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PERIODICO TRIMESTRALE

SCIENZE DELLA NUTRIZIONE UMANA

EDUCAZIONE

SCIENZE NATURALI

ECOLOGIA

CULTURA

SINVE NEWS

numero 13 febbraio 2013

ATTI
1 CONGRESSO NAZIONALE DELLA SOCIETA ITALIANA
DI NUTRIZIONE VEGETARIANA-SINVE
ROMA 15-16 NOVEMBRE 2012
AULA MAGNA DELLA FACOLTA DI SCIENZE MM FF NN UNIVERSITA DI ROMA TOR VERGATA

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MASTER
IN NUTRIZIONE VEGETARIANA
DELLUNIVERSIT DELLE MARCHE
Mauro Battino*, Mauro Destino**
*Professore associato di Biochimica - Facolt di Medicina;
Coordinatore scientifico Master in Nutrizione e in Nutrizione Vegetariana,
Universit Politecnica delle Marche, Ancona
Direttore per lItalia della FUNIBER Foundation
**Biologo e Nutrizionista, Specialista in Scienza dell'Alimentazione,
Specialista in Chimica e Tecnologie Alimentari-Centro DIAITA, Mesagne (BR)

La formazione universitaria in alimentazione e nutrizione indirizzata al modello alimentare prevalente: quello onnivoro. Tuttavia, nel nostro Paese presente un
discreto numero di persone (circa il 7% della popolazione; dati Eurispes, 2011) che si alimenta escludendo
totalmente o parzialmente i cibi di origine animale.
Questo modello alimentare definito genericamente
vegetariano (Plant Based Diet) e rappresenta unottima opportunit di salute (oltre a importanti aspetti etici
e ambientali) a condizione che tale dieta sia attuata
correttamente.
Se da un lato esistono vaste evidenze scientifiche circa
la congruit della dieta vegetariana, dallaltro la corretta applicazione clinica appare in molti casi incerta per
mancanza di formazione specifica. Esiste, quindi, la
possibilit che anche le persone vegetariane pi attente e che richiedano assistenza non ricevano informazioni e suggerimenti adeguati alla loro fisiologia e al
loro stato di salute (sportivi, anziani, bambini, gravidanza, stati di malnutrizione, ecc.).
Per questa ragione lUniversit Politecnica delle

Marche in collaborazione con la Fondazione spagnola


FUNIBER, ha istituito il Master Internazionale in
Alimentazione e Dietetica Vegetariana di 1 livello,
unico in Italia e probabilmente in Europa. E un corso
universitario innovativo (piattaforma on line per studiare da casa) dedicato in particolar modo ai laureati di
area medico-scientifica ma anche per alcune discipline dellarea umanistica. Gli autori del Master sono soci
della SINVE e sono impegnati nella didattica come
docenti-tutor. Infatti, ogni studente riceve sostegno e
indirizzo dal proprio tutor dal momento delliscrizione
fino alla discussione della tesi. Liscrizione al Master
aperta tutto lanno e conferisce formale titolo accademico. Per tutta la durata del corso (1 anno) lo studente esente dallacquisizione dei crediti ECM, obbligatori per le Professioni Sanitarie.

EVOLUZIONE UMANA:
UNINTRODUZIONE
Fabio Di Vincenzo & Giorgio Manzi
Dipartimento di Biologia Ambientale,
Universit di Roma La Sapienza
Fino a pochi decenni fa le cose sembravano piuttosto
semplici. Il modello dellevoluzione umana accettato
dalla maggior parte dei paleoantropologi prevedeva
antenati della nostra specie che si susseguivano nel
tempo profondo, uno solo alla volta per ciascun intervallo cronologico. In altre parole, si guardava alla
nostra evoluzione come a ununica sequenza, a una
linea evolutiva lungo la quale si sarebbero avvicendate le diverse specie, poche in verit, attribuite ai
generi Australopithecus e Homo. Australopithecus, in
particolare, veniva distinto in una forma gracile (Au.
africanus) e una robusta (Au. robustus), cosiddetta in
ragione delle dimensioni dentarie e di altri elementi
dellapparato di masticazione. Anche il genere Homo
comprendeva pi specie o, meglio, pi segmenti di
ununica sequenza evolutiva continua. Tre, per la precisione: H. habilis la specie pi antica e arcaica,
esclusivamente africana cui seguivano H. erectus e,
infine, H. sapiens, entrambe distribuite in Africa ed
Eurasia. Allinterno della specie moderna venivano
inclusi anche i Neanderthal (come sottospecie: H.
sapiens neanderthalensis) e altre forme per cos dire
intermedie tra H. erectus e H. sapiens, riunite sotto la
denominazione informale di H. sapiens arcaico.
Lo schema esercit una notevole influenza sulla comunit scientifica dei paleoantropologi e divenne anche
piuttosto popolare, come mostra liconografia delle
classiche sfilate di ominidi dal pi scimmiesco a quello con la clava a quello con cravatta e occhiali, magari chino sulla tastiera di un computer. La sua semplicit, peraltro, richiamava modelli generali del processo
evolutivo, cos come erano scaturiti dalla teoria sintetica della prima met del XX secolo e si basava sul
cosiddetto paradigma della specie unica, secondo il
quale si presupponeva lesistenza di una sola specie
di ominidi per ciascuna fase cronologica, ritenendo
che non potessero coesistere specie differenti mutuamente esclusive.
Tuttavia, il modello lineare dellevoluzione umana e il
paradigma della specie unica che ne era alla base col
tempo cominciarono a declinare. Gi verso la met
degli anni 60, con lidentificazione della pi antica
specie del genere Homo nel sito di Olduvai in
Tanzania, si doveva ammettere che negli stessi livelli
geologici e, dunque, con analoga antichit erano esistite sia una forma robusta di Australopithecus sia il

primo artefice di manufatti paleolitici: H. habilis, appunto. Anche scoperte successive di forme simili a H.
erectus in siti presso il Lago Turkana in Kenya ulteriormente confermavano lesistenza di una molteplicit di
ominidi fra loro contemporanei in Africa orientale e
altrove. Tutto ci risultava incompatibile con il modello
lineare e si apriva la strada ad una visione differente,
incentrata sullidea di diversit e di contemporaneit
fra ominidi differenti. A questa conclusione contribu
non poco anche la scoperta, avvenuta in Etiopia nei
primi anni 70, di una forma arcaica di Australopithecus
(a cui appartengono i resti della celebre Lucy) in livelli per lepoca antichissimi, datati fra 3 e 4 milioni di
anni. Una nuova specie, denominata Au. afarensis,
venne dunque posta allorigine di una divergenza evolutiva avvenuta successivamente a 3 milioni di anni fa,
che avrebbe separato fra loro le traiettorie del genere
Australopithecus, che si sarebbe poi estinto, e quella
del genere Homo, che doveva portare fino a noi.
La presenza contemporanea di diverse specie di ominidi in uno stesso ambiente e nella stessa area geografica semplicemente voleva dire che era sbagliata
lidea di fondo che fino allora aveva convinto i pi.
Significa che non necessariamente tutti gli ominidi
devono aver avuto una stessa identit ecologica
tanto meno una stessa capacit di produrre cultura
ma che in realt, come ha detto molto bene Ian
Tattersall, ci sono stati molti modi di essere umani e
che la nostra storia assomiglia pi a un albero frondoso che non a una corsa a staffetta di tedofori (ciascuno con la sua fiaccola di umanit).

