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Intervista a Sandro Chignola


Di Marco Ambra pubblicato il 14/06/2012 alle 11:07

La scuola oltre il limite, ovvero insegnare fuori dal neoliberismo.

Sandro Chignola, filosofo veronese, studioso


del pensiero di Michel Foucault e curatore di Governare la vita. Un seminario sui Corsi
di Michel Foucault al Collge de France (1977-1979) (ombre corte, Verona 2006, pp. 154,
13 euro) ci aiuta a dissipare il rumore mediatico che avvolge in questi giorni la
proposta di legge Profumo, attraverso unanalisi serrata del ruolo della scuola
pubblica nella societ italiana contemporanea e della funzione svolta dallideologia
del merito nei progetti nei progetti di riorganizzazione dellultimo ventennio.
Marco Ambra: Partiamo proprio dai processi di riorganizzazione della scuola in
corso dagli anni 90. Lei li ha descritti nei termini di una ristrutturazione secondo
lideologia delnew public management: la graduale privatizzazione della scuola
pubblica, limplementazione di una tecnologia didattica delle competenze, il
coinvolgimento di tutti gli share holders (genitori, studenti, funzionari pubblici,
dirigenti) nella valutazione dellattivit didattica, anche attraverso strumenti di
misurazione statistico-quantitativa (come le prove INVALSI). In che modo questi
punti-guida dellazione riorganizzatrice della scuola pubblica creano uno spazio nel
quale pu inserirsi quello che Foucault, nellaNascita della biopolitica, rileva come
uno dei dispositivi pi efficaci del neoliberismo: lidea di un individuo imprenditore
di s, ontologicamente primo rispetto alla societ nella quale agisce? In che senso
questa riorganizzazione sostenuta da unepisteme pedagogica espressione della
didattica delle competenze?
Sandro Chignola: Il fatto che io mi riferisca a Sicurezza, territorio e
popolazione e allaNascita della biopolitica per decostruire gli interventi di riforma
che si sono abbattuti sulla scuola pubblica a partire dagli anni 90 qualcosa che in
qualche modo Foucault stesso auspicava quando ribadisce, nelle interviste, di
pensare alla propria opera come ad una cassetta degli attrezzi. Lopera foucaultiana
non una disciplina o un pensiero chiuso nella propria coerenza, quanto piuttosto
una freccia scagliata al cuore del presente (Habermas), un repertorio di
argomenti, mosse, analisi che potevano e possono essere proseguite. C una serie
di conferenze di Foucault attorno alla met degli anni 70 in cui dice di avere
pensato a tutti i suoi libri come a gallerie di miniere che dovevano crollare, come
fuochi dartificio o addirittura molotov: qualcosa che si consuma nel momento in
cui lanalisi produce il proprio effetto. Ora, i due corsi che ho citato allinizio sono

straordinari per le cose che metti a tema nella domanda. Soprattutto per quello che
laNascita della biopolitica dice rispetto alla relazione tra governamentalit e
neoliberismo. Quando Foucault comincia ad applicare il lessico della
governamentalit ha di fronte un duplice problema. In primo luogo quello di
iniziare a pensare il soggetto come soggettivazione, come processo, mentre invece
per un lungo periodo lo aveva pensato come oggettivato dalle pratiche di
assoggettamento. Questo straordinariamente rilevante per capire come mai e
questo mi sembra il secondo aspetto problematico le tecnologie di governo
neoliberali cerchino di disciplinare un soggetto in movimento che deve in qualche
modo aggiogarsi volontariamente, riproducendo una sorta di servit volontaria. In
altre parole, la governamentalit neoliberale si rivolge ad un soggetto che viene
disciplinato nella propria autonomia, dentro i suoi processi di formazione,
impattando la sua stessa voglia di essere governato. esattamente attraverso la
realizzazione di questo grande scambio che lautonomia del soggetto viene limitata,
viene resa funzionale allapplicazione della strategia governamentale. Dentro questo
passaggio, che io reputo decisivo, si sviluppa la riflessione dellultimo Foucault:
quella tesa allanalisi di processi di soggettivazione e forme di vita che, in qualche
modo, pur nella relazione con il governo tendono a mantenere e riprodurre spazi di

