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2.5.

1 Introduzione
Nel mondo esistono importanti riserve di oli greggi
cosiddetti non convenzionali, vale a dire greggi pesan-
ti e bitumi recuperabili da scisti e sabbie bituminose
che costituiscono riserve strategiche addizionali rispet-
to ai greggi che siamo abituati a conoscere, e che sono
identificati come oli greggi convenzionali. Anche se
non esiste una definizione universalmente riconosciu-
ta, di norma queste fonti fossili vengono classificate in
base ai valori di densit API e viscosit in corrispon-
denza delle condizioni di giacimento (tab. 1). Secondo
questa classificazione, sono definiti greggi pesanti gli
oli aventi una densit API inferiore a 25. Tra questi,
quelli aventi una viscosit superiore a 10.000 mPas
vengono classificati come extrapesanti; in genere la loro
densit inferiore a 10 API, il che significa che sono
pi densi dellacqua. In questultima categoria rientra-
no anche i bitumi estraibili dalle sabbie bituminose,
meglio conosciute con il termine di oil sand, nonch gli
oli prodotti per trattamento termico degli scisti bitumi-
nosi, noti come oil shale.
Dal punto di vista geologico, gran parte dei greggi
pesanti deriva da oli maturi che, dopo essere stati espul-
si dalla roccia madre, sono migrati in strati rocciosi
permeabili dove possono aver subito una serie di pro-
cessi degradativi quali lattacco di microrganismi, le-
vaporazione o il dilavamento delle frazioni leggere, che
hanno concentrato la componente dellolio pi pesante.
Una caratteristica comune a gran parte dei greggi pesan-
ti la loro presenza in bacini fluviali relativamente super-
ficiali, come nel caso del bacino dellOrinoco in Vene-
zuela (Orinoco Belt).
Le riserve stimate di greggi pesanti e bitumi da sab-
bie bituminose ammontano a circa 5.000 Gbbl. Pur con-
siderando che la quota di olio tecnicamente recuperabi-
le del 15-20%, evidente che si tratta di quantit enor-
mi se si pensa che tutto il Medio Oriente ha riserve per
2.000 Gbbl, di cui 683 considerate recuperabili (IEA,
2004; Perrodon et al., 1998). La gran parte di queste riser-
ve concentrata in Canada, nella provincia di Alberta, e
in Venezuela nel summenzionato Orinoco Belt. Un terzo
paese ricco di oli non convenzionali la Russia, anche
se in questo caso i dati sullammontare di tali riserve e
sulla tipologia degli oli sono molto pi incerti (tab. 2).
Per quanto riguarda loil shale, le riserve mondiali
sono dellordine di 2.600 Gbbl; di queste, circa 2.000
Gbbl sono sul territorio degli Stati Uniti e in particola-
re nelle formazioni denominate Green River (Colorado),
Uinta Basin (Utah) e Washakie Basin (Wyoming). Altre
137 VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILIT
2.5
Tecnologie emergenti
per la conversione di residui
tab. 1. Classificazione degli oli non convenzionali
Densit
(API)
Viscosit
(Pas)
Caratteristiche reologiche
dellolio alle condizioni
di giacimento
Greggi pesanti 16-25 Mobile
Greggi extrapesanti
10 10
Mobile
Bitumi da sabbie bituminose 7-12 Non mobile
Scisti bituminosi Impermeabilit della roccia madre
riserve significative sono presenti in Brasile, Australia,
Cina, Russia ed Estonia (Dyni, 2004).
La valorizzazione di tali risorse fossili riveste una
grande valenza strategica in quanto consentirebbe di
aumentare le riserve certe senza ricorrere a nuovi inve-
stimenti di esplorazione. Queste risorse inoltre contri-
buiscono a diversificare gli approvvigionamenti e, data
la loro distribuzione geografica che le colloca prevalen-
temente in aree diverse dal Medio Oriente, a eliminare
il rischio geopolitico che da sempre caratterizza i mer-
cati petroliferi.
La produzione di greggi pesanti e bitumi compor-
ta molto spesso lutilizzo di tecnologie particolari oppor-
tunamente sviluppate per trattare prodotti altamente
viscosi o, come nel caso dei bitumi, dispersi allinter-
no di matrici minerali sabbiose o, ancora, recuperabili
solo mediante trattamenti termici del materiale orga-
nico contenuto in rocce sedimentarie, come succede
per loil shale.
Negli ultimi 15-20 anni, linteresse per lo sviluppo di
tecnologie per la valorizzazione degli oli non conven-
zionali ha conosciuto fasi alterne, in relazione a scenari
macroeconomici pi o meno favorevoli a suggerire inve-
stimenti in questo settore (previsioni sul prezzo del greg-
gio e sul differenziale tra greggi pesanti e leggeri) e ad
aspettative, spesso disattese, circa la possibilit di supe-
rare ostacoli tecnologici di varia natura legati principal-
mente alle caratteristiche composizionali di tali risorse.
Tuttavia le previsioni sulla domanda di olio dei pros-
simi 20-30 anni e le indicazioni che emergono sulla dispo-
nibilit delle riserve di greggio convenzionale, secondo
le quali il picco di massima produzione dovrebbe collo-
carsi nellarco dei prossimi dieci anni (fig. 1), rafforza-
no lidea che sar sempre pi necessario fare ricorso agli
oli non convenzionali, attingendo alle riserve di greggi
extrapesanti e bitumi di Canada, Venezuela e Russia e,
successivamente (dopo il 2030), alloil shale.
Queste considerazioni stanno favorendo una serie di
iniziative industriali che nei prossimi decenni potranno
portare sul mercato quote significative di greggio sinte-
tico e/o distillati da fonti non convenzionali, anche per
effetto di una progressiva riduzione dei costi di produ-
zione legati allo sviluppo/ottimizzazione di nuove tec-
nologie, in ambito sia upstream sia downstream. A que-
sto riguardo, il caso pi significativo sicuramente rap-
presentato dal Canada, dove gli sforzi compiuti per
sviluppare tecnologie ad hoc per lo sfruttamento dei
campi di sabbie bituminose, iniziato intorno agli anni
Settanta, hanno consentito di ridurre i costi di produ-
zione di oltre il 50%, rendendo economicamente inte-
ressante questo tipo di industria. Si prevede che nel 2010
oltre il 60% della produzione canadese deriver da sab-
bie bituminose sotto forma di bitume tal quale o greg-
gio sintetico (Synthetic Crude Oil, SCO) e ci consen-
tir a questo paese di incrementare la sua produzione di
olio dagli attuali 2,5 Mbbl/d a oltre 5 Mbbl/d e diventa-
re il quarto produttore al mondo, dopo Arabia Saudita,
Russia e Stati Uniti.
138 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE
tab. 2. Principali depositi di bitumi (1) e greggi pesanti (2)
Depositi di bitumi e greggi pesanti Riserve (Gbbl)
Tecnicamente
recuperabile
(Gbbl)
Profondit (m) API
Canada
Athabasca
1
, Cold Lake
1
, Peace River
1
,
Lloydminster
2
1.630 315 0-750 8-20
Venezuela
2
Bacino dellOrinoco (Cerro Negro, Zuata,
ecc.), Bachaquero, Boscan
1.900 272 1.300 8-11
Russia
1
Piattaforma siberiana, Malekess
450
0
25
50
75
100
125
1971 1980 1990 2000 2010 2020 2030
p
r
o
d
u
z
i
o
n
e

m
o
n
d
i
a
l
e

d
i

o
l
i
o

(
M
b
b
l
/
d
)
capacit esistenti
nuove scoperte
olio da recupero assistito
sviluppo di riserve esistenti
oli non convenzionali
fig. 1. Previsioni di medio periodo sulla produzione
mondiale di olio (IEA, 2004).
2.5.2 Propriet e caratteristiche
chimiche degli oli
non convenzionali
Greggi pesanti e bitumi
Per quanto riguarda le caratteristiche composiziona-
li, analogamente al petrolio, i greggi pesanti e i bitumi
sono costituiti da miscele estremamente complesse di
idrocarburi, le cui caratteristiche chimiche e chimico-
fisiche (peso molecolare, rapporto H/C, densit, volati-
lit, ecc.) variano con continuit, partendo dalle struttu-
re paraffiniche pi semplici (gas idrocarburici) fino a
macromolecole costituite da molte decine di atomi di car-
bonio, oltre che da eteroatomi (zolfo e azoto) e metalli.
Le metodologie sviluppate per la loro caratterizza-
zione fanno per lo pi riferimento alle metodiche uti-
lizzate in campo petrolifero per semplificare la misce-
la, operando in modo tale da separare frazioni con carat-
teristiche chimico-fisiche il pi possibile omogenee
(Altgelt e Boduszynski, 1993). Loperazione primaria
la distillazione che consente di separare le frazioni in ba-
se a criteri di volatilit. Da questo punto di vista, gli oli
pesanti e i bitumi hanno un contenuto di idrocarburi
distillabili (naphtha e gasoli) decisamente inferiore rispet-
to a quello dei greggi tradizionali, quale per esempio lAra-
bian Light (tab. 3).
I diversi tagli di distillazione possono poi essere ulte-
riormente frazionati in base a criteri di polarit e/o peso
molecolare, operando in maniera pi o meno dettaglia-
ta in relazione alla complessit della miscela e in fun-
zione del tipo di informazione richiesta. Nel caso dei
distillati leggeri (naphtha e gasolio atmosferico) si pro-
cede mediante separazione cromatografica per suddivi-
dere gli idrocarburi saturi da quelli aromatici, mentre
per le frazioni pi pesanti e per i residui di distillazio-
ne, che nel caso dei prodotti considerati costituiscono le
frazioni quantitativamente pi rilevanti, il protocollo
analitico comunemente accettato prevede la prepara-
zione di quattro classi di composti denominati: saturi,
aromatici, resine e asfalteni (analisi SARA). Ciascuna
classe pu poi essere caratterizzata per identificare sin-
goli componenti o valutarne le caratteristiche moleco-
lari pi significative in funzione della complessit della
miscela e/o delle necessit.
Rispetto ai greggi tradizionali, la quantit degli idro-
carburi saturi contenuta nei greggi pesanti e nei bitumi
139 VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILIT
TECNOLOGIE EMERGENTI PER LA CONVERSIONE DI RESIDUI
tab. 3. Principali caratteristiche composizionali di greggi pesanti e bitumi
Arabian
Light
Zuata Boscan Maya Cold Lake
Bitume
Athabasca
Origine Arabia Saudita Venezuela Venezuela Messico Canada Canada
Densit API 33,6 8,5 10,5 21,5 10,2 7,4
Resa distillazione (% in peso)
Naphtha 20,6 0,0 4,0 12,9 1,5 1,0
Gasolio atmosferico 36,0 14,1 11,6 21,7 14,9 13,0
Gasolio vacuum 23,2 31,0 20,2 22,2 38,8 34,0
Residuo vacuum (VR) 20,2 54,9 64,2 42,2 44,8 52,0
Caratteristiche residuo vacuum
Taglio TBP
*
530 C+ 500 C+ 350 C+ 500 C+ 340 C+ 300 C+
Densit API 8,3 2,5 7,2 1,5 7,2 7,8
Zolfo (% in peso) 4,0 4,2 6,0 5,2 4,9 4,6
Azoto (% in peso) 0,25 0,97 0,96 0,81 0,70 0,48
Nichel (ppm) 30 154 119 132 107 70
Vanadio (ppm) 110 697 1.473 866 210 186
Asfalteni C
7
(% in peso) 5,3 19,7 18,2 30,3 n.d. 12,4
CCR (% in peso) 18,0 22,1 18,3 29,3 20,8 13,6
*
La sigla TBP (True Boiling Point) indica che il taglio stato eseguito secondo la procedura indicata nella normativa ASTM.
decisamente pi bassa (fig. 2), cos come dal punto di
vista qualitativo si osservano differenze importanti dovu-
te a una minore concentrazione di n-paraffine in favore
di isoparaffine e nafteni ad alto grado di condensazio-
ne, molto spesso contenenti zolfo nella struttura.
La componente non alifatica costituita da idrocar-
buri aromatici ed eteroaromatici a diverso grado di con-
densazione, diversa alchilsostituzione e funzionalizza-
zione. Anche in questo caso, a parit di taglio di distil-
lazione, le strutture idrocarburiche si presentano con un
pi alto grado di condensazione rispetto a quanto si osser-
va nei greggi convenzionali.
I greggi pesanti e i bitumi sono poi caratterizzati dal
fatto di contenere significative quantit di eteroatomi
(specie zolfo e azoto) oltre a metalli pesanti, quali nichel
e vanadio in particolare.
Leteroatomo di gran lunga pi rappresentato lo zolfo,
la cui concentrazione pu raggiungere valori del 6-8% in
peso. Lo zolfo si distribuisce con percentuali crescenti nei
prodotti con pi elevata temperatura di ebollizione e si
presenta prevalentemente come zolfo tiofenico in struttu-
re condensate (benzo-, dibenzo- e naftobenzo- tiofeni),
ma anche come zolfo alifatico in gruppi funzionali di tipo
solfuro e disolfuro. Queste funzionalit sono spesso uti-
lizzate per creare i collegamenti tra cluster idrocarburici.
Lazoto, presente a livello di 0,5-1% in peso, tende a
concentrarsi nelle frazioni pi pesanti della curva di distil-
lazione. Tale eteroatomo si trova in gruppi funzionali sia
di tipo basico (ammine alifatiche e aromatiche preva-
lentemente primarie e piridine) sia di tipo neutro (sotto
forma di indoli, carbozoli, ammidi nonch come azoto
porfirinico).
Lossigeno risulta essere presente nei greggi, negli
oli pesanti e nei bitumi in concentrazioni generalmente
basse, in genere non superiori all1,0-1,5% in peso. Poi-
ch lossigeno si ritrova preferenzialmente in gruppi di
tipo idrossilico (fenoli, alcoli e acidi carbossilici), esso
si concentra nelle componenti pi polari del greggio quali
resine e asfalteni. Gli acidi naftenici costituiscono cer-
tamente la classe di composti ossigenati pi studiata,
soprattutto a causa delle loro propriet corrosive. Pi
raramente, lossigeno pu presentarsi sotto forma di eteri
o cicloeteri o accoppiato ad altri eteroatomi per forma-
re solfossidi e ammidi.
Per quanto riguarda i metalli, nichel e vanadio sono
gli elementi di gran lunga pi abbondanti (fino a diver-
se centinaia di ppm), anche se alcuni oli possono conte-
nere significative quantit di sodio, ferro e molibdeno.
Tali metalli sono contenuti in strutture metallorganiche
oleosolubili e si concentrano nella parte pi pesante del-
lolio, tanto che si ritrovano abbondanti negli asfalteni.
Una quota consistente della componente metallorgani-
ca di tipo porfirinico ma molte altre strutture, spesso
difficilmente identificabili, ampliano la casistica dei
composti contenenti metalli presenti negli asfalteni.
I bitumi ottenuti per estrazione da sabbie bitumino-
se possono contenere materiale inorganico, tipicamente
argille e sabbia che risultano disperse allinterno della
matrice oleosa in granuli di dimensioni lineari dellor-
dine del micron (silt). La quantit di materiale inorgani-
co dipende dalla tecnologia estrattiva e dal procedimen-
to di separazione della fase organica dalla sabbia: tale
contenuto compreso fra lo 0,5 e l1% in peso se il bitu-
me viene prodotto mediante i tradizionali processi di
escavazione, mentre pu scendere a valori compresi tra
500 e 1.000 ppm nel caso si utilizzino le pi recenti tec-
nologie di produzione, quale in particolare la tecnologia
SAGD (Steam Assisted Gravity Drainage).
Caratteristiche chimiche e chimico-fisiche
degli asfalteni
I residui da vuoto, vale a dire le frazioni quantitati-
vamente maggioritarie di greggi pesanti e bitumi, sono
per lo pi costituiti da idrocarburi aromatici variamente
condensati e distribuiti su un ampio intervallo di pesi
molecolari e polarit. Essi costituiscono un continuo
composizionale anche se, come ricordato in preceden-
za, possono essere convenzionalmente distinti in aro-
matici, resine e asfalteni. La differenziazione tra queste
frazioni non pu comunque prescindere dai parametri
operativi utilizzati per eseguire la separazione. Caratte-
ristica a questo riguardo la precipitazione degli asfal-
teni, che largamente influenzata dal tipo di agente pre-
cipitante oltre che dalle condizioni operative (Speight,
2004). La conseguenza diretta di quanto appena affer-
mato che per poter eseguire un confronto tra campio-
ni diversi indispensabile standardizzare le condizioni
di analisi, specificando lagente precipitante utilizzato
(convenzionalmente n-pentano o n-eptano) e fornendo
140 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE
100%
aromatici
greggi
convenzionali
Athabasca, Canada
Cold Lake, Canada
Lloydminster, Canada
Cherokee, USA
100%
saturi
100% resine
asfalteni
fig. 2. Distribuzione delle principali classi idrocarburiche
costituenti greggi pesanti e bitumi.
dettagli sulla metodica utilizzata. Concettualmente, la
separazione degli asfalteni pu essere paragonata al fra-
zionamento per distillazione della componente volatile
del greggio. In entrambi i casi, i costituenti della misce-
la vengono divisi definendo un punto di taglio, quale
la temperatura di ebollizione (distillazione) o il para-
metro di solubilit dellagente precipitante (deasphalt-
ing). Il potere solvente degli idrocarburi, o meglio la
capacit di fungere da solvente o antisolvente per preci-
pitare gli asfalteni, pu essere correlato al parametro di
solubilit (d) definito secondo Joel Hildebrand e Robert
Scott come:
DH
V
RT
d

