Dipartimento di Medicina Clinica, Sanit Pubblica, Scienze della Vita e Ambiente
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE PSICOLOGICHE APPLICATE Indirizzo: Psicologia generale, sperimentale e della valutazione clinica
TESI DI LAUREA Erika Di Sano
La dimensione emozionale umana: tra psicologia dell'autoritratto e The Self-Portrait Experience
Relatore: Prof. Mario Di Gregorio
ANNO ACCADEMICO 2011/2012
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Abstract
Le emozioni sono eterne compagne di vita delluomo. Ci aiutano a capire cosa agita lanimo umano, ci aiutano a sopravvivere e soprattutto a comunicare. A tal proposito molte teorie della psicologia delle emozioni si sono poste il quesito riguardo la loro natura, la quantit e soprattutto quali regioni del cervello umano le generano. Altri hanno studiato attentamente come esse si esprimono attraverso i muscoli facciali del volto umano. Altri ancora le hanno considerate come materiali primi per creare dei mezzi attraverso cui poterle utilizzare. E infine c anche chi le utilizza nel campo dellarteterapia e della fototerapia per promuovere il benessere psicologico delluomo. Ma qual il possibile legame tra tutti questi aspetti apparentemente scollegati tra loro e le emozioni? La risposta semplice: le emozioni esprimendosi attraverso i movimenti facciali del volto, possono essere impresse in unimmagine affinch luomo stesso osservi in modo diretto ci che nasconde negli abissi pi profondi del suo inconscio. Sicuramente si tratta di un uomo che nel proprio autoritratto non si riconoscer, o addirittura non si piacer. Questo perch magari non ha mai preso in considerazione come appare nel momento in cui vive unemozione o esprime un proprio dolore. Sar quello il momento in cui si trover ad osservare una sorta di mostro interiore o semplicemente una particolare emozione. Egli dovr fronteggiarla, capirla, intepretarla, ed una volta preso consapevolezza di essa dovr condividerla con il mondo in modo tale da accettarla con serenit. Solo allora, una volta riemerso dai profondi meandri della sua anima, diverr unicona portatrice di un messaggio diretto alla comunit intera. Questo un tipo di percorso che il metodo The Self-Portrait Experience ,creato dalla fotografa spagnola Cristina Nuez, propone a chi vuole avvicinarsi alla conoscenza del proprio s attraverso lautoritratto fotografico.
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A Bernardo Agnelli
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Indice
Introduzione ...................................................................................................................................... 5 Capitolo 1 Come nasce il desiderio del desiderio: perch non si pu non provare emozioni ...... 7 1.1 Lemozione tutto. Tutto emozione ....................................................................................... 7 1.2 Il primo passo: tradizioni storiche ............................................................................................ 14 Capitolo 2 - Le emozioni fra corpo e cervello: da dove nascono e come si manifestano ............... 27 2.1 Quante sono le emozioni: una prima definizione ..................................................................... 27 2.2 Un punto dorigine: strutture cerebrali ed emozioni ................................................................. 30 2.3 Noi e le nostre espressioni facciali ........................................................................................... 31 Capitolo 3 - Le emozioni e la fotografia: un legame profondo ...................................................... 43 3.1 Una foto, tante emozioni ......................................................................................................... 43 3.2 Noi allo specchio ..................................................................................................................... 46 3.3 Noi e lautoritratto fotografico ................................................................................................. 47 3.4 La foto-terapia......................................................................................................................... 51 Capitolo 4 - The Self-Portrait Experience ................................................................................... 53 4.1 Cristina Nuez e lautoritratto come autoterapia ...................................................................... 53 4.2 The Self-Portrait Experience ................................................................................................ 55 4.3 Il metodo: come si scelgono le opere darte.......................................................................... 60 4.4 Un esperienza diretta.............................................................................................................. 62 Conclusioni ...................................................................................................................................... 71 Bibliografia ...................................................................................................................................... 72 Ringraziamenti ................................................................................................................................ 73
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Introduzione
L'argomento che andremo ad affrontare riguarda pricipalmente il legame che pu esserci fra la psicologia delle emozioni e l'utilizzo della fotografia, in particolare dell'autoritratto, in ambito terapeutico e non. Prima di tutto, tale scelta dovuta all'estrema convinzione che le emozioni essendo strumenti molto potenti, possano essere utilizzate, attraverso una serie di metodi esistenti in ambito terapeutico, in una perfetta combinazione con la fotografia per aiutare l'animo dell'uomo a parlare, a esprimersi verso se stesso, verso gli altri e verso la realt che lo circonda. All'interno del primo capitolo partiremo ad analizzare le radici della psicologia delle emozioni, andando ad esporre le tradizioni storiche pi importanti iniziando dalla tradizione evolutiva di Charles Darwin. A seguire analizzeremo anche la tradizione psicofisiologica di William James, la neurologica di Walter B. Cannon, la psicodinamica di Sigmund Freud e per concludere la tradizione cognitiva di Fritz Heider. Successivamente nel secondo capitolo si cercher di definire il concetto di emozione. Quindi risponderemo a domande del tipo : Che cos' un'emozione?, Quali e quante sono le emozioni?, Come si riconoscono? e soprattutto Da dove vengono le emozioni?. A quest'ultima domanda, si cercato di rispondere andando ad analizzare e mostrare le strutture cerebrali sino ad oggi studiate da cui originano determinate emozioni. Infine tratteremo il lavoro di Paul Ekman riguardo le espressioni facciali, quindi parleremo di come si manifestano sul volto umano le principali emozioni quali tristezza, felicit, sorpresa, disgusto, paura e rabbia. Dal terzo capitolo in poi mostreremo come le emozioni siano strettamente legate al concetto di autoritratto sia pittorico che fotografico, al concetto della propria immagine riflessa allo specchio. Come nasce, come si sviluppa e come noi prendiamo consapevolezza di quest'ultima. Da qui presenteremo le principali teorie di Stefano Ferrari nella sua opera pi importante Lo Specchio dell''Io.
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Ricollegandoci cos al concetto di autoritratto fotografico, all'interno del quarto ed ultimo capitolo, passeremo a mostrare un metodo molto importante che sfrutta la propria immagine immortalata in una fotografia come strumento per promuovere il benessere dell'uomo. Tale metodo denominato The Self-Portait Experience della fotografa spagnola Cristina Nuez, la quale fa dell'autoritratto fotografico un mezzo efficace per la scoperta del proprio S, del rapporto con gli altri e con il mondo. Un metodo che permette di esternare le emozioni pi profonde e nascoste, con il solo obiettivo di rendere pubblico all'umanit il proprio intimo messaggio. Infine descriveremo in modo dettagliato il funzionamento di tale metodo, riportando anche unesperienza diretta relativa ad uno dei workshop tenuti da Cristina Nuez.
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Capitolo 1 Come nasce il desiderio del desiderio: perch non si pu non provare emozioni
1.1 Tutto emozione. L'emozione tutto.
John Preston: What's the point of your existence? Mary: To feel. 'Cause you've never done it, you can never know it. But it's as vital as breath. And without it, without love, without anger, without sorrow, breath is just a clock... ticking.
Equlibrium
Cera una volta una scimmia grande come un gigante che regnava su ottantamila scimmie sulle alte montagne dellHimalaya. Tra le rocce dove vivevano scorreva il fiume Gange, prima di raggiungere la valle dove erano state costruite le citt. E l, dove lacqua gorgogliante scendeva di roccia in roccia, cera un magnifico albero. In primavera produceva fiori di un tenero bianco; e pi tardi diventava carico di frutti talmente meravigliosi che nessunaltro poteva esser paragonato a loro, e i delicati venti della montagna gli donavano la dolcezza del miele. Comerano felici le scimmie! Mangiavano i frutti e vivevano allombra del meraviglioso albero. Poich alcuni rami dellalbero si distendevano sopra lacqua le scimmie, quando spuntavano i fiori, li mangiavano o li distruggevano prima che diventassero dei frutti, e se un frutto cresceva lo raccoglievano subito, anche se non era pi grande del cuore di un fiore, perch il loro capo, scorgendo il pericolo, li aveva ben messi in guardia dicendo: State attenti miei cari, non fate mai cadere un frutto nellacqua perch il fiume lo trascinerebbe verso la citt dove gli uomini, vedendo la meraviglia di questo frutto, potrebbero andare in cerca dellalbero. Risalendo il fiume fin sulle nostre alture troverebbero senzaltro lalbero,
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prenderebbero tutta la frutta e noi saremmo costretti a fuggire da qui. E cos le scimmie obbedirono e per lungo tempo nemmeno un frutto cadde mai nel fiume. Ma venne un giorno in cui un frutto maturo, nascosto da un formicaio, invisibile in mezzo alle foglie, cadde nellacqua e fu trascinato gi dalla corrente del fiume, gi per le alture rocciose, fino a valle dove la grande citt di Benares si affacciava sulle sponde del Gange. E quel giorno, mentre il frutto passava da Benares, trasportato dalle piccole onde del fiume, il Re Brahmadatta stava facendo il bagno protetto tra due reti che alcuni pescatori tenevano mentre lui si immergeva, nuotava e giocava con i piccoli raggi del sole intrappolati nellacqua del fiume. E il frutto fu trasportato dalla corrente proprio dentro una delle reti. Che meraviglia! esclam il pescatore che lo vide per primo. Dove cresce sulla terra un frutto come questo? E, afferrandolo, con gli occhi che luccicavano lo mostr al Re. Brahmadatta fiss il frutto e si stup della sua bellezza. Dove si trover lalbero che produce questo frutto? si chiese. Poi, chiamando alcuni taglialegna vicini alla riva del fiume, chiese loro se conoscevano il frutto e dove si poteva trovarlo. Sire, risposero, un mango, un mango meraviglioso. Un frutto come questo non cresce nella nostra valle, ma lass, sulle alture dellHimalaya, dove laria pura e i raggi del sole indisturbati. Senza dubbio lalbero si trova sulla sponda del fiume ed un frutto caduto nellacqua stato trascinato fin qui. Allora il Re chiese agli uomini di assaggiarne un pezzo, e quando lo ebbero fatto, lui stesso lo assaggi, e ne diede ai suoi ministri e alle persone del suo seguito. Questo frutto dissero veramente divino; non paragonabile a nessun altro. I giorni e le notti trascorrevano lenti e Brahmadatta diventava sempre pi inquieto. Il desiderio di assaporare ancora una volta il frutto diventava ogni giorno sempre pi forte. Di notte, in sogno, vedeva lalbero incantato che su ogni ramo reggeva un centinaio di coppe doro colme di nettare e miele. Adesso devo trovarlo disse il Re un giorno, e ordin che si preparasse una barca per risalire il Gange, fino alle rocce dellHimalaya dove, forse, poteva trovarsi lalbero. Lo stesso Brahmadatta part con i suoi uomini.
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Fu in realt un lungo viaggio, attraverso campi di fiori e riso, ma finalmente, una sera, il Re e il suo seguito raggiunsero le alture dellHimalaya e guardando in lontananza cosa videro? Laggi, illuminato dalla luna, si trovava lalbero tanto desiderato e i suoi frutti dorati scintillavano tra le foglie. Ma cosa si muoveva su ogni ramo? Che strane piccole ombre scivolavano tra le foglie? Guardate disse uno degli uomini, un gruppo di scimmie. Scimmie!? esclam il Re; che mangiano i frutti!? Circondate lalbero affinch non possano scappare. Allalba le uccideremo e mangeremo la loro carne e i manghi. Queste parole giunsero alle orecchie delle scimmie che, tremando, dissero al loro capo: Povere noi! Tu ci avevi avvertito, amato capo, ma alcuni frutti devono essere caduti nel fiume, perch gli uomini sono arrivati fin qui; hanno circondato il nostro albero, e non possiamo fuggire perch la distanza tra questo albero e quello pi vicino comunque troppo grande per saltarla in un sol balzo. Abbiamo udito le parole uscite dalla bocca di uno di quegli uomini che diceva: Allalba le uccideremo e mangeremo la loro carne e i manghi. Vi salver piccole mie, disse il capo non abbiate paura ma fate come vi dico. Cos,dopo averle rassicurate, il grande capo si arrampic sul ramo pi alto dellalbero. E, veloce come il vento che passa tra le rocce, spicc un lunghissimo salto nel vuoto e approd su un albero della riva opposta. Laggi, ai bordi dellacqua, sradic una lunga canna e pens: Legher un estremo della canna a questo albero e laltro al mio piede. Poi salter di nuovo sullalbero di mango; in questo modo si former un ponte sul quale i miei sudditi potranno fuggire. Ho superato con un balzo questa lunghissima distanza. La canna molto pi lunga di questa distanza per cui posso legare una delle due estremit a questo albero. Il suo cuore si colm di gioia e veloce spicc un salto indietro verso lalbero di mango. Ma ahim! La canna era troppo corta e il Re a malapena riusc ad afferrare lestremit di un ramo. Non aveva considerato se la canna sarebbe stata abbastanza lunga da permettergli di fissarla al suo piede. Con un potente sforzo si aggrapp al
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ramo e chiam i suoi ottantamila sudditi: Presto, correte attraverso la mia schiena sulla canna e mettetevi in salvo. Una ad una le scimmie correvano su di lui e poi sulla canna. Ma una di loro, chiamata Devadatta, gli salt pesantemente sulla schiena. Ahim! Un dolore lancinante lo trafisse; la sua schiena si era spezzata. Ma Devadatta, che era senza cuore, and per la sua strada lasciando il suo capo a soffrire da solo. Brahmadatta vide tutto quello che era successo e lacrime commosse sgorgarono dai suoi occhi mentre fissava il capo delle scimmie ferito. Ordin che lo portassero gi dallalbero al quale era ancora aggrappato, che gli facessero un bagno con essenze dal delicato profumo, che lo vestissero con una tunica gialla, e che lo dissetassero con acqua dolce. E quando il capo delle scimmie fu lavato, vestito, e poi adagiato sotto lalbero, allora il Re si sedette accanto a lui e gli parl: Hai fatto del tuo corpo un ponte perch gli altri potessero passare. Non sapevi che facendolo saresti morto? Hai dato la tua vita per salvare i tuoi sudditi. Chi sei , benedetto, e chi sono loro?. O Re, rispose la grande scimmia, Io sono il loro capo e la loro guida. Loro vivevano con me su questo albero, per loro ero come un padre e li ho amati tanto. Non soffro nel lasciare questo mondo perch ho ottenuto la libert dei miei sudditi. E se la mia morte pu essere una lezione per voi, allora sono ancora pi felice. Non la vostra spada che fa di voi un re; soltanto lamore. Non dimenticate che la vostra vita una piccola cosa da offrire se offrendola potrete assicurare la felicit al vostro popolo. Non regnate su di loro con il potere perch sono i vostri sudditi; piuttosto, regnate su di loro con lamore perch sono i vostri figli. Solo in questo modo sarete un re. Quando non sar pi qui non dimenticate le mie parole, O Brahmadatta! Poi lEssere Benedetto chiuse gli occhi e mor. Il Re e il suo popolo piansero la sua morte e il Re costru in suo onore un tempio bianco e puro perch le sue parole non fossero mai dimenticate. Brahmadatta govern il suo popolo con amore e furono tutti felici per sempre. 1
1 Onor Inayat Khan, Venti storie Jataka, Tradotto dall'originale inglese Twenty Jataka Tales Retold by Noor Inayat Khan. Pubblicato da EAST-WEST PUBLICATIONS (UK) Ltd. Traduzione a cura di: Amena Fumagalli Maria Grazie, aprile 2010.
