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Ove Chiunque È Deforme (Prosa)
Ove Chiunque È Deforme (Prosa)
Di fronte ad un piazzale ricoperto di sabbia, sulla quale erano stati tracciati dei segni
vagamente geometrici e posta una rete erigibile in misura variabile verso lalto, vi era
una finestra. Dai sprizzi di luce che si potevano intravedere, dietro le edere poste
direttamente sul vetro, le varie piante rampicanti disposte ad arco sulle pareti, ed i
rami dei ciliegi, pini, peschi, cipressi e salici posti tra le due aree appena descritte si
scorgeva una figura dallaspetto non chiaro. Probabilmente era una persona, ma un
cartello sembrava dover indicare che l vi era un qualcosa di diverso da ci che
conosciamo, un altro. Un qualcosa dalla struttura vagamente umanoide per i tratti
riconoscibili, ma che dietro alle porzioni nascoste poteva celare un che di amorfo,
mostruoso, o qualsiasi credenza che la nostra mente o i pareri altrui possono portarci a
ritenere corretta.
Per la verit vi era unintera abitazione, ora materializzata nelle menti come spesso
accade una volta che viene citata permettendo al cervello di defocalizzarsi dalla sola
finestra. A differenza delle altre, essa si trovava allinterno di un parco inaccessibile ai
pi, poich chiuso da un cancello che, oltre al classico lucchetto, possedeva anche il
cartello esplicativo che sicuramente sar gi stato letto se vi siete approssimati al
inferriata medesima. Questinferriata racchiudeva unarea modestamente grande, ma
oltremodo complessa in insieme di strutture che in parte reagivano istintivamente a
ci che era oltre confine ed altre rimanevano immutabili. Fuori da quella cancellata,
non si sa, un mondo forse inesistente, come se si passasse col cogito dallaltra parte di
un piano cartesiano.
In quel piccolo quartiere comunemente riconosciuto come desolato le situazioni erano
spesso simili, perci spesso il giovane si ritrovava a guardare le stelle di notte.
Dormiva molto poco, in una riflessione quasi perenne: si chiedeva della loro origine e
se fosse vero quanto dicevano le riviste che leggeva, ora tenute ordinatamente nella
sua libreria posta di fianco ad uno strano marchingegno, insieme a molti altri volumi.
Non conosceva i nomi di quelle stelle e nemmeno le costellazioni, poich riteneva che
fosse tutto un mero costrutto, lasciando perci alla sua mente di raggiunge quelle fonti
di luce in maniera diversa, costruendoci figure nuove, a volte aiutandosi con
lintervento delle nuvole. Agli estremi del periodo buio quasi catapultava le sue
attenzioni allopposto, osservando, proprio nella regione di terra davanti alla sua
finestra, una formicaleone trapassare continuamente la terra sotto di s a costruirsi un
rifugio, oppure a creare trappole per catturare le sue prede. Una volta questa aveva
tentato di scavare pi a lungo, probabilmente per fuggire, ma non ne era stata in
grado ed era dovuta tornare indietro. Come vincolato a quello spazio, il mirmeleontide
era quasi visto come uno spirito del deserto, ed era stato simpaticamente
soprannominato Trapasso, in memoria di quel fallito tentativo di fuga squarciando la
terra.
Ma cera unattivit preferita tra tutte per quella finestra: osservare i sorrisi. Spesso
sotto ad essa si trovavano persone a praticare sport, cercare un punto Wi-Fi libero, o
pi semplicemente a stare insieme. Ma la parte pi rilevante era questa, entrate
nellarea circoscritta da quel cartello minaccioso le persone cominciavano a sorridere,
in particolar modo le ragazze, sia che fossero sole o accompagnate e senza la
necessit di sentirsi o meno osservate. E quando una persona in particolare si
avvicinava, il nostro abitante, conscio dellaltezza del proprio piano, era libero di
avvicinarsi alle veneziane sempre spalancate e sentirsi finalmente baciato dal sole, un
sole che ricordiamo presente anche di notte e dietro le nubi o lorizzonte. La nostra
stella: una verit che sembrava esserci sempre rivelata, in comportamento comune a
chi legge e chi letto: pur non conoscendo le macchie presenti su questa,
nellosservarla cos spesso, si comprende una magica interezza positiva e negativa
assieme a esplodere con la forza di un deflagrarsi che risiede in ogni persona senza
che sia necessario il sacrificio della persona stessa.
L, con le braccia a penzoloni come le zampe di un rapace, si chiedeva di quel sorriso,
in unimmagine che ricordava simultaneamente pi membra del volatile quando poi
questi si accarezzava il mento, in un atto di riflessione che nella sua precisione,
ripetitivit e lungimiranza ricordava lo spulciarsi lun laltro dei primati. Il suo guardare
poteva similmente sembrare un atto sociale diversamente inteso. Si chiedeva come
facessero a sorridere cos, e come facessero ad essere cos magnifiche in quellatto.