In pieno accordo con levidenza fossile, la genetica


sulla base di dati a carattere bio-molecolare afferma
che ci siamo separati dalle scimmie antropomorfe e, in
particolare, dalla linea evolutiva degli attuali scimpanz (dunque, in Africa) intorno a 6 milioni di anni fa. Ci
dice anche, sempre in pieno accordo con levidenza
fossile, che la nostra specie (H. sapiens) si origin 200
mila anni fa circa, nuovamente in Africa. E dunque nellintervallo compreso tra questi due eventi, entrambi
africani lorigine dei nostri primi antenati diretti e la
comparsa di H. sapiens che si svolge per intero la
nostra storia. Tuttavia, la genetica non ci pu dire quali
e quante siano state le specie estinte lungo la nostra
traiettoria evolutiva, neanche ci pu chiarire quale tipo

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di percorso abbia caratterizzato levoluzione umana,
cio se si sia trattato di una sequenza lineare di poche
specie in successione cronologica, oppure se lo scenario sia stato molto pi diversificato e complesso.
Indagare questi aspetti compito della paleoantropologia (o paleontologia umana), una scienza eminentemente storica che si fonda sullo studio e sullinterpretazione dei resti fossili, ma che certo non disdegna il
contributo di altre discipline che possano contribuire a
ricomporre un puzzle assai complicato e, quanto
meno, tridimensionale: una dimensione per le caratteristiche biologiche (e dunque gli adattamenti), unaltra
per la distribuzione geografica (e dunque gli ambienti

La prima di queste radiazioni cade nellintervallo cronologico compreso tra meno di 7 e circa 4,4 milioni di
anni fa; si riferisce a ben 3 generi (con 4 specie):
Figura 1 La linea evolutiva umana composta da una ventina di
specie, tutte estinte
tranne Homo sapiens,
distribuite fra circa 7
milioni di anni fa e il presente. In questo quadro
sintetico, le specie dei
nostri antenati sono raggruppate in una serie di
distinte radiazioni adattative, a loro volta basate sulle rispettive caratteristiche morfologiche.
Le denominazioni di
genere sono abbreviate
come segue:
S. = Sahelanthropus;
O. = Orrorin;
Ar. = Ardipithecus;
Au. = Australopithecus;
K. = Kenyanthropus;
P. = Paranthropus;
H. = Homo.

e lecologia), la terza per il tempo (con la sua quota di


filogenesi).
Attualmente si ritiene che la nostra evoluzione copra
un arco di oltre 6 milioni di anni, contando 7 generi differenti e fino a un massimo di 20-25 specie, alcune
delle quali vissute contemporaneamente: in Africa, poi
anche in Eurasia e, infine, su tutto il pianeta. Senza
ripercorrere nel dettaglio la storia delle scoperte recenti, il quadro interpretativo di carattere generale che
oggi si pu offrire per spiegare una tale diversificazione deve necessariamente guardare allecologia e alla
biologia evoluzionistica, mutuando da esse il concetto
di radiazione adattativa e legando fortemente il cambiamento evolutivo al contesto ambientale in cui quelle specie si originarono, vissero e si estinsero. Una
radiazione adattativa una rapida diversificazione di
specie a partire da una forma capostipite, che comporta lingresso in una zona adattativa precedentemente non sfruttata. I cambiamenti ambientali che si
verificarono in Africa a seguito della formazione della
Great Rift Valley e delle catene montuose ad essa correlata, portarono ad una rarefazione dellambiente di
foresta in Africa Orientale e la sua progressiva sostitu-

di anni fa compare il genere Paranthropus. Del tutto


affine per morfologia alle australopitecine cosiddette
gracili, e da queste con ogni probabilit derivato, fu
rappresentato da tre specie diffuse in Africa orientale e
meridionale (P. aethiopicus, P. boisei e P. robustus), che
si estinsero oltre 1 milione di anni dopo e si caratterizzarono per una serie di adattamenti molto marcati dellapparato di masticazione (denti, muscoli, strutture
ossee), venendo per questo indicate nel loro insieme
come australopitecine robuste. Esasperando il
modello australopitecino di accrescimento della dentatura posteriore (molari e premolari), i parantropi svilupparono una superficie triturante che divenne come
una sorta di macina, funzionale alla masticazione di
noci e granaglie, di tuberi e di vegetali erbacei. Questi
adattamenti furono evidentemente indispensabili alla
sopravvivenza, soprattutto in certi periodi dellanno,
quando altre risorse alimentari scarseggiavano.

zione con ambienti di boscaglia aperta e poi di savana. In questo contesto di generale diradamento della
foresta e aumento di eterogeneit ambientale da collocarsi la diversificazione delle specie di ominidi.
Queste, a loro volta, possono essere raggruppate in
base alla condivisione di adattamenti specifici in una
serie di radiazioni adattative, che non vanno intese
come fasi di una progressione lineare ma piuttosto
come impulsi a una diversificazione di carattere eminentemente ecologico.

Sahelanthropus, Orrorin e Ardipithecus. E assai probabile che questi ominidi, al momento perlopi noti da
pochi resti frammentari e solitamente isolati (con leccezione dello straordinario scheletro soprannominato
Ardi a cui la rivista Science ha dedicato la copertina
e un intero fascicolo dellottobre 2009), vivessero
ancora in un ambiente di foresta. I loro caratteri dentari li avvicinano per molti aspetti (ma con significative
eccezioni) alle scimmie antropomorfe, a indicare una
dieta prevalentemente a base di frutta e foglie tenere.
Le evidenze sul bipedismo sono oggetto di discussione fra gli specialisti: probabile che tutte queste specie stessero sperimentando modalit differenti di
locomozione bipede, pur conservando spiccati adattamenti arboricoli. E anche possibile che alcune di loro
(o anche tutte loro) non siano state partecipi della traiettoria evolutiva umana e nemmeno di quella degli
scimpanz, ma siano state scimmie antropomorfe del
tardo Miocene (epoca che si conclude poco prima di
5 milioni di anni fa), che hanno avuto forti affinit sia
con noi, ovvero con i nostri antenati diretti, sia con
quelli delle antropomorfe africane attuali.

