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H MARTIN
Limminente mostra "Magiciens de la Terre," stata concepita nel 1985 da Jean Hubert
Martin, da poco scelto come direttore della Biennale parigina. Originariamente pensata
come alternativa al tradizionale formato di biennale (nella quale i contributi artistici
venivano scelti da rappresentanze culturali e comitati di ogni singola Nazione
partecipante), questa manifestazione ora cresciuta fino a diventare una eccellenza tra le
mostre darte contemporanea. I suoi curatori intendono esplorare il lavoro degli artisti nei
Paesi asiatici ,africani e latino americani,affiancando una selezione di lavori provenienti
dai suddetti contesti culturali alle opere contemporanee proventienti dal Nordamerica e
dallEuropa occidentale.
La mostra, la cui inaugurazione stata fissata per il 18 Maggio, stata curata da Martin ,
il quale nel 1988 diventato direttore del Musee National dArt Modern presso il Centre
Pompidou di Parigi, in collaborazione con Mark Francis , ex curatore del Fruitmarket
Gallery di Edimburgo. La mostra includer le opere di circa cinquanta artisti dei cosiddetti
centridella cultura contemporanea e altrettanti artisti provenienti dalle periferie della
cultura contemporanea.
Tali opere, molte delle quali prodotte esclusivamente per la mostra, saranno esibite non
solo presso la Grande Halle nel Parc de la Villette (uno spazio recentemente
rimodellato e precedentemente utilizzato come location della biennale parigina), ma
occuperanno anche lintero piano A del centro Pompidou.
Ci che segue la mia traduzione di estratti di due conversazioni piuttosto lunghe
tra me e Martin, la prima avvenuta il 14 luglio 1986 e la seconda due anni dopo
nellottobre del 1988, entrambe svoltesi a Parigi, in francese. Mentre queste
conversazioni nascevano nellinteresse che condivido con Martin per ci che
sembra essere un tentativo, giunto con largo ritardo, di partire dalle prospettive
culturali egemoni e monocentriche delle istituzioni delleuropa occidentale e
nordamericane e i loro progetti espositivi, inevitabile era la mia volont di sfidare
alcuni presupposti sottintesi in questa mostra. In particolare, rilevo una questione
che riguarda lapproccio della mostra nei confronti della autenticit culturale, r il
suo trattamento della relazione tra centro e periferia, e tutti i possibili inganni
che comporta il concentrarsi esclusivamente intorno all oggetto culturale. In
breve, il potenziale sottotesto neocolonialista della mostra.
-Benjamin H.D. Buchloh
BB: Quali sono gli elementi autocritici e correttivi nel tuo metodo e nel tuo procedimento?
Stai effettivamente lavorando con antropologi ed etnografi in questo progetto? Lavori con
specialisti provenienti dalle culture a cui ti approcci dallesterno?
JHM: S, ho collaborato con numerosi antropologi ed etnografi per questo progetto. Tale
collaborazione si rivelata molto fertile, dal momento che ci ha aiutato ad individuare il
ruolo dellartista singolo nelle varie societ, e a capire le attivit specializzate di quegli
artisti e le funzioni dei loro linguaggi formali e visivi. A tal proposito, la nostra mostra ha
luogo in un momento in cui molti antropologi hanno iniziato a chiedersi perch
lantropologia ha ,per tradizione, privilegiato il mito ed il linguaggio rispetto gli oggetti visivi.
Le idee critiche di autocorrezzione a cui penso in primo luogo sono le teorie etnografiche
di etnocentrismo che si sono sviluppate negli ultimi 20 anni e pi. Io in prima persona ho
anche beneficiato del consiglio di etnografi e specialisti di culture locali e regionali, e ho
ottenuto precise informazioni da essi per preparare ricerche e viaggi. In alcuni
casi,abbiamo effettivamente condotto i nostri viaggi esplorativi in compagnia di etnografi.
Ad esempio, siamo andati in Papua Nuova Guinea di compagnia di Franois Lupu. Ma
non dimentichiamo che dopotutto devo sempre intendere questo progetto come una
mostra. Se, ad esempio, un etnografo ci suggerisce un particolare esempio di culto in una
societ del Pacifico, ma gli oggetti di questa cultura non si rivelano essere abbastanza
comunicativi sul piano visivo-sensuale per lo spettatore occidentale, eviterei di esibirli.