Non ne conosceva le cause, e sebbene nellindole umana vi il sapere, ogni volta che
fissava incredulo e fiero quella vista si sentiva intellettualmente colmo, colto per in
ununica eccezione: un desiderio di conoscerne le cause cera, ma solo per la virt di
poter continuare egli stesso a far proseguire limmagine luminosa che tanto
laffascinava anche qualora le cause naturali fossero venute a mancare. Avrebbe
voluto poter scendere da quel piano, ma lunico modo che conosceva era quello di
scendere dagli alberi che costantemente vedeva: un garzone rampante. Di sicuro una
visione del genere genererebbe come conseguenza scompiglio e fatto fuggire le fiere,
creature oggetto di magnetismo, in una metaforica illusione.
Era necessario guardarlo quel sorriso? In un atto che poteva sembrare morboso, si
trasmetteva invece un atto di mimesi spontanea. Qualcosa di diverso dalle infinit di
romanzi che spesso provano a descrivere un sentimento osservato come simile,
parafrasandolo con la parola Amor. Una beatitudine dellattimo, sentendolo
estendersi nelle dimensioni del tempo altrimenti irraggiungibili, perch gi trascorse
oppure in attesa di rivedersi nella continua estensione dellesperienza. In un sentire
otto porte in corpo attraverso le quali fosse presente un flusso continuo che in parte
traeva e in parte restituiva sensazioni, lazione risultava cos spontanea in un desiderio
di carpire attraverso i sensi e di restituire attraverso limitazione. Un processo che
dallapertura generava forza e stupore, fino a quella che poteva essere lultima porta
da attraversare. Era come se il ragazzo cominciasse a venire pizzicottato da un
piacere intrinseco, che riempiva il cuore e contorceva i muscoli facciali dello stesso, in
un allenamento che, pur non portando a un irrobustimento della faccia, veniva nel
possibile ripetuto pi e ancor pi serie di fila. Le sue risa erano per bizzarre: non
avendo mai appreso il suono della lettera H dalle visioni che aveva raccolto, la
lettura e riproduzione dei suoni concernenti risa esagitate non facevano per lui, ed
infatti spesso sorrideva in silenzio, con dei suoni che forse solo il paradiso pu ancor
descrivere.
Voleva parlare alle persone, ma nel suo impedimento sentiva dei nodi alla lingua e
lunico modo che aveva per sentirsi speciale era cercare una forma fascinosa nelle
parole e nel costrutto, nel tentativo di essere indimenticabile. Un cercare qualcosa di
assieme tautologico e irrilevante, siccome ci si sente davvero validi per le imprese che
si compiuto a formarci per come ci si , ma contemporaneamente il tutto vissuto
come unazione senza fine, con la necessit di un raggio di confronto, speranza e
sapere a cui aspirare almeno momentaneamente. Leggendo definizioni di parole come
Athazagorafobia, Wanderer, Outcast, Masque, Altair, Nihil si chiedeva
come avrebbe potuto accoglierne ciascuna per diventare importante. Per darle un
significato proprio che non avrebbe mai potuto sentire. Labitante di quella finestra era
infatti sordo, ma pi in particolare non sentiva s stesso, come se quasi nemmeno
potesse vedersi allo specchio, nellignoranza del mondo in cui era costretto a vivere.
Lunica cosa che voleva solo continuare ad amare i sorrisi di quelle ragazze allesterno
in quel modo che sentiva solo suo.
Ogni tanto il ragazzo in questione suonava. Aveva uno strumento che ricordava un
piano, unarpa, una tromba, una fisarmonica e assieme una batteria: difficile da
definirsi poich le mura di quella struttura distorcevano i suoni emessi in un loop
caotico, mentre la musica cos straordinariamente complessa riecheggiava attraverso
le pareti dando limpressione di boati spettrali dai toni lavanda. Ovviamente nessuno
aveva mai potuto vederlo e il legittimo possessore non aveva mai potuto mostrarlo a
nessuno per come si manifesti in realt questo marchingegno. Sembrava per avergli
dato un nome: (h)Ermetic Self Poliphonys Extreme Root. Non c bisogno di
questionarsi sul significato del nome, in fondo un nome che il nostro protagonista
ripeteva a s stesso, in un tentativo di autopercezione tutto suo, oltre le limitazioni
che gli erano date. di fatto che queste canzoni nascevano per accompagnare le sue
visioni e in alcuni casi anche a stimolarle in un evolversi quasi trascendentale, a
rifugiarsi da quel grotto di mura che lo limitava, ma che poi morissero poich non cera
un accompagnamento che potesse confermarle nel loro esistere. Senza questo ogni
nota, ogni respiro era un piccolo Big Bang, capace di massimo potenziale ma non
sfruttato, condensato in un essere compreso solo parzialmente e solo allinterno di
quel parco.