Figura 2 Sullo sfondo le principali traiettorie di diffusione


out-of-Africa del genere Homo, alcuni rappresentanti fossili
(ricostruzioni digitali di reperti cranici) lungo la linea evolutiva
umana. In orientativa corrispondenza con le aree geografiche di provenienza, dal reperto in blu sulla sinistra e in senso
orario abbiamo: Ardipithecus ramidus, Homo habilis, Homo
neanderthalensis, Homo sapiens, Homo erectus, Homo heidelbergensis e Paranthropus boisei.

A partire da 4,2 milioni di anni compare il genere


Australopithecus che caratterizzer levoluzione umana
fino a circa 2 milioni di anni fa. La specie pi antica
Au. anamensis, cui seguiranno almeno altre 4 specie,
fra cui le pi conosciute a livello scheletrico sono Au.
afarensis in Africa orientale e Au. africanus in Africa
meridionale. Australopithecus si caratterizza per i suoi
adattamenti da primate ormai chiaramente bipede
(incluse le spettacolari impronte lasciate circa 3,5
milioni di anni fa nelle ceneri vulcaniche del sito tanzaniano di Laetoli), congiunti al permanere di caratteristiche delloriginario primate arboricolo. La vera novit
evolutiva risiede forse nella dentatura, ad indicare profonde modificazioni negli adattamenti alimentari, con
lintroduzione di una dieta a base di tuberi e vegetali
pi coriacei. La recente scoperta di una forma contemporanea di Au. afarensis denominata Kenyanthropus
platyops ha ampliato il quadro della diversit fenotipica conosciuta per queste antiche forme preumane. Intorno a 2,5 milioni di anni fa, le oscillazioni
climatiche che avevano caratterizzato parte del
Miocene e del successivo Pliocene (fra 5,3 e 2,6 milioni di anni fa) si fanno pi intense, determinando generali condizioni di aridit. Queste, congiunte al cambiamento nel regime pluviale determinato dallorografia in
assestamento della Great Rift Valley, porteranno alla
definitiva affermazione dellambiente di savana in
Africa Orientale. Questi cambiamenti ambientali coincideranno con lemergere di due strategie adattative
divergenti fra gli ominidi che si erano ormai ben adattati in quelle stesse aree a un ambiente di foresta a
macchie, intervallato cio da radure di vegetazione
pi aperta. Come a testimoniare limpatto di questi
cambiamenti ambientali sullevoluzione degli ominidi
(e non solo, ovviamente), proprio intorno a 2,5 milioni

Ma non fu questa lunica risposta degli ominidi alle


mutate condizioni ambientali della fine del Pliocene: ci
fu una seconda strategia adattativa. Cera, in effetti,
unaltra risorsa alimentare (forse gi marginalmente
presente nella dieta delle australopitecine) disponibile
per essere sfruttata nel nuovo ambiente di savana: le
proteine di origine animale. La possibilit di accedere
a questa risorsa, rappresentata dalle carcasse degli
erbivori uccisi dai grandi predatori, permise a un ominide di circa 2,5 milioni di anni fa di imboccare una traiettoria evolutiva del tutto differente, non fondata su
una forma estrema di specializzazione dellapparato di
masticazione (come in Paranthropus), ma giocata sulla
versatilit dei propri comportamenti. Grazie ad una
dieta che divenne sempre pi ricca di proteine animali, questo nuovo ominide fu in grado di affrontare i costi
energetici di un organo enormemente dispendioso
come il cervello: un organo che, non a caso, proprio
da questo momento inizi a crescere in modo esponenziale (encefalizzazione). Tutte le australopitecine
avevano cervelli di dimensioni comparabili a quelle di
una attuale antropomorfa, con medie intorno ai 450 ml,
le prime forme di Homo (il nostro stesso genere), che
si cominciano a rinvenire con maggior evidenza intorno a 2 milioni di anni fa, presentano invece volumi
encefalici superiori (allinizio di poco, poi sempre pi
grandi), attestandosi allinizio intorno a 600-700 ml (la
media attuale di H. sapiens vicina a oltre il doppio:
circa 1400 ml).
A parte il cranio, i primi rappresentanti del genere
Homo (H. habilis, H. rudolfensis) non erano molto
diversi dagli altri ominidi loro antenati e loro contemporanei: la statura era bassa (intorno a 110-120 cm) e le
proporzione degli arti erano scimmiesche, a suggerire
capacit di arrampicamento sugli alberi ancora molto
sviluppate. La grande novit che associati alla comparsa del genere Homo troviamo i primi manufatti litici,
rappresentati da ciottoli scheggiati su un solo lato
(choppers) o su entrambi (chopping tools) per ottenere un margine tagliante con il quale recuperare la
carne rimasta nelle carcasse che erano diventate la
loro fonte primaria di cibo. Il comportamento alimenta-

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di percorso abbia caratterizzato levoluzione umana,
cio se si sia trattato di una sequenza lineare di poche
specie in successione cronologica, oppure se lo scenario sia stato molto pi diversificato e complesso.
Indagare questi aspetti compito della paleoantropologia (o paleontologia umana), una scienza eminentemente storica che si fonda sullo studio e sullinterpretazione dei resti fossili, ma che certo non disdegna il
contributo di altre discipline che possano contribuire a
ricomporre un puzzle assai complicato e, quanto
meno, tridimensionale: una dimensione per le caratteristiche biologiche (e dunque gli adattamenti), unaltra
per la distribuzione geografica (e dunque gli ambienti

La prima di queste radiazioni cade nellintervallo cronologico compreso tra meno di 7 e circa 4,4 milioni di
anni fa; si riferisce a ben 3 generi (con 4 specie):
Figura 1 La linea evolutiva umana composta da una ventina di
specie, tutte estinte
tranne Homo sapiens,
distribuite fra circa 7
milioni di anni fa e il presente. In questo quadro
sintetico, le specie dei
nostri antenati sono raggruppate in una serie di
distinte radiazioni adattative, a loro volta basate sulle rispettive caratteristiche morfologiche.
Le denominazioni di
genere sono abbreviate
come segue:
S. = Sahelanthropus;
O. = Orrorin;
Ar. = Ardipithecus;
Au. = Australopithecus;
K. = Kenyanthropus;
P. = Paranthropus;
H. = Homo.