Certi oggetti di culto potrebbero avere un enorme potere spirituale, ma estrapolate dal loro
contesto e trasferite in una mostra darte perderebbero le loro qualit e, al pi,
genererebbero fraintendimenti, anche nel caso in cui vi si allegassero lunghi ed esplicativi
cartelli didattici. Nello stesso modo, ho dovuto escludere un certa quantit di oggetti
dartigianato, dal momento che molte delle societ che abbiamo osservato non
riconoscono una reale differenza tra artista ed artigiano.
BB: Noto che un altro problema cruciale del tuo progetto che, da una parte, non vuoi
creare una exp colonialista sulla scia de LExposition Coloniale della Parigi del 1931, in
cui manufatti religiosi e pratiche magiche venivano estratte dalle loro funzioni e dai loro
contesti. Questi oggetti venivano esposti per locchio egemone del controllo, per il dominio
imperialista e lo sfrttamento. Ma daltronde non vuoi neanche semplicemente estetizzare
questi oggetti proventi da eteronome culture,e per lennesima volta sottoporle al concetto
occidentale modernista di primitivismo.
JHM: La nostra mostra non ha nulla a che vedere con quella del 1931,che chiaramente
nata dalla prospettiva del colonialismo politico ed economico. Tuttavia, quella esposizione
del 1931 servita agli autori del catalogo come punto di riferimento negativo e sar
criticamente messa in discussione. Per quanto concerne il problema degli oggetti culturali
nel loro contesto, vorrei offrire due argomentazioni. Anzitutto, quando si tratta di letterature
,musica e teatro stranieri nessuno volge mai questo tipo di interrogativi e noi ne
accettiamo la traduzione, sebbene siamo consapevoli che spesso si tratta di una
falsificazione, in quanto forma necessaria di mediazione. Ora, tu potresti controbattere
dicendo che queste sono forme temporali e aurali di esperienza artistica, che differiscono
dagli oggetti spaziali e visivi con cui ci confrontiamo, e che chiaramente esercitano diverse
modalit di ricezione. Un visitatore occidentale vede in modo del tutto diverso da un
visitatore asiatico, sebbene il momento dellesperienza ottica esattamente identico.
Tuttavia, prendere le distanze dal fatto che appunto impossibile presentare oggetti
visivi/spaziali fuori dal loro contesto culturale mi sembra assolutamente orrendospecialmente dal momento che questo tipo di comunicazione si manifestata ad esempio
per secoli nel campo della letteratura. Questa la mia prima argomentazione
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BB: Se posso interromperti qu, mi sembra evidente che il tuo problema caratteristico di
tutta la storia dellarte modernista, che ha per tradizione contemplato solo quegli oggetti
della cultura alta, sebbene larte modernista davanguardia era comunque costituita sulla
relazione dialettica con la cultura di massa sin dalla sua prima origine. Sia gli oggetti che
lutenza della cultura di massa, se considerati nellinsieme, erano suddivise in
scompartimenti di diverse discipline (sociologia), o pi recentemente, nellarea degli studi
della cultura di massa. Nello stesso modo in cui la storia dellarte tradizionale ha sempre
escluso la pluralit delle culture dalla cultura borghese, il tuo tentativo di selezionare solo
laltissima qualit artistica dalle pratiche culturali degli altri corre il rischio di
assoggettarli a un simile processo di selezione e gerarchizzazione.
JHM:Questo un ulteriore punto, sul quale torner, ma lasciami prima condurre la mia
seconda argomentazione. Un criticismo che stato immediatamente espresso nel
progetto di questa mostra concerne il problema supposto della decontestualizzazione ed il
tradimento delle altre culture. Certo, gli oggetti di questa mostra verranno delocalizzati dal
loro contesto funzionale, e saranno mostrati in un museo ed in un altro spazio esibizionale
a Parigi. Ma noi li mostreremo in un modo inedito, a cui oggetti provenienti dal Terzo
Mondo non sono mai stati abituati. E questo consiste, in gran parte, nella presenza degli
stessi artisti durante mostra, e col fatto che eviter per quanto mi possibile di mostrare
oggetti finiti, amovibili. Favorir installazioni (come diciamo nel nostro gergo) create da
artisti proprio per questa particolare occasione, ad esempio un mandala tibetano, un una
maschera ljele nigeriana od un dipinto di sabbia Navajo. Opere darte , queste, che sono
sempre il risultato di un rituale o di una cerimonia. Cosa, questa , tanto valida quanto pu
esserla per un celebre dipinto del diciannovesimo secolo dove, per cos dire, ci
confrontiamo appunto con un mero residuo. Si parla sempre di problema di contesto
quando si tratta di altre culture, ma il problema non ci sarebbe apparso se, visitando un
museo, ci trovassimo di fronte ad una miniatura medievale o ad un dipinto di Rembrandt.