11112

1
23
2
V
dove DH
V
lentalpia molare di vaporizzazione delli-
drocarburo considerato, V il suo volume molare e R e
T sono rispettivamente la costante universale dei gas e
la temperatura assoluta. Il parametro di solubilit pu
anche essere stimato utilizzando la correlazione:
d
2
AV

1
2 4
3
g
dove A una costante, g la tensione superficiale e V il
volume molare dellidrocarburo considerato (Barton, 1991).
Una rappresentazione grafica molto efficace delle
caratteristiche molecolari degli asfalteni stata propo-
sta da Robert Long utilizzando un diagramma bidimen-
sionale (fig. 3), nel quale polarit e peso molecolare degli
idrocarburi presenti nellolio costituiscono i principali
parametri che, in funzione del solvente utilizzato, deter-
minano la precipitazione di frazioni specifiche (Long,
1979). Tale diagramma suggerisce inoltre lidea che gli
asfalteni debbano essere considerati una classe di com-
posti che, dal punto di vista chimico, pu risultare molto
ampia e differenziata.
Oltre che dalle modalit utilizzate in fase di separa-
zione, le caratteristiche chimiche degli asfalteni dipen-
dono dal greggio di provenienza. Come evidenziato in
tab. 4, la variabilit riscontrata su asfalteni di diversa ori-
gine, relativamente ad aromaticit, grado e natura del-
lalchilsostituzione oltre che contenuto di eteroatomi,
notevole (Cimino et al., 1995).
Per quanto riguarda il peso molecolare, il discorso
ancora pi complesso per la tendenza degli asfalteni a
formare aggregati, tanto che le misure di peso moleco-
lare medio effettuate via Vapour Pressure Osmometry
(VPO) o Size Exclusion Chromatography (SEC) sono
influenzate in maniera significativa dalla polarit del sol-
vente utilizzato. Per questo motivo i valori di peso mole-
colare medio riportati in letteratura, per i quali si riscon-
tra un range di variabilit compreso tra 10
3
-10
4
unit di
massa atomica, hanno un significato (relativo) se consi-
derati allinterno del set di misure effettuate, ma posso-
no essere poco attendibili per quanto riguarda le reali
dimensioni molecolari del campione.
Lanalisi chimico-strutturale degli asfalteni pu esse-
re efficacemente eseguita mediante tecniche di riso-
nanza magnetica nucleare (
1
H- e
13
C-NMR), attraverso
le quali possono essere determinati diversi parametri
molecolari medi quali: fattore di aromaticit, grado di
alchilsostituzione, lunghezza media di catena, ecc., che
risultano estremamente utili per fornire unidea dello
scheletro idrocarburico oltre che delle funzionalit chi-
miche delle molecole presenti nel campione. I risulta-
ti di queste indagini tendono a rappresentare gli asfal-
teni come macromolecole costituite da cluster aroma-
tici policondensati, variamente sostituiti con catene
alchiliche che possono risultare sufficientemente lun-
ghe (C
10
), e collegati tra loro da catene idrocarburi-
che sature ed eteroatomi. Il grado di condensazione
delle unit aromatiche pu essere pi o meno esteso
ma normalmente non supera il numero di 5-6 anelli
(Speight, 1980).
141 VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILIT
TECNOLOGIE EMERGENTI PER LA CONVERSIONE DI RESIDUI
polarit
asfalteni C
5
greggio
a
s
f
a
l
t
e
n
i

