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Giacomo Poggi

APPUNTI SUL RUMORE ELETTRICO


Versione del 30 maggio 2004
Universit`a degli Studi di Firenze, Dipartimento di Fisica
Anno Accademico 2002-2003
Universit`a degli Studi di Firenze, Dipartimento di Fisica
Anno Accademico 2002-2003
I
I SISTEMI LINEARI
1. Sistemi lineari e risposta ad un generico segnale in ingresso
Consideriamo una rete lineare ed in particolare identichiamo in essa due terminali di ingresso
ai quali venga applicato un segnale (una ddp) S(t) e due terminali di uscita dai quali preleviamo
la risposta (ancora una ddp) R(t). Quanto segue, salvo piccoli adeguamenti sul signicato delle
grandezze introdotte, si pu` o applicare a qualunque sistema sico che si comporti in maniera lineare;
tuttavia qui e nel seguito si far` a riferimento esclusivo ad una rete elettrica.
Il principio di causa-eetto (la causalit` a) impone che la risposta R(t) ad un tempo t possa solo
dipendere dal valore che il segnale S() ha assunto ai tempi < t.
Per trovare lespressione pi` u generale che lega R(t) al segnale S(), esaminiamo la risposta r(t) del
sistema (rispetto ai terminali di ingresso e uscita gi`a introdotti) ad un segnale particolare, ovvero
un impulso rettangolare i(t) di area unitaria, durata molto breve (vedremo poi rispetto a cosa)
e con inizio nellorigine dei tempi:
i

(t) = cost 0 t , = 0 altrove


r

(t) = 0 t 0, = 0 t < 0
Fig.I.1
Nella Fig.1 parte a) e b) rispettivamente sono riportate a tratto continuo una eccitazione i

(t)
e la corrispondente risposta r

(t), dove i pedici stanno a ricordare lestensione temporale


dellimpulso di ingresso. Nella medesima gura `e pure riportata unaltra coppia segnale-risposta, a
tratto punteggiato, con leccitazione caratterizzata dallavere una durata doppia, ma la stessa area.
Gli assi orizzontali sono gli stessi per la parte a) e b) della gura.
2 [Cap. I, 1]
Ammettiamo di ridurre ora progressivamente la durata dellimpulso, mantenendo il vincolo che
lintegrale di i

(t) (i

(t) ) resti unitario; assumiamo che esista il limite della funzione r

(t)
per 0 e chiamiamo tale limite r(t), ovvero r(t) sia la risposta del sistema alla delta di Dirac
(t), centrata sullorigine. In tutti i casi realistici si trova che la r(t) ha una estensione temporale
non nulla. La estensione temporale della risposta alla ci d`a proprio il termine di paragone naturale
col quale confrontare lestensione della eccitazione: ovvero impulsi in ingresso di durata molte breve
rispetto alla durata della risposta alla daranno luogo a risposte confondibili con quelle alla .
Questo eetto qualitativamente si pu` o apprezzare anche nella Fig.1; infatti si nota che il raddoppio
della estensione temporale della eccitazione, rappresentata dalla curva punteggiata nella parte a),
provoca un cambiamento modesto nella funzione di risposta (parte b), curva punteggiata), proprio
perche lestensione complessiva della funzione di risposta `e comunque signicativamente superiore
alla durata della eccitazione.
Se le caratteristiche del circuito sono indipendenti dal tempo (p.e. nel caso di componenti costanti
quali resistori, condensatori, induttori), allora possiamo aermare che la risposta r(t, ) ad una ec-
citazione (t ) centrata in t = , anziche sullorigine dei tempi, `e data semplicemente da r(t )
(vedi Fig.2) e in queste condizioni r(t) `e detta funzione di risposta del circuito in esame, con riferi-
mento ai terminali di ingresso e uscita considerati.
Fig.I.2
Nel caso in esame il sistema presenta quindi una invarianza traslazionale rispetto allasse dei tempi,
che si riette nella dipendenza da (t ) della risposta del sistema alla centrata al tempo . In
generale, ovvero nel caso in cui la risposta del sistema dipenda dal tempo, cio`e dallistante in cui
avviene leccitazione istantanea, la risposta del sistema alla (t ) deve porsi nella forma generica
r(t, ), dove leettiva dipendenza da `e determinata dal modo in cui i parametri del sistema variano
in funzione del tempo.
Ritorniamo alla nostre ipotesi di invarianza traslazionale nel tempo e guardiamo cosa implica lipotesi
di linearit` a del sistema. Molto formalmente, sfruttando la denizione di (t), possiamo esprimere il
[Cap. I, 1] 3
segnale S(t) col seguente integrale:
S(t) =

S() (t ) d (I.1)
che, alla luce di quanto detto sopra pu` o interpretarsi come il limite per 0 di una espressione
del tipo:
S(t) S

(t) =
N

k=0
S(

k
) i

(t
k
) =
N

k=0
c
k
i

(t
k
) (I.2)
Nella Fig.3 la S(t) `e rappresentata a tratto continuo, mentre lapprossimazione S

`e riportata dalla
spezzata.
Fig.I.3
I vari
k
della espressione 2) rappresentano lorigine degli impulsi rettangolari di area unitaria che
moltiplicano il valore medio c
k
della funzione nellintervallo considerato; tale valore medio, a causa
della regolarit` a che assumiamo per la funzione, `e anche esprimibile mediante il valore che la funzione
S(

k
) assume in un punto interno allintervallo su cui si estende limpulso:
k
<

k
<
k
+ .
La formula 2), rappresentando la S(t) come somma di segnali, permette, sfruttando le propriet` a di
linearit` a del sistema, di scrivere la risposta come somma delle risposte ai vari segnali addendi:
R

(t) =
M

k=0
c
k
r

(t
k
) (I.3)
con M tale che
M
t; ovvero la somma include (per il principio di causalit`a) solo le eccitazioni con
origine a tempi
k
antecedenti listante in cui si considera la risposta.
4 [Cap. I, 1]
La Fig.4 rappresenta gracamente la risposta R

(t) (punteggiata) come somma dei contributi


c
k
r

(t
k
) ai vari impulsi c
k
i

(t
k
) che approssimano -secondo la formula 2)- il segnale.
Fig.I.4
La formula 3), riscritta per il comportamento al limite di 0 e tenendo conto che lim
0
c
k
=
lim
0
S(

k
) = S(
k
), porta allespressione:
R(t) = lim
0
R

(t) = lim
0
M

k=0
c
k
r

(t
k
) =

S() r(t ) d (I.4)


`
E ovvio che al risultato 4) si poteva giungere direttamente partendo dalla 1), senza le con-
siderazioni elementari svolte sopra: infatti il passaggio diretto dalla 1) alla 4) `e consentito dalla
linearit` a dellintegrale e dal principio di causalit` a che, mediante lestremo superiore dellintegrale,
ssa i contributi possibili del segnale alla risposta. Nel caso in cui la risposta del sistema (sempre
ipotizzato lineare) dipenda dal tempo, la r va scritta nella forma pi` u generale r(t, ).
La 4) pu` o essere messa in una forma molto utile dal punto di vista dellelaborazione matematica
successiva. Facciamo la sostituzione = t e otteniamo cos` :
R(t) =

0
+
S(t ) r() d =

+
0
S(t ) r() d
che essendo per denizione r() = 0 < 0 pu` o anche scriversi:
R(t) =

S(t ) r() d (I.5)


ovvero la risposta complessiva del sistema al segnale S(t) `e rappresentata dal prodotto di con-
voluzione del segnale con la funzione di risposta del sistema.
Dalla espressione 5) `e immediato vericare che se la S(t) `e periodica con periodo T, ugualmente
periodica sar`a la R(t). Si ritrova cos` un risultato al quale si perviene studiando le reti lineari
in alternata: nellambito di quel formalismo la periodicit`a della risposta `e dimostrata sviluppando
[Cap. I, 2] 5
in serie di Fourier il segnale periodico in ingresso e applicando poi il Principio di sovrapposizione
(ovvero la linearit` a del sistema) per ottenere le risposte alle varie componenti armoniche; la risposta,
essendo ancora esprimibile come una serie di Fourier con la medesima armonica base, `e periodica
con lo stesso periodo del segnale in ingresso.
Limportanza della soluzione espressa nella forma 5) risiede nella sua generalit` a: essa vale per
qualunque sistema lineare con funzione di risposta r(t). Inoltre, in tutti i casi sici di interesse,
le S(t) e le r(t) godono di suciente regolarit` a matematica da garantire lesistenza delle loro trasfor-
mate secondo Fourier. Questo permette di aermare che se vale la espressione 5) allora per le
trasformate: FT{r(t)} = A(), FT{R(t)} = R() e FT{S(t)} = S(), vale:
R() = S() A() (I.6)
ovvero la FT della risposta `e data dal prodotto delle FT del segnale e della funzione di risposta. La
trasformata della funzione di risposta FT{r(t)} = A() `e detta funzione di trasferimento della rete
lineare rispetto alle coppie di terminali sopra denite.
Le formule 5) e 6) consentono di valutare la risposta, rispettivamente o nel dominio del tempo o in
quello delle frequenze, una volta che sia nota (oltre che ovviamente il segnale S(t) o la sua FT S) la
funzione di risposta r(t) oppure la sua FT A, cio`e la sua funzione di trasferimento. Pertanto il vero
problema che di volta in volta va risolto nellesaminare la risposta di una rete al una eccitazione
generica S(t), `e quello di determinare la funzione di risposta r(t) o la funzione di trasferimento A(),
rispetto ai terminali di ingresso e di uscita di interesse.
2. La funzione di trasferimento e la funzione di risposta
Applichiamo il risultato espresso dalla 6) a due casi particolari di S(t): il caso in cui S(t) = (t)
e quello in cui S(t) = S
0
e
j2
s
t
con S
0
in genere complesso. Il primo dei due casi ci deve restituire
la soluzione alla base delle nostre elucubrazioni, ovvero che la risposta alla (t) deve essere proprio
la r(t). Infatti dalla 6), imponendo S(t) = (t) e ricordando che S() = FT{(t)} = 1, abbiamo
R() = A(), ovvero:
R(t) = FT
1
{A()} = r(t)
Il secondo caso (S(t) = S
0
e
j2
s
t
) `e assai pi` u interessante, non fosse altro per quello che ci insegna
circa la funzione di trasferimento A():
S() = FT{S
0
e
j2
s
t
} = S
0

e
j2(
s
)t
dt = S
0
(
s
)
Pertanto:
R() = S() A() = S
0
A() (
s
) (I.7)
Per ottenere R(t) dobbiamo antitrasformare la 7), ottenendo:
R(t) = FT
1
{R()} = S
0

A() (
s
) e
j2t
d = S
0
A(
s
) e
j2
s
t
(I.8)
Possiamo porre R(t) = R
0
e
j2
s
t
e quindi ottenere per la ampiezza complessa del segnale S
0
e
della risposta R
0
la seguente relazione:
R
0
= S
0
A(
s
) (I.9)
6 [Cap. I, 2]
Quindi, se S(t) `e sinusoidale anche R(t) `e sinusoidale e con la stessa pulsazione; la ampiezza com-
plessa in uscita R
0
`e proporzionale allampiezza complessa in ingresso S
0
; il coeciente di proporzio-
nalit` a `e complesso e dipende dalla pulsazione caratteristica del segnale, oltreche, ovviamente, dalle
caratteristiche della rete. Ricordando quanto appreso studiando le reti lineari col metodo simbolico
e immaginando che S(t) sia la ddp ai capi di ingresso e R(t) la tensione ai terminali di uscita, ricono-
sciamo in A() il rapporto fra la tensione complessa in uscita e la tensione complessa in entrata, che
sappiamo gi`a calcolare utilizzando lapparato del metodo simbolico.
A(), anche nei casi in cui la funzione di trasferimento colleghi, anziche tensioni in entrata e uscita,
correnti in entrata e correnti in uscita o correnti con tensioni o tensioni con correnti, `e calcolabile
considerando la rete lineare (rispetto ai terminali o ai rami di ingresso e uscita) come se fosse eccitata
in regime sinusoidale e cercando col metodo simbolico la soluzione che lega le ampiezze complesse
in uscita R
0
con quelle in entrata S
0
. E chiaro quindi che A(
s
) `e espressa unicamente in funzione
delle impedenze della rete in esame.
Facciamo un esempio banale del calcolo di A(), con riferimento alla Fig.5.
S(t)
r
c
R(t)
Fig.I.5
Trovando la soluzione col metodo simbolico abbiamo:
R
0
= S
0
1
jc
r +
1
jc
= S
0
1
1 + jrc
= S
0
1
1 + j2rc
(I.10)
Pertanto la funzione di trasferimento vale A() =
1
1 + j2rc
. Come completamento dellesempio,
possiamo calcolare, antitrasformando la 10), la funzione di risposta r(t) che risulta valere:
R(t) = FT
1
{A()} = FT
1
{
1
1 + j2rc
} =
1

e
t/
(I.11)
dove lunit` a `e stata indicata col simbolo 1 per ricordarci che essa `e dimensionale, con unit` a di misura
V s.
Il risultato 10), ovvero che la funzione di trasferimento si possa calcolare nel regime sinusoidale
e che quindi la sua determinazione risulti molto spesso elementare (in ogni caso sempre ottenibile
con regole certe e semplici), rende il risultato 6) veramente notevole. Abbiamo di fatto un metodo
per trovare la risposta di un qualunque sistema lineare (con risposta indipendente dal tempo) a
qualunque eccitazione S(t), purche trasformabile secondo Fourier.
G.Poggi: Appunti sul rumore elettrico; Cap.I
Firenze, 30 maggio 2004
II
LE SEQUENZE CASUALI
1. Le sequenze a caso e le medie di insieme
Per evitare di introdurre denizioni e concetti in maniera completamente astratta, partiamo da
un caso sico ben preciso e che in seguito incontreremo ancora, ovvero dalla dierenza di poten-
ziale che si presenta ai capi di un resistore anche quando non `e percorso da una corrente imposta
dallesterno. Consideriamo quindi un resistore r di resistenza R. Con il valore R intendiamo carat-
terizzare il conduttore in esame, ma siamo perfettamente consapevoli del fatto che con la indicazione
del valore di R non abbiamo univocamente denito il resistore: esistono infatti innumerevoli resisto-
ri, tutti apparentemente uguali dal punto di visto macroscopico (in particolare tutti caratterizzati
dallavere la stessa resistenza R), certamente dierenti luno dallaltro per le diverse aggregazioni
microscopiche del materiale di cui sono costituiti. Normalmente tutto questo ha scarso interesse,
anche concettuale. Quando per`o si osserva, ad esempio, che, posto il resistore a temperatura T
costante e senza applicare alcuna tensione ad esso, la ddp ai suoi capi misurata con uno strumento
sucientemente sensibile risulta uttuante e generalmente diversa da zero (vedi Fig.1, dove in real-
t`a `e riportata una simulazione numerica), `e naturale porsi il problema di quello che accadrebbe
cambiando resistore; e allora le innumerevoli maniere con le quali si pu`o ad esempio realizzare
un resistore di resistenza pari a R diventano non solo interessanti, ma addirittura fondamentali per
individuare e denire se esistono le propriet`a medie di questa ddp osservata sul singolo campione.
Fig.II.1
8 [Cap. II, 1]
Per procedere alla valutazione di queste propriet`a medie, si immagina di disporre di un insieme
costituito da tutti quei resistori, macroscopicamente identici e compatibili con il nostro resistore
originario, posti nelle stesse condizioni siche (per esempio fondamentale nel nostro caso: alla stessa
temperatura T) e di studiarne le propriet`a, fra le quali di particolare nostro interesse c`e sicura-
mente la ddp ai loro capi, in assenza di applicazione esterna di tensione. In generale le possibili
repliche saranno in un numero M molto grande, matematicamente diremmo tendenti allinnito. Se
ammettiamo di compiere le misure di ddp su tutte le M resistenze ad intervalli di tempo regolari
e contemporaneamente su tutte quante, avremo per ogni resistenza r
m
un insieme di registrazioni
(ognuna costituisce quella che si chiama una sequenza) che possiamo sinteticamente indicare con:
{v
mi
}
con lindice m che corre sullinsieme degli M resistori e lindice i che ordina le misure eettuate
sulla resistenza r
m
secondo il parametro tempo; qui e nel seguito indicheremo le variabili aleatorie
o casuali con una sottolineatura, ove sia necessario per distinguerle dalle variabili usuali.
Poiche gli elementi della sequenza sono, come appena detto, variabili casuali, le sequenze sono
anchesse dette casuali.
Le misure eettuate ci permettono di disporre di un insieme di M sequenze e li-esimo elemento della
m-esima sequenza rappresenta la misura della ddp ai capi di r
m
eettuata al tempo t
i
= i t, con
i = 0, ..., I e t intervallo fra una misura e laltra. Nel limite per M , ovvero nella presunzione
di aver considerato tutte le repliche sicamente possibili del resistore di partenza, per ogni valore
di i `e possibile determinare la densit`a di probabilit`a f
v
i
(v
i
, i) che la tensione v
i
sia compresa in un
intervallo innitesimo di estensione dv
i
attorno a v
i
:
p(v
i
v
i
v
i
+ dv
i
) = f
v
i
(v
i
, i) dv
i
(II.1)
In altri termini, laver ammesso di disporre di un numero M illimitato di resistori tutti identici fra
loro in quanto a valore di R, ci permette di trarre, usando le leggi della statistica, le informazioni
sulle propriet`a matematiche delle distribuzioni che auspicabilmente sono in grado di rappresentare
il processo.
In questo schema `e possibile introdurre le cosidette medie di insieme delle grandezze studiate e delle
loro funzioni. Per esempio possiamo denire la media di insieme delle ddp misurate v
i
, cio`e delle
tensioni misurate al tempo t
i
= i t, come:
v
i
= E{v
i
} =

v f
v
i
(v, i) dv (II.2)
dove nella variabile di integrazione si `e omesso per semplicit`a il pedice i. Nel caso che la variabile v
i
sia discreta *, occorre passare dagli integrali alle somme e dalle densit`a di probabilit`a alle probabilit`a
associate ai valori discreti.
La notazione tipograca della sopralineatura qui e nel seguito si riferisce alla media di insieme.
In generale (ma non sar`a cos` proprio nel caso che stiamo considerando delle nostre resistenze), la
media di insieme, ovvero il valore di aspettazione di v
i
dipende da i, cos` come da i dipende in
generale f
v
i
(v, i).
Avendo a che fare con sequenze (nel linguaggio del Calcolo delle probabilit`a diremmo vettori) di
* Non `e il nostro caso se la misura delle resistenze si suppone eettuata con uno strumento
innitamente sensibile e preciso; ma `e il nostro caso se la tensione, pi` u realisticamente, si misura ad
esempio con un ADC con un numero nito di bit
[Cap. II, 1] 9
variabili aleatorie {v
i
}, possiamo anche denire le densit`a di probabilit`a congiunta f
v
i
v
j
(v
i
, i; v
j
, j)
per due componenti del vettore v
i
, v
j
, che ci servir`a non appena andremo a considerare funzioni
di due variabili aleatorie della nostra sequenza. Per questa probabilit`a congiunta valgono le so-
lite considerazioni riguardo alla indipendenza o meno delle variabili aleatorie: in particolare vale
la condizione necessaria e suciente per lindipendenza, ovvero la fattorizzabilit`a della densit`a di
probabilit`a congiunta nelle due densit`a marginali.
Ovviamente, oltre alla media di insieme v
i
, si pu`o denire la media di insieme del quadrato v
2
i
e la
varianza di insieme
2
(v
i
) = E{(v
i
v
i
)
2
}:
v
2
i
= E{v
2
i
} =

v
2
f
v
i
(v, i) dv (II.3)

2
v
i
= E{(v
i
v
i
)
2
} =

(v v
i
)
2
f
v
i
(v, i) dv = v
2
i
v
i
2
(II.4)
Cos` come la media v
i
, anche v
2
i
e
2
(v
i
) in generale dipendono dallindice i, cio`e dal tempo (al
solito, non nel caso della resistenza che stiamo considerando).
Di notevole interesse sono le correlazioni fra le componenti della sequenza, denite in maniera
sostanzialmente identica a quanto appreso nel caso dei vettori di variabili aleatorie, dove la ma-
trice di covarianza conglobava in se tutta linformazione riguardo alle correlazioni a due a due fra
le componenti. Non stupisce che nel caso in esame, essendo la sequenza ordinata secondo il tempo,
lindice delle componenti del vettore {v
i
} giochi un ruolo fondamentale nella denizione e ricerca
delle correlazioni. La cosidetta sequenza di autocorrelazione `e infatti denita come segue:

vv
(i, j) = E{v
i
v
j
} =

dv

du v u

f
v
i
v
j
(v, i; u, j) (II.5)
e la sequenza di autocovarianza come:

vv
(i, j) = E{(v
i
v
i
) (v
j
v
j
)

