una permutazione sulle colonne di A, il valore di D(A) non cambia
se `e pari, mentre cambia di segno se `e dispari.
Dimostrazione. Se `e una trasposizione, allora sgn() = 1 e la (5.21.3) segue dal-
la Proposizione 5.21.3. Siccome ogni permutazione `e prodotto di trasposizioni (vedi la
Proposizione 3.11.1), il corollario segue dalla Proposizione 5.21.3 e dal Teorema 3.11.5.
Corollario 5.21.5. Se la matrice A Mn (R) ha due colonne uguali, allora D(A) = 0.
Dimostrazione. Segue immediatamente dal Corollario (5.21.4) prendendo per la
permutazione che scambia fra loro le due colonne uguali.
Corollario 5.21.6. Data una matrice A Mn (R), un numero reale r e due indici distinti
i, j n, risulta
1 i j n
D A , . . . , A + rA , . . . , A = D(A); (5.21.4)
i
Il
secondo addendo del secondo membro `e zero per il Corollario (5.21.4), avendo la matrice
A1 . . . , Aj , . . . , An uguali la i-esima e la j-esima colonna. Dunque la tesi.
i
Con il lemma seguente entrano in gioco i prodotti fra n entrate di una matrice A
Mn (R) che si trovano in colonne diverse. Ognuno di questi prodotti ha la forma
Dimostrazione. Osserviamo che, per ogni i n, la i-esima colonna (AB)i della matrice
prodotto AB `e una combinazione lineare delle righe della matrice A, avendosi precisamente
La linearit`a nelle altre colonne causa allora lespansione di D(AB) nella somma di nn
termini ciascuno dei quali ha la forma
Siamo ora pronti per dimostrare il teorema di esistenza e di unicit`a del determinante.
Dato un intero n > 2 e una matrice A Mn (R), per ogni i, j n indichiamo con A fij la
matrice di formato (n 1) (n 1) che si ottiene da A sopprimendo la i-esima riga e la
j-esima colonna.
Teorema 5.21.8. Per ogni intero positivo n esiste una ed una sola funzione determinante
D : Mn (R) R. Inoltre per ogni A Mn (R) risulta
X
D(A) = sgn()A(1),1 A(n),n . (5.21.8)
Sn
colonne per lipotesi induttiva, risulta D0 Afij = rD0 B fij + sD0 C fij . Di conseguenza,
se j 6= k abbiamo
h i
i+j 0 f i+j 0 f 0 f
(1) Aij D Aij = (1) Aij rD Bij + sD Cij
= r(1)i+j Bij D0 Bfij + s(1)i+j Cij D0 C
fij ;
se invece j = k abbiamo
(1)i+k Aik D0 A
fik = r(1)i+k Bik D0 B
fik + s(1)i+k Cik D0 C
fik .
In conclusione risulta
X n
i+j 0 f
D(A) = (1) Aij D Aij
j=1
" n
# " n
#
X X
=r ((1)i+j Bij D0 B
fij +s ((1)i+j Cij D0 C
fij
j=1 j=1
= rD(B) + sD(C),
il che prova che la funzione D definita dalla (5.21.9) `e lineare nelle colonne.
Condizione (II). Sia A Mn (R) e supponiamo che Ak = Ak+1 per un k n 1.
Allora Aik = Ai,k+1 e A fik = A
^ i,k+1 , per cui
(1)i+k Aik D0 A fik + (1)i+k+1 Ai,k+1 D0 A^i,k+1 = 0.
0 f
Se poi j < k oppure k + 1 < j, allora Aij ha due colonne uguali, quindi D Aik = 0 in
f
base al Corollario 5.21.5 e allipotesi induttiva. Di conseguenza il secondo membro della
(5.22.1) `e nullo. Dunque D(A) = 0 e dalla Proposizione 5.21.2 segue che la funzione D
verifica la condizione (II).
Condizione (III). Osserviamo che per ogni i, j n risulta (Un )ij = ij , mentre ^
(Un )ii =
U(n1) . Di conseguenza dalla (5.21.9) otteniamo che D(Un ) = (1)i+i (Un )ii D0 (U ^ n )ii =
1. Concludiamo che la funzione D : Mn (R) R definita dalla (5.21.9) `e un determinante.
5.22 Propriet`
a e calcolo del determinante.
In vista del Teorema 5.21.8 possiamo ormai parlare de il determinante di una qualunque
matrice quadrata. Se A Mn (R) indichiamo definitivamente con il simbolo det(A) il
determinante di A. Da quanto precede risulta che vi sono due modi diversi per calcolare
(si dice anche sviluppare) det(A). Il primo `e dato dalla formula (5.21.8), in base alla quale
det(A) si ottiene come somma di tutti gli n! prodotti associati della matrice A. Il secondo
consiste nel fissare un indice i n e usare la formula (5.21.9) ossia, in modo conciso,
Xn
det(A) = (1)i+j Aij det A fij . (5.22.1)
j=1
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 247
si noti che A11 A22 e A12 A21 sono precisamente i due prodotti associati della matrice in
oggetto. Per n = 3 di prodotti associati ve ne sono sei e risulta:
A11 A12 A13
det A21 A22 A23
A31 A32 A33
= A11 A22 A33 + A12 A23 A31 + A13 A21 A32 A11 A23 A32 A12 A21 A33 A13 A22 A31 .