C
7
p
e
s
o

m
o
l
e
c
o
l
a
r
e
fig. 3. Rappresentazione delle caratteristiche molecolari
degli asfalteni (Long, 1979).
tab. 4. Variabilit composizionale di asfalteni C
7
precipitati da greggi e bitumi
Resa in asfalteni su base olio (% in peso) Fino a 30
Rapporto H/C 0,8-1,4
Zolfo (% in peso) 0,5-10,0
Azoto (% in peso) 0,6-2,6
Ossigeno (% in peso) 0,3-4,8
Fattore di aromaticit 0,45-0,70
n (numero medio di atomi di C
per sostituente alchilico)
4-7
Cos come le altre classi di composti, anche la com-
ponente asfaltenica dei greggi pesanti e dei bitumi risul-
ta sufficientemente diversa da quella dei greggi leggeri.
In particolare, oltre allelevato contenuto di eteroatomi
e metalli, gli asfalteni risultano avere pesi molecolari
significativamente pi alti, dovuti allelevata concentra-
zione di zolfo che favorisce la formazione di ponti sol-
furo e disolfuro tra i diversi cluster aromatici, caratteri-
stica che rende tali strutture molto reattive nei riguardi
di reazioni di cracking termico o idrogenante (v. sopra).
Dal punto di vista molecolare, gli asfalteni contenu-
ti nei bitumi possono essere efficacemente rappresenta-
ti da modelli arcipelago, ovvero strutture costituite da
isole di piccoli gruppi di anelli condensati, collegate tra
loro da catene alifatiche e ponti solfuro, come rappre-
sentato in fig. 4 (Sheremata et al., 2004).
Le resine sono composti intermedi tra gli asfalteni e
le componenti idrocarburiche (saturi e aromatici); sono
costituite da molecole polari simili a quelle degli asfal-
teni, ma dotate di catene alifatiche laterali pi lunghe e
anelli aromatici pi piccoli.
Per quanto gi affermato, essendo il greggio un con-
tinuum, la procedura di separazione che stabilisce la
differenza tra asfalteni e resine: le resine potrebbero esse-
re considerate come asfalteni a basso peso molecolare,
cos come gli asfalteni potrebbero essere visti come resi-
ne ad alto peso molecolare.
A partire dagli anni Cinquanta sono stati anche
proposti modelli termodinamici in cui gli asfalteni si pre-
sentano come particelle colloidali disperse nellolio gra-
zie allazione delle resine che le circondano. Presentando
una polarit relativamente maggiore rispetto al resto del-
lolio, le resine sono adsorbite sulla superficie delle par-
ticelle colloidali. Secondo questo modello, gli asfalteni
sono stabilizzati o peptizzati dalle resine: se un cam-
bio nelle condizioni di temperatura, pressione o compo-
sizione porta al desorbimento delle resine dalla superfi-
cie delle particelle colloidali, si ha la separazione (pre-
cipitazione) degli asfalteni (Murgich et al., 1996).
Questo modello, che descrive gli asfalteni come col-
loidi liofobi, sempre meno seguito, a favore di una
descrizione degli asfalteni come colloidi liofili, solvata-
ti dal mezzo circostante. In questo modello la separa-
zione di fase degli asfalteni legata alla diminuzione del
potere solvente del mezzo e le resine non giocano pi un
ruolo chiave nel sistema (Cimino et al., 1995).
Natura e caratteristiche chimiche
degli scisti bituminosi
Gli scisti bituminosi sono rocce sedimentarie, gene-
ralmente silicati e carbonati, contenenti significative quan-
tit di materiale organico insolubile che pu essere recu-
perato per distillazione pirolitica (processo meglio cono-
sciuto con il nome di retorting). Nelle rocce che rivestono
un potenziale interesse commerciale, la quantit di mate-
riale organico deve essere superiore a 10 gal/t (45 l/t),
anche se di norma, nelle formazioni pi ricche, tale valo-
re compreso tra 30 e 40 gal/t (ricordiamo che il bitu-
me Athabasca si colloca intorno a 22 gal/t). I depositi di
oil shale possono estendersi per migliaia di km quadra-
ti per spessori che possono raggiungere i 700 m, cosicch
la quantit di olio recuperabile per unit di superficie
142 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE
CH
3
CH
3
CH
3
CH
3
OH
O
O
H
3
C
H
3
C
H
3
C
H
3
C
S
S
N
N
S
S
O
A B
O
O
O
S
S
S
S
S
S
S
NH
H
N
H
N
fig. 4. Strutture molecolari medie rappresentanti molecole asfalteniche di origine diversa: A, asfalteni da greggi tradizionali;
B, asfalteni da bitume canadese (Sheremata et al., 2004).
di un ordine di grandezza superiore rispetto agli oil sand
canadesi. La produttivit dei giacimenti pi importanti
(per esempio Colorado oil shale) pu infatti raggiunge-
re valori fino a 0,73 bbl di olio per tonnellata di mate-
riale trattato (Bunger et al., 2004).
La componente organica delloil shale costituita da
complesse molecole idrocarburiche assimilabili al kero-
gene (fig. 5), dal quale si origina il petrolio, contenenti
significative quantit di ossigeno (5-6% in peso) e, in
misura minore, zolfo e azoto. Il contenuto di idrogeno
del kerogene tal quale significativamente superiore a
quello del carbone, con un rapporto H/C di 1,5-1,6 rispet-
to a valori intorno a 0,8-0,9 per i carboni bituminosi.
Analogamente al carbone, questo materiale organico
viene solitamente suddiviso in gruppi di macerali diffe-
renziabili in base alle caratteristiche ottiche (riflettanza
della luce) e morfologiche, che ricordano la natura del
materiale biologico che li ha generati. I macerali sono
raggruppabili in tre tipologie primarie denominate telal-
ginite, lamalginite e bituminite, che possono poi essere
ulteriormente divise in sottogruppi.
2.5.3 Chimica dei processi
di conversione e upgrading
I processi di conversione e upgrading di residui petro-
liferi, greggi pesanti e bitumi hanno lo scopo di tra-
sformare un substrato costituito da idrocarburi ad alto
peso molecolare, viscoso, ricco di componenti tossici e
metalli, in prodotti pi fluidi e leggeri (synthetic crude
oil) assimilabili a un greggio tradizionale, o meglio in
distillati direttamente valorizzabili in benzina e gasolio
per autotrazione. Tale trasformazione pu essere realiz-
zata in modo diretto mediante processi termici o hydro-
cracking, o in modo indiretto previa trasformazione della
carica (quantitativo di materiale per alimentare il reat-
tore) in gas di sintesi (ovvero miscela di CO e H
2
) median-
te gassificazione (v. vol. II, cap. 7.3) e successiva pro-
duzione di paraffina mediante sintesi Fischer-Tropsch
(v. cap. 2.6).
Processi di conversione in distillati
I processi di conversione diretta di cariche pesanti in
distillati sono particolarmente complessi e comportano
la riduzione del peso molecolare dei costituenti della
carica mediante reazioni di rottura dei legami delle mole-
cole idrocarburiche (cracking) e laumento del rapporto
H/C; questultimo pu essere ottenuto tramite rimozio-
ne del carbonio (C-rejection process) o aggiunta di idro-
geno (H-addition process).
I processi di C-rejection sono processi termici median-
te i quali gli idrocarburi pesanti della carica vengono
disproporzionati generando distillati a pi alto rapporto
H/C e liberando un residuo altamente aromatico (tar o
coke). Il processo di tipo radicalico e comporta la rot-
tura omolitica di legami CC e Ceteroatomo segui-
ta da reazioni di b-scissione attraverso cui, con il pro-
gredire della reazione, vengono prodotti frammenti idro-
carburici sempre pi leggeri generando distillati e gas. I
radicali aromatici prodotti dalla dealchilazione (radica-
li p) tendono invece a reagire tra loro dando origine a
strutture polinucleari altamente condensate, sempre meno
solubili nella miscela di reazione e che, oltre un certo
143 VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILIT
TECNOLOGIE EMERGENTI PER LA CONVERSIONE DI RESIDUI
O
O
O
O
O
O
O
OH
OH
OH
OH
HO
HO
HS
HO
HO
OH
OH
OH
O
O
O
O
O
O
OH
OH
OH
OH
Cl
O O
OH
O
O
O
NH
OH
O
O
O
O
S
HO
O
O
S
O
S
fig. 5. Rappresentazione di struttura molecolare del kerogene (Lille et al., 2003).
livello, portano alla formazione di mesofase e quindi di
coke. La propensione a formare coke da parte di un resi-
duo legata al grado di policondensazione delle strut-
ture aromatiche pesanti ed quantificata dal valore di
CCR (Conradson Carbon Residue), che viene misurato
secondo la metodologia ASTM (American Society for
Testing and Materials) D 189.
Le principali tipologie di reazione che operano in
questi processi sono pertanto la dealchilazione di strut-
ture aromatiche, la deidrogenazione di nafteni e la con-
densazione. Tutte queste reazioni sono favorite dalla tem-
peratura che in genere sempre superiore a 450 C.
Dal punto di vista cinetico, almeno per quanto riguar-
da il visbreaking, la produzione dei prodotti di cracking
segue una cinetica apparente del primo ordine con valo-
ri di energia di attivazione intorno a 230 kJ/mol, il che
significa che la velocit di reazione raddoppia per ogni
incremento di temperatura di 14-15 C.
In generale i processi termici sono poco selettivi verso
la produzione di distillati poich, aumentando la seve-
rit del processo, si aumenta la resa in gas e si va incon-
tro a problemi di stabilit sui prodotti di reazione (v.
oltre). La qualit dei distillati mediocre, in quanto il
solo cracking termico non in grado di rimuovere in
modo significativo gli eteroatomi presenti nelle cariche
pesanti. Inoltre, naphtha e gasolio sono ricchi di olefine
e dieni, e pertanto devono essere stabilizzati mediante
idrotrattamento.
Nei processi di H-addition la conversione delle cari-
che pesanti a distillati ottenuta attraverso lazione com-
binata di reazioni di cracking e idrogenazione catalitica
dei frammenti reattivi. In questo modo possibile con-
trollare in modo pi efficace il propagarsi delle reazio-
ni radicaliche, soprattutto nei riguardi dei processi di con-
densazione di aromatici, e quindi ridurre il problema
della formazione di coke (fig. 6). A seconda delle con-
dizioni di reazione e del tipo di catalizzatore utilizzati,
si pu inoltre aggiungere idrogeno ai prodotti saturando
le strutture aromatiche e favorendo leliminazione degli
eteroatomi. Per questa ragione la qualit dei distillati (ma
anche del residuo di conversione) ricavati dai processi di
hydrocracking decisamente migliore rispetto a quella
dei distillati ottenibili dai processi termici.
Per quanto riguarda la termodinamica del processo,
lequilibrio delle reazioni di idrogenazione delle strut-
ture aromatiche favorito da unalta pressione parziale
di idrogeno mentre sfavorito da un aumento di tempe-
ratura. Lesigenza di operare a temperature superiori a
380 C per promuovere il cracking termico rende per-
tanto necessario spingere la pressione parziale di idro-
geno verso valori superiori a 100-120 bar.
Il catalizzatore ideale per lupgrading di cariche pe-
santi deve favorire il processo di addizione di idroge-
no ai prodotti generati in fase di cracking termico mini-
mizzando la quantit di coke prodotto. Inoltre, esso deve
consentire la rimozione dei veleni presenti nella carica
attraverso lidrogenazione del substrato, ovvero favori-
re i processi di desolforazione (HDS, HyDrodeSulphur-
ization), deazotazione (HDN, Hydrodenitrogenation),
demetallizzazione (HDM, Hydrodemetallization) e ridu-
zione del residuo carbonioso dei prodotti (HDCCR, Hydro
Conradson Carbon Residue Removal).
Le specie catalitiche pi attive per queste reazioni
sono alcuni solfuri di metalli pesanti quali in particola-
re Mo, Ni, Co, W, Rh, spesso usati in coppia (Ni/Mo,
Co/Mo, Ni/W) e depositati su opportuni supporti poro-
si (preferibilmente allumina) o mescolati alla carica sotto
forma di polvere (catalisi in fase slurry).
Il problema principale che si incontra quando si uti-
lizzano catalizzatori supportati per trattare cariche par-
ticolarmente pesanti di limitare la disattivazione del
catalizzatore dovuta al depositarsi sia dei metalli sia
del coke. Occorre per precisare che mentre il coke
depositato pu essere rimosso mediante la rigenera-
zione del catalizzatore, la perdita di attivit dovuta ai
metalli permanente e quindi il catalizzatore deve esse-
re sostituito.
La disattivazione dovuta a depositi di coke compor-
ta la perdita di attivit per effetto del ricoprimento dei
siti attivi del catalizzatore da parte di materiale carbo-
nioso prevalentemente di origine asfaltenica; infatti tale
perdita aumenta allaumentare del livello di conversio-