} (II.6)
Il simbolo

rappresenta al solito loperazione di coniugazione. Spesso, nel seguito e anche ora


proprio nel caso che stiamo considerando di tensioni misurate ai capi dei resistori, le grandezze sono
reali e loperazione di coniugazione, ovviamente, non ha alcun eetto.
E immediato dimostrare che:

vv
(i, j) =
vv
(i, j) v
i
v

j
In generale le sequenze di autocorrelazione e autocovarianza dipendono sia da i che da j. La
dipendenza di queste sequenze dai due indici ci dice come le variabili della sequenza siano fra loro
correlate al variare di i e di j, ovvero al loro muoversi allinterno della sequenza originaria. Intuiti-
vamente possiamo aspettarci che quando i e j sono vicini di valore (per esempio adiacenti) il modulo
della autocorrelazione possa essere molto maggiore di quando gli indici sono molti diversi, ovvero le
due misure temporalmente assai distanti. Per esempio, si sar`a notato che nel caso della sequenza
riportata nella Fig.1 i valori della tensione, pur essendo uttuanti, tendano a mantenersi costanti
su intervalli di tempo dellordine di 100 s; pertanto se prendiamo due valori i e j tali per cui la
dierenza di tempo associata `e minore di tale intervallo temporale, il prodotto (v
i
v
i
) (v
j
v
j
)
risulter`a quasi sempre positivo, mentre per dierenze fra i e j decisamente superiori il prodotto sar`a
mediamente nullo. Le sequenze per le quali la autocorrelazione 6) `e diversa da zero solo quando i = j,
cio`e la 6) coincide con il calcolo della varianza di insieme denita dalla 4), sono dette puramente
10 [Cap. II, 3]
casuali e, come vedremo, pur essendo di qualche interesse sico, sono in pratica una pura astrazione
matematica.
Per quanto appena detto dovrebbe risultare chiaro che la sequenza mostrata nella Fig.1 non
`e una sequenza puramente casuale; infatti come capiremo meglio nel seguito tale sequenza cor-
risponde alla misura di tensione ai capi di un resistore r eettuata con un taglio per frequenze
superiori al centesimo di Hz (o introdotto dallo strumento di misura o da una capacit`a posta in
parallelo a r).
2. Processi a caso stazionari
Tornando al processo in esame, lesperienza accumulata no ad oggi, accompagnata e confor-
tata da argomentazioni di tipo teorico, insegna che, per le sequenze casuali associate a processi del
tipo di quelli responsabili della ddp erratica ai capi di un resistore posto a temperatura T nita, si
riescono a valutare le densit`a di probabilit`a f
v
i
(v
i
, i) e f
v
i
v
j
(v
i
, i; v
j
, j) e che le medie sopra denite
esistono ed inoltre godono di importanti propriet`a. In particolare si trova che il processo che stiamo
esaminando appartiene alla categoria dei processi a caso stazionari, ovverosia quelli per i quali le
medie al primo ordine (come son dette quelle che coinvolgono una sola variabile aleatoria per volta)
ed in particolare le 2), 3) e 4), non dipendono dal tempo, ovvero dallindice i, ed inoltre le medie
del secondo ordine, quali quelle denite dalle 5) e 6), dipendono solo dalla dierenza di tempo fra le
due componenti v
i
, v
j
, cio`e da (j i) t.
Nel caso delle nostre resistenze si trova che data la costanza della temperatura T del bagno ter-
mostatico col quale i resistori sono in equilibrio eettivamente il processo `e stazionario. Ancor pi` u
esplicitamente vedremo che:
v
i
= v = 0 (II.7)
cio`e il valore medio (di insieme) della tensione `e nullo. Quanto ai valori che in questo caso assume
la varianza v
2
i
=
2
(v
i
) e la sequenza di autocorrelazione, rinviamo il lettore al Cap.V.
3. Le medie nel tempo e lipotesi ergodica
Laver introdotto le repliche del nostro sistema in esame (gli M resistori tutti uguali e tutti
in equilibrio alla temperatura T) `e utile per poter denire le medie come valori di aspettazione
ed utilizzare i metodi del Calcolo delle probabilit`a. Vedremo nel seguito che eettivamente molto
spesso dal punto di vista della schematizzazione sica dei processi, lapproccio delle medie di insieme
`e assai vantaggioso. Tuttavia, dal punto di vista pratico, in particolare delle misure, normalmente
si ha a che fare con un unico sistema sico (un unico resistore a temperatura T) e si tenta di
estrarre le propriet`a medie da esso soltanto, magari osservando questo unico sistema per un tempo
sucientemente esteso. Data quindi una unica sequenza {v
i
}, deniamo la media temporale della
sequenza come:
v
i
= v = lim
I
1
I
I

i=1
v
i
(II.8)
[Cap. II, 3] 11
e la autocorrelazione temporale:
v
i+k
, v
i
= lim
I
1
I
I

i=1
v
i+k
v

i
(II.9)
Nei casi di interesse che incontreremo nel seguito, la autocorrelazione temporale, cos` come
la sequenza di autocorrelazione denita dalla 5), si manterr`a signicativamente dierente da 0, in
funzione di k e quindi della dierenza di tempo fra i due istanti considerati, solo entro un certo
limite superiore
max
= k
max
t.
Se le M repliche sono eettivamente tali, cio`e si tratta di copie conformi dello stesso sistema
sico originario, le medie temporali ipoteticamente eettuate sulle varie sequenze dellinsieme devono
essere tutte uguali fra loro. Pertanto per i processi stazionari, per i quali la media di insieme `e per
denizione indipendente dal tempo, i due metodi adottati per mediare (media temporale e media
di insieme) devono coincidere. In altri termini, se esaminiamo una sola sequenza stazionaria e ne
facciamo la media temporale, questultima deve coincidere con la media di insieme che otterremmo
sulle repliche del sistema sico in esame:
v = lim
I
1
I
I

i=1
v
i
= E{v
i
} = v (II.10)
v
i+k
, v

i
= lim
I
1
I
I

i=1
v
i+k
v

i
= E{v
i
v
i+k
} =
vv
(i + k, i) (II.11)
Poiche questa `e la medesima conclusione alla quale in Meccanica Statistica, ovvero in un contesto
pi` u generale, si addiviene formulando la cosidetta ipotesi ergodica, i processi che noi ci apprestiamo
ad esaminare, quali quello della tensione aleatoria ai capi del resistore a temperatura nita, sono
anche detti processi stazionari ergodici.
In pratica, se vogliamo seguire lapproccio della media temporale su un unico sistema stazionario
ergodico, non potremmo estendere le medie temporali fra e +, ma ci dovremmo limitare
ad un intervallo di tempo nito (similmente a quello che accadrebbe se volessimo attuare medie
di insieme, da poter fare solo su un insieme nito di repliche). E legittimo chiedersi quale sia il
criterio da seguire per denire lintervallo di tempo su cui eettuare la media senza commettere errori
signicativi rispetto al caso ideale di media valutata su un intervallo innito: laccorgimento `e quello
di scegliere una durata per loperazione di media che abbia una estensione decisamente superiore
allintervallo di tempo caratteristico del processo sico in studio che il sistema impiega per cambiare
signicativamente di stato (nel caso in esame: il tempo che la ddp casuale impiega per cambiare di
valore di una quantit`a apprezzabile). Come impareremo poi, tale tempo `e proprio quel
max
visto
prima entro il quale la autocorrelazione temporale si mantiene signicativamente diversa da zero.
Vedremo che nel caso del resistore questo tempo `e brevissimo (frazioni di femtosecondi, idealmente
zero); scopriremo anche che non appena si tenga conto che ai capi del resistore di resistenza R
`e comunque sempre presente una capacit`a C, allora il tempo caratteristico da superare con buon
margine per fare medie temporali corrette `e, non sorprendentemente, la costante di tempo = RC.
Notiamo che questo tempo caratteristico, o memoria del sistema, pu`o essere anche stimato dalle
medie di insieme, precisamente osservando le sequenze di autocorrelazione sopra denite nelle 5) e
6).
Quello appena detto `e un criterio che denisce il limite minimo al di sotto del quale lestensione
temporale su cui si eettua la media non deve assolutamente scendere; nel prossimo capitolo vedremo
12 [Cap. II, 3]
poi quale sia, una volta soddisfatto questo requisito, leetto della dimensione nita dellintervallo
sullinformazione estraibile dalla sequenza in esame.
Si sar`a notato che le medie temporali denite dalle 8) e 9) sono fatte sulle sequenze di punti,
intervallate da un certo t. Questo di per se non `e rilevante per la denizione di media temporale,
ma corrisponde al fatto che le misure eettive di una sequenza sono sempre in numero nito e distanti
di un intervallo nito. Tuttavia, dal punto di vista della trattazione matematica (a meno che non
si vogliano arontare tutti questi argomenti con la matematica discreta, per esempio impiegando la
DFT, Discrete Fourier Transform) risulta spesso preferibile scrivere le medie temporali nel continuo:
v = v(t) = lim
T
1
T

+T/2
T/2
v(t) dt (II.12)
v(t + ), v(t)

= R() = lim
T
1
T

+T/2
T/2
v(t + ) v

(t) dt (II.13)
La relazione 13) denisce propriamente la cosidetta funzione di autocorrelazione della sequenza
{v(t)}. Il valore della funzione di autocorrelazione R( = 0) corrisponde alla varianza della sequenza:
R( = 0) =
2
(v) = lim
T
1
T

+T/2
T/2
|v(t)|
2
dt (II.14)
Notiamo che una qualunque sequenza {v(t)} si pu`o sempre porre nella forma della somma del valor
medio della sequenza pi` u un termine che risulta dalla dierenza fra gli elementi della sequenza {v(t)}
e il valor medio:
{v(t)} = {di(t)} + v (II.15)
con {di(t)} = 0. E utile sapere quale relazione intercorre fra la funzione di autocorrelazione R
v
()
della {v(t)} e la funzione di autocorrelazione R
d
() della {di(t)}. Troviamo allora:
R
v
() = lim
T
1
T

+T/2
T/2
v(t + ) v

(t) dt =
= lim
T
1
T

+T/2
T/2
di(t + ) di

(t) dt +

+T/2
T/2
di(t) v

dt+
+

+T/2
T/2
v di

(t) dt +

+T/2
T/2
|v|
2
dt

=
= R
d
() + |v|
2
(II.16)
La relazione 16) ci sar`a utile nel seguito. La funzione di autocorrelazione di una sequenza a media
nulla, pi` u propriamente si dovrebbe chiamare funzione di autocovarianza, ma tale notazione di fatto
non si usa.
In generale notiamo che nella pratica, avendo a disposizione una sequenza nita di un processo
a caso {v
i
}, non sar`a possibile eettuare il calcolo al limite presente nelle formule 8) e seguenti,
ma piuttosto ci si dovr`a accontentare di valutare le medie sul campione mediante somme nite;
sappiamo che le somme di variabili aleatorie sono ancora variabili aleatorie e quindi le medie sul
campione andranno considerate come estimatori delle medie di interesse.
G.Poggi: Appunti sul rumore elettrico; Cap.II
Firenze, 20 novembre 2007
III
IL RUMORE NEL DOMINIO DELLE FREQUENZE
E DEL TEMPO
1. Le sequenze casuali nel dominio del tempo e nel dominio
delle frequenze
Storicamente lo studio delle reti lineari e la trattazione dei segnali nascono assai prima dello
studio del rumore elettrico, la cui esistenza `e stata proprio scoperta duranti i progressi tecnologici
associati al trattamento e amplicazione dei segnali nelle reti elettriche ed elettroniche.
Il fatto che il rumore elettrico sia stato osservato in questo contesto ha portato come conseguenza
naturale il tentativo per altro condotto con successo di inquadrare anche questi processi nello
schema matematico del trattamento dei segnali, molto spesso sostanzialmente periodici, per i quali
lapproccio nel dominio delle frequenze (serie e trasformate di Fourier) si era dimostrato partico-
larmente utile. Pertanto nel seguito faremo vedere come la caratterizzazione dei processi a caso
stazionari, ovvero in pratica la determinazione delle medie temporali delle sequenze che trovereb-
bero la naturale collocazione di calcolo proprio nel dominio del tempo, avvenga ancora oggi molto
spesso, se non sempre, nel dominio trasformato delle frequenze. Nei paragra seguenti faremo anche
vedere come sia possibile passare dalla rappresentazione degli eetti in un dominio a quella nellaltro.
Prima di procedere col formalismo necessario, si vuole solo anticipare che in qualche caso partico-
larmente chiaro e istruttivo aronteremo il problema della determinazione delle medie di insieme
nel dominio del tempo e ci accorgeremo che pur complicandosi talvolta i procedimenti di calcolo
potremo sfruttare molto direttamente la modellizzazione sica del processo.
2. Lintervallo di quasi-periodicit`a
Consideriamo una sequenza a caso f(t), denita su un intervallo T/2, T/2; ammettiamo
anche che f) = 0 e che pertanto la media temporale del modulo quadro (o del quadrato, visto che
consideriamo sequenze reali) coincida con la varianza. Abbiamo allora:
f
2
) = lim
T
1
T
_
+T/2
T/2
f
2
(t) dt (III.1)
Lintervallo T/2, T/2 `e detto intervallo di quasi-periodicit`a della sequenza; lorigine di questo nome
va ricercata nel fatto che, come abbiamo detto nel primo paragrafo, i fenomeni aleatori vengono
spesso riportati nel dominio delle frequenze mediante o uno sviluppo in serie o una trasformata
di Fourier della sequenza. Nel caso che si voglia utilizzare lo sviluppo in serie per applicarlo alla
sequenza f(t) occorre trasformare la sequenza che di periodico non ha proprio nulla, in un segnale
14 [Cap. III, 3]
periodico: per far ci`o si assume allora che la sequenza da sviluppare in serie di Fourier sia costituita
da innite sequenze f(t) denite in un intervallo T/2, T/2, tutte repliche conformi di quella
base eettivamente osservata e spostate di multipli interi del periodo T (a destra e sinistra di quella
base). Lo sviluppo in serie `e ora possibile e larmonica fondamentale ha pulsazione pari a 2/T. Il
fatto che lintervallo di quasi-periodicit`a sia nito porta ovviamente un limite alla minima frequenza
identicabile nel processo in studio (1/T); si tratta quindi di un limite reale ma concettualmente
superabile, imposto dalla durata temporale del campionamento eettuato. Il limite si pu`o ampliare,
ovvero le frequenze pi` u basse si possono studiare, semplicemente estendendo la durata della sequenza
per un intervallo di tempo T

> T.
Di norma, per passare dal dominio dove `e stata registrata la sequenza, cio`e il tempo, a quello delle
frequenze si preferisce impiegare la trasformata di Fourier ed allora non occorre che la funzione da
trasformare sia periodica; in questo caso, data una certa sequenza f(t), denita fra T/2 e T/2,
si associa ad essa una sequenza f
e
(t) denita fra e +, identica alla f(t) nellintervallo
T/2, T/2 e 0 altrove. La f
e
(t) `e quindi denita su un supporto compatto ampio T. Nel
seguito seguiremo sempre questo approccio, comunque continuando a chiamare lintervallo T/2,
T/2 intervallo di quasi-periodicit`a, mutuando la specicazione corretta nel caso dellutilizzo della
serie.
3. Varianza di una sequenza e densit`a spettrale di rumore
Applichiamo la denizione 1) di varianza di una sequenza reale f(t), con f) = 0:
f
2
) = lim
T
1
T
_
+T/2
T/2
f
2
(t) dt (III.2)
Utilizzando la sequenza estesa f
e
(t) possiamo scrivere:
f
2
) = lim
T
_
+

f
2
e
(t)
T
dt = lim
T
_
+

g
2
(t, T) dt (III.3)
con
g
2
(t, T) =
f
2
e
(t)
T
(III.4)
Concettualmente il calcolo di f
2
) procede cos` : si denisce un intervallo di quasi periodicit`a,
si costruisce la g
2
(t, T) e si calcola lintegrale fra e +. Per fare il limite si estende lintevallo
di quasi-periodicit`a T

> T, ovvero si inglobano altri contributi di f(t) alla periferia dellintervallo


precedente; si ricalcola lintegrale e cos` via. Ammettiamo che il valore di questi integrali converga
ad un valore costante; il valore limite `e quindi la nostra varianza. Se il limite 3) esiste, ci`o signica
che g
2
(t, T), per tutti i valori del parametro T, `e una funzione a quadrato sommabile e pertanto
ammette trasformata di Fourier:
FTg(t, T) = FT
f
e
(t)

T
=
1

T
FTf
e
(T) (III.5)
Ora utilizziamo il Teorema di Parseval che stabilisce lequivalenza fra lintegrale del modulo quadro
di una funzione calcolato nel dominio proprio di denizione e il modulo quadro della sua FT integrato
sul dominio trasformato:
_
+

[S(t)[
2
dt =
_
+

[FTS[
2
d (III.6)
[Cap. III, 3] 15
Applichiamo la 6) al nostro caso:
f
2
) = lim
T
_
+

g
2
(t, T) dt =
= lim
T
_
+

[FTg(t, T)[
2
d =
=
_
+

lim
T
[FTf
e
(t)[
2
T
d
(III.7)
Lo scambio fra il segno di integrazione e di limite `e stato fatto perche le operazioni associate agiscono
su variabili dierenti. La 7) pertanto mostra come un integrale naturalmente calcolato in un certo
dominio (t) possa essere equivalentemente calcolato nel dominio trasformato . Lintegrando nel
dominio della 7), a parte un fattore 2, denisce la densit`a spettrale (di rumore) o spettro di potenza
della sequenza f che si indica usualmente con il simbolo w():
lim
T
[FTf
e
(t)[
2
T
=
w()
2
(III.8)
e pertanto, ricordando che essendo f(t) reale FTf
e
() = FT

f
e
(), possiamo anche scrivere:
f
2
) =
_
+

lim
T
[FTf
e
(t)[
2
T
d =
_
+

w()
2
d =
_
+
0
w() d (III.9)
Normalmente, dora innanzi, si ometter`a il pedice e alla funzione f(t), restando implicitamente inteso
che il metodo corretto per il calcolo della sua trasformata `e quello sopradetto. Abbiamo gi`a detto
del motivo storico per il quale si `e giunti ad esprimere la varianza di una funzione del tempo come
integrale nel dominio delle frequenze. Restano ora da vedere i vantaggi di questo approccio: uno
che sar`a ampiamente illustrato nel seguito `e associato alla semplicit`a con la quale per esempio,
nota che sia la densit`a spettrale di rumore per la tensione fra due terminali di una rete lineare, si
passa alla conoscenza della corrispondente densit`a spettrale di rumore della tensione fra altri due
terminali qualunque della rete. Un altro vantaggio `e operativo: supponendo di disporre (e di fatto
`e possibile disporne) di uno strumento che misura la tensione rms (cio`e uno strumento a vero valore
ecace) in bande spettrali molto strette e con centro banda regolabile nemente (voltmetro selettivo
accordabile), potremo, sfruttando la denizione 9), costruire la varianza della tensione come somma
dei contributi misurati negli intervalli centrati alle varie frequenze, ovvero misurare per punti la
densit`a spettrale di rumore associata alla tensione, in funzione della frequenza. In altri termini, lo
spettro di potenza, nonostante la sua denizione apparentemente assai elaborata, `e una grandezza
accessibile sperimentalmente e in maniera relativamente semplice.
Notiamo ancora che, data una certa sequenza f(t) in un intervallo nito T/2, T/2, la densit`a
spettrale di rumore calcolata tramite la 9) dar`a comunque un risultato aleatorio, nel senso che se
ripetiamo il calcolo su una sequenza successiva otterremo un risultato in genere dierente; il pro-
cedimento al limite esplicitamente riportato nella 9), assicura che per sequenze di durata idealmente
innita le uttuazioni fra i risultati ottenuti per ognuna di esse andrebbero a svanire. Come esempio
di estrazione reale (in realt`a si tratta di simulazione numerica) di uno spettro di potenza riportiamo
nella Fig.1 la densit`a spettrale di rumore della sequenza riportata nella Fig.II.1. Nella parte a)
della gura lasse orizzontale delle frequenze `e lineare, mentre nella parte b) `e logaritmico. La scala
verticale `e logaritmica in entrambi i casi. Si notino le uttuazioni, che, come detto sopra, dipendono
dalla dimensione nita dellintervallo di quasi periodicit`a, che in questo caso era di circa 1.6 10
4
s,
e quindi dal numero nito di punti (uno al secondo) su cui la f(t) `e stata valutata.
16 [Cap. III, 4]
La densit`a spettrale di rumore denita nella 8) normalmente (come nella Fig.1) dipende dalla fre-
quenza; anzi verrebbe fatto di dire che naturalmente debba dipendere dalla frequenza, oltretutto
nel modo giusto tale per cui il suo integrale non abbia a divergere. Un po paradossalmente,
quando studieremo le sorgenti principali di rumore elettrico (Cap.V) troveremo che, a seguito di
alcune schematizzazioni, `e possibile prevedere per queste sorgenti proprio densit`a spettrali indipen-
denti dalla frequenza; tutti questi casi detti puramente casuali o di rumore bianco danno
luogo a varianze delle sequenze che divergono e quindi meritano un esame critico. Tale esame pun-
tualmente mostrer`a che alcune schematizzazioni introdotte apparentemente ragionevoli in realt`a
contengono assurdit`a siche (per esempio durate innitesime per processi sici reali). Non appena
tali semplicazioni siano rimosse, le densit`a spettrali cessano di essere indipendenti dalla frequenza
e tendono viceversa a zero per frequenze al di sopra di un limite nito; le divergenze nelle varianze
scompaiono.
Fig.III.1
[Cap. III, 4] 17
4. Funzione di autocorrelazione e teorema di Wiener-Khinchin
Riprendiamo la denizione II.13 di funzione di autocorrelazione per un processo a caso stazio-
nario:
R() = lim
T
1
T
_
+T/2
T/2
f(t + ) f

(t) dt (III.10)
Esiste una relazione, il cosidetto Teorema di Wiener-Khinchin, che lega la funzione di autocorre-
lazione (una funzione quindi calcolata nel dominio del tempo) alla densit`a spettrale di rumore.
Consideriamo due funzioni h(t) e k(t) che ammettano trasformata di Fourier H() = FTh e
/() = FTk. Costruiamo con h(t) e k(t) il seguente integrale:
I() =
_
+

(t) k(t + ) dt (III.11)


e calcoliamone la FT:
FTI =
_
+

d e
j2
_
+

dt h

(t) k(t + ) =
=
_
+

_
+

d dt e
j2
h

(t) k(t + )
(III.12)
Facendo il cambiamento di variabile t + = , abbiamo:
FTI =
_
+

_
+

d dt e
j2(t)
h

(t) k() =
=
_
+

d e
j2
k()
_
+

dt e
j2t
h

(t)
(III.13)
Si riconosce nel primo integrale la FTk e nel secondo la FT

h; pertanto:
FTI = FTk FT

h (III.14)
Riprendiamo ora la 10) e riscriviamola, introducendo la funzione g(t, T) prima denita (g
2
(t, T) =
f
2
(t)
T
T/2 < t < T/2, g
2
(t, T) = 0 altrove):
R() =
_
+

lim
T
_
g(t + , T) g

(t, T)
_
dt (III.15)
Il risultato 14) applicato alla 15), ponendo h(t) = k(t) = lim
T
g(t, T)

T
, d`a:
FTR() = lim
T
FTg(t, T) FT

g(t, T) = lim
T
[FTf[
2
T
=
w()
2
(III.16)
La 16) ci dice quindi che lo spettro di potenza di una sequenza a caso stazionaria `e pari a 2
volte la FT della funzione di autocorrelazione della medesima sequenza. Tale risultato `e il cosidetto
Teorema di Wiener-Khinchin. Spesso tale teorema si formula usando la trasformata coseno e in
questo caso la relazione diretta e inversa del teorema risultano le seguenti:
a) R() =
_
+
0
w() cos 2 d
b) w() = 4
_
+
0
R() cos 2 d
(III.17)
18 [Cap. III, 4]
Le relazioni 17a) e b) (o le loro equivalenti formulate con la trasformata usuale) sono di fondamentale
importanza perche permettono, nella trattazione del rumore, di passare con una certa agilit`a dal
dominio delle frequenze a quello del tempo e viceversa; consentono in particolare di calcolare, sulla
base della sica del processo esaminato, o la densit`a spettrale di rumore (procedendo nel dominio
delle frequenze) o la funzione di autocorrelazione (nel dominio del tempo) a seconda di quale delle
due rappresentazioni siche del processo sia pi` u adatta a trovare la soluzione. La Fig.2 rappresenta
la funzione di autocorrelazione della sequenza presentata nella Fig.II.1; la R() della Fig.2 `e stata
ottenuta proprio antitrasformando la densit`a spettrale della medesima sequenza, riportata nella
Fig.1. Si noti la simmetria della funzione di autocorrelazione attorno allo zero, come atteso sulla
base della sua denizione e del fatto che la sequenza esaminata `e reale; le uttuazioni presenti sono,
come sopra, dovute alla estensione nita dellintervallo di quasi-periodicit`a, ovvero al numero nito
di punti considerati.
Fig.III.2
Come applicazione elementare dei risultati ora trovati, supponiamo di osservare una sequenza
a caso di un processo stazionario cui sia associata una densit`a spettrale di rumore bianca (w() =
costante, ovvero un caso non particolarmente sico, ma che comunque che scopriremo di interesse);
sappiamo gi`a che la varianza della sequenza presenta allora una divergenza:
f
2
) =
_

0
w d = w
_

0
d (III.18)
La funzione di autocorrelazione, sulla base della relazione 17) a, vale:
R() = w
_