e lecologia), la terza per il tempo (con la sua quota di


filogenesi).
Attualmente si ritiene che la nostra evoluzione copra
un arco di oltre 6 milioni di anni, contando 7 generi differenti e fino a un massimo di 20-25 specie, alcune
delle quali vissute contemporaneamente: in Africa, poi
anche in Eurasia e, infine, su tutto il pianeta. Senza
ripercorrere nel dettaglio la storia delle scoperte recenti, il quadro interpretativo di carattere generale che
oggi si pu offrire per spiegare una tale diversificazione deve necessariamente guardare allecologia e alla
biologia evoluzionistica, mutuando da esse il concetto
di radiazione adattativa e legando fortemente il cambiamento evolutivo al contesto ambientale in cui quelle specie si originarono, vissero e si estinsero. Una
radiazione adattativa una rapida diversificazione di
specie a partire da una forma capostipite, che comporta lingresso in una zona adattativa precedentemente non sfruttata. I cambiamenti ambientali che si
verificarono in Africa a seguito della formazione della
Great Rift Valley e delle catene montuose ad essa correlata, portarono ad una rarefazione dellambiente di
foresta in Africa Orientale e la sua progressiva sostitu-

di anni fa compare il genere Paranthropus. Del tutto


affine per morfologia alle australopitecine cosiddette
gracili, e da queste con ogni probabilit derivato, fu
rappresentato da tre specie diffuse in Africa orientale e
meridionale (P. aethiopicus, P. boisei e P. robustus), che
si estinsero oltre 1 milione di anni dopo e si caratterizzarono per una serie di adattamenti molto marcati dellapparato di masticazione (denti, muscoli, strutture
ossee), venendo per questo indicate nel loro insieme
come australopitecine robuste. Esasperando il
modello australopitecino di accrescimento della dentatura posteriore (molari e premolari), i parantropi svilupparono una superficie triturante che divenne come
una sorta di macina, funzionale alla masticazione di
noci e granaglie, di tuberi e di vegetali erbacei. Questi
adattamenti furono evidentemente indispensabili alla
sopravvivenza, soprattutto in certi periodi dellanno,
quando altre risorse alimentari scarseggiavano.

zione con ambienti di boscaglia aperta e poi di savana. In questo contesto di generale diradamento della
foresta e aumento di eterogeneit ambientale da collocarsi la diversificazione delle specie di ominidi.
Queste, a loro volta, possono essere raggruppate in
base alla condivisione di adattamenti specifici in una
serie di radiazioni adattative, che non vanno intese
come fasi di una progressione lineare ma piuttosto
come impulsi a una diversificazione di carattere eminentemente ecologico.

Sahelanthropus, Orrorin e Ardipithecus. E assai probabile che questi ominidi, al momento perlopi noti da
pochi resti frammentari e solitamente isolati (con leccezione dello straordinario scheletro soprannominato
Ardi a cui la rivista Science ha dedicato la copertina
e un intero fascicolo dellottobre 2009), vivessero
ancora in un ambiente di foresta. I loro caratteri dentari li avvicinano per molti aspetti (ma con significative
eccezioni) alle scimmie antropomorfe, a indicare una
dieta prevalentemente a base di frutta e foglie tenere.
Le evidenze sul bipedismo sono oggetto di discussione fra gli specialisti: probabile che tutte queste specie stessero sperimentando modalit differenti di
locomozione bipede, pur conservando spiccati adattamenti arboricoli. E anche possibile che alcune di loro
(o anche tutte loro) non siano state partecipi della traiettoria evolutiva umana e nemmeno di quella degli
scimpanz, ma siano state scimmie antropomorfe del
tardo Miocene (epoca che si conclude poco prima di
5 milioni di anni fa), che hanno avuto forti affinit sia
con noi, ovvero con i nostri antenati diretti, sia con
quelli delle antropomorfe africane attuali.

Figura 2 Sullo sfondo le principali traiettorie di diffusione


out-of-Africa del genere Homo, alcuni rappresentanti fossili
(ricostruzioni digitali di reperti cranici) lungo la linea evolutiva
umana. In orientativa corrispondenza con le aree geografiche di provenienza, dal reperto in blu sulla sinistra e in senso
orario abbiamo: Ardipithecus ramidus, Homo habilis, Homo
neanderthalensis, Homo sapiens, Homo erectus, Homo heidelbergensis e Paranthropus boisei.

A partire da 4,2 milioni di anni compare il genere


Australopithecus che caratterizzer levoluzione umana
fino a circa 2 milioni di anni fa. La specie pi antica
Au. anamensis, cui seguiranno almeno altre 4 specie,
fra cui le pi conosciute a livello scheletrico sono Au.
afarensis in Africa orientale e Au. africanus in Africa
meridionale. Australopithecus si caratterizza per i suoi
adattamenti da primate ormai chiaramente bipede
(incluse le spettacolari impronte lasciate circa 3,5
milioni di anni fa nelle ceneri vulcaniche del sito tanzaniano di Laetoli), congiunti al permanere di caratteristiche delloriginario primate arboricolo. La vera novit
evolutiva risiede forse nella dentatura, ad indicare profonde modificazioni negli adattamenti alimentari, con
lintroduzione di una dieta a base di tuberi e vegetali
pi coriacei. La recente scoperta di una forma contemporanea di Au. afarensis denominata Kenyanthropus
platyops ha ampliato il quadro della diversit fenotipica conosciuta per queste antiche forme preumane. Intorno a 2,5 milioni di anni fa, le oscillazioni
climatiche che avevano caratterizzato parte del
Miocene e del successivo Pliocene (fra 5,3 e 2,6 milioni di anni fa) si fanno pi intense, determinando generali condizioni di aridit. Queste, congiunte al cambiamento nel regime pluviale determinato dallorografia in
assestamento della Great Rift Valley, porteranno alla
definitiva affermazione dellambiente di savana in
Africa Orientale. Questi cambiamenti ambientali coincideranno con lemergere di due strategie adattative
divergenti fra gli ominidi che si erano ormai ben adattati in quelle stesse aree a un ambiente di foresta a
macchie, intervallato cio da radure di vegetazione
pi aperta. Come a testimoniare limpatto di questi
cambiamenti ambientali sullevoluzione degli ominidi
(e non solo, ovviamente), proprio intorno a 2,5 milioni

Ma non fu questa lunica risposta degli ominidi alle


mutate condizioni ambientali della fine del Pliocene: ci
fu una seconda strategia adattativa. Cera, in effetti,
unaltra risorsa alimentare (forse gi marginalmente
presente nella dieta delle australopitecine) disponibile
per essere sfruttata nel nuovo ambiente di savana: le
proteine di origine animale. La possibilit di accedere
a questa risorsa, rappresentata dalle carcasse degli
erbivori uccisi dai grandi predatori, permise a un ominide di circa 2,5 milioni di anni fa di imboccare una traiettoria evolutiva del tutto differente, non fondata su
una forma estrema di specializzazione dellapparato di
masticazione (come in Paranthropus), ma giocata sulla
versatilit dei propri comportamenti. Grazie ad una
dieta che divenne sempre pi ricca di proteine animali, questo nuovo ominide fu in grado di affrontare i costi
energetici di un organo enormemente dispendioso
come il cervello: un organo che, non a caso, proprio
da questo momento inizi a crescere in modo esponenziale (encefalizzazione). Tutte le australopitecine
avevano cervelli di dimensioni comparabili a quelle di
una attuale antropomorfa, con medie intorno ai 450 ml,
le prime forme di Homo (il nostro stesso genere), che
si cominciano a rinvenire con maggior evidenza intorno a 2 milioni di anni fa, presentano invece volumi
encefalici superiori (allinizio di poco, poi sempre pi
grandi), attestandosi allinizio intorno a 600-700 ml (la
media attuale di H. sapiens vicina a oltre il doppio:
circa 1400 ml).
A parte il cranio, i primi rappresentanti del genere
Homo (H. habilis, H. rudolfensis) non erano molto
diversi dagli altri ominidi loro antenati e loro contemporanei: la statura era bassa (intorno a 110-120 cm) e le
proporzione degli arti erano scimmiesche, a suggerire
capacit di arrampicamento sugli alberi ancora molto
sviluppate. La grande novit che associati alla comparsa del genere Homo troviamo i primi manufatti litici,
rappresentati da ciottoli scheggiati su un solo lato
(choppers) o su entrambi (chopping tools) per ottenere un margine tagliante con il quale recuperare la
carne rimasta nelle carcasse che erano diventate la
loro fonte primaria di cibo. Il comportamento alimenta-