(somma dei prodotti degli elementi lungo le linee continue meno la somma degli elementi
lungo le linee interrotte). Per n > 4 non `e affatto pratico sviluppare det(A) come somma
di tutti gli n! prodotti associati. Come vedremo, un uso oculato delle operazioni elementari
sulle righe di una matrice A permette un calcolo abbastanza spedito di det(A). Prima di
procedere vogliamo individuare due fondamentali propriet`a del determinante. La prima
`e che il determinante di una matrice A Mn (R) coincide con il determinante della sua
trasposta A ; la seconda `e che il determinante della matrice prodotto AB di due matrici
A, B Mn (R) coincide con il prodotto del determinante di A con il determinante di B.
Daltra parte gli insiemi {(1), . . . , (n)} e n = {1, . . . , n} coincidono (perche?) e quin-
di coincidono anche i due insiemi di numeri reali {A(1),1 ((1)) , . . . , A(n),1 ((n)) } e
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 248
{A1,1 (1) , . . . , An,1 (n) }. Riassumendo, tenuto conto del fatto che la moltiplicazione fra
numeri reali `e commutativa e del fatto che sgn() = sgn(1 ), abbiamo
Come si vede, il prodotto associato della matrice A relativo alla permutazione coincide
con il prodotto associato della matrice A relativo alla permutazione 1 . Dal momento
che, al variare di nel gruppo Sn , linversa 1 esaurisce Sn (si ricordi che in ogni gruppo
G il sottoinsieme degli inversi degli elementi di G coincide con G!), concludiamo che A e
Dal momento che le righe di una matrice A sono le colonne della sua trasposta, il
risultato precedente ha una conseguenza immediata di fondamentale importanza: oltreche
verificare le condizioni (I), (II), la funzione determinante verifica le medesime condizioni
relativamente alle righe. Da queste deriva che valgono anche, relativamente alle righe,
delle propriet`a analoghe a quelle descritte nelle Proposizioni 5.21.2, 5.21.3 e nei Corollari
5.21.4, 5.21.5 e 5.21.6. Per comodit`a elenchiamo in maniera esplicita tali propriet`a.
Corollario 5.22.2. La funzione det : Mn (R) R verifica le seguenti condizioni, dove A
`e una qualunque matrice n n:
(1) det `e lineare nelle righe, cio`e: se per un i n risulta Ai = rv + sw, dove v, w
sono due righe ad n colonne e r, s R, allora
A1 A1 A1
.. .. ..
. . .
det i rv + sw = r det i v + s det i w .
.. ..
..
. . .
An An An
(2) det `e alternante nelle righe, cio`e: per ogni A Mn (R) e 1 6 i 6 n 1 risulta
A1 A1
.. ..
. .
i Ai i Ai+1
= det
i + 1 Ai+1 i + 1 Ai
.. ..
. .
An An
quindi la (5.22.2).
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 250
Per quanto riguarda il calcolo concreto del determinante di una matrice A Mn (R),
abbiamo gi`a accennato che quasi mai si usa direttamente la formula (5.21.8). Anche
lo sviluppo secondo una riga usando la formula (5.22.1), oppure secondo una colonna
usando la formula (5.22.2), `e il pi`
u delle volte piuttosto laborioso. Per esempio, gi`a per
n = 4 queste due formule prevedono il calcolo preventivo del determinante di 4 matrici di
formato 3 3. Fortunatamente il processo di riduzione a scala descritto nella Sezione 5.15
semplifica enormemente tutto il lavoro. Partiamo dalla considerazione che il calcolo del
determinante di una matrice a scala `e estremamente facile, come conseguenza risultato
seguente e del fatto che una matrice quadrata a scala `e comunque una matrice triangolare
superiore.
Proposizione 5.22.5. Se la matrice A Mn (R) `e triangolare superiore o triangolare
inferiore, allora det(A) `e uguale al prodotto degli elementi della diagonale principale:
A11 A12 . . . A1n A11
A22 . . . A2n A21 A22
det
.. .. = A A
11 22 A nn = det
.. .. .. .
. .
. . .
Ann An1 An2 . . . Ann
Di conseguenza, se A `e una matrice a scala, allora det(A) `e uguale al prodotto dei cardini
se il numero di questi `e n, altrimenti det(A) = 0 se il numero dei cardini `e inferiore ad n.
Dimostrazione. Si tratta di una facile induzione su n (si sviluppi il primo determinante
secondo lultima riga e il secondo determinante secondo la prima riga). Se A `e una matrice
a scala con r < n cardini, allora le ultime n r righe sono nulle, per cui det(A) = 0 in
base alla (2) del Corollario 5.22.2.
per cui deve essere det(A) 6= 0. Come ora mostreremo, questa condizione `e sufficiente per
garantire linvertibilit`a della matrice A.
