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Edizioni Psiconline 2015 - Riproduzione vietata

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Antonio Rinaldi

Leggere il silenzio
Lavorare con i bambini autistici

Edizioni Psiconline 2015 - Riproduzione vietata

Prima Edizione Ebook (PDF): 2015


ISBN 9788898037797
Prima Edizione: 2013
ISBN 9788898037186
2013-2015 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare
Psiconline Srl
66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A
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qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e
linserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale
o parziale sono riservati per tutti i paesi.
Finito di stampare nel mese di Aprile 2013 in Italia da Atena.net Srl Grisignano (VI) per conto di Edizioni Psiconline (Settore Editoriale di
Psiconline Srl)

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INDICE

Introduzione

CAPITOLO 1 - Lautismo
1. Definizione, tra storia e pensiero comune
2. La percezione
3. Convenzioni e regole sociali
4. Autismo ed iper-logica
5. Verbale o non verbale
6. Egocentrismo e consapevolezza di s
7. Schemi fissi e ripetitivi
8. Oggetto transizionale versus oggetto autistico
9. Contatto fisico

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CAPITOLO 2 - Intorno al bambino


1. Esser genitore
2. La Motivazione
3. Livello cognitivo e ritardo
4. Educazione e interventi scolastici
5. Network, lavorare in rete

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CAPITOLO 3 - Approcci, strategie e considerazioni


1. Lintervento in acqua
2. Disautizzare la vita del bambino
3. Insegnare ad un bambino autistico
4. Riflessioni

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INTRODUZIONE

Vorrei sussurrare un grazie...


a ogni piccolo grande saggio
che ho incontrato sino adesso sulla mia strada...
... a tutti coloro che vedono oltre una parola, al di l
di un abito, trovando forza per dar voce allessenza...
In acqua mi guardavo spesso attorno, scoprendo una visuale
insolita di posti conosciuti, riuscivo a scorgere anfratti nascosti
allocchio delle strade, mi sentivo al di qu di una linea invisibile, che era la riva, confine di quel mondo cui non volevo appartenere, fatto di intese e circostanze, di sorrisi assassini di lacrime. Avevo scoperto un nascondiglio dove proteggermi e portare
chiunque amassi, non mi sembrava vero, a pochi metri da dove
mille passi al giorno passavano inconsapevoli, io urlavo la mia
estasi al cielo e nessuno ci faceva caso.

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CAPITOLO 1
LAUTISMO

1. Definizione, tra storia e pensiero comune


Lautismo per definizione una sindrome comportamentale, in quanto un quadro diagnostico per esser riconosciuto sotto
tale etichetta deve rispettare quei criteri dettati dai manuali di
riferimento che vedono come primo aspetto identificativo una
particolarit comportamentale nella sua ripetitivit ed ossessione
apparentemente immotivata nei riguardi di circoscritti interessi e
nella presenza di stereotipie e manierismi tipici.
Da anni lavoro con bambini affetti dalla sindrome autistica ed
ogni giorno che entro in contatto con chi vive questi piccoli, nei
vari contesti, quali lasilo o la scuola, il centro di riabilitazione
o lo stesso nucleo familiare, sembro ritrovare nel suo esprimersi perfettamente tale definizione, ricalcando quei semplici ma
altrettanto pericolosi luoghi comuni che entrano a far parte del
sapere comune, attraverso i film, i libri, le espressioni popolari.
La parola stessa autismo sembra portarci a leggere, in maniera associativa, ogni particolarit di un bambino con questo
disagio, come qualcosa che abbia a che fare con lautomatizzato, lautomatico, ovvero dalla modalit computerizzata e programmato nel compiere qualcosa per noi spesso indecifrabile.
Il termine autismo coniato nel 1911 da Eugene Bleuler, utilizzato come sintomo comportamentale nellambito della schizofrenia e ripreso decenni pi tardi da Leo Kanner per indicare
un disturbo a s stante, voleva invece descrivere un aspetto di
auto-centrazione, un amplificato egocentrismo che porta come
conseguenza diretta un drastico evitamento dellaltro ed una forEdizioni Psiconline 2015 - Riproduzione vietata

te chiusura allambiente, ai contesti e alle situazioni di condivisione e relazione.