libert vera.
Nella Nascita della
biopolitica Foucault, laddove parla della economizzazione del potere, rileva come
lideologia neoliberista tenda a valorizzare queste figure di imprenditorialit
autonoma, in particolare dentro i processi formativi (ma si pu anche fare lesempio
dei soggetti delle migrazioni) e che sono particolarmente centrate dal punto di vista
dellanalitica. Infatti, se inizialmente i processi disciplinari tendono a formare il
soggetto nella misura in cui lo bloccano e lo fissano (tutta lanalitica
dellindividuazione inSorvegliare e punire e nelle cose scritte nei primi anni 70),
da un certo momento in poi Foucault si rende conto che la territorializzazione
dellindividuo, la spillatura che la disciplina produce nel momento in cui un
soggetto viene creato dentro una biografia, deve essere ecceduta da procedure che
invece non lo fissino in una casella; e questa la grande intuizione delle procedure
neoliberali. A lezione faccio sempre lesempio di come io, quando facevo le
elementari, in una scuola ancora molto disciplinare, avevo un posto fisso allinterno
della classe: il primo banco, perch ero il primo della classe e il figlio del medico del
paese, quello che meritava una formazione pi specifica. Ora, tutte le strategie
disciplinari che entrano in crisi con il neoliberismo hanno questa presunzione:
gerarchizzare vuol dire fissare, riprodurre una societ rigida che in qualche modo
corrisponde non lo dice Foucault, lo dico io che sono un vecchio operaista agli
schemi della grande fabbrica sociale fordista. Questo ti assicurava, qualora tu fossi
stato al primo banco la formazione migliore, se invece fossi stato figlio di un operaio
o di un contadino e ti fosse capitato lultimo banco, ti sarebbe spettata una
formazione consona al tuo destino sociale bloccato. In altre parole, lordine
gerarchico della scuola disciplinare riproduceva nel tuo destino sociale le condizioni
di partenza della tua famiglia. Quando Foucault inizia a fare lanalisi del
neoliberismo ha il problema di interpretare come questo tipo di ordine

corrispondente alla societ fordista, vada in frantumi. Quello che linterpretazione


foucaultiana di questo processo di frantumazione rileva linnesto sul soggetto, nei
processi formativi e sempre in termini disciplinari (sia chiaro che per Foucault non
esiste unet della disciplina sostituita da unet della governamentalit, perch
tutti i processi procedono attraverso strategie parallele che di volta in volta
utilizzano ci che pi funzionale al potere) della spinta non pi alla riproduzione
di una ordine sociale gerarchico ma allautoimprenditorialit. La governamentalit
neoliberale risponde alla frantumazione della societ fordista dicendo: siete liberi,
incentivo la vostra autonomia, nella forma per della competizione degli uni con gli
altri. In particolare per quanto riguarda la scuola, questa risposta si realizza
nellintroduzione di alcuni strumenti disciplinari come il sistema dellacquisizione
dei crediti formativi, liberi e non. Una logica questa assolutamente evidente nelle
ultime riforme. Lasciando perdere Foucault, perch come dicevo allinizio c quello
che riguarda Foucault e quello che ci spinge fuori di Foucault, in tutti gli interventi
di riforma della scuola dalla Moratti in poi vediamo che lossessione del
portfolio delle competenze come raccolta individuale di percossi curricolari fatti
attraverso lacquisizione dei crediti (liberi e non), diventi uno strumento
disciplinare utilizzato per riprodurre questa idea del soggetto come imprenditore di
s. Quello che mi pare pi interessante, e che Foucault ha colto lucidamente, una
sorta di continuit tra la governamentalit neoliberale e un progetto di costruzione
della societ. Infatti, si sempre pensato che il liberalismo e il neoliberismo siano
legati ad una razionalit di tipo astensivo (lo stato minimo, la libert di scelta),
invece entrambi sostengono un progetto di costruzione della societ che parte
appunto non tanto dalla societ nel suo complesso, ma come dice Foucault in un
saggio fondamentale come Omnes et singulatim, da un razionalit generale che si
incista e produce attraverso il singolo individuo. Un mattone fondamentale di
questo processo di costruzione della societ la riforma della scuola e della
universit: attraverso il ricatto del debito che mette in competizione tra loro gli
individui, attraverso lo smantellamento della scuola pubblica e della sua missione
sociale, e pi in generale attraverso la messa in movimento dei singoli individui con
strumenti disciplinari come il portfolio delle competenze, consultabile dalle prime
esperienze scolastiche fino allingresso nel mondo del lavoro (immaginato in questi
interventi di riorganizzazione come qualcosa di sottratto alle trasformazioni che lo
hanno interessato in questi ultimi anni). La scuola diventa allora una delle agenzie
formative tra le altre, e in parallelo queste agenzie formative sono pensate in
competizione tra di loro. I crediti con cui riempire il portfolio dello studente
possono cos venire dalla scuola, dal volontariato, dalle scuole private che rilasciano
certificati sulle competenze informatiche o linguistiche, dallassociazionismo di ogni
genere e specie. Il tutto dentro un percorso formativo in cui i soggetti che vi entrano
vengono disciplinati attraverso unidea della concorrenza, dellutilit,
dellautoimprenditorialit da incentivarsi, visto che nel mondo del lavoro si
troveranno a competere con altri in un contesto di risorse sempre pi scarse.
Marco Ambra: In questa prospettiva quale funzione assolve la crescente rilevanza
data alla gerarchizzazione dei saperi insegnati a scuola, nel senso di una
contrapposizione sempre pi marcata tra saperi utili propedeutici alla formazione
professionale dello studente e la cultura umanistica, come orpello retorico privo
di scopo produttivo?
Sandro Chignola: Io credo che la gerarchizzazione dei saperi sia funzionale ma
allo stesso tempo disfunzionale. Come dire: per gli effetti che rischia di produrre, la
gerarchizzazione dei saperi laspetto pi arretrato dellimmaginazione di
uningegneria sociale (quella fordista) che gi arretrata di per s. Cio soltanto