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re di queste prime forme di Homo non prevedeva infatti nessun tipo di caccia attiva, ma si limitava a sfruttare le carogne mediante una forma di approvvigionamento chiamata sciacallaggio.
Ci che conta, soprattutto, che la loro posizione nella
catena alimentare era cambiata: da un livello trofico
pi basso a uno pi alto, quello di carnivori. Se non
ancora insieme ai leoni e ai leopardi, almeno in compagnia di sciacalli, iene e avvoltoi. Siamo intorno a 2
milioni di anni fa e siamo ancora in Africa orientale e
meridionale, ma in una nuova dimensione ecologica,
con denti un po pi piccoli, con in mano manufatti del

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Malgrado le affinit, H. neanderthalensis e H. sapiens
furono dunque due specie distinte, diverse per origine,
biologia, espressioni culturali e, in parte, stili di vita.
Forse i Neanderthal non furono mai in grado di sperimentare quella gamma di comportamenti moderni
che spesso attribuiamo loro, come la pratica di seppellire i morti o la capacit di interpretare lesistenza al
di l delle esigenze della quotidiana sopravvivenza, o
almeno nessuna delle evidenze archeologiche note
fino ad ora ci fornisce prove incontrovertibili di tali
facolt. La loro storia evolutiva si svolse interamente in
Europa e nel Vicino Oriente. La loro origine in parte
legata ad una progressiva accumulazione di
Figura 3 La distribuzione nello spazio
multivariato delle principali specie appartenenti alla linea evolutiva umana ottenuta in
base a tre parametri
bio-evoluzionistici:
dimensioni dentarie,
tassi di accrescimento e sviluppo, dimensioni encefaliche (dati
raccolti dalla letteratura specialistica, in
lavori di H. Mc Henry,
H. Hemmer e R.
Holloway).

primo paleolitico e con un cervello che ha iniziato


unespansione che sar il motivo di fondo della successiva evoluzione del genere Homo.
Quello che comunemente chiamiamo Neanderthal fu
la prima forma umana estinta ad essere riconosciuta
come appartenente ad una specie diversa dalla
nostra. Gi nel 1864 ai primi resti fossili, scoperti pochi
anni prima (1856) nella Valle detta di Neander in
Germania, veniva assegnato il nome di H. neanderthalensis e oggi, 150 anni dopo quella scoperta, abbiamo
sufficienti elementi per sapere che abbiamo condiviso
una lunga storia con i Neanderthal, prima che le strade evolutive nostra e loro divergessero intorno a 500
mila anni fa.
Che le cose siano andate cos ce lo confermano, in
modo sempre pi nitido e sempre meno contraddittorio, sia i dati della paleogenetica sia quelli della paleontologia basata sullevidenza fossile. Il fatto che le
cose siano andate cos, inoltre, ci spinge a pensare
che le radici del nostro essere umani vadano ricercate proprio in quella divergenza di mezzo milione di anni
fa. Scopriamo cos, in altri uomini biologicamente
diversi da noi, una quantit di tratti in comune che ci
aiutano a ridefinire i termini della nostra eccezionalit
rispetto ad ogni altra creatura naturale e, perci, a dare
anche un senso alla nostra attuale solitudine.

variazione genetica da parte delle popolazioni europee


del Pleistocene Medio ovvero della specie H. heidelbergensis, presente in questa stessa epoca anche in
Africa e in Asia in rapporto a profonde crisi demografiche, dovute ad altrettante crisi ambientali: le glaciazioni quaternarie, con lespansione delle coltri glaciali
su gran parte del territorio europeo. Il loro cervello
aveva in media le stesse dimensioni del nostro, se non
addirittura (leggermente) superiori, ma la morfologia
era diversa e questo si rifletteva nella forma del neurocranio che manteneva una struttura che potremmo
definire, in una parola, arcaica. La faccia poi assumeva nei Neanderthal una morfologia assolutamente
tipica, caratterizzandosi per uno spostamento in avanti dellapertura nasale e per una sorta di rigonfiamento
delle regioni mascellari e per gli zigomi inclinati allindietro, differenziandosi del tutto dalla nostra conformazione come anche da quella di altre specie del genere
Homo. Nelle proporzioni corporee i Neanderthal apparivano tozzi e robusti; con ogni probabilit questa conformazione (simile a quella di popolazioni attuali come
gli eschimesi) era in rapporto ai climi glaciali e consentiva di limitare le superfici del corpo esposte alla
dispersione del calore. Erano inoltre esperti nella fabbricazione di strumenti di selce e avevano sviluppato
una tecnologia litica chiamata Musteriano.