I criteri identificativi di questo disturbo sono infatti, come i
manuali diagnostici di riferimento DSM-IV e ICD-10 insegnano, oltre alla sopra nominata forte presenza di interessi circoscritti ed attivit stereotipate, una compromissione grave e
generalizzata nellinterazione sociale reciproca e nella comunicazione.
Pensando ad un simile quadro, abbastanza semplice discriminare alcuni comportamenti tipici dello spettro autistico
immediatamente per noi tutti riconducibile alla tendenza allisolamento e alla chiusura, come il tapparsi le orecchie con le
dita, levitamento del contatto oculare e lestrema resistenza al
contatto fisico.
Altra peculiarit della sindrome autistica lestrema difficolt
ad affrontare cambiamenti inaspettati, relativi allambiente, alle
persone di riferimento, alle quotidiane abitudini; una eventuale
modifica in qualsiasi degli ambiti elencati, direttamente implicata nel possibile rafforzamento di una chiusura, se non di una
forte crisi caratterizzata da stereotipie e manierismi.
Direttamente correlabile al quadro sintomatico-comportamentale lidea del bambino autistico come di un bambino indecifrabile, che vive in un mondo tutto suo, dalla volont antisociale, tendente per sua natura alla ripetizione di manierismi
e dalla povera se non nulla espressivit emotivo-comunicativa.
Parlando di autismo si parla spesso di anaffettivit, ovvero del
non riuscir a provare ed esprimere emozioni; provare unemozione, saperla comunicare e riconoscere su un volto altrui son per
cose ben differenti tra loro.
Sarebbe alquanto presuntuoso dire che una persona che non
manifesta nella mimica facciale o che non sa leggere lespressione di chi ha di fronte, non provi o non conosca quellemozione,
come se identificassimo chi ha gradito il pranzo solo in chi
verbalmente fa degli espliciti apprezzamenti, cos pensando andremmo sicuramente in un altro campo, quello del buon gusto e
delleducazione ma non certo della logica.
Personalmente, ritengo invece che un bambino autistico abbia
un sentire di gran lunga superiore alla media, grazie infatti al
suo essere introspettivo, alle sue continue riflessioni interiori, diviene un grandissimo conoscitore dellanimo umano.
Come ben sappiamo, poco tempo viene dedicato da parte di
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un bambino autistico al guardare in faccia gli altri, risultando nel


crescere non molto bravo nel riconoscimento delle espressioni
mimiche facciali; conoscere lespressivit comunicativa non verbale, presuppone infatti laver memorizzato sin da piccoli nelle
varie circostanze emotive le espressioni e la mimica di chi ci
circonda, in modo da ricordarsi, ad esempio, che il viso della rabbia come quello che aveva mio padre quel dato giorno.

2. La percezione
Percepire significa conoscere attraverso i sensi, ovvero attraverso i canali che sin dalla nascita ci connettono al mondo: ludito, la vista, il gusto, il tatto, lolfatto.
Sin dalla nascita, conosciamo cos, che cosa ci circonda, chi
il nostro caregiver (colui che fornisce cure e attenzioni), distinguendo i volti familiari da quelli estranei, la nostra cameretta,
la voce di chi ci ama, il suo odore, il gusto della pappa, il suono della canzoncina nella culla, il calore e la morbidezza di un
abbraccio; possiamo quindi considerare la percezione come la
nostra porta sul mondo, per conoscere e per farci conoscere.
Supponiamo anche solo per un attimo di aver questi canali
sensoriali alterati, avremmo certamente una percezione altrettanto alterata della realt, in tal caso ci che probabilmente faremmo
comportarci diversamente dagli altri ma soprattutto dalle loro
aspettative; una musica per tutti piacevolmente ritmata potrebbe
esser assordante per le nostre orecchie, la semplice vista di una
serie di libri colorati allentrata di una stanza potrebbe esser per
noi uninondazione di stimoli visivi insopportabile e dolorosa da
sostenere allinterno di una relazione con laltro o di unattivit.
La ricezione degli stimoli esterni attraverso i sensi viene analizzata a livello corticale attraverso una selezione ed elaborata in
informazione; le persone affette da autismo hanno una percezione alterata di tutto ci che le circonda, spesso son iper-stimolate
a livello sensoriale e sembrano non riuscir a far selezione, cos
che le informazioni da dover elaborare divengano una quantit
impensabile per qualsiasi calcolatore.
Considerando questa inondazione di input, come valuteremo
ad esempio il tapparsi le orecchie nellentrare in una stanza con
altre persone? Continueremo ancora a pensare che sia dovuto al
non voler relazionarsi allaltro o possiamo riconoscere tale straEdizioni Psiconline 2015 - Riproduzione vietata

