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EU trade policy:

Re-shaping
Globalisation

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Politica commerciale
europea:
riscrivere la
globalizzazione

no

Alessia Mosca

Un benvenuto a tutte e a tutti.


Prima di lasciare la parola ai nostri illustri ospiti che ringrazio sentitamente per aver accettato
linvito a partecipare a questa conferenza, a partire dalla Commissaria Malmstrom e dal
Ministro Calenda tengo a sottolineare perch questa conferenza acquista una importanza
ancora maggiore oggi rispetto a quando lavevamo ideata, sei mesi fa. Come, del resto, la grande
partecipazione che ho il piacere di vedere oggi dimostra.
Da quando sono arrivata al Parlamento Europeo, nel 2014, il commercio internazionale
diventato uno degli argomenti pi controversi e dibattuti. In soli due anni e mezzo passato
dallessere un tema per esperti e addetti ai lavori allessere oggetto di manifestazioni in piazza
in tutta Europa e argomento centrale delle campagne elettorali.
C una legittima richiesta di maggiore inclusione, pi trasparenza sugli effetti del commercio,
pi sostegno nelle fasi di transizione, pi equit. Spesso, per, vengono proposte come soluzioni
ricette a mio avviso inadeguate, come linnalzamento di muri protezionistici e chiusure pi o
meno esplicite: proposte controproducenti e persino pericolose.
Gran parte dellinsicurezza di alcuni posti di lavoro non deriva, oggi, solo dalla globalizzazione
ma dallautomatismo e dalla tecnologizzazione: eppure non vi sono manifestazioni di piazza
contro lavanzamento tecnologico! Questo credo dimostri una persistente ideologizzazione del
dibattito legato al tema del libero scambio.
La discussione di questa mattina credo possa aiutarci a riflettere sul fatto che, oggi pi che
mai, abbiamo bisogno di un vero cambio di paradigma nella politica commerciale, senza
abbandonare in alcun modo la propensione allapertura ma interrogandoci sulle modalit con
cui il commercio si combina non pi solamente con la crescita economica ma con un sistema
di sostegno politico e istituzionale in grado di dare alla politica commerciale una rinnovata e
rafforzata legittimit.
Con questo vi ringrazio ancora una volta e vi auguro di andar via da questo incontro con nuove
idee su cui riflettere e con cui contribuire a un modo migliore di costruire le politiche pubbliche
in generale e quella commerciale in particolare.
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Carlo Altomonte

Lintervento del prof. Altomonte partito dalla piramide delle preferenze dellUnione europea
(in figura 1), che indica la maniera in cui il blocco articola la propria politica commerciale.

Figura 1.

Partendo da una base comune a tutti i membri del WTO, ovvero le condizioni tariffarie che
si applicano in assenza di qualsiasi altro accordo, si sale verso accordi pi complessi che non
si limitano agli aspetti strettamente commerciali. Al secondo livello, troviamo gli accordi
preferenziali, come ad esempio il Sistema Generalizzato delle Preferenze per i paesi in via di

sviluppo, ai quali lUnione Europea pu offrire una tariffa esterna comune ridotta, grazie ad
una deroga delle regole WTO, finalizzata a favorire lo sviluppo di tali paesi. A seguire, abbiamo
gli accordi di cooperazione e di partnership che possono prevedere libero scambio, ma che si
occupano anche di fissare standard e regole comuni. Al penultimo gradino della piramide si
trovano accordi molto pi ampi che possono avere finalit anche politiche, come gli Accordi
di Associazione, ma anche gli accordi commerciali di nuova generazione come quello stipulato
dallUnione con la Corea del Sud e quello con il Canada che, secondo Altomonte, rappresentano
il futuro della politica commerciale comune. In cima alla piramide, c il massimo della preferenza
che un Paese pu dare: la partecipazione allUnione e alle quattro libert fondamentali del
Mercato Unico.
Tenendo presente questa piramide, interessante domandarsi dove il Regno Unito si posizioner
dopo le negoziazioni.
Dopo questa introduzione, Altomonte ha articolato il suo intervento intorno ad alcune questioni
fondamentali che riguardano il commercio internazionale nel mondo attuale.
Innanzi tutto, Altomonte ha ribadito la necessit di superare la visione romantica del commercio.
Una visione nella quale si pensa che ci sia unimpresa che produce un bene, lo carica su una
mezzo di trasporto e lo esporta a un altra impresa che si trova in un paese estero. Si tratta di
una visione ancora molto presente nei media ma non pi valida nella realt da circa 30 anni.
Figura 2 offre un chiaro esempio.

Figura 2.

Questo articolo suggerisce che il deficit commerciale degli Stati Uniti verso la Cina sia il principale
responsabile della migrazione di molti posti di lavoro americani in Cina. Sebbene i dati citati
siano corretti, le statistiche aggregate non rappresentano in maniera adeguata la complessit
della realt che si cela dietro, portando a casi come questo, in cui le conclusioni tratte sono
profondamente sbagliate.
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Per spiegare il concetto, Altomonte utilizza un esempio (in Figura 3), molto vicino alla nostra
quotidianit: liPhone.

Figura 3.

Come si pu notare, se ci fermassimo alle statistiche ufficiali dei rapporti commerciali tra Stati
Uniti e Cina per la produzione di un iPhone, saremmo portati, erroneamente, a pensare che,
dei 194$ del costo finale, 169$ provengano dalla Cina, considerando che circa 24$ sono input
provenienti dagli Stati Uniti. In realt, lasciando il livello aggregato, scopriamo che il valore
aggiunto cinese di poco pi di 6$, in quanto, la Cina, a sua volta, riceve input da altri paesi
nel processo di assemblaggio dello smartphone. Ipoteticamente, quindi, se il presidente eletto
Trump dovesse imporre dei dazi sugli import cinesi, non andrebbe a danneggiare la Cina in
primis, ma paesi come la Corea del Sud e la Germania, il cui valore aggiunto nella produzione di
Iphone maggiore di quello cinese. Perci, malgrado la posizione commerciale degli Stati Uniti
sia di deficit nei confronti della Cina, questo esempio ci dimostra che impreciso fermarsi al
livello aggregato dei dati, ma necessario tenere in considerazione la complessit delle catene
del valore globali.
Proseguendo nellesempio sulla Cina, Altomonte si interrogato sulla natura complessiva
del deficit commerciale americano. Figura 4 fa vedere chiaramente che circa la met delle
importazioni americane dal Drago Asiatico sono riconducibili a multinazionali americane che
operano in Cina. In altri termini, il 50% del deficit commerciale americano autoprodotto dalle
aziende americane stesse. Dunque, spiega Altomonte, poco probabile che un Congresso a
maggioranza Repubblicana vada a danneggiare, con delle barriere commerciale, le proprie
multinazionali, suggerendo che, dietro alla propaganda, la realt ben diversa.

Figura 4.

Lasciando lesempio specifico di Stati Uniti e Cina e spostandoci a livello globale, le conclusioni
sono analoghe. Figura 5 mostra che, per il 2012, su circa 20 triliardi di dollari, solamente 4
rispecchiano la visione romantica del commercio, mentre l80% del commercio internazionale
ha come controparte almeno unimpresa o un gruppo multinazionale. Di questo 80%, circa 6
triliardi, ovvero il 30% del totale, avviene allinterno di imprese multinazionali, a prezzi che non
seguono necessariamente il mercato, ma che le varie filiali concordano tra di loro. Tra laltro,
grazie a questi meccanismi di commercio intra-aziendale che le multinazionali hanno pi libert
nel decidere in quale parte del mondo concentrare la propria tassazione.

Figura 5.

Come ultimo esempio per dimostrare quanto le statistiche aggregate possano essere fuorvianti,
Altomonte ha analizzato i principali mercati di esportazione dellItalia. In Figura 6 osserviamo
che, secondo le statistiche ufficiali, il nostro principale mercato di esportazione la Germania.
Tuttavia, correggendo questi valori al fine di tenere in considerazione la destinazione finale dei
prodotti, il primo sbocco dellexport dello Stivale sono gli Stati Uniti, attraverso la Germania.

Figura 6.

Le implicazioni di questo fenomeno sono due. In primo luogo, bene riflettere sul posizionamento
delle aziende italiane rispetto alle catene del valore: evidentemente esse si trovano pi a
monte delle controparti tedesche e, perci, estraggono meno valore. In secondo luogo, queste
considerazioni ci permettono di guardare al dibattito sul surplus tedesco con occhi diversi, in
quanto parte di esso composto da valore aggiunto italiano.
importante sottolineare che oggi, i dati ufficiali iniziano a tener conto delle catene globali del
valore: questo dovrebbe essere lapproccio generale e condiviso allo studio dei dati commerciali.
Dopo aver esposto nel dettaglio il caso a supporto della transizione del commercio da una
visione romantica ad una visione imperniata sulle catene del valore globali, Altomonte si
domandato se questi sviluppi fossero positivi per la prosperit delle persone. Figura 7 mostra
una correlazione tra la crescita del PIL pro capite dei paesi sviluppati nel grafico a sinistra e
di quelli in via di sviluppo nel grafico a destra e la partecipazione delle imprese alle catene
globali del valore.