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La storia che ci propone Noor Inayat Khan, intitolata Il ponte delle scimmie, ci svela nel sacrificio del s, la vera essenza dell'amore altruista. Un amore cos forte in grado di spingerci oltre il nostro spirito di conservazione, in grado di farci compiere sacrifici per il benessere e la sopravvivenza altrui. Da ci possiamo asserire con una certa facilit che i nostri sentimenti, passioni, desideri, emozioni sono il fulcro essenziale della nostra esistenza. Sono ci che influenzano e determinano straordinariamente il nostro agire. Come suggerisce il titolo di questo paragrafo, le emozioni fanno parte di qualsiasi aspetto della vita. Esse sono tutto ci che vogliamo nel momento in cui non necessitiamo di una semplice raccolta di informazioni, ma semplicemente nel momento in cui desideriamo essere scossi da qualcosa, o meglio quando vogliamo sentire qualcosa. Quando osserviamo un'opera d'arte, quando guardiamo un film, uno spettacolo teatrale o quando ascoltiamo un notturno di Fryderyk Chopin, un coinvolgimento emotivo quello a cui aneliamo e quello che naturalmente ed inevitabilmente sentiamo. Certamente le emozioni sono una dimensione problematica e molto complessa, ma le ritroviamo nella letteratura, nella musica, in qualsiasi forma d'arte e perfino nella storia, nel corso della quale, per esempio, il Romanticismo ha rappresentato un movimento letterario, artistico e culturale completamente incentrato sull'esaltazione non solo della fantasia, della spiritualit e dell'immaginazione, ma in particolar modo dell'emotivit. Difatti, il movimento non presentava uno schema preciso di idee che permetteva di definirlo in modo globale, ma si basava semplicemente su un modo di sentire, il quale costituiva la base del modo di esprimersi artisticamente, pensare e vivere degli artisti. Di conseguenza, come affermava Robert Collingwood nella sua teoria dell'arte che aderiva perfettamente a quella romantica, L'arte molto semplicemente l'espressione delle emozioni 2 . Quindi una sorta di leva che stimola continuamente la creativit dell'artista inteso anche in senso non professionale del termine. Ognuno di
2 Collingwood, R.G. The principles of art, Oxford University Press, USA 1958
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noi pu essere definito un artista che esprime giornalmente le proprie emozioni sotto qualsiasi forma. Cos come nella storia della letteratura, arte e cos via, fortunatamente, il cinema in molti film, ancora da il giusto valore al tema delle emozioni rammentando il cosiddetto sentimento romantico che consiste nel desiderio del desiderio. Uno dei tanti esempi, nell'ambito sempre della cinematografia, del fatto che l'uomo non pu vivere senza emozioni e che la qualit della vita senza di esse sarebbe decisamente pessima, rappresentato dal film Equilibrium (2002), scritto e diretto dal regista Kurt Wimmer. L'atmosfera che si respira all'interno della pellicola molto particolare. Ci viene mostrata una societ futuristica e dispotica che ha asserito la completa rimozione delle emozioni nell'uomo, per mezzo di una droga, come soluzione definitiva alla guerra, all'odio, alle atrocit del mondo e all'aggressivit dell'uomo stesso. Nessuna emozione, nessun conflitto. Tutto ci che pu ricordare anche un piccolo frammento di emozione viene considerato illegale. Un quadro, un disco, un libro, un nastro profumato, la cornice barocca di uno specchio, perfino gli animali. Qualunque cittadino che provi un barlume di emozione viene condannato a morte accusato di reato di emozione. E qui il protagonista ,inizialmente servo e devoto all'idea del sistema convito dell'inutilit delle emozioni, comincia a saltare l'intervallo quotidiano della sua dose di Prozium. John Preston, un giorno, svegliandosi di soprassalto al sorgere del sole, con il rumore della pioggia, madido di sudore e con il cuore che sta per saltargli fuori dal petto, capisce che l'universo delle emozioni un mondo travolgente, intenso ma anche caratterizzato da un concetto paradossale: le emozioni hanno un prezzo. Un prezzo la cui parcella aumenta se ci si abbandona ad esse senza porsi dei limiti. Quando non ci sono freni, non c' controllo. L'emozione caos. 3
In questa pellicola ci sono molti attimi che mettono in evidenza quanto sia necessario ed inevitabile per l'uomo provare e sentire. Dalla scena in cui il nostro protagonista si commuove nell'ascoltare per la prima volta un vinile di Wagner alla scena in cui, in mezzo alla folla di persone pronte a recarsi sul proprio posto di lavoro, John Preston
3 Wimmer K, Equilibrium, film 2002
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si sfila furtivamente il guanto di pelle dalla mano destra per provare semplicemente la sensazione che scaturisce dal tatto, dal toccare la superficie lisca e fredda di un corrimano. E con grande sorpresa si rende conto di non essere l'unico a compiere quel piccolo gesto. Perci tra le varie pellicole esistenti nella cinematografia che riguardano questo tema cos particolare e splendidamente complesso, questo film riuscito a dimostrare come qualsiasi aspetto della nostra vita, anche un semplice gesto, un sorriso o addirittura una piccola boccetta di profumo, possa scatenare una reazione emotiva. Quindi... un'emozione cos'? Cosa rappresenta? Quando l'uomo ha iniziato a chiedersi da dove le emozioni provengono? Quando ha preso consapevolezza di sentire, di provare qualcosa? E inoltre, sappiamo di per certo cos' un'emozione? Sappiamo definirla? Abbiamo una spiegazione scientificamente valida su cosa significhi e rappresenti il nostro 'modo di sentire'? Un' emozione come uno strattone: qualcuno ti sollecita, ti tira per la manica. A volte una scossa violenta, un colpo doloroso. Richiede di essere riconosciuta, esige di essere compresa. Le emozioni rappresentano indicatori preziosi dell'importanza di un dato elemento e costituiscono l'occasione per porsi un determinato problema: come tali sono tra gli aspetti pi affascinanti della vita mentale, sia noi stessi che per coloro che ci stanno a cuore. 4
E' relativamente semplice stabilire a cosa si avvicini di pi la sensazione di un' emozione, o cosa si prova nel sentirla. Keith Oatley la paragona ad uno strattone, altri possono paragonarla ad una tempesta, ad un pugno in faccia, ad un respiro mozzato o ad un senso di leggerezza. Tutti metaforicamente, e utilizzando un'infinit di parole o aggettivi, possiamo definire a grandi linee cosa potrebbe essere. Ma dare un nome esatto ad un'emozione ci risulta particolarmente complicato. Si rimane in silenzio, ci si prende lunghi attimi per pensare ad un qualche aggettivo, a qualche parola che sappia descrivere bene ci che sentiamo, cerchiamo di fare una sorta di classificazione e cos, in sostanza, i nostri tempi di risposta si allungano. Pertanto,
4 Oatley K. , Breve storia delle emozioni, traduzione di Cristina Spinoglio, il Mulino 2007
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non vi concetto pi veritiero di tale battuta: ognuno sa che cos' un'emozione, finch non gli si chiede di definirla. 5
1.2 Il primo passo: tradizioni storiche
Si detto che tutti noi tacitamente sappiamo che cos' un'emozione ma non sappiamo definirla quando ci viene chiesto. Eppure molte tradizioni storiche nello studio delle emozioni hanno preso mano a mano la loro forma, esponendo i propri concetti, esperimenti, ipotesi, affermazioni nel cercare di dare loro una spiegazione. Nomi come Charles Darwin, William James, Walter Cannon, Sigmund Freud e Fritz Heider hanno segnato la nascita di tali tradizioni, ognuna con uno specifico percorso che le differenzia l'una dall'altra.
La tradizione evolutiva: Charles Darwin 6
Charles Robert Darwin ( Shrewsbury, Shropshire, 1809 - Down, Kent, 1882 ) ,figlio del celebre medico Robert Darwin, fu mandato a studiare medicina all'Universit di Edimburgo all'et di 15 anni. Ma il mondo della medicina non si rivel completamente adatto al suo temperamento, cos il padre sinceramente preoccupato per il suo futuro, lo mand al Christ's College di Cambridge a studiare teologia. Durante tale periodo, incoraggiato dal suo professore di botanica John Henslow, scopr un fervido interesse per la natura. Cos dopo essersi diplomato, si imbarc come naturalista sul brigantino H.M.S. Beagle, il quale stava per iniziare un viaggio di ben cinque anni intorno al mondo per preparare le carte di navigazione per la flotta britannica. Grazie a questo tipo di esperienza Darwin ebbe la possibilit di catalogare una moltitudine di specie di animali, piante e fossili. Scopr formazioni geologiche e aree mai esplorate sino ad allora e prese nota di tutte le sue osservazioni.
5 Fehr e Russell, 1984. 6 R. Plutchik (1994). Psicologia e biologia delle emozioni, trad. it. Elena Izard, Torino, Bollati Boringhieri editore s.r.l.
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Nel periodo in cui il Beagle trascorse circa due mesi nei pressi delle Isole Galapagos, Darwin continu la sua raccolta di campioni sino a paragonare gli animali e le piante di quest'area geografica con quelle del continente sudamericano, e fu impressionato dalle loro somiglianze tanto da chiedersi perch gli organismi delle Galapagos dovessero somigliare di pi a quelli del Sud America anzich a quelli provenienti dalle isole di diverse parti del mondo. Nonostante tali somiglianze, egli not anche delle nette differenze tra i rettili e gli uccelli delle isole adiacenti. A questo punto, nel momento in cui Darwin cominci a considerare come le specie si siano originate prende in considerazione molteplici aspetti. Il primo che prese in considerazione riguarda un'opera che aveva con s durante il suo viaggio sul Beagle: Priciples of Geology del geologo Charles Lyell del 1830. L'idea che interess Darwin riguardava il lento andamento dei processi geologici, ancora in atto nel nostro presente, i quali erano sinonimo dell'enorme antichit della Terra. Altro aspetto che lo colp, proveniva dal fatto che allevatori e agricoltori erano riusciti ad ottenere numerose variet di animali domestici e di piante con le caratteristiche desiderate, grazie alla cosiddetta selezione artificiale. Da qui, avvalendosi della conoscenza di tale procedura, Darwin formul la teoria della selezione naturale strettamente legata a quella dell adattamento, secondo la quale nella lotta per la sopravvivenza variazioni favorevoli tendevano ad essere conservate a dispetto di quelle non favorevoli. Egli svilupp tale idea grazie all'osservazione delle abitudini degli animali e delle piante e anche grazie al concetto di lotta per l'esistenza di Malthus. Dalle sue osservazioni, cap che organismi meglio adattati al variare delle condizioni di vita avevano maggiori possibilit di sopravvivere e dare origine ad una generazione successiva che con l'andare del tempo, presenter sempre pi caratteri favorevoli, mentre quelli sfavorevoli li diminuiranno. Il processo di evoluzione di Darwin, attraverso il meccanismo della selezione naturale, era basato su quattro elementi fondamentali: 1. Variabilit: ogni popolazione presenta una grande variabilit rispetto ai loro caratteri, ed ogni individuo dotato di una combinazione unica di
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caratteristiche, come il colore o la capacit di resistere a determinate condizioni ambientali sfavorevoli. Inoltre tale variabilit, necessaria per l'evoluzione mediante la selezione naturale, genetica e pu essere trasmessa alle generazioni future. 2. Sovrapproduzione: ogni specie presenta la capacit di produrre pi discendenti di quanti possano sopravvivere. 3. Limiti alla crescita della popolazione ( lotta per l'esistenza ) : la presenza di determinati limiti, o fattori, come predatori, organismi patogeni, limitata quantit di cibo, luce, acqua o altri tipi di risorse ambientali portano gli appartenenti di una stessa specie a competere e a combattere fra di loro per assicurarsi la sopravvivenza. Di conseguenza non tutti gli individui, presenti in numero maggiore rispetto alla quantit limitata di risorse ambientali, hanno la possibilit di sopravvivere sino alla riproduzione. 4. Successo riproduttivo differenziale: poich la prole tende ad essere simile ai propri genitori, generazioni che presentano caratteri favorevoli avranno maggiori possibilit di successo sia riproduttivo che relativo alla sopravvivenza stessa. Mentre quelli con caratteri non favorevoli tendono a morire prematuramente o producono prole meno numerosa o poco in salute.
Darwin partendo dall'assunto biologico della Creazione, tipico dell'epoca vittoriana, secondo il quale Dio aveva creato ogni specie di pianta e di animale, ed inoltre aveva creato separatamente l'uomo a sua immagine e somiglianza, svilupp una tesi del tutto anti-creazionista dove gruppi di esseri viventi di una stessa specie si evolvono grazie al principio della selezione naturale e in risposta a modificazioni ambientali. Egli inoltre interpret i cambiamenti corporei, sia in relazione alla forma degli organi, muscoli, becco, di varie parti del corpo e sia in relazione agli stili di vita degli animali, come un adattamento alle mutazioni delle condizioni di vita. Di conseguenza la riuscita di tali adattamenti assicurava la sopravvivenza della specie e invece la scomparsa di quei gruppi rivelatisi inadeguati a tali cambiamenti ambientali.
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Darwin, inoltre, riscontr che il processo evolutivo non riguardava solamente i caratteri favorevoli e non favorevoli, ma anche il comportamento espressivo dell'animale in s, ovvero le posture, i gesti e le espressioni facciali. Cos, oltre alla pi famosa opera intitolata L'origine delle specie, pubblicato per la prima volta il 24 novembre del 1859, egli si occup anche dell'universo delle espressioni facciali nell'opera intitolata L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali , pubblicato nel 1872. Per la stesura di tale libro, egli si serv di numerosi dati ed informazioni fornitegli da guardiani di zoo, esploratori, missionari ed inoltre i suoi dati comprendevano anche molti studi di espressioni facciali prodotte artificialmente negli esseri umani tramite stimolazione elettrica dei muscoli del volto. Tutta la sua opera relativa all'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali si basa su tre principi fondamentali da lui formulati:
1. Principio delle abitudini associate utili Alcuni atti complessi hanno un' utilit diretta o indiretta in certi stati d'animo, perch alleviano o soddisfano particolari sensazioni, desideri e cos via . Tale principio, come spiega Darwin, precisa che ogni qual volta si viene a riprodurre un determinato stato d'animo, vi la tendenza a ripetere sempre gli stessi atti complessi in forza dell'abitudine o per associazione. E parlando di abitudine, egli fa riferimento al processo di trasformazione di quegli atti e movimenti riflessi in atti e movimenti che oggi possiamo definire come innati. 2. Principio dell'antitesi Quando sopravviene uno stato d'animo che sia l'esatto contrario del precedente, si ha una forte e involontaria tendenza ad eseguire, quand' anche siano del tutto inutili, movimenti di natura opposta, in alcuni casi altamente espressivi.
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Darwin per spiegare al meglio il senso del suo secondo principio offre una vasta gamma di esempi straordinari di antitesi negli animali, in particolare nel cane e nel gatto. Per quello che concerne il cane, egli riporta il classico esempio di atteggiamento ostile e feroce nei confronti di un altro cane o di un uomo del tutto sconosciuto. Si mostra in una posizione del tutto rigida, la coda eretta, il pelo rizzato, le orecchie tese in avanti e lo sguardo fisso. Ci stato riscontrato anche nell'atteggiamento felino nel caso di minaccia da parte di un cane, dove il gatto inarca il dorso, drizza il pelo, apre la bocca mostrando i denti e soffia. Cos come negli animali, atteggiamenti di antitesi sono stati riscontrati anche nell' uomo. Difatti Darwin ci riporta ,come esempio di movimento compiuto come reazione naturale allo stato d'animo opposto, lo stringersi le spalle. Tale movimento lo si compie per una serie di motivi diversi. 3. Principio degli atti determinati dalla costituzione del sistema nervoso, totalmente indipendenti dalla volont ed entro certi limiti anche dall'abitudine. Quando il sistema sensoriale fortemente eccitato, si genera un eccesso di energia nervosa che si trasmette in alcune direzioni definite, dipendenti dalle connessioni delle cellule nervose e in parte dalle abitudini; oppure, a quanto risulta, l'afflusso di energia nervosa pu venire interrotto. Sono cos prodotti effetti che noi interpretiamo come espressivi. 7
Nella trattazione del terzo principio, Darwin lo definisce sinteticamente come principio dell'azione diretta del sistema nervoso e cerca, data la vastit e la complessit dell'argomento, di mostrare altri numerosi esempi di casi di eccitazione del sistema nervoso che si trasmette a vari sistemi del corpo con l'avvento di determinate reazioni indipendenti dalla volont come sudorazione, tremore, svuotamento vescica o perdita del colore dei capelli.
7 Ibid.
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Alla base di tale lavoro, si pu concludere che la concezione darwiniana del comportamento espressivo di tipo funzionale. Le espressioni emotive negli animali, cos come nell'uomo, hanno una funzione ben precisa. Esse preparano all'azione, permettono di effettuare una comunicazione reciproca tra animali della stessa specie o di una specie diversa. In sostanza sono fondamentali per la sopravvivenza stessa. Inoltre Darwin consider nel suo studio, un altra serie di questioni. Prima fra tutte l'universalit delle espressioni emozionali e il loro carattere innato. Not e descrisse accuratamente come alcune espressioni compaiono in forma simile in molti animali, come alcune espressioni compaiono nei neonati con le stesse modalit attraverso le quali compaiono negli adulti, come appaiono in forma uguale nei bambini nati ciechi e in quelli con vista normale, ed infine, come alcune espressioni emozionali compaiono in forma simile in razze e gruppi umani eterogenei. Nonostante ci, egli si rese anche conto che alcuni gesti non sono innati ma sono semplicemente appresi ed utilizzati volontariamente e consciamente come semplice mezzo di comunicazione, un classico esempio quello di riunire le mani mentre si recita una preghiera. Altra questione che Darwin affronta ne L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali, se gli animali sono in grado di riconoscere le espressioni emozionali negli altri esseri. A tal proposito, egli riscontr una certa scarsit di dati, ma si limit ad ipotizzare che gli animali erano in grado di riconoscere le espressioni emozionali nell'ambito della loro specie. Ovvero i gatti sapevano riconoscere le espressioni emozionali in altri gatti e non nell'uomo. Nell'ultimo capitolo, infine, Darwin present una riflessione relativa ad alcune espressioni considerate pi o meno primitive. Egli afferm che il riso, la paura e la rabbia sono espressioni emotive primitive, mentre segni di sofferenza e pianto siano pi tardive essendo state acquisite in un secondo momento. Per concludere, grazie ai brillanti studi di Darwin e attenendoci alle sue ideologie e principi precedentemente esposti, si pu dire che la storia delle espressioni emozionali conferma in un certo senso che l'uomo deriva da una qualche forma animale, ed inoltre grazie alla sua opera che lo studio delle emozioni pass da
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un'impostazione solamente basata sullo studio delle sensazioni soggettive, ad un contesto prettamente biologico e comportamentale.