Quando per entrarono in contatto con H. sapiens


una specie evolutasi in Africa e diffusasi anche in
Europa da Oriente, come stava facendo in tutto il resto
dellEurasia e come poi far sullintero pianeta per i
Neanderthal cominci un lento ma inesorabile declino
che port alla loro completa estinzione, avvenuta intorno a 30 mila anni fa. Questa estinzione non avvenne
per interferenza diretta attraverso un genocidio, non
avvenne neanche per assorbimento delle popolazioni
neandertaliane nellonda di diffusione di H. sapiens,
attraverso ripetuti episodi di ibridazione, ci che
accadde fu probabilmente che le due specie umane
entrarono in competizione per le stesse risorse vitali.
Qualche fattore in termini di maggiore natalit o migliore organizzazione delle strategie di caccia e sussistenza o un insieme di varie cause gioc a nostro favore,
cio di H. sapiens, lasciandoci infine lunica specie
umana sopravvissuta sulla Terra: un po pi sola e,
forse, un po pi presuntuosa.
Ma come si arriva fino a qui? Prima che diventassimo
soli e prima del Neanderthal ci sono state altre specie
di Homo. La storia del nostro genere inizia effettivamente in Africa, almeno intorno a 2 milioni di anni fa
(mentre H. sapiens comparir, sempre in Africa, solo
verso i 200 mila anni fa). E probabile infatti che sia H.
ergaster in Africa, fra 1,9 milioni di anni fa e 900 mila
anni fa il primo ominide che possiamo considerare
pienamente Homo, in quanto in possesso di una morfologia scheletrica e dentaria pienamente espressa in
senso umano, a differenza dei suoi quasi contemporanei H. habilis e H. rudolfensis.
Con H. ergaster assistiamo allemergere di un modello
locomotorio che caratterizzer tutta lumanit successiva, noi compresi, e che possiamo definire come
bipedismo obbligato, distinguendolo dal bipedismo
su terreno associato alla conservazione di spiccate
capacit arboricole che aveva contraddistinto gli ominidi del Plio-Pleistocene (le australopitecine in primo
luogo, ma anche le altre controverse forme attribuite a
Homo che abbiamo appena citato). Il bipedismo obbligato fu probabilmente un adattamento alla vita negli
ambienti aperti della savana e comport cambiamenti
fisiologici e scheletrici per garantire maggiore efficienza nella corsa e resistenza nella camminata. Laltra
grande novit che le dimensioni del cervello in H.
ergaster crebbero fino a 800 ml e oltre, consentendogli di sviluppare intorno a 1,4 milioni di anni fa un tipo
di tecnologia litica relativamente complessa
(Acheuleano), che prevedeva la produzione di strumenti ritoccati su entrambi i lati e simmetrici: i bifacciali o amigdale o asce-a-mano. Venivano ottenuti
mediante una procedura non meramente opportunistica, cio non volta alla produzione di una generica
superficie di taglio per somma di tentativi, ma finalizzata alla realizzazione di una precisa forma ricorrente e
simmetrica, che sembra attestare il raggiunto sviluppo
di funzioni cognitive complesse, come quelle di astrazione e immaginazione. Probabilmente, in questo stesso periodo luomo impar a gestire il fuoco e in seguito sar pienamente in grado di ammaestrarlo.

In questo quadro generale, intorno a 1,7 milioni di


anni fa che troviamo le prime forme di Homo fuori dal
continente africano ed a questo punto che le interpretazioni dei paleoantropologi si differenziano in
maniera netta. C chi dice che la cultura abbia costituito da subito un fattore di coesione, in grado di minimizzare gli effetti della selezione naturale e di mantenere lunit della specie attraverso un flusso continuo
di scambi genetici. Questi autori non riconoscono la
validit della distinzione tra H. ergaster (in Africa) e H.
erectus (diffuso in Asia orientale) e ritengono che nel
successivo milione di anni o pi sia esistita ununica
specie umana, diffusa in Africa e in Eurasia e chiamata H. erectus (sensu lato). In una versione estrema (ma
anche ormai superata dai dati a nostra disposizione) di
tale ipotesi, detta evoluzione multiregionale, si afferma che nel corso del tempo tutte le popolazioni di H.
erectus si siano evolute in variet attuali di H. sapiens.
Ci sono poi autori che, al contrario, ritengono che fu
proprio la presenza della cultura (e non leffetto della
geografia e dellambiente) a determinare la divisione
del genere Homo in tante specie distinte. Infine, altri
ricercatori ritengono che gli eventi di speciazione non
coincidano necessariamente (o affatto) con le innovazioni culturali e che, anzi, la differenziazione biologica
abbia sempre preceduto un successivo cambio nei
comportamenti e nelle manifestazioni culturali. Come
nel caso di H. sapiens: la specie comparsa in Africa
200 mila anni fa, noi stessi, che condivise per almeno
i suoi primi 100 mila anni di esistenza un tipo di cultura simile al Musteriano dei Neanderthal, prima di
inventare il Paleolitico superiore, con tutte le sue articolazioni anche a carattere simbolico (arte).
Sar alto invece poco pi di un metro il piccolo ominide che i nostri antenati H. sapiens hanno probabilmente incontrato nellisola di Flores, nellarcipelago della
Sonda, a met strada tra lIndonesia e lAustralia. Si
tratta del pi piccolo ominide mai esistito: la statura
raggiungeva un metro appena e il cervello aveva meno
di mezzo litro di volume. E stato denominato H. floresiensis ed probabilmente uno dei discendenti della
prima diffusione extra-africana del genere Homo, quella iniziata intorno a 2 milioni di anni fa, quella che aveva
dato origine ai vari H. ergaster in Africa, H. erectus in
Africa e H. antecessor in Europa; da questa stessa
variabilit era anche derivata quella specie H. heidelbergensis che domin la scena nel Pleistocene
Medio, occupando molti territori africani ed euro-asiatici e che doveva dare a sua volta origine sia ai
Neanderthal che alla nostra stessa specie. H. floresiensis, invece, nel suo isolamento, non fu partecipe di
tutta questa storia e segu un processo evolutivo fondamentalmente governato dal fenomeno del nanismo
insulare, come ne sono documentati parecchi casi fra
i mammiferi, nel quale si combinano lisolamento geografico (e genetico), lassenza di predatori, le limitate
risorse di cibo e, in questo caso particolare, anche
lambiente caldo-umido della foresta tropicale indonesiana.
E lesempio pi vistoso di un fenomeno generale, in

48
re di queste prime forme di Homo non prevedeva infatti nessun tipo di caccia attiva, ma si limitava a sfruttare le carogne mediante una forma di approvvigionamento chiamata sciacallaggio.
Ci che conta, soprattutto, che la loro posizione nella
catena alimentare era cambiata: da un livello trofico
pi basso a uno pi alto, quello di carnivori. Se non
ancora insieme ai leoni e ai leopardi, almeno in compagnia di sciacalli, iene e avvoltoi. Siamo intorno a 2
milioni di anni fa e siamo ancora in Africa orientale e
meridionale, ma in una nuova dimensione ecologica,
con denti un po pi piccoli, con in mano manufatti del

49
Malgrado le affinit, H. neanderthalensis e H. sapiens
furono dunque due specie distinte, diverse per origine,
biologia, espressioni culturali e, in parte, stili di vita.
Forse i Neanderthal non furono mai in grado di sperimentare quella gamma di comportamenti moderni
che spesso attribuiamo loro, come la pratica di seppellire i morti o la capacit di interpretare lesistenza al
di l delle esigenze della quotidiana sopravvivenza, o
almeno nessuna delle evidenze archeologiche note
fino ad ora ci fornisce prove incontrovertibili di tali
facolt. La loro storia evolutiva si svolse interamente in
Europa e nel Vicino Oriente. La loro origine in parte
legata ad una progressiva accumulazione di
Figura 3 La distribuzione nello spazio
multivariato delle principali specie appartenenti alla linea evolutiva umana ottenuta in
base a tre parametri
bio-evoluzionistici:
dimensioni dentarie,
tassi di accrescimento e sviluppo, dimensioni encefaliche (dati
raccolti dalla letteratura specialistica, in
lavori di H. Mc Henry,
H. Hemmer e R.
Holloway).