Figura 7.

interessante notare che, per i paesi sviluppati, la correlazione pi forte per i primi dieci
anni del nuovo millennio (linea continua). Questo dimostra come il commercio internazionale
sia stato uno dei principali motori della crescita per i paesi sviluppati negli ultimi anni. A
maggior ragione quindi, insiste Altomonte, se oggi bloccassimo il commercio internazionale,
ostacoleremmo fortemente la crescita.
Una crescita che, per, presenta dei problemi di redistribuzione: non tutti ne beneficiano in
maniera uguale. Questo accaduto perch allevoluzione del commercio internazionale non
seguito un adeguamento dei sistemi di welfare, in linea con il nuovo paradigma internazionale
di produzione.

Figura 8.

La Figura 8, ad esempio, mostra come dal 1980 al 2005, i paesi hanno perso gettito fiscale dalle
imprese (aliquota scesa dal 45% al 15%) e dai cittadini pi ricchi (imposizione fiscale del primo
percentile pi ricco della popolazione passata dal 40% al 17% circa) che, grazie allapertura
dei mercati, potevano spostarsi in altri paesi se la tassazione fosse stata elevata. Tale perdita
di gettito stata recuperata gravando sulle classi medie (la tassazione media sul lavoro
aumentata dal 30% al 40% circa), in quanto i lavoratori hanno opportunit di mobilit molto
inferiori. In breve, i guadagni della globalizzazione, che gi di per se sono diseguali, vengono
accentuati da sistemi di tassazione che non agiscono da correttivo efficace.
Gli effetti del meccanismo di tassazione sono visibili anche in Figura 9, dove sono riportati gli
andamenti dei redditi, corretti per il valore dei prezzi, della popolazione globale.

Figura 9.

Dal grafico si evince chiaramente che laumento di reddito, in termini di potere dacquisto, negli
anni della globalizzazione (1988-2012) positivo per tutti i paesi in via di sviluppo: circa il 40%
senza la Cina, mentre addirittura il 70% se consideriamo anche il Drago Asiatico. Tuttavia, i
perdenti, sono le fasce medio-basse dei paesi sviluppati: il nostro elettore mediano ha perso il
10% del proprio potere dacquisto negli ultimi 30 anni.
Sono queste categorie di persone che hanno votato convintamente Trump negli Stati Uniti,
in quanto la loro alternativa la continua perdita di reddito. I pi ricchi, invece, hanno visto
il proprio potere dacquisto raddoppiare. precisamente questo il punto su cui i policy maker
devono agire: mantenere i guadagni della globalizzazione, evitando, contemporaneamente,
questo tipo di distorsioni.
Per risolvere questo problema, Altomonte identifica due sfide, nella conclusione del suo
intervento. Prima di tutto, necessario adeguare le politiche commerciali dellUnione europea
al nuovo contesto internazionale. In realt, lUnione su questo gi avanti, infatti nella sua
strategia commerciale troviamo accordi deep and comprehensive che includono standard non
solo sui beni, ma anche su servizi, capitali e lavoratori. Su questi accordi, per, fondamentale
creare uninformazione migliore e pi efficace cos da aggregare il consenso della societ civile.
Pi problematico il discorso sulla transizione a un nuovo paradigma di welfare, il cui

aggiornamento non pu gravare sulla produttivit delle imprese. In questo senso, uno dei temi
importanti su cui muoversi, quello di legare i salari alla produttivit, come gi si iniziato a
fare, in Italia, con il Jobs Act. Attraverso questo legame infatti possibile ridistribuire i benefici
della globalizzazione senza dover perdere competitivit.
Altomonte ha chiuso il suo intervento ponendo laccento sullimportanza di gestire la
globalizzazione, soprattutto attraverso delle nuove politiche di welfare. Lalternativa il
protezionismo; unopzione con la quale perderemmo tutti.

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Cecilia
Malmstrm

Signore e signori, un piacere essere qui con voi, con il Ministro Calenda e con le molte
aziende italiane, piccole e grandi, rappresentate qui oggi. So che ci sono anche molti studenti
che guardano via streaming. Un caloroso benvenuto anche a voi. Sono qui per trasmettere un
messaggio circa limportanza della politica commerciale europea: dove si trova, e dove abbiamo
bisogno di portarla.
E so che questo un buon posto per farlo.
Per me, questa la terra di esploratori e mercanti come Marco Polo, il Paese di inventori come
Meucci e Marconi, le cui creazioni hanno contribuito a rendere il mondo cos connesso e molto
pi piccolo. Tutti loro hanno contribuito a ci che noi oggi chiamiamo globalizzazione.

Per me, questa la patria di citt storiche come Genova, Venezia, Firenze e Milano, luoghi che
sono fioriti grazie ai benefici del commercio. il Paese dove, oggi, decine di migliaia di imprese
esportano circa 200 miliardi di euro di merci al di fuori dellUE, sostenendo milioni di posti di
lavoro italiani. Il mio punto di partenza molto semplice. Credo nei benefici del commercio, per
lItalia e per lEuropa. I benefici economici, come prosperit e occupazione. Ma anche benefici
sociali - pi connessioni, pi opportunit, orizzonti pi ampi. Il commercio unisce le persone, ed
una forza formidabile per il raggiungimento di obiettivi positivi.
Per alcuni, questa non la prima cosa che viene in mente quando si pensa al libero scambio.
Temono che altri Paesi possano sfruttare questa nostra apertura e che non siamo in grado
di difenderci. Altri guardano il bicchiere mezzo vuoto anzich lintero quadro. Possono essere
preoccupati del fatto che gli accordi commerciali stiano minando la nostra protezione dei
consumatori, il diritto del governo a legiferare o il futuro dei nostri servizi pubblici. Possono
diffidare della globalizzazione - e fraintenderla, interpretandola come qualcosa a cui dobbiamo
soggiacere piuttosto che qualcosa che possiamo plasmare. Possono credere che i processi e le
promesse di libero scambio siano solo per pochi, non per molti; per le grandi imprese, piuttosto
che per il piccolo commerciante locale o per il cittadino comune.
Il titolo del mio intervento la politica commerciale europea a un bivio. Se siamo a un bivio,
proprio perch esistono queste preoccupazioni. Se credete - come faccio io - nei benefici di
un commercio aperto, se ritenete che possa essere per tutti perch dovrebbe esserlo - allora
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non dobbiamo sminuire o respingere queste preoccupazioni, ma ascoltarle e dare loro risposta.
Credo, convintamente, che si possa dialogare.
Trade for All, come forse saprete, il nome della strategia che la Commissione europea ha
pubblicato poco pi di un anno fa. In questa strategia ho inserito tre principi fondamentali per
il futuro che vorrei avesse la politica commerciale, per la direzione che dovremmo prendere da
questo bivio.
In primo luogo, la politica commerciale dovrebbe essere efficace e portare benefici economici.
Se la produzione, la manifattura, deve rimanere fondamentale per la nostra prosperit,
anche vero che i servizi stanno assumendo un ruolo crescente nel commercio mondiale. Nel
frattempo, sia i beni sia i servizi vengono sempre pi commerciati on-line, attraverso Internet e
come parte di catene del valore sempre pi complesse.
Per rimanere rilevanti, la politica commerciale ha bisogno di reagire. Non sar sufficiente un
focus limitato al taglio delle tariffe, e non sar allaltezza delle esigenze di una moderna e
dinamica economia europea. Oltre a ci, dobbiamo riconoscere tutti gli impatti che stiamo
vedendo nella societ negativi e positivi. Molti di questi cambiamenti sono dovuti allevoluzione
della tecnologia, tanto quanto al commercio. Ma dobbiamo riconoscere limpatto sociale della
globalizzazione; dovremmo aiutare le persone ad adattarsi a essa e gestire attivamente questo
cambiamento sociale. Ad esempio, investendo in istruzione, formazione professionale e in
adattamento alle nuove tecnologie. Su questo, i governi nazionali giocano un ruolo importante.
Abbiamo anche bisogno di affrontare i pregiudizi sul commercio. La politica commerciale non
solo per le grandi multinazionali. Il 96% delle imprese italiane che esportano in America
sono piccole. E sono sempre le piccole imprese che possono beneficiare maggiormente degli
accordi commerciali. Sono loro che soffrono di pi le barriere commerciali: le grandi aziende
possono permettersi i costi amministrativi come valutazioni di conformit, norme di sicurezza
o consulenza legale. Le grandi multinazionali che esportano grandi quantitativi possono anche
assorbire i dazi tariffari. Per non parlare della spesa per il marketing e per la ricerca di nuovi
mercati.
Sono sempre le piccole imprese a soffrire di pi la burocrazia e le tariffe; saranno loro a
guadagnarci maggiormente se le tagliamo. I nostri accordi commerciali efficaci sono pi
vantaggiosi per le piccole imprese, perch eliminano gli ostacoli e creano nuove opportunit di
mercato.
In secondo luogo, il commercio dovrebbe essere pi trasparente. Il commercio per lapertura;
gli accordi commerciali, dunque, dovrebbe essere altrettanto aperti, non opachi. Dallaltra parte
di questa strada si pu ammirare Il Cenacolo o LUltima Cena, capolavoro di Leonardo da Vinci.
Il grande Leonardo ha dichiarato: La menzogna si mette una maschera, nulla nascosto sotto
il sole. Questo ancora pi vero oggi. Essere pi trasparente, gettare luce, significa rivelare la
verit; e anche costruire fiducia. Se le persone sono informate e coinvolte, potranno essere pi
sicure del fatto che stiamo negoziando per loro conto, che non si tratta di complotti segreti ma
di una trattativa volta a soddisfare i loro interessi.
Per il TTIP, il negoziato tra UE e USA, per esempio, abbiamo pubblicato quasi tutte le posizioni
negoziali dellUE e le proposte scritte. Chiunque pu vedere i documenti sul nostro sito web.
Accanto a questo, ci sono riassunti e spiegazioni sui nostri obiettivi in tutte le lingue ufficiali
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dellUE. E noi useremo questo stesso approccio anche in altri negoziati.


