Le Avventure di Pinocchio: Storia di un burattino
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About this ebook
Volume numero 1 della collana "Classici" a cura di Pierluigi Pietricola.
Con la prefazione di Grazia Marchianò e la postfazione di Elémire Zolla.
C'era una volta.... un burattino che voleva diventare un bambino vero. Ma le intenzioni spesso non bastano. Bisogna andare a scuola, ascoltare i consigli del babbo e non dire bugie. Tutte cose difficili per Pinocchio, che non fa altro che cacciarsi nei guai. Tra una disavventura e l'altra, Pinocchio incontrerà personaggi incredibili, come il Gatto e la Volpe, il Mangiafuoco, la Fata Turchina e il Grillo Parlante. E troverà il modo di realizzare il suo desiderio.
Uno dei libri più letti, venduti e tradotti al mondo, nonché un modello universalmente riconosciuto di letteratura per l'infanzia, grazie al suo meraviglioso mix di leggerezza narrativa e spessore letterario.
Ancora oggi, leggere le avventure del celebre burattino significa scoprire l’affascinante universo immaginato da Collodi e la forza di un romanzo capace di parlare a grandi e piccini.
Carlo Collodi
Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini (Firenze, 24 novembre 1826 – Firenze, 26 ottobre 1890), è stato uno scrittore e giornalista italiano. È divenuto celebre come autore del romanzo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, più noto come Pinocchio. Il romanzo ha venduto più di 80 milioni di copie nel mondo, il che rende Collodi l'autore italiano più letto all'estero.
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Book preview
Le Avventure di Pinocchio - Carlo Collodi
Carlo Collodi
Le Avventure di Pinocchio
Storie di un burattino
Prefazione di Grazia Marchianò
Postfazione di Elémire Zolla
© Bibliotheka Edizioni
Piazza Antonio Mancini, 4 – 00196 Roma
tel: (+39) 06. 4543 2424
info@bibliotheka.it
www.bibliotheka.it
I edizione
e-Isbn 9788898801701
Disegno di copertina: Riccardo Brozzolo
Carlo COllodi
Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini, nacque a Firenze nel 1826, dove morì nel 1890.
Di umili origini, poté studiare grazie all’aiuto della famiglia Ginori. Entrò in seminario e nel 1843 iniziò a lavorare come commesso nella libreria Piatti a Firenze, dove maturò la sua passione per la lettura e il giornalismo.
Tornato dalla Prima guerra d’indipendenza, dove si era arruolato come volontario, fondò due riviste: una di satira, Il Lampione
, che finì presto vittima della censura; l’altra di teatro, Scaramuccia
, su cui pubblicò brevi commedie.
Con lo pseudonimo Collodi affrontò il delicato tema della dispersione scolastica, in relazione alla legge sull’estensione a tutti dell’obbligo scolastico (Legge Coppino del 1877), con storie di bambini discoli e svogliati come Giannettino e Minuzzolo.
Di qui arrivò al personaggio di Pinocchio, le cui avventure pubblicò per la prima volta sul Giornale per i bambini
, il 7 luglio del 1881, con il titolo Storia di un burattino
.
L’enorme successo riscosso tra i piccoli lettori, lo spinse a pubblicare altre storie e raccoglierle tutte in un romanzo, pubblicato nel febbraio del 1883.
Uno dei libri più letti, venduti e tradotti al mondo, nonché un modello universalmente riconosciuto di letteratura per l’infanzia, grazie al suo meraviglioso mix di leggerezza narrativa e spessore letterario
Prefazione
di Grazia Marchianò
Le peripezie di Pinocchio lette in chiave tantrica¹
Tra i maestri dei poteri
e i creatori di fiabe corre un vincolo stretto, anche se gli uni e gli altri si sono raramente, forse mai incontrati. Gli uni, i siddha², badano a rendere se stessi sede di portenti, e i creatori di fiabe non sono da meno: prodigi, metamorfosi, prove
sovrumane e situazioni assurde si susseguono nelle loro storie a ritmo serrato. I siddha sfidano in prima persona le leggi della realtà ordinaria che gli eroi delle fiabe ignorano con disinvoltura. Gli sforzi concertati degli uni e le prodezze strepitose degli altri sono così simili da far sospettare che l’impulso immaginale che li ha escogitati provenga da un’unica fonte di sapienza ancestrale.