allinterno del sistema di produzione fordista che si pu immaginare di formare gli


individui per un mercato del lavoro che li assorbir secondo una corrispondenza
immediata tra il posto di lavoro e la formazione ricevuta. No, non mai stato cos,
nemmeno in una societ pi gerarchica di questa. Ad esempio, la riforma Gentile
permetteva soltanto a chi avesse proseguito gli studi al Liceo classico e fosse stato
meritevole di entrare alluniversit, ma al tempo stesso faceva scorrere quelle assi
di recupero orizzontale che avrebbero permesso, attraverso la barriera del latino,
a chi avesse studiato in un Istituto magistrale di fare un anno in pi, e al posto di
diventare meccanicamente un maestro elementare di accedere alla carriera
universitaria. Se da un lato quella idea di scuola corrispondeva ad una societ
piuttosto rigida e quindi si poteva immaginare una specie di corrispondenza lineare
tra il mondo del lavoro e la formazione scolastica, dallaltro si trattava di un
modello paradossalmente pi aperto di quello di adesso: i miei nonni avevano la
seconda elementare, mio padre faceva il medico e io sono un professore
universitario. Cera, insomma, lidea di una mobilit sociale ascendente allinterno
di una gerarchia precisa che si basava su qualcosa di diverso dalla posizione sociale
di partenza. Insomma cera unidea gerarchica e limitata, ma di effettiva
progressione meritocratica. La gerarchizzazione dei saperi rispetto a questo
discorso meritocratico (che non condivido e non mi piace) invece qualcosa di
funzionale e allo stesso tempo disfunzionale: nellingegneria sociale che ci viene
predisposta lidea quella di una gerarchizzazione dei saperi senza effettivamente
che sia intelligibile quali siano questi saperi utili per il mondo del lavoro. Dal punto
di vista della logica dei crediti esiste infatti una sorta di equivalenza universale: un
corso in barca vela, un brevetto da subacqueo o il volontariato su unambulanza
contano pi o meno quanto un corso di greco o di latino. In questo modo
lindividuo si muove per cercare crediti al fine di costruirsi un curriculum fitto, ma
in una prospettiva abbastanza confusa di quello che sar il mondo del lavoro. Penso
banalmente al modo nel quale nella doxacorrente, nel senso comune dei bar, fare
lingegnere molto pi utile e spendibile sul mercato del lavoro che operare nella
conservazione dei beni culturali. Il punto che chi prova ad analizzare i sistemi di
accumulazione contemporanea trova limportanza che assumono i saperi
umanistici, lanalisi dei simboli, la capacit continua di innovare le proprie
competenze su una base di organizzazione linguistica dei saperi che di certo non
quella che compete, almeno direttamente, agli ingegneri.