Il terzo e ultimo filone della nostra strategia di assicurare che il commercio si basi sui nostri
valori. La politica commerciale non riguarda solo interessi economici. Si tratta anche di
promuovere e difendere i nostri valori condivisi. Ci significa, innanzitutto, salvaguardare il
modello normativo e sociale europeo a casa nostra.
Mai nessun accordo commerciale abbasser gli standard di protezione dei consumatori,
dellambiente, sociale e del lavoro. Qualsiasi modifica ai livelli di protezione pu essere solo in
meglio.
E non rinunceremo mai al nostro diritto di fare politica nel pubblico interesse.
I cittadini sono giustamente orgogliosi delle protezioni e dei servizi pubblici di cui godiamo
qui in Europa. Gli accordi commerciali non devono n sfuggire al processo democratico,
n indebolirlo. Infatti, lungi dal minare le nostre protezioni, la politica commerciale pu
promuoverle garantire che ci che abbiamo qui in Europa sia riconosciuto a livello mondiale e
trovi eco altrove. La politica commerciale sostiene la politica estera dellUE e la tutela dei diritti
umani, sociali e degli obiettivi ambientali.
Allo stesso tempo, sostenendo i nostri valori e offrendo benefici economici alle imprese europee.
Una societ italiana di fertilizzante - basata non lontano da Bologna - ci ha detto che gli accordi
commerciali che lUE negozia con il Sud America li hanno aiutati a incrementare le esportazioni
del 60% in tre anni. E, quando gli abbiamo chiesto perch, hanno risposto che questi accordi
promuovono standard pi elevati: i clienti in altre parti del mondo vogliono acquistare beni
europei, di alto livello, siano essi le auto con i pi elevati standard di sicurezza, o prodotti chimici
non dannosi per lambiente o prodotti alimentari di qualit riconosciuti attraverso le nostre
Indicazioni Geografiche. Queste ultime sono un ottimo esempio di come gli elevati standard
portino valore aggiunto alle nostre esportazioni.
Nel CETA, laccordo commerciale che abbiamo appena firmato con il Canada, abbiamo
ottenuto, per la prima volta nel Paese, la protezione di oltre 140 Indicazioni Geografiche tra cui
la Mortadella di Bologna, il Gorgonzola, il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano. Questo solo
un esempio di come la nostra politica commerciale sia in grado di plasmare la globalizzazione e
lavorare per le piccole imprese e per i cittadini.
Abbiamo la pi grande rete di accordi commerciali in vigore o in corso di negoziazione. Essa
comprende accordi volti ad aiutare i paesi in via di sviluppo, come gli accordi di partenariato
economico con i paesi dellAfrica, dei Caraibi e del Pacifico.
Ci stiamo concentrando sulla Asia, dove si registrer la maggior parte della crescita economica
dei prossimi anni. Cinque anni fa, abbiamo concluso laccordo di libero scambio con la Corea del
Sud e, dal momento della sua entrata in vigore, le nostre esportazioni sono aumentate del 55%,
passando da una posizione di deficit commerciale ad una di ampio surplus.
Poi abbiamo il Canada. Il CETA un ottimo esempio di ci che possiamo raggiungere grazie alla
politica commerciale. Il suo processo di approvazione - come si sa - ha incontrato alcuni ostacoli
lungo la strada. Tuttavia, coloro che hanno avuto preoccupazioni dovrebbero sapere che le
abbiamo ascoltate e tenute in considerazione.

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Abbiamo mantenuto i nostri impegni per proteggere i servizi pubblici e il diritto di legiferare.
Altrove, abbiamo apportato modifiche e adeguamenti. Abbiamo riformato il sistema di
protezione degli investimenti: il nostro nuovo sistema, basato su una corte di investimento, il
primo passo verso una riforma globale. Un sistema che tuteler meglio linteresse pubblico in
uneconomia globale sempre pi integrata.
A questo punto, se il Parlamento europeo dar il proprio consenso, il CETA entrer in vigore
allinizio del prossimo anno. Si aspetta che fornir reali benefici alle imprese italiane e europee,
oltre a quelle in Canada. La rimozione del 99% di tutti i dazi doganali e altri ostacoli per le
imprese, per un totale di 500 milioni in tagli alle tariffe sui beni comunitari, aumenter gli
scambi bilaterali di circa il 23%, o di 17 miliardi di euro. Inoltre, ho gi accennato prima alla
protezione per alcune rinomate Indicazioni Geografiche, italiane, alcune delle quali spero di
riuscire a gustare pi tardi. Un imprenditore italiano, un produttore di cravatte dalla Sicilia, ci ha
detto che, al momento, i suoi prodotti si trovano di fronte a tariffe di importazione canadesi in
media del 17%, e che il taglio delle barriere commerciali, come dazi e burocrazia, rappresenta
una grande opportunit per lui. Esistono molti di questi esempi, qui in Italia, in questo settore
e in altri.
E non tutto. Proprio la scorsa settimana, ho firmato un accordo con lEcuador, che potrebbe
aumentare le nostre esportazioni di oltre il 40% e far risparmiare allEuropa oltre 120 milioni di
euro in dazi, aprendo, inoltre, nuovi canali di accesso per automobili, macchinari, cibi e bevande
europei.
Lanno prossimo, spero che saremo in grado di annunciare accordi analogamente ambiziosi,
con Singapore, dove le nostre esportazioni annuali ammontano a 50 miliardi di euro, e con il
Vietnam, un Paese che ha una popolazione pi numerosa della Germania e uneconomia che
cresciuta del 6,7% lo scorso anno.
Stiamo, poi, continuando a lavorare su un accordo con gli Stati Uniti, il TTIP. Un accordo che
offrir benefici alle 32.000 aziende italiane che ogni anno esportano, verso lAmerica, beni per
un valore di 26 miliardi di euro, che comprendono prodotti farmaceutici da Milano, macchinari
da Modena e attrezzature nucleari da Torino.
Sui negoziati, stiamo entrando in una pausa, come normale che sia dopo il cambio di
amministrazione a Washington. Il proseguimento dei negoziati dipender dalla volont di
procedere e dalle tempistiche della nuova amministrazione Trump. Ad ora non abbiamo alcuna
indicazione: la parola TTIP non stata menzionata per niente durante la campagna presidenziale
degli Stati Uniti. per probabile che il TTIP sar messo in standby per qualche tempo. Tuttavia,
abbiamo altri negoziati da completare: con il Messico, la Tunisia, il Giappone e il Mercosur, solo
per citarne alcuni.
Lagenda commerciale non riguarda solo la negoziazione di trattati commerciali, ma coinvolge
anche la protezione delle aziende europee dalla concorrenza sleale estera.
Lindustria europea si trova a dover combattere pratiche come il dumping e i sussidi illegali:
queste pratiche sleali danneggiano la nostra economia e minacciano i nostri posti di lavoro.
Questo il motivo per cui lUE deve essere dotata di robusti strumenti di difesa commerciale
e questo il motivo per cui li stiamo riformando, perch siano adeguati alle nuove realt di
intervento statale massiccio e pratiche distorsive messe in atto da alcuni Paesi emergenti.
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Prima di concludere, vorrei condividere con voi due ulteriori riflessioni su ci di cui il nostro
commercio ha davvero bisogno.
Il primo limpegno politico, dalla fase iniziale. Se vero che gli accordi commerciali hanno
bisogno del sostegno dei popoli e dei parlamenti nazionali, limpegno non pu essere lasciato
allultimo minuto. I governi nazionali devono incentivare il dibattito pubblico fin dallinizio, e
continuarlo mentre i negoziati commerciali procedono. Ho avuto lopportunit di discutere la
questione con tutti i ministri del commercio dellUnione europea la scorsa settimana a Bruxelles.
E spero che anche le imprese, in Italia e allestero, saranno coinvolte in questo. Il fatto che
abbiamo in sala oggi il Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, il miglior segnale!
La seconda necessit quella di rendere la politica commerciale efficace. Questo punto quello
dove entrano in gioco coloro, tra di voi, che appartengono alla comunit imprenditoriale.
Se laccordo con il Canada viene portato a termine, di questi tagli alle tariffe che ho citato
potranno beneficiare tutti i beni e i servizi di origine europea. Ma le aziende hanno bisogno di
essere a conoscenza delle nuove procedure per sentirne i benefici. Forse allinizio ci saranno un
po di scartoffie, ma laccordo vi permetter di risparmiare molto.
Allo stesso modo, il Canada aprir le sue procedure di appalto alle imprese europee, ma star
a voi attivarvi per parteciparvi.
Laccordo siglato, presto sar nelle vostre mani la possibilit di farlo accadere.
Forse, procedure che non funzionano perfettamente come dovrebbero creeranno degli ostacoli
lungo la strada. Se riscontrerete simili difficolt, vi prego di informarci immediatamente. O,
forse, scoprirete un nuovo mercato, una nuova opportunit, nuovi clienti, nuove storie. Se sar
cos, spero che ci informerete lo stesso.
Abbiamo un programma e una rete di accordi ambiziosi. Vi esorto a cogliere queste opportunit.
E - se credete che il libero commercio possa portare benefici per voi, per i vostri clienti, per la
vostra comunit - vi esorto a unirvi a me, e ad aiutarmi a perorare questa causa per il nostro
futuro.
Grazie.