Solo pochi specialisti conoscono davvero qualcosa riguardo ai contesti di questi oggetti,
anche se noi diremmo che, dopotutto, essi sono parte della nostra tradizione culturale. So
bene che pericoloso estrarre oggetti culturali da altre forme di civilizzazione, ma noi
possiamo anche imparare da queste forme di civilizzazione, le quali, proprio come le
nostre, sono impegnate in una ricerca della spiritualit.
BB: questa concezione di una esperienza astratta e trans-storica di spiritualit sembra
essere il fulcro del tuo progetto. Rispetto a ci, mi ricorda "'Primitivism' in 20th-Century
Art, che ebbe luogo al MoMa nel 1984. Anche l una presunta spiritualit era posta al
centro della mostra , e considerata come parte certamente attiva nel tessuto sociale e
politico e dello sviluppo tecnologico di particolari formazioni sociali.
Non trovi che la ricerca di una riscoperta della spiritualit trae origine da un rifiuto delle
politche della vita quotidiana?
JHM: Niente affatto. Come ricorderai, la critica principale mossa a "Primitivism" allepoca ,
era che fosse un progetto puramente formale. A me sembra invece importante enfatizzare
gli aspetti funzionali rispetto a quelli formali della spiritualit, dopotutto, le pratiche magiche
sono pratiche funzionali. Quegli oggetti che hanno una funzione spirituale per la mentalit
umana, oggetti presenti in tutte le societ, sono proprio gli stessi che interessano alla
nostra mostra. Dopotutto, lopera darte non pu seplicemente essere ridotta ad
esperienza ottica. Possiede unaura iniziatica rispetto a queste esperienze mentali.
Proseguirei addirittura nellargomentare che proprio quegli oggetti che erano stati creati 20
anni fa con lesplicito intento di ridurre la natura aurale, ponendo enfasi sulloggettivit
materiale, risultano essere quelli pi spirituali. Difatti, se si parla con gli artisti di quella
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generazione, si sentir spesso del loro impegno con la concezione di magia dellopera
darte. Dobbiamo ammettere che c una sfera empirica sociale che subentrata negli
spazi religiosi e, se ci non adempie alle funzioni comunitarie della religione, non
coinvolge
larghi segmenti della nostra societ.
BB: Sembra che , nonostante tu stia discutendo il fallimento delle pratiche artistiche degli
anni 60 nellemancipare larte dalla sfera rituale (ci che Walter Benjamin chiam
dipendenza artistica parassitale) potrebbe ora essere compensato al meglio con la
ritualizzazione delle stesse pratiche. Menzionando un esempio: quando Lothar
Baumgarten part in viaggio negli anni 70 per visitare le societ tribali amazzoniche che
adesso minacciamo con la distruzione, oper da etnografo dilettante. Tuttavia, egli ha
anche operato dallambito di una tradizione artistica modernista, ricercando, e scoprendo
valori di culture esotiche con lintento di ricostruire il valore di culto del lavoro artistico, la
sua condivisione nellesperienza ritualistica. Paradossalmente, agendo cos, artisti di
quella tradizione di modernismo hanno contribuito allo sviluppo di una visione altamente
problematica delldiverso, concepita in termini di primitivismo.
Mi domando se la tua mostra non sia basata su questo stesso modello. E questo il motivo
per cui hai mandato Lawrence Weiner in Papua nuova Guinea durante la preparazione al
suo contributo alla tua mostra?
JHM: Ci sono enormi pregiudizi su quello che hai detto del nostro progetto.Unidea
fondamentale della nostra mostra mettere in discussione la relazione tra la nostra cultura
e le altre (cultura qui non una astratta generalit, descrive una serie di relazioni che gli
individui intrattengono tra di loro e con cui noi interagiamo). Mi chiedevo se fosse possibile
accelerare queste relazioni ed il dialogo derivante da essi.
Per questo motivo ho suggerito che Lawrence Weiner dovesse andare in Papua Nuova
Guinea. Lasciami prima porre laccento sul fatto che tutta questa mostra intende iniziare
dei dialoghi. Combatto lidea che si possa guardare ad una cultura con il solo intento di
sfruttarla. La nostra prima preoccupazione quella di scambio e di dialogo, la
comprensione del diverso per comprendere come noi stessi agiamo..
