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C/Docum/ScriptaMinima --- File “#3116 Chiglihadato 2 Kjeldahl”

C/Docum/ChimFuturo --- File “2009-03 Chiglihadato 2 Kjeldahl”

Chimica News, n. 29, 26-27 (settembre 2009), in: Inquinamento, 51, (118), settembre 2009

Un nome, un perché: Kjeldahl

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

“Azoto totale secondo Kjeldahl”, è questa una delle analisi richieste per la valutazione della
qualità di molti alimenti, per il controllo delle acque e di altri materiali di interesse
merceologico o ambientale. Chi era mai questo Kjeldahl ? Se il suo nome è pronunciato
continuamente nei laboratori chimici, altrettanto poco nota è la storia del chimico danese
Johan Gustav Kjeldahl (1849-1900) che ha inventato il metodo di analisi dell’azoto. Nel 1847
l’imprenditore danese J.C. Jacobsen (1811-1887) aveva fondato una birreria chiamata
Carlsberg, dal nome del figlio Carlo. Jacobsen era un uomo di grande cultura e lungimiranza
e, ispirato dalle scoperte fatte in Francia da Louis Pasteur (1822-1895), volle utilizzare le più
recenti conoscenze scientifiche per migliorare la qualità della birra di sua produzione. Nel
1876 creò così un laboratorio di ricerche e ne affidò, la direzione al giovane Kjeldahl. Nato
vicino a Copenhagen, Kjeldahl aveva studiato al Regio Politecnico e, dopo la laurea, fu
assunto al Regio Collegio di Agricoltura come assistente di C.T. Barfoed (1815-1899), un
amico di Jacobsen. Fu così incaricato di controllare il contenuto di proteine dei cereali usati
nella birreria, una analisi che sostanzialmente richiedeva la misura del contenuto in azoto del
campione in esame.

Nella metà dell’Ottocento il contenuto in carbonio e idrogeno, il CH, come si diceva e si dice
tuttora, di una sostanza organica era misurato con la combustione del campione ad alta
temperatura in presenza di ossido di rame e con successiva analisi della quantità di anidride
carbonica e di acqua liberate, rispettivamente, dal carbonio e dall’idrogeno. Per l’azoto
c’erano invece dei problemi; durante la combustione si formano ossidi di azoto difficili da
analizzare; Dumas, il grande rivale di Liebig, scaldava i campioni in assenza di ossigeno e
raccoglieva l’azoto gassoso su mercurio, un metodo complicato e lungo. Nel 1841 due
studenti di Liebig, Heinrich Will (1812-1890) e Franz Varrentrapp (1818-1877), descrissero
un metodo di analisi dell’azoto nei prodotti organici, consistente nella pirolisi del campione
direttamente con alcali; si liberava così ammoniaca che veniva facilmente titolata. Il metodo
non era però adatto ad analisi in serie, come quelle che Kjeldahl doveva fare per controllare il
contenuto di proteine dell’orzo; Kjeldahl mise allora a punto un nuovo metodo. Il campione
veniva trattato con acido solforico concentrato in presenza di permanganato; si formava
quantitativamente solfato di ammonio che veniva portato in soluzione e trasferito in un
pallone a collo lungo, che successivamente fu chiamato “kjeldahl”; qui la soluzione veniva
addizionata con idrato di sodio e l’ammoniaca che si liberava veniva distillata, raccolta in una
soluzione titolata di acido e misurata. Il processo era migliorato per aggiunta di altri
catalizzatori, come il selenio.

Kjeldahl descrisse il nuovo metodo nel Rapporto annuale del laboratorio di Carlsberg del
1882-83 e lo espose al congresso della Fondazione Chimica Danese nel marzo 1883. Il grande
chimico inglese William Crookes (1832-1919) ne parlò in maniera entusiasta nell’agosto nella
rivista “Chemical News” e il metodo si diffuse rapidamente. L’americano Lyman F..Kebler
nel “Journal of Analytical Chemistry” osservò che nessun altro metodo era stato così
universalmente adottato in così poco tempo, come il metodo di Kjeldahl. Il metodo di

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Kjeldahl diventò il metodo standard per la misura del contenuto di azoto nelle proteine ed è
oggi usato anche per analisi di piccole quantità di campioni in un apparecchio di vetro molto
pratico, il microkjeldahl. Come è noto, si risale al contenuto in proteine moltiplicando il
contenuto in azoto N per 6,25 (considerando che in media le proteine contengono il 16 % di
azoto) e con altri coefficienti

Fra le ricerche successive di Kjeldahl si possono ricordare quelle sull’idrolisi dell’amido,


sull’influsso dell’ossigeno come fonte di errore nella analisi degli zuccheri per riduzione con
soluzioni di sali di rame e nel perfezionamento di tale metodo che divenne il metodo standard
per l’analisi degli zuccheri riducenti. Kjeldahl studiò anche l’attività ottica delle proteine delle
piante e riconobbe la presenza dell’amminoalcol colina nella fermentazione della birra. Nel
1892 divenne professore universitario e nel 1894 l’Università di Copenhagen gli conferì la
laurea ad honorem. Kjeldahl non era sposato e morì ad appena 51 anni di una emorragia
cerebrale mentre stava facendo un bagno nel mare. Nel 1983 la Royal Society of Chemistry
ha celebrato il centenario della scoperta del metodo di Kjeldahl pubblicando una monografia
apparsa negli “Analytical Proceedings” della stessa società.

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