primo paleolitico e con un cervello che ha iniziato


unespansione che sar il motivo di fondo della successiva evoluzione del genere Homo.
Quello che comunemente chiamiamo Neanderthal fu
la prima forma umana estinta ad essere riconosciuta
come appartenente ad una specie diversa dalla
nostra. Gi nel 1864 ai primi resti fossili, scoperti pochi
anni prima (1856) nella Valle detta di Neander in
Germania, veniva assegnato il nome di H. neanderthalensis e oggi, 150 anni dopo quella scoperta, abbiamo
sufficienti elementi per sapere che abbiamo condiviso
una lunga storia con i Neanderthal, prima che le strade evolutive nostra e loro divergessero intorno a 500
mila anni fa.
Che le cose siano andate cos ce lo confermano, in
modo sempre pi nitido e sempre meno contraddittorio, sia i dati della paleogenetica sia quelli della paleontologia basata sullevidenza fossile. Il fatto che le
cose siano andate cos, inoltre, ci spinge a pensare
che le radici del nostro essere umani vadano ricercate proprio in quella divergenza di mezzo milione di anni
fa. Scopriamo cos, in altri uomini biologicamente
diversi da noi, una quantit di tratti in comune che ci
aiutano a ridefinire i termini della nostra eccezionalit
rispetto ad ogni altra creatura naturale e, perci, a dare
anche un senso alla nostra attuale solitudine.

variazione genetica da parte delle popolazioni europee


del Pleistocene Medio ovvero della specie H. heidelbergensis, presente in questa stessa epoca anche in
Africa e in Asia in rapporto a profonde crisi demografiche, dovute ad altrettante crisi ambientali: le glaciazioni quaternarie, con lespansione delle coltri glaciali
su gran parte del territorio europeo. Il loro cervello
aveva in media le stesse dimensioni del nostro, se non
addirittura (leggermente) superiori, ma la morfologia
era diversa e questo si rifletteva nella forma del neurocranio che manteneva una struttura che potremmo
definire, in una parola, arcaica. La faccia poi assumeva nei Neanderthal una morfologia assolutamente
tipica, caratterizzandosi per uno spostamento in avanti dellapertura nasale e per una sorta di rigonfiamento
delle regioni mascellari e per gli zigomi inclinati allindietro, differenziandosi del tutto dalla nostra conformazione come anche da quella di altre specie del genere
Homo. Nelle proporzioni corporee i Neanderthal apparivano tozzi e robusti; con ogni probabilit questa conformazione (simile a quella di popolazioni attuali come
gli eschimesi) era in rapporto ai climi glaciali e consentiva di limitare le superfici del corpo esposte alla
dispersione del calore. Erano inoltre esperti nella fabbricazione di strumenti di selce e avevano sviluppato
una tecnologia litica chiamata Musteriano.

Quando per entrarono in contatto con H. sapiens


una specie evolutasi in Africa e diffusasi anche in
Europa da Oriente, come stava facendo in tutto il resto
dellEurasia e come poi far sullintero pianeta per i
Neanderthal cominci un lento ma inesorabile declino
che port alla loro completa estinzione, avvenuta intorno a 30 mila anni fa. Questa estinzione non avvenne
per interferenza diretta attraverso un genocidio, non
avvenne neanche per assorbimento delle popolazioni
neandertaliane nellonda di diffusione di H. sapiens,
attraverso ripetuti episodi di ibridazione, ci che
accadde fu probabilmente che le due specie umane
entrarono in competizione per le stesse risorse vitali.
Qualche fattore in termini di maggiore natalit o migliore organizzazione delle strategie di caccia e sussistenza o un insieme di varie cause gioc a nostro favore,
cio di H. sapiens, lasciandoci infine lunica specie
umana sopravvissuta sulla Terra: un po pi sola e,
forse, un po pi presuntuosa.
Ma come si arriva fino a qui? Prima che diventassimo
soli e prima del Neanderthal ci sono state altre specie
di Homo. La storia del nostro genere inizia effettivamente in Africa, almeno intorno a 2 milioni di anni fa
(mentre H. sapiens comparir, sempre in Africa, solo
verso i 200 mila anni fa). E probabile infatti che sia H.
ergaster in Africa, fra 1,9 milioni di anni fa e 900 mila
anni fa il primo ominide che possiamo considerare
pienamente Homo, in quanto in possesso di una morfologia scheletrica e dentaria pienamente espressa in
senso umano, a differenza dei suoi quasi contemporanei H. habilis e H. rudolfensis.
Con H. ergaster assistiamo allemergere di un modello
locomotorio che caratterizzer tutta lumanit successiva, noi compresi, e che possiamo definire come
bipedismo obbligato, distinguendolo dal bipedismo
su terreno associato alla conservazione di spiccate
capacit arboricole che aveva contraddistinto gli ominidi del Plio-Pleistocene (le australopitecine in primo
luogo, ma anche le altre controverse forme attribuite a
Homo che abbiamo appena citato). Il bipedismo obbligato fu probabilmente un adattamento alla vita negli
ambienti aperti della savana e comport cambiamenti
fisiologici e scheletrici per garantire maggiore efficienza nella corsa e resistenza nella camminata. Laltra
grande novit che le dimensioni del cervello in H.
ergaster crebbero fino a 800 ml e oltre, consentendogli di sviluppare intorno a 1,4 milioni di anni fa un tipo
di tecnologia litica relativamente complessa
(Acheuleano), che prevedeva la produzione di strumenti ritoccati su entrambi i lati e simmetrici: i bifacciali o amigdale o asce-a-mano. Venivano ottenuti
mediante una procedura non meramente opportunistica, cio non volta alla produzione di una generica
superficie di taglio per somma di tentativi, ma finalizzata alla realizzazione di una precisa forma ricorrente e
simmetrica, che sembra attestare il raggiunto sviluppo
di funzioni cognitive complesse, come quelle di astrazione e immaginazione. Probabilmente, in questo stesso periodo luomo impar a gestire il fuoco e in seguito sar pienamente in grado di ammaestrarlo.