ne della carica in distillati, ovvero in condizioni che favo-
riscono linsorgere di problemi di stabilit. La disattiva-
zione da coke pu essere contrastata da un aumento della
pressione parziale di idrogeno.
144 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE
.
S
R
D
R1
CH
2
.
CH
2
S
R1
S
R1
S
H
R1
H
2
/
catalizzatore
mesofase
coke
distillati
fig. 6.
Rappresentazione
semplificata
del processo
di idroconversione
di cariche pesanti.
Per quanto riguarda i metalli, la disattivazione avvie-
ne attraverso lostruzione della struttura porosa e il rico-
primento dei siti attivi da parte dei metalli contenuti nelle
strutture metallo-porfiriniche, che durante la reazione
vengono distrutte generando i rispettivi solfuri.
Le caratteristiche fisiche del supporto, e in partico-
lare la porosit, sono pertanto fondamentali quanto quel-
le della fase attiva nel determinare il comportamento del
catalizzatore. Lelevata viscosit e la presenza di com-
posti ad alto peso molecolare (asfalteni e composti metal-
lorganici), che caratterizzano le cariche pesanti, rendo-
no difficile laccesso del substrato allinterno delle par-
ticelle di catalizzatore; il processo di diffusione nella
struttura porosa pu essere problematico e rappresenta-
re lo stadio lento della reazione. Se il catalizzatore non
ha una struttura porosa adeguata e la diffusione delle
molecole nei pori impedita, la maggior parte dei metal-
li si deposita sulla superficie esterna, provocando lo-
struzione dei pori e impedendo quindi lo svolgersi della
reazione. Nel caso di cariche pesanti vengono pertanto
impiegati materiali macroporosi, spesso come letti sacri-
ficali, sui quali far avvenire gran parte delle reazioni di
demetallizzazione per poi poter procedere con le rea-
zioni di conversione e upgrading della carica utilizzan-
do letti catalitici ad hoc.
I catalizzatori impiegati nei processi slurry sono spes-
so intimamente associati a materiale carbonioso (coke)
prodotto durante la reazione o appositamente aggiunto.
Rispetto ai catalizzatori supportati, sui quali sono basa-
te le tecnologie di hydrocracking convenzionali, questi
materiali sono poco sensibili alla presenza di veleni, in
quanto non presentano i classici problemi dovuti alla
deposizione di coke e metalli sui pori del supporto. Luso
di catalizzatori dispersi a base di solfuri di metalli del
V, VI e VIII gruppo (in particolare di Fe, Mo e V) per
lupgrading di residui, greggi pesanti, bitumi e carbone
noto e ampiamente descritto dalla letteratura scienti-
fica da oltre trentanni. I primi lavori significativi pub-
blicati su questo argomento fanno riferimento a Clyde
Aldridge e Roby Bearden (Aldridge e Bearden, 1978) e
descrivono luso di Mo introdotto sotto forma di pre-
cursori oleosolubili. Successivamente sono state speri-
mentate e proposte numerose varianti per quanto riguar-
da sia lutilizzo di precursori di varia natura, sia la sin-
tesi ex situ del catalizzatore in modo da migliorarne
lattivit specifica.
I catalizzatori dispersi pi attivi restano comunque
quelli a base di molibdeno ottenuti per decomposizione
di precursori solubili in olio, quali i naftenati, gli ossa-
lati, gli xantati, i ditiocarbammati o altri derivati metal-
lorganici come il Molyvan A (N,N-dibutilditiocarbam-
mato di oxotiomolibdeno), che vengono forniti allo sta-
dio di hydrocracking/hydrotreating insieme con la carica
(Delbianco et al., 1995). La decomposizione in situ di
tali precursori in presenza di idrogeno e zolfo genera una
polvere finissima costituita da lamelle nanometriche di
solfuro di molibdeno (molibdenite, MoS
2
) a basso grado
di aggregazione (nanocluster) e altamente dispersa allin-
terno della carica. La fase catalitica attiva quindi la
molibdenite, nota struttura esagonale a strati con il molib-
deno al centro tra due layer di zolfo. Le lamelle adiacenti
risultano tra loro vincolate dalle deboli forze (tipo Van
der Waals) di dispersione agenti tra i rispettivi atomi di
zolfo. Per tale motivo, la struttura molibdenitica pu esse-
re facilmente sfaldata (delaminata) sino a ottenere lamel-
le elementari che presentano un bassissimo grado di impi-
lamento, garantendo unalta dispersione nella matrice
oleosa (fig. 7). La dimensione radiale mediamente com-
presa nel range 2-4 nm. Lindagine microscopica mostra
che i cristalli di molibdenite tendono ad aggregarsi in
particelle di dimensioni lineari dellordine del micron,
che appaiono in forma di cluster irregolari, aventi dia-
metro medio di 0,5-2 mm (Panariti et al., 2000).
Le caratteristiche morfologiche e lassenza di sup-
porti porosi rendono la molibdenite particolarmente adat-
ta a operare efficacemente come catalizzatore di idro-
genazione in condizioni molto difficili per la presenza
di alte concentrazioni di veleni, quali soprattutto i metal-
li pesanti. Lattivit catalitica della molibdenite in ambien-
te idrogenante sembra essere dovuta sia alla formazione
di vacanze di zolfo sui profili dei nanocluster per effet-
to dellinterazione dellidrogeno con MoS
2
, sia alla for-
mazione di gruppi SH che evolvono in H
2
S.
La reattivit delle cariche pesanti allhydrocracking
fortemente influenzata dalla natura del substrato,
che pu essere pi o meno reattivo in funzione del-
la struttura molecolare media delle molecole che lo
145 VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILIT
TECNOLOGIE EMERGENTI PER LA CONVERSIONE DI RESIDUI
10 nm
fig. 7. Struttura della molibdenite microcristallina ottenuta
mediante microscopia TEM (Transmission Electron
Microscope; Panariti et al., 2000).
costituiscono e della concentrazione e natura degli ete-
roatomi presenti.
I substrati pi reattivi sono caratterizzati dal fatto di
avere strutture molecolari medie contenenti cluster aro-
matici relativamente piccoli, collegati tra loro da catene
alchiliche o legami Ceteroatomo aventi basse ener-
gie di legame. Per quanto riguarda gli eteroatomi, leli-
minazione dello zolfo avviene per formazione di H
2
S e
pu essere pi o meno difficile a seconda della natura
del composto solforato che lo contiene. In generale, la
reattivit delle specie solforate segue una scala decre-
scente: S aromatico (tiofeni condensatitiofeni)S naf-
tenicoS paraffinico (tioeteri e disolfuri).
Il secondo eteroatomo solitamente presente nelle ca-
riche pesanti lazoto, che viene rimosso sotto forma di
NH
3
previa idrogenazione delle strutture eteroaromati-
che che lo contengono. Leliminazione dellazoto pi
difficoltosa di quella dello zolfo, poich lenergia del
legame CN superiore a quella del legame CS
(360 kJ/mol contro 320 kJ/mol rispettivamente per am-
mina e per solfuro alchilico).
Anche per quanto riguarda i metalli, la rimozione di
Ni e V (reazioni di demetallizzazione) procede passan-
do per lidrogenazione delle strutture porfiriniche che li
contengono e porta alla formazione di solfuri di tipo pir-
rotitico, ovvero Ni
1x
S, V
1x
S (con x0,1), che vengo-
no rilasciati nella miscela di reazione o intrappolati nella
struttura porosa dei catalizzatori supportati impiegati nel
processo.
Le principali reazioni coinvolte nei processi di hydro-
cracking di residui sono esotermiche. Il calore svilup-
pato dipende dalla natura della carica trattata e dal grado
di conversione, nonch dal livello di upgrading raggiun-
to dal processo. La tonalit termica delle diverse rea-
zioni che intervengono nei processi di upgrading pu
essere stimata in funzione del consumo didrogeno allin-
terno di un determinato range di valori, come illustrato
in tab. 5 (Tominaga e Tomaki, 1997).
Stabilit dei residui petroliferi
Da un punto di vista generale, la stabilit esprime
la capacit di un residuo petrolifero di sopportare la
diluizione con flussanti (cutter stock) di natura preva-
lentemente paraffinica, senza dar luogo a precipitazio-
ne di asfalteni. La stabilit viene valutata mediante la
determinazione del P-value, ovvero del valore di P deri-
vato dalla relazione: P1X
min
, dove X
min
corrisponde
al valore di diluizione massima del campione con ceta-
no (n-C
16
H
34
) che non comporta precipitazione di asfal-
teni, espressa come ml di cetano su 1 g di campione.
Nei residui di distillazione primaria (straight run), la
stabilit una qualit intrinseca del prodotto e dipende
dalle caratteristiche composizionali degli asfalteni rispet-
to a quelle della fase idrocarburica non asfaltenica (mal-
teni). I processi di conversione, sia termici sia catalitici,
modificano la natura chimica di questi due pseudocom-
posti, determinando una progressiva diminuzione della
stabilit al crescere della severit del trattamento (lega-
ta alla combinazione tempo-temperatura di reazione). Le
ragioni di questa diminuzione di stabilit sono dovute al
fatto che nel corso della reazione gli asfalteni vengono
dealchilati diventando sempre pi aromatici e quindi
sempre meno solubili nella fase maltenica la quale, per
la stessa ragione, tende a diventare pi paraffinica. Oltre
un certo livello di conversione gli asfalteni precipitano
(si assiste quindi a una separazione di fase liquido-liqui-
do), innescando processi di formazione di mesofase e
quindi di coke.
Questo fenomeno si osserva in tutti i processi di con-
versione residui, sia termici sia di hydrocracking, tanto
che la stabilit dei prodotti di conversione determina di
fatto il livello di conversione massima ottenibile per una
determinata carica. Per questa ragione non possibile
spingere la conversione oltre il 20-30% negli impianti di
visbreaking e oltre il 40-50% negli impianti di hydro-
cracking a letto fisso.
2.5.4 Tecnologie con rimozione
di carbonio
Processi termici: visbreaking e coking
Visbreaking
Il visbreaking una tecnologia molto semplice e lar-
gamente diffusa a livello mondiale per il trattamento di
residui petroliferi. Il processo prevede il riscaldamento
della carica a temperature superiori a 450-460 C per
tempi di residenza di qualche minuto e a bassa pressio-
ne. In queste condizioni le strutture idrocarburiche ad
alto peso molecolare costituenti la carica pesante subi-
scono un parziale processo di cracking termico che deter-
mina la produzione di una limitata quantit di distillati,
in genere inferiore al 30% in peso, e di un residuo a ridot-
ta viscosit; tale residuo deve essere flussato fino a otte-
nere la viscosit richiesta per produrre un olio combusti-
bile, utilizzando una quantit minore di diluente rispetto
146 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE
tab. 5. Stima dei calori di reazione per le principali reazioni
coinvolte nellhydrocracking di cariche pesanti
Tipo di reazione
kJ/(mole H
2
consumato)
Cracking e apertura anelli 20-45
Saturazione aromatici 55-70
Saturazione olefine 115-125
Idrodesolforazione (HDS) 55-75
Idrodeazotazione (HDN) 60-85
alla carica tal quale (v. vol. II, cap. 5.2). Il limite sulla
severit del processo infatti legato alla stabilit del resi-
duo il cui valore P-value deve essere superiore a 1,1-1,2.
Lapplicazione del visbreaking per lupgrading di
greggi pesanti e bitumi ha quindi lo scopo principale di
rendere pi fluidi tali prodotti, facilitando il trasporto via
pipeline senza ricorre a diluenti (naphtha).
Ovviamente, date le caratteristiche del processo, il
trattamento termico non riduce il tenore di inquinanti e
per questo motivo il visbreaking tradizionale risulta poco
interessante per applicazioni nel campo dei greggi extra-
pesanti e dei bitumi. Per superare almeno in parte tale
limitazione, lIFP (Institut Franais du Ptrole) ha pro-
posto varianti del processo che prevedono lutilizzo di
atmosfere idrogenanti (hydrovisbreaking) ed eventual-
mente additivi metallici in grado di promuovere le rea-
zioni di idrogenazione (catalytic hydrovisbreaking) e che
sono denominate rispettivamente Tervahl H e Tervahl C.
Il guadagno delle prestazioni in termini di attivit HDS
comunque limitato a valori intorno al 20% rispetto al
classico visbreaking.
Unaltra soluzione, proposta da PDVSA-Intevep e
brevettata congiuntamente con Foster-Wheeler/UOP,
il processo denominato Aquaconversion. In questo caso