E questo secondo me tende a rendere


disfunzionale il progetto di gerarchizzazione dei saperi, tanto pi disfunzionale
quanto pi il capitalismo si fa capitalismo a desinenza linguistica. In altre parole il
lavoro di un operaio alla catena di montaggio negli anni 50 consisteva in una
mansione che nello schema di Taylor poteva svolgere anche una scimmia, mansioni
semplici e ripetitive. Ma chi lavora in una fabbrica oggi deve saper far funzionare i
computer, deve aggiornare continuamente i sistemi operativi. Mi difficile

immaginare come invece accaduto nella retorica gelminiana che si debba


incentivare la formazione professionale, come se la formazione professionale fosse
immediata preparazione al lavoro, per il fatto banale che un ragazzo formato in un
istituto professionale secondo certe competenze si trover a lavorare due mesi dopo
il diploma in un mondo che rende le sue competenze materialmente obsolete. Cos
il mercato del lavoro rispetto al quale si vogliono gerarchizzare i saperi? A me
sembra che il ragionamento alla base di queste riforme sia ancora molto rigido e
preveda un meccanismo da anni 50. Oggi cambiato tutto. Un ruolo centrale nei
sistemi produttivi contemporanei assunto da chi si formato attraverso quei
saperi che la logica di riorganizzazione della scuola in Italia ritiene orpellistici,
superflui e improduttivi. Detto schematicamente: quelli capaci di fare innovazione,
per capacit creative e capacit di analisi dei simboli non sono certo i tecnici
forgiati dallo studio dei saperi utili, ma gli umanisti. Come spesso mi capita di
dire, chi conosce i sistemi di formazione anglo-americani sa che oggi questi
riconoscono il fallimento di processi formativi fondati sulla contrapposizione tra
saperi utili e cultura umanistica. Basti pensare al dibattito in corso sul modello di
scuola pubblica da adottare negli Stati Uniti, che ha messo radicalmente in
discussione questo approccio pedagogico esclusivamente fondato sulla trasmissione
di competenze professionali specifiche.
Marco Ambra: Veniamo allora allinsegnamento delle scienze umane nella scuola
secondaria di secondo grado, nello specifico storia e filosofia. Nella pratica
didattica, e in un libro scritto con Giuseppe Duso (Storia dei concetti e filosofia
politica, Franco Angeli, Milano 2008, pp.336, 28 euro) lei si fa portatore di un
metodo ispirato alla nozione diStoria dei concetti (Begriffsgeschichte) di Reinhart
Koselleck e alle genalogie foucaultiane, alla messa in evidenza delle differenze che
sorgono allinterno di uno stesso ambito concettuale, della stessa categoria, tra luso
moderno e quello contemporaneo. Lobiettivo, lei dice, quello di stimolare lo
spirito critico degli studenti, per farli riflettere sullesaurirsi del contenuto
assiologico di alcuni concetti della nostra modernit (democrazia, rappresentanza,
politica, ecc) e sullassenza di fondamenti in cui il presente ci costringe ad agire.
In sintesi, risvegliare lo spirito critico degli studenti significa renderli consapevoli
della possibilit che trovare il proprio posto nel mondo sia agire il paradosso di
una soggettivazione che muove dal fatto di non averne uno. Rispetto allarretratezza
culturale e politica della visione del lavoro alla base degli interventi di riforma della
scuola, quale funzione pu svolgere linsegnamento delle scienze umane?
Sandro Chignola: Non che ci sia una spinta critica che immane ai saperi,
dipende sempre da come vengono insegnati. Io non ho alcuna passione per la
didattica, per i metodi ecc Penso infatti che ci sia unideologia del liceo classico
italiano, dove ho anche insegnato. Una parte di questa ideologia che ci sarebbe
una risorsa critica immanente dellumanesimo: si tratta di unidea obsoleta, poteva
forse funzionare quarantanni fa. Certo, a me interessa sviluppare il pensiero critico
degli studenti, ma questo problema non pu essere risolto dicendo che la storia in
s, la filosofia in s, la letteratura in s, sviluppano questa capacit critica. Perch se
vengono insegnate secondo un codice autoritario secondo un codice che dice
questa la storia della filosofia, questa la storia e in maniera molto ripetitiva,
chiaro che questo obiettivo non viene raggiunto. Non che se un ragazzo impara il
mito platonico della caverna secondo uno schema preciso di argomentazioni che gli
viene calato dallalto, sviluppi automaticamente una qualche forma di
consapevolezza critica. La mia proposta rispetto allinsegnamento delle scienze
umane, invece, legata a due presupposti fondamentali. Il primo leggere: io credo
che si sviluppi il senso critico degli studenti se assecondi la loro voglia di leggere. Al