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tegia comportamentale come una soluzione efficace ed immediata da parte della persona autistica, per preservare il proprio
cervello da una estrema confusione e sofferenza?
Immaginiamo di esser al telefono in una conversazione dalla
linea disturbata, e che nel cercar di captare alcuni dati per noi
essenziali, dedicando ogni nostra attenzione a quel messaggio,
qualcuno cercasse di avvicinarci per dirci qualcosa di diverso argomento o di abbracciarci o scherzare con noi; ad un primo tentativo faremmo solo un minimo gesto per allontanare laltro, per
non perder alcun dato della telefonata, ad una ulteriore insistenza
ci allontaneremmo cercando la solitudine e la tranquillit.
ormai cosa ben nota che le persone autistiche diano estrema dominanza al visivo rispetto allacustico, si dice infatti che il
pensiero delle persone autistiche vada per immagini, (Thinking
in pictures Temple Grandin 2006), ovvero che lelaborazione
di un insieme di concetti avvenga per associazione di immagini.
Ci che potrebbe chiarire questultimo concetto il presupposto per cui ci che domina la mente autistica sia una iper-logica
estrema, la ricerca di unordine e di una coerenza cognitiva, percettiva e comportamentale a rimedio di una sovrastimolazione
cerebrale e di un caos di segnali esterni ambientali.
Una ricerca di coerenza ed ordine fa s che unimmagine chiara di un concetto rimanga fissa, immutabile e inequivocabile; pi
il bisogno sar di fissare un concetto, pi il cervello allenato a
dover discriminare allinterno di una quantit enorme di input
diverr un simil-scanner al fine di identificare e denominare nel
pi breve tempo possibile, attraverso il riconoscimento di alcune
peculiarit, loggetto, la persona, lambiente che si pone dinanzi.
Uta Frith parla di coerenza centrale per indicare la tendenza
di ogni persona non autistica a prediligere una visione di insieme rispetto allattenzione al particolare, tipica invece dei soggetti
autistici; capita molto spesso, se avete dinanzi a voi un bambino
autistico, che questi si fissi su un particolare che spicca nel vostro abbigliamento o nella vostra acconciatura dei capelli o in un
orecchino, ma ci che incredibilmente palese che nessun particolare passer inosservato, sar come se la visione globale non
avvenisse come per noi normotipici attraverso una vista generale
ma come la somma di infinitesimali particelle di singoli elementi, sino a raggiungere lintero mosaico finale, il tutto in un tempo
impensabilmente breve.
Per questo motivo estremamente necessario far conosce12

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re preventivamente attraverso immagini o accurate descrizioni


lambiente che andremo per la prima volta a far vivere alla persona autistica e la necessit successivamente di far rimanere coerenti i contesti per come son stati conosciuti, mantenendo ad
esempio una modalit nellentrata o un solito rituale.
La certezza di una conoscenza precedente infatti fa s che si
limiti di gran lunga il materiale informativo in entrata, ogni cosa
sar gi scannerizzata o immaginata preventivamente al fine di
limitare il livello di ansia nel dover gestire novit.
Correlato ad una novit c il non saper che attenderci e per
un bambino consapevole di non esser compreso nei suoi bisogni,
il dover affrontare situazioni nuove comporter sicuramente il
dover preoccuparsi rispetto a ci che sar posto di fronte a lui,
alle intenzioni i desideri e le volont degli altri,
A proposito di questo aspetto particolarmente identificativo
e deficitario dello spettro autistico, Uta Frith parla di capacit
di mentalizzare intendendo il riuscire a capire la mente altrui,
rappresentare i propri e gli altrui stati mentali, ovvero lintenzione, il pensiero, laspettativa; a tal proposito nel suo libro Autism: Explaining the enigma, lautrice riporta il famoso test sulla
Falsa credenza di Perner e Wimmer , conosciuto meglio come
Sallie-Anne Test che consiste nel valutare attraverso la presentazione di un gioco di finzione ad alcuni bambini la loro capacit metarappresentazionale, lo sviluppo della teoria della mente
(TOM: theory of mind).
Per teoria della mente si intende la consapevolezza che i comportamenti altrui siano direttamente determinati da stati mentali
interni e due son i processi che la costituiscono:
1. la decodifica degli stati mentali;
2. capacit di predire gli stati mentali altrui o saperli spiegare.
I risultati del test sulla falsa credenza dimostrarono che solitamente dai 5 anni i bambini iniziano ad avere la capacit di
rappresentarsi gli stati mentali altrui senza proiettare i propri, in
una sorta di empatia cognitiva, riuscendo a prevedere ci che pu
pensare una persona diversa da loro; i bambini autistici invece
nel crescere continuano a dimostrare grossi deficit in tale capacit metarappresentazionale.

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3. Convenzioni e regole sociali