loperazione di visbreaking viene condotta in presenza
di acqua e di un catalizzatore non meglio specificato in
grado di promuovere la parziale dissociazione dellac-
qua e quindi produrre idrogeno in situ, che viene utiliz-
zato per un parziale upgrading della carica, mentre los-
sigeno viene consumato per produrre CO
2
. Il processo
stato sviluppato a livello di impianto pilota e succes-
sivamente in scala dimostrativa utilizzando ununit esi-
stente di visbreaking da 18.000 bbl/d opportunamente
modificata. Nelle condizioni di reazione suggerite da
PDVSA, la reazione di cracking pu essere gestita a un
livello di severit superiore al classico visbreaking, con-
sentendo di aumentare le rese di conversione a parit di
stabilit del residuo e migliorando inoltre anche la qua-
lit del prodotto (tab. 6).
Esistono poi processi di cracking termico che ope-
rano a severit superiori al visbreaking, con lo scopo di
aumentare ulteriormente il grado di conversione verso i
distillati e di produrre un residuo pompabile che per,
non essendo stabile, non pu essere utilizzato come olio
combustibile ma deve essere direttamente bruciato in
combustori a letto fluido o gassificato. il caso del pro-
cesso denominato Deep Thermal Conversion sviluppa-
to da Shell.
Altre soluzioni, e in particolare il processo Eureka
messo a punto da Chiyoda Corporation e il processo HSC
(High-conversion Soaker Cracking) sviluppato da Toyo
Engineering Corporation, operano in campi di severit
intermedi tra visbreaking e coking. In entrambi i casi si
fa uso di vapore per controllare la formazione di coke.
In particolare, il processo Eureka ricorda molto il delayed
coking, in quanto si opera con due reattori in modo alter-
nato. La reazione di cracking termico viene condotta in
presenza di un olio di riciclo e di vapore ad alta tempe-
ratura per favorire lo stripping dei distillati. Il residuo di
cracking un catrame fluido ad alta temperatura (pitch)
e come tale pu essere pi facilmente recuperato dal
fondo del reattore per essere poi raffreddato e pellettiz-
zato (tab. 7).
Coking
Il coking, in particolare nella versione denominata
delayed, oggi la tecnologia pi utilizzata per lupgrad-
ing di greggi pesanti e bitumi. Il processo di coking (v.
vol. II, cap. 5.1) comporta il riscaldamento della carica
in un forno e il successivo invio in reattori denominati
coking drums, operanti ad alta temperatura (intorno a
147 VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILIT
TECNOLOGIE EMERGENTI PER LA CONVERSIONE DI RESIDUI
tab. 6. Prestazioni del processo Aquaconversion.
Carica trattata: greggio extrapesante del bacino
dellOrinoco (6,5 API)
Visbreaking Aquaconversion
Temperatura (C) Base Base 5
Conversione (% in peso)
Naphtha 2,9 7,5
Distillati 500 C
*
28,2 36,6
Upgrading carica
Densit API del
residuo atmosferico
3,7 5,4
P-value 1,2 1,2
*
indicata in questo modo la frazione di distillati che bollono al di
sotto di 500 C.
tab. 7. Confronto delle rese di conversione
tra delayed coking e processo Eureka. Carica trattata:
residuo vacuum 5,9 API
Delayed coking Eureka
Conversione (% in peso)
Gas idrocarburici C
1
-C
4
10,4 5,3
Distillati C
5
-350 C
*
39,3 33,6
Gasolio da vuoto 16,3 28,4
Coke 34,0 0,0
Pitch 0,0 32,7
*
indicata in questo modo la frazione di distillati che va dai pentani
agli idrocarburi che bollono a 350 C.
500 C) e per tempi di reazione prolungati, in modo da
promuovere il cracking termico delle strutture idrocar-
buriche favorendo la produzione di gas e di distillati da
parte della componente a pi alto rapporto H/C e il rila-
scio di un residuo carbonioso (coke) nel quale si con-
centrano gran parte dei metalli (oltre il 90%) e una quota
di zolfo e azoto (circa 30 e 70% rispettivamente).
Lapplicazione del processo di coking a cariche pesan-
ti risulta relativamente semplice dal punto di vista tec-
nologico, ma comporta la produzione di ingenti quan-
tit di coke, ovvero di un materiale altamente inquinan-
te che pu essere utilizzato come combustibile in impianti
per la generazione di potenza o come carica per la pro-
duzione di idrogeno in impianti di gassificazione. La
resa in coke infatti direttamente correlabile alla ten-
denza a formare residui carboniosi (CCR) secondo la
relazione: coke (% in peso) 1,6CCR.
In tab. 8 vengono riportati i risultati relativi al trat-
tamento mediante coking di residui da vuoto di tre tipi-
ci greggi extrapesanti.
Contrariamente a quanto succede con il delayed
coking, i processi di Fluid Coking e Flexicoking (una
estensione del Fluid Coking) utilizzano il coke genera-
to dal cracking termico come mezzo di reazione e car-
rier di calore. Nel Flexicoking il coke viene utilizzato
come reagente in un reattore integrato di gassificazione
con aria. In questo modo viene eliminata la produzione
di pet-coke, ovvero del prodotto a pi basso valore dei
classici impianti di coking.
Entrambi i processi furono sviluppati da Exxon negli
anni Cinquanta. Il primo impianto di Fluid Coking venne
realizzato nel 1954 presso la sede Exxon di Billings e da
allora sono state realizzate in totale 18 unit. Il proces-
so avviene in due reattori a letto fluido collegati tra loro
per consentire la circolazione del coke. Nel primo reat-
tore la carica convertita mediante reazioni di cracking
termico in gas e distillati alla temperatura di 510-560 C,
in presenza di particelle di materiale carbonioso sulle
quali si deposita il coke prodotto dalla reazione. Il soli-
do viene quindi rimosso dal fondo del primo reattore e
inviato nel secondo, dove viene parzialmente bruciato
per recuperare il calore necessario al processo, mentre
la quota eccedente viene scaricata. In alternativa, il coke
residuo pu essere gassificato con aria e vapore alla tem-
peratura di 820-900 C in un terzo reattore (Flexicoking),
per produrre un combustibile gassoso a basso potere calo-
rifico (4,3-5,3 MJ/Nm
3
) detto flexigas e costituito da
CO, H
2
, N
2
, CO
2
ed eterogas (ossia H
2
S, NH
3
, ecc.).
Oltre al vantaggio di eliminare il coke prodotto, la
soluzione Flexicoking consente di controllare meglio il
processo di cracking, favorendo un aumento delle rese
in liquidi (tab. 9).
Sullo stesso principio del Fluid Coking sono state svi-
luppate altre tecnologie che si differenziano per le solu-
zioni adottate nel caso dei reattori o per la natura dei mate-
riali usati per il trasporto di calore. Per esempio, il pro-
cesso LR Coker (Lurgi Ruhrgas) utilizza un reattore di
conversione allinterno del quale una specie di vite rotan-
te favorisce il contatto ottimale tra carica e carrier di calo-
re, consentendo al sistema di operare come un reattore
plug-flow. Di questa tecnologia esiste poi una versione
specificamente adattata per trattare cariche extrapesanti
contenenti fino al 70% di CCR (processo Satcon).
Ricordiamo infine il processo denominato Rapid
Thermal Processing (RTP), attualmente in fase di svi-
luppo a livello di impianto dimostrativo da 1.000 bbl/d
presso la societ canadese Ensyn Group, specifico per
il trattamento di materiali idrocarburici pesanti, dai bitu-
mi alle biomasse legnose. Il processo prevede un rapido
riscaldamento della carica utilizzando sabbia calda alla
temperatura relativamente bassa di 500 C in un reatto-
re a letto trasportato sul quale si deposita il coke. In que-
sto modo possibile, per esempio, trattare bitumi da sab-
bie bituminose producendo liquidi stabili con rese di con-
versione fino all80%.
Processi estrattivi: deasphalting con solvente
Il fatto che negli asfalteni si concentri gran parte dei
metalli presenti nei greggi fa s che mediante deasphalt-
ing con solvente (SDA, Solvent Deasphalting) si pos-
sano recuperare dai residui quote significative di olio
148 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE
tab. 8. Rese e qualit prodotti da delayed coking
Carica Zuata Cold Lake Maya
Taglio TBP
510 C
*
565 C
*
565 C
*
Densit API 2,4 0,4 0,5
Zolfo (% in peso) 4,4 6,2 5,8
Resa prodotti (% in peso)
Gas idrocarburici C
1
-C
4
7,5 8,3 8,2
Naphtha 10,0 11,0 11,4
Gasolio atmosferico 23,6 20,3 21,1
Gasolio vacuum 26,1 23,9 25,6
Coke 32,8 36,5 33,4
Caratteristiche distillati
Densit API 30,3 29,5 28,2
Zolfo (% in peso) 2,9 4,1 3,8
Caratteristiche coke
Zolfo (% in peso) 4,7 6,6 6,2
Ni + V (ppm) 1.976 1.018 2.296
*
indicata in questo modo la frazione di distillati che bolle al di sopra
della temperatura riportata.
deasfaltenato (DAO, Deasphalted Oil) e parzialmente
demetallizzato, che pu essere convenientemente pro-
cessato in unit di FCC o hydrocracking. I principali van-
taggi del SDA riguardano i bassi costi di investimento e
di esercizio, mentre il suo limite principale legato al
fatto che per ottenere DAO con basso contenuto di inqui-
nanti (in particolare zolfo, azoto, metalli e CCR) si deb-
bono limitare le rese e quindi si generano notevoli quan-
tit di sottoprodotti (asfalteni), che possono essere uti-
lizzati come componenti per combustibili di basso valore
o come fonte di carbonio per la produzione di gas di sin-
tesi, e quindi idrogeno, in opportune unit di gassifica-
zione. Resa e contenuto di inquinanti nel DAO sono infat-
ti direttamente collegati, come mostrato in fig. 8; la qua-
lit del prodotto diminuisce quindi con laumento della
resa (v. anche vol. II, cap. 7.1).
Lapplicazione del processo di SDA nel settore del-
lupgrading di greggi extrapesanti e bitumi ha portato
allo sviluppo di tecnologie ad hoc nelle quali lunit clas-
sica di estrazione spesso abbinata ad altri processi.
il caso del processo OrCrude, sviluppato appositamen-
te per lupgrading di bitumi canadesi da ORMAT Indus-
tries. Il processo prevede: a) la distillazione del bitume
(atmosferica e vacuum); b) il trattamento di deasphalt-
ing del residuo attraverso il quale vengono rimossi gli
asfalteni; c) il thermal cracking del DAO; d) il ricirco-
lo dei prodotti di cracking in carica alla colonna di distil-
lazione atmosferica, in modo da recuperare i distillati e
separare la componente asfaltenica prodotta con il trat-
tamento termico. Analogamente a un coking, il proces-
so OrCrude produce distillati e un residuo pesante (asfal-
teni), che viene utilizzato come carica per impianti di
gassificazione dai quali produrre gas di sintesi per la
generazione dellenergia e del vapore necessari per le-
strazione dei bitumi via SAGD (Steam Assisted Gravity
Drainage), oltre che lidrogeno necessario per lulterio-
re upgrading dei prodotti. Su questa strada si stanno muo-
vendo OPTI Canada e Nexen Petroleum; grazie a una
joint venture tra queste due societ in corso di svilup-
po un progetto (Long Lake Project) per il recupero e il
trattamento di 70.000 bbl/d di bitume nella provincia di
Alberta, in Canada (fig. 9). Lapplicazione del processo
a questo tipo di carica consentir di produrre 60.000 bbl/d
di un greggio sintetico a 22 API che potr essere ulte-
riormente trattato in impianti di desolforazione/hydro-
cracking per generare un olio particolarmente leggero
(sweet synthetic crude oil ) con densit di 39 API, men-
tre le oltre 3.100 t/d di asfalteni rimanenti costituiranno
la carica per lunit di gassificazione.
Processi catalitici: cracking catalitico
La tecnologia di cracking catalitico, nata nel 1936 con
il primo impianto industriale a letto fisso, si caratterizza
149 VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILIT
TECNOLOGIE EMERGENTI PER LA CONVERSIONE DI RESIDUI
tab. 9. Confronto delle rese qualitative di prodotti
per il trattamento mediante processi di coking
di un residuo vacuum di Arabian Heavy
(1,8 API e 6,0% in peso di zolfo)
Delayed coking Flexicoking
Resa prodotti (% in peso)
Gas idrocarburici C
1
-C
4
11,1 12,3
Naphtha 13,4 10,8
Gasolio atmosferico 17,9 15,9
Gasolio vacuum 17,2 26,3
Coke 40,4 2,7
Flexigas
(espresso come olio
combustibile
equivalente)
32,0
Caratteristiche distillati
Densit API 29,6 23,4
Zolfo (% in peso) 3,6 4,1
Caratteristiche coke
Zolfo (% in peso) 6,4
Metalli (ppm) 698
Composizione gas (% in volume su base secca)
N
2
53
CH
4
2
H
2
15
CO 20
CO
2
10
0
25
50
75
100
0 20 40 60 80 100
d
i
s
t
r
i
b
u
z
i
o
n
e