BB: Inevitabilmente il tuo progetto opera come una sorta di archeologia del diverso e della
sua autenticit: sei impegnato in una ricerca di pratiche culturali originali (magia e rituale),
mentre invece quello che per lo pi troverai, presumo, corrisponde a pratiche culturali
estremamente ibride nei loro vari stadi di graduale o rapida disgregazione ed estinzioneuna condizione che deriva dal loro contatto con i media dellindustria occidentale e la
cultura del consumo. Hai intenzione di attuare una sorta di distillazione degli oggetti
originali in nome della purezza artificiale, oppure esibirai il grado effettivo di
contaminazione e decadimento nel quale queste forme di produzione culturali
effettivamente si trovano?
JHM: Credo questo sia un enorme fraintendimento del mio modo di guardare a questi
fenomeni. A dire il vero, sono molto interessato nelle pratiche arcaiche(vorrei evitare il
termine problematico di primitivo). Sono davvero contro il presupposto che era in un
certo qual modo sottinteso nella mostra di Rubin- secondo il quale noi abbiamo di fatto
distrutto le altre culture con la tecnologia occidentale.
Un testo scritto da artisti aborigeni australiani che partecipano a questa mostra mi ha
chiarito la questione. Loro definiscono il problema della decontestualizzazione molto bene.
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Continuano per a spiegare il fatto che stiano commentendo il loro tradimento per un
particolare scopo: dimostrare al mondo dei bianchi che la loro societ ancora viva ed
attiva. Mostrare le loro pratiche culturali allOccidente ci che loro credono sia il modo
migliore per salvaguardare le loro tradizioni e la loro cultura in questo momento.
BB: Sembra quasi tu ti sia prefissato di procedere in una sorta di progetto
riformista:cercare residui di culture magiche in societ aliene alla nostra e che il tuo scopo
sia rivitalizzare il potenziale magico della nostra stessa societ.
JHM: Ovviamente noi viviamo in una societ in cui parleremo degli altri sempre dalla
nostra posizione , e giudichiamo le loro posizioni dalla nostra. E il noi che si immagina il
loro come sempre ancora coinvolti nella magia.
Questo un a-priori di cui ci fidiamo ancora ciecamente come bambini , sebbene la
situazione sia in realt
Infinitamente pi complessa. E non abbiamo idea di come funzioni davvero. Allo stesso
modo, non sappiamo come il pensiero magico funzioni nella nostra stessa societ, ed
ovviamente anche qu ce n in abbondanza.
BB: La tua mostra si rivolger anche alle nostre, di pratiche magiche? Sembra che tu stia
cercando un potere irrazionale che guida la produzione artistica delle societ tribali, e
sembra che il tuo argomento sia il bisogno nella nostra societ di riscoprire quel potere.
Per contrasto, il meccanismo effettivo in cui i rituali magici vengono praticati nella nostra
societ-nella feticizzazione del segno, nella cultura dello spettacolo e nel feticismo per la
comodit- questi meccanismi non sembrano essere di tuo interesse?
JHM: Ma io non sono neanche alla ricerca di unoriginaria purezza, sebbene ci sono
culture che hanno tuttavia avuto una contatto molto ridotto con la civilizzazione
occidentale, e i cui modi di pensare sono profondamente diversi dai nostri. Pi ci lavoro,
pi mi stupisce come lideale di una produzione arcaica ed autentica sia cos sostenuta
persino in studi seri, persino quella di una produzione collettiva sebbene in realt il numero
di oggetti che si possano qualificare entro questa categoria davvero ridotto. Sappiamo
che, in gran parte, queste pratiche sono state compromesse o distrutte del tutto. Ma nelle
grandi citt asiatiche ed africane, dove i traumi derivanti dallincontro tra culture locali e
quelle industriali occidentali tuttora riverberano, si trovano numerose manifestazioni che
dovremmo identificare come opere darte contemporanea- per esempio, quelle connesse
con lemergere di una avanguardia in Cina o quelli di Cheri Samba nello Zaire. E si
trovano esempi di entrambe le sfere, ossia, gli oggetti dellalta cultura trazionale locale e
gli oggetti della cultura popolare.