Poco prima di entrare in una scuola elementare gremita di genitori per un incontro di formazione sul disturbo autistico, pensai
un esempio chiarificatore per far riflettere ognuno dei presenti
su ci che definiamo normalit e quale sia il limite al di l del
quale si possa parlare di a-normalit o handicap; mi venne di
colpo questa immagine: una persona attende lautobus alla fermata in piena solitudine , ad un tratto si mette un dito nel naso
come per istinto seguendo un bisogno, ma al sopraggiungere di
una persona lungo il marciapiede, si interrompe.
Se noi fossimo la persona che sopraggiunge e vedessimo invece che il signore continua a tenersi le dita nel naso incurante
del nostro arrivo, penseremmo dapprima che sia solamente una
persona maleducata, poi vedendo una insistenza nel gesto, penseremmo probabilmente che non sia tanto in s, che abbia dei
problemi.
Ci che quindi risulta esser criterio per definire problematica
una persona non tanto il tipo di comportamento messo in atto,
come il mettersi le dita nel naso, ma quanto linfluenza che la
presenza di unaltra persona possa avere sul continuare a metterlo in atto.
Questo aspetto in psicologia sociale in particolare con la figura di Lewin e la sua Field theory, studiato per descrivere
appunto quanto la presenza altrui possa determinare un cambiamento nel nostro modo di essere o di fare.
Se riflettiamo su tale concetto, riusciremmo ad ammettere che
diviene fondamentale conoscere le regole sociali del dover essere e dover fare in societ, tutti quei non si fa che ognuno di noi
si ricorda aver caratterizzato la propria crescita, per esser considerato a norma, convenzionato.
Per convenzione si intende una presa di consapevolezza condivisa, raggiunta con un accordo tra pi persone, al fine di stabilire uno schema al di l del quale possa esser considerato fuori
norma o legge qualsiasi comportamento, atto, modo di essere.
Rispettare una convenzione significa conformarsi per divenire
parte di un tutto, di una societ che ti riconosce come proprio
membro nel momento in cui ti allinei, riconoscendo come giusti
criteri, certi canoni comportamentali, estetici, comunicativi.
La convenzione ci dice che una cosa non la si fa, senza dar un
reale motivo a sostegno di tale istruzione, non la si deve fare e
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basta, perch non sta bene; per esempio, togliersi le scarpe quando si seduti in luogo pubblico come in una classe scolastica
non adeguato, per il togliersi le scarpe appena entrati a casa
propria, non da rimproverare, anzi spesso consigliabile dal
genitore stesso per insegnare al bambino che importante mantenere un ambiente pulito, per cui magari meglio togliersi le scarpe
appena si entra.
Cosa risulta se non un illogico meccanismo alla base di una
convenzione sociale?
Ci che distingue infatti il poter togliersi le scarpe a casa rispetto alla scuola, non una reale differenza ambientale o di necessit che potrebbe render chiaro a qualsiasi persona il dover
rispettare tale regola, ma solo il dire comune che a scuola non si
tolgono le scarpe.
Nel porsi in relazione sia con un adulto sia con un bambino fondamentale, al fine di consigliare, educare o insegnare,
prediligere sempre uno stile autorevole rispetto ad uno stile
autoritario; la semplice differenza tra i due modi di rivolgersi
lassociazione di una logica motivazione allistruzione.
Esser autorevoli nel chiedere di fare, significa motivare logicamente il perch sia meglio farla, dando modo a chi dovr
rispettare listruzione di comprendere che ci che far avr un
senso , uno stile autoritario invece eviter di porre un perch
a seguito di una richiesta, che sar di conseguenza letta come
un mero comando da eseguire, solo per la volont di chi lo ha
stabilito a priori.
Premessa per cui una frequente illogicit di base ad una convenzione sociale, diverr consequenzialmente naturale la difficolt per una persona dotata di una mente dal funzionamento
iper-logico, riconoscerne lutilit, apprenderla per farla propria e
divenirne rispettoso utente e ambasciatore.

4. Autismo ed iper-logica
Come dicevamo pocanzi riguardo alla percezione, ci che
caratterizza lesistenza di una persona autistica un continuo
schermarsi dalla moltitudine di input sensoriali al fine di non entrare in una angosciante confusione e in una eventuale crisi.
Come rimedio a tale stato di cose, la mente autistica sembra
prediligere situazioni dai meccanismi chiari o resi chiari perch
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ripetuti allo sfinimento, al fine di divenire logici per familiarit.


Un gioco descritto verbalmente da una maestra o da una educatrice non susciter mai lo stesso interesse per un bambino autistico rispetto ad un gioco su uno schermo di una console, di un
computer o di un telefono smart phone, questo evidentemente
perch la coerenza e la chiarezza espositiva di una persona che
cerca di spiegare verbalmente unattivit, sar sempre pi soggetta a dubbi e diverse interpretazioni cognitive rispetto ad un
programma dettato da un software.
Le variabili intervenienti allinterno di un gioco computerizzato, sono comunque previste e espresse in un men iniziale
per cui leffetto sorpresa verte solo sullabilit del giocatore; le
variabili invece che intercorrono in un gioco concreto, dettato
e creato dalluomo, sono infinite, tra cui una differente visione
degli strumenti, una differente percezione delle difficolt per raggiungere lo scopo del gioco.
Come gi espresso precedentemente, la netta preferenza di un
pensiero per immagini porter a prediligere una presentazione di
un gioco o di una attivit su un display rispetto al dover ascoltare
o veder solo oggetti con i quali condurre lattivit, porter ad
unimmediata scelta per la prima situazione rispetto alla seconda; quella atipica visione di insieme, che nei paragrafi precedenti
avevamo menzionato, rende probabilmente il bambino autistico avvantaggiato nellapproccio al gioco computerizzato ove i
comandi e le istruzioni da eseguire appaiono da subito evidenti
tutte allo stesso modo e dove lattenzione al particolare diverr
fondamentale e vincente al fine di una buona performance.
Tutto ci che appare in uno schermo, da un film di animazione ad un documentario educativo circoscritto al perimetro
dello stesso, senza esser contaminato da interferenze esterne di
persone ed oggetti, riducendo la situazione descritta nel display
ad una sorta di bidimensionalit, potenzialmente riascoltabile e
revisionabile ogni qualvolta il bambino voglia.
Limmagine riuscir ad esser impressa nella mente allinterno di quel setting con la quale viene presentata, ovvero con una
musica di sottofondo, un suono o la stessa voce dei protagonisti,
rimanendo coerente a quel sistema di riferimento video che servir al bambino per apprendere associando dapprima il visivo
allacustico, poi attraverso un processo di generalizzazione ad
applicare anche fuori dal display in prima persona ci che ha
conosciuto attraverso il video, cos prima per imitazione diretta
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poi indiretta, confrontando ci che fa, con la memoria visiva per