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Carlo Calenda

In questo momento ci troviamo a unbivio per la politica commerciale, ovvero in un momento


in cui non soltanto in discussione un singolo accordo commerciale ma lintera strategia del
libero commercio. Per poter meglio comprendere le sfide che ci aspettano, necessario avere
una lettura storica e una strategica degli eventi.
Per iniziare la lettura storica, dobbiamo ricordarci che la globalizzazione non nata in Cina;
lidea di costruire un sistema di scambi libero e aperto non nata nellEst del mondo o dai
BRICS. Nasce in realt in Occidente, allindomani della caduta del muro di Berlino, quando un
gruppo di paesi ha ritenuto che, costruendo un sistema di libero scambio, si potessero gettare
le basi per diffondere la democrazia, un sistema pi consensuale nelle relazioni internazionali,
il benessere e costruire vicinanze culturali e politiche. La globalizzazione , quindi, un grande
progetto occidentale, non nasce altrove: labbiamo partorito noi.
Il secondo elemento sul quale stato costruito il commercio globale il postulato che consentiva
a paesi ancora in una fase arretrata di sviluppo di creare uneconomia di produzione, che poi
sarebbe divenuta uneconomia di consumo. Mentre nella fase in cui queste economie, tra cui
la Cina, erano di produzione noi avremmo in qualche modo pagato un prezzo, nel momento
fossero poi divenute di consumo, il sistema si sarebbe riequilibrato e le nostre economie, che
sono economie di sostituzione, avrebbero avuto davanti grandi mercati per poter vendere. In
poche parole, se la prima fase della globalizzazione stata talvolta descritta come produzione
cinese e consumo allOvest, la seconda fase sarebbe dovuta essere di maggiore equilibrio, con
produttori e consumatori da entrambe le parti. Un progetto fondato su una visione positiva e
progressista delle relazioni internazionali, non solo quelle economiche.
Allora qual stato il problema? Non ve n stato soltanto uno, sono stati vari, specialmente
nellesecuzione. In primis, ci voluto molto pi tempo, perch questa una transizione lunga,
che ha prodotto effetti divaricanti. Il problema sostanziale stato che di fronte alla necessit,
da parte dei paesi in via di sviluppo, di pi tempo per aprirsi dimostrato dalla mancanza di
volont della Cina di aprirsi, come testimoniano i fallimenti degli ultimi round del WTO questo
progetto andato in crisi.
Da ci deriva la prima riflessione che si impone alla classe politica: nulla pu essere presentato
in maniera semplice e ideologico, nulla. La globalizzazione un progetto liberale e lessenza
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dellessere liberale di mettere sempre in dubbio le proprie opinioni di fronte ai fatti ed essere
capaci di ripensarle. Ci che accaduto per la globalizzazione ha dellincredibile, perch un
progetto liberale stato trasformato in una narrazione ideologica, senza contraddittorio, della
necessit di aprirsi a tutti e tutto, perch era bene in ogni caso.
Lesecuzione di questo progetto liberale stata dunque deficitaria, anche se non ha mancato
di portare elementi positivi. sufficiente osservare i dati: un miliardo di persone fuori dalla
povert e questo lo dico ai tantissimi movimenti no global di cui rispetto le istanze ma che a
mio avviso devono, e alcuni gi lo fanno, sostenere il libero commercio, che ha portato benefici
soprattutto alla parte pi povera del mondo e una crescita dellexport italiano di 120 miliardi
di euro dal 2001, anno di ingresso della Cina nel WTO. Inoltre, nel 2015 lItalia ha avuto 414
miliardi di euro di esportazioni, un record, mentre alcune aziende sono entrate in crisi a causa
di una competizione sleale. Da ci deriva unimportante riflessione: dobbiamo capire che
la globalizzazione si vince soprattutto in Italia, investendo sulla competitivit delle imprese,
che mancata negli anni passati. Infatti, durante la crisi economica, lItalia ha subito grandi
danni perch nei ventanni precedenti e nel corso della crisi si parlato di tutto tranne che di
economia, di crescita e di aiuti alla classe media. Dopo anni di promesse mancate, ora troppo
facile incolpare lEuropa, la Cina, gli USA, piuttosto che renderci conto di ci che non stato
fatto per portare alcune imprese italiane tra i vincenti della globalizzazione.
Oggi abbiamo per un compito: dobbiamo riequilibrare la globalizzazione; non possiamo pensare
che questa si fermi, unidea sbagliata, perch essa iniziata diversi secoli fa e rappresenta
una conseguenza della naturale pulsione delluomo nel ridurre le distanze. Il riequilibrio pu
avvenire in due fasi, una delle quali spontanea, che avviene soprattutto attraverso la tecnologia
che, pur riproducendo gli effetti divisori tra vincenti e perdenti della globalizzazione, permette
una progressiva minore rilevanza dei differenziali nel costo di produzione.
In seconda istanza, essendo il riequilibrio strutturale insufficiente, vi la necessit di affiancargli
un sistema di governance esterna ed interna. La governance esterna appartiene allUnione
Europea, e rappresenta una delle principali ragioni per le quali oggi stiamo insieme, perch
siamo consci che per affrontare alcuni fenomeni non possiamo essere soli, e il commercio uno
di questi fenomeni. Per questo motivo, la competenza europea in questo settore deve essere
assoluta, come lItalia va ripetendo da molto tempo. In questo contesto, lattuale Governo si
assunto alcuni rischi, in sede di negoziazione europea: ha chiesto, per esempio, che il CETA non
fosse considerato dalla Commissione europea un mixed agreement (accordo misto, ndr).
La governance esterna si compone di una strategia dattacco e una di difesa. Quella di attacco
necessaria perch lUnione Europea il sistema commerciale pi aperto al mondo e, se rimane
ferma, perde terreno; seguendo questa logica, lItalia sostiene la chiusura dellaccordo con il
Canada, per la sua qualit e la sua importanza economica ed favorevole alla negoziazione
del TTIP, ovvero alla possibilit di stringere un patto commerciale con il principale partner
economico e politico e militare dellEuropa. Per precisione, ribadisco che il Governo favorevole
alla negoziazione, necessaria per capire la fattibilit di un accordo che soddisfi entrambe le
parti, ma non alla chiusura qualora non si raggiunga un accordo accettabile, del quale, tra laltro,
al momento non esistono i dettagli. Gli USA rappresentano il primo mercato extraeuropeo di
esportazione per prodotti italiani, con 36 miliardi di export e 20 di saldo commerciale positivo:
nel 2015 siamo cresciuti del 20%, e abbiamo appena iniziato.
Parallelamente, abbiamo anche bisogno di una strategia di difesa, che non sia una protezione
17