contrario di una parte di quella ideologia del new public management che ritiene
gli studenti una sorta di fessacchiotti passivi, scatole vuote da riempire di
competenze, e che dunque insiste sulla connotazione disciplinare della formazione,
io nella mia esperienza di insegnante al liceo e alla triennale di filosofia ho
riscontrato che gli studenti, se stimolati dallinsegnante, leggono. Il confronto
diretto con i testi a mio parere un aspetto fondamentale per linsegnamento delle
scienze umane anche perch tra le tante cose che sono cambiate negli ultimi
quindici anni c linterruzione della trasmissione del sapere in famiglia: nelle mie
microinchieste, tra i miei studenti, ho scoperto che molti di loro avevano in casa
cinque televisori e pochissimi libri. Il secondo presupposto fondamentale legato al
fatto che bisogna anche fornire gli studenti delle modalit per leggere i testi. In
questo senso ho ripreso la storia dei concetti, perch ha una doppia possibilit di
sviluppare strumenti di lettura critica. Il primo si gioca sugli assi temporali, e in
qualche modo permette di fare quella operazione immaginata da Foucault e Paul
Veyne, ovvero la distruzione degli universali storici. Non dobbiamo pensare che
quando facciamo storia o filosofia esistano metacategorie universali, che forniscano
quadri orientativi complessivi. Questa unidea che corrisponde in parte
alla doxa contemporanea, e che va decostruita attraverso un sapiente uso della
storia. Foucault diceva che ci libereremo dallo storicismo solo attraverso la storia.
Questa unaffermazione clamorosa: tutti i programmi per linsegnamento delle
scienze umane in Italia sono a stretta desinenza storicista! Gli studenti, al contrario,
non devono leggere esclusivamente i manuali strutturati secondo questa
prospettiva, devono essere portati a leggere direttamente i testi. Bisogna insomma
usare la storia per comprendere che queste grandi categorie universali,
metanarrative, di fatto rappresentano una sorta di egemonica retroproiezione dei
nostri valori, della nostra contemporaneit, sullasse temporale. Vuol dire per
esempio far notare agli studenti che quando Platone pensa secondo modalit e
schemi dellAtene del V sec. a.C. sta impiegando modalit e schemi che non sono
quelli di Hegel. Vuol dire in sintesi offrire genealogie, altrimenti il mondo
contemporaneo diventa una piovra che fagocita tutto il passato come la propria
precondizione. Dico una banalit: se io insegnassi storia e filosofia a scuola, oggi,
non avrei difficolt a immaginare un modulo dentro il quale al di l della storia dei
concetti politici della modernit, faccio anche la storia del concetto di mercato.
Perch in tutte le riforme che ci vengono proposte questo concetto presentato con
un senso metanarrativo, come lambiente naturale allinterno del quale si
susseguono gli eventi e veniamo socializzati. in questo senso che dobbiamo
sviluppare senso critico: bisogna far emergere che se siamo dentro un orizzonte di
questo tipo perch si sono incatenate alcune forme di immaginazione teorica e
alcuni effetti reali. E questo significa determinare ci che abbiamo davanti per
immaginare degli effetti di superamento. La sapienza di Goethe diceva che denn
alles, was entsteht, // Ist wert, da es zugrunde geht (quindi tutto ci che nasce, //
destinato anche a sparire). La seconda possibilit insita nella storia dei concetti
lo sviluppo del senso critico oltre che sullasse temporale anche sullasse spaziale.
Per riprendere il titolo di un saggio di Dipesh Chakrabarty bisogna provincializzare
lEuropa. Noi siamo abituati a quella idea della filosofia della storia secondo la
quale il sapere coincide con il sapere occidentale per come si evoluto dalla
filologia tedesca del XVIII secolo alla caduta del muro di Berlino. Invece ragionare
sul fatto che come dice Sandro Mezzadra buona parte della storia dEuropa si
svolta fuori dallEuropa, vuol dire sviluppare senso critico: nel senso di affrontare i
problemi dellintercultura, della societ interraziale e multiculturale senza partire
dal presupposto che gli altri debbano adeguarsi a noi, o che noi facciamo un
sacrificio intellettuale se proviamo a comprendere gli altri. Senso critico in senso
spaziale significa anche de-limitare in termini non soltanto storici ma anche assiali,