0
cos2 d = w () (III.19)
ovvero essa ha un andamento a centrata sullorigine, valore per il quale presenta la divergenza
attesa sulla base della 18). Vedremo poi, come gi`a anticipato, che nei casi reali la sica giusta
rimuove ogni divergenza di questo tipo.
[Cap. III, 5] 19
5. Sequenze casuali, teorema di Campbell e funzione
di autocorrelazione
Molto spesso, nella ricerca dei meccanismi sici alla base del rumore elettrico, `e facile convincersi
che esso `e prodotto da un certo fenomeno base (per esempio lattraversamento casuale nel tempo di
una barriera di potenziale da parte di un portatore di carica oppure il moto a caso di un elettrone in
un conduttore ohmico dovuto alla temperatura nita) e che leetto macroscopico nale osservato
risulta dalla sovrapposizione di un enorme numero di questi eetti elementari, tutti indipendenti fra
loro e con origini temporali diverse. Con la prospettiva di poter essere in grado di descrivere fra
breve (Cap.V) le origini del rumore elettrico secondo lapproccio sopra delineato, arontiamo ora un
problema che allo stato attuale pare eminentemente matematico, ma che in realt`a `e riconducibile a
problemi sici estremamente concreti.
Sia data una sequenza casuale i
m
(t) costituita da una successione di m impulsi e denita in un
intervallo di quasi-periodicit`a T/2, T/2 molto vasto (vedremo poi rispetto a cosa). Si osservi che,
per la prima volta da quando abbiamo arontato largomento, facciamo una ipotesi precisa su come
`e costituita la sequenza in esame. Le sequenze caratterizzate dal possedere allinterno dellintervallo
di quasi-periodicit`a esattamente m impulsi sono esprimibili nella forma:
i
m
(t) =
m

k=1
f
l
(t t
k
) (III.20)
con t
k
origine del kesimo impulso f
l
(t t
k
). Ammettiamo che per la funzione f
l
siano calcolabili i
seguenti integrali:
_

f
l
(t) dt e
_

f
l
(t)f
l
(t +) dt; inoltre facciamo lipotesi che la durata di ogni
singolo impulso sia comunque molto inferiore rispetto allintervallo di quasi-periodicit`a, ovvero che
gli integrali sopradetti siano calcolabili anche assumendo come estremi quelli dellintervallo di quasi-
periodicit`a. Lindice l sta a ricordare che la forma dellimpulso pu`o non essere sempre la stessa,
anzi ammettiamo esplicitamente che esista una probabilit`a g
l
che limpulso abbia la forma f
l
(t).
Ammettiamo anche che la probabilit`a di ottenere una forma f
l
per un impulso con origine in t
k
, sia
indipendente da t
k
, vale a dire che per ogni impulso, indipendentemente dalla sua origine temporale
t
k
, la distribuzione delle forme sia sempre la stessa. Ammettiamo inoltre che nellintervallo T/2,
T/2 i vari t
k
siano distribuiti uniformemente, ovvero che la densit`a di probabilit`a della variabile
aleatoria t
k
sia costante e pari a 1/T.
Calcoliamo ora, sulla base delle ipotesi introdotte, tre quantit`a medie associate a i
m
(t) e precisa-
mente:
il valor medio di insieme i
m
(t) = i(t)
il valor quadratico medio di insieme i
2
(t)
il valor medio di insieme i(t) i(t + ), in funzione di
Per attuare le medie agiremo con la procedura di media di insieme, calcolando valori di aspet-
tazione: infatti il valor medio della sequenza i(t) sar`a ottenuto mediando su tutte le variabili aleatorie
che costituiscono la sequenza, quindi in particolare le forme degli impulsi, listante di tempo in cui
sono generati e il numero di impulsi osservati nellintervallo di quasi periodicit`a.
Considereremo innanzitutto fra le innite sequenze di impulsi allinterno di un intervallo di durata
T/2, T/2 quelle caratterizzate da presentare un numero m di impulsi, cio`e
i
m
(t) =
m

k=1
f
l
(t t
k
) (III.21)
20 [Cap. III, 5]
Per prima cosa medieremo la 21) sulle forme e otterremo una sequenza i
mf
, dove lindice f sta a
ricordare la media sulle forme (`e il primo passo della media di insieme). Successivamente medieremo
sulla distribuzione di t
k
, calcolando Ei
mf
(t) =

i
mf
(t) =
_
+T/2
T/2
i
mf
(t)
dt
1
T
dt
2
T
...
dt
m
T
; il simbolo
lo abbiamo riservato per indicare questo tipo di media. Finalmente medieremo su m, ovvero conside-
reremo tutte le altre sequenze possibili, cio`e quelle che nel medesimo intervallo di tempo T/2, T/2
presentano numeri di impulsi dierenti; la probabilit`a associata a questa variabile aleatoria discreta
che conta il numero di impulsi in un determinato intervallo di tempo sar`a ovviamente quella di
Poisson. Per questultima operazione di media di insieme, che determina il numero medio di impulsi
per unit`a di tempo, abbiamo riservato un simbolo ad hoc, ovvero . Va tuttavia precisato che di
fatto le tre operazioni di media costituiscono nel complesso la media di insieme della sequenza base di
durata fra T/2 e T/2 ; quindi propriamente lunico simbolo da utilizzare sarebbe la sovralineatura
che abbiamo introdotto allo scopo nel Cap.II e che infatti riportiamo sul risultato nale, omettendo
gli altri simboli. Notiamo inne che essendo il processo in esame manifestamente stazionario, tali
medie garantiscono lo stesso risultato che otterremmo facendo la media temporale.
Procediamo quindi mediando la 21) sulle forme:
i
mf
(t) =
F

l=1
m

k=1
g
l
f
l
(t t
k
) =
m

k=1
f
f
(t t
k
) (III.22)
ovvero la media sulle forme si limita a dare nella sommatoria una risposta impulsiva media f
f
(t) =

forme
g
l
f
l
(t), essendo tale distribuzione di forme totalmente indipendente dal tempo di origine
degli impulsi e dal loro numero entro lintervallo considerato.
Mediando la 22) su t
k
(densit`a di probabilit`a 1/T) abbiamo:

i
mf
=
_
+T/2
T/2
dt
1
T
_
+T/2
T/2
dt
2
T
...
_
+T/2
T/2
dt
m
T
m

k=1
f
f
(t t
k
) =
=
m

k=1
1
T
_
+T/2
T/2
f
f
(t t
k
) dt
k
=
1
T
m

k=1
_
T/2+t
T/2+t
f
f
(
k
) d
k
=
=
1
T
m

k=1
_
+T/2+t
T/2+t
f
f
(
k
) d
k
(III.23)
Nel calcolo precedente abbiamo fatto il cambiamento di variabile t t
k
=
k
. Lultimo integrale,
avendo ipotizzato che la durata degli impulsi elementari fosse molto minore comunque dellintervallo
di quasi-periodicit`a, risulta indipendente da k e da t e vale:
F
f
=
_
+T/2+t
T/2+t
f
f
(
k
) d
k

_

f
f
() d (III.24)
La sommatoria nella 23) pu`o allora essere rimossa e sostituita con un fattore moltiplicativo pari a
m:

i
mf
= F
f

m
T
(III.25)
Teniamo ora conto del fatto che, pur ssato T, il numero di impulsi entro T pu`o uttuare. Di questo
possiamo immediatamente tener conto sostituendo nella 25) m
T
al posto di m, ovvero il numero
medio di impulsi nel tempo T:

i
f
= F
f

m
T
T
(III.26)
[Cap. III, 5] 21
Nella 26) il rapporto
m
T
T
= rappresenta il numero medio di impulsi per unit`a di tempo; otteniamo
cos` :
i(t) =

i(t) = F
f
(III.27)
indipendente da t, con F
f
=
_

f
f
() d area dellimpulso mediato sulle forme, denito nella 24).
Non sar`a inutile rimarcare lindipendenza della 27) dal tempo, coerente con la stazionariet`a del
fenomeno.
Nella Fig.3 la curva a tratto spesso rappresenta un esempio di sequenza e la linea punteggiata il
valor medio della sequenza; nella gura compaiono a tratto sottile anche gli impulsi costituenti la
sequenza, nella ipotesi che tutti abbiano la stessa forma e che il ritmo medio sia abbastanza basso
da poterli chiaramente individuare.
Fig.III.3
Usando lo stesso procedimento possiamo calcolare il valore quadratico medio della medesima
sequenza i
2
(t). Sulla base della 21) possiamo scrivere:
i
2
m
(t) =
m

k=1
f
l
(t t
k
)
m

j=1
f
s
(t t
j
) =
m

k=1
f
2
l
(t t
k
) +
m

k=j
f
l
(t t
k
)f
s
(t t
j
) (III.28)
dove i diversi indici l ed s stanno a ricordare che per k ,= j in genere gli impulsi hanno forme diverse.
Mediando sulle forme otteniamo (g
ls
= g
l
g
s
poiche i due eventi sono indipendenti):
i
2
mf
=
m

k=1
(f
2
)
f
(t t
k
) +
m

k=j
f
f
(t t
k
) f
f
(t t
j
) (III.29)
con (f
2
)
f
(t t
k
) =

F
l=1
g
l
f
2
l
(t t
k
) e f
f
(t t
k
) come denita nella 22).
22 [Cap. III, 5]
Mediamo ora la 29) sui tempi t
k
:

i
2
mf
(t) =
m

k=1
_
T/2
T/2
(f
2
)
f
(t t
k
)
dt
k
T
+
m

k=j
_
T/2
T/2
f
f
(t t
k
) f
f
(t t
j
)
dt
k
T
dt
j
T
=
=
1
T
m

k=1
_
T/2+t
T/2+t
(f
2
)
f
(
k
) d
k
+
1
T
2
m

k=j
_
T/2+t
T/2+t
d
k
f
f
(
k
)

_
T/2+t
T/2+t
d
j
f
f
(
j
) =
m
T
(F
2
)
f
+
m(m1)
T
2
(F
f
)
2
(III.30)
dove
(F
2
)
f
=
_
T/2
T/2
(f
2
)
f
() d
_

(f
2
)
f
() d (III.31)
e F
f
`e data dalla 24).
Loperazione di media su m d`a:

i
2
f
(t) = (F
2
)
f

m
T
T
+ (F
f
)
2

m
2
T
m
T
T
2
(III.32)
In generale, per qualunque variabile aleatoria vale:
Em
2
=
2
(m) + (Em)
2
(III.33)
ed essendo m una variabile aleatoria poissoniana, abbiamo

m
2
= m + m
2
e pertanto dalla 32)
otteniamo:
i
2
(t) =

i
2
f
(t) = (F
2
)
f
+ (F
f
)
2

m
2
T
2
= (F
2
)
f
+ (F
f
)
2

2
(III.34)
Dalla 34) possiamo ottenere per la varianza:

2
(i(t)) =

i
2
(t) (

i(t))
2
= (F
2
)
f
(III.35)
La 27) e la 35), che costituiscono il cosidetto Teorema di Campbell, danno il valor medio e la varianza
di una sequenza casuale costituita da una successione di impulsi elementari. Questo risultato fu
ottenuto da Campbell studiando le risposte di un galvanometro ad una eccitazione costituita da una
successione di impulsi.
In realt`a il teorema di Campbell `e formulato per un caso pi` u semplice di quello che abbiamo trattato,
ovvero quello in cui tutti gli impulsi siano uguali. In questa ipotesi, esprimendo il singolo impulso
come f(t) = q (t) con
_

() d = 1, abbiamo:
a) i(t) = q
b)
2
(i) = q
2

2
(III.36)
con
2
=
_


2
() d.
Ci sar`a utile nel seguito calcolare anche la funzione di autocorrelazione per la sequenza i(t), ovvero:
R() =

i(t) i(t + ) (III.37)


Lutilit`a consiste nel fatto che, se riusciamo nellintento, abbiamo trovato un metodo che, basandosi
sulla sica del processo nel dominio del tempo (gli impulsi elementari) ci permette anche di accedere
[Cap. III, 5] 23
alle propriet`a della sequenza nel dominio delle frequenze. Infatti, usando la relazione 17 b), potremo
passare alla densit`a spettrale di rumore. Prima di svolgere anche questo calcolo, si noti che a voler
essere precisi non calcoleremo la funzione di autocorrelazione (che propriamente avviene come
media temporale), ma piuttosto valuteremo la cosidetta sequenza di autocorrelazione denita dalla
I.5 come media di insieme; comunque nel seguito non faremo tale distinzione, visto che luguaglianza
del risultato ci `e garantita dalla stazionariet`a del fenomeno.
Procedendo in maniera simile a prima si trova:
i
m
(t) i
m
(t + ) =
m

k=1
f
l
(t t
k
)
m

j=1
f
s
(t t
j
+ ) =
=
m

k=1
f
l
(t t
k
) f
l
(t t
k
+ ) +
m

k=j
f
l
(t t
k
) f
s
(t t
j
+ )
(III.38)
Mediando la 38) sulle forme otteniamo:
i
mf
(t) i
mf
(t + ) =
m

k=1

(t, t
k
, ) +
m

k=j
f
f
(t t
k
) f
f
(t t
k
+ ) (III.39)
con

(t, t
k
, ) =

F
l=1
g
l
f
l
(t t
k
)f
l
(t t
k
+ ).
Mediando poi la 39) sui tempi t
k
:

i
mf
(t) i
mf
(t + ) =
1
T
m

k=1
_
+T/2
T/2
dt
k

(t, t
k
, )+
+
1
T
2
m

k=j
_
T/2
T/2
dt
k
_
T/2
T/2
dt
j
f
f
(t t
k
) f
f
(t t
j
+ ) =
=
1
T
m

k=1
_
+T/2+t
T/2+t

(
k
, 0, ) d
k
+
1
T
2
m

k=j
_
T/2+t
T/2+t
dt
k
f
f
(
k
)

_
T/2+t
T/2+t
dt
j
f
f
(
j
+ ) =


m
T
+ (F
f
)
2

m(m1)
T
2
(III.40)
con

=
_
T/2+t
T/2+t

(, 0, ) d
_

(, 0, ) d =
F

l=1
g
l
_

f
l
()f
l
( + ) d (III.41)
e F
f
denita dalla 24).
Passando nalmente alla media su m otteniamo:
i(t) i(t + ) =

i(t) i(t + ) =

+ (F
f
)
2

2
(III.42)
Si rimarca che la stazionariet`a del fenomeno si riette nella dipendenza della 42) dalla dierenza di
tempo (esplicitamente presente nella 41)).
Come esempio di applicazione della 42), consideriamo il caso in cui tutti gli impulsi siano identici
fra loro ed esprimibili come q (t t
k
), ovvero di Dirac centrate a t
k
, con area q. In questo caso
abbiamo per la funzione di autocorrelazione complessiva:
R() = i(t) i(t + ) =

i(t) i(t + ) = q
2
() + q
2

2
(III.43)
24 [Cap. III, 6]
poiche

=
_

()( + ) d = ().
Un approccio simile a quello qui seguito per trovare la relazione che lega la varianza e la funzione
di correlazione alla forma dellimpulso elementare della sequenza nel dominio del tempo pu`o essere
seguito per esprimere la densit`a spettrale di rumore della sequenza in funzione della FT dellimpulso
base FTf
l
(t t
k
) che compare nella 20). Il procedimento di calcolo, nel dominio delle frequenze,
segue la falsariga del ragionamento che ci ha precedentemente guidato ed approda (in maniera
leggermente pi` u semplice rispetto a quella da noi seguita) alla seguente soluzione per la densit`a
spettrale della sequenza complessiva w():
w() = 2[FTf
f
(t)[
2

_
+
2
()
_
(III.44)
Si noti che se la f
f
(t) `e a media nulla, allora anche la FTf
f
(t) calcolata per = 0 `e nulla,
misurando essa proprio larea delle f
f
(t); pertanto, in questa situazione, il secondo termine della 44)
diventa ininuente non appena che si calcolino le varianze, integrando nel dominio della frequenza.
Nel seguito (principalmente nel Cap.V) faremo uso dei risultati estratti nel dominio del tempo, anche
se nei testi classici sullargomento `e preferito laltro approccio sintetizzato nel risultato 44).
6. Il teorema di Campbell e i sistemi con risposta indipendente e
dipendente dal tempo
Per i sistemi lineari con risposta indipendente dal tempo il Teorema di Campbell consente
di risolvere nel dominio del tempo tutti quei problemi riguardanti il calcolo del rumore in cui la
risoluzione nel dominio delle frequenze `e pure possibile. Quando faremo (Cap. VII) un esempio
di calcolo dettagliato di rumore su un caso di interesse per misure di sica, mostreremo proprio
come la determinazione del rapporto segnale/rumore si possa fare nei due domini, indierentemente.
Anche alla luce dellesempio che faremo nel seguito, `e inoltre opportuna la seguente considerazione:
nella nostra denizione di sequenza costituita dalla successione di impulsi elementari, non abbiamo
imposto alcuna ipotesi restrittiva sul ramo della rete che stavamo considerando. Ci siamo solamente
limitati ad aermare che la sequenza fosse costituita da impulsi. Questo implica che se consideriamo
una rete lineare (con risposta invariante nel tempo o no), e applichiamo il teorema di Campbell per
un ramo dove si osserva una sequenza casuale di impulsi, possiamo applicare il teorema (mutatis
mutandis) in qualunque altro ramo della rete. Infatti se in un certo ramo (parliamo di corrente,
ma il caso `e banalmente estendibile alle tensioni) si osserva il generarsi di un impulso elementare
sappiamo che in un altro ramo qualunque si sviluppa corrispondentemente un altro impulso che
sappiamo calcolare sulla base delle conclusioni del Cap.I. Pertanto ad una successione di impulsi
in un ramo corrisponde una successione di impulsi (generalmente diversi, ma calcolabili) in un
altro qualunque ramo della rete. Coerentemente con i risultati ottenuti nel paragrafo precedente,
sappiamo che per calcolare la funzione di autocorrelazione della sequenza `e suciente conoscere il
dettaglio della forma dellimpulso e i ritmi medi di arrivo di questi; allora il teorema di Campbell pu`o
essere applicato a tutti i rami della rete, perche il ritmo degli impulsi `e ovviamente lo stesso in tutti
rami, se lorigine degli impulsi `e unica, e le forme degli impulsi elementari sono tutti calcolabili, nota
che ne sia la forma in un ramo qualsiasi. Se per esempio la rete ha risposta invariante nel tempo
e limpulso elementare in un ramo che chiamiamo di ingresso `e una , allora nel ramo generico la
forma dellimpulso corrispondente `e data dalla funzione di risposta caratteristica di questo ramo,
[Cap. III, 6] 25
rispetto a quello di ingresso.
E semplice comprendere cosa cambia se la risposta del sistema non `e invariante nel tempo: infatti,
per i sistemi lineari con risposta non indipendente dal tempo, la risposta del sistema ad una ecci-
tazione a `e esprimibile con una funzione r(t, ) e non come r(t ) (si veda il 1 del Cap.I). In
questi casi il teorema di Campbell risulta particolarmente utile, perche una volta trovata la r(t, )
(operazione che pu`o essere niente aatto semplice) e la risposta allimpulso in ingresso nel ramo di
interesse:
R(t) =
_

S() r(t, ) d (III.45)


potremo sfruttare le conclusioni del nostro teorema per calcolare il valore medio di R(t) e la sua
varianza; operazione che in questo caso ci sarebbe preclusa nel dominio delle frequenze, in quanto il
formalismo delle traformate di Fourier non `e ora utizzabile.
Inne, anche non rimanga la curiosit`a insoddisfatta di conoscere almeno un esempio di sistema li-
neare con risposta non temporalmente invariante, citiamo lintegratore a tempo, ovvero un dispositivo
che, a seguito dellarrivo di un certo segnale, ne compie lintegrale denito, usando come estremo
inferiore listante di arrivo del segnale t
0
e come estremo superiore t
0
+ T, con T caratteristico del
dispositivo. Strumenti di questo tipo trovano eettivamente impiego nel trattamento dei segnali. La
valutazione del rumore in questi dispositivi, per le ragioni sopra dette, deve avvenire per forza nel
dominio del tempo.
G.Poggi: Appunti sul rumore elettrico; Cap.III
Firenze, 20 novembre 2007
Universit`a degli Studi di Firenze, Dipartimento di Fisica
Anno Accademico 2002-2003
IV
LE DENSIT
`
A SPETTRALI E
LA LORO MISURA
1. Densit`a spettrali di rumore in ingresso e uscita di una rete lineare
Supponiamo di disporre di un generatore reale di tensione, caratterizzato da una v
in
(t) generica
e da una impedenza interna Z
s
. Sia la v
in
(t) una sequenza casuale, quindi propriamente da indicare
come {v
in
i
} denita come al solito in un intervallo di quasi-periodicit` a T/2, T/2. Allora la sua
densit`a spettrale di rumore `e data da:
w
in
v
= 2 lim
T
|FT{v
in
}|
2
T
(IV.1)
Se ora ci chiediamo qual `e leetto che tale generatore provoca in termini di tensione v
out
(t) ai capi
di altri due terminali della rete, ammessa avere una risposta invariante nel tempo, troviamo subito
sulla base della I.6:
v
out
(t) = FT
1
{FT{v
in
} A()} (IV.2)
dove la A() rappresenta la funzione di trasferimento in tensione fra i terminali di ingresso considerati
(dove si trova il generatore) e quelli di uscita. La A() dipender` a, fra laltro, anche dalla impedenza
interna Z
s
del generatore.
Il risultato I.6 ci permette anche di valutare la densit` a spettrale di rumore w
out
v
() associata alla
tensione di uscita v
out
(t). Infatti:
w
out
v
= 2 lim
T
|FT{v
out
}|
2
T
= 2 lim
T
|FT{v
in
} A|
2
T
= 2 |A|
2
lim
T
|FT{v
in
}|
2
T
= |A|
2
w
in
v
(IV.3)
Si trova pertanto che la densit`a spettrale di rumore della tensione ai terminali di uscita `e uguale
alla densit`a spettrale di rumore in ingresso moltiplicata per il modulo quadro della funzione di
trasferimento rispetto ai terminali di uscita e di ingresso considerati.
La ricetta 3) `e immediatamente estendibile al caso in cui leccitazione in ingresso sia costituita, invece
che da una tensione, da una sequenza a caso di corrente i
in
(t). Occorre semplicemente considerare il
generatore reale di corrente associato e calcolare la funzione di trasferimento fra il ramo di ingresso
e la tensione di uscita. In questo caso la funzione di trasferimento non `e un numero puro come
prima, ma ha le dimensioni di una impedenza. La soluzione per gli altri casi (corrente-corrente e
tensione-corrente) `e ottenibile, estendendo le conclusioni precedenti, in maniera banale.
La formula 3) `e di importanza basilare nella risoluzione dei problemi di valutazione del rumore
elettrico nelle reti lineari. Infatti nel prossimo capitolo troveremo che le sorgenti siche fondamentali
del rumore elettrico sono sempre schematizzabili con ottima approssimazione con dei generatori reali
(di corrente o tensione), ubicati in punti facilmente identicabili nella rete. Una volta determinate
28 [Cap. IV, 1]
queste sorgenti e nota la loro densit`a spettrale di rumore, mediante la 3) `e possibile calcolare la
densit`a spettrale di rumore (in tensione o corrente) fra qualunque coppia di terminali o in qualunque
ramo (rispettivamente) della rete in studio.
Facciamo qualche esempio elementare, cominciando da un generatore reale di tensione (densit` a
spettrale di rumore w
in
v
, resistenza secondo Thevenin R) chiuso su una capacit`a C (Fig.1; si veda
anche la Fig.I.5):
C
R
w
out
in
v
w
v
Fig.IV.1
|A()|
2
= |
1
1 +j2RC
|
2
=
1
1 + 4
2