La tradizione psicofisiologica: William James 8
William James, psicologo e filosofo statunitense di origine irlandese (New York, 11 gennaio 1842 Chocorua, 26 agosto 1910), dodici anni dopo la pubblicazione del libro di Darwin sull'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali, pubblic un articolo che cambi totalmente la visione relativa alla dimensione emozionale e che nel contempo diede origine ad una nuova tradizione nella psicologia delle emozioni. Facendo un breve excursus biografico, William James si iscrisse alla Harvard University per intraprendere gli studi di medicina, laureandosi nel 1869. Nell'arco del periodo precedente fu colto da una grave depressione in Germania, a seguito di una malattia fisica prendendo anche in considerazione l'idea del suicidio. James non esercit mai la professione del medico. La sua carriera si svilupp interamente all'interno dell'ambiente universitario, divenendo prima assistente professore di fisiologia, professore di filosofia nel 1885 ed infine professore di psicologia nel 1890. Con tale professione istitu il primo laboratorio di psicologia sperimentale negli Stati Uniti e pubblic, dopo essersi occupato minuziosamente di vari campi riguardanti la psicologia, Principi di psicologia (Principles of Psychology), in due volumi, nel 1890. Essendo stato anche professore di filosofia ed essendosi occupato dei relativi temi, pubblic altre opere come The Will to Believe (1897), The Varieties of Religious Experience (1902) e Pragmatism (1907). Inizialmente abbiamo parlato di un articolo pubblicato da William James che ha apportato un nuovo modo di concepire l'emozione. L'articolo in questione What is an emotion? pubblicato nel 1884 sulla rivista di filosofia Mind , trattato poi in modo pi esteso in Principles of Psychology.
8 R. Plutchik (1994). Psicologia e biologia delle emozioni, trad. it. Elena Izard, Torino, Bollati Boringhieri editore s.r.l.
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All'interno di esso James capovolge totalmente un concetto molto semplice: secondo il pensare comune lo stimolo innescato dalla percezione di un determinato avvenimento dava origine ad una risposta emotiva seguita poi da una, o da pi modificazioni fisiologiche. Per William James tale sequenza era del tutto errata. Per lui le modificazioni fisiologiche seguivano direttamente lo stimolo innescato dalla percezione dell'evento eccitante e la sensazione di queste modificazioni l'emozione stessa. Inoltre egli afferma che tali modificazioni fisiologiche possono essere percepite dall'uomo all'interno del suo corpo, cos come pu percepire ci che avviene nell'ambiente esterno. Di conseguenza un elemento fondamentale della sua teoria che un'emozione sconnessa da ogni sensazione fisica non concepibile. Non possibile percepire un'emozione senza percepirne contemporaneamente i segnali fisici. Inoltre le modificazioni fisiologiche ritornano alla mente sotto forma di sensazioni fisiche attraverso uno schema chiamato di retroazione sensoriale, il quale da ad ogni emozione delle caratteristiche che la distinguono dalle altre e per questo motivo provare paura diverso dal provare rabbia. come se l'aspetto mentale di ogni emozione avesse una sua gamma specifica di reazioni fisiologiche e di conseguenza non tremiamo perch abbiamo paura, ma abbiamo paura perch tremiamo. Questa teoria per, come precisa James, pu essere applicata solo nel caso di emozioni grezze, come ad esempio sofferenza, paura, rabbia e amore ma non alle emozioni pi sottili le quali vengono considerate come sensazioni morali, intellettuali ed estetiche. Infine William James accenn allevenutialit di riportare forti sensazioni emozionali senza mostrare alcuna modificazione fisiologica, come ad esempio pu accadere nel sogno, ma egli non diede alcun tipo di spiegazione per tale possibilit. In conclusione dati i diversi studi effettuati da James e i suoi seguaci sulle relazioni fra stati emotivi e modificazioni fisiologiche, si definisce il suo orientamento come tradizione psicofisiologica 9 .
9 Ibid. pp 46
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La tradizione neurologica: Walter B. Cannon 10
Walter Bradford Cannon, fisiologo statunitense, (Prairie du Chien, Wisconsin, 1871- Franklin, New Hampshire, 1945) fu il primo ad utilizzare i raggi X, appena scoperti in quell'epoca, in ricerche sulla digestione, ma fu anche il primo ad attaccare la teoria di William James. Proveniente anch'egli dalla Harvard University, divenne prima assistente in fisiologia alla facolt di medicina e poi fu , sino alla pensione, professore e ricercatore. Come detto in precedenza utilizz per primo i raggi X e ignorandone totalmente i rischi mor di malattia provocata dalle radiazioni. Pubblic molti libri relativi alle sue diverse ricerche, riportandone alcuni: Mechanical Factors of Digestion (1911) , basato sull'attivit motoria dello stomaco e dell'intestino, Bodily Changes in Pain, Hunger, Fear and Rage (1929) , interamente basato sulla relazione fra stati emozionali influenzati dai processi fisiologici, ed infine The Wisdom of the Body (1932) riguardante il concetto di omeostasi . Inoltre egli non fu famoso solamente per via di questi studi, ma va ricordato anche per la sua teoria neuronale dell'emozione, o teoria Cannon-Bard, sviluppatasi mediante ricerche effettuate in laboratorio da Philip Bard. Tale teoria verr spiegata ed approfondita successivamente. La teoria di Cannon, da come si pu evincere dai dati contenuti nel suo libro Bodily Changes in Pain, Hunger, Fear and Rage, si basa sui seguenti semplici punti: 1. La mancanza di feedback sulle modificazioni fisiologiche, o retroazione fisica, non aveva effetto alcuno sull'espressione delle emozioni, come invece aveva contrariamente previsto la teoria di James. A questa conclusione Cannon vi giunse attraverso alcuni esperimenti sulle unit simpatiche del sistema nervoso autonomo di diversi gatti. Lui e i suoi colleghi notarono che la rimozione di quest' ultime, nonostante l'inibizione di alcune azioni dell'organismo come quella dello stomaco o dell'intestino, oppure l'inibizione del rilascio di zucchero nel sangue da parte del fegato, non impedivano ai
10 Ibid. pp 47
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loro animali di laboratorio di mostrare reazioni di rabbia, piacere o paura nell'entrare in contatto con altri animali. 2. Tutte le risposte viscerali a stimoli stressanti sono troppo simili per dare una connotazione diversa ad ogni emozione. Sia nel caso di emozioni forti, o stress non emozionali come l'esercizio fisico, le risposte fisiologiche appaiono troppo omogenee per permettere la distinzione fra le varie emozioni. 3. I movimenti viscerali come quelli dello stomaco, intestino, milza, fegato o diaframma non sono in grado di essere percepiti dall'essere umano. Pertanto tali eventi non possono essere utili per il riconoscimento e la differenziazione delle emozioni. 4. Il tempo di reazione alla stimolazione degli organi interni si rivelato troppo lento. Di conseguenza molto improbabile che informazioni che possano aiutare il soggetto a distinguere lo stato emozionale in cui si trova, arrivino rapidamente al cervello. 5. Artificiali modificazioni indotte agli organi viscerali tipiche di alcune forti emozioni non producono sensazioni emozionali.
Tale teoria, viene anche definita teoria dell'emergenza. Facendo un sunto di tutti questi principi fondamentali su cui si basa il pensiero di Cannon, le modificazioni fisiologiche non sono in grado di darci informazioni sulle emozioni, sono considerate piuttosto degli adattamenti omeostatici che aiutano l'organismo a preparasi all'azione. Difatti le sue ricerche, lo hanno portato alla scoperta di una reazione di emergenza, una risposta fisiologica che si verifica nel momento in cui il corpo deve spendere energia fisica. Detto in altri termini, quando il nostro corpo si ritrova in situazioni appunto di emergenza, per esempio una situazione di pericolo, la prima azione che noi istintivamente andremo a compiere sar di lotta o fuga. Nella lotta per esempio, i muscoli utili per quest' azione avranno bisogno di pi energia rispetto agli organi
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interni coinvolti nella digestione, e qui la circolazione sanguigna entra in gioco in quanto responsabile della distribuzione delle risorse nelle varie parti del corpo. La teoria neuronale dell'emozione invece, o teoria Cannon-Bard, indipendente da quella appena trattata. Come detto in precedenza, essa nata da determinati studi fatti in laboratorio, e grazie a questi si ipotizz che la struttura neuronale associata all'esibizione della rabbia sia localizzata nel cosiddetto talamo ottico. Cannon, infatti, afferm che una scarica talamica in grado di produrre contemporaneamente una risposta emozionale ed una serie di modificazioni viscerali e corporee. Quindi, anche se James e Cannon consideravano entrambi i resoconti dei pazienti e dei soggetti sperimentali come materiale affidabile riguardo le sensazioni emozionali, discordavano riguardo alla fonte di quest'ultime. James difatti riteneva che le visceri, o gli organi interni, fossero la fonte dell'esperienza emozionale, mentre Cannon la identificava nel talamo.
La tradizione psicodinamica: Sigmund Freud 11
Sigmund Freud, conosciuto come il principale esponente della psicoanalisi, non svilupp mai una teoria vera e propria sulle emozioni, o come preferivano chiamarle gli psicoanalisti affetti. Bens, grazie alla pubblicazione del suo lavoro Studi sull'isteria (1895) e la collaborazione con Josef Breuer nello sviluppare un metodo per il trattamento delle pazienti isteriche, ne gett ampiamente le basi per l'interpretazione delle emozioni stesse. Egli si incentr nell'approfondire alcuni aspetti della sfera affettiva, come la depressione, gli stati misti e in particolar modo l'angoscia. Le basi della sua teoria consistevano nel concetto di pulsioni. Egli distinse due tipologie di pulsioni, le prime sessuali e le seconde denominate pulsioni dell'Io, all' interno delle quali Freud collocava l'aggressivit, la fame, l'odio e la distruttivit. Esse vengono considerate come delle spinte interne, o degli stimoli interni, che hanno la facolt di influenzare il nostro comportamento sia per quanto riguarda la
11 Ibid. pp 51
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direzione che per l'azione in se per s. Inoltre sono caratterizzate da una fonte, una meta e un oggetto. La fonte consiste nello stimolo interno citato prima, la meta il piacere o la scarica e l'oggetto infine pu variare a seconda dei casi. Caratteristica essenziale delle pulsioni la loro versatilit, possono essere spostate, focalizzate o addirittura trasformate. Successivamente egli apport una modifica alla sua teoria, introducendo le pulsioni di vita e di morte. Ad ogni modo, come detto in precedenza, la teoria di Freud ed in particolare quella delle pulsioni non rappresenta una teoria delle emozioni, tuttalpi consiste in una base per l'interpretazione di quelle dimensioni affettive su cui egli focalizz la propria attenzione: ansia, o angoscia, e depressione. Concentrandosi maggiormente sull'angoscia Freud svilupp diverse teorie, partendo dal presupposto che essa consiste in una reazione dovuta all'incapacit di affrontare una condizione di stress, oppure che si trattasse di una conseguenza alla rimozione dell'affetto. In sostanza, dopo diverse formulazioni di varie teorie, Freud riusc finalmente a concludere che l'angoscia non il risultato di una rimozione ma ne la causa. Di conseguenza la fonte di essa, o la sua valutazione, non riconosciuta mentre l'angoscia espressa liberamente lo . Quindi la valutazione di un evento pu essere inconscia mentre il processo di risposta non lo . Altro aspetto su cui si concentr Freud in relazione alla rimozione di un affetto che, nonostante le varie trasformazioni che l'espressione di un'emozione pu subire, esistono sempre dei piccoli segni che attestano la sua esistenza. Tali segni risiedevano nei sogni, nei lapsus linguae, nella comunicazione non verbale, quindi nel comportamento e nelle espressioni facciali. Di conseguenza molto semplice dedurre che il solo resoconto verbale emotivo di un soggetto, non sempre corrisponde, o corrisponde parzialmente, al suo stato interiore. Infine altro punto fondamentale della tradizione psicoanalitica che le emozioni difficilmente si presentano allo stato puro. E' molto pi comune trovarsi di fronte a stati misti, in quanto le emozioni vengono generate da pulsioni diverse, con oggetto diverso, meta e fonte diversa, le quali risalgono alla prima infanzia. Difatti lo scopo
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principale della psicanalisi proprio quello di andare a definire gli elementi costitutivi di tali stati complessi. Tirando le somme, la tradizione psicoanalitica, nel suo contributo agli studi riguardanti l'universo delle emozioni, o degli affetti, ha prima di tutto eliminato il problema che sia William James e Cannon si erano posti, ovvero se si verifica per prima la sensazione o la risposta fisica, affermando che entrambi gli eventi derivano da una valutazione inconscia in quanto le emozioni stesse sono inconsce a loro volta.
La tradizione cognitiva: Fritz Heider
Lo psicologo Fritz Heider, una delle figure pi importanti della tradizione cognitiva, pubblic nel 1958 un libro intitolato Psicologia delle relazioni interpersonali. All'interno di tale opera Heider analizz il linguaggio che veniva usato dalle persone per descrivere le loro credenze, motivazioni e sensazioni, e di conseguenza dimostr come potesse esistere una relazione fra emozione e cognizione. Difatti i nostri pensieri, idee, convinzioni posso influenzare automaticamente le nostre emozioni e il nostro comportamento. Ma viceversa anche le emozioni possono andare a modificare capacit e cognizioni, ad esempio, nei casi in cui la rabbia offusca la capacit di giudizio andando ad esagerare cos i difetti della persona in questione che si lasciata assalire da tale stato emotivo. Di conseguenza, secondo la tradizione cognitiva, emozioni e cognizioni si influenzano reciprocamente attraverso un sistema di feedback circolare. Questo assunto incoraggi notevolmente la psicologia sociale a continuare sulla scia di Heider, proseguendo cos nel cercare un nesso fra stati cognitivi e varie emozioni specifiche. All'interno di questo capitolo abbiamo trattato brevemente come nacquero le prime tradizioni storiche, o le prime scoperte, o se vogliamo anche i primi studi, che hanno dato una forma originaria a ci che il vasto mondo delle emozioni. Un mondo cos complesso che ancora oggi caratterizzato da diversi schieramenti dal punto di vista dottrinale.
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Capitolo 2 Le emozioni fra corpo e cervello: da dove nascono e come si manifestano
Innanzi tutto, l'emozione! Soltanto dopo la comprensione! Paul Gauguin
2.1 Quante sono le emozioni: una prima definizione
Ci siamo posti una serie di domande riguardo la provenienza delle emozioni o dell'emozione, le origini, la loro natura, una spiegazione al nostro modo di sentire, ma principalmente come possiamo definire l'emozione? Prendendo spunto da un qualsiasi vocabolario, nel nostro caso, di lingua italiana, ecco a quale definizione ci troviamo di fronte: emozine s. f. [dal fr. motion, der. di mouvoir mettere in movimento sul modello dellant. motion]. Impressione viva, turbamento, eccitazione: le. della vincita, di quellinatteso incontro; le e. del viaggio; andare in cerca di nuove e.;essere in preda alle., a unintensa e.; essere preso, essere sopraffatto dalle.; la forte e. gli impediva di parlare. In psicologia, il termine indica genericamente una reazione complessa di cui entrano a far parte variazioni fisiologiche a partire da uno stato omeostatico di base ed esperienze soggettive variamente definibili (sentimenti), solitamente accompagnata da comportamenti mimici. 12
Nel momento in cui ci ritroviamo a leggere questa definizione, ovviamente senza le dovute conoscenze, ignoriamo completamente la moltitudine di descrizioni che molti campi di studio ci hanno fornito nell'arco di anni ed anni di ricerche di esperimenti. In relazione alla nostra dimensione di competenza risulta doveroso prendere in considerazione le definizioni dateci dalla psicologia delle emozioni: essa ci ha fornito
12 http://www.treccani.it/vocabolario
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innumerevoli spiegazioni riguardo la natura dell'emozione e di conseguenza abbiamo ancora oggi uno scenario piuttosto assortito in quanto, ogni definizione di molti studiosi, psicologi e non, stata fornita in base a vari elementi strutturanti l'emozione stessa. Difatti quando se ne parla, bisogna far riferimento per esempio alle espressioni facciali, alle sensazioni somatiche che esse attivano oppure a come interpretiamo l'emozione stessa. Prendendo in considerazione, per fare un esempio, il tema delle sensazioni somatiche, intese come modificazioni corporee, possiamo citare tranquillamente John Watson il quale, all'interno di un articolo del 1924, affermava che un'emozione una reazone strutturata ereditaria che implica profonde modificazioni in tutti i meccanismi corporei, ma in particolare sistemi viscerali e ghiandolari. Ancora, rimanendo sempre all'interno della stesso tema, abbiamo Walter Cannon che nel 1929 afferm: la qualit peculiare dell'emozione si aggiunge alla semplice sensazione quando vengono stimolati i processi talamici. Un altro esempio che possiamo riportare la visione dell'emozione come una forma di prontezza all'azione, di conseguenza come una reazione. A tal proposito possiamo citare Nico Frija, psicologo olandese che nel 1986 concep le emozioni come una modificazione della prontezza all'azione in risposta a situazioni di emergenza o a interruzioni. E ancora, Andrew Ortony nel 1988: Le emozioni sono reazioni, a valenza positiva o negativa, a eventi, agenti o oggetti, la cui particolare natura determinata dal modo in cui viene costruita la situazione elicitante. Questa manciata di esempi che abbiamo riportato, per esporre in maniera molto abbreviata la variet di ideologie che si sono sviluppate in merito al tema delle emozioni all'interno della psicologia, sono solo una piccolissima parte di tutto questo panorama. La definizione pi approssimativa e valida, frutto dell'integrazione di varie spiegazioni forniteci da tutti questi studiosi, a cui oggi possiamo far riferimento, la seguente: L'emozione un insieme complesso di interazioni tra fattori soggettivi e oggettivi, mediate da sistemi neurali/ormonali, che possono, a) dare origine a esperienze affettive come sensazioni di attivazione e di piacere/dispiacere; b)
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generare processi cognitivi come effetti percettivi emotivamente rilevanti, valutazioni, processi di etichettamento; c) attivare aggiustamenti fisiologici di vasta portata alle condizioni elicitanti; d) portare a un comportamento che spesso, ma non sempre, espressivo, finalizzato e adattivo. 13
Dopo aver fornito questa definizione che pi si accosta alla somma di tutti i risultati che si sono ottenuti da vari studi, una domanda a cui proveremo rispondere : quali e quante sono le emozioni? Riguardo al definire il numero esatto di emozioni, in questo caso definite primarie, le quali vengono riscontrate nel comportamento umano, anche in questa sede ci ritroviamo a fronteggiare diverse teorie. Partendo da Cartesio, il quale ipotizz l'esistenza di sole sei emozioni primarie, a Darwin che afferm l'esistenza di sette emozioni tra cui primarie e miste, arriviamo a Plutchik, il quale ipotizz invece l'esistenza di ben otto emozioni divise in quattro coppie: la rabbia e la paura, la tristezza e la gioia, la sorpresa e l'attesa, il disgusto e l'accettazione. Da queste emozioni primarie, che in altri tipi di teorie sono state suddivise in modi diversi, secondo altri autori, deriverebbero un'altra serie di emozioni denominate secondarie o complesse, come per esempio l'odio o il disprezzo per McDougall. Invece, secondo il modello delle espressioni facciali ideato da Paul Ekman, di cui parleremo successivamente in modo approfondito, le emozioni primarie sono rappresentate dalla paura, la rabbia, la sorpresa, disgusto, tristezza e felicit. Inoltre considerandole in sede di terminologia o di denominazione, non possibile stabilire precisamente il numero di emozioni esistenti, in quanto in base al contesto culturale, storico e soprattutto sociale le emozioni stesse, o i termini che vengono utilizzati per indicarle, cambiano di significato. Di conseguenza molti ricercatori concordano sull'esistenza di un piccolo numero di emozioni primarie esistenti, ma in base al contenuto che gli assegniamo, tale numero potrebbe essere del tutto illimitato.