c
o
n
t
a
m
i
n
a
n
t
i

(
%
)
resa in DAO (% in peso)
zolfo
azoto
metalli
fig. 8. Confronto tra resa e contenuto
in contaminanti del DAO in deasphalting.
per il fatto di utilizzare catalizzatori acidi a base zeoli-
tica per favorire le reazioni di cracking di cariche pesan-
ti atte a produrre distillati e in particolare naphtha. Nella
configurazione di processo, largamente diffusa e nota
come Fluid Catalytic Cracking (FCC), il catalizzatore,
dopo miscelazione con la carica, viene fatto circolare fra
riser, reattore e rigeneratore.
Inizialmente la carica era costituita da gasoli ma in
seguito, soprattutto con levoluzione dei catalizzatori,
stato possibile alimentare i FCC con unampia gamma
di idrocarburi: dalla naphtha al residuo atmosferico.
In generale le molecole idrocarburiche costituenti la
carica di un impianto FCC hanno dimensioni non com-
patibili con i pori del cristallo zeolitico. Queste mole-
cole devono essere innanzi tutto ridotte di dimensione
con un cracking preliminare che avviene sulla superfi-
cie esterna (matrice) della zeolite. Tale matrice pu avere
anche altre funzioni, quale la rimozione dei metalli pre-
senti nella carica.
La carica viene alimentata al riser dove entra in con-
tatto con il catalizzatore rigenerato. Questo contatto porta
alla parziale vaporizzazione della carica; la miscela
olio/catalizzatore sale quindi lungo il riser. Le reazioni
di cracking avvengono quasi completamente lungo il
riser; essendo globalmente endotermiche, esse determi-
nano una caduta di temperatura. I tempi di residenza sono
compresi fra 1 e 4 secondi, durante i quali avviene appun-
to gran parte delle reazioni di cracking.
In alcuni casi la carica viene pretrattata per diminui-
re il contenuto di metalli e asfalteni attraverso estrazio-
ne con solventi, deasphalting con propano o trattamen-
to con idrogeno.
Un elevato contenuto di asfalteni e/o aromatici nella
carica favorisce la formazione e il deposito di coke sul
catalizzatore, riducendone lattivit.
Negli anni il processo ha conseguito notevoli miglio-
ramenti, per quanto riguarda sia lo schema di processo
sia i catalizzatori, consentendo di migliorare le seletti-
vit verso la produzione di naphtha da usare nel pool
benzine e allargando la flessibilit nei riguardi di cari-
che con maggior contenuto di contaminanti. A livello
tecnologico i miglioramenti si sono avuti nel sistema
di distribuzione della carica idrocarburica nel riser e di
lifting del catalizzatore, nellarrangiamento degli inter-
ni del sistema reattore-rigeneratore e nellaggiunta di
uno scambiatore di calore esterno, in cui circola una parte
del catalizzatore per rimuovere una frazione del calore
prodotto dalla combustione del coke depositato sul cata-
lizzatore spento.
Vi sono stati anche nuovi sviluppi della configura-
zione del cracking catalitico, per esempio in quella messa
a punto da UOP congiuntamente con BAR-CO Indu-
stries, caratterizzata da un bassissimo tempo di contatto
(MSCC, MilliSecond Catalytic Cracking).
Il ridotto tempo di contatto minimizza la formazio-
ne di gas e coke: questa soluzione permette di alimen-
tare limpianto con cariche (residui) a pi elevato con-
tenuto di residuo carbonioso. Inoltre sono stati formu-
lati nuovi catalizzatori pi resistenti ai veleni (azoto e
metalli quali nichel e vanadio).
Per mantenere una adeguata attivit del catalizzato-
re che circola nellimpianto si provvede a un reintegro
di una maggiore quantit di catalizzatore fresco e a un
analogo scarico di catalizzatore esausto. Il reintegro di
catalizzatore fresco deve anche compensare la quantit
di particelle fini del catalizzatore non trattenute dai ciclo-
ni. Inoltre, per ridurre leffetto di disattivazione del cata-
lizzatore determinato dalla presenza dei metalli, sono
stati sviluppati degli additivi (passivatori) con questa
funzione. Il secondo miglioramento realizzato da UOP
va sotto il nome di X DESIGN. Viene aggiunto un re-
cipiente fra reattore e rigeneratore dove il catalizza-
tore esausto e quello rigenerato si miscelano a una
temperatura inferiore rispetto a quella del catalizzatore
150 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE
processo
OrCrude
SAGD
hydrocracking
greggio sintetico desolforato
idrogeno
vapore
asfalteni
bitume
greggio sintetico
ad alto tenore di zolfo
energia
elettrica
processo di
gassificazione
sabbie bituminose
Athabasca
fig. 9. Progetto Long
Lake di OPTI Canada
e Nexen Petroleum
per lo sfruttamento
di bitumi canadesi
(Zuideveld e de Graaf,
2003).
rigenerato. Il risultato globale una riduzione delle rea-
zioni termiche nel riser.
In sintesi, i miglioramenti introdotti permettono di
utilizzare il processo di cracking catalitico per converti-
re cariche relativamente pesanti, anche se persistono vin-
coli abbastanza stretti sul contenuto di metalli e di resi-
duo carbonioso della carica che ne limitano lutilizza-
zione per il trattamento di oli non convenzionali.
2.5.5 Tecnologie con aggiunta
di idrogeno: hydrocracking
Tecnologie con catalizzatori supportati
Come ricordato, lapplicazione delle tecnologie di
hydrocracking allupgrading di oli non convenzionali
pu essere fortemente condizionata dalla presenza di
metalli e di residuo carbonioso nella carica da trattare.
Questi veleni possono infatti causare una rapida dimi-
nuzione dellattivit del catalizzatore e un aumento di
perdite di carico nel circuito di reazione con conseguente
diminuzione della lunghezza del ciclo operativo.
Per ovviare a tale inconveniente possono essere impie-
gati opportuni sistemi catalitici che permettano di mini-
mizzare i problemi connessi con lalto contenuto di con-
taminanti nella carica e/o modificare la tecnologia, in
modo da prevenire laccumulo di coke e/o consentire la
sostituzione di parte del catalizzatore durante la marcia
dellimpianto.
Gli impianti di idroconversione che utilizzano cata-
lizzatori supportati possono essere suddivisi, in base alla
tecnologia impiegata, in due categorie: con reattori a letto
fisso e con reattori a letto espanso (o ebullato).
Lassetto impiantistico che utilizza reattori a letto
fisso costituito in genere da tre o pi reattori in serie e
da una sezione di frazionamento, dove gli effluenti sono
separati per distillazione sia atmosferica sia sotto vuoto.
La carica liquida deve essere filtrata prima di essere
miscelata allidrogeno e inviata ai reattori per eliminare
le particelle di solidi presenti ed evitarne il deposito sui
letti catalitici. Il flusso attraverso i reattori del tipo
downward (dallalto verso il basso).
La carica liquida e lidrogeno vengono riscaldati in
due forni separati fino a ottenere la temperatura di rea-
zione richiesta.
Una particolare innovazione messa a punto da
Chevron per la tecnologia a letto fisso consiste nellin-
serimento del cosiddetto Onstream Catalyst Replace-
ment system (OCR), che permette la sostituzione di parte
del catalizzatore pur mantenendo limpianto in funzio-
ne. Tale configurazione consiste nellaggiunta di un reat-
tore, a monte del normale treno di reazione, avente flus-
so upward (dal basso verso lalto) e provvisto di interni
speciali, che consentono di rimuovere il catalizzatore
esausto e di aggiungere catalizzatore fresco dallalto del
reattore. Uno speciale sistema permette la movimenta-
zione del catalizzatore.
Lestrema sensibilit nei riguardi di alte concentra-
zioni di veleni rende le tecnologie a letto fisso adatte a
trattare residui atmosferici da greggi convenzionali ma
poco adeguate per cariche da oli non convenzionali.
Analogamente allhydrocracking a letto fisso, anche
lo schema di processo con reattori a letto ebullato costi-
tuito in genere da due o tre reattori in serie e da una sezio-
ne di frazionamento dove gli effluenti sono separati per
distillazione sia atmosferica sia sotto vuoto.
Anche in questo schema la carica liquida e lidroge-
no vengono riscaldati separatamente fino alla tempera-
tura di reazione e il flusso attraverso i reattori del tipo
upward. Il flusso liquido che permetter di espandere
il catalizzatore assicurato da una pompa che rimette in
circolo parte del liquido raccolto nella porzione supe-
riore del reattore. La pompa di riciclo pu essere instal-
lata sul fondo inferiore del reattore oppure esternamen-
te al reattore.
Parte del catalizzatore contenuto nei reattori viene
sostituita su base giornaliera, in modo tale da mante-
nerne invariata lattivit.
Sono disponibili sul mercato due diverse tecnologie:
la prima, che conserva il nome originale H-Oil, stata
sviluppata inizialmente da HRI e successivamente acqui-
sita da Axens, mentre la seconda, denominata LC-Fining,
stata sviluppata da ABB Lummus Global. Successiva-
mente ABB Lummus Global ha stipulato unalleanza
strategica con Chevron Texaco per lo sviluppo e la com-
mercializzazione della tecnologia.
Diversamente dalla tecnologia a letto fisso, la tec-
nologia a letto ebullato adatta a trattare cariche con alto
contenuto di contaminanti e come tale viene utilizzata
per processare residuo da vuoto da cariche anche parti-
colarmente pesanti. Inoltre, tale soluzione mostra unal-
ta flessibilit nei riguardi di cariche provenienti da greg-
gi diversi, fornisce rese e qualit di prodotti pressoch
costanti e ha unalta flessibilit operativa. La tab. 10
mostra i dati di resa e qualit dei prodotti ottenibili da
residui da vuoto da una carica canadese e da una misce-
la di greggi messicani contenenti oltre il 60% di Maya.
Tecnologie con catalisi in fase dispersa (slurry)
Queste tecnologie di idrotrattamento impiegano cata-
lizzatori di idrogenazione non supportati, finemente di-
spersi nel substrato da idrogenare. Tali catalizzatori sono
costituiti da solfuri di metalli di transizione e quindi non
hanno funzioni acide, per cui la conversione (cracking)
resta un fatto puramente termico.
Lo sviluppo delle tecnologie di idrogenazione con
catalizzatori dispersi nel campo dellupgrading di cari-
che idrocarburiche pesanti riconducibile a Friedrich
Bergius, che negli anni Trenta svilupp processi di idro-
genazione di greggi pesanti e di liquefazione diretta del
151 VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILIT
TECNOLOGIE EMERGENTI PER LA CONVERSIONE DI RESIDUI
carbone nei quali il catalizzatore era costituito da una
miscela di ossidi di Fe, Al e Ti (v. cap. 2.4). Successiva-
mente, sono stati proposti e utilizzati numerosi altri cata-
lizzatori a base di Fe, Mo e in generale di metalli del-
lVIII gruppo, anche se la molibdenite microcristallina
generata da precursori solubili in olio resta di gran lunga
il catalizzatore pi efficiente. Come ricordato in prece-
denza, questi catalizzatori sono poco sensibili ai veleni
e pertanto non presentano problemi di disattivazione
dovuti alla deposizione di coke e metalli sui pori del sup-
porto; ci li rende particolarmente interessanti per il trat-
tamento di cariche caratterizzate dallaltissima concen-
trazione di metalli, zolfo, azoto e asfalteni.
Il limite principale dei catalizzatori dispersi sicu-
ramente rappresentato dalla difficolt del loro recupero
dal residuo non convertito, tanto che sono stati quasi
sempre privilegiati catalizzatori poco costosi (in parti-
colare a base di Fe) o soluzioni che utilizzano materiali
pi attivi ma a basse concentrazioni, per evitare la fase
di separazione e recupero dal prodotto non convertito.