2
R
2
C
2
(IV.4)
w
out
v
= |A|
2
w
in
v
=
w
in
v
1 + 4
2

2
R
2
C
2
(IV.5)
Un altro esempio: generatore reale di corrente i(t) (densit` a spettrale di rumore w
in
i
, resistenza
secondo Norton R), chiuso su una capacit`a C (Fig.2):
C
w
in
i
w
v
out

i(t) R
Fig.IV.2
Troviamo innanzitutto la relazione che lega la tensione complessa in uscita con la corrente
complessa del generatore I in entrata:
V
out
= I
1
1/R +j2C
= I
R
1 +j2RC
(IV.6)
Pertanto in questo caso abbiamo:
A() =
R
1 +j2RC
(IV.7)
|A()|
2
=
R
2
1 + 4
2

2
R
2
C
2
(IV.8)
[Cap. IV, 2] 29
per cui la densit` a spettrale di rumore in tensione fra i teminali di uscita vale:
w
out
v
= w
in
i
R
2
1 + 4
2

2
R
2
C
2
(IV.9)
Se ci sono pi` u generatori casuali presenti nella rete e pensiamo che siano tutti fra loro indipendenti,
possiamo applicare il principio di sovrapposizione e considerare leetto di ognuno di essi separata-
mente. Le densit` a spettrali si sommano e ci`o equivale alla ben nota regola per le variabili aleatorie
indipendenti: la variabile aleatoria somma di variabili aleatorie ha varianza pari alla somma delle
varianze delle variabili di partenza.
2. Densit`a spettrale di una f(t) non completamente aleatoria
Nei casi reali in cui si voglia studiare il rumore in una rete lineare, nella rete in questione
diciamo un circuito elettronico di amplicazione e misura agisce comunque anche un generatore di
segnale non casuale S(t) (linteresse nei confronti del rumore nasce proprio perche siamo interessati
al segnale!). Pertanto, a meno di non sopprimere il segnale, normalmente luscita della rete che
stiamo esaminando presenta una tensione di uscita U(t) che consiste di una parte U
s
(t), ovvero la
risposta del sistema al segnale S(t), data da:
FT{U
s
} = FT{S} A
s
() (IV.10)
con A
s
() funzione di trasferimento fra i terminali dove `e applicato il segnale e quelli di uscita e di
una parte U
n
(t) a carattere aleatorio, dovuta alle varie sorgenti di rumore sparse nel circuito:
U(t) = U
s
(t) +U
n
(t) (IV.11)
Nonostante che nei capitoli precedenti ci si sia principalmente soermati sul calcolo dello spettro
di potenza di rumore, in realt`a la densit`a spettrale `e denibile anche per un segnale periodico U
s
(t)
con periodo T
s
=
1

s
, con
s
frequenza fondamentale ed anche in questo caso si pu` o utilizzare la
denizione III.8 di spettro di potenza*. La densit` a spettrale della tensione di uscita conterr`a pertanto
entrambi i contributi; nel caso di segnale periodico con frequenza fondamentale
s
la densit` a spettrale
presenter`a oltre allandamento determinato dalla parte aleatoria (quello a cui siamo interessati per
la determinazione del rumore; un andamento che a parte le uttuazioni sar`a regolare) dei picchi in
corripondenza a
s
e alle sue eventuali armoniche superiori.
Non sempre la presenza di uno o pi` u picchi nello spettro di potenza di una tensione `e associata ad
un segnale deliberatamente introdotto: pu` o anche derivare da un accoppiamento indesiderato con
qualche generatore periodico esterno al circuito (tipico laccoppiamento induttivo o capacitivo con
la rete di distribuzione dellenergia elettrica, riconoscibile per la presenza di un picco a 50 Hz o
armoniche superiori) o ad un eetto antenna del nostro circuito che capta onde elettromagnetiche
di trasmissioni via etere o alla presenza di auto-oscillazioni spurie allinterno del circuito, dovute
spesso a componenti attivi non perfettamente messi a punto.
* Per un segnale che non sia periodico ed abbia estensione nita lo spettro di potenza assume un
valore nullo al tendere di T allinnito e quindi il caso `e normalmente di scarso interesse.
30 [Cap. IV, 3]
In questi casi, nello spettro di potenza misurato si fa distinzione a parte il segnale propriamente
detto fra rumore e disturbo. Col termine rumore si indica propriamente la parte aleatoria dovuta
a fenomeni sici in buona misura ineliminabili e comunque riconducibili a sorgenti casuali (che
discuteremo nel prossimo capitolo); col termine disturbo ci si riferisce propriamente alle altre fonti
sistematiche (del tipo prima detto) di contributi allo spettro di potenza, almeno teoricamente eli-
minabili una volta identicate. Va da se che nella pratica la eliminazione, ma anche solo la riduzione,
dei disturbi pu` o essere una operazione complicata e talvolta estenuante, come spesso accade per gli
eetti sistematici.
3. Misura di densit` a spettrale tramite analizzatori di spettro
La determinazione sperimentale dello spettro di potenza si eettua normalmente con apparecchi
(i cosidetti analizzatori di spettro) che si collegano ai terminali di interesse. In prima approssimazione
possiamo considerare lo strumento come un voltmetro ideale (impedenza di ingresso innita), in
grado di rappresentare su uno schermo lo spettro di potenza in esame. Per frequenze elevate (di-
ciamo maggiori di 1 10 GHz) si utilizzano (come accennato nel Cap.II, 3) voltmetri selettivi
accordabili; per frequenze relativamente basse al giorno doggi molti di questi strumenti si basano
sul campionare la sequenza di interesse (un numero nito di punti) per un tempo corrispondente
allintervallo di quasi-periodicit` a, calcolare la FT della sequenza e poi desumere da questa lo spettro
di potenza. Il limite per T `e fatto semplicemente espandendo lintervallo di quasi-periodicit` a
per un tempo opportunamente lungo (impostabile dallutente). Spesso il calcolo della trasformata
`e eettuato applicando la cosidetta Trasformata di Fourier Discreta (DFT) sullinsieme dei punti
campionati, usando algoritmi particolarmente ecienti, come la cosidetta FFT, Fast Fourier Trans-
form. Il campo delle frequenze presentate sullo schermo dipende dalla durata della osservazione per
quanto riguarda il limite inferiore; per il limite superiore tutto dipende dalla velocit`a di campiona-
mento, ovvero dallintervallo t fra un campionamento e laltro; precisamente la massima frequenza
rappresentata correttamente dallAnalizzatore di spettro la cosidetta frequenza di Nyquist `e pari
a 1/(2 t) (si veda il cosidetto teorema del campionamento). Abbiamo gi`a detto (3 del Cap.II)
che comunque la estensione temporale della misura deve essere assai maggiore del tempo proprio di
risposta del sistema, quello per cui la funzione di autocorrelazione della sequenza `e signicativamente
diversa da zero.
Si ricordi che nel collegare luscita di un qualunque circuito elettrico con lingresso di un altro (ad
esempio uno strumento di misura) le impedenze di uscita delluno con quelle di ingresso dellaltro
inuenzano landamento dello spettro di potenza osservato. In generale la congurazione di misura `e
sempre riconducibile ad uno schema del tipo riportato nella Fig.3, dove si `e assunto che il generatore
di segnale sia inevitabilmente accompagnato da un generatore di rumore ad esso in serie (`e una
schematizzazione sempre possibile) e che esistano allinterno della rete altri generatori di rumore.
Per tutti i generatori di segnale e di rumore, nonche per il generatore di uscita e per il misuratore,
sono riportate le impedenze interne. Se vogliamo determinare la densit`a spettrale di rumore fra i
terminali di uscita, si dovr` a tenere conto, secondo quanto visto nel primo paragrafo, della impe-
denza di uscita Z
out
e di quella di ingresso Z
im
che lo strumento presenta fra i suoi terminali di
misura; normalmente essa `e sucientemente elevata rispetto a Z
out
da poterne trascurare leetto;
se non `e questo il caso, lo spettro di potenza eettivamente misurato dallo strumento sar`a dato da
una espressione del tipo della formula 3) che tenga esplicitamente conto della impedenza secondo
[Cap. IV, 4] 31
Thevenin Z
out
del generatore equivalente di tensione V
out
che vogliamo misurare e dellimpedenza
di ingresso dello strumento.
Rete lineare
V
s
V
n
Z
sn
Z
rsn
Z
ni
V
ni
Z
rni
V
out
Z
out
Z
im
Sorgente di segnale
+ rumore
Altre sorgenti di rumore
Misura
Strumento di misura
Fig.IV.3
Ricordando poi le considerazioni svolte sulla inevitabile aleatoriet`a di ogni determinazione speri-
mentale di spettri potenza, non ci stupiremo del fatto che gli spettri che lo strumento mostrer`a in
successione sullo schermo dopo ogni campionamento e analisi, non saranno identici fra loro; al pi` u,
per avere una presentazione di un andamento pi` u regolare, potremmo richiedere allo strumento, se
dotato di questa opzione, di compiere frequenza per frequenza la media fra le successive determi-
nazioni in modo da minimizzare le uttuazioni osservate.
Nella Fig.4 `e proprio rappresentato un tipico risultato per uno spettro di potenza, con tutte le
uttuazioni dovute alla breve durata della misura. Lo spettro di potenza si riferisce alla densit` a
spettrale di rumore alluscita di un preamplicatore di carica (si veda il Cap.VII). Si noti la scala
verticale logaritmica, necessaria per mostrare con un suciente dettaglio la grande variet` a di valori
dello spettro di potenza.
32 [Cap. IV, 5]
Fig.IV.4
4. Misura di rumore integrata sulla banda passante
Qualora non si sia interessati allo spettro di potenza, ma si voglia solo conoscere la varianza
totale della tensione di rumore, si pu` o utilizzare semplicemente un voltmetro a vero valore ecace. Il
quadrato della tensione V
rms
misurata d` a la somma del quadrato del valor medio della tensione pi` u
la sua varianza. Una misura di rumore cos` condotta, oltre ad imporre la determinazione accurata del
valor medio (tanto pi` u accurata tanto pi` u esso `e grande), ha comunque un limite, legato proprio al
fatto che essa d`a un valore del rumore integrato sulla banda passante dello strumento. Precisamente,
supponendo pure che lo strumento abbia una impedenza di ingresso Z
im
di cui si possa tenere conto
come detto alla ne del paragrafo precedente, comunque esso non sar`a mai ugualmente sensibile a
tutte le frequenze in ingresso e la V
rms
misurata rappresenta un valore di rumore integrato su una
gamma limitata (spesso sia inferiormente che superiormente) di frequenze, sulla quale il costruttore
ci dovr` a informare. Raramente la banda `e denita in maniera brusca e il prolo con cui essa va a
zero deve pure essere conosciuto e fornito dal costruttore; normalmente, a parte il prolo, il valore
di banda riportato si riferisce alle frequenze di 3 dB.
5. Un metodo per la misura della varianza di rumore nelle
classicazioni di ampiezza
Supponiamo che alluscita di un circuito elettronico di misura (ipoteticamente, per ora, esente
da rumore) si presentino segnali della forma rappresentata nella Fig.5
Fig.IV.5
Tali segnali nei casi di interesse sico che saranno descritti nel seguito, si presentano a caso nel
tempo e di essi deve essere misurato il valore del massimo. Per far questo un ADC collegato alla
uscita del circuito, dopo aver rivelato, tramite un circuito di trigger a soglia, larrivo di un segnale,
attiva un circuito di Sample and hold che compie una operazione di prolungamento del valore del
massimo (stretching) e poi converte tale valore.
[Cap. IV, 5] 33
Se le ampiezze dei segnali sono tutte identiche, ogni segnale d`a luogo, alluscita dellADC, allo
stesso codice numerico. Facendo quindi un istogramma delle conversioni, ovvero una classicazione
delle ampiezze, otteniamo laddensamento di tutte le ampiezze in un unico canale (lo stesso codice
numerico) dellistogramma. Cosa accade ora se alluscita del circuito `e presente anche il rumore
elettrico? E possibile misurare la varianza di questo rumore? Visivamente, osservando con un o-
scillografo luscita del circuito, percepiremo la presenza del rumore come una increspatura del tipo
mostrata in Fig.6:
Fig.IV.6
Landamento del rumore presentato nella Fig.6 `e realistico e rappresenta proprio quello che si osserva
in casi reali che studieremo in dettaglio nel Cap.VII. Si noti, in particolare, che le variazioni in fun-
zione del tempo del rumore si svolgono su tempi che sono confrontabili con quelli di raggiungimento
del massimo del segnale. Il sistema di conversione, che per semplicit`a continuiamo a considerare
esente da disturbi e da rumore proprio, compir`a sul segnale aetto dal rumore la stessa operazione
di Sample and hold e di conversione vista prima e convertir` a il massimo, il cui valore `e ora inuenzato
dalla presenza del rumore. In particolare il massimo (il primo massimo che il circuito di Sample and
hold individua dopo il trigger) non sar`a quello esatto senza rumore, ma subir` a di volta in volta una
uttuazione del valore verso lalto o verso il basso. Le conversioni allora, sempre nellipotesi di se-
gnali originari di ampiezza costante, si distribuiranno attorno al medesimo valor medio di prima ma
sparpagliandosi un po: nellistogramma esse non cresceranno su un unico canale come prima, ma
assumeranno la forma di un picco con larghezza nita (oltretutto, come vedremo poi, la distribuzione
risulter` a gaussiana). La determinazione della varianza della distribuzione delle conversioni, fatta di-
rettamente sullistogramma, permette la conoscenza della varianza del rumore, una volta che sia
noto il coeciente di proporzionalit` a fra le conversioni numeriche alluscita dellADC e la tensione
al suo ingresso.
Questo metodo di misura del rumore `e quello normalmente impiegato nelle misure in sica nucleare,
nelle quali i segnali di Fig.5 e 6 sono prodotti dalle particelle ionizzanti che colpiscono un rivelatore;
il massimo di tali segnali `e di interesse perche il processo di rivelazione e misura ne assicura la
proporzionalit` a alla energia depositata dalle particelle rivelate (vedi Cap.VII).
G.Poggi: Appunti sul rumore elettrico; Cap.IV
Firenze, 10 gennaio 2003
Universit`a degli Studi di Firenze, Dipartimento di Fisica
Anno Accademico 2002-2003
V
LE SORGENTI FISICHE DI RUMORE
1. Il rumore Johnson di una resistenza o rumore termico
Equipaggiati con quel po di formalismo illustrato nei capitoli precedenti, ritorniamo allesempio
introdotto nel .1 del Cap.II: supponiamo cio`e di disporre di una resistenza R, posta in equilibrio
termico con un serbatoio di calore a temperatura T costante.
Se misuriamo con un voltmetro ideale (impedenza di ingresso innita, banda passante pure innita e
precisione e sensibilit`a quanto occorre) la ddp ai capi della nostra R, isolata da qualunque altra rete
lineare, troviamo una sequenza di valori di tensione v
R
(t) con T/2 < t < T/2, che costituiscono
la nostra sequenza casuale stazionaria.
Assumiamo come fatto sperimentale assodato (magari ottenuto studiando a lungo il comportamento
della nostra resistenza con intervalli di quasi-periodicit`a molto estesi) che :
v
R
) = 0 (V.1)
cio`e il valor medio della tensione `e nullo.
Il valore quadratico medio della tensione rappresenta quindi la varianza della tensione ai capi della
resistenza:
v
2
R
) =
_

0
w
J
v
() d (V.2)
ed `e diversa da zero. Si noti che le medie riportate rappresentano le medie temporali, coerentemente
con i simboli adottati e con il fatto che stiamo osservando un unico resistore. Ricordiamo tuttavia
che, a causa dellipotesi ergodica, tali medie coincidono con quelle di insieme.
Nel seguito vedremo che lorigine della ddp uttuante ai capi di R va ricercata nel moto caotico
dei portatori di carica nel conduttore, ovvero nella agitazione termica. Pi` u avanti, nellambito
del modello di Drude per la conduzione ohmica, sfrutteremo proprio questa modellizzazione per
ricavare landamento della funzione di autocorrelazione della sequenza v
R
(t) e quindi della densit`a
spettrale di rumore. Ora seguiamo invece un approccio esclusivamente fenomenologico, cercando di
determinare landamento dello spettro di potenza ai capi della resistenza in funzione della frequenza
e dei parametri sici in gioco (R, T per esempio). Lo spettro di potenza della resistenza `e stato
indicato con w
J
v
per ricordarci da una parte che si tratta di uno spettro di potenza in tensione e da
unaltra che tale rumore `e detto rumore Johnson dal nome del suo scopritore.
Notiamo innanzitutto che lorigine termica del rumore `e presto messa in evidenza cambiando la
temperatura del bagno termostatico col quale R si trova in contatto: se immaginiamo di determinare
v
2
R
)(T) alle varie temperature troviamo che tale varianza `e proporzionale a T. Pertanto consideriamo
il risultato
w
J
v
() T (V.3)
36 [Cap. V, 1]
come un fatto sperimentalmente vericato, avendo appurato che le varianze, cio`e gli integrali della 3)
su tutta la banda spettrale, risultano proporzionali a T. Pi` u avanti arriveremo a questa conclusione
anche sulla base di principi primi.
Per trovare la dipendenza della densit`a spettrale di rumore dal valore di R occorre approfondire e
precisare il modello sico che rappresenta il fenomeno resistenza rumorosa: con lo strumento idea-
le che abbiamo introdotto allinizio del paragrafo di fatto abbiamo determinato la fem equivalente
secondo Thevenin ai capi di R; essendo comunque la resistenza sorgente del rumore un elemento
lineare, schematizziamo, coerentemente con le misure eettuate, la resistenza a temperatura T come
un generatore reale con resistenza interna secondo Thevenin R non rumorosa e di fem secondo
Thevenin pari a quella osservata con voltmetro ideale v
R
= v
n
(t) (Fig.1):
R
+

v
n
/
2
w
v
J
oppure
v (t)
n
b) a)
R
+

Fig.V.1
Lindice n (come noise, rumore) ci dice che si tratta di un generatore casuale con densit`a
spettrale di rumore w
J
v
o come spesso si indica
v
2
n
)

oppure
v
2
n

, con una notazione che, a parte


lambiguit`a sui simboli per le medie, esprime in maniera pregnante la densit`a spettrale come varianza
di tensione per unit`a di frequenza. Si ricorda che le unit`a di misura dello spettro di potenza in
tensione sono V
2
Hz
1
.
Non ci addentreremo in altri argomenti per giusticare la modellizzazione della nostra resistenza
rumorosa col generatore reale di tensione della Fig.1; ci limiteremo a dire che il modello in gura
riproduce fedelmente tutti i fenomeni sperimentalmente osservati riguardo al rumore della resistenza.
Funzionando quindi la schematizzazione del generatore reale di tensione, non sorprende che esso si
possa ove necessario sostituire col generatore reale di corrente secondo Norton:
w
v
J
w
v
J
w
J
i
R
2
=
R
R
+

Fig.V.2
Lequivalenza secondo Norton impone che il generatore ideale di corrente posto in parallelo alla
resistenza non rumorosa R abbia una densit`a spettrale di rumore in corrente w
J
i
pari a quella del
generatore di tensione equivalente, scalata per linverso del quadrato di R. Lo spettro di potenza
[Cap. V, 1] 37
del generatore di corrente si indica anche con i simboli
i
2
n
)

oppure
i
2
n

e si misura in A
2
Hz
1
.
Sia il generatore di Thevenin sia quello di Norton hanno valor medio di tensione e corrente (rispet-
tivamente) nulli. Questo non impedisce per`o ai generatori di essere in grado di trasferire potenza
verso lesterno, a patto per`o di non violare il II Principio della Termodinamica. Vediamo proprio
come un ragionamento termodinamico ci permetta di trovare la dipendenza della densit`a spettrale di
rumore dal valore di R. Consideriamo infatti due resistori R
1
e R
2
collegati come in Fig.3, il primo
posto a contatto con un bagno termico B
1
a temperatura T
1
e il secondo con un bagno termico B
2
a temperatura T
2
:
T
1
T
2
R
1
R
2
2
v
/
2n
2
v
/
1n
i(t)
+
B
1
B
2

+
Fig.V.3
I simboli v
2
1,2n
) rappresentano le varianze delle tensioni di rumore (secondo lo schema di
Thevenin) ai capi delle due resistenze.
In un istante generico t, le tensioni dei generatori saranno v
1
(t) e v
2
(t) e la corrente istantanea i(t)
che circola nella maglia sar`a data da:
i(t) =
v
1
(t) v
2
(t)
R
1
+R
2
(V.4)
Il collegamento fra i due serbatoi di calore B
1
e B
2
avviene unicamente tramite i conduttori elettrici
fra le due resistenze (immaginiamo che la conducibilit`a termica di questi conduttori sia trascurabile)
e quindi ogni trasferimento di energia da un sistema allaltro passa tramite il trasferimento di potenza
elettrica. Pertanto, per calcolare la potenza che istantaneamente viene trasferita fra i due sistemi `e
suciente calcolare il prodotto i(t) v(t), dove v(t) rappresenta la tensione fra i due terminali tramite
in quali i due circuiti sono accoppiati:
W
12
(t) = i(t) v(t) (V.5)
Possiamo esprimere la v(t) per esempio come:
v(t) = v
2
(t) +i(t) R
2
(V.6)
ovvero come la somma della tensione di rumore sulla resistenza R
2
pi` u la caduta totale della i(t)
sulla resistenza medesima. Utilizzando la 4) per esprimere i(t) e la 6) per v(t), mediando la 5) sul
tempo otteniamo allora:
W
12
(t)) =
v
1
(t) v
2
(t)
R
1
+R
2
(v
2
(t) +i(t) R
2
)) =
v
2
1
(t))
(R
1
+R
2
)
2
R
2

v
2
2
(t))
(R
1
+R
2
)
2
R
1
(V.7)
38 [Cap. V, 1]
I termini misti del tipo v
1
(t) v
2
(t) scompaiono quando se ne fa la media in quanto i due generatori
di rumore agiscono indipendentemente luno dallaltro ed entrambi sono a media nulla. Possiamo
interpretare il risultato 7) dicendo che il primo addendo
v
2
1
(t))
(R
1
+R
2
)
2
R
2
(V.8)
rappresenta la potenza che il generatore di rumore associato alla resistenza R
1
compie sul sistema
B
2
, mentre il secondo
v
2
2
(t))
(R
1
+R
2
)
2
R
1
(V.9)
rappresenta lanaloga potenza trasferita dal generatore di rumore associato ad R
2
sul sistema B
1
. Il
segno che assume la 7) dice verso quale sistema viene trasferita energia e da quale viene assorbita;
possiamo senzaltro dire che la 7) sar`a positiva, cio`e la potenza verr`a trasferita da sinistra a destra,
ovvero il primo termine sar`a superiore al secondo, quando la temperatura T
1
del serbatoio B
1
`e
superiore a T
2
e viceversa.
Se T
1
= T
2
= T, essendo i due sistemi in equilibrio, non deve avvenire alcun trasferimento netto di
potenza da un sistema verso laltro, ovvero devono essere uguali le potenze medie trasferite da un
sistema allaltro. Ponendo quindi
W
12
(t)) = 0 (V.10)
otteniamo:
v
2
1
(t))
(R
1
+R
2
)
2
R
2
=
v
2
2
(t))
(R
1
+R
2
)
2
R
1
(V.11)
ovvero
v
2
2
)
v
2
1
)
=
R
2
R
1
(V.12)
La 12) ci dice che le due varianze totali v
2
1,2
) stanno fra loro come le rispettive resistenze. Questo
signica che una analoga relazione deve valere per le densit`a spettrali di rumore: infatti se la
relazione 12) non valesse in ogni intervallo di frequenza, sarebbe possibile violare il II Principio
della Termodinamica, inserendo un opportuno ltro in frequenza (puramente passivo) fra le due
resistenze.
Pertanto, utilizzando anche la 3), abbiamo:
w
J
v
= k