dal competitor che agisce in maniera leale ma una difesa dai comportamenti scorretti: in
questo frangente lItalia intransigente, come anche la Commissione europea sa. Affermare
che possibile riconoscere il MES (market economy status, ndr) alla Cina quando vi sono
cinque condizioni chiare e ne viene rispettata forse soltanto una e, al contempo, che lo status
di economia di mercato lo si deve concedere soltanto per una questione tecnico-legale
assolutamente inammissibile. Se accade, non danneggia soltanto le aziende italiane o francesi,
ma danneggia la causa del libero scambio. Questa la ragione per la quale, come Governo,
siamo contrari al riconoscimento del MES alla Cina e a compromessi che in ogni caso porteranno
la Cina ad appellarsi al WTO.
La posizione italiana deve essere chiara: siamo favorevoli al libero scambio e non disposti a
scendere a patti perch le regole si rispettano e non sono tollerati comportamenti scorretti.
A suo tempo, lItalia aveva proposto unequilibrata riforma degli strumenti di difesa commerciale,
per poter superare una situazione drammatica nella quale lEuropa ha dazi medi pi bassi
di quelli degli Stati Uniti nellera pre-Trump, senza pensare a ci che potrebbe accadere nei
prossimi mesi.
Quando c dumping dobbiamo essere efficaci e lItalia vuole supportare il lavoro della
Commissione: importante che gli Stati membri non agiscano autonomamente ma si affidino
al potere comunitario. gi accaduto sul CETA e sul TTIP che alcuni paesi, gli stessi che hanno
provato a muoversi da soli sul MES, abbiano scelto di non affrontare le questioni a livello
europeo ma di inseguire il populismo dimenticando che spesso, quando si cerca di imitarlo,
loriginale viene preferito alla copia.
La seconda dimensione della strategia di difesa quella interna: investire sulla competitivit
essenziale, come dimostra il piano presentato dal Governo per lIndustria 4.0. Per esempio,
gli USA hanno un fondo utilizzato per aiutare coloro che dalla globalizzazione vengono esclusi:
io penso che nel ragionamento italiano, che stiamo intavolando con Poletti e i sindacati per il
prossimo anno, sia necessario provare a capire come riportare a bordo gli esclusi, i pi deboli.
Saranno necessari tanti soldi e nuovi strumenti, ma sono la condizione sociale essenziale per
poter continuare a lavorare sulla globalizzazione.
Concludo con parole che potrebbero suonare non rincuoranti: la fase della globalizzazione che
ci apprestiamo a vivere sar molto dura, qualcosa che la mia generazione non ha mai vissuto.
Infine, le democrazie occidentali stanno vivendo fragilit interne ed esterne.
Interne perch manca una leadership progressista allorizzonte, anche a causa delle promesse
mancate. Esterne perch il mondo diventato pi conflittuale e lEuropa tornata al centro
della storia, nonostante le previsioni. Perch siamo al crocevia dei continenti, tra Africa, America
e Medio Oriente, e perch abbiamo una curvatura autoritaria alle nostre porte che sembra, a
prima vista, funzionare meglio rispetto alle democrazie, che sono ovviamente pi complesse
perch devono radicare il consenso nella decisione politica e non possono imporlo.
Proprio per queste ragioni il commercio e lEuropa sono centrali: se c un momento nel
quale dobbiamo guardare allEuropa come un elemento di crescita e progresso, ma anche di
sicurezza, proprio questo. Se possiamo pensare di avere un futuro pi aperto e affrontare le
sfide della modernit con la convinzione di poterle vincere perch siamo in Europa. Oggi, su
questa strada in gioco molto di pi che un semplice accordo commerciale, in gioco la forza
dellOccidente di riappropriarsi di valori che alcuni sembrano aver dimenticato. Grazie.
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Roundtable # 1

La politica commerciale europea a un bivio: nuove sfide e nuove opportunit

Emma Marcegaglia
Luca Visentini
Carlo Pettinato
Panel moderato da

Claudia Pensotti,

Claudia Pensotti

In questa tavola rotonda parleremo di dove ci troviamo ora, cio davanti ad alcune sfide e alcune
opportunit: le ultime vanno colte, mentre le prime devono essere capite ed fondamentale
trovare gli strumenti giusti per farlo. Come detto stamattina, un momento estremamente
ricco di avvenimenti che coinvolgono il mondo del commercio, sia dal punto di vista di accordi
che di cambiamenti politici. Darei subito la parola a Emma Marcegaglia per raccontarci il suo
punto di vista sulla situazione attuale.

Emma Marcegaglia
Nellesprimere il mio punto di vista, il punto di vista di Business Europe, vorrei partire dicendo
che sono molto daccordo che questo sia un momento importante, critico, in cui le scelte che
si faranno possono determinare conseguenze significative. Se faremo prevalere atteggiamenti
dettati dalla paura, magari anche dalla non buona informazione, potremo avere conseguenze

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negative. Daltro canto, un momento in cui, forse, anche la narrativa degli imprenditori deve
cambiare. Alcuni problemi devono essere presi in considerazioni e bisogna cercare insieme
delle soluzioni.
Abbiamo vissuto decenni in cui la globalizzazione stata forte e anche accettata dalle persone,
in quanto i vantaggi erano chiari. Sono stati definiti in termini di imprese e in termini di posti
di lavoro creati. A questo proposito, voglio ricordare che, in Europa, un posto di lavoro su sette
legato alle esportazioni. Inoltre, si verificata una crescita, mediamente, del reddito nei vari
paesi europei: dal 1990 al 2014 il reddito medio aumentato in modo significativo grazie alla
globalizzazione.
Oggi la situazione cambiata. Esiste una percezione negativa della globalizzazione. Vari sondaggi
evidenziano che circa il 50% degli europei nutre un atteggiamento negativo nei confronti della
globalizzazione. Inoltre, anche a livello di dati sullandamento del commercio internazionale,
la situazione piuttosto preoccupante. Nel 2016, vedremo la crescita pi bassa dei commerci
internazionali dallo scoppio della crisi del 2009: negli ultimi 15 anni, questo lunico anno
in cui avremo una crescita commerciale inferiore della crescita del PIL. Anche in termini di
flussi di investimenti tra i diversi paesi, il 2016 registrer un calo del 10-15%. A questi dati si
aggiunge il fatto che in questi anni abbiamo assistito a un aumento significativo delle restrizioni
commerciali: a livello mondiale siamo passati da 346 restrizioni a 1196, molte delle quali erano
state poste in seguito allo scoppio della crisi finanziaria, ma dovevano essere temporanee.
La restrizione del commercio danneggerebbe molto i nostri paesi, per via del carattere globale
delle catene del valore, come sottolineava prima Altomonte. Inoltre, chiudendo e ostacolando
il commercio internazionale, colpiremmo anche il potere di spesa della parte pi povera della
popolazione, in quanto, oggi, le importazioni di prodotti con prezzi pi bassi danno maggiore
possibilit di acquisto alle persone meno abbienti. Alcune statistiche evidenziano che se
chiudessimo completamente i mercati, ci potrebbe essere un calo del reddito disponibile del
28% per le fasce di reddito pi alte, ma del 63% per le fasce pi basse. A questo, aggiungerei
il fatto che una chiusura permanente dei mercati per un lungo periodo di tempo, potrebbe
portare problemi anche alla democrazia, come insegna la storia. Chiudere i mercati significa
anche chiudere le menti, vedere un nemico in chi diverso. Il patriottismo positivo, perch
essere orgogliosi del proprio Paese. Il nazionalismo, invece, porta con s un atteggiamento di
superiorit, di chiusura verso gli altri.
Detto questo, non possiamo fermarci a queste considerazioni. Dobbiamo capire perch esiste
un numero crescente di persone contrarie alla globalizzazione e allapertura dei mercati, e
capire come risolvere la questione.
La prima cosa da fare della buona informazione. Credo vada sottolineato che la distruzione di
alcuni posti di lavoro nei paesi occidentali, o anche la disuguaglianza stessa, molto spesso non
sono causate dalla globalizzazione o dallapertura dei mercati, ma da uno scenario industriale
che cambia. In questo senso, linnovazione tecnologica un fatto positivo, che porta progresso,
ma che crea anche una fase di transizione nella quale alcuni posti di lavoro vengono distrutti
e altri ne vengono creati. Ci sono dei vincitori e dei vinti. Tuttavia, vari studi evidenziano che
la maggior parte della distruzione di posti di lavoro in modo transitorio imputabile pi
allinnovazione tecnologica che alla globalizzazione.
In secondo luogo, importante continuare, da parte dellEuropa e non solo, a portare avanti
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accordi commerciali ampi, in cui non si parla solamente di tariffe, ma anche di investimenti,
della loro protezione e di standard ambientali e sociali. In questo modo si possono avere accordi
commerciali che tengono aperti i mercati ma che salvaguardano elementi molto importanti a
cui le persone, oggi, sono giustamente molto pi sensibili.
La seconda grande tematica sollevata oggi riguarda gli strumenti di difesa commerciale. Io credo
che sia imperativo tenere aperti i mercati, ma, allo stesso tempo, difenderci dalla competizione
sleale. Business Europe ritiene che lobiettivo della proposta della Commissione europea sia
interessante: creare un equilibrio tra il portare avanti iniziative compatibili con il WTO, che,
per, mantengano strumenti di difesa efficaci e forti. Tuttavia, pur essendo lobiettivo corretto,
la proposta vaga e rischia di rendere gli strumenti meno efficaci, con una grande difficolt di
interpretazione.
Il terzo punto che vorrei sottolineare riguarda la governance. Quando facciamo accordi
commerciali dobbiamo avere una governance molto chiara, in Europa. Non possibile che il
parlamento della Vallonia abbia tenuto in scacco lapprovazione di quello che, da parte di tutti,
considerato il miglior accordo commerciale mai firmato dallUnione (il CETA, ndr), in termini di
accesso al mercato, di indicazioni geografiche, di possibilit per le imprese europee di accedere
al public procurement non solo nazionale ma anche regionale e locale. Non possibile ipotizzare
che questi accordi siano considerati misti. Si tratta di accordi che devono essere di competenza
esclusiva dellUnione europea e che non possono essere strumentalizzati per motivi politici
di vario tipo che assecondano logiche non chiare. Come Business Europe abbiamo ribadito a
tutte le istituzioni europee che, qualora non fosse chiaro che lUnione abbia la delega piena a
negoziare e concludere i trattati commerciali, nessun Paese considerer pi lEuropa un partner
commerciale credibile.
In primo luogo, va detto che il tema della diseguaglianza va affrontato. Probabilmente questo
un momento storico in cui anche la narrativa delle imprese e della loro rappresentanza deve
cambiare. Non possiamo pi semplicemente dire: noi facciamo la nostra parte. Il nostro
obbiettivo quello di essere competitivi e grazie alla nostra competitivit creiamo posti di
lavoro. Dobbiamo essere pi chiari e definire meglio cosa questo significhi, senza evitare il
tema delle disuguaglianze. Per quanto riguarda le soluzioni, sono daccordo con Altomonte su
tassazione e produttivit: se esiste un problema di redistribuzione, questa non si raggiunge
aumentando le tasse e chiudendo i mercati, ma tenendo aperti i secondi e facendo in modo che
unimpresa a pi alta produttivit - e quindi di successo - abbia la possibilit di distribuire di pi,
attraverso i salari. Dunque, il legame tra salario e produttivit fondamentale. In Italia, alcuni
passi avanti sono stati fatti, tuttavia manca ancora un accordo conclusivo. necessario spostare
le decisioni salariali sempre pi a livello aziendale, dove lo scambio salario-produttivit pu
avvenire nel modo migliore possibile.
Il secondo tema chiave leducazione, sulla quale dobbiamo investire molto di pi. Proprio perch
esiste un problema di disuguaglianza dettato, soprattutto, da questa rivoluzione industriale,
tecnologica e digitale, le competenze (skills) sono fondamentali. Dobbiamo assicurarci che le
nostre persone abbiano le competenze adeguate per poter trovare posti di lavoro, per avere un
futuro in un mondo in cui la produzione industriale sar totalmente diversa da quella attuale.
Linvestimento nelleducazione dunque necessario a tutti i livelli, e certamente anche in
Italia. Solo dando pi opportunit a tutti potremo risolvere la sfida delle disuguaglianze e della
trasformazione industriale.