13 R. Plutchik (1994). Psicologia e biologia delle emozioni, trad. it. Elena Izard, Torino, Bollati Boringhieri editore s.r.l.
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2.2 Un punto d'origine: strutture cerebrali ed emozioni
Spesso utilizziamo espressioni come ragionare con la mente oppure ragionare con il cuore. Tali espressioni popolari ci porterebbero a riflettere sull'esistenza di due tipologie di menti, una basata sulla razionalit quindi che pensa, e l'altra basata sui sentimenti cio una mente che prova emozioni. Entrambe con le loro funzioni costituiscono ed influenzano il nostro comportamento. A tal proposito possiamo citare le parole di Daniel Goleman in Intelligenza Emotiva: La mente razionale la modalit di comprensione della quale siamo solitamente coscienti: dominante nella consapevolezza e nella riflessione, capace di ponderare e di riflettere. Ma accanto a essa c' un altro sistema di conoscenza impulsiva e potente, anche se a volte illogica, c' la mente emozionale. La dicotomia emozionale/razionale simile alla popolare distinzione fra cuore e mente. 14
Mente emozionale e mente razionale, come sostiene Goleman, sono semi- indipendenti in quanto l'una funge in funzione dell'altra. Inoltre il loro modello di funzionamento riflette l'attivit di alcuni circuiti cerebrali importantissimi, i quali rappresentano i punti focali della loro genesi. Principalmente, la struttura cerebrale che ha un ruolo essenziale per le emozioni, oltre ovviamente la funzione globale di controllo e di modulazione della neocorteccia, il sistema limbico, insieme all'ippocampo e all'amigdala, localizzati nel lobo temporale vicino al ventricolo laterale del cervello. Suddetto sistema limbico fu scoperto da alcune osservazioni di un neuroanatomico di nome J.W. Papez (1937), il quale not che una serie di strutture cerebrali interconnesse fra di loro erano in grado di costituire un circuito regolatore dell'esperienza emozionale. Successivamente, grazie al lavoro del fisiologo McLean, si arriv ad includere all'interno di tale sistema l'amigdala e l'ippocampo. L'amigdala, una struttura cerebrale a forma di una mandorla situata nelle profondit del lobo temporale, definita come la sede di tutte le passioni, di emozioni che
14 D. Goleman (2001). Intelligenza emotiva, BUR Saggi, Milano
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vanno ben oltre il semplice affetto. E' considerata, secondo il lavoro del neuroscienziato Joseph LeDoux, il centro di tutte le emozioni, il centro dell'azione. Da alcune ricerche effettuate, soprattutto nel campo della ricerca di un rimedio all'epilessia, emerso che la stimolazione elettrica di questo piccolo organo in grado di controllare le risposte del sistema nervoso autonomo attraverso modificazioni del battito cardiaco, della pressione sanguigna e anche della respirazione. Inoltre, grazie al lavoro di due fisiologi di nome Kluver e Bucy, stato stabilito che la rimozione dell'amigdala causa sia negli animali che nell'uomo una sorta di cecit affettiva. Una condizione all'interno della quale manca una totale reattivit emozionale, un importante deficit della memoria, un aumento dell'appetito e dell'attivit sessuale. La funzione dell'ippocampo, invece, all'interno del funzionamento del sistema nervoso centrale non ancora conosciuto alla perfezione. Esso formato da un gruppo di nuclei che si estendono sul pavimento del terzo ventricolo, all'interno del lobo temporale. La sua rimozione a quanto pare, determina una perdita della memoria immediata e una comparsa di deficit dell'apprendimento.
2.3 Noi e le nostre espressioni facciali
Basta guardare qualcuno in faccia un po' di pi, per avere la sensazione alla fine di guardarti in uno specchio. Riprendendo queste famose parole dell'opera di Paul Auster, intitolata Mr. Vertigo (1994), cominciamo ad inoltrarci nella meravigliosa dimensione di un mezzo fondamentale per la comunicazione dell'uomo. Uno strumento che ci aiuta quotidianamente ad esprimere le nostre emozioni, sia per scopi comunicativi che per scopi strettamente legati alla sopravvivenza, e che fornito di un modello di funzionamento universale per tutta l'umanit. Questo strumento sono le espressioni facciali. Tutti in determinate situazioni utilizziamo i muscoli del viso per comunicare qualcosa tacitamente, oppure per sottolineare maggiormente il nostro messaggio comunicativo. Quando siamo adirati digrigniamo i denti, quando siamo tristi o disperati pieghiamo i lati della bocca verso
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il basso, quando siamo euforici e sorpresi sgraniamo gli occhi e sorridiamo mostrando tutti i nostri trentadue denti, se ce ne fosse la possibilit. Ogni singolo e microscopico muscolo del volto viene utilizzato per questo splendido scopo, e come in ogni scoperta che si rispetti troviamo un percorso storico ben preciso fatti di studi, di esperimenti e di illuminazioni formidabili. Come ben sappiamo, il primo ad occuparsi dell'espressione delle emozioni attraverso i movimenti dei muscoli facciali, fu Darwin all'interno della sua famosa opera L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali (1872) di cui abbiamo ampiamente parlato in precedenza. Dopo di lui si susseguirono molti ricercatori e studiosi che grazie alla loro opera diedero vita a tante teorie dell'espressione facciale. In tale sede ci occuperemo principalmente al lavoro di Paul Ekman, il quale con la collaborazione di Wallace V. Friesen giunse a delle scoperte che rivoluzionarono completamente il mondo della psicologia delle emozioni, una fra queste fu l'esperienza presso le alture della Papua Nuova Guinea. Ma prima di procedere facciamo un piccolo sunto della sua biografia. Paul Ekman, psicologo statunitense, nacque nel 1934 a Washington. Fu studente presso la University of Chicago e la New York University e nel 1971 ricevette un Scientist Research Award dal National Institute of Mental Health (NIMH), il quale per oltre quarant'anni finanzi la sua ricerca riguardo il riconoscimento delle espressioni facciali. Ancora oggi Paul Ekman considerato uno degli uomini, ed anche uno degli psicologi, pi importanti e influenti del mondo. Ekman, insieme alla collaborazione di Wallace Friesen, come abbiamo detto in precedenza, fece una delle scoperte pi importanti all'interno di questo campo di ricerca. Punto focale del loro esperimento, era quello di cercare di dare un'ulteriore affermazione all'ipotesi di Darwin, ovvero che tutte le espressioni facciali delle emozioni sono universali e che di conseguenza sono comuni a tutti gli uomini. Per affermare tale conclusione, entrarono in contatto con un gruppo culturale di lingua Fore della Nuova Guinea sudorientale, una cultura dell' et della pietra con
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scarsissimi contatti con il mondo Occidentale, perci non avevano mai visto un film e non erano nemmeno mai entrati in contatto con persone dell'Occidente. Fu prelevato un campione di persone da questo gruppo culturale e ad ogni persona, con le dovute semplificazioni, furono letti dei racconti. A seguito di questi racconti gli vennero mostrate tre figure contemporaneamente dove ognuna di esse mostrava un' emozione diversa. A questo punto il soggetto doveva scegliere quale dei volti mostrava l'emozione descritta dal racconto. Dai dati ottenuti, si osserv che vi era un'alta percentuale di accordo fra adulti e bambini per quanto riguardava appunto il riconoscimento delle emozioni primarie. A seguito di tale studio, Ekman e Friesen prepararono delle fotografie che coglievano espressioni facciali degli stessi abitanti della Papua Nuova Guinea, e le mostrarono a studenti americani per avere un ulteriore riscontro: quasi tutti individuarono in modo corretto le emozioni. Dopo questa verifica aggiuntiva, i due studiosi poterono concludere il concetto esposto da Darwin molto prima secondo cui particolari espressioni facciali sono universalmente associate a particolari emozioni era completamente veritiero. Ekman e Friesen per presero anche in considerazione come determinate regole culturali potessero influenzare l'espressione di tali emozioni. Regole che imponevano in specifiche situazioni di mostrare o non mostrare una determinata emozione. Tali regole, prendono il nome di regole di esibizione. Un tipico esempio che possiamo riportare, come la cultura giapponese impone, come segno di educazione, il non mostrare in nessun modo, le proprie emozioni. Procedendo ora nel dettaglio, tutto il lavoro di Ekman e Friesen si incentr principalmente all'analisi della mimica facciale e di come il volto comunica i propri messaggi emotivi attraverso dei segnali. Difatti essi lo definiscono come un sistema multisegnale. Questi segnali si suddividono in tre tipologie: statici, a variazione lenta e rapidi. I primi fanno riferimenti ad elementi permanenti all'interno del nostro volto, come il colore degli occhi o della pelle, i secondi invece fanno riferimento a quegli aspetti che con il tempo tendono a mutare, come ad esempio le rughe. Infine quelli rapidi
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sono rappresentati dai movimenti dei nostri muscoli facciali, e sono quelli che vengono utilizzati per trasmettere messaggi emotivi e messaggi emblematici. Un messaggio emblematico nel nostro caso ha un significato molto preciso, ovvero sta a significare una frase ben precisa, un contenuto che pu essere colto nell'ambito di determinati setting culturali. Un esempio di messaggio emblematico potrebbe essere il pollice in su per esprimere un consenso. Infine tali segnali rapidi, come sottolinea Ekman, possono essere utilizzati anche come punteggiatura all'interno di un discorso. Basti pensare alle persone che per parlare si servono dei gesti o della mimica facciale per introdurre all'interno di un discorso virgole, accenti o punti. Inoltre alcune mimiche invece sono estremamente rapide, ed in questo caso possiamo parlare di microespressioni. Esse vengono considerate maggiormente autentiche rispetto ad una macroespressione la quale perdura sul viso in un arco di tempo pi lungo ( dai due ai tre secondi ). Le microespressioni pertanto, hanno una durata nettamente inferiore rispetto a quella delle macroespressioni, quindi sono pi difficili da cogliere nel nostro interlocutore. Ma insieme alla mimica facciale, possiamo affermare con tranquillit che tutto il corpo ci invia dei messaggi piuttosto chiari. Il tono della voce per esempio, oppure l'inclinazione del capo, la postura che assumiamo, i movimenti delle braccia, delle gambe, delle mani, perfino la direzione in cui dirigiamo sguardo pu inviare al nostro interlocutore dei messaggi piuttosto chiari. Inoltre ogni messaggio che inviamo, volontario o involontario che sia, pu essere sincero quanto falso. La bravura in cui Ekman ha eccelso stata proprio quella di distinguere la menzogna dalla verit analizzando, in termini di mimica facciale, ogni emozione primaria ovvero la tristezza, la felicit, la sorpresa, il disgusto, paura e la rabbia, attraverso il cosiddetto FACS (Facial Action Coding System), un sistema che permette di individuare tutte le unit di azione del volto in cui si esprime la mimica facciale. Facendo riferimento all'opera pi importante di Ekman Gi la maschera (2007), esporremo ora le principali emozioni da lui accuratamente studiate.
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La tristezza
La tristezza un'emozione da cui tutti fondamentalmente vorremo stare lontani. La tristezza porta sofferenza. Una sofferenza che alberga silenziosamente in noi e che pu essere generata da qualsiasi avvenimento spiacevole: la morte di una persona cara oppure l'essere abbandonati da una persona altrettanto importante per noi. Ekman lo definisce come un sentimento passivo e non attivo. La persona colta dalla tristezza in genere non colta da nessuna forza che la spinga ad essere attiva per poter in qualche modo reagire. Il dolore che arreca la sofferenza e di conseguenza la tristezza, un dolore puramente emotivo. Esso deriva appunto da perdita, da disperazione, da abbandono, da delusione. Ma fortunatamente, non tutti gli esseri umani reagiscono alla fonte della loro tristezza in modo del tutto passivo. Possono si mettere in pratica delle attivit che ai nostri occhi sembrano puramente afinalizzate, ma in realt per la persona in questione rappresentano l'unico modo per combattere o far fronte alla fonte della propria sofferenza. La tristezza un'emozione che oltre ad avere diversi livelli di intensit, pu mescolarsi con altre emozioni in particolare alla rabbia ed alla paura, ma questo dipende anche dalle situazioni in cui noi ci troviamo. Per quanto riguarda la mimica, sostanzialmente individuare un volto triste ci appare piuttosto semplice. Le sopracciglia sono sollevate e ravvicinate, gli angoli della bocca sono piegati verso il basso e le labbra in alcuni casi possono tremare per via del pianto o per via dell'emozione mista alla paura. O ancora la bocca pu storcersi per via dell'unione con altre emozioni, come detto in precedenza la rabbia. Inoltre le palpebre degli occhi vengono coinvolte dal movimento delle sopracciglia e di conseguenza viengono a formarsi dei triangoli con l'angolo interno in su.
La felicit
Se la tristezza l'emozione da cui tutti noi non vorremmo mai essere sopraffatti, la felicit invece rappresenta l'emozione che tutti desiderano. C' chi dice che la felicit
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non duri che un attimo o che il ricordo di essa in quel momento non pi felicit. In molti modi viene intesa proprio perch, secondo un personale parere, totalmente irraggiungibile. Nessuno sa con certezza cosa sia, l'unica cosa certa che l'uomo l'agogna. Ma ricordando anche delle parole importanti di Friedrich Nietzsche secondo il quale la felicit non fare tutto ci che si vuole, ma volere tutto ci che si fa, possiamo raggiungerla anche attraverso la nostra condizione di libert. Ovvero essendo artefici del nostro destino. Mettendo in pratica la nostra possibilit di poter divenire ci che vogliamo potremo riuscire in qualche modo a raggiungere questo stato di felicit. Ekman suddivide la felicit di quattro diverse tipologie. La prima quella che deriva dal piacere. Il piacere in s non pu essere definito un'emozione, ma pi che altro una sensazione. Esso si riferisce appunto a sensazioni fisiche, e difatti Ekman lo definisce come il diretto opposto del dolore. Successivamente abbiamo l'eccitazione, alcuni la definiscono come un'emozione a s stante in quanto risulta molto difficile cercare di individuarla in termini di mimica facciale. Essa pu derivare dalla prospettiva di un evento emozionante oppure coinvolta nell'esperienza sessuale. Inoltre si contrappone a ci che rappresenta la noia. Mentre quest'ultima ci rende passivi, inattivi ci che ci eccita ci che attira la nostra attenzione, che ci stimola per fare qualcosa di nuovo. Semplicemente ci fa sentire pi vivi. La terza tipologia di felicit. quella che deriva dalla cessazione di un dolore o quando i nostri bisogni vengono soddisfatti, come per esempio la fame. La quarta infine quel tipo di felicit che deriva dalla nostra soddisfazione. Nel momento in cui raggiungiamo un obiettivo piuttosto importante, nel momento in cui siamo riusciti a migliorare la nostra persona da un punto di vista psicologico o estetico, nel momento in cui un nostro amico ci fa un complimento e ci esterna i propri sentimenti nei nostri confronti ci sentiamo felici. Per quanto concerne la mimica facciale della felicit, elemento fondamentale sicuramente il sorriso anche se quest'ultimo pu essere utilizzato per inviare al nostro interlocutore una gamma di messaggi piuttosto eterogenea. Difatti un sorriso
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silenzioso pu essere sinonimo di paura, di rabbia, quindi lo si pu usare per mascherare anche altri tipi di emozioni. Di conseguenza gli angoli della bocca sono piegati verso l'alto e stirati, inoltre nel sorriso essa pu essere chiusa o aperta, lasciando scoperti o coperti i denti. Una ruga appare, la cosiddetta piega rino-labiale, la quale scende dal naso sino agli angoli della bocca. Le guance sono sollevate, negli angoli esterni degli occhi appaiono le zampe di gallina ed infine la palpebra inferiore presenta rughe dovute al sollevamento delle guance. E' ovvio che in conformit all'intensit dell'emozione espressa tali posizioni dei muscoli facciali possono variare visibilmente.