Sul filo di questa congettura potremmo tentare un gioco di sovrapposizione tra esperienze realmente vissute da adepti dei poteri e quelle simulate nelle fiabe, e i conti tornerebbero facilmente. I creatori di fiabe non inventano nulla che non sia virtualmente realizzabile da creature inoltrate sul sentiero magico: ossia il potere è un "ornamento³" che avvera le dimensioni oltremondane della fiaba, colmando la vita dell’adepto di gioie e tormenti estremi che lo separano dal resto del mondo.
Nella tradizione siddha tamila⁴ sono codificati otto grandi poteri
(mahasiddhi) di cui difficilmente non si trovano riscontri nelle fiabe di magia. Essi sono: animâ, o il potere di rimpicciolire; makimâ, o il potere di ingigantire e raggiungere oggetti distanti; lakimâ, o il potere di alleggerirsi e fluttuare in aria; karimâ, o il potere di smaterializzarsi; pirakimiyam, o lo sviluppo di una volontà irresistibile; icattuvam, o il potere di di dominare totalmente il corpo e la mente; vacittuvam, o il potere di assumere qualsiasi forma e d’influenzare il corso degli eventi; infine piratti, o il potere di realizzare qualsiasi desiderio⁵. Si annoverano poi ulteriori estensioni
degli otto mahasiddhi quali volare, sviluppare calore interno, penetrare in altri corpi, resuscitare cadaveri, ricordare vite anteriori.
Ma se questi poteri fanno dei siddha degli arcani viventi degli eroi fiabeschi e degli sciamani che mettono in atto gli occulti arbitri dei destini della comunità, c’è un potere che sovrasta gli altri e se ne fa beffa⁶, perché non consiste in una supremazia corporea o psichica ma nella radicale trasformazione dell’intera persona. In mancanza di un nome in grado di designarlo, non si trovò di meglio che usare metafore. Rispetto all’oblio della coscienza ordinaria fu chiamato risveglio
, e rispetto all’opacità che contrasta la nitida visione degli archetipi: illuminazione
o anche rinascita. Ma questo mahasiddhi a differenza degli altri, è poco adatto ad essere raccontato
. La sua natura umbratile e schiva, la sua intrinseca esotericità, la sua asprezza solitaria lo candidano a uno spoglio silenzio, al rigetto di qualsiasi adattamento o ricostruzione letteraria. Ci sono state però per nostra fortuna talune eccezioni, ed è grazie ai capolavori di Apuleio, Attar, Dante o anche Castaneda che possiamo azzardare raffronti fra le gesta reali dei siddha e quelle simulate degli eroi delle fiabe.
Ma che dire di Carlo Collodi? Poteva bastare la conoscenza dell’Asino d’oro, la traduzione delle fiabe di Perrault o la dimestichezza con i teatri di burattini attivi al suo tempo a Firenze per giustificare l’invenzione di Pinocchio? E se provassimo a leggere la fiaba come un piccolo mistero
iniziatico?
La metamorfosi di un burattino
Che il protagonista della più famosa fiaba italiana possa essere un siddha camuffato da burattino è un’ipotesi troppo temeraria e astrusa per meritare attenzione. Il primo a rivoltarsi contro questa soperchieria ermeneutica sarebbe stato certamente il Collodi, che pure non era alieno da acrobazie immaginali. Tuttavia Le avventure di Pinocchio cospirano a proporre possibilità di lettura al di là dei livelli letterale e allegorico. In realtà la fiaba prospetta un’anagogia: Pinocchio cessa di funzionare da burattino, si svincola dal guscio di legno e rinasce
uomo. Alla metamorfosi fisica prelude una lenta mutazione interiore: la sua psichicità convulsa e torbida si distilla in una consapevolezza quieta. Ottemperati i doveri, seppellito il suo doppio
fallito, Lucignolo, compensata in sovrappiù la fata e risanato il padre, Pinocchio scopre una bella mattina di non essere più nel suo corpo di legno che giace infatti inerte su una seggiola. Egli si sente rinnovato dentro e fuori, letteralmente rinato per grazia numinosa e tenace abnegazione.
Dal punto di vista dell’esperienza comune, l’evento è certamente inverosimile. E il lettore ignaro di metafisica si rassicura pensando che il testo, dopo tutto, è una fiaba e che è lecito attendersi da Pinocchio ogni stranezza: comunica con gli animali, subisce altre trasformazioni prima di quella finale, rasenta quattro volte la morte e se la cava benissimo, è insomma un trickster consumato⁷.
Ma dal punto di vista esoterico, la metamorfosi di Pinocchio solleva domande cruciali: chi è veramente Pinocchio? Il trickster-burattino che agisce nei tre quarti delle Avventure o il ragazzino per bene
sbocciato nell’epilogo? E se egli non è né solo l’uno né solo l’altro, ma sia l’uno che l’altro, metà automa fatto-di-legno e metà svincolato fatto-di-vuoto, chi dunque muore quando il burattino si sveglia ragazzo? E qual è la differenza fra una morte che prelude al risveglio e la morte comune?