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In terzo luogo, fondamentale che in Europa ci sia unattenzione maggiore al tema degli
investimenti, senza i quali non c crescita sufficiente. Avere i conti in regola essenziale perch
non possiamo avere una crescita solida nel lungo periodo, con un debito e deficit eccessivi.
Tuttavia, in questo momento necessario dare pi spazio agli investimenti.
Chiudo sul ruolo di una istituzione come Business Europe, in questo momento particolare.
Abbiamo la responsabilit di far sentire ancor di pi la nostra voce sulla necessit di tenere aperti
i mercati. Labbiamo fatto, sin dallinizio, e dobbiamo continuare a spiegare perch gli accordi
di commercio internazionale sono positivi per le imprese e, soprattutto, per quelle piccole e
per i consumatori. Dobbiamo anche essere coloro che fanno una valutazione dimpatto e che
parlano con le istituzioni per far capire tutti i benefici degli accordi commerciali, occupandosi
anche della disuguaglianza.
Aggiungo poi, che necessario lavorare sempre pi, tra rappresentanza di imprese e dei sindacati,
su temi comuni per far capire la criticit di questo momento storico, in cui non dobbiamo lasciar
prevalere la paura, la chiusura, la pancia, ma dobbiamo usare la testa e guardare al lungo
termine, per capire cosa sia vantaggioso per lEuropa. Lavorare insieme, ancor di pi, come gi
stiamo facendo, per spiegare limportanza di salvaguardare i nostri valori, i valori europei, in
un momento cos difficile. Infatti, proprio nei momenti pi difficili, dove si possono cogliere
grandi opportunit; dobbiamo farlo insieme e in maniera intelligente, guardando al futuro.

Claudia Pensotti
Secondo i dati riportati da Marcegaglia, il commercio a livello mondiale in contrazione, per cui
vediamo la necessit di portare avanti questi accordi commerciali e ne capiamo limportanza
dal punto di vista della crescita, per le imprese europee ed italiane. Tuttavia, anche il fattore
lavoratori, la loro tutela e le loro garanzie, sono importanti. Sentiamo a riguardo Luca Visentini:
qual il vostro punto di vista su questo bivio di cui parlavamo prima?

Luca Visentini
Il commercio internazionale uno di quei temi su cui possiamo mettere in campo alleanze - tra
sindacati e imprese - che possono produrre risultati importanti.
Innanzi tutto, una delle preoccupazioni che abbiamo, come Confederazione europea dei
sindacati, di sfatare il mito secondo cui il sindacato contro il libero commercio a livello
internazionale: in inglese, ci chiamiamo Trade Unions, abbiamo il termine Trade nel nostro nome.
In qualit di Confederazione europea dei sindacati rappresentiamo 45 milioni di lavoratori,
siamo cio come un Paese medio-grande dellUnione europea. Ci occupiamo di problemi
reali, delleconomia reale, e la nostra funzione non quella di fare battaglie ideologiche, ma
risolvere i problemi delle persone che rappresentiamo. Perci, anche quando ci rapportiamo
al tema della globalizzazione, dobbiamo valutare con grande attenzione quali sono gli aspetti
e le ricadute positive che questa pu portare, ai lavoratori e ai cittadini dellUnione europea.
Dallaltra parte, dobbiamo anche essere consapevoli dei problemi legati alla globalizzazione
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e, soprattutto, dobbiamo ricostruire insieme delle possibili soluzioni. Perch non sufficiente
riconoscere che ci sono delle iniquit, delle diseguaglianze o che le persone possono perdere
il posto di lavoro a causa della globalizzazione: dobbiamo analizzare tali dinamiche e cercare di
trovare delle vie duscita.
Lo ricordava Altomonte: le persone che hanno votato per Trump sono coloro che sono stati
colpiti negativamente dalla globalizzazione; non una percezione, ma un dato di fatto. Aggiungo
che, analizzando i risultati del referendum inglese sulla Brexit, si nota che le regioni che hanno
votato per luscita del Regno Unito non sono quelle con alta presenza di immigrati, bens quelle
caratterizzate da una pi alta disoccupazione, povert, esclusione sociale. In breve, regioni nelle
quali i processi di globalizzazione non governata hanno prodotto i maggiori disastri in termini di
conseguenze sociali. Non possiamo ignorare tutto questo.
un problema della politica, ma anche delle parti sociali e delle organizzazioni che tentano
di rappresentare la societ civile nei vari consessi dove le decisioni vengono prese, discusse
e assunte. Dobbiamo farci carico di questo profondo disagio e malessere che esiste non solo
nella societ europea, ma anche in altre parti del mondo avanzato. Se non lo faremo, saremo
spazzati via e ci ritroveremo molti Trump che, inevitabilmente, distruggeranno quello che noi
abbiamo costruito in termini di cooperazione economica, concezione liberale dello sviluppo
delleconomia, economia sociale e di mercato, che sono elementi fondanti dellUnione europea.
Come organizzazioni sindacali, la nostra sfida comprendere in che modo mettere in campo
unagenda per il commercio internazionale che affronti anche le tre principali conseguenze
negative subite da alcuni lavoratori a causa della globalizzazione: la riduzione dei salari,
laumento della tassazione e la perdita del posto di lavoro.
Per costruire unagenda progressista e giusta del commercio internazionale, che non sia
finalizzata a contrastare la globalizzazione, ma a governarla in una modo che porti dei vantaggi
a tutti, si deve fare fronte ad almeno due tematiche fondamentali.
La prima riguarda la protezione. Il presidente Juncker, nel discorso davanti al Parlamento nel
mese di settembre, sullo Stato dellUnione, ha affermato che serve una Europe that shelters,
cio unEuropa che protegga i suoi cittadini. Quando si parla di commercio internazionale
esistono dei fattori di protezione che devono essere inseriti negli accordi e senza i quali non
si pu parlare di globalizzazione giusta. Primo, la protezione dellambiente, che stata molto
spesso trascurata negli accordi firmati negli ultimi decenni. Poi, la protezione dei consumatori
e del loro diritto ad avere accesso ai mercati in maniera altrettanto libera e garantita di quanto
sia per le imprese e per coloro che esportano. In terzo luogo, la protezione dei lavoratori, a noi
particolarmente cara.
Per noi inaccettabile che le esistenti norme di protezione dei lavoratori, europee e nazionali,
vengano semplicemente ignorate o violate, senza alcuna sanzione, quando si passa ad un livello
globale. Esiste, poi, un quarto tipo di protezione, che riguarda i servizi pubblici e la possibilit
per le persone di mantenervi un accesso equo. Servizi pubblici e globalizzazione sono, infatti,
legati dal fatto che se non si introducono delle norme che assicurino il potere regolatorio degli
Stati sulla parit di accesso, anche nellambito del commercio internazionale, si rischia una
forte interferenza dellinvestimento straniero e una deregolamentazione, che porterebbe ad
un peggioramento delle condizioni stesse di accesso.