prove ed errori.
Per confrontare ci che riesce a fare in base alla sua memoria visiva e ci che realmente il bambino ha visto nel video, il
piccolo pu ricercare morbosamente, in maniera ossessiva, la
sua immagine riflessa nel rimettere in pratica il comportamento
appreso o ripetere il messaggio ascoltato nel video, in uno specchio a casa, in una finestra a scuola, negli occhiali da sole di una
persona che gli si avvicina, in un finestrino di una macchina parcheggiata lungo la strada.
La ripetizione comportamentale portata alleccesso di certi
ristretti interessi , come prima accennavamo una strategia cognitiva al fine di render familiare e quindi logica e coerente una
procedura, una serie di azioni o una espressione verbale facendo
s che divenga competenza acquisita una volta entrata nel circuito del loop e del riproporsi spontaneamente.
Unattenzione fondamentale da parte del bambino autistico
rivolta alla coerenza tra verbale e non verbale, sia riguardo alla
mimica facciale o al comportamento non verbale in genere e la
parola, sia riguardo al rapporto tra il dire e la realt delle cose che
spesso non corrisponde letteralmente a ci che diciamo.
Tipico del linguaggio comune di ognuno di noi luso modi
di dire come perder la testa per qualcuno, espressioni dettate
spesso da omissioni, da immagini che stanno a significare tuttaltro rispetto a ci che letteralmente esprimerebbero, da scorciatoie
di pensiero che generalizzano un concetto dando per scontato che
si intuisca a senso e che vada applicato al contesto in cui al momento ci troviamo; usiamo ad esempio figure retoriche come la
metonimia, nelle espressioni bere un bicchiere, mangiare un
piatto, che se analizzate letteralmente non son per niente chiare
n logiche.
Il bambino autistico ha una comprensione logico-letterale del
linguaggio che non tiene conto assolutamente di queste convenzioni linguistiche e del loro valore metaforico, ovvero dire ho
saltato la lezione, se per lui saltare chiaramente il balzare, diviene unespressione incomprensibile in quanto le immagini che
saranno sommate saranno un verbo motorio ed una attivit che
magari niente ha a che fare con un salto, oppure facciamo un
giro, non sar per lui una passeggiata ma pi un girotondo.
La ricerca di concretezza a livello cognitivo la prima selezione che la mente autistica mette in atto, per cui lattenzione di
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chi si vuol rivolgere con una richiesta ad un bambino autistico


dovr evitare concetti troppo astratti, come nel riferirsi al tempo,
dicendo dopo o alla fine senza specificare il di cosa, cio
dopo che cosa?, alla fine di che cosa?.
necessario sempre utilizzare qualcosa di concreto come riferimento al quale confrontarsi, come ad esempio, la fine della
canzone che stiamo ascoltando o dopo che il nostro amico Brian
si tuffato.

5. Verbale o non verbale


scontato dire quanto tutti noi diamo unenorme dominanza
al verbale su qualsiasi altra forma comunicativa, basti pensare
allequazione che solitamente in maniera automatica avviene nel
pensiero comune tra il non riuscir a parlare e esser disabile o comunque il non saper comunicare.
La comunicazione invece, come la letteratura insegna di due
tipi, verbale e non verbale e ci che realmente ci riporta quotidianamente a tale dicotomia una possibile discrepanza di tali
aspetti; se una persona si rivolgesse con parole estremamente
gentili, ma con la mimica facciale e con il comportamento dimostrasse invece una esplicita mancanza di rispetto, si presenterebbe in noi una immediata discrepanza cognitiva nel ricevere i
due messaggi incongruenti. Il comportamento non verbale pur
sempre comunicazione, la prossemica, ovvero la posizione che
occupiamo nello spazio, la postura e le posizioni che assumiamo
rispetto alla presenza e alle parole dellaltro ne sono un chiaro
esempio; veder il nostro interlocutore distogliere lo sguardo dal
nostro e sbuffare non sar per noi motivante per una nostra richiesta di intima confidenza.
Chi come i bambini autistici non predilige invece il verbale rispetto al non verbale, diviene giorno dopo giorno cos attento ed
esperto nel sentire laltro nel silenzio, che ci stupir per quanto
riesca ad esser in sintonia con i nostri stati danimo senza che
neanche questi siano del tutto consci a noi stessi.
Non sentir il bisogno di ascoltare parole per capire gli altri
una cosa fondamentale dellesser empatici, la parola per lo pi
scelta, filtrata dal pensiero e la valenza sociale di ci che possiamo dire ricade sullidea che gli altri si fanno di noi, per cui perch un bambino autistico dal sentire chiaro nel silenzio dellaltro,
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dovrebbe pensare che per esser compreso debba necessariamente