T R (V.13)
Quanto alla dipendenza dalla frequenza si trova, seguendo ad esempio la dimostrazione di Nyquist
riportata successivamente, che la densit`a spettrale di rumore `e costante, ovvero indipendente dalla
frequenza e pari a:
w
J
v
= 4 kTR (V.14)
con k = 1.38066 10
23
JK
1
, costante di Boltzman.
Il risultato di Nyquist, come vedremo, si basa sul Principio classico di equipartizione dellenergia.
Non stupisce quindi che il risultato sia sostanzialmente sbagliato e porti come per lo spettro di
corpo nero della formula di Rayleigh-Jeans alla cosidetta catastrofe ultravioletta, che nel nostro
caso si traduce nella divergenza della varianza totale di rumore della ddp termica ai capi di R. La
formula corretta quantisticamente per la densit`a spettrale di rumore Johnson `e:
w
J
v
() =
4Rh
e
h/kT
1
(V.15)
[Cap. V, 1] 39
con h = 6.62618 10
34
Js, costante di Planck.
La dierenza fra la 14) e la 15) si apprezza soltanto per frequenze tali per cui h kT o superiori.
A temperatura ambiente ci`o signica 6 10
12
Hz. In pratica, a causa dei valori di banda passante
della strumentazione elettronica normalmente disponibile, la densit`a spettrale di rumore Johnson si
pu`o eettivamente trattare come costante, con un errore praticamente inesistente. Si noti comunque
che, inserendo la 15) nellintegrale 2), si rimuove ogni divergenza ed in particolare si trova:
v
2
R
) =
_

0
4Rh
e
h/kT
1
d =
2
3

2
k
2
T
2
R
h
(V.16)
Vedremo pi` u avanti che altri fattori (in particolare le bande passanti eettivamente disponibili)
introducono dei meccanismi che limitano in alta frequenza lo spettro di potenza, molto pi` u e-
cacemente della Meccanica Quantistica.
Facciamo un calcolo di varianza totale di rumore, ammettendo che lo strumento di misura della
tensione abbia una banda passante BW limitata (e trascurando gli eetti di bordo):
v
2
)
BW
=
_
BW
w
J
v
d = 4kTR BW (V.17)
Per esempio, per una resistenza R = 1 M, a temperatura ambiente e con una banda passante
dello strumento di misura estesa fra 0 e 1MHz abbiamo v
2
)
BW
1.7 10
8
V
2
, ovvero una tensione
rms v
rms
) 130V . Le uttuazioni osservate sono comunque assai piccole e questo rende ra-
gione del fatto che, senza disporre di strumentazione sucientemente sensibile, tali eetti non siano
facilmente messi in evidenza. Vale la pena di far notare che se si osserva con un oscillografo su-
cientemente sensibile la tensione ai capi di una resistenza a temperature nita T e se loscillografo
ha un denito limite in alta frequenza (diciamo 1MHz assumendo di disporre di un modesto o-
scillografo da 1MHz), landamento caotico della tensione ovviamente presenta variazioni che non
hanno componenti di frequenza apprezzabili oltre il limite superiore della banda passante. La va-
rianza totale osservata, valutata dalla 17), si compone di tutte le uttuazioni del segnale visibili sullo
schermo. Se osservassimo la medesima resistenza, alla medesima temperatura ma con un oscillografo
da 100MHz, osserveremmo una sequenza che dierirebbe dalla precedente per la presenza aggiun-
tiva di componenti molto pi` u rapidamente variabili e tali per cui lampiezza media delle uttuazioni
risulterebbe accresciuta di un fattore 10 e la varianza totale aumentata del fattore 100, previsto
dalla 17). In Fig.4 `e riportata una simulazione numerica che rappresenta i due casi in esame, osser-
vati con la stessa base dei tempi (parte inferiore e superiore rispettivamente per BW = 1 MHz e
BW = 100 MHz; le unit`a verticali sono arbitrarie, ma coerenti). Nella parte a) sono presentate le
sequenze su un intervallo di circa 8 s, mentre nella parte b) compare solo il primo s delle sequenze;
si noti il cambiamento di scala verticale fra le sequenze a 1 MHz e quelle a 100 MHz.
40 [Cap. V, 2]
Fig.V.4
Ricordiamo che la banda passante di un oscillografo (BW = 1 MHz e BW = 100 MHz nei due
casi appena considerati), `e generalmente ben descrivibile come un ltro passa basso con frequenza
di taglio proprio pari alla frequenza indicata; le sequenze riportate nella Fig.4 sono state infatti ot-
tenute inviando una sequenza di rumore bianco allingresso di due ltri passa basso con le frequenze
di taglio di BW = 1 MHz e BW = 100 MHz e prelevandone le uscite. Landamento della funzione
di autocorrelazione delle sequenze del tipo mostrato nella Fig.4, verr`a discusso pi` u avanti, nel 3.
[Cap. V, 2] 41
2. Derivazione dello spettro di potenza Johnson secondo Nyquist
La forma dello spettro di potenza del rumore Johnson `e stato ricavato da Nyquist considerando
due resistenze R
1
= R
2
= R, entrambe alla stessa temperatura T, collegate con una linea di
trasmissione non dissipativa, avente impedenza caratteristica pari a R e di lunghezza L, anchessa a
temperatura T, schematizzata nella Fig.5.
R
1
R
2
Fig.V.5
Abbiamo gi`a visto che due resistenze in equilibrio termico e collegate in parallelo trasferiscono
luna verso laltra la medesima potenza. Tale potenza in un ambito di frequenza , cio`e espressa in
funzione delle densit`a spettrali spettrali di rumore, pu`o scriversi (estensione della 9):
dP
R
1
R
2
= dP
R
2
R
1
=
w
J
v
4R
d (V.18)
Detta v la velocit`a con la quale le onde elettromagnetiche si propagano nella linea (supponiamo
che la velocit`a sia la stessa per tutte le frequenze, ovvero che la linea non sia dispersiva), il tempo
durante il quale la potenza dP si trova distribuita sulla linea vale: = L/v; quindi lenergia media
accumulata sulla linea vale:
dW
f
= (dP
R
1
R
2
+dP
R
2
R
1
)
L
v
=
w
J
v
2R
L
v
d (V.19)
Per trovare lespressione della densit`a spettrale di rumore, consideriamo ora la linea di trasmissione
come un sistema sico non dissipativo allequilibrio a temperatura T. Consideriamo ora la linea in
questione con gli estremi cortocircuitati. Essa, proprio per il fatto di trovarsi a temperatura non
nulla, `e sede di onde stazionarie; vedremo fra un attimo quali sono le frequenze ammissibili per
queste onde; per ora ci basti dire che ad ognuna di esse sono associati due gradi di libert`a, ovvero il
campo elettrico e quello magnetico oscillanti dellonda. Pertanto, per il Principio di equipartizione
dellenergia (classico) possiamo aermare che per ogni onda stazionaria presente nella linea esiste
una quantit`a kT di energia accumulata nella linea stessa. Si tratta ora di calcolare quante sono le
onde stazionarie dN
f
presenti nella linea cortocircuitata, comprese in un intervallo di frequenza d.
La prima, cio`e la pi` u bassa frequenza delle onde stazionarie, vale:

1
=
v
2L
(V.20)
Le altre onde stazionarie hanno le frequenze corrispondenti ai multipli interi di
1
:
n
= n
1
. La
dierenza fra una generica
n
e la successiva `e pertanto pari a
1
e quindi in un dato intervallo di
frequenze d attorno a qualunque frequenza avremo un numero di possibili onde stazionarie pari
a :
dN

=
d

1
=
2L
v
d (V.21)
42 [Cap. V, 3]
La 21) suggerisce anche che allaumentare della lunghezza L della linea il numero delle onde elettro-
magnetiche stazionarie nellintervallo di frequenza dato cresce proporzionalmente a L.
Sulla base del Principio di equipartizione dellenergia, lenergia media immagazzinata nella linea in
un intervallo d di frequenza vale:
dU
L
= kT dN

= kT
2L
v
d (V.22)
Cosa cambia se ora, invece di considerare la linea cortocircuitata ai suoi estremi, la supponiamo
come nella congurazione considerata inizialmente chiusa agli estremi sulle resistenze R
1
e R
2
,
entrambe di valori pari alla impedenza caratteristica R della linea? Di fatto, se consideriamo la linea
cortocircuitata agli estremi e innitamente lunga (come conviene immaginare, per poter esaminare
in questo schema tutto lambito di frequenze possibili), non cambia niente per quanto riguarda lo
stato stazionario del sistema a cortocircuitare la linea agli estremi o a chiuderla sulla impedenza
caratteristica: infatti una linea innitamente lunga e non dissipativa `e vista da qualunque sezione
come una pura resistenza pari alla impedenza caratteristica R. Pertanto possiamo uguagliare la 22)
e la 19), ottenendo landamento di w
J
v
cercato:
kT
2L
v
d =
w
J
v
2R
L
v
d w
J
v
= 4kRT (V.23)
3. Il rumore termico in un circuito RC
Consideriamo il circuito RC della Fig.6 e calcoliamo, usando la 23), la densit`a spettrale
w
v
J C
R
+

Fig.V.6
di rumore in tensione ai capi del condensatore. Abbiamo gi`a ottenuto il risultato generale IV.5 che,
utilizzando la 23), ci dice:
w
C
v
=
4kTR
1 + 4
2

2
R
2
C
2
(V.24)
Landamento rappresentato dalla 24) `e riportato nella Fig.7, per due valori di C:
[Cap. V, 3] 43
Fig.V.7
Si nota che, pur partendo da una densit`a spettrale di rumore bianca sulla resistenza R, la presenza
di una capacit`a C ai capi di R porta ad una densit`a spettrale che va a zero allaumentare della
frequenza. In particolare, detto = RC, la densit`a di potenza si dimezza rispetto al valore in
continua (coincidente con la densit`a spettrale di rumore Johnson su R) per la frequenza
H
=
1/(2). Questo risultato ci dice anche qual `e leetto sico reale che quasi sempre taglia in alta
frequenza qualunque spettro di potenza realmente osservabile: la presenza della capacit`a (spesso
anche solo quella parassita) fra i terminali di misura immediatamente introduce un taglio in banda.
Facciamo un esempio considerando un resistore con R = 50, con una capacit`a fra i terminali
(comprensiva dello strumento di misura) di 0.1 pF (dicile scendere ulteriormente sotto questo
valore). Anche in queste condizioni ottimali, esiste un taglio in frequenza di circa
H
30 GHz,
decisamente inferiore al limite sico posto dalla meccanica quantistica (vedi la 15)).
Calcoliamo ora la varianza totale di rumore ai capi di C:
v
2
Cn
) =
_

0
w
C
v
d =
_

0
4kTR
1 + 4
2

2
R
2
C
2
d =
4kT
2C
_

0
d(2RC)
1 + 4
2

2
R
2
C
2
=
=
2kT
C
_

0
dx
1 +x
2
=
2kT
C
arctan(x)

0
=
kT
C
(V.25)
Troviamo quindi che il valore quadratico medio della tensione ai capi del condensatore posto in
parallelo alla resistenza sorgente del rumore `e costante e inversamente proporzionale a

C.
La varianza in tensione ai capi di C si pu`o utilmente esprimere come la varianza di carica sulle
armature del condensatore:
Q
2
C
) = C
2
v
2
cn
) = kTC (V.26)
o come energia media accumulata nel campo elettrico fra le armature:
E
C
) =
1
2
Cv
2
Cn
) =
1
2
Q
2
C
)
C
=
1
2
kT (V.27)
Questultimo risultato riguardo allenergia media accumulata sul condensatore corrisponde a quello
che si ottiene applicando il pricipio di equipartizione dellenergia; faremo vedere nel prossimo para-
grafo che, partendo proprio dal principio di equipartizione dellenergia, cio`e considerando la 27) come
punto di partenza, sia possibile dedurre la densit`a spettrale di rumore Johnson.
Tornando alla espressione 24) e alla sua dipendenza dalla frequenza, pu`o essere istruttivo calco-
lare la funzione di autocorrelazione R
C
() corrispondente e confrontarla con quanto atteso. Sulla
base del teorema di Wiener-Khinchin (4, Cap.III) R
C
() = FT
1

w
C
v
2
e pertanto, ricordando le
propriet`a generali delle coppie trasformata-antitrasformata, abbiamo che, estendendosi la w
C
v
no a
44 [Cap. V, 3]
frequenze dellordine di 1/(2RC), la funzione di autocorrelazione R
C
() `e concentrata proprio su
tempi dellordine di RC. Il signicato sico di ci`o `e relativamente semplice: mentre in una sequenza
di tensione di rumore perfettamente e idealmente bianco, essendo presenti tutte le frequenze con
ugual peso, ci possiamo aspettare che la tensione in un istante t sia completamente indipendente
dalla tensione al tempo t+, quantunque piccolo sia , nel caso del condensatore C chiuso su una re-
sistenza R le aspettative sono diverse. Ovvero se al tempo t la tensione ai capi di C (e di R ad essa in
parallelo) vale v
cn
(t), ad un tempo t +, con RC, essa non potr`a assumere un valore qualunque
perche naturalmente essa tende a variare con costante di tempo = RC; si veda in proposito la Fig.4
b, in basso a destra, dove il segnale passato attraverso la banda passante di 1 MHz presenta proprio
leetto sopradetto e non mostra forti variazioni su tempi attorno a = 1 10
6
/(2) s 160 ns.
Calcoliamo quindi R
C
(). Secondo la 17) abbiamo:
R
C
() =
_

0
w
C
v
cos (2) d = 4kTR
_

0
cos (2)
1 + 4
2

2
R
2
C
2
d =
=
4kT
2C
_

0
cos (2)
1 + 4
2

2
R
2
C
2
d(2RC) =
4kT
2C
_

0
cos (x/RC)
1 +x
2
dx
(V.28)
Valendo, per a > 0,
_

0
cos mx
a
2
+x
2
dx =

2a
e
|m|a
abbiamo
R
C
() =
kT
C
e
||/RC
(V.29)
ovvero una cuspide esponenziale centrata nellorigine. La Fig.8 rappresenta proprio la funzione di
autocorrelazione (in unit`a arbitrarie) per una sequenza simulata ottenuta ltrando rumore bianco at-
traverso un ltro passa basso di RC = = 10 ns, ovvero con una frequenza di taglio
H
= 16MHz.
Fig.V.8
Landamento mostrato nella Fig.8 (che in dettaglio si pu`o osservare nella parte b) della gura)
[Cap. V, 4] 45
conferma quantitativamente quanto atteso e ci dice che la costante di tempo = RC del circuito
misura la memoria che il sistema possiede riguardo alle uttuazioni e che per valori decisamente
maggiori di la funzione di autocorrelazione va a zero; lannullarsi della R
C
() per RC
`e particolarmente chiaro nella parte a) della gura dove `e presentato un ampio campo di valori
di . Unaltra maniera di interpretare questo risultato `e quella di considerare = RC come il
tempo caratteristico col quale le uttuazioni vanno a regime (i valori della sequenza per tempi che
dieriscono di sono infatti completamente scorrelati).
4. La misura di carica in un CCD
Come applicazione delle considerazioni sopra svolte, consideriamo un dispositivo CCD (Charge
Coupled Device): in esso, molto schematicamente, la raccolta della informazione associata alle misure
che con tali dispositivi vengono fatte si riconduce alla misura della tensione ai capi di una capacit`a
C
M
(dellordine di alcuni decimi di pF) sulla quale si `e depositata una certa quantit`a di carica Q
s
. La
grandezza alla quale siamo interessati `e proprio la carica Q
s
, in quanto essa `e proporzionale al numero
di fotoni assorbiti sulla supercie sensibile del pixel; in altre applicazioni, per la verit`a meno comuni,
la carica risulta proporzionale allenergia depositata da una particella ionizzante allinterno del vo-
lume di semiconduttore associato al pixel. La particolarit`a dei dispositivi CCD, che rende lesempio
che stiamo facendo particolarmente perspicuo, `e che il trasferimento della carica sulla capacit`a C
M
(preventivamente scaricata) avviene dietro nostro comando e che solo dopo tale trasferimento la ddp
v
s
ai capi del condensatore viene misurata con uno strumento ad alta impedenza: v
s
=
Q
s
C
M
.
C
M
r
v
s
v
s
C
M
r
v
s
Q
S
Q
S
Q
S
C
M
r
v
s
v
s
R
= 0
R
v
s
= (Q + Q ) / C
n S M
a)
b)
c)
R
= Q / C
n M
Fig.V.9
46 [Cap. V, 5]
La piccolezza di C
M
aiuta ad ottimizzare il rapporto segnale/rumore. Infatti sappiamo che sul con-
densatore, indipendentemente dal valore della resistenza R posta in parallelo ad esso (e a temperatura
T), `e presente una carica di valore aleatorio, con varianza Q
2
n
) = kTC
M
, secondo la 26). Per ridurre
tale uttuazione, da confrontare con Q
2
s
, le ricette possibili sono due: tenere il sistema a temperatura
ridotta e diminuire C
M
, che a parit`a di Q
s
aumenta il rapporto v
s
/
_
v
2
cn
) =
Q
s
C
M
_
C
M

kT

1
_
C
M
.
Queste ultime considerazioni potrebbero far supporre che di fatto fosse comunque impedita la deter-
minazione di cariche Q
s
dellordine o inferiori delle uttuazioni
_
(kTC
M
), ovvero che la presenza
delle uttuazioni di carica di fatto stabilisca un limite invalicabile per la sensibilit`a di misura. A
temperatura ambiente e con C
M
= 0.2 pF, si trova che
_
(Q
2
n
)) 2.9 10
17
C 180 cariche
elettroniche. In realt`a, proprio a causa dellandamento della funzione di autocorrelazione R
C
()
data dalla 29), questo limite pu`o essere superato. Infatti, dalle considerazioni sullandamento di
R
C
(), sappiamo che le uttuazioni di carica hanno dei tempi propri di modicazione, dellordine di
= RC: se la carica uttuante sulle armature di C vale in un certo istante Q
n
, essa manterr`a questo
valore sostanzialmente inalterato per tutti i tempi RC. Nei casi reali: C
M
0.2 pF, R > 10
9

(comprensiva della resistenza di fuga e della resistenza di ingresso del misuratore di tensione) e
quindi = RC > 0.2 10
3
s. Quindi, sfruttando il fatto che nei CCD il trasferimento della carica da
misurare Q
s
`e comandato esternamente dallutente e che loperazione di trasferimento di carica e di
misura della stessa possono durare anche solo pochi s, si pu`o procedere come segue: si scarica C
M
chiudendola temporaneamente su una resistenza r R (fase riportata nella Fig.9a); poi, dopo aver
riaperto il contatto con r, si misura la carica uttuante Q
n
(Fig.9b). Si trasferisce poi la carica Q
s
su C
M
e si misura la tensione ai capi di C
M
, ottenendo per la carica Q = Q
s
+Q

n
(Fig.9c). Poiche
la prima misura, il trasferimento e la seconda misura si svolgono in un lasso di tempo di pochi s,
allora Q

n
= Q
n
con ottima approssimazione e dalla misura di Q si pu`o sottrarre Q
n
per ottenere Q
s
.
5. Il rumore termico in un circuito RC e la densit`a
spettrale di rumore Johnson
In questo paragrafo proponiamo una maniera alternativa, rispetto alla procedura di Nyquist, di
calcolare la densit`a spettrale di rumore Johnson.
Abbiamo visto nei paragra precedenti che, partendo dalla densit`a spettrale di rumore Johnson,
siamo arrivati a scrivere per il valore dellenergia media accumulata sul condensatore C in parallelo
ad R:
E
C
) =
1
2
Cv
2
cn
) =
1
2
C
_

0
w
J
v
1 + 4
2

2
R
2
C
2
d =
=
1
4R
_

0
w
J
v
1 + 4
2

2
R
2
C
2
d(2RC) =
1
4R
_

0
w
J
v
1 +a
2

2
d(a)
(V.30)
con a = 2RC. Vogliamo far vedere che, dovendo essere per il principio di equipartizione dellenergia
classico E
C
) =
kT
2
, di necessit`a allora w
J
v
= 4kTR.
Posto quindi w
J
v
= w
J
v
(), ovvero una funzione in generale dipendente dalla frequenza, uguagliando
E
C
) a kT/2 e sfruttando la 30), otteniamo:
E
C
) =
1
2
kT =
1
4R
_

0
w
J
v
()
1 +a
2

2
d(a) (V.31)
[Cap. V, 6] 47
La 31) pu`o essere riscritta:
_

0
w
J
v
()
1 +a
2

2
d(a) = 2kTR = A (V.32)
con A costante. Vogliamo dimostare che dalla 32) discende:
w
J
v
() =
2A

= 4kTR (V.33)
ovvero in particolare indipendente dalla frequenza. In pratica nel seguito si dimostra quello che una
attenta osservazione della 32) fa intuire, ovvero che essendo lintegrale in d(a) del prodotto di una
funzione w
J
v
() per unaltra funzione di a indipendente dal fattore si scala a (in particolare da C),
necessariamente w
J
v
() non pu`o dipendere da .
Poniamo quindi:
w
J
v
() =
2A

+w
0
() (V.34)
con solo w
0
() dipendente da . Dimostrare la 33), signica dimostrare:
_

0
w
0
()
1 +a
2

2
d(a) = 0 (V.35)
ovvero ponendo y = a:
_

0
w
0
(y/a)
1 +y
2
dy = 0 (V.36)
Si tratta allora di dimostrare che la relazione 36) comporta w
0
(y/a) = 0.
Daltronde w
0
(y/a) si pu`o scrivere come w
0
(y/a) = w
0
( e
log(y/a)
) = w
0
( e
(log ylog a)
) = f(log y
log a). Pertanto dalla 36) abbiamo:
_

0
f(log y log a)
1 +y
2
dy = 0 (V.37)
Ponendo log y = z e log a = , abbiamo
dy
y
= dz dy = dz y = e
z
dz (V.38)
e quindi
_

0
f(log y log a)
1 +y
2
dy =
_

f(z )
1 + e
2z
e
z
dz (V.39)
Posto g(z) =
e
z
1 + e
2z
, abbiamo:
_

f(z ) g(z) dz = 0 (V.40)