In entrambi i casi il livello di upgrading dei prodotti
risulta medio-basso. Questo problema ha fortemente
condizionato lo sviluppo a livello industriale di tutte le
soluzioni tecnologiche basate sulluso di catalizzatori in
fase dispersa, che si differenziano per natura del cata-
lizzatore, assetto del reattore, modalit di recupero e rici-
clo del catalizzatore, ecc. Alcune di queste soluzioni sono
arrivate fino alla dimostrazione su impianto pilota o
preindustriale, ma per il momento non sono stati anco-
ra realizzati veri e propri impianti di taglia industriale
(SFA Pacific Inc., 2003).
Processo VEBA CombiCracking (VCC)
Questo processo nasce dallesperienza pluridecenna-
le dellindustria tedesca nel campo dellidrogenazione ad
alta pressione di cariche idrocarburiche pesanti e carbo-
ne. Il cuore del processo un reattore slurry dove avven-
gono le reazioni di cracking e di idrogenazione in fase
liquida (LPH, Liquid Phase Hydrogenation) in condizioni
di alta temperatura (450-490 C) e pressione (oltre 250
bar) e in presenza di un catalizzatore/additivo a base di
ferro/carbone, che limita la formazione di coke e favori-
sce la demetallizzazione. Questa unit integrata con un
reattore a letto fisso operante in fase gas (GPH, Gas Phase
Hydrogenation) per lulteriore idrogenazione dei prodotti.
La tecnologia VCC stata sviluppata fino a livello
di impianto dimostrativo da 4.000 bbl/d presso la raffi-
neria Ruhr Oel di Bottrop. Tale unit ha operato per diver-
si anni (1988-1993) processando cariche diverse (resi-
dui, greggi pesanti, carbone e residui della plastica) per
essere poi smantellata nel febbraio 2000. Al momento
non si prevedono ulteriori sviluppi della tecnologia anche
per le vicende legate alla incorporazione di VEBA Oel
da parte di BP.
Processi HDH e HDHPlus
Il processo HDH (Hydrocracking-Distillation-Hydro-
treating) stato sviluppato da Intevep-PDVSA a partire
dagli anni Ottanta sulla falsariga del processo VEBA
CombiCracking. Rispetto a questultimo, HDH opera in
condizioni relativamente pi blande, ovvero a tempera-
tura di 420-480 C, pressione di 130 bar, velocit spazia-
le (WHSV, Weight Hourly Space Velocity) 0,4-0,8 h
1
,
utilizzando solfato di Fe come catalizzatore.
Le performance indicate parlano di conversione mas-
sima in distillati intorno al 95% con la seguente seletti-
vit: naphtha 21%, gasolio atmosferico (AGO, Atmos-
pheric Gas Oil) 43% e gasolio da vuoto (VGO, Vacuum
Gas Oil) 36%. I distillati prodotti devono comunque esse-
re riprocessati mentre il residuo viene incenerito per recu-
perare il catalizzatore.
Il processo, inizialmente studiato da Intevep utiliz-
zando due taglie di impianto pilota da 0,3 e 3 bbl/d,
stato successivamente sviluppato su scala maggiore
(impianto da 150 bbl/d) utilizzando gli impianti VEBA
presenti nella raffineria di Bottrop dove, dal 1986 al 1988,
sono state condotte diverse campagne di prove per oltre
7.000 ore utilizzando greggio Morichal.
152 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE
tab. 10. Rese e qualit dei prodotti da letto ebullato
Carica Athabasca
Miscela
messicana
Taglio TBP 540 C+
*
538 C+
*
Densit API 1,9 1,5
Zolfo (% in peso) 5,89 4,7
Resa prodotti (% in peso)
Gas idrocarburici C
1
-C
4
8,6 8,6
Naphtha 5,6 5,6
Gasolio atmosferico 14,2 14,2
Gasolio vacuum 28,4 28,4
Residuo vacuum 43,2 43,2
Caratteristiche distillati
Densit API 29,1 29,3
Zolfo (% in peso) 0,20 0,16
Caratteristiche residuo vacuum
Densit API 5,9 6,0
Zolfo (% in peso) 1,6 1,3
Metalli (ppm) 290 393
*
indicata in questo modo la frazione di distillati che bolle al di sopra
della temperatura riportata.
Nella versione pi recente, denominata HDHPlus,
il catalizzatore contiene anche Mo incorporato su coke,
in modo da migliorare il grado di dispersione e facili-
tarne la separazione dal residuo pesante (pitch) dopo
reazione.
In seguito, nel periodo 1992-1997, stato effettuato
uno studio per la realizzazione di un impianto industriale
da 15.000 bbl/d presso la raffineria venezuelana Cardon
per processare greggio pesante del bacino dellOrinoco.
Processo Canmet
Il processo stato studiato inizialmente da NCUT
(National Center for Upgrading Technology) negli anni
Settanta e successivamente sviluppato con Petro-Cana-
da e SNC-Lavalin. Il reattore di hydrocracking un
recipiente vuoto nel quale la carica viene processata in
presenza di un catalizzatore a base di solfato di Fe depo-
sitato su particelle di carbone. Poich lattivit di desolfo-
razione di Fe molto bassa, pu essere aggiunto Mo a
livello di decine di ppm sotto forma di naftenato.
I prodotti di reazione vengono frazionati e inviati
allunit di idrotrattamento (Unifining e Unicracking)
mentre il residuo non convertito (5-10% della carica) pu
essere bruciato o gassificato.
Alle tipiche condizioni di reazione dellunit di hydro-
cracking, ovvero temperatura 400-490 C, pressione fino
a 140 bar, velocit spaziale LHSV (Liquid Hourly Space
Velocity) 0,5-2 h
1
, le prestazioni indicate nel tratta-
mento di bitumi canadesi per diversi gradi di conversio-
ne sono riportate in tab. 11.
Nel 1986 stata realizzata presso la raffineria di Mon-
treal una unit dimostrativa di capacit produttiva pari a
5.000 bbl/d, tuttora funzionante.
Processo Microcat-RC
Il processo, originariamente denominato M-Coke,
stato sviluppato da Exxon tra gli anni Ottanta e Novan-
ta, fino alla configurazione attuale che prevede:
uno stadio di hydrocracking in presenza di cataliz-
zatori micronici a base di molibdeno supportati su
particelle carboniose in fase dispersa (slurry); la rea-
zione condotta in un reattore che opera in un range
di temperatura di 440-470 C, a una pressione di idro-
geno che pu arrivare fino a 170 bar, con velocit
spaziali LHSV tra 0,5 e 2 h
1
;
la separazione dei prodotti di reazione mediante flash
e distillazione vacuum, per ottenere un distillato con
alte rese della frazione che bolle al di sotto di 560 C
e produrre un residuo nel quale si concentrano il cata-
lizzatore e tutti i metalli della carica (tale residuo pu
essere bruciato o gassificato);
lidrotrattamento della frazione distillata su reattore
a letto fisso per la finitura dei prodotti, che vengono
successivamente frazionati in naphtha, gasolio atmo-
sferico e gasolio da vuoto.
Il processo pu raggiungere conversioni fino al 95%
con una distribuzione di prodotti che tipicamente :
naphtha 10-15%, AGO 45-55%, VGO 30-40%. stato
testato a livello di impianto pilota da 8 bbl/d agli inizi
degli anni Novanta, ma non vi sono stati ulteriori svi-
luppi della tecnologia anche se ExxonMobil resta atti-
va nel campo, almeno a giudicare dalla produzione di
brevetti.
Processo (HC)3
Il processo denominato (HC)3 (High Conversion/Hydro-
cracking/Homogeneous Catalyst) stato sviluppato a par-
tire dalla fine degli anni Ottanta da Alberta Oil Sands
Technology & Research Authority (AOSTRA) e Alberta
Research Council (ARC).
La reazione di upgrading condotta in presenza di
un catalizzatore definito colloidale, formato in situ a
partire da precursori oleosolubili quali ferro pentacar-
bonile o 2-etilesanoato di molibdeno e, alloccorrenza,
da un diluente aromatico per impedire la precipitazione
degli asfalteni. Il prodotto di conversione viene frazio-
nato sotto vuoto e il residuo pu essere riciclato.
Le condizioni di esercizio dellunit di hydrocracking
prevedono una temperatura di riferimento intorno a 450
C e una pressione di 140 bar. Anche per questo processo
vengono indicati livelli di conversione, della frazione
che bolle al di sopra di 500 C, in gas, distillati leggeri
e distillati pesanti fino al 95%.
Il processo stato sviluppato a livello di impianto
pilota da 1 bbl/d (fig. 10). Nel corso del 2002 stato rag-
giunto un accordo per il brevetto tra ARC e Hydrocar-
bon Research, una societ controllata da Headwaters,
per lo sviluppo e la commercializzazione della tecnolo-
gia (HC)3.
153 VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILIT
TECNOLOGIE EMERGENTI PER LA CONVERSIONE DI RESIDUI
tab. 11. Prestazioni processo Canmet. Carica trattata:
residuo vacuum Cold Lake
Conversione 525 C
*
(% in peso) 84,2 93,5
Resa in prodotti (% in peso)
Gas idrocarburici C
1
-C
4
9,3 11,5
Naphtha 15,8 19,8
Gasolio atmosferico 29,1 33,5
Gasolio vacuum 30,0 28,7
Upgrading carica
% HDS 62 70
% HDN 31 41
Consumo idrogeno (% in peso) 1,6 2,5
* indicata in questo modo la frazione di distillati che bolle al di sopra
di 525 C.
Processo Eni Slurry Technology (EST)
Il processo Eni Slurry Technology (EST) stato
recentemente sviluppato da Snamprogetti ed EniTec-
nologie, societ del Gruppo Eni (Montanari et al.,
2003). Contrariamente alle tecnologie oggi disponibi-
li, EST opera in modo da permettere la conversione
pressoch completa di cariche petrolifere pesanti a
distillati, eliminando la produzione di olio combusti-
bile e coke.
Il cuore del processo costituito da un reattore di
hydrotreating (HT) nel quale la carica pesante subisce
un trattamento di idrogenazione in condizioni relati-
vamente blande (410-420 C e 160 bar), limitando la
conversione a distillati ma garantendo al residuo non
convertito un sufficiente margine di stabilit. Lidro-
trattamento condotto in presenza di diverse migliaia
di ppm di un catalizzatore a base di molibdeno fine-
mente disperso nella massa liquida, in modo da pro-
muovere le reazioni di upgrading (demetallizzazione,
desolforazione, deazotazione e riduzione del residuo
carbonioso). I prodotti idrotrattati in uscita dallunit
HT sono inviati a una sezione di frazionamento per il
recupero dei distillati; il residuo non convertito recu-
perato dal fondo della colonna di frazionamento quin-
di inviato a una sezione di deasphalting con solvente
(SDA) per recuperare lolio deasfaltenato e demetal-
lizzato (DAO), mentre la corrente asfaltenica, conte-
nente tutto il catalizzatore, torna allunit HT per esse-
re riprocessata insieme ad altra carica fresca (fig. 11).
Dopo un certo numero di ricicli, si raggiunge una con-
dizione di stato stazionario che consente di ottenere
livelli di conversione pressoch totali, superando il tra-
dizionale limite dei classici processi di conversione,
ovvero la perdita di stabilit del prodotto di reazione e
quindi la deposizione di coke.
La validit tecnica del processo EST stata dimo-
strata attraverso unattivit sperimentale condotta a livel-
lo di impianto pilota di capacit pari a 0,3 bbl/d. Il pro-
cesso si conferma estremamente flessibile nel trattare
diverse tipologie di cariche pesanti, quali residui da
vacuum da greggi convenzionali (Ural e Arabian Heavy),
greggi pesanti (Maya) ed extrapesanti (dellOrinoco),
nonch bitumi da oil sand (Athabasca). In tutti i casi
stata confermata la validit tecnica dello schema, soprat-
tutto per quanto concerne la vita del catalizzatore, la rici-
clabilit degli asfalteni e la minima quantit di spurgo
necessaria per evitare laccumulo nellimpianto dei metal-
li contenuti nella carica. Il processo EST consente la
conversione pressoch completa della carica (95%) e
garantisce un eccellente livello di upgrading dei prodotti
(tab. 12). La tecnologia in fase avanzata di sviluppo su
un impianto dimostrativo da 1.200 bbl/d realizzato allin-
terno di una raffineria Eni.
154 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE
carica
r
e
a
t
t
o
r
e
s
e
p
a
r
a
t
o
r
e