La sorpresa
Dopo aver parlato di emozioni contrapposte, passiamo a quella che l'emozione pi breve e volatile di tutte, ovvero la sorpresa. In che situazioni noi proviamo sorpresa? Sicuramente in casi dove si verifica un evento per noi inaspettato o come Ekman lo definisce dis-aspettato, un evento che appunto va contro le nostre attese. Quindi ci che caratterizza tale emozione il verificarsi di un evento totalmente diverso dalle nostre aspettative e che di conseguenza genera sorpresa a causa di questo contrasto. Per esempio, se mentre siamo in unaula universitaria in attesa dell'arrivo del nostro professore per ascoltarne la lezione entrasse un suo supplente o il professore di un'altra materia, sicuramente noteremo qualcosa di completamente diverso da quello che ci aspettavamo. Se invece riusciamo a prevedere il verificarsi di alcuni eventi, allora la sorpresa non si verifica e di conseguenza non possiamo esserne sorpresi. Inoltre se essa si protrae per lungo tempo, si cade in una condizione di disorientamento o addirittura paura. Abbiamo detto che la sorpresa ha una durata piuttosto breve, questo perch una volta svanita, a seconda dell'entit dell'evento inatteso, subentra rapidamente un'altra emozione. Ecco perch in alcune situazioni ci ritroviamo a pronunciare la tipica frase: Ma che bella sorpresa, oppure Che brutta sorpresa!. Insomma l'emozione in s per s a dare una valenza positiva o negativa all'evento dis-aspettato, di
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conseguenza sul nostro volto pu apparire una mimica facciale che non esprime una singola emozione, ma un miscuglio di esse. Inoltre, la sorpresa varia di intensit. La forma pi intensa, la pi particolare in assoluto e soprattutto ritenuta la pi spiacevole, denominata startle reaction, ovvero la reazione di trasalimento. Essa presenta una mimica facciale piuttosto singolare: la testa arretrata, le palpebre sbattono, le labbra si ritirano e si verifica il cosiddetto movimento di sobbalzo o sussulto. Una reazione di questo tipo si verifica quando per esempio sentiamo un rumore piuttosto forte ed improvviso, come quello di un colpo di pistola. Riguardo la mimica della sorpresa uno dei punti molti importanti del volto sono le sopracciglia, le quali si sollevano. Se rimangono per sollevate per pi di qualche secondo la persona potrebbe esprimere dubbio o incredulit, oppure se tale movimento accompagnato da una bocca disgustata all'interno di una conversazione, la persona in questo caso comunicherebbe scetticismo marcato. Inoltre il sollevamento delle sopracciglia solitamente pu essere usato anche come un gesto di saluto, il cosiddetto lampo di sopracciglio che potrebbe anche essere definito un segnale universale. Gli occhi sorpresi rimangono spalancati con la palpebra inferiore rilassata e quella superiore sollevata, lasciando visibile quella parte tipicamente bianca dell'occhio chiamata sclerotica. Inoltre tale movimento degli occhi potrebbe presentarsi anche da solo, senza essere accompagnato da quello delle sopracciglia. La mascella invece ricade durante la sorpresa, lasciando aperta o socchiusa la bocca. Qui non c' ne stiramento ne tensione delle labbra. Inoltre il grado attraverso il quale la mascella ricade spalancando o meno dalla bocca, dipende dall'intensit della sorpresa.
Il disgusto
Il disgusto rappresenta una delle emozioni tipiche della repulsione. Esso di solito viene suscitato dalla vista di oggetti, odori od esperienze tattili che contrastano
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fortemente con i nostri gusti e che di conseguenza riteniamo appunto deplorevoli, disgustosi. Di conseguenza la classica reazione che si verifica innanzi ad una cosa che noi riteniamo ripugnante quella dell'allontanamento. Ovviamente si tratta di una reazione di intensit poco elevata, difatti la reazione massima alla vista di qualcosa di disgustoso o al sentore di un odore decisamente poco gradevole consiste nella nausea e soprattutto nel vomito. Il disgusto inoltre viene differenziato da Ekman dal disprezzo. Esso non deriva da un'esperienza fisica, ovvero che coinvolge i nostri sensi. Deriva in un certo senso dalla nostra etica morale. Se noi non condividiamo le azioni di una persona, che giudichiamo come deplorevoli, proveremo solamente disprezzo per il soggetto in questione. Inoltre il disgusto o disprezzo pu mescolarsi tranquillamente ad altre emozioni, come la rabbia oppure la gioia, la tristezza o la paura. Per quanto concerne la rabbia, possiamo provare tale emozione nei confronti di un pedofilo per l'ingiustizia delle sue azioni ma al contempo per la natura dei suoi atti proviamo molto disgusto. Esiste anche una categoria di persone che invece trova giovamento nel godere del disprezzo. Si tratta di persone che guardano gli altri, e la societ in s, dall'alto verso il basso. Il tutto per mantenere un certo prestigio sociale. Difatti sono altezzosi, superbi e compiaciuti di se stessi. Riguardo la mimica, l'espressione di tale emozione si concentra nella parte bassa del volto e nella palpebra inferiore. Ekman ha individuato alcuni punti salienti tra cui: il labbro superiore sollevato, il labbro inferiore sollevato a sua volta e premuto contro il labbro superiore e il naso viene arricciato. Le guance invece vengono sollevate e compaiono delle pieghe sotto le palpebre inferiori mentre le sopracciglia sono abbassate, spingendo in basso la palpebra superiore. Espressioni di disprezzo invece riportano leggeri cambiamenti sul viso come ad esempio labbra serrate e gli angoli della bocca tesi. Ovviamente qualsiasi mimica facciale, in virt di qualsiasi emozione, muta a seconda dell'intensit dell'esperienza provata. D'altronde il disgusto si sa, viene mescolato a rabbia, sorpresa e anche paura.
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La paura
Un'emozione legata all'essere primitivo dell'uomo. Il semplice concetto di sopravvivenza, quindi di imparare ad evitare situazioni che ci potrebbero mettere in pericolo, sono strettamente collegate all'esperienza della paura. Spesso proviamo paura in anticipo, in previsione di una condizione all'interno della quale oggetti, persone o qualsiasi altra cosa potrebbero attentare alla nostra incolumit. Ecco perch l'essere umano impara da subito a prevedere i pericoli, a sfruttare quello che Damasio chiama marcatore somatico. Ekman afferma che la paura si distingue dalla sorpresa per tre caratteristiche fondamentali. In primo luogo la paura, a differenza della sorpresa, un'emozione terribile. Riguardo inoltre all'intensit, il massimo grado consiste nel terrore. Esso l'esperienza pi traumatica e pi estenuante tra tutte le altre. Vi sono alterazioni corporee quali palpitazioni, tremori, perdita di urina e feci e soprattutto si resta paralizzati se si viene sopraffatti dal terrore. La seconda differenza, che la distingue sempre dalla paura, che si pu temere qualcosa di molto familiare, un qualcosa che noi conosciamo bene e che in un breve periodo di tempo accadr. Un classico esempio l'attesa per il nostro turno durante una sede d'esame oppure quando stiamo per esibirci con il nostro gruppo musicale su di un palcoscenico. L'ultima differenza riguarda semplicemente la durata. Si sa che la sorpresa la pi breve delle emozioni mentre la paura purtroppo pu durare per diverso tempo, pur essendo consapevoli della situazione o dell'oggetto o della persona che ci spaventa. Ovviamente l'intensit varia anche dal grado di pericolo che corriamo. La paura pu mescolarsi ad altri tipi di emozioni come la rabbia sia rivolta verso l'esterno che rivolta verso noi stessi per esserci messi in situazioni di pericolo, disgusto oppure felicit per la fine di un dolore o per un pericolo scampato. Per altre persone invece la paura una piacere mentre per altre pu essere un'esperienza del tutto nociva.
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Passando alla mimica, le sopracciglia in questo caso sono ravvicinate molto di pi rispetto ad una situazione di sorpresa ed inoltre sono sollevate. Altri cambiamenti li notiamo soprattutto negli occhi, essi sono aperti, tesi e con la palpebra superiore sollevata mentre quella inferiore contratta. Elemento che la differenzia ulteriormente dalla sorpresa. La bocca aperta, le labbra tese e stirate all'indietro.
La rabbia
Di solito gli uomini quando sono tristi non fanno niente; si limitano a piangere sulla propria situazione; ma quando si arrabbiano, allora si danno da fare per cambiare le cose. 15
Quando le persone si arrabbiano si danno da fare per cambiare le cose, quando le persone si arrabbiano possono aggredire qualcuno, quando le persone si arrabbiano perch magari son state ferite in qualcosa a loro particolarmente caro. La rabbia quindi a cosa serve e quando si manifesta? Sicuramente una delle emozioni pi intense ma anche pericolose che gli esseri viventi possano esprimere. L'uomo pu esprimere rabbia per molte ragioni e in molte situazioni diverse. In alcuni casi essa viene giustificata e compresa ma anche condannata, in altri casi la rabbia si fa protagonista di atti puramente folli e bellici ed li che viene reputata come atto di follia. Sostanzialmente tale emozione pu essere suscitata per mille ragioni. Una di queste consiste nella frustrazione. Nel momento in cui veniamo ostacolati da qualcosa o da qualcuno, magari nel raggiungere un obiettivo per noi piuttosto importante, proviamo rabbia e siamo tentati ad eliminare tali ostacoli con attacchi fisici o verbali. Altra situazione potrebbe essere quella di esprimerla contro un aggressore, contro qualcuno che ci fa delle minacce fisiche. Nel caso di un aggressore per noi debole ed insignificante proveremo rabbia, nel caso invece di un aggressore pi forte di noi molto pi probabile che proveremo paura.
15 Malcolm X, Malcolm X Speaks, 1965
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Un' altra fonte di tale emozione sono le tipiche situazioni in cui veniamo investiti dalla rabbia altrui, soprattutto nei casi in cui sappiamo perfettamente di non meritarcela e quindi di non essere nel torto. Come ben si sa, essa non fa che generare altra rabbia se non subentra in modo tempestivo la nostra razionalit. Altre fonti inoltre possono essere azioni o frasi che non ferendoci dal punto di vista fisico, possono ferirci da un punto di vista psicologico come un'offesa verbale, un rifiuto o addirittura un insulto. Un altro tipo di rabbia invece quello che pu essere suscitato nell'essere spettatori di un abuso nei confronti di alcuni valori morali a noi pi cari. Difatti ci sono molti casi che possono far innescare tale emozione relativi a questo ambito, per esempio vedere un bambino punito in modo eccessivo, oppure nei confronti dello sfruttamento di animali all'interno dei circhi. La rabbia di conseguenza anche legata alla moralit. Esistono inoltre diversi gradi attraverso i quali pu manifestarsi. Essa pu essere espressa attraverso un semplice fastidio, una smorfia, una frecciatina ad una battuta piuttosto acida sino ad esplodere in una totale incapacit a reprimere i propri impulsi. Cos dalla rabbia si pu passare al vero furore: il viso si arrossa, il respiro si fa pi veloce, la pressione sanguigna aumenta, la postura diviene eretta protendendosi leggermente in avanti e le vene della fronte e del collo si gonfiano. Per quanto riguarda la mimica invece le sopracciglia del viso sono abbassate e ravvicinate, le quali provocano delle classiche rughe verticali. Le palpebre sono tese e gli occhi di chi arrabbiato con noi sembrano fissarci in maniera dura, agghiacciante. Mentre per la bocca esistono due tipi di posizioni base: la prima presenta le labbra serrate mentre la seconda si presenta con le labbra aperte e tese. Nel primo caso tale mimica pu presentarsi, ad esempio, quando tentiamo di reprimere il nostro impulso rabbioso o quando magari non vogliamo rispondere dicendo qualcosa di ostile e particolarmente offensivo. Nel secondo caso, si tengono le labbra aperte proprio per gridare o esprimere la propria rabbia a parole. Come sostiene Ekman, l'espressione facciale della rabbia genericamente molto difficile da cogliere, ovvero presenta delle ambiguit se tali posizioni del volto non compaiono in tutte e tre le aree del viso: occhi, bocca e sopracciglia.
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Capitolo 3 Le emozioni e la fotografia: un legame profondo
Ci che fuori di te una proiezione di ci che dentro di te, e ci che dentro di te una proiezione del mondo esterno. Perci spesso, quando ti addentri nel labirinto che sta fuori di te, finisci col penetrare anche nel tuo labirinto interiore. E in molti casi un'esperienza pericolosa. 16
3.1 Una foto, tante emozioni
Venire strettamente a contatto con i meandri pi profondi ed anche oscuri della nostra personalit e delle nostre emozioni non mai un compito semplice. Prendendo ispirazione dalle parole dello scrittore giapponese Haruki Murakami, dal suo romanzo Kafka sulla spiaggia, siamo la proiezione del mondo esterno e ci che fuori di noi una proiezione di ci che dentro di noi e quello che dentro di noi spesso ci fa paura. Lo accantoniamo nel nostro piccolo pezzo di oscurit che la psicologia analitica junghiana chiama ombra. Ogni volta che cerchiamo di chiudere gli occhi prima di andare a dormire, ogni volta che usciamo di casa per andare a lavoro od ogni volta che ci guardiamo allo specchio, quello che apparentemente non ci piace del nostro essere interiore o esteriore lo dimentichiamo per paura di tutte le emozioni che da esso possono scaturire, e cos cerchiamo un aspetto adeguato con cui affrontare il mondo che ci aspetta. Ma nonostante questo terrore, questa paura di un insieme di emozioni che potrebbero rivoluzionarci la giornata, cosa certa che in diversi modi non possiamo sfuggirgli. Tutto emoziona l'uomo. Tutto ci che ci circonda suscita emozioni. Perfino il nostro autoritratto visto per la prima volta oppure visto sotto una luce diversa.