parlare?
Lattenzione alla parola a cui siamo abituati nella societ
per il significato che essa assume nel contesto in cui siamo, per
il destinatario a cui ci rivolgiamo, per il valore che per noi stessi
riveste.
La parola diviene importantissima per ognuno di noi al momento in cui si diviene consapevoli che parlando possiamo farci capire, far arrivare un messaggio chiaro al destinatario, per
soddisfare un bisogno, in una richiesta di aiuto, nel soddisfare
una volont, nellopporsi e nellallontanare ci che non gradiamo, diviene automatico il voler comunicare attraverso il verbale
quando lo si vede realmente utile e comune canale.
Durante lo sviluppo, il pianto verr sostituito da un linguaggio
appreso per imitazione e prove di errori attraverso ecolalie con
le prime parole, espressioni di bisogni primari come pappa o
mamma, accompagnate dal grande entusiasmo del genitore e
nonni, per divenir sempre pi ricco ed articolato in frasi dapprima molto strumentali per divenir con la crescita pi meta-comunicative, ovvero caratterizzate dal piacere e dallattenzione
al comunicare.
Percorso completamente diverso quello invece dei bambini
con marcate difficolt comunicative come nello spettro autistico,
dove il riuscir a verbalizzare avviene solitamente con pi difficolt per una poca attenzione al verbale altrui.
Qu nasce lesigenza da parte di chi vive e segue il bambino di
motivare e premiare ogni suo tentativo di verbalizzazione.
Nel concreto, nel caso in cui il bambino per ottenere qualcosa
che non vogliamo che prenda, sforzandosi, riuscisse a verbalizzare, da parte nostra lo sbaglio pi grande sarebbe opporsi alla
richiesta senza dimostrare che il messaggio sia arrivato a destinazione; leffetto immediato sul bambino sarebbe infatti il non
riconoscere come funzionale la parola e automaticamente rinforzeremmo il suo non parlare.
Il riconoscere funzionale uno strumento la condizione per
dar maggior rilievo emotivo alla motivazione che sta dietro il suo
utilizzo, generando a tal punto un ciclo autorinforzante che vedr
come inversamente proporzionali sacrificio e motivazione.
Nel disagio autistico il verbale molto spesso caratterizzato
da un uso ripetitivo di alcuni termini che apparentemente non
hanno alcun legame con il contesto spazio temporale nel quale
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son pronunciati, ci che Uta Frith definisce espressioni idiosincratiche.


Se cerchiamo per con attenzione di capire ci che un termine
vuole esprimere per quella persona, non fermandoci al significato letterale, scopriremo che niente mai detto a caso.
Dentro ad una parola ci son profumi, ricordi di gioie o paure, ognuno di noi associa pi o meno spontaneamente una canzone ad un momento della propria vita particolarmente importante dal punto di vista emotivo, altrettanto pu avvenire con le
parole soprattutto nel caso di un funzionamento cognitivo che
da predominanza ad un pensiero associativo; la necessit di
concretezza facilita lassociazione di tutto ci che invisibile
come unemozione, una sensazione, un ricordo ad una etichetta
verbale, concreta, riconosciuta per prima cosa da noi stessi e cos
condivisibile.
Per questo motivo facile sentire un bambino autistico nominare un personaggio di un cartone animato mentre fa un tuffo
ma anche solo uno slogan pubblicitario di eccezionali sconti e
liquidazione, per esprimere la propria soddisfazione nellesser
riuscito a compiere unimpresa di coraggio o per contenere ed
elaborare le forte emozioni in seguito ad essa.
Accade spesso che il bambino autistico attui uninversione
pronominale, ovvero scambi la prima persona con la seconda,
oppure parli di s in terza persona; ancora una volta affinch non
sia lennesima occasione di etichettare e obbligatoriamente riconoscere tratti sintomatici, dovremmo per una utile osservazione e
comprensione far un passo indietro prima di varcar la soglia del
giudizio e pensare a come noi ci rivolgiamo a lui.
Considerando infatti che un altro aspetto caratterizzante il linguaggio autistico lecolalia (ripetere ad eco frasi o parole
pronunciate da altre persone), potremmo facilmente dedurre che
se in una fase di apprendimento del linguaggio verbale il bambino tende a ripetere, anche nella normalit dello sviluppo, le
parole che noi gli rivolgiamo, a maggior ragione sar cos per un
bambino autistico. Applicando quella che si definisce ecolalia
immediata infatti, ripeter il pronome che noi indichiamo nel
parlare a lui, ad esempio chiedere cosa fa Michele? pu far s
che inneschi una risposta in terza persona e cos via per le altre
persone.
Per questo motivo non dovremmo temere che il nostro modo
di rivolgerci al piccolo divenga un potenziale danneggiamento
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del suo modo di esprimersi, rimanendo infatti consapevoli che il