BB: Non credi di dover discernere tra forme residuali di alta cultura e cultura locale
popolare da una parte, e le forme emergenti di consumo di massa culturale dallaltra?
JHM: No, non escludo gli oggetti della cultura di massa, ma mi interessa trovare lartista
individuale o artisti che si possano davvero collocare e nominare, e che abbiamo davvero
prodotto degli ogetti. Mi rifiuto di esporre oggetti che vengono dichiarata come risultato
anonimo di una comunit culturale- per me, questosembra una idea perversa tipicamente
occidentale ed europea che intendo evitare ad ogni costo. Se 50 artigiani producono piu o
meno lo stesso tipo di oggetto di culto, non mi interessa. Cerco quello che risulta pi
originale rispetto al resto-come lo lEsther Mahlangu is nella cultura Ndebele nel Sud
Africa.
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BB: Non sembri curarti che questo approccio re-introduca il pi tradizionale concetto di
soggetto privilegiato e di oggetto originale in un contesto culturale che potrebbe addirittura
ignorare questi concetti occidentale, e che esclude dal principio tali nozioni come
produzione anonima e creazione collettiva?
JHM: Ma non escluder gli oggetti di produzione collettiva. Ce ne sono difatti gi alcuni
nella mostra in progetto. Ma mi piace molto quella battuta che addice come unica ragione
per la quale attribuiamo lanonimato alle maschere africane sia che, quando esse vennero
trovate nelle comunit tribali, chi le prese in possesso e le collezion non si cur di
attribuirne i crediti autoriali. E una tipica proiezione occidentale fantasticare che queste
comunit vivano in uno stato originario di beatitudine collettiva, e perci non si vuole
accreditare la paternit autoriale originale. Voglio farti un esempio- il tipo di maschera che
viene identificato come Gelede. Due etnografi californiani hanno studiato questi oggetti,
che vengono indossati solo una volta lanno per una festivit particolare . Essi hanno
scoperto che i creatori di queste maschere sono specialisti che creano questi oggetti per i
vari villaggi e comunit che ne fanno uso.
Non solo ci sono specialisti che identificano i loro lavoro con una firma allinterno, ma
questi specialisti provengono da dinastie di artigiani di maschere , e spesso le loro
maschere possono essere eseguite su calchi di due o pi generazioni. Inoltre, ci che
particolare di queste maschere Gelede che sono mutabili nel tempo, differentemente
dalla nostra concezione occidentale di tipo fisso e stabile- e negli ultimi decenni esse
hanno accorpato sempre pi elementi dalla cultura industriale. Per me, questo mutamento
dimostra la vivacit di quella cultura e la flessibilit come reazione al contatto con la civilt
Occidentale. Alcuni etnografi si affliggevano per questi mutamenti poich percepivano che
queste comunit tribali avessero perso la loro purezza originaria. Ma io non credo che
alcuna di queste societ abbia mai avuto questa purezza. Tutte loro sono in costante
flusso e costante scambio con le altre societ e , ammettiamolo, il mondo Occidentale
certamente una influenza particolarmente potente in questi contatti.
BB: Serviamoci di un esempio ipotetico per discutere il tuo metodo. Come approcceresti
un Paese ex colonia europea che- supponiamo -sia oggi uno stato socialista, che possa
ancora avere scuole attive di Belle Arti nelle proprie citt, ma se si viaggiasse nei suoi
remoti villaggi, probabilmente ci si imbatterebbe in forme residuali di cultura popolare
artigianale e forse persino in pratiche religiose. Allo stesso tempo, immagino, ci possano
essere forme emergenti di una nuova cultura socialista. Quale di questi tre dominii
sarebbe di primario interesse per il tuo progetto?
JHM: Prima di rispondere, vorrei rivolgere il metodo del nostro lavoro. I bisogni particolari
di questo progetto richiedono che un costante scambio si verifichi tra teoria e pratica , e
che entrambi si correggano vicendevolmente nel corso della preparazione di questa
mostra. Non che il discorso sulle relazioni interculturali sia stato assente dal pensiero
francese- ci che manca sono le forme pragmatiche di porre questo discorso nella pratica.
Questo ci che cerco di sviluppare. Ora, rispondendo alla tua domanda. Quale di queste
tre forme ci interessa? Beh, io voglio mostrare per quanto possibile, quanti pi divergenti
fenomeni possibili, anche se questo potrebbe talvolta rendere la mostra eterogenea .