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Questo aspetto particolarmente tangibile quando si discute di servizi come la sanit pubblica,
i trasporti e altre aree sensibili. A questi quattro tipi di protezione, si aggiunge un elemento
trasversale ad essi: ci che in inglese viene definito enforceability, cio lesigibilit delle
protezioni e dei diritti citati. Al momento, nella maggior parte degli accordi esistenti, troviamo
una esigibilit per gli investitori, che possono sfidare il potere regolatorio degli stati, qualora
ritengano che i loro diritti di investimento siano stati violati. Tuttavia, nella maggior parte degli
accordi, non esistono clausole per la protezione dellinteresse dei cittadini, dei lavoratori e di
altri gruppi della societ civile.
La seconda tematica riguarda la just transition, la transizione giusta. Questo significa che
dobbiamo assicurare che la globalizzazione e il libero commercio generino un saldo positivo
tra posti di lavoro che si distruggono e che si creano. Per dieci posti di lavoro che mancano,
dobbiamo costruirne almeno undici. Per riuscirvi, necessario mettere in campo alcune
politiche di investimento, sia a livello dei singoli paesi che europeo. Inoltre, anche la questione
dei salari fondamentale per una just transition.
Noi siamo daccordo che i salari debbano crescere in linea con la produttivit. Eppure, se
andiamo a vedere i dati dei paesi OCSE, non troviamo un singolo Paese dellUnione europea
che negli ultimi cinque o dieci anni abbia visto una crescita dei salari altrettanto robusta come
quella della produttivit. In tutti i paesi, persino in quelli a produttivit bassa come lItalia,
esiste ancora un gap tra la crescita dei salari reali e quella della produttivit. Questo danneggia
leconomia, perch, oltre a ridurre i consumi, provoca anche un arretramento della produttivit
stessa nel medio periodo. Allora dobbiamo affrontare il problema delle diseguaglianze salariali
e, in questo senso, la contrattazione collettiva tra le parti e nella loro autonomia gioca un ruolo
fondamentale.

Claudia Pensotti
Vorrei ora sentire Pettinato su quali sono le politiche per aiutare i lavoratori a passare da un
certo tipo di lavoro ad un altro.

Carlo Pettinato
Vorrei semplicemente continuare su alcuni punti toccati dalla Commissaria Malmstrom e dal
Ministro Calenda. Oggi, ci troviamo ad un bivio per la politica commerciale: abbiamo da poco
firmato il CETA, che ancora deve essere ratificato dal Parlamento europeo e dai parlamenti
nazionali, mentre un anno fa abbiamo predisposto il documento Trade for All. Quando abbiamo
iniziato il lavoro di predisposizione del documento, abbiamo preso in considerazione quanto
emerso dalle consultazioni con i governi nazionali e possiamo riassumerne i punti principali in
quattro considerazioni.
In primo luogo, il commercio extra europeo sempre pi importante per leconomia del
continente: ben sette milioni d posti di lavoro sono impiegati direttamente da investitori esteri;
indirettamente questi sono molti di pi. Un secondo elemento riguarda il cambiamento della

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struttura produttiva. Le catene produttive globali hanno reso molto pi complessa la scrittura
delle regole del commercio, dove i principali problemi non sono pi rappresentati dai dazi, come,
ad esempio, nel caso del TTIP. Il commercio, peraltro, non sta diminuendo, ma relativamente
meno in espansione rispetto a qualche anno fa. Ed proprio grazie alle strutture di governance
per gli accordi commerciali che abbiamo in vigore, che, ad oggi, non si innescata alcuna guerra
commerciale.
In terzo luogo, emerso che i consumatori europei ed americani non sono solo interessati a
un minor costo, ma vogliono sapere le modalit di produzione dei prodotti che costano poco.
Infine, il TTIP ha cambiato completamente il dibattito sul commercio in Europa. Io mi occupo
di commercio da ventanni e, nel giro di pochi mesi, tutto cambiato. Il TTIP pone sul tavolo la
questione del nostro modello di societ e, per la prima volta, non si tratta di prodotti a basso
costo, ma di standard, di modello sociale. Una parte dellopinione pubblica ha paura che il
modello europeo possa essere messo in questione. A riprova di questo fatto notiamo che, proBrexit e Trump a parte, chi ha pi protestato contro il TTIP sono i tedeschi, che sono i vincenti
della globalizzazione. Non , quindi, questione di costi, ma di modello di societ.
In tal senso bene ribadire che noi non vogliamo abbassare alcuno standard, ma al contrario
proteggerli. Servizi pubblici, protezione del consumatore e salute sono le linee guide introdotte
nella nostra strategia. Una strategia che deve essere efficace, rilevante per le PMI e trasparente.
Nessuno mette in discussione la trasparenza sul modo in cui viene negoziato laccordo sul
cambiamento climatico, ma lo si fa sul modo di condurre gli accordi commerciali. Infine, stiamo
incorporando anche la questione dei valori europei, aspetto che abbiamo incluso con decisione
nella nostra strategia.

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Roundtable # 2

Il commercio internazionale nellera di Brexit e Trump

Enrico Letta
Paola Subacchi
Gianfelice Rocca
Panel moderato da

Maria Latella,

Maria Latella

Quanto le scelte economiche dellamministrazione Trump influenzeranno i comportamenti


dellEuropa, da un lato, e dei Paesi orientali tra cui il Giappone, la Cina, la Corea, dallaltro?
significativo che il primo leader ricevuto dal neo-eletto presidente statunitense sia stato Nigel
Farage.

Paola Subacchi
Il Giappone un Paese per cui il commercio estero tutto. significativo che il Primo Ministro
Abe abbia avuto la premura di incontrare Donald Trump: c in gioco un trattato commerciale,
il TPP (Trans-Pacific Partnership) che coinvolge gli USA e molti Stati asiatici che affacciano sul
pacifico, escludendo la Cina. Per il Giappone di grande importanza che questo accordo venga
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ratificato dal Congresso degli Stati Uniti. Lamministrazione Obama sperava di riuscire a ratificare
questo trattato prima della chiusura di questo periodo di transizione ma non sar cos.
Chiaramente c molta preoccupazione in Asia, la stessa che si pu avvertire in Europa. Il fatto
che Nigel Farage sia stato il primo politico europeo che Trump ha incontrato la dice lunga su
come potrebbero riaprirsi alcuni dei giochi, soprattutto nel contesto di Brexit. Cito solamente
un dato: lamministrazione Obama ha detto sempre chiaramente al governo inglese che il
ruolo della Gran Bretagna nellEuropa e che quindi non avrebbero sostenuto delle forme
di partnership speciali, basate sul fatto che la Gran Bretagna ha questo rapporto privilegiato
con gli Stati Uniti. Ora le cose potrebbero cambiare. Theresa May, il Primo Ministro britannico,
potrebbe trovare una sponda negli Stati Uniti e nellamministrazione Trump, proprio su questa
relazione speciale con la Gran Bretagna.

Maria Latella
Techint ha 20mila dipendenti tra Messico e Stati Uniti, ne ha pi 7mila in Europa. I mercati, la
politica e le scelte politiche degli elettori sono, oramai, strettamente correlate. Chiederei un
parere di Gianfelice Rocca.

Gianfelice Rocca
Vorrei trasferire una sensazione che meno euro-centrica e nasce pi dalla nostra presenza nei
Paesi in via di sviluppo durante la crisi del 2008. La nostra sensazione, molto forte, stata che
quella crisi fosse la crisi della globalizzazione, la crisi di una visione del mondo e la crisi di un
certo establishment.
Immaginiamo di essere parte della classe media statunitense: con la crisi abbiamo visto i nostri
salari reali abbassarsi e le tasse aumentare, mentre i pi benestanti non subivano la tassazione
sui movimenti di capitali. I nostri operai nellultimo periodo si presentavano con i cartelli con su
scritto Clinton in prison.
Quando si vede linsieme di queste cose, si avverte che presto succeder qualcosa: questa
stata la nostra convinzione, tant vero che i nostri investimenti hanno seguito proprio una
logica del genere. Abbiamo investito molto al di l della frontiera degli Stati Uniti, convinti che
a un certo punto il sistema del grande commercio internazionale avrebbe avuto qualche tipo
di problema. Il primo elemento che ho percepito rispetto alla classe media, negli Stati centrali
degli Stati Uniti, la perdita di controllo sul proprio futuro.
Stiamo vivendo in un mondo in cui noi abbiamo bisogno, per mantenere lapertura, di un
pragmatismo assoluto nel commercio estero; per la vera difesa la nostra forza industriale e la
nostra forza innovativa. La produttivit e linnovazione sono il vero strumento di reazione a tutto
questo. Come abbiamo visto la presentazione del prof. Altomonte, che ha parlato della catena
di produzione delliPhone, gli Stati Uniti oggi si interrogano sul fatto che nonostante siano loro
ad aver sviluppato una tale capacit innovativa, questultima non diventa valore aggiunto negli
Stati Uniti ma in Corea, in Germania, in Giappone perch tutte le tecnologie intermedie sono

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tendenzialmente migrate. In Europa diverso e questo io credo sia una nostra grande forza.
Il medium high-tech europeo un contenitore di tecnologie. Dal punto di vista tecnologico,
Apple investe il 3% nella ricerca, che non molto, ma un grande combinatore di ricerca.
Questo rappresenta una grande occasione per lItalia: qui si uniscono il tema dellindustria
4.0 e il tema del commercio, intimamente connessi. LEuropa, da questo punto di vista, ha
una forza anche maggiore degli Stati Uniti perch ha una quantit di imprese medie o mediograndi che utilizzano la tecnologia e la esportano nel mondo attraverso i propri prodotti, anche
indirettamente attraverso la Germania. Le automobili sono un esempio, basta pensare a quanti
fornitori italiani partecipano alla creazione delle Mercedes.
La forza della Germania proprio la preparazione dei tecnici intermedi. Negli Stati Uniti mancano
le figure professionali intermedie per affrontare gli step di produzione che attualmente sono
dislocati in Corea o in Germania e quindi anche se unimpresa volesse cercare riportare il valore
aggiunto a livello locale di un ampio numero di persone che guadagnano nelle fasce intermedie,
non avrebbe possibilit di farlo perch manca, prima di tutto, la formazione per queste figure
professionali, fin dalle scuole.
Concludendo, questo il mondo in cui noi viviamo, un mondo con problemi spesso molto pratici,
che si confronta con le istituzioni chiedendo delle soluzioni e delle politiche in grado di ridare il
senso del futuro. Se le istituzioni non saranno allaltezza di queste richieste, rischiamo davvero
lascesa dei populismi. Che non detto sappiano poi, nel concreto, affrontare i problemi reali.