16 H. Murakami (2009). Kafka sulla spiaggia, trad. it. Giorgio Amitrano, Torino, Giulio Einaudi editore s.p.a.
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Difatti cosa accade nel momento in cui guardiamo una foto? E pi precisamente un ritratto fotografico? L'espressione della modella, del modello oppure della persona ignara a cui stata rubata silenziosamente una foto ci pu colpire. Ci possiamo soffermare sugli occhi o sulle pieghe delle labbra. Su un' espressione di gioia o di disperazione, su un' espressione di euforia o di infinita tristezza noi soffermiamo li il nostro sguardo riconoscendo perfettamente quelle emozioni immortalate in un attimo e che sempre ci accompagnano e ci accomunano come esseri umani. Nell'osservare un semplice sorriso od un urlo muto di dolore noi proviamo emozioni. Quindi, cosa potrebbe accadere nel momento in cui ci scattano una foto in prima persona oppure quando ci scattiamo una foto? Una prima reazione sar quella di notare se siam venuti bene o meno, quindi cercare di capire se siamo fotogenici oppure no. Dopo di che, continuando apparentemente sulla linea dell'estetica, presteremo attenzione sull'espressione. Se un'espressione buffa, seria, orrida, simpatica, bellissima. In un modo o nell'altro facciamo comunque caso all'espressivit del nostro volto. In alcuni casi ci si ferma semplicemente al tipo di espressione, in altri si va ben oltre al movimento muscolare e si cerca di capire e affrontare ci che vi si nasconde dietro: le nostre emozioni e la nostra identit. In quel momento decidiamo se accettare la nostra immagine oppure rifiutarla. Rapportarsi con le proprie espressioni facciali e cos anche con le proprie emozioni, utilizzarle come mezzo comunicativo per gli altri magari attraverso l'arte o per se stessi, magari attraverso la terapia o meglio arteterapia, di fondamentale importanza. Tutti quanti presi dalla frenesia della routine e dai soliti doveri della vita, diamo troppo per scontata la loro importanza. Utilizziamo le espressioni del volto giornalmente per comunicare, per ricevere messaggi e per interpretarne tanti altri. Ma con molta probabilit quasi mai ci soffermiamo a riflettere o considerare un semplice e straordinario concetto a cui Darwin arriv: le emozioni hanno carattere innato ad universale. Esse, ed ovviamente anche la psiche, sono uno strumento di estrema importanza per la conoscenza dell'essere umano, per capire ci che lo smuove, ci
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che lo anima e ci che in una fotografia ci fa dire qualcosa a chi ci sta guardando, immortalati in un certo modo e con una certa espressione. Si possono utilizzare le nostre espressioni facciali in diversi modi. Come abbiamo detto poc'anzi le usiamo per comunicare principalmente con il mondo che ci circonda ma non solo, possono essere utilizzate anche per comunicare qualcosa a noi stessi e di conseguenza, in determinati ambiti, anche per curare e accettare la nostra persona, il proprio Io. Fra le diverse tecniche e terapie oggi esistenti ed utilizzate, una grande svolta che ha permesso alla persona di conoscersi nel profondo, accettarsi e dire: Io sono! Io esisto! Eccomi qui!, vi l'arte, ma pi precisamente la fotografia. Grazie ad essa l'uomo riuscito ad immortalare e narrare momenti importanti della vita del mondo e dell'umanit. Fra i tanti appassionati e professionisti di fotografia c' chi si concentra sui paesaggi, sulla microfotografia, sugli animali, sulla moda ed infine c chi si concentra sui ritratti e in particolare sull'autoritratto. Difatti artisti, fotografi o anche persone semplicemente appassionate di tale arte, hanno prodotto un autoritratto come per affermare la loro esistenza, o per fissare e rendere tangibile e visibile una determinata fase esistenziale, magari difficile, magari piuttosto propizia, o semplicemente per vedere che effetto fa vedersi immortalati in una fotografia o altro ancora per sperimentare. Fare un faccia a faccia con se stessi, ascoltare cosa ci dice quella persona che abbiamo fotografato. Nelle prossime pagine approfondiremo al meglio questi concetti appena trattati all'interno di tale premessa, quindi di come la fotografia trasformata in mezzo di conoscenza di sviluppo del benessere dell'uomo, concentrandosi soprattutto sulle espressioni facciali, abbia gettato le basi per un valido legame tra arte e psicologia. In primis parleremo ampiamente della dinamica dell'autoritratto, del suo strettissimo rapporto con la dimensione psicologica e di come tale immagine sia ampiamente legata al nostro Io. Di conseguenza, anche di come l'autoritratto in s rappresenti determinati aspetti della nostra identit e di determinate tappe esistenziali della vita. Il tutto facendo riferimento alle teorie di Stefano Ferrari.
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Infine, nel capitolo successivo, ci concentreremo su una delle tecniche di autoritratto fotografico utilizzata come mezzo di indagine del s, dell'artista e fotografa Cristina Nuez chiamato THE SELF PORTRAIT EXPERIENCE.
3.2 Noi allo specchio
La foto pare esprimere nel modo pi diretto l'aspirazione dell'uomo all'autoritratto, nel senso che sembra in grado di congelare e fissare l'immagine allo specchio. Ma questo congelamento dell'immagine pu essere vissuto in modo ambivalente. E con ci ci si riallaccia all'antico timore di farsi ritrarre per paura di perdere qualcosa di vitale come l'anima o l'identit. 17
Stefano Ferrari, docente di Psicologia dell'arte presso la Facolt di Lettere e Filosofia dell'Universit di Bologna, ci parla di un autoritratto in termini psicologici che non fa riferimento al puro atto fisico e pratico dello scattare una fotografia, ma ci parla anche del rapporto che viene ad instaurarsi tra di noi e la nostra immagine. Essa richiama una parte della nostra identit che dobbiamo o che vogliamo mostrare alla realt, a quella dimensione che al di fuori di noi e con cui dobbiamo fare i conti. Ferrari ci spiega che il primo e abituale approccio con la nostra immagine l'abbiamo con lo specchio: quando ci trucchiamo o asciughiamo i capelli, oppure qualche attimo prima di uscire ci diamo una veloce controllata allo specchio per sistemarci magari qualche piccolo particolare fuori posto. Andiamo alla ricerca di una sorta di rassicurazione in quella immagine riflessa a cui tante volte non facciamo neanche caso, per quanto siamo abituati ad eseguire quell'azione praticamente ogni giorno. E come sostiene Ferrari andiamo alla ricerca della nostra giusta faccia, semplicemente riconoscendola. Egli, all'interno della sua opera Lo Specchio dell'Io, fa riferimento alla teoria di Lacan secondo il quale il bambino raggiunti i diciotto mesi, nel momento in cui riconosce la propria altra immagine riflessa nello specchio, getta le prime basi per la costituzione e lo sviluppo del proprio Io. Si instaura il primo legame con la nostra identit. Per la prima volta si consapevoli del proprio
17 S.Ferrari, Lo specchio dell'Io, Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari, 2010, p. 137
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Io, della propria immagine, di noi che abitiamo il nostro corpo e che quindi siamo ed esistiamo. Ragion per cui, nell'autoritratto fotografico spesso si viene ad instaurare quell'antico legame con la nostra immagine riconosciuta per la prima volta. Ci riconsideriamo come un oggetto riflesso nello specchio, ci vediamo come un altro. Ma, nonostante il nostro primo e routinario rapporto con lo specchio, ne esiste uno primordiale che dobbiamo assolutamente prendere in considerazione: il rapporto con il volto materno, il primissimo volto che il bambino osserva. Secondo le teorie di Winnicott, il volto materno rappresenta il vero specchio a cui il bambino fa riferimento per riconoscersi e per trovare il primo pezzo di identit. In sostanza, Ferrari afferma che il primo specchio dell'Io lo sguardo dell'altro, lo sguardo di una madre che giudica e osserva. Uno sguardo che fa parte di noi, che lo ricerchiamo e che non possiamo evitare. Il bambino durante la crescita interiorizza il volto materno, trasformandolo in una sua rappresentazione mentale che poi lo conterr e, utilizzando i termini di Winnicott, non lo far cadere a pezzi nei momenti di crisi o di ansia. Da sempre quindi, l'Io si rispecchia nello sguardo dell'altro e come disse il personaggio della Duchessa ne Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll: Non credere mai di essere altro che ci che potrebbe sembrare ad altri che ci che eri o avresti potuto essere non fosse altro che ci che sei stata che sarebbe sembrato loro essere altro.
3.3 Noi e l' autoritratto fotografico
Abbiamo visto come la teoria sviluppata da Lacan abbia messo in evidenza il rapporto primordiale ed originario del bambino con la sua immagine riflessa allo specchio, ovvero l' altro, e di come noi viviamo costantemente nello sguardo dell'altro. Tale rapporto viene esperito anche nella situazione dell'autoritratto, il quale trova il suo fondamento nella situazione archetipica di Narciso, colui che si innamor della sua stessa immagine riflessa in uno specchio d'acqua. Difatti Ferrari, riportando proprio questo tipo di esempio, ci parla appunto di un uomo che rispecchiandosi o
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autorappresentandosi, avverte la necessit di fermare e conservare la propria immagine. Ci costituisce l'origine dell'autoritratto, e l'unica via che pu appagare in modo tempestivo tale esigenza dell'uomo sicuramente quella della fotografia. Tant' che l'autoritratto fotografico in sede di tale concezione, non pu essere paragonato a quello pittorico dove l'artista in un continuo susseguirsi di attente osservazioni attraverso lo specchio dei particolari del proprio viso, e nell'applicare la propria tecnica per riprodurli su tela, perde una sorta di continuit nel rapporto con la propria immagine. Si tratta fondamentalmente di un autoritratto pi dinamico, il quale subisce inevitabilmente delle distorsioni durante il processo creativo. Di conseguenza la fotografia rimane lo strumento pi adatto ed efficace per soddisfare l'esigenza dell'uomo di congelare la propria immagine. Difatti lo schema comportamentale che si presenta in sede di autoritratto fotografico proprio quella dell'uomo davanti allo specchio. Egli, cos come il Narciso, osserva instancabilmente se stesso con una importante differenza: ha la possibilit di assumere una certa posa, capire qual la sua espressione migliore o il lato migliore del proprio volto e cos scatta premendo un semplice pulsante. Ed ecco che da questa dinamica nasce la foto, ovvero l'autoritratto fotografico, e da quel momento in poi avremo un nuovo confronto con l'altro. Tale momento definito da Stefano Ferrari il grado zero dell'autoritratto, che appunto si rif all'esperienza originale del bambino che scopre e assume la consapevolezza della propria immagine davanti allo specchio. Questo grado zero dell'autoritratto pu essere realizzato in campo fotografico grazie alle avanzate strumentazioni che abbiamo oggi, che essendo di facile utilizzo, ci permettono di scattare foto ed autoritratti in modo del tutto autonomo e senza il supporto tecnico del fotografo. Ovviamente ci rappresenta un ottimo vantaggio per soddisfare l'esigenza delle persone di autorappresentarsi, ma sotto un'altra prospettiva Ferrari precisa che questa grande flessibilit delle macchine fotografiche, telefonini, cabine fotografiche o anche webcam, rischia di far dissolvere quella particolare sacralit di tale atto. Si sa che il momento in cui una persona scatta un proprio ritratto un momento molto intimo dove si possono esperire sensazioni piuttosto forti, nella
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maggior parte dei casi molto spiacevoli. Di conseguenza, tornando al ritratto pittorico, esso dotato pi di una certa sfera intima e sacra rispetto a quello che l'autoritratto fotografico divenuto oggi. Inoltre l'atto del fotografare e del fotografarsi non fine a se stesso e non si conclude sicuramente dopo aver impresso l'immagine nella pellicola o nella memoria della nostra macchina fotografica. La persona, cos anche come tutti noi, si concede molti scatti che poi in un tempo successivo sceglieranno con maggior tranquillit. Inoltre la fotografia anche strettamente legata ad un altro bisogno dell'uomo, ovvero quello di rendere meno piatta la propria vita, renderla particolare in modo tale da avere la possibilit di dare sfogo alle proprie fantasie, sogni e desideri. Ed anche in questo caso la fotografia rappresenta un mezzo appropriato a veicolare tale bisogno. Essa rappresenta anche uno strumento molto importante per veicolare il processo creativo di ognuno di noi, in particolare anche quello degli artisti. Grazie alle fotografie e ai loro travestimenti e al loro aver abbattuto i confini del genere maschile e femminile hanno dato sfogo, per esempio, non solo alle loro alternative visioni della realt ma anche a delle visioni alternative di loro stessi. Questa voglia di interpretare altri ruoli o di assumere maschere diverse, spesso viene messa in pratica nel classico setting delle cabine fotoautomatiche. A primo impatto si potrebbe pensare che all'interno di uno spazio cos ristretto e per certi versi claustrofobico, la persona non possa dare liberamente sfogo al proprio processo creativo in uno spazio cos limitato. In realt Ferrari prende saggiamente in considerazione due aspetti dell'autoritratto fatto all'interno di una cabina fotoautomatica. Il primo aspetto, riguarda specificatamente la possibilit effettiva della persona di dare sfogo alla sua voglia di autorappresentarsi in una determinata posa o con una certa espressione, proprio perch si trova in un setting dove solo questa persona la protagonista assoluta, lontano da occhi indiscreti. Il secondo aspetto invece, consiste nel subire realmente la fotografia. Per spiegare il concetto di subire la fotografia possiamo far riferimento innanzitutto alle dimensioni della cabina fotoautomatica che la rende un piccolo box. All'interno di esso dobbiamo star seduti in un certo modo, con la schiena dritta che ci
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aiuta a mantenere gli occhi ad un certo livello. Dobbiamo far rientrare il nostro volto all'interno di un quadro proiettato in uno schermo e possiamo anche usufruire di uno specchio per vedere se tutto in ordine. Ragion per cui, molto difficile essere effettivamente liberi di esprimersi all'interno di questa tipologia di setting che ci offre uno schema di requisiti da rispettare per una buona riuscita della fotografia. Ecco perch nonostante noi possiam far smorfie o assumere determinate pose del volto, in ogni caso rimaniamo fedeli alle istruzioni che ci vengono segnalate dalla voce del computer della cabina. La macchina fotografica, essendo uno strumento a noi oramai familiare data l'epoca in cui viviamo, rimane sempre lo strumento pi adatto per fermare la nostra immagine. Ci permette di decidere non solo la posa, espressione e altri elementi del corpo, ma ci consente anche di decidere il luogo, la luce, i colori e cos via. Un altro aspetto fondamentale dell'autoritratto fotografico che esso conserva sempre un elevato grado di irriconoscibilit, in quanto l'immagine che vediamo suscita in noi una sensazione strana, quasi percepiamo noi stessi come delle persone estranee. Questo perch accade? Considerando tale aspetto sotto un punto di vista prettamente tecnico si potrebbe dire che l'immagine fotografica non un'immagine invertita come quella che ci propone lo specchio, di conseguenza ci vediamo cos come gli altri vedono noi, oppure possiamo considerare la cosa sotto un altro punto di vista ancora: la fotografia essendo anche espressione netta e cruda della realt distorce la nostra immagine interna. Infine un'altra ragione molto importante che la foto pretende di congelare e fissare immagini di noi stessi in determinati periodi della vita, dove quest'ultima si percepisce come un'esistenza del tutto dinamica, in continuo movimento, soggetta sempre ad un susseguirsi di evoluzioni e cambiamenti. Per Stefano Ferrari, all'interno della sua opera Lo specchio dell'Io, facendo riferimento a Pirandello, ci dice che l'immagine anche se congela un momento particolare della nostra vita, invecchia in ogni caso insieme a noi. Tale invecchiamento non deve essere preso in considerazione in modo letterale, ma esso fa riferimento alla modalit di percepire
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dopo diverso tempo, quell'immagine che ci ritrae da giovani. Essa ad ogni fase della nostra vita verr percepita in modo diverso, a seconda non solo dell'et ma anche del momento, e soprattutto a seconda di come la percepiamo in base all'immagine interiore che abbiamo di noi stessi e che rimane comunque viva per sempre.
3.4 La foto-terapia
Sappiamo oramai che la fotografia ha un potere decisamente forte sulla persona. Essa in grado di risvegliare nell'uomo molte emozioni, ha il potere di far riemergere eventi passati e fornisce anche la possibilit di essere utilizzata in ambito terapeutico. Essa viene impiegata in modi diversi, il tutto dipende dalla scuola di psicoterapia a cui si aderisce. Tramite le fotografie si possono ricordare esperienze passate traumatiche o semplicemente percepire emozioni negative, quindi forniscono molto materiale della persona che ne coinvolta e su cui il terapeuta pu lavorare. Di conseguenza utilizzare la foto-terapia con scarse conoscenze o con poca dimestichezza delle varie tecniche terapeutiche pu essere molto rischioso, in quanto non si potrebbe essere all'altezza di gestire il carico emotivo che si va a smuovere. Ecco perch all'interno di questo ambito comunque molto importante un qualsiasi tipo di supporto, soprattutto se l'autoritratto fotografico viene utilizzato come forma di autoanalisi dove la presenza di un'altra persona che accompagna il soggetto nel processo di creazione e di autoconoscenza fondamentale. Ferrari ci spiega come invece sia ben diversa la situazione dei workshop improntati a diffondere le modalit di funzionamento di determinate forme di foto-terapia. Essi non ripropongono un setting di tipo terapeutico, ma si rivolgono fondamentalmente ad un pubblico di persone che non ricorrono ad alcun tipo di sostegno psicoterapeutico o terapeutico. Di conseguenza creano un contesto di conoscenza e di studio che non ha nulla a che fare con la salute psichica del soggetto. Riescono a stabilire una sorta di confine proponendo ai partecipanti esercizi da svolgere. Il partecipante quindi ha l'impressione di svolgere un ruolo che gli stato assegnato dall'esterno, sostanzialmente un ruolo di dovere perci la sua attenzione concentrata sul proprio
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lavoro e il processo di identificazione in questo caso sar del tutto controllato. Questo aspetto assume ancora di pi valenza quando il workshop rivolto ad un gruppo di persone che dovranno sottoporre allo sguardo dell'altro i propri singoli autoritratti fotografici. In questo caso Ferrari li definisce autoritratti destinati, riallacciandosi cos al suo concetto di base della psicologia dell'autoritratto secondo il quale, come abbiamo visto nel precedente paragrafo, il vero specchio dell'io rimane sempre lo sguardo dell'altro.
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Capitolo 4 The Self-Portrait Experience
Quando la tempesta sar finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c' dubbio. Ed che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi entrato. 18
4.1 Cristina Nuez e l'autoritratto come autoterapia
Nel precedente capitolo si parlato di come il vero specchio dell'Io, secondo Stefano Ferrari, consista effettivamente nello sguardo dell'altro. Di come la fotografia riesca a soddisfare la necessit umana di fermare la propria immagine e di come essa induca anche il soggetto al travestimento, o alla recitazione di ruoli in modo tale da permettere la libera espressione del proprio inconscio. Infine si parlato di come la fotografia pu essere utilizzata per sostenere l'uomo nel suo processo di individuazione, di ricerca del S, sotto forma di terapia o altres di autoterapia. All'interno di questo capitolo scenderemo nei particolari trattando uno dei metodi che ultimamente ha dimostrato di avere una grande efficacia e una grande capacit di veicolare l'uomo lungo la via della ricerca della propria identit nella relazione con se stesso, con gli altri e con il mondo che lo circonda. Questo metodo chiamato The Self-Portrait Experience. Crisina Nuez ha ideato tale metodo grazie alle sue esperienze di vita, all'interno della quale, per pi di vent'anni si occupata principalmente di autoritatti. Nata a Figueres (Spagna) nel 1962, una fotografa, artista e ritrattista conosciuta non solo all'interno del nostro paese, ma anche a livello internazionale.