il nostro tipo di cultura, valori, storia in relazione ad altre culture, valori, storie che
si sono sviluppate secondo razionalit diverse e specifiche. Decostruendo la propria
supposta posizione, scoprendo che la propria posizione tale tra posizioni, non la
posizione delluniversale, e magari sviluppando un senso critico anche rispetto al
proprio provincialismo irriflesso, a quello reale, e al fatto che come diceva Marx il
mondo vasto e terribile.
Marco Ambra: Questa de-limitazione sugli assi spaziali e temporali dei concetti
politici della modernit, che lei propone come strategia didattica nellinsegnamento
della storia e della filosofia, pu essere anche applicato alla stessa categoria di
scuola pubblica. Le chiedo se a nutrire il frame della crisi dellistruzione non sia la
manifestazione di un limite della categoria di scuola pubblica, come luogo del
disciplinamento, di continua attuazione del progetto di nazionalizzazione delle
masse promosso dalla forma politica dello Stato-nazione. In questo scenario di
oltrepassamento, cosa pu diventare la scuola?
Sandro Chignola: Io credo che la scuola sia cruciale. In parte perch lunico
posto nella nostra societ in cui si possono sradicare delle abitudini: dalla seconda
natura della televisione, dallassenza di trasmissione dei saperi nelle altre forme di
socialit. Quale altro laboratorio sociale pu esistere in Italia nel XXI secolo che
produce forme di vita, forme di cooperazione tra gli individui che li tolgano dai
limiti della socializzazione familiare (che attualmente riproduce pi limiti che
potenzialit), e nello stesso tempo prova a riprodurre quelle forme di lavoro che
sono centrali per la formazione e dunque strategici rispetto a questa nuova societ
dentro la quale i saperi acquisiscono sempre pi rilevanza? Io credo che i processi
formativi nella scuola pubblica siano molto pi decisivi adesso che negli anni 60 o

70.
In termini i foucaultiani le scuole possono
diventare dei laboratori di dis-asoggettamento. Se gli insegnanti si riappropriano
del proprio mestiere, se gli studenti vengono stimolati ad attraversare la scuola non
come strumento di nazionalizzazione delle masse o formazione al lavoro, ma come
una parte centrale di sperimentazione di s, allora io credo che in qualche modo sia
possibile immaginare una scuola diversa dal ruolo che ha avuto tradizionalmente.
Un luogo nel quale vengono decostruite le forme doxastiche, un luogo dove si
sperimentano forme avanzate di socializzazione culturale, un luogo nel quale si
fanno delle cose insieme e in cui si possono spezzare le gabbie dellindividuazione
dellautoimprenditorialit, che altrimenti renderanno impossibile anche il lavoro a
scuola. Rimotivando gli insegnanti e motivando gli studenti, e assumendo la scuola
come un laboratorio sociale, culturale e politico, pi che come un luogo di
trasmissione di doxai, credo che si possano fare cose straordinarie. E non lo dico in
termini utopistici o ideologici, conosco scuole dove queste cose si fanno e
funzionano molto bene: faccio lesempio del Liceo Ariosto di Ferrara dove si fanno

dei laboratori su Foucault in orari extracurricolari, o del liceo classico di Brescia


dove hanno addirittura fondato unassociazione di studenti, professori ed ex
studenti ed ex professori per attivit che eccedono dagli orari della didattica. Se c
una controfinalit di questi processi di riforma allora quella di spegnere queste
energie ancora vive piuttosto che incentivarle. E si tratta di un fallimento che
riguarda in primo luogo il neoliberismo.
Marco Ambra: Quindi potremmo dire che il futuro della scuola sta nelliscriverla
allinterno dellorizzonte costituente tracciato dalla stagione politica delle lotte per i
beni comuni?
Sandro Chignola: Esattamente, anche se sono un po critico di fronte alla retorica
dei beni comuni, penso che in questo campo si possa parlare cos della scuola
pubblica. E questo vale anche per luniversit. Io penso che in quella stagione di
lotte lunica cosa sensata che si potesse fare per luniversit fosse luscita da una
logica di scontro tra studenti e baroni, e la convocazione di Stati Generali che
coinvolgessero professori, ricercatori e studenti, allinterno dei quali si sarebbe
potuta aprire una grande interrogazione su che cosa interessa loro, su cosa fare e su
come farlo. Altrimenti se la scuola (e luniversit) non vissuta come un bene
comune, non pu che esser vissuta come una semplice rotella di un ingranaggio
disciplinare che esattamente il modo in cui viene ripensata e ricostituita
dallingegneria neoliberale.

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