BB: Inverto la domanda: La tua mostra presenter anche informazioni sulle cosiddette
culture minoritarie che vivono nelle societ egemoni occidentali? Ad esempio, mostrerai
particolari forme di modernismo afro che emerso negli Stati Uniti sin dallinizio di questo
secolo, od anche le pratiche culturali delle attuali minoranze africane ed arabe viventi in
Francia?
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BB: nel corso degli ultimi 10 anni circa, il modernismo occidentale , in quanto cultura
egemone, stato criticato da prospettive tanto culturalmente esterne quanto da
prospettive interne ad essa . Per un po, non sembrato essere pi accettabile
considerare il modernismo come linguaggio e stile internazionali ed universali, dal
momento che bisognava gestire sia la cultura industriale avanzata sia i Paesi del
cosiddetto secondo e terzo mondo. Questo mutamento di comportamento divenuto
particolarmente ovvio con laumentare degli attacchi allo Stile Internazionale
nellarchitettura, e nel nostro riconoscere che era necessario prendere in considerazione le
specificit nazionali e regionali e le tradizioni in modo molto maggiore rispetto a quanto ci
permetteva il modernismo egemone. Il progetto della tua mostra prende come punti di
partenza queste prospettive critiche?
JHM: Assolutamente. Questa esattamente la ragione per la quale vogliamo costruire una
mostra veramente internazionale che trascenda la cornice tradizionale euro-americana
della cultura contemporanea. Piuttosto che mostrare che lastrazione un linguaggio
universale o che il ritorno alla figurazione si sta ora verificando in tutto il mondo, voglio
mostrare le differenze reali e le specificit delle culture differenti.
BB: Ma quali sono le culture differenti tra le diverse culture, a questo punto? I centri
egemoni dellOccidente utilizzano il Terzo Mondo per procurarsi lavoro a basso costo (il
proletariato nascosto delle societ cosiddette post- industriali). Devastano le loro risorse
ecologiche e le infrastrutture, per usarle come discariche delle proprie scorie industriali.
Non credi che escludendo questi aspetti politici ed economici, e concentrandoti
esclusivamente sulla relazione culturale tra centri Occidentali e nazioni in via di sviluppo,
genererai inevitabilmente una lettura in chiave neo-colonialista?
JHM: I progetti di Alfredo Jaar e di Dennis Adamsthe per la mostra riguardano appunto
questi problemi globali. La tua critica risulta piuttosto debole. Implica che i visitatori della
mostra siano incapaci di riconoscere la relazione tra centri Occidentali e Terzo Mondo. La
nostra generazione- e non siamo stati i primi- ha denunciato questi fenomeni a cui fai
riferimento, e le cose si sono dopotutto evolute un po . Non si pu ancora dire che viviamo
in un periodo neo-colonialista. Ovviamente, il mondo Occidentale esercita ancora relazioni
di dominazione rispetto al Terzo Mondo, ma questo non dovrebbe proibirci di comunicare
con la gente di queste nazioni, n di osservare le loro pratiche culturali.
BB: Lascia che ti ponga una domanda pi nello specifico. Per quanto riguarda un
possibile contributo, ad esempio, dalla Nuova Zelanda, sceglieresti pi un artista che
lavora con video e che procuce studi documentari delle attivit della forza lavoro dei Maori
nellindustria della tosatura delle pecore, dei mattatoi e delle fabbriche di imballaggio delle
carni, oppure cercheresti di trovare uno scultore Maori che produca forme artigianali
tradizionali di oggetti scultorei che non affrontano tali condizioni del lavoro quotidiano?
JHM: Potrei scegliere entrambi. Sarebbe ovviamente molto interessante mostrare
entrambi gli individui, finch entrambi producano un lavoro che sia sufficientemente forte..
BB: Ma quali sono i tuoi criteri di una forza nei lavori?
JHM: Lintensit comunicativa del significato
BB: Significato per noi, o significato per loro?
JHM: Per noi, ovviamente. Questo importante, perch qualsiasi sia il significato di una
tale pratica per i suoi praticanti, non rilevante per noi se non pu esserci comunicata.
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anche loro ovviamente guidano macchine, hanno fucili. E tuttavia, insegnano ai loro
bambini come usare freccia ed arco e come perseguire le proprie tradizione culturali come
resistenza contro la violazione perpetrata dalla cultura industriale occidentale. Questo
anche un motivo per il quale sono stati cos desiderosi di accettare il mio invito a mostrare
il loro lavoro in un museo parigino, fuori dal contesto funzionale originario, quindi per
parlare, ma sempre entro la loro funzione di difesa della propria identit aborigena.