18 H. Murakami (2009). Kafka sulla spiaggia, trad. it. Giorgio Amitrano, Torino, Giulio Einaudi editore s.p.a.
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Dopo un passato da tossicodipendente che ha caratterizzato la sua vita dai quindici ai vent'anni, Cristina Nuez scatta il suo primo autoritratto nel 1988. Inizia cos un lunghissimo viaggio alla scoperta di s, delle sue relazioni con gli altri e con il mondo attraverso l'utilizzo dell'autoritratto come forma di autoterapia, quindi come strumento per riscattare se stessa soprattutto nei momenti di crisi sino ad applicare inconsapevolmente il suo metodo. Tant' che con il passare del tempo ella propose questa modalit di autoterapia attraverso l'autoritratto ad amici e conoscenti, con la convinzione che sarebbe stato utile per gli altri cos come lo era stato per lei. Contemporaneamente ide degli esercizi di autoritratto rivolti alla singola persona, alle coppie o ai gruppi, insieme a criteri di scelta delle foto che potevano esprimere maggiormente il contenuto dell'inconscio della persona. Cos nel 2006 cominci ad insegnare il metodo, in modo pi strutturato e consapevole, in alcune citt italiane, spagnole, finlandesi e statunitensi ed anche all'interno di aziende, scuole, universit, carceri, contesti terapeutici e percorsi singoli, trasformandolo cos in uno strumento che aiuta a sviluppare la creativit e la conoscenza del proprio s. Nell'ambito della sua autobiografia un progetto molto importante da lei sviluppato dal 1988 sino al 2010, SOMEONE TO LOVE. Attraverso autoritratti, foto di famiglia e video riuscita a raccontare la sua vita ed anche il suo percorso. Esso fu esposto al Mois de la Photo di Montreal 2011 e trasformato anche nell'omonimo libro pubblicato dalla The Private Space Books di Barcellona. Il libro costituito da due volumi, dove il primo riguarda la biografia di Cristina Nuez e il secondo invece tratta dettagliatamene il metodo The Self-Portrait Experience, con tanto di esercizi e spiegazioni per creare una vera opera attraverso i propri autoritratti. Infine citiamo altri progetti altrettanto importanti della fotografa spagnola, pubblicati ed esposti sia in Italia che in altri paesi, tra cui: HIGHER SELF, The Self-Portrait Experience esposto a Barcellona nel 2010, YOUNG ITALIAN GENTLEMAN (2007), I AM (2000) e HOMEBIRTH (1998) esposti tutti e tre a Milano, TO HELL AND BACK (1998-1997) esposto in alcune citt italiane come Milano e
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Firenze, ma anche in Spagna e Portogallo ed infine BODY AND SOUL (1995) esposto a Firenze.
4.2 The Self-Portrait Experience
Il metodo The Self-Portrait Experience di Cristina Nuez un metodo assolutamente democratico. Lo pu applicare ed utilizzare chiunque in quanto, essendo uno strumento finalizzato ad attivare il processo creativo delle persone e soprattutto le loro emozioni, alla portata di chiunque. Tutti possono farlo perch tutti hanno qualcosa dentro da interpretare ed esprimere. Tutti hanno la necessit impellente di comunicare qualcosa di loro stessi, soprattutto in un'epoca dove piattaforme virtuali e social network come Youtube, Twitter, Facebook o Flickr dominano la nostra vita e ci consentono di raccontarci tramite fotografie, autoritratti, video od anche poesie e racconti scritti di nostro pugno. In un'era dove il mondo reale costituito solamente da concetti come produttivit, sfruttamento, lavoro e successo cerchiamo sempre di pi di affermare la nostra identit con qualsiasi mezzo, di dare forma alla matassa di emozioni che ci portiamo dentro e che ci rendono esseri unici ed irripetibili. Di conseguenza, per ricorrere a questo metodo pi mirato e studiato rispetto alla normale consuetudine di autoritrarsi, che comunque ha una sua funzione benefica, non necessario essere dotati di particolari abilit artistiche o di approfondite conoscenze relative alle regole e tecniche della fotografia. Questo perch le emozioni che riusciamo a tirar fuori, il dolore, la disperazione o la rabbia che l'autoscatto della macchina fotografica ci ruba mentre noi siamo immersi in un auto-ascolto del nostro inconscio ci rende gi artisti e come la definice Nuez autori di un' opera d'arte. Ecco perch tale metodo permette alle persone, una volta che si siano addentrate negli abissi del loro inconscio o del loro universo emozionale, di portare la propria esperienza nel processo creativo e di produrre appunto un'opera d'arte. Difatti, la fotografa spagnola, sostiene che le emozioni costituiscono il materiale grezzo su cui produrre un'opera, un qualcosa di grandioso
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che ci trasforma in un' icona che trasmette un messaggio ben preciso a noi stessi ed anche a chi ci sta guardando. Magari in un primo momento non ci riconosciamo osservando il nostro autoritratto, ma proprio li che quella persona raffigurata ci sta parlando, sta urlando la sua rabbia o gridando il proprio dolore e soprattutto sta dicendo agli altri qualcosa. Qualsiasi messaggio che pu essere interpretato a seconda di chi guarda. Ovviamente il primo impatto con la macchina fotografica non risulta mai un'esperienza naturale, soprattutto quando prendiamo in considerazione persone che non si sentono a proprio agio, che provano ansia o che semplicemente non amano essere fotografati o autografarsi. Ma quando osserviamo l'obiettivo, quel buco nero che riflette la nostra immagine, cerchiamo sempre di trovare un qualsiasi tipo di contatto. Un modo che ci aiuti ad esprimerci e a comunicare qualcosa al mondo esterno e agli altri all'interno dell'opera che ne verr fuori. Una volta superato questo primo approccio, all'interno della dinamica dell'autoritratto procederemo a ricoprire un triplice ruolo: Nuez, riprendendo dai principi di Anthony Bond, afferma che l'auto-ritrattista ricopre contemporaneamente il ruolo di autore, soggetto e spettatore di se stesso. Nel momento in cui siamo autori, siamo i diretti creatori di quell'immagine, quando siamo soggetti affermiamo la nostra esistenza ed infine quando siamo spettatori di noi stessi, perch ci guardiamo riprodotti in quella foto. Non ci osserviamo come riflessi allo specchio, un'immagine speculare a cui siamo abituati e che vediamo ogni singolo giorno, ma osserviamo e ascoltiamo direttamente noi stessi. Andiamo alla scoperta delle nostre profondit, degli abissi dell'inconscio, compiamo il primo passo verso una sorta di facendo riferimento a termini junghiani viaggio notturno per mare. Addentrati nel vuoto cosmico potremo riemergere innescando il nostro processo creativo e comunicare attraverso il linguaggio dell'arte il messaggio dell'anima. Di conseguenza la dinamica reciproca fra questi tre ruoli di estrema importanza: l'autore richiama a s l'attenzione dello spettatore per cercare di fargli capire che quell'immagine racchiude qualcosa che riguarda anche lui. Lo invita ad una profonda condivisione, ad uno scambio di contenuti che tutti e tre i ruoli portano con s sino a
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trasformarsi, come detto in precedenza, in un'icona che parla, che comunica. Tale dinamica quindi, secondo Nuez, dotata di un potere che in grado di provocare la apertura dell'inconscio. Una volta ottenuta possiamo finalmente andare a ritrarre l'immagine del nostro Io Superiore, di un Io che in questo ambito considerato come un essere divino e supremo, dotato di una unicit che rende l'uomo irripetibile e prezioso. Questa entit divina riesce ad emergere solo nel momento in cui si completamente adagiati nell'ascolto profondo delle nostre sensazioni ed emozioni pi nascoste. Quindi sono proprio le emozioni e le sensazioni ad essere il fulcro del processo creativo e la base del metodo The Self-Portrait Experience. Difatti per l'artista l'origine della nostra creativit sono le viscere. il ventre che contiene le emozioni e memorie pi profonde, gli elementi nascosti dell'anima e della nostra entit divina. Il metodo mira a stimolare un movimento sano viscerale, ovvero aiuta a smuovere qualsiasi emozione, sentimento o sensazione che ristagna all'interno del corpo. Aiuta a liberare bisogni ed emozioni in modo ciclico all'interno della vita di una persona. Ogni qual volta ci si ritrovi di fronte ad un ostacolo o ad una crisi, sappiamo che questo metodo ci pu essere di grande aiuto, soprattutto grazie ad un altro elemento molto importante che a sua volta contribuisce alla liberazione delle emozioni. Tale elemento il luogo in cui diamo vita al progetto madre di autoritratto. Nel caso di un percorso che si sceglie di fare con l'artista Cristina Nuez, la quale con questo metodo assume anche il ruolo di facilitatrice del processo creativo altrui, tale luogo sar lo studio fotografico, ma in altre situazioni si potranno adottare diversi luoghi. Per luogo si intende un posto dove possiamo essere in pace con noi stessi, stare in silenzio ad ascoltarci. A sentire il battito del nostro cuore, il nostro respiro, ascoltare le nostre sensazioni e quindi godere, come lo definisce la fotografa, dello stato di grazia. Solo entrando in stretto contatto con questo stato potremo andare a lavorare sul progetto di autoritratto madre, chiamato cos in quanto costituisce il primo progetto che ci aiuter a conoscere noi stessi. Da esso partiranno tanti altri progetti figli, sino a
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quando una nuova crisi non si presenter per portarci a riprogrammare nuovamente la nostra identit, dando vita cos ad un nuovo progetto madre. Un'altra possibilit che il potere dell'autoritratto concede quello di oggettivare le emozioni, in particolar modo il dolore e la rabbia, emozioni che di solito non dovrebbero essere esternate. In realt, trasformare in oggetti la rabbia e il dolore ci aiutano a guardarli dritti in faccia e in questo modo abbiamo la possibilit di allontanarli da noi, di prendere le distanze, e nel momento in cui non ci riconosciamo nella fotografia perch siamo in presenza dell'altro s. La creazione di ogni autoritratto inoltre, pu essere anche considerata come una sorta di performance. Si sa che sia nella vita di tutti i giorni, sia nel momento in cui ci scattiamo una foto cerchiamo, anche inconsciamente, di apparire cos come gli altri ci vedono. Eseguiamo una sorta di performance. Ma nonostante ci la Nuez, considera sempre presente uno spazio che lontano dallo sguardo dell'altro e ci permette il nostro segreto e personale dialogo interiore con le profondit in cui sono racchiuse le emozioni. Grazie a tale performance, nell'arco solitamente di tre o cinque scatti in studio, la persona riesce ad esprimere un messaggio, ma anche una sorta di processo di trasformazione e di auto-guarigione. Ad esempio nella prima foto potremo esprimere un grande dolore, una disperazione cos pesante da portarci anche alla rabbia, a tirare pugni nell'aria, a sentirla ed esasperarla sul volto attraverso le nostre espressioni. E alla fine... rimanere in silenzio. Ascoltare le proprie sensazioni, abbandonarci a quell'unico e intimo dialogo con l'Io Superiore. In questi semplici passaggi da una fase all'altra, siamo in grado di trasformarci in un'icona per gli altri. Trasmettendo un messaggio di rabbia,disperazione o forza, attiviamo quelle immagini archetipiche che hanno un estremo significato a seconda della nostra cultura di appartenenza e di conseguenza, di quella collettiva. Stabiliamo un rapporto con gli altri, con il mondo esterno e con la comunit rendendo finalmente pubblico il dolore o il male, orgogliosi della nostra riuscita.
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Creando l'immagine iconica di noi stessi, o per meglio dire creando l'immagine archetipica dell'Io superiore, ci ritroviamo a fare i conti sia con la propria immagine esterna sia con quella interna. Cristina Nuez suggerisce alle persone che decidono di mettere in pratica il suo metodo, di liberarsi dei propri vestiti. Difatti nell'ambito dell'autoritratto l'elemento della nudit rappresenta un mezzo ulteriore per entrare maggiormente in contatto con se stessi. Il corpo nudo simbolo di intimit, di interiorit e di quel rapporto primordiale con la propria madre archetipica. Spesso per non apprezziamo n la nudit ne il nostro corpo cos com'. Ci avviene a causa della forte presenza di un'ideale moderno del bello che si discosta molto dalla normalit. Veniamo costantemente bersagliati da immagini di donne eteree, bianche, effimere o cos anormali nella loro perfezione. Di conseguenza piuttosto comune che ci sia un marcato conflitto con la propria immagine interna ed esterna proprio nel momento in cui mostriamo delle resistenze verso l'obiettivo, o anche quando ci rifiutiamo di amare il nostro aspetto. Ma c' da ricordare che non siamo mai, al cento per cento, il nostro autoritratto. Non siamo semplicemente ci che rimasto impresso nella fotografia, siamo molto di pi. E' lIo Superiore che parla, che ci da un messaggio importante e ci dice tutto quello che serve sapere. Difatti spesso dalle opere che emergono con il lavoro svolto grazie al supporto della fotografa, non ci accettiamo cos come ci vediamo. Magari un'espressione mai vista in noi ci sconcerta, ci impaurisce o proviamo un senso di disgusto. Cristina Nuez sostiene che sono proprio quelle opere ad essere estremamente significative. Sono loro che hanno il potere di trasformarci in icone, in portavoce e che soprattutto stabiliscono un sereno rapporto tra ci che l'immagine interna ed esterna della persona. Impariamo ad accettare quello che non ci piace o disturba, proprio per il semplice fatto che tale metodo ci induce a guadare il dolore dritto negli occhi, il mostro, a fronteggiarlo, a prendere consapevolezza di esso in modo tale da dire: Eccomi!Sono io! Riusciamo a comprendere che il brutto in noi anche il bello o viceversa, oppure pu essere qualcos'altro ancora. Arrivare a ci rappresenta un traguardo meraviglioso, in
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quanto comunicando agli altri il dolore che ci riguarda, sicuramente ci sentiremo meno soli e cedendo al pubblico i contenuti del proprio inconscio non sar pi nostro, ma anche di altre persone. Tutti avranno la possibilit di rispecchiarsi in foto altrui e soprattutto di sentirsi vicini in qualsiasi situazione. A partire dalla persona non dotata di talento artistico, all'artista vero e proprio, il metodo The Self-Portrait Experience richiede molto coraggio. Non tutti hanno la forza di intraprendere quel lungo viaggio nei meandri oscuri e sconosciuti dell'anima, qualcuno magari avr paura e non preferisce addentrarsi. Ma una volta accesa la miccia del processo creativo, saremo realmente il soggetto della nostra arte. Cos come l'artista che sente sempre il bisogno ardente di comunicare ogni proprio messaggio ad un pubblico ogni volta pi ampio, anche noi possiamo provare la stessa necessit nel momento in cui vinciamo l'imbarazzo ed il terrore dell'obiettivo. Il metodo ci aiuta ad avanzare all'interno di un processo terapeutico, il quale ci supporta nella conoscenza del proprio S, nell'esprimere giudizi e pensieri profondi riguardo alla propria identit. Ma cosa pi importante affinch il tutto abbia successo, rimane sempre e comunque la condivisione con il mondo dell'universo di forze che ci smuovono l'anima. In questo modo raggiungiamo il nostro nirvana.
4.3 Il metodo: come si scelgono le opere d'arte
Il metodo The Self-Portrait Experience si divide in tre diverse tipologie di esercizi, per cui, in tre parti: Io, Io e l'altro, Io e il mondo. La prima fase prettamente concentrata sul proprio Io, quindi la propria identit, emozioni e sensazioni. La seconda parte fa riferimento alla relazione con gli altri e la terza si va ad analizzare il rapporto con il mondo. Una volta terminate le fasi che ci hanno aiutato a dare vita al processo creativo, a conoscere noi stessi e soprattutto a condividere con gli altri la nostra opera, si pu dire di aver compiuto un vero e proprio percorso e si proceder alla scelta dell'opera d'arte da noi creata.