Maria Latella
Alla politica bisogna chiedere risposte, perch laddove lansia di futuro che viene dal voto
americano o da Brexit non trova risposte, il grande interrogativo rimane.

Enrico Letta
C una cosa in particolare, tra le tante, che lega Brexit e Trump: il fatto che gli slogan vincenti
di entrambi seguono la logica del ritorno indietro. Rifare grande lAmerica, per Trump,
Riprendere il controllo, per Brexit. C lidea, cio, che quanto sta avvenendo adesso sia
negativo e che bisogna ritornare alla logica precedente, quando le due grandi potenze toccate,
Londra e Washington, erano molto pi forti e potenti di oggi. interessante questo, perch di
solito le campagne elettorali si vincono sempre parlando di futuro, mai parlando di passato.
Abbiamo avuto, invece, due esempi di campagne elettorali in cui ha vinto chi ha parlato del
ritorno al passato.
Credo, quindi, che la questione sia molto pi ampia e complicata. Immaginatevi una sala da
pranzo, dove per decenni eravamo solamente noi europei occidentali nemmeno tutti gli
europei insieme ad americani, canadesi, giapponesi e poche altre minoranze sparse nel
mondo. Una sala da pranzo dove cerano pochi posti a tavola e dove stavamo bene, perch
eravamo simili tra di noi e avevamo tutto a nostra disposizione. Il resto del mondo stava in

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cantina o, addirittura, stava fuori al freddo. Noi, nella sala da pranzo, eravamo meno di un
miliardo e gli altri cinque miliardi erano fuori o in cantina. In ventanni successo ci che non
era mai accaduto nella storia dellumanit e cio che, tranne un miliardo che rimasto fuori,
gli altri quattro miliardi, dei cinque che stavano fuori, sono entrati in sala da pranzo. Questo
avvenuto col progresso, quindi la sala da pranzo si molto allargata, ma ha creato, in chi
era gi nella sala da pranzo da prima, lansia di non avere pi i benefici e il benessere di cui
avevamo goduto fino a quel momento. In parte perch qualcuno ha effettivamente perso quei
benefici: perch ha perso il lavoro, perch la fabbrica ha chiuso e per situazioni simili, in parte
perch le nuove tecnologie hanno comportato un cambiamento nei progressi di carriera, di
vita, rendendo tutto meno lineare e incrementale, come era, invece, nellItalia del miracolo
economico. UnItalia dove ogni tre, quattro anni ogni famiglia della classe media italiana (che
allora esisteva e che oggi cos in difficolt) passava dalla 127 alla 128, poi dalla 128 alla 130...
gi i nomi davano lidea di questo passaggio incrementale, di una tappa piccola ma sicura.
Tutto questo oggi non esiste pi, perch il mondo totalmente cambiato: oggi ci troviamo
in un mondo in cui tutti sono dentro la competizione globale, per un motivo molto semplice.
Siamo dentro a una rivoluzione industriale che fa s che quello che non era valido prima, lo sia
diventato oggi: la demografia conta. Non mai stato cos nella storia, oggi siamo dentro una
rivoluzione industriale che fa pesare la demografia come non era mai successo prima. Prima un
Paese poteva avere un miliardo di abitanti ma, se non era toccato dallo sviluppo tecnologico,
rimaneva totalmente ai margini. Oggi lo sviluppo tecnologico, moltiplicato e legato con la massa
di abitanti, ha un moltiplicatore che ha fatto s che in ventanni sia cambiato tutto.
Nei nostri Paesi europei si fa spesso la seguente analogia: ventanni fa stavamo meglio, cos
accaduto ventanni fa in Europa? Abbiamo avuto la brutta idea di introdurre lEuro, quindi da
quando c lEuro stiamo peggio. Questo il ragionamento di tutti i populismi in Europa, perch
il collegamento sembra immediato. In verit proprio questo il punto da sfatare, perch non
cos. Non certo dovuto allEuro il fatto che quattro miliardi di persone sono, per fortuna,
entrati nella sala da pranzo dove stavamo solo noi. In pi, lo sviluppo tecnologico ha reso la Cina,
che rappresentava il 3% delleconomica mondiale, il 16% oggi. Questo il vero cambiamento
che avvenuto.
Rispetto a questo cambiamento noi abbiamo di fronte, credo, il dover essere tutti insieme
responsabili del nostro futuro. E qui il tema tocca la questione lite. Perch se giochiamo questa
partita di grande mutamento soltanto con lidea di individuare di chi la colpa, tra di noi, e di
scaricarcela addosso a vicenda, secondo me non abbiamo colto lurgenza di dare risposte a tutto
questo. Dobbiamo agire subito per stare dentro questi fenomeni di globalizzazione, in modo
tale da non subirli ma di essere efficaci nel dare le risposte. Risposte in termini di competitivit,
certo, ma allo stesso tempo anche le risposte politiche, sociali, di identit e di senso. Perch
oggi lidentit che viene messa in causa. E rispetto a questo noi abbiamo bisogno di una
riflessione sul nostro futuro, in cui, come dicono gli inglesi, when in trouble, go big. Se diamo
una risposta guardando al piccolo tassello che abbiamo davanti, non ce la faremo. Lunico modo
oggi avere uno sguardo ampio e dirci che, rispetto a quello che sta avvenendo, noi possiamo
elaborare diverse risposte.
Una risposta, che sta raccogliendo sempre pi seguito, quella del ritorno al nazionalismo:
il pi grande errore che le nostre generazioni possano fare e consegnerebbe ai nostri figli un
futuro di grandissima difficolt. una risposta immediata, di stomaco e facilissima, perch, di
fronte a tutta questa difficolt, cosa rimane? Lidentit della bandiera, della propria lingua, delle
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proprie radici, di quello che siamo e di quello che tra di noi ci riconosciamo di essere. Non ci
rendiamo conto che questa la risposta che ci far affondare.
Questa la risposta che hanno scelto i britannici: una decisione legittima, e dobbiamo tutti
rispettare il loro voto, ma io non credo che quella sia la risposta giusta. Innanzitutto per il
metodo. Chi dice che si possa decidere riguardo la partecipazione a una grande famiglia
come quella dellUnione Europea attraverso un referendum di un giorno, in cui chi prende il
51% decide per tutti, senza nessuna forma di altro coinvolgimento di tutte le istituzioni della
democrazia rappresentativa?
La Gran Bretagna si messa, secondo me, in una situazione complicatissima, a partire dal fatto
che quel 51% un 51% contro. In quel 51% contro ci sono, ad esempio, due idee, alternative
luna allaltra, sul tema del commercio. C una buona parte totalmente contraria al free trade,
che vuole protezionismo e chiusura, e poi c, per, una parte che rappresenta esattamente
lopposto. Nella City, una frase che abbiamo sentito tante volte vogliamo la Brexit, vogliamo
diventare la Singapore dEuropa: lesatto opposto del protezionismo. Quindi Theresa May
secondo me ha davanti il compito di trovare la quadratura del cerchio, che impossibile. Perch
non sta parlando, perch non c un piano? Perch la verit che non ci pu essere un piano
che tiene insieme queste due parti. Le idee di diventare la Singapore europea o di ritornare la
Gran Bretagna degli anni 50 sono esattamente opposte, inconciliabili.
Ecco perch dico che attorno a questi temi c bisogno di fare una riflessione larga: noi europei
dobbiamo essere consapevoli che questa sfida una grandissima opportunit per noi, perch
ci fa crescere dallet adolescenziale. Noi europei siamo pi vecchi di tutti ma dal punto di vista
politico-istituzionale siamo adolescenti. Siamo sempre vissuti sotto lombrello americano, dal
punto di vista della sicurezza e della difesa, cos come delle relazioni con il resto del mondo;
oggi abbiamo di fronte la necessit di definire noi, da soli, che cosa vogliamo fare sui grandi
temi del futuro dellumanit. Se saremo in grado di farlo, lEuropa avr ancora un futuro nel
mondo, e cos anche lItalia. Se non saremo in grado, ci condanneremo alla marginalit e io
sono convinto che questa sfida oggi viene proprio al momento giusto.

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Alessia Mosca,

email@alessiamosca.it | alessia.mosca@europarl.europa.eu
www.alessiamosca.it

Raccolta atti completata il 12 dicembre 2016

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