BB: Questo innalza un altro problema. Come eviterai la totale estetizzazione del loro
lavoro e delle forme di manifestazioni culturali diverse in esibizione provenienti da contesti
non occidentali, una volta che saranno entrerate nel tuo museo /mostra? Come puoi
fornire ai tuoi visitatori sufficienti informazioni visive e testuali e allo stesso tempo evitare di
seppellire lesperienza fattuale di questi oggetti nellapparato didattico?
JHM: Ovviamente non voglio costruire una mostra didattica con un numero esorbitante di
pannelli testuali. Viene da s che tutti gli artisti riceveranno lo stesso trattamento sia nella
mostra che nel catalogo (e il catalogo chiaramente fornir le informazioni cruciali e
lassistenza didattica necessaria per una tale mostra).
BB: La tua decisione di enfatizzare i criteri estetici dunque pragmatica, un mezzo che ti
permette di creare , da questa eterogenea massa di oggetti, una esibizione ?
JHM: Ovviamente, lavorer con architetti(Jacques Lichnerowicz
e Xavier Ramond), e abbiamo gi parecchie idee sulle varie forme di installazione che
trasmetteranno ai visitatori la complessit della situazione- che indicher loro di non
essere di fronte a oggetti tradizionalmente museali ma di essere piuttosto di fronte ad
oggetti provenienti da contesti totalmente diversi. Dobbiamo tenere in mente che
comunque questa una esibizione e non un discorso, una dissertazione. E tuttavia so
che le mostre non possono autoproclamarsi innocenti, e il nostro progetto sar allo stesso
tempo critico e visivo. Ci che mi interessa particolarmente sono gli shock visivi che tale
mostra pu produrre e i processi ragionativi che pu provocare. Ma pi che mai, vorrei
vederere questa mostra operare come catalizzatore per progetti futuri.
BB: Immagino che il tuo progetto possa provocare un grande scetticismo, se non rabbia, in
quelle autorit del mondo artistico il cuo preciso ruolo quello di difendere rigorose
suddivisioni e criteri della cultura egemone.
JHM: nel mondo dellarte , s. Ma non negli artisti, che hanno invece generalmente
risposto con grande entusiasmo ed interesse
BB: Anche se questo progetto minaccia di decentralizzarli nella ricezione dellarte
contemporanea?
JHM: non credo siano preoccupati di questo- ad ogni modo, non devono preoccuparsene.
Credo che ogni individuo creativo sia profondamente interessato alle attivit degli altri
individui creativi nel mondo. Dopotutto, un elemento di curiosit e sorpresa parte
dellesperienza artistica in generale. Ma nel corso degli ultimi anni, per quanto riguardava
le grandi mostre di gruppo internazionali, non dovevi neanche vedere la lista di artisti
partecipanti in anticipo. Era abbastanza facile prevedere chi avrebbe partecipato a quelle
mostre. Col nostro progetto la situazione abbastanza diversa. Ci saranno molte
sorprese, e non sempre sar di gradimento al mondo arte. Per vedranno di sicuro cose
che non hanno mai visto prima. Io sto puntando ad un pubblico pi vasto ed infatti ho gi
notato che quando discuto del progetto con la gente, fuori del nostro piccolo mondo
11
museale e galleristico, sembra che questa mostra avr davvero qualcosa da offrire che
vada molto oltre i confini tradizionali delle nostre concezioni ci cultura visiva
contemporanea.
BB: sembra che, tra le altre cose, la mostra, punti anche alla decentralizzazione delle
definizioni sociali tradizionali di utenza artistica.
JHM: Assolutamente s. Voglio esibire artisti di tutto il mondo, e voglio abbandonare il
ghetto dellarte occidentale contemporanea dentro cui ci siamo ritrovati negli ultimi
decenni. Ovviamente, un pubblico pi vasto realizzer che questa una mostra che, per
una volta, sar molto pi accessibile a loro , che questa una mostra che agisce su piani
totalmente differenti. Se non cerchiamo per lo meno di dare inizio a questa evoluzione,
allora siamo davvero nei guai.