Data una matrice A Mn (R) con n > 2, per ogni i, j n il numero Aij definito da
Aij = (1)i+j det A
fij
A A = det(A) Un = A A. (5.23.2)
A1 = (det(A))1 A . (5.23.3)
Dimostrazione. Per provare la prima uguaglianza nella (5.23.1) basta provare che, dato
un qualunque k n, per ogni i n risulta
det(A), se i = k;
(A A )ik =
0, se i 6= k.
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 252
Tenuto conto della definizione della matrice aggiunta A e della (5.22.1) abbiamo
n
X n
X
(A A )kk = Akj Ajk = (1)j+k Akj det A
g jk = det(A).
j=1 j=1
n
X n
X
(A A )ik = Aij Ajk = (1)j+k Aij det A
g jk
j=1 j=1
n
X
= (1)j+k Bkj det A
g jk = det(B) = 0,
j=1
dove lultima uguaglianza segue dal fatto che B ha due righe uguali. Con ci`o `e provata
la prima uguaglianza nella (5.23.1). Osserviamo ora che, essendo det(A) Un una matrice
scalare, essa coincide con la propria trasposta; inoltre si vede immediatamente che ( A ) =
( A ) . Di conseguenza, tenendo presenti la seconda delle (2.7.7), la Proposizione 5.22.1 e
la prima delle (5.23.2) appena dimostrata otteniamo:
dunque la seconda delle (5.23.2). Infine, abbiamo gi`a osservato che se A `e invertibile,
allora det(A) 6= 0. Viceversa, se det(A) 6= 0, usando le (5.23.2) si vede immediatamente
che la matrice a secondo membro della (5.23.3) `e linversa per A.
Una matrice A tale che det(A) 6= 0 si dice anche matrice non singolare.
Esercizio 5.23.3. Provare che il sottoinsieme di Mn (R) delle matrici che hanno determi-
nante 1 `e un sottogruppo normale del gruppo GLn (R). Esso si chiama il gruppo lineare
speciale di grado n sul campo reale e si indica con SLn (R) (Sugg.: SLn (R) `e il nucleo
di un omomorfismo...).
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 253
nel quale, come indicato, il numero n delle equazioni coincide con il numero delle incognite.
Come in precedenza, indichiamo con A la matrice dei coefficienti, con X la colonna delle
incognite e con B la colonna dei termini costanti; supponiamo inoltre che il sistema non
sia banale, ossia A 6== 0. Gi`a sappiamo dal Teorema 5.17.7 che tale sistema ha ununica
soluzione se e solo se rg(A) = n. Disponendo ora del concetto di determinante, siamo
in grado di ottenere ulteriori informazioni circa il legame profondo tra il determinante di
A, la possibile dipendenza lineare delle righe (o colonne) di A e le soluzioni del sistema
lineare (5.24.1).
(3) Ogni sistema lineare di cui A `e la matrice dei coefficienti ammette ununica soluzione.
(4) Esiste almeno una colonna B Rn tale che il sistema lineare (5.24.1) ammette
ununica soluzione.
(5) rg(A) = n.
(6) det(A) 6= 0.
Supponiamo che valga una e quindi anche le rimanenti di tali condizioni. Con riferimento
al sistema (5.24.1), per ogni i n indichiamo con B(i) la matrice che si ottiene da A
sostituendo la i-esima colonna con la colonna B dei termini costanti. Allora lunica
soluzione del sistema (5.24.1) `e data dal vettore colonna
(det(A))1 det(B(1) )
..
.
X = (det(A))1 det(B(i) ) . (5.24.2)
..
.
1
(det(A)) det(B(n) )
CAPITOLO 5. VETTORI E SPAZI VETTORIALI 254
Nota 5.24.2. La parte del teorema precedente che afferma che se det(A) 6= 0, allora il
sistema (5.24.3) ammette come unica soluzione quella espressa dalla (5.24.2) `e nota come
il Teorema di Cramer.
Indice analitico
255
INDICE ANALITICO 256
gr(f ), 143
f , 144
I 6 R, 145
L(R), 147
A(I, R), 149
L(I, R), 149
E, spazio euclideo tridimensionale, 158
AB, 162
GO , GOr , GO , 163
S, insieme dei segmenti orientati di E, 162
SO , insieme dei vettori applicati in O, 163
SO , 163
SOr , 163
AB CD, 163
Hi , 164
Hi,j , 165
Hi,j,k , 166
E + F , somma di due sottospazi E, F , 192
E1 En , somma diretta di sottospazi
E1 , . . . , En , 195
k , omotetia di rapporto k, 200
M (f ), matrice associata ad unapplicazione
lineare f , 201
rg(f ), rango di unapplicazione lineare f ,
205
LA , applicazione lineare associata ad una
matrice A, 201
rg(A), rango di una matrice A, 209
det(A), determinante di una matrice A, 246
A , matrice aggiunta di una matrice A, 251
Aij , complemento algebrico dellentrata Aij
di una matrice A, 251
GLn (R), gruppo lineare generale, 252