Ricordando che
-FT
_

f( z) g(z) dz = FTf FTg,


-FT
_

f(z +) g(z) dz = FTf FT

g
e quindi
-FT
_

f(z ) g(z) dz = FT
_

f(z) g(z +) dz = FT

f FTg,
abbiamo:
FT

f FTg = 0 (V.41)
48 [Cap. V, 6]
Essendo FTg =
_

e
z
1 + e
2z
e
j2z
dz ,= 0, abbiamo che la 41) comporta necessariamente:
FT

f = 0 (V.42)
e quindi f(z) = w
0
(y/a) = 0, come dovevasi dimostrare.
6. Il modello di Drude di un conduttore e il rumore Johnson
In questo paragrafo riportiamo un ulteriore metodo per il calcolo del rumore Johnson di una
resistenza, basato sul modello di Drude della conduzione ohmica. Questo modello della conduzione `e
notoriamente un po rozzo; tuttavia il calcolo che si pu`o fare in questo ambito mette bene in evidenza
sia i meccanismi sici fondamentali, sia gli aspetti formalmente pi` u interessanti.
Nel modello di Drude le propriet`a ohmiche del conduttore sono ricondotte al moto caotico (di tipo
browniano) degli elettroni nel reticolo cristallino: in assenza di campo elettrico applicato (che `e il
caso di nostro interesse in quanto vogliamo proprio studiare cosa accade ad una resistenza lasciata
a se stessa alla temperatura T) il moto di ogni elettrone `e una continua sequenza di urti alternata
a tratti di moto rettilineo uniforme con direzione a caso, percorsi con velocit`a quadratica media
crescente con la temperatura. La distanza fra il punto di una collisione e laltra `e detta libero
cammino dellelettrone (libero da urti cio`e) e il suo valore medio (il libero cammino medio) `e una
caratteristica del materiale in esame e della temperatura T alla quale si trova il conduttore.
Consideriamo un conduttore in forma di sbarretta omogenea cilindrica, di sezione S e lunghezza L
(Fig.10).
S
T
Fig.V.10
Ammettendo lequilibrio termodinamico alla temperatura T, abbiamo per la velocit`a media v
rms
degli elettroni (consideriamo solo il grado di libert`a lungo la direzione X della sbarretta, quella di
L)
1
2
mv
2
x,rms
=
1
2
kT (V.43)
ovvero
v
2
x,rms
=
kT
m
(V.44)
Il tempo fra una collisione e unaltra vale, detto il tratto di volo libero e v la velocit`a lungo il
volo:
= /v (V.45)
Consideriamo ora il moto di un elettrone fra un urto e il successivo ed in particolare calcoliamo la
corrente associata a questo moto, lungo la solita direzione X. Per calcolare la corrente associata a
questo moto consideriamo un numero N molto grande di questi elettroni, uniformemente distribuiti
[Cap. V, 6] 49
nel materiale, e ammettiamo che tutti traslino lungo X con velocit`a pari a v
x
; la corrente associata
a questo moto sar`a allora data da:
I = [

j[S =
eN
SL
v
x
S =
eNv
x
L
(V.46)
Ad un singolo portatore sar`a quindi associata una corrente pari a 1/N della 46), ovvero:
i
e
=
ev
x
L
(V.47)
Nellatto di moto costituito dal volo libero di un elettrone lungo con velocit`a v (volo che dura
pertanto, secondo la 45) un tempo = /v) abbiamo un impulso di corrente rettangolare di ampiezza
ev
x
L
=
e
L
_

_
x
(V.48)
e durata = /v (vedi Fig.11).
Fig.V.11
Nella 48)
_

_
x
rappresenta la proiezione di v lungo la direzione X. Larea dellimpulso di corrente
`e data da
q
ex
=
e
x
L
(V.49)
con
x
proiezione di su X. In questa schematizzazione il moto delle cariche produce impulsi
di corrente del tipo rappresentato il Fig.12, con segno a caso (quello della proiezione lungo X di
v), ampiezza uttuante e durata pure a caso; infatti, in linea di principio, sia la distanza fra una
collisione e laltra sia il vettore velocit`a dellelettrone sono variabili aleatorie (non necessariamente
indipendenti luna dallaltra). Riprendendo i risultati III.37 e seguenti (ed in particolare il risultato
III.42) in linea di principio siamo in grado di calcolare la funzione di autocorrelazione della sequenza
complessiva costituita dalla successione degli impulsi associati agli N elettroni della sbarretta, ovvero:
R() =

+ (F
f
)
2

2
(V.49)
con il signicato dei simboli allora denito.
Osserviamo che il secondo termine `e nullo: infatti F
f
=
_

f
f
() d =
_

d (

forme l
g
l
f
l
())
vale 0, perch`e la media delle forme degli impulsi `e nulla, essendo il segno degli impulsi rigorosamente
a caso.
Valutiamo ora , ovvero il numero di impulsi per unit`a di tempo. Ogni elettrone in ogni intervallo
inizia un nuovo volo e quindi il numero di impulsi per unit`a di tempo del complesso degli N
elettroni, `e dato da =
N

, dove rappresenta la dierenza media di tempo fra un urto e un altro.


Resta ora la parte pi` u dicile, ovvero il calcolo di

che `e data da:

=
_

(, 0, ) =
_

forme l
g
l
f
l
() f
l
( +) (V.50)
50 [Cap. V, 6]
La media delle forme deve tener conto che da impulso a impulso pu`o cambiare e v
x
(quindi
ampiezza e durata dellimpulso). Pertanto la sommatoria dei prodotti f
l
() f
l
( + ) pesati con
g
l
in realt`a dovrebbe essere calcolata come valore di aspettazione di quel prodotto, con la densit`a
di probabilit`a congiunta di avere un certo valore di e un certo valore di v
x
. Ovviamente il caso
`e estremamente complicato e non lo aronteremo in questo schema generale, ma piuttosto in uno
schema semplicato che corrisponde esattamente al modello di Drude: ovvero ammetteremo =
sempre, v
x
= v
x,rms
sempre, cio`e sostituendo alle variabili aleatorie i loro valori medi. Si noti che
comunque, in ogni schema semplicato o no,

`e positiva, indipendentemente dal fatto che f


f
sia
positiva o negativa.
Nello schema di Drude, la media sulle forme non occorre pi` u e limpulso medio ha ampiezza
e
L
()
x

e quindi area pari a


e()
x
L
.

assume cos` la forma triangolare rappresentata in Fig.12:


Fig.V.12
A questo punto potremmo fare la FT della funzione rappresentata nella gura, per ottenere la
densit`a spettrale di rumore. Si noti che la FT della

d`a luogo ad una funzione della frequenza


sostanzialmente piatta da 0 no a frequenze dellordine di 1/(2). Essendo, secondo i valori noti del
libero cammino medio e delle velocit`a termiche degli elettroni a temperatura T, 10
13
10
14
s,
si ha uno spettro di potenza piatto a tutte le frequenze di interesse pratico (come si doveva trovare,
visto che dobbiamo ottenere la densit`a di rumore Johnson, che `e bianca).
Dati i numeri in gioco, `e naturale allora estremizzare la schematizzazione, considerando 0; in
questa ipotesi tutti gli impulsi sono uguali e schematizzabili come:
i
ex
=
e
L
(t) (V.51)
Riprendendo quindi il risultato III.43 abbiamo:
R() =
e
2

2
x
L
2
N

() (V.52)
Esprimendo
x
in funzione della velocit`a otteniamo:
R() =
e
2
v
2
x,rms
L
2
N() (V.53)
Utilizzando la III.16 abbiamo per la densit`a spettrale di rumore (in corrente, ovviamente):
w
i
=
2e
2
v
2
x,rms
N
L
2
[Cap. V, 7] 51
Ricordando che v
2
x,rms
=
kT
m
, otteniamo:
w
i
= 2kT
e
2
N
mL
2
La densit`a spettrale di rumore `e bianca e proporzionale a kT; perche eettivamente questo risultato
coincida con il valore gi`a noto per lo spettro di potenza Johnson occorre che:
2kT
e
2
N
mL
2
=
4kT
R
con R resistenza della sbarretta; ovvero deve essere:
2mL
2
e
2
N
= R (V.55)
Calcoliamo allora il valore della resistenza nel modello di Drude. Per il calcolo di R ammet-
tiamo di applicare una ddp V al conduttore: detto E
x
= V/L il campo lungo la direzione X
della sbarretta, lacquisto di velocit`a nella direzione del campo fra una collisione e laltra da parte
dellelettrone `e dato da:
v
x
=
eE
m
(V.56)
cui corrisponde un aumento medio di velocit`a nella direzione del campo pari v
D
= v
x
/2 = eE/2m.
la velocit`a v
D
rappresenta la velocit`a di deriva media degli elettroni. Pertanto il vettore densit`a di
corrente associato a questo moto (considerando gli N elettroni del volume S L) `e dato da:
[

j[ = e n v
D
=
e
2
N E
SL2m
(V.57)
Quindi la conducibilit`a (

j =

E) vale:
=
e
2
N
SL2m
(V.58)
e per R =
L
S
otteniamo:
R =
2mL
2
e
2
N
(V.59)
che conferma il risultato atteso.
Al di l`a del compiacersi del risultato ottenuto nonostante le schematizzazioni introdotte, occorre
ribadire che:
- il calcolo d`a il risultato giusto in virt` u delle relazioni autoconsistenti introdotte
- il calcolo insegna che un limite di alta frequenza (al di l`a del problema della formula della equipar-
tizione classica dellenergia) viene anche naturalmente introdotto dal tempo nito che intercorre fra
un urto e il successivo
- il calcolo nel dominio del tempo mostra molto direttamente che la corrente di rumore Johnson
uttuante (o equivalentemente la tensione ai capi di R) deriva dallazione incoerente di un numero
enorme di impulsi e quindi riporta leetto nale (la corrente istantanea al tempo t) ad una somma
di N (N ) variabili aleatorie indipendenti. Tutto questo ci sar`a utile quando vorremo sapere
anche le distribuzioni dei valori i(t) o v(t), ovvero le densit`a di probabilit`a delle loro ampiezze.
52 [Cap. V, 7]
7. Il rumore granulare o shot
Consideriamo ora unaltra sorgente di rumore, ovvero il cosidetto rumore shot o rumore gra-
nulare che risulta essere sempre presente quando in un ramo di un circuito circola una corrente
costituita dal moto di portatori di carica con tempi di transito completamente a caso, ovvero con
una distribuzione uniforme nel tempo.
Ritorneremo nel seguito su questo aspetto, che gioca un ruolo fondamentale nel determinare la den-
sit`a spettrale di rumore associata a questa corrente. Per ora limitiamoci ad osservare che siamo in
presenza di un fenomeno (la uttuazione di una corrente) a media diversa da zero; infatti queste
uttuazioni sono proprio associate alla presenza di una corrente macroscopica (il valor medio, per
lappunto) diversa da 0.
V
A
K
i

+
Fig.V.13
Per trattare quantitativamente questo tipo di rumore, tipicamente si inizia a considerare il caso del
diodo a vuoto, nella condizione di lavoro detta di corrente limitata dalla temperatura, ovvero
il caso in cui tutta la carica emessa per eetto termoionico dal catodo venga raccolta dallanodo;
in altre parole assistiamo ad una corrente (vedi Fig.13) costituita da una serie di impulsi, ognuno
associato al transito del singolo portatore (lelettrone) che, evaporato dal catodo, vola, sotto lazione
accelerante del campo elettrico, verso lanodo e contemporaneamente induce corrente nel circuito
esterno. Poiche il processo di evaporazione (meglio detto di emissione termoionica) `e completa-
mente a caso per quanto riguarda gli istanti di emissione che sono oguno indipendente dagli altri,
il fenomeno si pu`o considerare puramente stocastico e pi` u esplicitamente possiamo aermare che il
numero di elettroni emessi dal catodo (e quindi raccolti dallanodo) nellunit`a di tempo uttua in
maniera poissoniana.
Il generico impulso di corrente i
ek
(t) di un elettrone che vola dal catodo allanodo (distanti D) ha
la forma approssimativamente triangolare riportata nella Fig.14:
Fig.V.14
[Cap. V, 7] 53
dove il valore iniziale dellimpulso, avente ampiezza media pari a
ev
D
=
e(v
i
+v
f
)
2D
, `e determinata
dalla velocit`a v
i
con la quale lelettrone ha lasciato il catodo (normalmente esso `e riscaldato at-
torno a T = 800 1000 K in maniera indiretta da un lamento); landamento successivo risente
dellaccelerazione che lelettrone subisce nellattraversare lo spazio fra catodo e anodo dove `e presente
il campo elettrico dovuto al generatore V . Normalmente il contributo iniziale v
i
dovuto alla tem-
peratura del catodo `e molto inferiore a quello impartito dallaccelerazione. Infatti lenergia termica
degli elettroni, nonostante la temperatura elevata del catodo, `e dellordine del decimo di eV , mentre
la ddp applicata fra anodo e catodo `e dellordine del centinaio di V . In pratica tutti gli impulsi sono
uguali fra loro.
La corrente media di ogni impulso vale (ricordando anche quanto detto nel paragrafo precedente):
i =
ev
D
=
e

(V.60)
con tempo di transito. Larea di ogni impulso vale allora e, cio`e `e identica per tutti gli impulsi
(questo `e vero, indipendentemente da una eventuale dierenza nella velocit`a iniziale). Quanto al
valore medio dei tempi di transito, nelle geometrie tipiche dei diodi a vuoto, esso `e attorno al ns.
La corrente media associata alla presenza di questi impulsi, vale (vedi III.27):
i) = e (V.61)
Per trovare la densit`a spettrale di rumore occorre calcolare la funzione di autocorrelazione ricorrendo
alla formula III.42. Loperazione di media sulle forme non `e per`o necessaria, avendo ammesso molto
ragionevolmente luguaglianza delle velocit`a v
i
di emissione. Semplichiamo ancora il problema,
trattando come innitamente piccolo il tempo di transito. In questo schema il singolo impulso di
corrente `e caratterizzato da una corrente:
i
ek
(t) = e (t t
k
) (V.62)
e quindi applicando la III.43 abbiamo:
R() = e
2
() +i)
2
(V.63)
che pu`o essere scritta come
R() = e i) () +i)
2
(V.64)
Nella notazione standard in cui la i) `e scritta I e la carica del singolo portatore `e indicata con
q otteniamo:
R() = qI () +I
2
(V.65)
A questo punto, per trovare la densit`a spettrale di rumore, che `e legata alla varianza della
sequenza casuale (cio`e al termine uttuante rispetto al valor medio), possiamo fare ricorso alla
formula II.16 per la quale la funzione di autocorrelazione associata al termine a media nulla vale:
R
d
() = q I () (V.66)
La densit`a spettrale di rumore associata alla corrente I `e quindi data da (vedi III.16):
w
S
I
= 2FT
1
R
d
() = 2qI (V.67)
54 [Cap. V, 8]
Come aspettato, avendo confuso ogni nostro singolo impulso con una (t t
k
), cio`e avendo
assunto il tempo di volo dellelettrone (non troppo realisticamente, per la verit`a) nullo, otteniamo
una densit`a spettrale di rumore indipendente dalla frequenza. Se avessimo considerato il tempo di
transito nito, avremmo trovato una densit`a spettrale di rumore sostanzialmente pari a quella
calcolata dalla 67) no a frequenze dellordine di 1/ ( 1 GHz, quindi) che sarebbe poi andata a
zero per frequenze superiori, con un andamento determinato dal dettaglio della distribuzione reale
dei tempi di volo.
E importante ricordare che, qualora la corrente non sia costituita da sequenze di impulsi completa-
mente a caso, in particolare il numero di impulsi per unit`a di tempo non uttua pi` u poissonianamente
(come richiesto per la correttezza del risultato III.42), il risultato 67) non `e pi` u valido e le uttuazioni
sono ridotte. Per esempio, se il diodo opera a tensioni V in cui si instaura il regime di carica spaziale,
si trova una riduzione (anche molto forte) delle uttuazioni e quindi della densit`a spettrale di rumore.
Risultati coerenti con il regime di uttuazione puramente shot si ottengono per le componenti
di corrente diretta e inversa di un diodo a semiconduttore. Questo non sorprende per niente, in
quanto nel diodo a semiconduttore il regime delle correnti diretta e inversa `e determinato dai pro-
cessi statistici di superamento della barriera alla giunzione e dalla produzione termica dei portatori
minoritari. Quanto ai tempi di transito della barriera da parte dei portatori di carica, essi sono di
2-3 ordini di grandezza inferiori rispetto ai tempi di volo catodo-anodo in un diodo a vuoto. Pertanto
il valore di frequenza per il quale il rumore shot di un diodo a giunzione cesserebbe di essere bianco
`e dellordine delle centinaia di GHz *.
Riprendendo la formula 67), valutiamo nel caso di puro rumore shot (o come si dice di full shot
noise), le varianze in corrente che si osservano: supponiamo di misurare una corrente di 1 mA e di
avere uno strumento misuratore di corrente con una banda passante di 1 MHz e per il resto ideale.
Allora abbiamo:

2
(I = 1 mA) =
_
10
6
Hz
0
w
S
i
d = 2qI 10
6
3.2 10
16
A
2
(V.68)
cui corrisponde un limite alla precisione relativa della misura di circa 1.8 10
5
. Se misurassimo con
lo stesso strumento una corrente di 1 nA otterremmo per la precisione relativa di misura un valore
1000 volte peggiore.
Nelle formule precedenti per la densit`a spettrale di rumore shot abbiamo riportato il valore medio
della corrente, indicato con I. Questo non signica che la formula 66) si possa solo applicare al caso
di correnti rigorosamente continue. La corrente I(t) pu`o anche dipendere dal tempo e la formula 66)
`e ancora applicabile, almeno no a che si considerano le densit`a spettrali di rumore ben al di sopra
delle componenti di frequenza contenute nel segnale.
Prima di passare ad arontare argomenti pi` u pratici e meno speculativi, vogliamo ricordare che le
conclusioni tratte in questo paragrafo e nel precedente potevano essere raggiunte anche calcolando
le densit`a spettrali di rumore delle sequenze in funzione delle trasformate di Fourier degli impulsi
base elementari (si veda la relazione III.44). Anzi, questo `e il procedimento normalmente seguito
nei testi classici che arontano questi argomenti. Abbiamo preferito lapproccio del calcolo della
funzione di autocorrelazione nel dominio del tempo perche a nostro avviso permette un migliore
approfondimento della sica di tutto il processo.
* Il motivo del condizionale cesserebbe va ricercato nel fatto che altri fattori, cui sar`a breve-
mente accennato nel prossimo capitolo, modicano landamento in alta frequenza del rumore di
corrente nei diodi a giunzione
[Cap. V, 8] 55
8. Una misura di corrente in presenza di rumore granulare e termico
Consideriamo ora una resistenza a temperatura T percorsa da una corrente I (a valor medio
costante) che presenta full shot noise: ci chiediamo quale sia la densit`a spettrale di rumore in tensione
della caduta di tensione v
R
ai capi di un resistore di resistenza R percorso dalla corrente I (vedi
Fig.15 a)):
Fig.V.15
La densit`a spettrale di rumore `e determinata dalla somma (in quadratura) dei due contributi del
rumore shot della corrente I e del rumore termico di R. Tenendo presente il circuito equivalente per
il rumore della Fig.15 b), la ddp istantanea v
R
(t) vale:
v
R
(t) = v
J
n
(t) +IR +i
S
n
(t)R (V.69)
e quindi per la densit`a spettrale di rumore in tensione otteniamo:
w
tot
= w
J
v
+w
S
i
R
2
= 4kTR + 2qIR
2
(V.70)
Se immaginiamo che la congurazione di Fig.15 rappresenti la misura della corrente I eettuata
misurando la caduta di tensione che essa provoca su una resistenza nota, ci possiamo chiedere quale
sia il valore che R deve assumere anche la parte di rumore associato alleetto Johnson sia inferiore
rispetto alle uttuazioni shot. Pi` u esplicitamente, `e ovvio che, ssata la sensibilit`a del voltmetro, si
ha un vantaggio per la precisione della misura ad aumentare di R; questo per`o comporta un aumento
del contributo di rumore termico. Si tratta di valutare quantitativamente leetto, notando anche
che questo calcolo ha un senso se si ammette che I sia iniettata in R da un generatore ideale di
corrente, ovvero che essa non cambi al variare di R e che il voltmetro sia dotato di una impedenza
di ingresso molto elevata, in particolare R per tutti i valori di R considerati.
I due contributi shot e Johnson diventano uguali quando:
R =
2kT
qI
(V.71)
che a temperatura ambiente d`a: R 0.05/I . Per esempio, se vogliamo misurare una corrente di
1 nA e vogliamo al pi` u aumentare di un fattore

2 lincertezza di misura (dovuta al rumore) rispetto


al valore limite associato alleetto shot, R non deve superare 50 M (a temperatura ambiente).
Le considerazione svolte sopra trattano lincertezza assoluta della misura di v
R
dovuta alle varie
sorgenti di rumore. Tuttavia, al variare di R, cambia non solo laccuratezza assoluta di v
R
, ma
56 [Cap. V, 8]
anche, se non sopratutto, v
R
medesima. Pertanto, quello che di norma interessa `e il rapporto ru-
more/segnale, ovvero la quantit`a:
_
w
tot
v
2
R
=

w
J
v
+w
S
i
R
2
I
2
R
2
=
_
4kT/IR + 2q/I. Questa espressione
ci dice allora che lottimizzazione della precisione della misura (cio`e del rapporto segnale/rumore) si
ottiene quando R `e decisamente superiore al valore critico dato dalla 71).
La conclusione alla quale siamo giunti circa il valore critico di R vale indipendentemente dalla
banda passante dello strumento di misura: infatti entrambe le densit`a spettrali di rumore che com-
paiono nella 70) sono indipendenti dalla frequenza e quindi le condizioni dedotte da formule che
le contengono valgono anche se avessimo considerato le varianze, indipendentemente dai limiti di
frequenza entro i quali gli spettri di potenza vengono integrati. E tuttavia istruttivo portare avanti
il calcolo, non fosse altro che per vedere che nellarontare il problema in esame abbiamo compiuto
delle schematizzazioni che possono risultare irrealistiche e sopratutto possono alterare le conclu-
sioni. Ammettiamo pertanto che lo strumento presenti eettivamente una banda passante nita:
per prima cosa `e ovvio che il taglio introdotto deve agire esclusivamente nelle alte frequenze, visto
che in bassa frequenza non ci possiamo permettere alcuna soppressione, essendo la grandezza da
misurare I continua (su questo punto torneremo con alcune precisazioni). In alta frequenza, oltre
al limite proprio dello strumento, un altro taglio viene introdotto naturalmente dalle capacit`a di
ingresso del voltmetro, che no ad ora abbiamo trascurato. Detta C tale capacit`a, sappiamo come
si modica la 70) (si veda la V.24):
w
C
tot
=
4kTR + 2qIR
2
1 + 4
2
R
2
C
2

2
(V.72)
ovvero il circuito si comporta come un ltro passa basso con frequenza di taglio pari a
H
=
1/(2RC). Supposto un valore realistico di C 10 pF abbiamo
H
300 Hz, che normalmente sar`a
dominante rispetto alla banda passante propria dello strumento. Abbiamo gi`a calcolato la varianza
totale della tensione in un caso analogo a questo (V.25); estendendo quel risultato abbiamo:

2
(v
R
) =
kT +qIR/2
C
(V.73)
che, nel caso di aver scelto R in modo da avere due contributi uguali per i due eetti, d`a:

2
(v
R
) =
qIR
C
(V.74)
Nel caso in esame otteniamo:
2
(v
R
) 8 10
10
V
2
, ovvero (v
R
) 28 V . In tali condizioni,
leetto totale relativo delle uttuazioni dovuto al rumore shot e al rumore Johnson ammonta a
(v
R
)/v
R
6 10
4
.
Probabilmente, a meno di non disporre di uno strumento particolarmente sosticato, gli errori siste-
matici dichiarati dal costruttore del voltmetro saranno superiori a questi limiti e pertanto potremmo
considerarci soddisfatti. Se volessimo raggiungere precisioni superiori (per esempio perche lo stru-
mento nominalmente lo consente) o volessimo misurare correnti pi` u piccole, allora altri sforzi andreb-
bero fatti e facilmente incorreremmo nel problema che il misuratore stesso `e una fonte di rumore,
con la sua elettronica di ingresso. Questo problema, arontato in dettaglio in un contesto dierente
di misure, sar`a esaminato nel seguito.
Nella pratica, le tecniche di misura delle piccole correnti quasi mai si riconducono al semplice schema
sopra esposto, ma ricorrono a soluzioni assai pi` u sosticate. Lesempio `e pi` u che altro stato introdotto
per mettere in evidenza alcuni dei problemi che si devono comunque arontare nelle misure di alta
sensibilit`a, l`a dove non ci possiamo permettere di ignorare lesistenza del rumore.
[Cap. V, 9] 57
Prima di chiudere questo paragrafo, notiamo ancora che precedentemente abbiamo sovrasemplicato
un aspetto del problema, precisamente quando abbiamo detto che la banda passante della misura
di necessit`a deve estendersi, in basso, no alla continua. Questa necessit`a in realt`a proprio non
esiste: una misura rigorosamente in continua, ovvero a = 0, comporterebbe un tempo di acqui-
sizione innito e pertanto si tratta di un caso non sico. Una reale misura in continua dura il tempo
necessario allo strumento per compiere la misura, per esempio il tempo di conversione di un ADC
o il tempo necessario allo strumento ad ago per fermarsi; in pratica questo signica che il limite
di frequenza inferiore, anche per misurare una quantit`a continua, non deve essere = 0, bens` un
valore dellordine dellinverso del tempo di misura del nostro strumento. Precisato questo, torniamo
alla formula 74): essa suggerisce che qualunque aumento del valore della capacit`a C sarebbe beneco
dal punto vista del rumore. Aumentata la capacit`a C, occorrerebbe caso mai allungare i tempi di
misura, se fossero tali entrare in conitto col nuovo limite di banda. Normalmente questa procedura
non si pu`o estremizzare per un motivo almeno duplice: da una parte laumento del tempo di misura
comporta scomodit`a nella realizzazione della misura stessa, da unaltra problema pi` u sostanziale
ci si imbatte in un signicativo aumento del rumore, non riconducibile a nessuna delle sorgenti di
rumore prima descritte; tale contributo aggiuntivo di rumore normalmente va sotto il nome di ru-
more 1/f (a ricordarci il suo andamento approssimativo in funzione della frequenza) o rumore in
eccesso e spesso si osserva nei contributi di rumore dei dispositivi elettronici. Di questo contributo
tratteremo brevemente nel prossimo paragrafo.
9. Il rumore 1/f o rumore in eccesso
Il rumore Johnson e il rumore granulare costituiscono due processi che spiegano bene molte
delle caratteristiche del rumore osservato nei circuiti elettrici ed elettronici. Tuttavia non tutte le
caratteristiche del rumore elettrico che si osservano sono riconducibili a questi processi: questo `e
particolarmente vero per i dispositivi elettronici a semiconduttore nei quali `e presente un andamento
caratteristico della densit`a spettrale di rumore che cresce in ragione inversa della frequenza. Ge-
nericamente tali contributi di rumore, non riconducibili a eetti di selezione in banda (da parte
delle funzioni di trasferimento) di processi noti (rumore termico e/o granulare), sono indicati per
questo come rumore in eccesso (excess noise) o, a causa dellandamento generalmente osservato
in funzione della frequenza, rumore 1/f; un termine inglese assai diuso `e quello di icker noise.
Una caratteristica abbastanza sorprendente di questo rumore `e proprio che, nonostante che alla sua
base, caso per caso, si identichino processi sici dierenti, per tutti si osservi un andamento simile
dello spettro di potenza, crescente circa con linverso della frequenza. In generale si osserva che il
rumore 1/f si manifesta in situazioni di non-equilibrio termodinamico, ovvero quando dellenergia `e
apportata dallesterno sul sistema sico che presenta il rumore in eccesso: per esempio quando una
corrente uisce in un resistore, quando una ddp `e applicata ad un condensatore o a una giunzione a
semiconduttore.
Non entreremo in alcun dettaglio riguardo ai processi alla base del fenomeno, ma ci limitiamo a
ricordare alcuni eetti sici che sono riconosciuti essere alla base di casi osservati di rumore 1/f: nei
resistori ad impasto di carbone, la presenza del rumore 1/f `e associata alla resistenza di contatto
fra i granuli di conduttore costituenti limpasto; nei condensatori ceramici, tale rumore si associa
alla debole corrente di fuga dipendente dalla temperatura; nei dispositivi a semiconduttore, alle
uttuazioni della generazione e ricombinazione dei portatori minoritari.
58 [Cap. V, 10]
Contrariamente al caso delle sorgenti siche di rumore essenziali, quali il rumore termico e quello
granulare, per il rumore 1/f `e possibile una ottimizzazione delle caratteristiche di rumore tramite
controlli attenti nei processi costruttivi dei dispositivi, per esempio mirati a migliorare le propriet`a
siche e la purezza dei materiali impiegati.
Quando nel seguito daremo una sommaria descrizione delle caratteristiche di rumore dei dispositivi
elettronici, vedremo che in un vasto campo di frequenze i processi di rumore termico e granulare
presenti si possono schematizzare come generatori equivalenti di rumore (in corrente e tensione)
posti allingresso dei dispositivi; nella Fig.16 sono riportati i circuiti equivalenti di rumore per un
JFET canale n e un transistore bipolare npn.
R
b
i
nB
i
nF
v
nB nF
v
G
D
S e
c
b
JFET
npn
Fig.V.16
Le densit`a spettrali di rumore di questi generatori sono ottenute calcolando le densit`a spettrali indi-
cate sulla base della funzione di trasferimento fra lingresso e i generatori primari di rumore termico e
granulare, dislocati nel dispositivo; per esempio come vedremo il rumore Johnson della resistenza
del canale del JFET `e riportato nel generatore v
nF
) in serie al gate. In questa operazione di
trasferimento giocano un ruolo fondamentale il circuito equivalente per piccoli segnali del dispositi-
vo, le resistenze dei contatti e del bulk nonche le capacit`a interelettrodiche. Invariabilmente si trova
che tali eetti porterebbero a densit`a spettrali per i generatori equivalenti, riportati nella Fig.16,
sostanzialmente costanti, almeno in bassa frequenza. Viceversa, in pratica si verica, proprio a causa
dellesistenza dei contributi di varia origine di rumore in eccesso, che gli andamenti osservati in
bassa frequenza delle densit`a spettrali di rumore della Fig.16 sono meglio riprodotti da una legge
del tipo:
w
J,S
in
= w
J,S
in
(1 +

0

) in bassa frequenza (V.75)


dove w
J,S
rappresenta la densit`a spettrale di rumore per i generatori di Fig.16 prevista sulla base
delle sorgenti di rumore Johnson e shot individuate nel dispositivo e riportate in ingresso. La
frequenza
0
(detta corner frequency) rappresenta il valore di frequenza per la quale il rumore in
eccesso uguaglia quello del contributo bianco;
0
pertanto denisce la frequenza al di sotto della
quale il rumore in eccesso risulta dominante. Le frequenze
0
, a seconda dei dispositivi, variano
fortissimamente andando da pochi Hz no ad alcuni MHz.
Tutte le volte che nel seguito faremo riferimento al rumore 1/f sar`a solo per dire che esso d`a un
contributo in pi` u rispetto a quello calcolato e che sar`a necessario, volta volta, tenerne conto facendo
principalmente adamento alle informazioni che i costruttori di dispositivi avranno cura di fornire.
[Cap. V, 10] 59
10. La distribuzione gaussiana delle ampiezze del rumore termico
e granulare
In questo paragrafo arontiamo un problema sul quale abbiamo completamente sorvolato, o
meglio che abbiamo aggirato, quando abbiamo arontato largomento della descrizione delle se-
quenze casuali. Di fatto n dallinizio abbiamo rinunciato a dare una descrizione della sequenza
casuale che prevedesse la conoscenza della distribuzione delle ampiezze della sequenza, a favore della
determinazione delle sue propriet`a medie; pi` u precisamente dei valori medi e delle varianze.
A questo punto della trattazione, avendo introdotto dei modelli magari un po rozzi, ma sici per
descrivere lorigine microscopica di due delle principali sorgenti di rumore (Johnson e shot) siamo
anche in grado di derivare in maniera relativamente semplice la legge con la quale i valori della
sequenza in osservazione sono distribuiti, ovvero la densit`a di probabilit`a delle variabili aleatorie
f
n
(t) che costituiscono la sequenza.
Facciamo innanzitutto una osservazione banale, ma auspicabilmente chiaricatrice di alcuni aspetti
fondamentali della discussione successiva: se il sistema di registrazione della sequenza f
n
(t) `e
a banda passante innita, se la registrazione `e istantanea, se il rumore `e bianco ed in particolare
se i processi sici base sono quelli visti per il rumore Johnson e granulare, allora la distribuzione
delle ampiezze presenta innite singolarit`a che impediscono ad essa di avere un andamento rego-
lare, in particolare gaussiano; infatti, rappresentando la nostra f(t) come una successione di impulsi
formi, avremo:
f(t) =
M

k=1
q
k
(t t
k
) (V.76)
e quindi, avendo il nostro sistema tempo di registrazione innitesimo (permesso dalla banda passante
innita ipotizzata), la f(t) assume o valore nullo (nessun impulso per quel t in esame) o valore
divergente; a causa degli andamenti elementari formi, `e irrilevante purche nito il numero di
impulsi nellintervallo di quasi-periodicit`a T/2, T/2 dove `e denita la sequenza.
Passando ora ad un caso sicamente pi` u interessante (e sicuramente meno astratto), ammettiamo che
il processo non dia rumore bianco, ma dia uno spettro di potenza limitato in frequenza (supponiamo
ad esempio che il processo base, cio`e limpulso elementare, abbia una durata nita , che produce
un taglio in frequenza dellordine di 1/) oppure che la funzione di trasferimento fra dove il processo
sico `e generato e l`a dove viene osservata la sequenza introduca un ltro passa basso oppure entrambe
le cose; al momento manteniamo lipotesi che il processo di registrazione sia istantaneo.
Nelle ipotesi sopra dette, il valore della ampiezza della tensione (o corrente) misurata al tempo t
vale:
f(t) =
M

k=1
q
k
(t t
k
) (V.77)
con t
k
< t e con (t) che rappresenta limpulso normalizzato di estensione nita . Ripensando ai
casi studiati del rumore termico e granulare, sappiamo quale pu`o essere la variabilit`a delle ampiezze
dei segnali elementari. Quanto ad M, il limite superiore della sommatoria, il suo valore dipende
dalla estensione temporale di (t) e dal numero medio di impulsi nellunit`a di tempo : M deve
essere tale da includere tutti gli impulsi che al tempo t hanno un valore diverso da 0. M deve essere
pertanto dellordine di M (si faccia anche riferimento alla Fig.III.3). La rappresentazione del
segnale della sequenza espressa dalla 77) consente quindi di aermare che la funzione f(t) ad ogni
istante risulta dalla somma di M contributi indipendenti, ovvero gli M segnali elementari
k
(t t
k
)
che hanno ampiezza diversa da 0 al tempo t; per come sappiamo che sono fatti gli impulsi, ognuno
60 [Cap. V, 10]
di essi ha valor medio
k
e varianza (
k

k
)
2
niti. Nel limite di M tendente allinnito (come
accade in tutti i casi realistici in cui si studia il rumore termico o granulare), quindi un ritmo medio
di impulsi pure tendente allinnito, il Teorema del limite centrale assicura che f(t) presenta una
distribuzione gaussiana. Qualora (come nel caso del rumore Johnson) anche q
k
sia una variabile
aleatoria, la conclusione resta a maggior ragione vera.
Inne, se la registrazione non avviene in maniera istantanea, ma dura piuttosto un tempo nito
e quindi rappresenta la media della f(t) su un tempo nito , le conclusioni non cambiano: infatti
possiamo ragionare esattamente come sopra, salvo che ora le M variabili aleatorie che concorrono
a costituire il valore della tensione media misurata nellintervallo , sono a loro volta i valori medi
di ognuno degli M impulsi
k
(t t
k
) nellintervallo , che restano quindi M variabili aleatorie
indipendenti, essendo comunque le loro origini indipendenti e distribuite a caso.
La gaussianit`a delle distribuzioni di rumore si pu`o vericare misurando le distribuzioni delle
ampiezze delle sequenze di rumore termico o shot: i risultati mostrano che esse sono eettivamente
gaussiane con un ottimo grado di approssimazione.
Si noti che viceversa se in una sequenza a caso `e sovraimposto un contributo di disturbo ad una fre-
quenza denita, la distribuzione delle ampiezze cambia corrispondentemente ed esso se il contributo
di disturbo monocromatico `e dominante invece di mostrare il prolo gaussiano (cerchi pieni) tipico
del rumore, presenta approssimativamente la forma disegnata a tratto continuo nella Fig.17:
Fig.V.17
la distribuzione `e adesso limitata (A, dove A `e lampiezza del disturbo sinusoidale puro) e i valori
pi` u probabili sono quelli estremi. In questo ultimo caso, riportato nella gura, abbiamo assunto
lassenza di contributi di rumore; se entrambi gli eetti sono presenti (rumore e disturbo sinusoidale
puro) la distribuzione assume un prolo del tipo mostrato come curva a cerchietti vuoti.
G.Poggi: Appunti sul rumore elettrico; Cap.V
Firenze, 1 dicembre 2006
VI
IL RUMORE NEI DISPOSITIVI ELETTRONICI
1. Premessa
Questo capitolo `e pi` u che altro una modesta introduzione allargomento e manca di un appro-
fondimento dedicato alla sica dei dispositivi attinente ai processi coinvolti. Il capitolo ha lo scopo
principale di presentare alcuni dei problemi che si incontrano studiando il rumore nella rivelazione e
misura dei segnali con circuiti elettronici. Esso dovrebbe anche servire a mettere in grado il lettore
di utilizzare le informazioni riguardo al rumore dei dispositivi, fornite dai costruttori.
2. Il rumore nel diodo a giunzione
Nel capitolo precedente abbiamo arontato il caso del diodo a vuoto, polarizzato in modo da
operare in regime di corrente limitata dalla temperatura, e abbiamo considerato il caso come il
paradigma per il rumore shot. Il diodo a giunzione, ovvero a semiconduttore, rappresenta anchesso
un tipico esempio in cui il rumore granulare descrive accuratamente i fenomeni osservati ed oltretutto
mette bene in evidenza come per processi a caso indipendenti occorra sommare in quadratura le
uttuazioni associate.
La dipendenza della corrente I
d
in un diodo a giunzione dalla tensione applicata `e rappresentata
ragionevolmente bene dalla funzione:
I
d
= I
s
( e
V
d
/V
T
1) (VI.1)
dove `e un parametro fenomenologico ( 1 per il diodo al Silicio), V
T
= kT/q 26 mV a
T = 300 K e I
s
rappresenta il valore assoluto della corrente di saturazione inversa.
La 1) non riproduce in maniera corretta ne gli andamenti per alte correnti (dove la curva tende a
linearizzarsi a motivo della caduta ohmica nel bulk ne quelli per elevate tensioni di contropolariz-
zazione (mancano infatti nella 1) gli eetti di correnti di perdita superciale e qualunque tipo di
descrizione del breakdown). Tuttavia la 1) contiene il grosso dellinformazione per quanto riguarda il
rumore shot nel diodo e le conclusioni che se ne traggono per quanto riguarda il rumore descrivono
bene gli andamenti osservati. In particolare la 1) ci ricorda che la corrente stazionaria nel diodo
a giunzione, per tutti i punti di lavoro, in realt`a consiste sempre di due contributi, pi` u o meno
importanti a seconda di V
d
: un contributo I
s
e
V
d
/V
T
di corrente diretta dovuta al superamento da
parte dei maggioritari della barriera e un contributo I
s
costante dovuto alla corrente di saturazione
inversa costituita dai minoritari prodotti per eetto termico nel materiale e che vengono aiutati
62 [Cap. VI, 2]
ad attraversare la barriera dal campo elettrico a loro favorevole. Poiche le due correnti traggono
origine da due fenomeni totalmente indipendenti, le densit` a spettrali di rumore ad esse associate
vanno sommate se si vuole considerare leetto complessivo. Precisamente per lo spettro di potenza
in corrente si trova:
w
d
i
= 2qI
s
e
V
d
/V
T
+ 2qIs (VI.2)
dove il primo termine rappresenta lo spettro di potenza della corrente dei maggioritari e il secondo
quello della corrente dei minoritari. Per entrambi i contributi, la descrizione tramite la 2), che equi-
vale ad assumere correnti caratterizzate da full shot noise, risulta essere sucientemente accurata.
E interessante notare che la 2) d` a contributi totali di rumore assai dierenti a seconda della pola-
rizzazione V
d
del dispositivo. Inoltre spesso `e utile esprimere lo spettro di potenza in funzione della
resistenza dinamica del diodo in quanto essa gioca un ruolo fondamentale nella schematizzazione
circuitale del dispositivo:
r
d
=

dI
d
dV
d

1
=
V
T
I
d
+ I
s

kT
q(I
d
+ I
s
)
(VI.3)
Consideriamo ora alcuni casi particolari, corrispondenti a dierenti condizioni per la polarizzazione
del diodo, cominciando con V
d
= 0. In questa situazione
w
d
i
(V
d
= 0) = 4qI
s
(VI.4)
Essendo r
d0
= r
d
(V
d
= 0) =
kT
qI
s
, abbiamo qI
s
=
kT
r
d0
e pertanto
w
d
i
(V
d
= 0) =
4kT
r
d0
(VI.5)
Questa espressione ci dice che la densit`a spettrale di rumore in corrente del diodo, in assenza di
polarizzazione, `e identica a quella di un conduttore a temperatura T, con resistenza pari a r
d0
.
Questo, lungi da sorprendere, conferma che il diodo non polarizzato, se si trova a temperatura T
costante, si comporta come un qualunque conduttore dotato di resistenza r
d0
e presenta quindi una
densit`a spettrale Johnson che espressa in corrente ha proprio la forma 5). A V
d
= 0 nel diodo la
corrente nulla `e determinata da due contributi I
s
e I
s
che in media si equilibrano e danno luogo a
uttuazioni che si sommano in quadratura: la situazione ricorda molto da vicino quella studiata nel
5 del Cap.V, dove il rumore Johnson di una resistenza `e stato ricavato schematizzando il sistema
in maniera assolutamente equivalente a quella ora considerata del diodo non polarizzato.
In condizioni di polarizzazione inversa, tale da rendere praticamente trascurabile il primo dei due
termini della 1), abbiamo:
w
d
i
(V
d
kT/q) = 2qI
s
(VI.6)
risultato praticamente ovvio.
In condizioni di polarizzazione diretta, cio`e quando V
d
kT/q, abbiamo
w
d
i
(V
d
kT/q) = 2qI
s
e
qV
d
/kT
= 2
kT
r
d
=
4kT
2r
d
(VI.7)
cio`e il rumore granulare osservato per il diodo in condizioni di polarizzazione diretta equivale a
quello termico di una resistenza pari al doppio della resistenza dinamica del diodo al punto di lavoro
considerato.
Il rumore no a qui esaminato `e bianco, almeno nel limite in cui consideriamo frequenze inferiori
allinverso del tempo di transito dei portatori attraverso la zona della giunzione ((10
11
10
12
) s).
Esistono nel diodo altri eetti che contribuiscono al rumore complessivo e che alterano i risultati n
[Cap. VI, 3] 63
qui ottenuti, in alta e bassa frequenza. Specicamente, in alta frequenza si assiste ad un aumento
della densit` a spettrale di rumore dovuta al fatto che il passaggio dei portatori attraverso la giunzione
da una zona in cui essi sono maggioritari ad una dove sono minoritari comporta la possibilit`a per
alcuni di essi di percorrere il cammino a ritroso, dopo un certo ritardo. Si trova che tutto questo
produce un aumento dello spettro di potenza che cresce come la conduttanza del diodo in funzione
della frequenza.
In bassa frequenza assistiamo ad una crescita del rumore, del tipo 1/f, genericamente riconducibile ai
processi di generazione e ricombinazione dei portatori minoritari e alle perdite di corrente superciale
(in ogni caso a dettagli costruttivi dei dispositivi). Sicuramente una analisi teorica accurata dei
contributi di rumore in un diodo a giunzione, oltre ad esulare completamente dal compito che
ci siamo pressi, sarebbe assai complicata e oltretutto dicilmente approderebbe a conclusioni
passibili di accurati controlli sperimentali; molto spesso, alla luce di queste considerazioni, sono
di fondamentale importanza le indagini sistematiche svolte dai costruttori sui dispositivi da essi
prodotti, che permettono poi di fornire agli utenti le curve (medie) delle densit`a spettrali di rumore;
queste curve sono utilissime perche permettono una oculata scelta dei dispositivi nelle applicazioni
in cui lottimizzazione del rapporto segnale/rumore `e di particolare rilevanza.
3. Il rumore nel transistore bipolare
In questo paragrafo sar`a data una breve e veramente schematica descrizione del rumore nel
transistore bipolare, praticamente al solo scopo di mettere in grado il lettore di comprendere, nei
manuali forniti dai costruttori di transistori se mai gli capiter`a di aprirne uno, le speciche di
rumore dichiarate e di sapere utilizzare le informazioni fornite.
Innazitutto va notato che mentre nel caso di un dispositivo a due poli (un resistore, un diodo,...) `e
suciente, per caratterizzarlo in rumore, dare lo spettro di potenza o della corrente che lo attraversa o
della tensione ai suoi capi, nel caso di un dispositivo a tre poli, come un transistore, la sua completa
caratterizzazione per quanto riguarda il rumore si avrebbe dando, per ogni terminale, la densit` a
spettrale di rumore della corrente entrante e la densit`a spettrale di rumore della tensione rispetto ad
un riferimento comune. Per la verit`a, tale descrizione `e ridondante (e le varie densit` a spettrali non
sarebbero quindi indipendenti) dato che la legge dei nodi permette di eliminare una delle tre correnti
e le tensioni indipendenti pure si riducono a due a causa della II legge di Kirchho. In ogni caso
i generatori che fossero cos` rimasti non sarebbero indipendenti perche le curve caratteristiche del
dispositivo riaccoppiano le tensioni e le correnti dei vari terminali. In pratica quello che generalmente
si cerca di fare `e innanzitutto individuare le varie sorgenti siche di rumore, associare ad esse, l` a dove
agiscono, i generatori equivalenti di rumore e poi cercare adoperando le curve caratteristiche del
dispositivo o pi` u semplicemente i modelli circuitali per piccoli segnali di riportare tutti i generatori
fra i terminali di ingresso del dispositivo stesso, invece di lasciarli dislocati fra i vari nodi.
Questo modo di procedere `e utile perche consente spesso un confronto diretto del rumore intrinseco
del dispositivo col segnale che vogliamo amplicare; inoltre la soluzione del problema circuitale
associato allo studio della risposta al segnale aiuta a determinare anche la densit` a spettrale del
rumore in uscita (che `e poi quello che interessa), visto che i generatori di rumore si trovano in
congurazioni o identiche o simili a quelle del segnale. Nei casi in cui, come nel transistore bipolare, i
processi sici che ne determinano le caratteristiche di rumore sono tali da richiedere schematizzazioni
che dipendono dai dettagli del modello adottato per descrivere il dispositivo, allora si mantengono
64 [Cap. VI, 3]
talvolta i generatori nei rami o nei nodi dove essi naturalmente agiscono. Cos` facendo si approda ad
un modello equivalente per il rumore pi` u complicato, ma pi` u attinente alla sica del processo. Per
essere concreti, nel caso del transistore bipolare, un tipico schema, nella congurazione ad emettitore
comune che si adotta per il rumore del dispositivo, `e quello riportato nella Fig.1a):
R
b
i
bn
v
nc v
bn
e
c b
1/Y
R
b
i
bn
v
bn
i
cn
a) b)
e
c b
1/Y
Fig.VI.1
dove Y rappresenta lammettenza di ingresso e R
b
la resistenza in base. Molto schematicamente: il
generatore v
bn
rappresenta il rumore Johnson associato alla resistenza di base R
b
, il generatore i
bn

rappresenta il rumore shot associato alla corrente di base e inne il generatore v


cn
`e lequivalente in
base del rumore shot di corrente di collettore (disegnato nella parte b) della Fig.1). In altri termini
la parte b) della Fig.1 rappresenta meglio la sica alla base del rumore nel dispositivo; il passaggio
dalla rappresentazione b) a quella a) `e fatto sulla base del modello circuitale del transistore per
piccoli segnali, che ci assicura:
v
cn
=
i
cn

g
m
(VI.8)
dove g
m
rappresenta la tranconduttanza del transistore.
In bassa frequenza quindi tutti i generatori introdotti nello schema della Fig.1 sono caratterizzati
da rumore bianco e quindi le densit` a spettrali associate si possono esprimere come segue:
v
2
bn
/ = 4kTR
b
(VI.9a)
i
2
bn
/ = 2qI
B
2kTg
m
/
F
(VI.9b)
i
2
cn
/ = 2qI
C
2kTg
m
(VI.9c)
v
2
nc
/ = (i
2
cn
/)/g
2
m
= 2kT/g
m
(VI.9d)
La prima delle 9) `e la banale espressione del rumore Johnson alla R
b
; la seconda si ottiene dalla
relazione:
I
B
=
I
C