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partecipante curatore. Spera in uno spazio condiviso dellarte del mondo contro la
ghettizzazione nei musei etnografici. Allepoca rese lattitudine colonialista e larte etnica
intesa come esperienza estetica del credo modernista concetti pass non pi abili a
rappresentare let global contemporanea. Magiciens de la terre: primo tentativo di trattare
larte in modo sinceramente postcoloniale. Questo responso generale presente anche
nella stampa di allora, ad es. in Art in America luglio 89 numero the global issue, (in
copertina: visione estraterrestre della Terra) tratta il termine global come neologismo nel
mondo artistico,con contributi teorici da parte di unartista e un antropologo.
Globalizzazione cambia anche modo di scrivere la storia. E un punto di non ritorno.
Magiciens: intermezzo, rito di passaggio possibile n prima n dopo l89. Trasforma World
art e Modern art in termini obsoleti.
Stesso anno: collasso della guerrafredda . arte diventa transnazionale, la geografia
policentrica. Magiciens introduce la Global art. Mentre world art sinonimo delleredit
dellarte degli altri, global art invece accettazione di ogni forma darte in quanto
pratica contemporanea in piano di eguaglianza con arte occidentale. Allepoca termine
global art non del tutto accettabile ancora nella stampa, nel 92 rivista Kunstforum parla di
global art correlata per a una nuova cultura globale. Etnicit mai dibattuta nella world art.
Con lera global, nuova terminologia artisti dallafrica invece che artisti africani.
Curatori rimpiazzano etnologi anche nellarte locale e promuovo creazione di nuove
regioni dellarte dal profilo transnazionale. Ambiguit terminologica anni 80, al termine
world art nuovo significato correlato alle nuove geografie emergenti della produzione
artistica.
Sidney Biennale 1988: introduzione arte aborigena , lasciandosi indietro letnocentrismo.
1993 artisti aborigeni nel rango ufficiale della scena artistica contemporanea.
Arte aborigena> da world art> a global art
{4}
Effetto Global art sulla scrittura della storia: Difficile tracciare storia dellarte
contemporanea dato che essa una condizione che supera le categorie storiche, si rivolta
contro esse, site specific. Global art policentrica e richiede un discorso polifonico.
Mentre la storia dellarte moderna tendeva a dividere, la Global art tende ad unire, nel
senso che apre a nuovi partecipanti che parlano diverse lingue e hanno concezioni diverse
dellarte . Rimappamento dellarte al plurale che reclama le differenze geoculturali.
Prima, la concezione di storia dellarte tradizionale detta post-vasariana, si sviluppa dal
rinascimento in poi.
Global art: accelera la presa di distanza dellarte contemporanea dalle lineeguida di una
storia dellarte lineare e fiorisce anche in zone del mondo dove non esisteva una storia
dellarte, almeno indipendentemente dai modelli coloniali imposti.
World art: tendeva a supportare il mainstream attraverso un discorso di esclusione.
Entrare nella Global Age segna non solo inizio ma anche fine, fine della mappa del mondo
artstico con schema centro/periferie.
Arte come condizione globale= le diversit delle visioni e storie dellarte: come qualcosa
che abbiamo in comune.
14
Scongiurare il rischio di una visione mondo omogeneo piatto con lutilizzo della diversit
delle narrative locali: Diverse storie dellarte.
Tenere in conto degli aspetti economici politici dellarte nel descrivere larte e Ridefinire
ruolo dei musei: Nuove sfide dellarte mondiale.
diversi, un viso che mette in crisi didentit il mondo dellarte. Es. autoritratto
Art/History titolo e ritratto mostrano uno spacco : la disparit tra capacit di
fare arte e incapacit di entrare nella official history dellarte.
La serie di autoritratti ETHNIC DRAWINGS una satira degli artisti che
usano gli stereotipi della propria etnia per fare carriera nellarte
contemporanea. Mostrano un dilemma culturale, es. autoritratto con scritte in
Urdu, sua lingua madre. O quello con scritte in inlgese e qualche parola Urdu,
ecc. Uso dellironia nellammettere il dualismo tra ego/ego supposto.
-Partecipazione a MAGICIENS DE LA TERRE: matrice di nove pannelli che
sembrano riportare al minimalismo delle origini per la loro sistemazione
seriale.nei pannelli foto, testi, ecc e un dipinto: GOLDEN CALF =come i
feticci dellarte contemporanea (le 4 Marilyn Monroe di Warhol) distraggano
dal mondo , guerre e politica (al centro invece, immagine di giornale di
soldato iraniano ucciso, in una pozza di sangue). Un mondo
artisticoindifferente vs il mondo contemporaneo.
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