Un’ipotesi sulla quale si può lavorare è che Pinocchio sia un siddha in pectore, una creatura cui il demone (nel suo caso la fata) largisce occasioni per sviluppare poteri fino a quello sommo e risolutivo: la rinascita a vero uomo. Viste in questa luce le Avventure si prestano a riscontri con tutti i processi iniziatici che consentono all’uomo di accedere alla conoscenza metafisica; perciò, nel commento che segue, darò per scontata la legittimità di paralleli con le più varie tradizioni.
Il sogno come chiave
Al culmine delle sue avventure Pinocchio ha un sogno nel quale gli appare e lo bacia la Fata. Al risveglio, lo stato del sognatore è mutato, e così pure l’aspetto del luogo in cui si trova. La stanzina dalle pareti di paglia è diventata una camera ammobiliata con una semplicità quasi elegante
. I frusti indumenti da burattino sono ora un completo impeccabile che il risvegliato indossa e rimira allo specchio. Ma il doppio
che lo guarda è un bel fanciullo con i capelli castagni e con gli occhi celesti, un’aria allegra e festosa come una pasqua di rose
. Chi è il ragazzo che guarda Pinocchio?
Lo stupore e la meraviglia inducono il sognatore a una prima prova d’identità: Entrando nella stanza accanto trovò il vecchio Geppetto sano, arzillo e di buon umore come una volta, il quale, avendo ripreso subito la sua professione d’intagliatore in legno, stava appunto disegnando una bellissima cornice di fogliami, di fiori e di testine di diversi animali. Se la prima verifica è riuscita, la seconda è a vista in un angolo della stanza: […] un grosso burattino appoggiato a una seggiola, col capo girato da una parte, con le braccia ciondoloni e con le gambe incrocicchiate e ripiegate a mezzo, da parere un miracolo se stava ritto
. I dubbi del protagonista sono dissolti. Pinocchio guarda il suo doppio
come ciò che è ormai definitivamente altro da sé, una buccia di legno, un inerte e assurdo corpo-di-sogno.
In certe opere di pittura fiamminga capita talvolta di vedere il santo, trasumanato, intento a contemplare il guscio sanguinolento della sua spoglia mortale, abbandonata, come un costume di scena.
Prototipo del risvegliato, di colui che nella metafisica indiana si definisce due-volte-nato (skr. dvija), potrebbe apparire Pinocchio se, ignorando il tono dimesso del racconto e la trita atmosfera di bozzetto paesano, si volesse leggere l’opera come fiaba anagogica, come un insospettato piccolo tantra del risveglio, culminante nel sogno del protagonista e nella prova dello specchio.
Se quella adombrata nella fiaba fosse una palingenesi, è certo che la sua chiave di soluzione va rintracciata nell’epilogo, dove s’adunano i principali nodi simbolici: il sogno di Pinocchio, l’apparizione della Fata e il bacio, lo stupore e la letizia pasquale del risvegliato, lo specchio e il doppio, il lascito della Fata, la metamorfosi del luogo e le restaurate fattezze del padre, la sostituzione in Pinocchio della natura umana a quella di automa, sigillata nello sguardo rivolto al fantoccio dal nuovo Pinocchio.
Interpretata iniziaticamente la distanza fra il primo e il secondo Pinocchio potrebbe equivalere al cammino interiore percorso dal protagonista per attuare la sua trasformazione dall’ordine geometrico a quello antropomorfico, da automa di legno, creatura immemore, vincolata e tralignante a vero uomo, ossia risvegliato, liberato in vita, due-volte-nato.
Nella metafisica buddista lo spazio di purificazione attiva che separa l’adepto dal coglimento della sapienza (prajnâ) è definito karunâ (compassione), perché è compatendo e trasformando la propria natura oscurata che egli raggiungerà la non-identificazione, l’estinzione alle maschere in cui consiste la sua falsa persona, il vuoto oltre il nome e oltre la forma.
Nel tantra dello yoga supremo che illustra le modalità del trapasso a una nuova nascita, è detto che "chi nasce nei mondi del desiderio e della forma deve attraversare uno stadio intermedio, durante il quale un essere ha la forma della persona in cui rinascerà. L’essere intermedio ha tutti e cinque i sensi, ma è anche chiaroveggente, non conosce ostruzioni e può giungere immediatamente dovunque voglia. Vede gli altri esseri intermedi del suo tipo – esseri dell’inferno, spiriti famelici, animali, esseri umani, semidèi e dèi – e può essere visto dai chiaroveggenti⁸".