In questo quadro generale, intorno a 1,7 milioni di


anni fa che troviamo le prime forme di Homo fuori dal
continente africano ed a questo punto che le interpretazioni dei paleoantropologi si differenziano in
maniera netta. C chi dice che la cultura abbia costituito da subito un fattore di coesione, in grado di minimizzare gli effetti della selezione naturale e di mantenere lunit della specie attraverso un flusso continuo
di scambi genetici. Questi autori non riconoscono la
validit della distinzione tra H. ergaster (in Africa) e H.
erectus (diffuso in Asia orientale) e ritengono che nel
successivo milione di anni o pi sia esistita ununica
specie umana, diffusa in Africa e in Eurasia e chiamata H. erectus (sensu lato). In una versione estrema (ma
anche ormai superata dai dati a nostra disposizione) di
tale ipotesi, detta evoluzione multiregionale, si afferma che nel corso del tempo tutte le popolazioni di H.
erectus si siano evolute in variet attuali di H. sapiens.
Ci sono poi autori che, al contrario, ritengono che fu
proprio la presenza della cultura (e non leffetto della
geografia e dellambiente) a determinare la divisione
del genere Homo in tante specie distinte. Infine, altri
ricercatori ritengono che gli eventi di speciazione non
coincidano necessariamente (o affatto) con le innovazioni culturali e che, anzi, la differenziazione biologica
abbia sempre preceduto un successivo cambio nei
comportamenti e nelle manifestazioni culturali. Come
nel caso di H. sapiens: la specie comparsa in Africa
200 mila anni fa, noi stessi, che condivise per almeno
i suoi primi 100 mila anni di esistenza un tipo di cultura simile al Musteriano dei Neanderthal, prima di
inventare il Paleolitico superiore, con tutte le sue articolazioni anche a carattere simbolico (arte).
Sar alto invece poco pi di un metro il piccolo ominide che i nostri antenati H. sapiens hanno probabilmente incontrato nellisola di Flores, nellarcipelago della
Sonda, a met strada tra lIndonesia e lAustralia. Si
tratta del pi piccolo ominide mai esistito: la statura
raggiungeva un metro appena e il cervello aveva meno
di mezzo litro di volume. E stato denominato H. floresiensis ed probabilmente uno dei discendenti della
prima diffusione extra-africana del genere Homo, quella iniziata intorno a 2 milioni di anni fa, quella che aveva
dato origine ai vari H. ergaster in Africa, H. erectus in
Africa e H. antecessor in Europa; da questa stessa
variabilit era anche derivata quella specie H. heidelbergensis che domin la scena nel Pleistocene
Medio, occupando molti territori africani ed euro-asiatici e che doveva dare a sua volta origine sia ai
Neanderthal che alla nostra stessa specie. H. floresiensis, invece, nel suo isolamento, non fu partecipe di
tutta questa storia e segu un processo evolutivo fondamentalmente governato dal fenomeno del nanismo
insulare, come ne sono documentati parecchi casi fra
i mammiferi, nel quale si combinano lisolamento geografico (e genetico), lassenza di predatori, le limitate
risorse di cibo e, in questo caso particolare, anche
lambiente caldo-umido della foresta tropicale indonesiana.
E lesempio pi vistoso di un fenomeno generale, in

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base al quale il genere Homo and incontro ad una
ampia differenziazione di specie, soprattutto a seguito
di fenomeni di separazione geografica e/o per speciazione divergente. Tutti questi ominidi sarebbero stati
poi sostituiti da una sola specie la nostra, H. sapiens
rimasta sola a riflettere ossessivamente sulle radici
della propria solitudine.

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Il cibo essenziale per la sopravvivenza e, tuttavia, la


sua importanza culturale e sociale va ben oltre la mera
funzione di nutrimento. Dai cacciatori-raccoglitori che
condividevano le loro prede ai cittadini che sorseggiano un drink in un caf, il modo in cui ci nutriamo sempre stato intriso di simboli e relazioni sociali. Questa
realt oggi dimostrata da una vasta letteratura sociologica e antropologica su tematiche come la preferenza alimentare, il simbolismo del cibo, la condivisione e
la reciprocit. Di fatto, gli archeologi sono stati lenti
nellaffrontare argomenti come la socialit del cibo
durante la preistoria, caratterizzata invece da studi
paleoeconomici che tuttora insistono nellequiparare
leconomia con una lista di cibi consumati, concentrandosi su aspetti adattativi come principale fattore di
riferimento strutturale della dieta umana.
Questa una perdita notevole, poich le grandi trasformazioni economiche che strutturano la dieta
umana odierna presero forma proprio nella preistoria,
in particolare il cambiamento da forme di caccia e raccolta a una economia pienamente produttiva (agricoltura e pastorizia). Questi processi segnano linizio del
Neolitico, ma anche lo sviluppo di istituzioni come la
pastorizia specializzata, conosciuta allinizio dellantichit classica ma le cui radici affondano in tempi pi
antichi, verosimilmente nella prima et dei metalli.
La storia delleconomia delle societ del passato, gi
dai primi studi sul concetto di rivoluzione neolitica
seguita dalla rivoluzione dei prodotti secondari, si
fonda sulla identificazione dei cibi prodotti e consumati. Una parte ampia della letteratura ha inoltre affrontato il tema dellintensificazione della pastorizia nellet
del Rame e del Bronzo. Con tali premesse, stato
spesso proposto che i primi agricoltori usavano gli animali solo per la carne, mentre lallevamento specializzato si svilupp pi tardi.
Il record archeologico possiede un intrinseco limite
che non consente di ricostruire un quadro economico
fedele per evidenti problemi di conservazione ma,
soprattutto, perch indicatore indiretto delle strategie
di sussistenza.

Lo sviluppo di analisi chimiche del rapporto isotopico


di elementi come carbonio (C) e azoto (N) contenuto
nel collagene conservato in resti scheletrici provenienti da siti archeologici rappresenta un passo avanti nello
studio delle economie del passato, soprattutto per la
loro capacit di restituire una evidenza diretta del cibo
consumato. Gli isotopi di carbonio e azoto contenuti
nei resti scheletrici sono in grado di differenziare tra
diverse risorse consumate. Il carbonio, ad esempio,
in grado di distinguere tra consumo di piante con
diversi processi fotosintetici, separando ad esempio
tra grano, orzo, avena (C3) e migliacee (C4). Allo stesso modo, gli isotopi dellazoto sono in grado di distinguere tra risorse marine e terrestri, e di evidenziare il
consumo relativo di risorse animali.
Lapplicazione di questo tipo di indagini si rivolta, in
nord Europa, alla identificazione di processi di transizione come per esempio tra Mesolitico e Neolitico,
mentre scarsi sono gli studi di questo tipo per larea
mediterranea. Nella preistoria del Mediterraneo lo sviluppo di caccia, agricoltura, allevamento e pesca, la
nascita di forme di scambio e, a seguire, lo stabilirsi di
network commerciali hanno certamente forgiato le vite
delle popolazioni mediterranee degli ultimi diecimila
anni.
La base-dati isotopica raccolta in questo lavoro la
pi ampia nel Mediterraneo centrale e forse in Europa.
Fornisce levidenza diretta del tipo e delle relative proporzioni di cibo consumato dai gruppi umani in Italia,
lungo un arco cronologico di diversi millenni (Fig. 1).
Levidenza forse pi eclatante il quadro omogeneo e
ricorrente delle pratiche alimentari alla transizione tra il
Neolitico e let del Bronzo. Non si registrano, infatti,
cambiamenti radicali nei cibi consumati come riflesso
di cambiamenti delle strategie economiche. La dieta,
come evidenziato dal rapporto isotopico del carbonio,
era prevalentemente incentrata sul consumo di risorse
vegetali del cosiddetto pacchetto neolitico: grano,
orzo, avena. I dati sullazoto evidenziano inoltre come
il consumo di risorse animali fosse estremamente limitato, anche in fasi (et del Bronzo) caratterizzate da

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