a
d
a
l
t
a

t
e
m
p
e
r
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r
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l
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h
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a
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c
a

c
o
m
b
i
n
a
t
a
370 C
370 C
p
r
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c
u
r
s
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r
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d
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l
c
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t
a
l
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z
a
t
o
r
e
H
2
di reintegro gas di
riciclo
gas di
riciclo
gas di
riciclo
lavaggio
amminico
gas
combustibile
greggio
sintetico
acqua
acida
soluzione
amminica
ricca in H
2
S
riciclo
residuo
premiscelatore
fig. 10. Schema
di processo
per la tecnologia (HC)3
(Lott e Lee, 2002).
r
e
a
t
t
o
r
e
f
r
a
z
i
o
n
a
t
o
r
e
S
D
A
spurgo riciclo asfalteni e catalizzatore
DAO
distillati
carica
idrogeno
fig. 11. Schema di processo per la tecnologia EST
(Montanari et al., 2003).
Altri processi
Oltre ai processi citati, esistono altre iniziative indu-
striali che ampliano il ventaglio di tecnologie potenzial-
mente disponibili, anche se al momento si trovano in una
fase di sviluppo preliminare.
Tra queste ricordiamo il processo Hydrogen Transfer
Cracking, sviluppato da Toyo Engineering Corporation
(Giappone) a partire dai primi anni Novanta e basato sul-
limpiego di catalizzatori al ferro su carboni attivi, che
agiscono in modo da adsorbire e desorbire i radicali pro-
dotti dal cracking prevenendo la formazione di coke. Il
processo opera a pressione relativamente bassa (70-100
bar) ma consente comunque di ottenere buoni livelli di
upgrading anche processando cariche molto pesanti,
come i residui da vacuum Arabian Heavy e Maya o il
greggio extrapesante Cerro Negro. Le performance indi-
cate comportano conversioni massime comprese tra l85
e il 90%, con buoni livelli di upgrading (HDM e HDS
intorno al 95 e all80% rispettivamente). Recentemente
Toyo ha raggiunto un accordo con lInstituto Mexicano
del Petrleo (una societ affiliata a PEMEX) per la rea-
lizzazione di una unit dimostrativa a Tula.
Un altro processo proposto da Nikko Consulting
and Engineering Corporation il cosiddetto Succeed
Process che opera in due stadi: hydrocracking della
carica con catalizzatori in fase slurry utilizzando un
catalizzatore disperso a base di metalli di transizione
per ottenere una conversione del 60-65%; coking della
parte che non ha reagito in modo da raggiungere una
conversione totale dell85%. La compagnia giappone-
se sta pianificando la realizzazione di una unit dimo-
strativa da 5.000 bbl/d.
Il processo CASH (Chevrons Activated Slurry Hydro-
cracking), proposto da ChevronTexaco, nasce da una
lunga attivit di ricerca condotta negli anni Ottanta e
recentemente ripresa. CASH si basa sullimpiego di un
catalizzatore disperso a base di molibdeno in presenza
di nichel quale promotore. Tale formulazione catalitica
sembra particolarmente adatta per favorire la rimozione
di azoto. Il processo prevede anche il riciclo del cataliz-
zatore dal fondo della colonna di distillazione. Le con-
dizioni operative indicate da Chevron coprono un range
molto ampio di condizioni: temperatura 400-480 C,
pressione 95-130 bar e concentrazione del catalizzatore
che da 500 ppm pu arrivare fino a 10.000 ppm. La fase
di sviluppo del processo CASH attualmente a livello
di piccolo impianto pilota (0,1 bbl/d).
Infine, la tecnologia denominata GNO-V proposta
da Genoil anchessa in fase di sviluppo a livello di
impianto pilota. Il processo di idrogenazione opera con
catalizzatori in fase slurry a 400 C e 130 bar e consen-
te di sottoporre a upgrading bitumi canadesi portando la
densit da 7 a 28 API, con rese in volume superiori al
100% e riducendo lo zolfo dal 5 allo 0,2%. Negli ultimi
anni Genoil ha stipulato accordi con Syneco Energy (una
societ canadese proprietaria di riserve di oli non con-
venzionali e carbone) e ConocoPhillips per effettuare
test dimostrativi su una unit pilota da 6 bbl/d, la cui
155 VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILIT
TECNOLOGIE EMERGENTI PER LA CONVERSIONE DI RESIDUI
tab. 12. Prestazioni del processo EST
Carica Zuata Maya Bitume Athabasca
Taglio TBP 530 C+
*
500 C+
*
300 C+
*
Densit API 2,5 1,5 7,9
Zolfo (% in peso) 4,2 5,2 4,6
Resa prodotti (% in peso)
Gas idrocarburici C
1
-C
4
15,1 9,9 12,9
Naphtha 14,0 3,9 4,1
Gasolio atmosferico 39,1 26,9 39,1
Gasolio vacuum 23,3 34,9 32,1
DAO 8,5 24,4 11,8
Upgrading prodotti
% HDS 86 84 83
% HDN 59 52 47
% HDM
99 99 99
% rimozione CCR 98 96 95
*
indicata in questo modo la frazione di distillati che bolle al di sopra della temperatura riportata.
costruzione iniziata nel gennaio 2003 a Two Hills (Al-
berta, Canada).
2.5.6 Tecnologie per lo sfruttamento
delloil shale
Il primo utilizzo delloil shale pu essere fatto risalire al
17 secolo, quando in Svezia questa roccia veniva arro-
stita per estrarre solfati utilizzati come coloranti. Il primo
sfruttamento per usi energetici viene invece datato intor-
no alla met dellOttocento, con la messa in opera di
miniere e dei primi impianti di trattamento in Pennsyl-
vania, sviluppati nel secolo successivo (fig. 12).
Negli ultimi decenni lo sfruttamento delloil shale si
concentrato in pochi paesi, registrando un picco di 45
milioni di t/a lavorate nel 1980; assumendo una resa in
olio del 10%, ci significa una produzione annua di circa
4 milioni di t. Nei due decenni successivi, questo valo-
re si significativamente ridotto, tanto che nel 2002 la
produzione mondiale di olio da oil shale (chiamato quin-
di shale oil) non ha superato le 600.000 t. Il paese nel
quale in assoluto si registrato il maggior consumo di
oil shale lEstonia, dove ancora oggi una buona parte
del fabbisogno energetico viene coperta da questa fonte;
in questo caso per il minerale oleoso viene utilizzato
quasi esclusivamente come combustibile in centrali ter-
moelettriche.
Le tradizionali tecnologie per lo sfruttamento delloil
shale prevedono tre fasi principali: il recupero del mine-
rale in miniera; il trattamento termico per la produzione
di gas e dellolio greggio; lidrotrattamento (upgrading)
dei liquidi fino alla produzione di distillati per il mer-
cato dei carburanti.
Il recupero dellolio dalla roccia che lo contiene passa
attraverso un trattamento di pirolisi condotto ad alta tem-
peratura per il quale, negli anni, sono state sviluppate
diverse soluzioni tecnologiche (Johnson et al., 2004).
Il processo, conosciuto come retorting, inizia a 200 C,
completandosi a temperature pi elevate (500-600 C),
e si realizza in reattori denominati storte (retort).
Il principale obiettivo nella progettazione della stor-
ta quello di effettuare il riscaldamento a basso costo
utilizzando meno energia possibile. Si possono distin-
guere diversi tipi di storte a seconda del modo con cui
viene somministrato il calore alloil shale frantumato:
storte riscaldate da gas in maniera indiretta; storte riscal-
date da gas in maniera diretta a combustione interna o
esterna; storte riscaldate da solidi in maniera diretta
(Matar, 1982).
Nel primo tipo di storta il riscaldamento avviene dal-
lesterno e il calore viene somministrato attraverso una
parete, generalmente in ghisa. Per la sua capacit limi-
tata e la bassa efficienza termica del metodo, questo tipo
di storta non stato ulteriormente sviluppato. Il secon-
do tipo utilizza gas caldi che attraversano loil shale in
maniera diretta, di solito in una fornace verticale (Pro-
cesso Union B sviluppato da Unocal). I gas possono esse-
re generati attraverso la combustione di una porzione
degli idrocarburi prodotti allinterno della storta (com-
bustione interna) o per parziale gassificazione con aria
e vapore a 800-850 C del materiale carbonioso residuo,
che resta sul minerale dopo il trattamento di pirolisi (tec-
nologia SGR, Stream Gas Recirculation). Questo un
metodo a basso costo, la cui resa in idrocarburi per
altrettanto bassa. Nel terzo tipo di storta, vettori solidi
preriscaldati (carrier), per esempio palline di ceramica
da 0,5 pollici (1,27 cm) di diametro, si mescolano con
loil shale e forniscono il calore necessario per la piro-
lisi. Il primo processo realizzato seguendo questa solu-
zione, noto come TOSCO (The Oil Shale COrporation)
II, stato sviluppato alla fine degli anni Sessanta da un
consorzio di diverse societ. Esso utilizza un reattore
rotante operante a 500 C che viene continuamente ali-
mentato con il minerale e prevede un sistema piuttosto
complesso di circolazione del carrier, ma offre vantag-
gi in termini di resa in olio.
Una tecnologia concettualmente analoga stata
successivamente sviluppata da UMA Engineering (Al-
berta Taciuk Process, ATP) e attualmente pu essere
considerata la tecnologia di riferimento per questo tipo
156 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE
fig. 12. Fornace per il retorting di oil shale, di capacit
pari a 200-330 t/d, realizzata negli Stati Uniti
negli anni Quaranta (USBM).
di applicazione. In questo processo il minerale viene dap-
prima pirolizzato in un forno rotante per la produzione
di olio (500 C) e successivamente inviato in un secon-
do forno di combustione, dove viene bruciata la quota
di materiale organico che non ha reagito (750 C), prima
di essere parzialmente rimesso in circolo in modo da
recuperare il calore necessario per il retorting.
Il gas emesso durante il retorting consiste per la mag-
gior parte in monossido e biossido di carbonio, dovuti
al rilascio di una buona parte dellossigeno presente nel
kerogene di partenza, idrogeno, solfuro di idrogeno, meta-
no e idrocarburi superiori, e pu essere impiegato per la
produzione dellidrogeno necessario per i processi di
upgrading o venire utilizzato come gas combustibile.
Il minerale residuo, generalmente materiale di scar-
to, deve essere riportato nella cava o depositato in disca-
riche. In alcuni casi, in funzione della natura della cari-
ca e delle modalit di pirolisi, il minerale residuo pu
ancora contenere una considerevole quantit di mate-
riale organico e quindi pu essere bruciato per fornire
calore al processo. Analogamente a quanto avviene nei
forni di coking, la reazione di pirolisi comporta infat-
ti una sorta di disproporzionamento della matrice idro-
carburica, con la produzione di un liquido arricchito in
idrogeno e di un residuo carbonioso (coke) che resta
nel minerale.
Il prodotto generato con il retorting delloil shale
un liquido scuro e viscoso con un alto contenuto di ete-
roatomi e di composti insaturi prodotti durante la piro-
lisi. Rispetto ai greggi pesanti o ai bitumi, i liquidi da oil
shale mostrano unelevata concentrazione di strutture
idrocarburiche ad alto rapporto H/C, dovuta al fatto che
il kerogene di partenza contiene unalta percentuale di
strutture paraffiniche.
La distribuzione dei distillati negli shale oil legata
alla tecnologia di retorting utilizzata ma in generale simi-
le a quella dei prodotti da coking di residui petroliferi.
Per quanto riguarda il contenuto di eteroatomi, gli
shale oil sono caratterizzati dal fatto di contenere, oltre
allo zolfo, significative quantit di ossigeno e azoto. I
liquidi di pirolisi possono poi includere diverse decine
di ppm di metalli e tra questi soprattutto ferro, ma anche
tracce di nichel, vanadio e arsenico; questultimo ele-
mento pu creare seri problemi di avvelenamento ai cata-
lizzatori di idrogenazione. Lupgrading degli shale oil
per produrre carburanti fa infatti riferimento alle classi-
che tecnologie sviluppate nel campo della raffinazione
del petrolio, e in particolare agli idrotrattamenti.
Una soluzione alternativa alla conversione degli shale
oil in liquidi via retorting rappresentata dalla cosid-
detta in situ conversion. Tale tecnologia stata inizial-
mente proposta negli Stati Uniti intorno agli anni Ses-
santa da diverse societ minerarie, tra le quali in parti-
colare Occidental Oil Shale. Lidea era quella di iniettare
aria e vapore nel giacimento, provocando la parziale
combustione del materiale organico (in situ combustion)
e quindi il riscaldamento della formazione raggiungen-
do temperature di 700-800 C (Braun et al., 1984). In
questo modo il processo di pirolisi viene condotto diret-
tamente nel giacimento, dal quale si possono poi recu-
perare i prodotti di conversione utilizzando opportuni
pozzi produttori. Allo scopo di ottimizzare la tecnolo-
gia, sono state proposte diverse soluzioni che riguarda-
no soprattutto le modalit di coltivazione del giacimen-
to, ovvero la disposizione dei pozzi iniettori e produtto-
ri, ma i diversi tentativi hanno sempre evidenziato notevoli
difficolt nel controllare il fronte di combustione e quin-
di nel garantire una ragionevole produttivit in olio.
Attualmente si sta valutando un approccio diverso che
prevede la realizzazione di una serie di pozzi verticali
nel giacimento di oil shale, i quali vengono poi scaldati
o elettricamente, o per mezzo di vapore surriscaldato, o
ancora utilizzando i gas caldi prodotti dalla parziale com-
bustione del materiale organico. In questo modo la for-
mazione viene portata a una temperatura dellordine di
qualche centinaio di gradi Celsius e mantenuta in que-
ste condizioni per diversi anni. Lalta temperatura acce-
lera il naturale processo di degradazione del kerogene in
olio (gi intorno a 300 C le cinetiche di degradazione
del kerogene aumentano in modo significativo; Lewan
et al., 1979), che pu quindi essere estratto come un greg-
gio tradizionale da un pozzo produttore. Le rese di con-
versione sono pi basse di quanto si otterrebbe con il tra-
dizionale retorting (circa il 20% in peso rispetto al mate-
riale organico), ma la qualit dellolio prodotto
decisamente superiore, come mostrato in tab. 13, e soprat-
tutto si riducono in modo significativo le problematiche
di tipo ambientale legate al recupero del minerale e alla
messa in discarica dei residui di lavorazione.
2.5.7 Principali progetti di sviluppo
Attualmente esistono numerosi progetti (avviati o in avan-
zato stato di sviluppo) relativi allo sfruttamento indu-
striale di oli non convenzionali.
Per quanto riguarda i greggi extrapesanti, in Vene-
zuela sono stati realizzati quattro progetti per lo sfrutta-
mento dei greggi del Bacino dellOrinoco per un totale
di 634.000 bbl/d, con produzione di 573.000 bbl/d di
greggio sintetico avente densit API variabile da 16 a 32.
Sono in corso trattative con la compagnia di stato vene-
zuelana (PDVSA) per lincremento della produzione fi-
no a circa 2 milioni di barili al giorno al 2010-2012. La
tab. 14 mostra i dati pi significativi di tali progetti.
In Canada, nella provincia di Alberta, si trattano attual-
mente circa 1,1 milioni di bbl/d di oil sand per produr-
re in parte greggio sintetico e in parte bitume diluito con
un flussante (costituito generalmente da naphtha) al fi-
ne di ridurne la viscosit per permetterne il trasporto.
157 VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILIT
TECNOLOGIE EMERGENTI PER LA CONVERSIONE DI RESIDUI
158 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE
tab. 13. Confronto delle rese e qualit dei prodotti ottenuti dal trattamento di oil shale statunitense
mediante processi diversi
Retorting tradizionale Processo TOSCO Processo Union Oil Processo Shell ICP
Caratteristiche olio
Densit API 19,8 21,2 18,6 38
H/C 1,63 1,64 1,70 1,84
Zolfo (% in peso) 0,7 0,9 0,9 0,5
Azoto (% in peso) 2,1 1,9 2,0 1,0
Ossigeno (% in peso) 1,6 0,8 0,9 0,5
Numero di bromo
*
33 49 n.d. n.d.
Ni + V (ppm) 10 9 5 2
Fe (ppm) 108 100 55 9
Distribuzione distillati (% in volume)
**
C
5
-230 C 11 23 5 45
230-343 C 25 21 25 39
343-554 C 54 56 70 16
554 C 10
*
Il numero di bromo un parametro che quantifica il contenuto di olefine in un taglio idrocarburico.
**
I distillati sono divisi in gruppi a partire dai pentani fino agli idrocarburi che bollono alle temperature indicate.
tab. 14. Progetti per lo sfruttamento di greggi extrapesanti venezuelani
Petrozuata Cerro Negro Sincor Hamaca
Operatore Petrozuata ExxonMobil Sincor Petrolera Ameriven
Quote di partecipazione (%)
ConocoPhillips 50,1
PDVSA 49,9
ExxonMobil 41,7
PDVSA 41,7
BP 16,6
Total 47
PDVSA 38
Statoil 15
ConocoPhillips 40
PDVSA 30
ChevronTexaco 30
Riserve (gbbl) 1,4 1,4 2,3 2,2
CAPEX totali (miliardi di dollari) 3,9 2,0 4,6 4,5
CAPEX per lupgrader
(miliardi di dollari)
1,5 0,7 2,5 2,0
Produzione heavy oil
ingresso upgrader (bbl/d)
120.000 120.000 204.000 190.000
Produzione syncrude uscita
upgrader (bbl/d)
108.000 105.000 180.000 180.000
Densit syncrude (API) 20-26 16 32 26
Tecnologia upgrader
Delayed coking
Naphtha hydrotreating
Delayed coking
Naphtha hydrotreating
Delayed coking
Hydrocracking
Hydrotreating
Delayed coking
Hydrocracking
Hydrotreating
Lelenco aggiornato dei principali progetti industriali
riportato in tab. 15.
Infine, per quanto riguarda loil shale, bench a livel-
lo internazionale si possano contare diverse iniziative di
ricerca e sviluppo mirate a sperimentare soluzioni per il
suo sfruttamento, soprattutto in Canada, Australia, Cina,
Russia e Israele, le applicazioni a livello industriale o
dimostrativo sono ancora molto limitate.
Tra queste, da segnalare il progetto portato avan-
ti da due compagnie australiane, la Southern Pacific
Petroleum NL e la Central Pacific Minerals NL, che nel
1995 hanno siglato un accordo con la societ canadese
Suncor Energy per sviluppare una filiera tecnologica
per lo sfruttamento del deposito australiano denomina-
to Stuart. La prima fase di questo progetto stata com-
pletata nel 1999 con la realizzazione di un complesso
industriale per il trattamento di 6.000 t/d di minera-
le, dal quale vengono prodotti 4.500 bbl/d di un olio
leggero (42 API) contenente lo 0,4% in peso di zolfo
e l1% in peso di azoto. La tecnologia di trattamento uti-
lizzata per lestrazione dellolio la gi citata Alberta
Taciuk Processor (ATP).
In Estonia sono attualmente operativi tre impianti di
retorting che producono 8.000 bbl/d di liquidi. In pro-
spettiva, la societ chimica privata Viru Keemia Grupp
(VKG) ha in programma la realizzazione di un impianto
da 4 milioni di bbl/a di distillati (naphtha e gasolio) la cui
redditivit dovrebbe essere incrementata dalla possibilit
di estrarre dallolio di pirolisi derivati ossigenati per lin-
dustria chimica (in particolare fenoli e cresoli).
Ricordiamo infine che in Brasile tuttora funzio-
nante uno dei pi grandi impianti di retorting con com-
bustione a gas (Petrosix), attraverso il quale vengono
prodotti giornalmente 3.870 bbl di liquidi.
Per quanto riguarda il processo di in situ conversion,
negli ultimi 15 anni sono stati effettuati diversi studi e
159 VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILIT
TECNOLOGIE EMERGENTI PER LA CONVERSIONE DI RESIDUI
tab. 15. Principali progetti di sviluppo canadesi relativi allo sfruttamento industriale di oli non convenzionali
Compagnia Progetto Capacit (bbl/d)
Costo
(milioni di dollari)
Stato attuale Inizio
Shell Canada, Chevron
Canada e Western Oil Sands
Muskeg River 155.000 5.700 Operativo 2003
Syncrude Canada Aurora 140.000 5.000 In costruzione 2005
Suncor Energy Inc. Firebag 105.000 2.100 In costruzione 2007
Petro-Canada Meadow Creek 80.000 800 Proposta 2007
Nexen Petroleum
& OPTI Canada
Long Lake 30.000 2.600 Proposta 2007
Imperial Oil Nabiye 30.000 1.000 Proposta 2006
TrueNorth Energy
& UTS Energy
Fort Hills 95.000 3.500 Congelato ?
Japan Canada Oil Sands
Ltd.
Hangingstone 35.000 250
Proposta in fase
di registrazione
2007
Husky Energy Inc. Tucker Lake 30.000 350 Proposta 2006
EnCana Corp. Christina Lake 70.000 900 Impianto pilota 2007
Devon Canada Corp. Jackfish 35.000 400 Proposta in preparazione 2007
Syneco Energy Northern Lights 80.000 3.500
Proposta preliminare
registrata
2007
ConocoPhillips Canada,
TotalFina & Devon Energy
Surmont 100.000 1.000 Proposta 2006
Canadian Natural Resources
Ltd.
Horizon 232.000 8.000 Proposta 2011
Deer Creek Energy &
Enerplus Resources Fund
Joslyn Creek 40.000 450 Proposta in preparazione 2008
Black Rock Ventures Hilda Lake 20.000 260 Proposta 2005
test sul campo per ottimizzare la tecnologia. Di partico-
lare rilevanza il lavoro che viene svolto da Shell circa lo
sviluppo della tecnologia denominata ICP (In situ Con-
version Process), in fase di sperimentazione avanzata nel
bacino Piceance Creek in Colorado, mentre un nuovo
progetto stato annunciato nel Nord-Est della Cina, nella
provincia di Jilin.
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160 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE

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