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Essa solitamente viene selezionata in base a determinate ragioni e motivazioni. Cristina Nuez sostiene che per esempio, l'opera-auritratto va scelta in base a come esprime la voce dell'inconscio, a come ci parla, che cosa traspare da esso della nostra anima. Seconda ragione riguarda il fatto che l'opera-autoritratto comunica, ci invia messaggi che magari riguarderanno il nostro futuro, ragion per cui ci parler sempre. Infine altra motivazione importante che l'opera scelta deve esprimere la nostra forza, deve farci rinascere fortificando l'autostima. Oltre queste motivazioni, la fotografa nel sviluppare il proprio metodo, ha stabilito dei criteri ben precisi sulla base dei quali le opere vanno selezionate:
- Molteplicit: riguarda la possibilit di vedere e attribuire diversi significati all'immagine, significati anche opposti ovviamente. Quindi si pu procedere alla selezione in base ai vari messaggi che ci arrivano, oppure in base a quali emozioni risaltano in ciascuna met del volto. A tal proposito, da ricordare che il lato sinistro rispecchia la parte emotiva dell'uomo mentre quello destro rispecchia il lato dell'intelletto. Infine si potrebbero anche immaginare luoghi, oggetti, scene, altre persone suggerite dall'espressione o atteggiamento del soggetto. - Temporalit: in genere ogni foto ha una propria temporalit, o addirittura pu esprimere diversi aspetti temporali. Difatti nella scelta delle opere si cerca sempre di capire se il soggetto esprime il passato remoto o ci che appena successo, il presente o ci che sta per accadere ed infine un lontano futuro. Alcune volte le persone ritratte trasmettono la sensazione di una forte acronicit. Potrebbero rimanere cos per sempre, immortale senza essere in un nessun epoca temporale. Altro ancora, il momento raffigurato magari pu essere la sequenza di quello che sta accadendo alla persona. - Armonia visiva: secondo questo criterio si cerca di esprimere come la fotografia sia armoniosa in s con tutti i suoi elementi. Adottando i propri criteri estetici bisogna considerare se l'opera sia in perfetta armonia nella sua
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totalit, e se soprattutto questa armonia sia l'emblema di un significato ben preciso. - Io Superiore: si detto in precedenza che l'Io Superiore lungo lo sviluppo del processo creativo arriva a trasformarsi in un'icona, in un'immagine archetipica che rappresenta la parte pi nascosta del nostro animo. Secondo questo criterio, si dovrebbe andare a scegliere la fotografia che pi rappresenta tale concetto, magari facendo ricorso anche alla storia dell'arte, alla mitologia o appunto agli archetipi della psicologia analitica.
Come afferma la Nuez, bisogna andare a beccare proprio le immagini pi disturbanti. Ecco perch un altro criterio fondamentale quello della presenza di immagini disturbanti, le quali riportano a galla l'oscurit, il mostro che in noi. Rendendolo finalmente pubblico e condivisibile. Inoltre anche la presenza di riferimenti al passato altrettanto importante: attraverso molte opere-autoritratto si possono riscontrare elementi che ricordano magari attimi della propria vita passata, o addirittura le proprie radici, oppure ci si potrebbe rivedere il volto di fratelli, sorelle o genitori. Infine riuscire a vedere nella fotografia immagine iconiche ci fa capire che nell'attimo dell'autoritratto siamo in perfetta sintonia sia con noi stessi che con l'intero universo. Se le persone vedranno in noi, cos come vedremo in loro, immagini di questo tipo, arcaiche, laiche o che fanno parte della cultura collettiva di appartenenza, vorr dire che saremo riusciti ad esprimere il nostro Io Superiore all'intera umanit.
4.4 Un'esperienza del tutto personale
Dopo aver presentato il metodo The Self-Portrait Experience ritengo necessario, al fine di fornire ulteriori informazioni su di esso, riportare qui di seguito un resoconto della mia esperienza personale durante un workshop di gruppo gestito da Cristina Nuez.
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Tale workshop si svolto in occasione dell'evento Social Photo Fest! tenutosi a Perugia dal 10 al 18 Novembre 2012. Precedute da una conferenza riguardante l'utilizzo della fotografia come strumento per migliorare il benessere e per ridurre l'esclusione sociale della persona, le ultime due giornate son state interamente dedicate allo svolgimento di alcuni workshop basati appunto sulla fotografia terapeutica. Fra questi vi era appunto quello pertinente al The Self-Portrait Experience tenuto da Cristina Nuez, svoltosi in due giornate, rispettivamente il 17 e 18 Novembre 2012. La conferenza che precedette quelle due giornate, fu molto utile per avere un primo approccio e spiegazione al metodo. Furono trattate anche altre metodologie di fotografia terapeutica piuttosto interessanti, come per esempio la Photo Therapy di Judy Weiser e l'utilizzo del collage fotografico nella foto-terapia di Sabine Korth, fu addirittura discusso il rapporto tra percezione e neuroscienze che si riscontra nel campo della fotografia. Tale argomentazione, tenuta dallo psicologo e psicoterapeuta Carmine Parrella, fu molto illuminante ed entusiasmante, in quanto di solito non si tenuti a prendere in troppo in considerazione le potenzialit della fotografia di fungere da strumento terapeutico anche sul nostro cervello. Lo stretto rapporto che c' tra l'amigdala e fotografia, specialmente con un nostro autoritratto fotografico sorprendente. Ma ci che mi ha colpito particolarmente, oltre ovviamente la metodologia di Cristina Nuez che era il mio principale obiettivo di interesse, stata la presentazione del lavoro svolto dallo Psyforte Centre (RUS). Anche loro, composti da un team di esperti in fototerapia fra cui anche psicologi dell'arte e psicoterapeuti, utilizzano la fotografia per migliorare la sanit ed il benessere dell'uomo invitando anche le persone interessate al progetto, ad indossare abiti d'epoca in modo tale da interpretare personaggi storici. E qui ci si rif tranquillamente a ci che Stefano Ferrari sosteneva: la fotografia invita al travestimento, alla recitazione di ruoli. Il primo giorno di workshop stato molto impegnativo dal punto di vista psicologico ma anche emotivo. Come ci disse Cristina, ci vuole molto coraggio e molta forza per
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affrontare un percorso del genere, ma una volta arrivati ognuno di noi si sentito decisamente pi sicuro di s, con delle preziose scoperte da aggiungere al bagaglio della vita che ci portiamo dietro. Dopo un piccolo discorso di inizio lavoro, siamo stati divisi in mini gruppi e ci stato assegnato un esercizio all'interno del quale dovevamo scegliere l' opera d'arte fra le foto di persone totalmente sconosciute, che a loro volta si sono autoritratte seguendo il metodo in questione. Dopo la selezione e la scelta della foto, abbiamo dovuto adottare i principali criteri di lettura spiegati nel paragrafo precedente. Quindi in base al criterio della molteplicit dovevamo guardare il soggetto della foto come se ci stesse parlando, se si percepivano dei messaggi opposti, se ci rispecchiavamo nell'opera, qual era il PUNCTUM, ovvero l'elemento che maggiormente attira lo sguardo della persona. Infine bisognava analizzare il lato emotivo e razionale del viso, rispettivamente il lato sinistro e il lato destro. Secondo invece al criterio della temporalit, si doveva individuare le cinque dimensioni temporali. Ovviamente non era per forza presente una sola dimensione, ma il soggetto poteva essere percepito anche senza tempo, o come esistente all'interno di una sequenza filmata ben precisa. Successivamente l'altro criterio era quello dell'armonia visiva secondo cui dovevamo esprimere come percepivamo l'immagine: armoniosa o disturbante, se esistevano delle forme o geometrie spontanee, come erano i colori se contrastanti o armoniosi, insomma l'opera doveva essere anche considerata nella sua totalit. Ultimo criterio invitava ad analizzare l'immagine del Io Superiore: se la persona rappresentava un'icona, un'immagine archetipica, una figura mitologica, della storia dell'arte o semplicemente una figura della cultura di appartenenza. Inoltre si doveva cercare di capire se la persona raffigurata era diversa da come lo era in realt, se la immaginavamo in una determinata situazione e se questa situazione era messa in risalto da elementi visivi (forme,colori,gesti,vestiti,capelli,gioielli,geometrie etc.). Il soggetto secondo il parere personale poteva anche ricordare un animale, in tal caso era opportuno specificare quale e di quali propriet era dotato.
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Durante l'esecuzione di questi esercizi, ogni partecipante a turno era chiamato per la seduta di autoritratto. Personalmente parlando, quello fu un attimo di grande emozione. Cristina mi spieg con molta precisione delle semplici regole da seguire per l'esercizio: la prima parte di esso consisteva nell'interpretare un'emozione a scelta fra rabbia, terrore, disperazione o euforia. Non era necessario ricordare una qualche situazione che ci suscitasse quell'emozione in particolare, ma dovevamo interpretarla, recitarla sentirla salire dalle viscere per manifestarsi attraverso il proprio volto. La miglior cosa era quella di scegliere la pi difficile, in modo tale da giocarci molto con le espressioni, fingere di provare quell'emozione. Posizionatami davanti all'obiettivo, la fotografa mi disse di non tenere mai in mano il telecomandino dell'autoscatto ma di poggiarlo ogni volta per terra in modo tale da potermi rilassare maggiormente, avere pi movimenti dinamici e sciogliere i miei muscoli. Mi inform sulla possibilit di poter togliere i miei abiti, a seconda della mia esigenza di come autorappresentarmi. Nella seconda parte dell'esercizio, una volta esasperata l'emozione scelta, avrei dovuto rimanere in ascolto delle mie sensazioni. In silenzio, abbandonata ad un intimo auto-ascolto avrei dovuto lasciarmi completamente andare in modo tale che la macchina fotografica mi avrebbe colta di sorpresa, immortalando il mio stato di grazia. Dopo avermi fornito queste regole, fui lasciata completamente da sola per eseguire le due parti dell'esercizio. A questo punto la situazione divenne emotivamente difficile: a pelle scelsi la disperazione. Presa molto dall'ansia della performance cominciai a temere di che cosa ne sarebbe venuto fuori dalle foto. Avevo paura di mettermi a nudo, di affrontare quello che mi portavo dentro. Passato qualche istante mi accorsi che non era assolutamente il caso di farsi prendere da questi timori in un'occasione come quella, cos partii direttamente recitando la disperazione come secondo me avrebbe dovuto essere interpretata.
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Cristina Nuez, 2012
L'autoscatto qui riportato fu esattamente il primo. Sicuramente la cosa pi difficile fu proprio quella di iniziare con il primo autoscatto ma successivamente ,per gli altri, fu un qualcosa di totalmente diverso. Dalla simulazione di una sola emozione capii, guardando il lavoro prodotto, che il mio processo creativo si era automaticamente destato dando vita a moltissime sensazioni, emozioni e pensieri. Ne provai molte di emozioni dopo il primo scatto: al secondo fu ancora disperazione, al terzo mano a mano svan dando spazio alla rabbia, e infine la sensazione di essere in uno stato di tranquillit immensa fu decisamente appagante. Non rimane pi nulla, solo silenzio. Io che guardavo in quel buco nero dell'obiettivo chiedendomi cosa stessi provando, mi dimenticai completamente del telecomando dell'autoscatto e il click ed il flash mi sorpresero. Una volta finito, Cristina mi raggiunse nuovamente nello studio, ed insieme cominciammo ad analizzare le foto con i criteri da lei stabiliti. Sperimentai che effettivamente in un paio di foto, compresa la prima, non mi piacevo ne mi
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riconoscevo. Mi turbavano realmente e non mi trovavo neppure fotogenica. Furono proprio quelle che la fotografa spagnola scelse. Le commentammo. Andammo alla ricerca della molteplicit dell'immagine. E stranamente mi resi conto che trovare l'opposto di ci che in un nostro autoritratto si vede, soprattutto accettarlo, come se ci rendesse pi forti di quello che siamo. Prendere consapevolezza della nostra molteplicit pu essere di grande aiuto. Qui di seguito ecco le altre foto prodotte.
Cristina Nuez, 2012
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Cristina Nuez, 2012
Cristina Nuez, 2012
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Cristina Nuez, 2012
Il lavoro svolto nella seconda giornata fu ancora pi sbalorditivo. Le fotografie di ogni singolo membro del gruppo furono analizzate e selezionate dall'intero gruppo stesso. Qui ci fu proprio una messa a nudo di ogni partecipante. Il gruppo scelse una foto o due di ciascuna persona e le analizz secondo i criteri della molteplicit, temporalit, armonia visiva e Io Superiore. Il risultato ottenuto da tale lavoro fu un qualcosa di stupefacente. Sinceramente non saprei dare una spiegazione del tutto valida ma i membri del gruppo, in base a come interpretarono la foto seguendo i criteri del metodo, inaspettatamente diedero una descrizione della mia personalit e carattere che si avvicinava moltissimo a quella reale. E cos come lo fu per me, lo fu anche per tutti gli altri. Forse per un empatia che si era creata fra i membri del gruppo o forse puro caso, tale esperienza fu notevolmente ricca di significato, soprattutto perch tutti i membri del gruppo erano perfetti sconosciuti l'uno per l'altro. Di conseguenza ritengo che tale metodo anche un
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modo formidabile per avvicinare qualsiasi tipologia di persone. Tant' che il range di et era molto vario, difatti nel gruppo ero la persona pi giovane. Dopo tale selezione ed analisi degli autoritratti, Cristina Nuez ci invit ad inventare una storia epica completa, ispirata da tutti quegli elementi che sono scaturiti dall'analisi attraverso l'utilizzo dei criteri. Abbiamo stabilito un inizio, i personaggi chi erano e cosa facevano e anche cosa si dicevano tra loro, come lo dicevano e cosa dicevano invece a noi che li stavamo fissando. Si immaginata la presenza di un conflitto, una battaglia dovuta alle caratteristiche opposte di due immagini. Infine il tutto verteva nuovamente su che tipo di messaggio i personaggi, le relazioni fra di loro, i dialoghi e tutto ci che sarebbe accaduto all'interno della storia epica costruita, inviava al pubblico. Traendo le mie personali conclusioni, reputo l'esperienza e l'utilizzo del metodo The Self-Portait Experience un metodo necessario per l'essere umano. In particolare lo reputo utile per luomo moderno. In un tempo ed in una societ dove prevalgono concetti come produttivit, sfruttamento e soprattutto dove prevale la consuetudine di assumere un'identit sempre pi conforme alle richieste della societ, ritornare alla scoperta di noi stessi e degli altri di estrema importanza. Con la perdita dei rapporti veri che oramai son stati rimpiazzati dai rapporti freddi e virtuali imposti da internet o dai social network, questo metodo anche utile per avvicinare le persone le une alle altre. Ragion per cui, insieme ad un supporto psicoterapeutico nel caso la situazione lo richieda, il metodo The Self-Portrait Experience efficace. Funziona ed proprio quello di cui l'uomo di oggi necessita. Forse per chi non ama autoritrarsi o ha paura dell'obiettivo in s, potrebbe sembrare anche d'impatto o crudo, ma proprio quello che ci vuole per smuovere gli animi assopiti dalla vorace modernit che non lascia possibilit di coltivare gli intimi spazi della propria persona interiore.
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Conclusioni
Dall'esperienza diretta con il metodo The Self-Portait Experience sotto la guida della fotografa Cristina Nuez, si pu sostenere che le emozioni hanno una forza grandiosa. Tale forza pu essere incanalata e sfruttata nel campo dell'arteterapia e della fototerapia per aiutare l'uomo moderno a vivere le varie dimensoni relazionali della propria realt. Le emozioni quindi sono considerate, dalla stessa fotografa, materiale grezzo da cui l'arte pu attingere al fine di liberare l'inconscio dalle proprie catene. Possiamo dedurne che l'arte nella sua totalit, ma nello specifico per ci riferiamo sempre alla fotografia, pu aiutare l'uomo a liberare tutte quelle emozioni oscure e negative nascoste nell'abisso dell'inconscio. Lo pu aiutare a guardarlo dritto negli occhi cos come lui ogni mattina si guarda allo specchio. Pu guardarlo, osservarlo, accettarlo e prendere consapevolezza di esso. Per concludere, sperimentata in maniera del tutto diretta, la fototerapia con dovuto supporto psicologico, pu essere un ottima via per facilitare l'espressione dell'inconscio oltre l'utilizzo della talking cure.
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Innanzitutto vorrei ringraziare il Prof. Di Gregorio, relatore della mia tesi, per avermi supportato ed esser stato sempre disponibile durante la stesura del mio lavoro. Ringrazio affettuosamente Cristina Nuez. Senza di lei non avrei scoperto la bellezza ed il significato profondo dellautoritratto e, soprattutto, non avrei provato tante emozioni che lei con il suo lavoro mi ha regalato. Un caloroso ringraziamento va anche al gruppo con cui ho partecipato al workshop di Cristina: Alessandra, Daniela, Francesco, Giancarlo, Sabine e Valentina. Con loro ho ritrovato il bello del condividere, limportanza di essere uniti durante unesperienza cos importante e delicata. Ringrazio mio padre per avermi seguito fino a Perugia e aver passato insieme a me due giorni di workshop, pernottando in un breakfast sperduto fra le montagne di Spello, dove ne cellulari ne televisione prendevano il segnale. So che per lui stata dura, per questo gli sono grata. Inoltre, ringrazio mia madre e mia nonna per il loro supporto granitico e onnipresente. Grazie di cuore. Un grazie ai miei coinquilini Adele e Luigi, a Laura per le nottate passate a vedere solo serie tv horror e Chiara per tutti i viaggio di andata e ritorno verso LAquila fatti assieme. Grazie alla Roby, compagna di sempre con i suoi fantastici rimproveri, Clau e Lore per tutte le serate passate a giocare ad Arkham durante i miei periodi di piena sessione desame, Emanuela e Annarita, le mie sorelline, Anna per i bellissimi pausa caff. Ringrazio Lu per aver sopportato tutti i miei attacchi di panico e aver trovato sempre soluzione ad ogni cosa. Infine un grazie a tutti quello che non ho nominato, la lista sarebbe troppo lunga!
Il Futuro Della Conoscenza All'epoca Delle Tecnologie Digitali. Libertà, Apertura e Accessibilità Per Favorire La Circolazione e La Conservazione Dei Saperi
Corso di Laurea Magistrale in Scienze dell'informazione, della comunicazione e dell'editoria