La somiglianza di questo ritratto con quello del burattino non è trascurabile. Egli è descritto, benché legnoso, come un essere senziente completo, assai mobile e destro, al punto che da sé o su appropriati veicoli è in grado di colmare grandi distanze, in un cosmorama immaginale con recessi, foreste, città, isole e rupi. Non è un chiaroveggente, tuttavia è in contatto sottile con esseri-di-natura di cui conosce la lingua, ed è visto da una creatura chiaroveggente e numinosa che lo assiste e lo guida.
Più oltre nel Tantra è detto che "il collegamento con una vita […] avviene sotto l’influsso del desiderio, dell’odio e dell’ignoranza. Fin quando queste afflizioni non sono superate, si è come legati con catene senza libertà […]. Ma se l’ignoranza è eliminata, le azioni contaminate che dipendono da essa sono fermate⁹".
La nascita di Pinocchio risale a un desiderio. […] Mi è piovuta nel cervello un’idea – afferma Geppetto – […] fabbricarmi […] un bel burattino […] che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali […]
. Si direbbe che la forza del desiderio renda Geppetto la causa materiale della nascita di Pinocchio, mentre la causa formale della sua natura di automa, dipenderebbe piuttosto dalla soggezione del burattino al suo archetipo. Se il burattinus nel latino medioevale è il setacciatore di farina e dunque qualcuno "dai movimenti scomposti¹⁰", la marionetta trae il suo nome dalle piccole statue raffiguranti Maria o dalle fanciulle sfilanti in processione in onore della Vergine, dette marione. Nel pensiero metafisico, da Platone all’India di Bali, il complesso della marionetta
è stato utilizzato come metafora della schiavitù interiore dell’uomo, a meno che egli non sappia convertire il suo stato vincolato e infelice in un resa perfetta¹¹. Ed è questa una parabola che le Avventure sembrano per molti versi adombrare.
La tastiera ermeneutica
La tastiera di possibilità ermeneutiche offerta dalla fiaba e assai ampia: può affidarsi alla numerologia, alla cosmologia, alla mitologia comparata, ai riscontri nella letteratura anagogica, all’alchimia, alla psicologia del profondo. L’ultimo Jung, che aveva applicato il suo metodo al commento di alcuni tantra tibetani¹², suggeriva l’espediente dell’inversione, procedendo nella lettura dell’epilogo a ritroso. Un simile intervento sulle Avventure, riserva molte sorprese. Numerologicamente saremmo colpiti dalla decuplicazione finale di un numero, il quattro, che è il più ricorrente nel testo collodiano.
Quattro soldi erano occorsi a Pinocchio per accedere al Gran Teatro dei Burattini, quattro le monete d’oro seppellite nel Campo dei miracoli per ottenerne una messe. Quattro le esperienza di morte effimera vissute dal burattino: per combustione allo spiedo di Mangiafuoco; per impiccagione alla Quercia grande; per frittura on olio bollente nella capanna del Pescatore; per affondamento, rivestito di pelle d’asino. Quattro i camuffamenti subiti: infarinato, è assimilato al pesce; incatenato, fa le veci di un cane da guardia sventando la razzia di quattro faine; indottrinato alla scuola elementare, si porta da studente; trasformato in asino, si esibisce in un circo. Quattro, gli incontri di Pinocchio con il Grillo-coscienza. Quattro, i mesi di carcere scontati nella città di Acchiappacitrulli. A quattro piani è la casa che l’ospita nell’isola delle Api industriose. Quattro sono le sembianze in cui il nume si manifesta a Pinocchio: come Bambina morta e sorellina, come Fata, come donna-madre-bella Signora, come Capra. Quattro volte Pinocchio subisce la tentazione: nel Teatro dei Burattini, nella città di Acchiappacitrulli, nell’isola delle Api industriose, nel Paese dei Balocchi. Ognuna delle prove delinea una felicità impossibile, a seconda che Pinocchio insegua il sogno di un teatro di automi, di una ricchezza sconfinata, di un’operosa disciplina, o di una cuccagna perenne.
Il quattro è la cifra simbolica della manifestazione, della solidità e finitezza terrestre, dell’interità delimitata e limitante. Ogni civiltà ha elaborato una coerente simbologia del quattro, dal punto di vista cosmologico, antropologico e iniziatico. In quest’ultima prospettiva il quattro designa gli stadi di approssimazione alla palingenesi. Il viaggio