linguaggio lo si impara come ogni apprendimento dapprima per
imitazione, diverr per noi pi semplice non cadere nelle solite
correlazioni disturbo-tipicit.
Ci che consiglio cercare di non fissarci per primi in una
immutabile modalit di rivolgersi ad un bambino autistico, sia
nel verbale, sia nel non verbale, sia nel proporre attivit nellarco
della settimana; rispettare le sue peculiari necessit non vuol dir
rinforzarlo nel vivere un mondo autistico, presentandogli stimoli e situazioni stereotipate e ripetitive.
La mancata espressione di parole invece si trova alla base di
stereotipie motorie come lagitare le mani, il girare in tondo, il
correre improvviso, oserei dire in maniera inversamente proporzionale, ovvero pi luso della parola diviene acquisito in maniera funzionale allespressione di una necessit ad esempio, pi la
consapevolezza di esser compresi ridurr il livello emotivo e la
conseguente attivit motoria ad esso correlato.
Ogni stereotipia infatti ha due componenti, una prevalente,
che ne d origine, a carattere emotivo ed una automatizzata,
poich una volta acquisita come espressione o compensazione diviene anche strumento di evasione, estraneamento ed isolamento e per cui facilmente ripetibile allo sfinimento.
Il saper dar un senso accuratamente ad una stereotipia sta nel
non fermarsi alla semplice lettura di essa come il disinteresse
per gli altri o lambiente circostante o addirittura come una incapacit di connessione a tale rete di realt, ma nel riuscire ad
interpretare queste forme comportamentali per la loro reale funzione. Se ci non avvenisse non ci limiteremmo ad un errore di
interpretazione di una richiesta o necessit espressiva, ma cosa
sicuramente pi grave, non riconosceremmo le strategie, lautonomia gestionale di un individuo; accettarla nella sua logica e
precisione e plasmarla a qualcosa di pi facilmente riconoscibile
da tutti invece il giusto percorso da fare.
Continuare a non riconoscere il perch un bambino gira in
tondo in un contesto, soffermandoci a quanto ci sia di autistico
in quel gesto, cercando conferme ad una diagnosi e ad unetichetta, non fa altro che alimentare tale stereotipia, in quanto mera
espressione di disagio.
Serve invece abbassare le fredde barriere del giudizio, dal
cuore e dalla mente non far partire niente da noi, limitarsi ad
accogliere, senza neanche tendere le braccia, fermi, attenti nella
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presenza ma non nel pensiero; il capire verr di conseguenza al


sentire.
Se riuscissimo nel sentire empatico, capiremmo il disagio di
chi abbiamo davanti, senza parole, proveremmo a parlare sottovoce dicendo che abbiamo capito che qualcosa non va bene, che
siamo pronti a far quello che meglio per migliorare la situazione, in ascolto, di colpo il bambino smetterebbe di girare, non per
miracolo, solo perch avremmo creato una connessione con il
suo bisogno, senza richieste, senza aspettative, tra cuore e cuore.
Naturalmente ci che possiamo e dobbiamo aspirare a fare
dopo aver compreso la funzione di una stereotipia riuscire a
modellarla a qualcosa di sicuramente pi leggibile per chiunque possa imbattersi per la prima volta in una manifestazione del
genere; di pari passo dovremmo lavorare sullaltro polo, ovvero
su tutti coloro che non sanno, che non conoscono n il bambino
n tantomeno le sue necessit e peculiarit, cercando di infondere una consapevolezza profonda, che vada al di l di una semplice trasmissione nozionistica che serve per categorizzarlo ed
inquadrarlo come facente parte di una certa classe di disturbi o
sindromi.
Soltanto grazie alla consapevolezza di ci che una persona
vive, possiamo divenire empatici nei suoi confronti, dimostrarci
sensibili verso di lei e verso la sua famiglia, abituata a lottare, a
dover pretendere diritti e aiuti, che se non dovuti grazie ad un
articolo o legge, non arriveranno mai se non accompagnati e guidati spontaneamente dal cuore di chi invece conosce e motivato
intrinsecamente vorr aiutare, senza leggi n articoli, accordi o
contratti caduti dal cielo, solo da persona a persona.
Il passaggio tra il disagio, il benessere e un aumento delle abilit e competenze del bambino quasi immediato, secondo una
catena di invisibili passaggi, che se tenute di conto le premesse
della condizione iniziale di sofferenza, divengono di colpo logici e chiari.
Ricordando quanto il non sentirsi omologato agli altri nel
percepire, nel sentire, nel comunicare, sia motivo di rinforzo di
chiusura e evitamento dei contesti di condivisione, lesser conosciuti e riconosciuti nei bisogni, nelle manifestazioni di tali bisogni, nelle abitudini, nei modi di fare, di essere e di sentire, far
si che cada quellenorme barriera di paure e angosce, grazie ad
una nuova consapevolezza riguardo al non essere pi cos diverso agli occhi degli altri, etichettato senza voler esser conosciuto
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L S. L

davvero.
Riuscire ad attivare una connessione con un bambino autistico
una delle esperienze pi profonde che si possa fare, sentiremmo per la prima volta limportanza del comunicare, la bellezza
della condivisione di uno sguardo, la profondit di un silenzio, la
dolcezza del suono di una parola, come il ticchettio della pioggia
dopo una lunga siccit, per un genitore mai cos atteso, mai cos
desiderato.
Spesso trovandomi di fronte a grandi progressi dei piccoli che
seguo, mi trovo a dover ricordare ai genitori di non perder mai
la consapevolezza della condizione da cui i propri figli son partiti, non per continuare a ricordarli nella sofferenza, ma per dare
sempre grande importanza alle loro quotidiane conquiste, rinforzando i successi senza dar per scontato niente.
Laddove esiste una debolezza non dobbiamo mai abbassar la
guardia, rimanendo attenti e pronti ad entusiasmarsi per qualsiasi tentativo di esposizione e performance superiore; percepire
nellaltro una sincera approvazione ci che rende salda lidea
nascente di una nostra autostima, di una autoefficacia, a maggior
ragione se si considera let dello sviluppo.

6. Egocentrismo e consapevolezza di s
Delle persone autistiche il pi grande luogo comune, conoscenza diffusa e primaria, che siano persone egocentriche
allennesima potenza, ipotizzando come causa lo scarso interesse
verso il prossimo o la sfiducia ed evitamento di tutto ci che altro da loro; ci che la Frith ipotizza come fattore base di tale egocentrismo la mancanza di ci che lei definisce un s visibile,
di una prospettiva dallalto di tutti quei s racchiusi in ognuno di
noi, che porterebbe ad un perdersi nella frammentazione o al non
riconoscersi nellaltro, in quanto poco uniti al proprio interno.
Secondo la psicologia della Gestalt, (corrente psicologica nata
in Germania agli inizi del XX secolo, particolarmente interessata
alla percezione) e del concetto della gi citata coerenza centrale, nelluomo esiste la tendenza naturale ad avere una visione di
insieme anche nei contesti pi complessi e ricchi di sfaccettature
e stimoli; i soggetti autistici invece, essendo meno dipendenti, se
si voglia, dallinfluenza del contesto, focalizzano grazie ad una
modalit di percezione e di elaborazione dellinformazione di
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tipo bottom-up ovvero dal particolare al generale, ogni singolo


particolare componente dellunit totale.
Cos avverrebbe rispetto ad una visione interiore del proprio
s, nelle varie sfaccettature, in una sorta di egocentrismo che definirei minoico, dalle caratteristiche di un intricato labirinto,
dove il s difficilmente riesce a vedere qualcosa di diverso dalla propria immagine riflessa nei tanti specchi che rappresentano
le proprie passioni, i propri bisogni, le proprie abitudini; diretta
conseguenza sar una forte modalit introspettiva dellessere, silenziosa e riflessiva, catartica e rumorosa, ma in ogni caso non
istantaneamente responsiva con lesterno se non nellallontanare
qualsiasi cosa che abbia valore negativo per la persona o nellavvicinare ci che ricalca il suo forte interesse.
La comune elaborazione dellinformazione, di tipo topdown invece, ci che potremmo definire una modalit deduttiva, ovvero da una consapevolezza generale trarre conclusioni
sul particolare; in essa lattenzione al particolare successiva ad
una visione di insieme che colora ogni piccolo elemento si trovi
al suo interno, un chiaro e concreto esempio della differenza tra i
due processi di elaborazione la diversa procedura nel disegnare
per un bambino autistico rispetto alla norma.
Guardando disegnare un bambino autistico infatti, ognuno di
noi pu notare quanto, sia lordine nel quale compaiono le singole parti del disegno e levidenza che a loro viene data, evidenzino tipicit rispetto al fare comune di un bambino coetaneo; la
produzione grafica pu ridursi alla realizzazione di solo alcuni
particolari, senza tener conto minimamente dellinsieme globale
di cui fanno parte, come una sola finestra per rappresentare una
casa, come una sorta di sineddoche grafica. Lo stesso vale per
il modo di fotografare, o di far riprese video, un riflesso della
luce su una piegatura della stoffa, un angolo della porta dove appare ben evidente un nodo del legno, un piede della persona che
si trova davanti allobbiettivo, saranno i bersagli pi comuni per
un operatore autistico.
Se pensiamo ad una cos particolare processazione, dagli
organi di senso allelaborazione delle informazioni, possiamo
comprendere quanto altrettanto frazionata sar la visione di ci
che un soggetto autistico vive, sente, semplicemente e di ci
che sia laltro; apparir evidente la necessit per un soggetto autistico di utilizzare un pensiero di tipo associativo che lo faciliti nel
denominare certe situazioni e certi contesti associandoli a nomi
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