F
=
I
E

F
(
F
1,
F
1) (VI.10)
che, sostituita nella seconda delle 9), d`a:
i
2
bn
/ = 2q
I
E

F
(VI.11)
Daltra parte la corrente di emettitore I
E
`e esprimibile, in funzione della resistenza dinamica r
e
come
I
E
=
kT
qr
e
e quindi, ricordando che r
e
=

F
g
m
, otteniamo nalmente:
i
2
bn
/ = 2q

F
kT
qr
e
=
2kT

F
g
m
(VI.12)
[Cap. VI, 4] 65
Similmente per i
2
cn
/, tenendo conto che I
C
=
F
I
E
=
F
kT
qr
e
= kTg
m
, abbiamo:
i
2
cn
/ = 2kTg
m
(VI.13)
In questo modello si considerano indipendenti le uttuazioni delle correnti di base e di collettore.
La schematizzazione corrispondente alle 9) `e sicuramente assai rozza. Una pi` u attenta analisi mostra
che le densit`a spettrali che compaiono nella 9) non sono bianche: in particolare il rumore della
corrente di base i
2
bn
/ aumenta in bassa frequenza sensibilmente (un tipico contributo 1/f) e
aumenta anche in alta frequenza. Sar`a il costruttore a darci gli andamenti delle densit` a spettrali
associate ai vari generatori. Se il costruttore adotta un modello specico per i generatori di rumore,
sar`a sua cura indicarlo, insieme con gli spettri di potenza dei generatori introdotti.
Molto grossolanamente (e nelle zone dove gli spettri di potenza sono approssimativamente costanti)
gli ordini di grandezza del rumore sono:

v
2
nc
/ nV/

Hz e

i
2
bn
/ pA/

Hz. Il
costruttore, quando sia rilevante, riporta gli spettri di potenza associati ai vari generatori anche in
funzione della polarizzazione del transistore (cio`e del punto di lavoro).
4. Il rumore nel transistore a eetto di campo a giunzione
Il transistore a eetto di campo a giunzione (JFET) `e uno dei dispositivi elettronici che meglio si
prestano a fungere da primo stadio di amplicazione, principalmente perche presenta ottime caratte-
ristiche di rumore. Le due principali sorgenti di rumore nel JFET sono: la corrente di polarizzazione
inversa I
G
del diodo gate-canale (contropolarizzato nelle condizioni normali di lavoro) e il rumore
Johnson associato alla resistivit`a della zona del canale. Sfruttando la relazione che lega la variazione
della dierenza di potenziale fra gate e source alla variazione della corrente di drain: v
gs
= i
ds
/g
m
,
abbiamo la rappresentazione circuitale equivalente del rumore del JFET, rappresentata nella Fig.2,
parte a), mentre la parte b) colloca i generatori l`a dove le uttuazioni traggono vera origine:
v
nD
i
Gn
i
Gn
a)
G
D
S
b)
G
D
S
i
Dn
Fig.VI.2
In prima approssimazione (R
c
rappresenta la resistenza di canale):
i
2
Gn
/ = 2qI
G
(VI.14a)
i
2
Dn
/ = 4kT/R
c
(VI.14b)
v
2
nD
/ = (i
2
Dn
/)/g
2
m
= 4kT/(R
c
g
2
m
) (VI.14c)
66 [Cap. VI, 5]
Con riferimento alla Fig.2 a), il generatore di tensione `e spesso indicato col nome di generatore di
rumore serie, mentre quello di corrente come generatore di rumore parallelo.
Nelle geometrie tipiche dei JFET la transconduttanza g
m
e la resistenza di canale R
c
sono legate
da una relazione di proporzionalit` a inversa, per cui euristicamente abbiamo una espressione per
v
2
nD
/ del tipo:
v
2
nD
/ = 2.7kT/g
m
(VI.15)
Quantitativamente la 15) per un JFET con g
m
10 mAV
1
d`a, a T = 300 K,

v
2
nD
/
1 nV/

Hz.
La piccolezza della corrente I
G
, caratteristica di un diodo contropolarizzato, fa s` che nelle normali
condizioni di impiego, ovvero quelle in cui la resistenza serie del generatore di tensione applicato
al gate `e decisamente inferiore ai M, la parte dovuta al rumore parallelo (alcuni fA/

Hz) sia
trascurabile rispetto alleetto associato al generatore serie. Quanto al contributo di rumore serie si
vede dalla 15) che a parit` a di altre condizioni, in particolare I
G
e la temperatura per applicazioni
di basso rumore sono da preferire i JFET con transconduttanza elevata; oltretutto questa ricetta `e
abbastanza naturale e ovvia, visto che nellutilizzo del JFET come amplicatore il guadagno (o la
stabilit` a, se il sistema `e reazionato) cresce con g
m
ed `e quindi di interesse che essa sia elevata.
Per quanto riguarda gli spettri di potenza dei generatori serie e parallelo, che no a questo punto
sono da aspettarsi bianchi, in realt`a si osserva un aumento dei contributi di rumore a frequenze
basse (in particolare le uttuazioni della corrente I
G
dovute alle perdite superciali contribuiscono
con rumore 1/f con
0
della V.75 attorno alla decina di kHz) e a frequenze elevate.
Anche per il JFET valgono le considerazioni svolte per il transistore bipolare: il costruttore fornisce
gli andamenti dello spettro di potenza serie e parallelo in funzione della frequenza, normalmente
attenendosi allo schema presentato nella Fig.2. Poiche le caratteristiche di rumore possono dipendere
anche dal punto di lavoro (oltre alla ovvia dipendenza dal punto di lavoro di g
m
nel generatore serie),
il costruttore riporta talvolta gli andamenti degli spettri di potenza serie e parallelo in funzione dei
parameri di polarizzazione.
5. Il rumore negli amplicatori
Dato un amplicatore base del tipo riportato in Fig.3
+ A
Fig.VI.3
`e spesso di interesse conoscerne le caratteristiche in termini di rumore. Normalmente vengono
introdotti i contributi serie e parallelo, come visto nel caso del JFET, riportati nel circuito equivalente
[Cap. VI, 5] 67
di Fig.4 nella quale lamplicatore ideale `e completato dai generatori di rumore anzidetti.
i
n
e
n
A
+
Fig.VI.4
Ovviamente il terminale di ingresso accessibile allutente `e quello marcato + nella Fig.4.
Naturalmente i due generatori di rumore introdotti schematizzano leetto del rumore associato ai
dispositivi elettronici presenti nellamplicatore, descritti nei paragra precedenti.
Il costruttore del dispositivo avr` a cura di fornire le densit`a spettrali di rumore dei due generatori in
funzione della frequenza ed eventualmente delle condizioni di polarizzazione del dispositivo.
Nella Fig.4 si `e implicitamente assunto che limpedenza di ingresso dellamplicatore sia sostanzial-
mente innita; in altre parole si assume che lamplicatore in studio, almeno per quanto riguarda
gli ingressi (il terminale + e il riferimento) sia un misuratore ideale di tensione. Tenendo presente
questa precisazione, `e spesso utile caratterizzare lamplicatore con la cosidetta cifra di rumore
NF (noise gure). Essa `e denita considerando lamplicatore in questione e collegando lingresso
al terminale di riferimento tramite una resistenza R
s
, pari a quella del generatore di segnale che
vogliamo poi utilizzare (Fig.5):
i
n
e
n
A
R v
out
s
Fig.VI.5
La cifra di rumore NF `e denita come:
NF = 10 log
10
F (VI.16)
dove F `e il rapporto fra la densit` a spettrale di rumore in uscita dellamplicatore reale e quella
dellamplicatore ideale (quello cio`e senza i generatori di rumore). Ammettendo, come stiamo
facendo, che limpedenza di ingresso sia innita e che il guadagno A sia un numero reale su tutto
lambito di frequenze studiato, F vale:
F =
4kTR
s
+e
2
n
/ +i
2
n
/ R
2
s
4kTR
s
(VI.17)
Pertanto
NF = 10 log
10

1 +
e
2
n
/ +i
2
n
/ R
2
s
4kTR
s

(VI.18)
68 [Cap. VI, 5]
Linteresse della conoscenza di NF risiede principalmente nel fatto che, almeno nei limiti delle
schematizzazioni adottate, la cifra di rumore permette di valutare direttamente il contributo ag-
giuntivo di rumore introdotto dallamplicatore rispetto a quello che sarebbe comunque presente in
quanto dovuto al rumore Johnson associato alla resistenza R
s
in serie al generatore.
Va da se che, a parit` a di altre caratteristiche, in particolare della resistenza R
s
, della risposta in
frequenza e del guadagno A, la scelta dellamplicatore cadr` a su quello che d`a la cifra di rumore pi` u
piccola.
Per un dato amplicatore il costruttore talvolta indica la cosidetta resistenza ottimale R
so
, ovvero
quella resistenza in serie al generatore che minimizza la cifra di rumore. Derivando largomento del
logaritmo nella 18) e imponendo la stazionariet`a, otteniamo:
R
so
=

e
2
n
/
i
2
n
/
(VI.19)
Si badi bene che la indicazione della resistenza ottimale signica che, in presenza di un gene-
ratore con R
so
in serie, il nostro amplicatore funziona meglio di un altro con pari caratteristiche
ma con resistenza ottimale dierente. Non vuole certo dire che se per caso il nostro generatore
ha una resistenza in serie inferiore alla R
so
dellamplicatore che stiamo utilizzando, sia opportuno
aggiungerne una in serie no a raggiungere R
so
.
Nel prossimo capitolo, invece di esaminare lamplissima casistica che potrebbe essere riportata
riguardo al calcolo del rumore elettronico e della ottimizzazione del rapporto segnale/rumore, faremo
un solo esempio di ottimizzazione di questo rapporto su un caso di notevole interesse nel campo delle
misure di sica, ovvero della misura di (piccole) quantit`a di carica, rilasciate nei rivelatori a semi-
conduttore dalle radiazioni ionizzanti.
G.Poggi: Appunti sul rumore elettrico; Cap.VI
Firenze, 11 giugno 2004
VII
UN ESEMPIO DI CALCOLO DI RUMORE
ELETTRONICO
1. Il rivelatore al Silicio
In questo capitolo esaminiamo in dettaglio un rivelatore al Silicio e la sua catena elettronica di
preamplicazione, amplicazione e formazione.
Non descriveremo in dettaglio il funzionamento di un rivelatore al Silicio, ma ci limitiamo a dire
che esso, almeno nella applicazione che ci interessa, `e costituito da un diodo a giunzione con la zona
n
++
fortemente drogata e molto sottile e una zona di bulk di tipo p a drogaggio molto inferiore. La
supercie della giunzione (nel piano perpendicolare alla direzione lungo la quale si sviluppa la bar-
riera) pu`o essere di alcuni cm
2
, lo spessore della zona n
++
di meno di 1 m e lo spessore della zona
p di alcune centinaia di m. Quando il diodo che costituisce il rivelatore viene contropolarizzato
(30 50 V o pi` u) si forma una zona di svuotamento che a causa del basso drogaggio della zona
p del bulk arriva ad estendersi per tutto lo spessore del rivelatore. La zona di svuotamento, libera
da portatori di carica, `e sede di un forte campo elettrico.
Uno schizzo del rivelatore che mostra una sua sezione trasversale `e mostrata nellinserto b) della
Fig.1. Il rivelatore `e indicato col simbolo circuitale del diodo, aancato dal valore di capacit`a C
D
che gli compete e che lo caratterizza dal punto di vista sia del segnale che del rumore, come sar`a
chiaro nel seguito.
R
f
C
f
C
A
R
B
Q
s
i(t)
v
OPA
v
OSH
b)
RIVELATORE +
+
+

C
P
C
D
a)
SHAPER
PA
HV
n
p
++
+

+
Fig.VII.1
70 [Cap. VII, 2]
Se una particella ionizzante penetra nel rivelatore (o della radiazione luminosa investe la super-
cie della zona n
++
) vengono prodotte delle coppie elettrone-lacuna nella zona di svuotamento *.
Le cariche prodotte, sotto lazione del campo elettrico applicato, cominciano a muoversi verso gli
elettrodi (gli elettroni verso il catodo n
++
e le lacune verso lanodo). Durante il loro moto nella
zona della barriera le cariche inducono nel circuito esterno una corrente, che si esaurisce quando esse
raggiungono gli elettrodi (trascurando gli eetti dovuti alla propagazione del campo elettromagne-
tico sulle dimensioni nite del circuito connesso al rivelatore). Lintegrale dellimpluso di corrente
prodotto dal moto delle cariche `e uguale al valore assoluto dei due tipi di carica (lacune e elettroni)
liberati dalla particella (o dai fotoni) nel rivelatore. A sua volta la carica `e proporzionale alla energia
perduta dalla particella ionizzante (o al numero di fotoni che hanno investito lanodo). Pertanto
linteresse primario consiste nella misura della carica e infatti la catena elettronica accoppiata al
rivelatore `e proprio dedicata alla amplicazione e misura di questa carica, ottimizzando il rapporto
segnale/rumore.
2. La catena di misura
La catena elettronica di misura `e riportata nella Fig.1. Q
s
i(t) rappresenta il generatore di
corrente che descrive il comportamento del rivelatore al Silicio in seguito al passaggio della particella
ionizzante. Il segnale i(t) `e pensato normalizzato ad area unitaria; esso ha usualmente una estensione
temporale di alcuni ns o meno, in pratica il tempo che le cariche liberate impiegano a raggiun-
gere gli elettrodi (lo spessore della zona di barriera `e di almeno due ordini di grandezza superiore
a quella dei diodi progettati per applicazioni circuitali); nel seguito assumeremo i(t) = (t), ovvero
un segnale di durata nulla. Il rivelatore, dal punto di vista circuitale, in quanto costituito da un
diodo contropolarizzato si rappresenta assai fedelmente con una capacit`a C
D
(che ammonta a circa
100 pF per ogni cm
2
di supercie e per 100 m di spessore di svuotamento). R
B
(10 M o pi` u) `e la
resistenza in serie al generatore di tensione HV che assicura la contropolarizzazione del rivelatore.
La resistenza R
B
deve essere inserita (e poi vedremo che deve essere anche di valore elevato) non
fosse altro perche, se HV fosse collegato direttamente al rivelatore, tutta la corrente Q
s
i(t) verrebbe
assorbita dal generatore ideale di tensione HV (un cortocircuito per il segnale). C
A
(dellordine di
0.1 F) `e una capacit`a che serve a disaccoppiare la tensione ai capi del rivelatore dalla massa virtuale
delloperazionale. Il valore di C
A
`e talmente superiore a C
D
che il suo eetto sul segnale sar`a igno-
rato nel seguito e la sostituiremo concettualmente con un cortocircuito. C
P
(< 10 pF, tipicamente)
rappresenta la capacit`a parassita allingresso del circuito operazionale, dovuta ai collegamenti e
allo stadio di ingresso. Il blocco PA `e il cosidetto preamplicatore (di carica): esso ha il compito di
fornire in uscita una tensione V
OPA
(V output pre-amplier) proporzionale allintegrale di Q
s
i(t),
ovvero Q
s
. C
f
(1 2 pF) `e la capacit`a in reazione alloperazionale che funge quindi da integratore
di Miller. A (1) rappresenta il guadagno del blocco base. Spesso la capacit`a C
f
si richiude (come
nel tratteggio) a monte di C
A
, cos` da rendere leetto di C
A
sul segnale ancor meno importante.
R
f
(tipicamente > 100 M) ha la funzione principale di correggere come vedremo nel seguito
* Per la rivelazione di particelle ionizzanti si ha spesso interesse ad avere spessori elevati per
frenarle maggiormente e far loro perdere pi` u energia; per i fotoni nel visibile questo interesse non
esiste dato il loro bassissimo potere penetrante. Comunque una profonda zona di svuotamento `e utile
lo stesso, come vedremo successivamente, per il beneco eetto associato alla diminuita capacit`a
[Cap. VII, 3] 71
la risposta ideale di un integratore matematico e permette di scaricare dinamicamente luscita
delloperazionale senza che si debba ricorrere a circuiti dedicati per la scarica del condensatore C
f
dopo ogni integrazione. Nel seguito, in gran parte della trattazione, il suo eetto sul segnale verr`a
trascurato.
Lo shaper o formatore, che riceve ai terminali di ingresso luscita del PA, ha la funzione, che
sar`a ampiamente discussa nel seguito, di amplicare e ltrare in frequenza il segnale, preservando
linformazione della carica raccolta Q
s
e ottimizzando il rapporto segnale/rumore.
3. La risposta della catena elettronica al segnale
Consideriamo ora la risposta del nostro circuito ad un segnale in ingresso, con andamento a
(t). Come anticipato, trascuriamo leetto sul segnale di R
B
, R
f
e C
A
, almeno per ora. Lo
studio della risposta al segnale viene fatto ammettendo lassenza di eetti di rumore elettrico, che
saranno considerati nel seguito; ammettiamo il circuito perfettamente lineare, per cui tratteremo
separatamente gli eetti del segnale e del rumore.
Con riferimemto alla Fig.2, sappiamo che nel lim
A
, la risposta del PA vale
v
OPA
C
P
v
OPA C
f
Q
s
()
t
C
D
+

Fig.VII.2
V
OPA
=
Q
s
C
f
t 0, = 0 t < 0 (VII.1)
dove la polarit`a del segnale dipende dallaver assunto (coerentemente con la polarizzazione del rivela-
tore) una corrente positiva come disegnata. Nella Fig.2, a destra, `e riportato landamento a gradino
del segnale di uscita.
C
D
C
P
v
i
v
i
A
Q
s
()
+ +
C
M

72 [Cap. VII, 3]
Fig.VII.3
Se A `e nito, sfruttando il teorema di Miller, abbiamo lo schema equivalente di Fig.3, dove C
M
rappresenta la capacit`a Miller riportata in ingresso: C
M
= C
f
(1 +A):
v
i
=
Q
s
C
D
+C
P
+C
M
=
Q
s
C
D
+C
P
+C
f
(1 +A)
=
Q
s
C +AC
f
t 0 (VII.2)
V
OPA
= Av
i
= A
Q
s
C +AC
f
=
Q
s
C
f
+ C/A
t 0 (VII.3)
con C = C
D
+ C
P
+ C
f
. Si vede che rispetto al caso di aver assunto un guadagno innito, a
denominatore c`e un termine correttivo tanto pi` u piccolo quanto maggiore `e A. Nella Fig.4 riportiamo
landamento della tensione V
OPA
:
Fig.VII.4
Se teniamo conto della resistenza R
f
, la risposta al tempo t = 0 non cambia, ma per t > 0 la ddp
decade esponenzialmente con costante di tempo
f
= C
f
R
f
:
V
OPA
=
Q
s
C
f
+ C/A
e
t/
f
(VII.4)
Valori tipici: C
f
1 pF, R
f
100 M 1 G e pertanto
f
100 s 1 ms.
Studiamo ora il trattamento di questo segnale eettuato dal cosidetto Shaper o Formatore. In realt`a
si tratta di un Formatore + Amplicatore. Esso `e tipicamente costituito da un ltro passa banda,
con frequenza centrale attorno al MHz. Al momento sorvoliamo sui motivi che portano ad uti-
lizzare un Formatore siatto. Ricordiamo soltanto che la grandezza che vogliamo misurare `e Q
s
e
che il preamplicatore presenta una uscita che raggiunge una ampiezza proporzionale a Q
s
in tempi
brevissimi; pertanto, alluscita del PA linformazione su Q
s
`e disponibile non appena `e avvenuto
il passaggio di corrente. Nel caso semplicato che stiamo trattando, il tempo di passaggio della
corrente `e addirittura nullo (corrente con andamento a (t)) e nei casi reali comunque il segnale di
corrente dura alcuni ns. Tutto questo signica che linformazione su Q
s
`e estraibile senza problemi
sui tempi tipici corrispondenti alla banda passante denita dallo Shaper ( MHz). Vediamo in
dettaglio come questo avviene.
Il ltro passa banda pu`o essere realizzato come la successione di di un ltro C R passa alto e di
un ltro R C passa basso, disaccoppiati da un amplicatore ideale di tensione con guadagno G
(lamplicatore di cui si diceva prima). Lo schema `e riportato il Fig.5a.
[Cap. VII, 3] 73
C
1
V
1
R
1
R
2
C
2
R
1
R
2
C
2
C
1
a) b)
ISH OSH ISH OSH OPA
v v v v v
G
+

Fig.VII.5
Il disaccoppiamento fra i due ltri non `e essenziale, ma semplica leggermente lo studio della risposta;
tuttavia in pratica quasi mai si ricorre allo schema del tipo proposto in Fig.5a; si preferiscono piut-
tosto schemi del tipo di Fig.5b, per il quale `e semplice far vedere che, a parte un fattore reale
moltiplicativo, la funzione di trasferimento `e uguale a quella del circuito mostrato in Fig.5a. Co-
munque nel seguito faremo sempre riferimento allo schema di principio di Fig.5a.
Si tratta ora di calcolare luscita V
OSH
in risposta alla tensione a gradino (step) in ingresso. Il
metodo pi` u semplice per trovare la soluzione sarebbe quello di utilizzare le tecniche di Trasformata
di Laplace. Tuttavia `e relativamente semplice trovare landamento del segnale nei vari stadi del
Formatore risolvendo il circuito elementarmente nel dominio del tempo.
Calcoliamo innazitutto landamento temporale della tensione V
1
; la step (V
0
=
Q
s
C
f
+ C/A
) `e simu-
lata da un generatore di tensione (ammettiamo che limpedenza di uscita del PA sia trascurabile)
che si chiude istantaneamente al tempo t = 0 sul partitore C
1
R
1
(Fig.6; nel seguito
1
= R
1
C
1
e

2
= R
2
C
2
):
0
1
1
1
R
C
V
V

+
Fig.VII.6
dalla II legge di Kirchho abbiamo (per t > 0):
V
0
= i
1
R
1
+
q
1
C
1
=
dq
1
dt
R
1
+
q
1
C
1
(VII.5)
Come soluzione particolare possiamo prendere:
Q
p
1
= C
1
V
0
= cost (VII.6)
e quindi aggiungere la soluzione della equazione omogenea associata:
q
o
1
(t) = Q
o
1
e
t/
1
(VII.7)
74 [Cap. VII, 3]
Per la soluzione completa (q
o
1
(t) +Q
p
1
), imponendo le condizioni iniziali (Q
1
= 0), abbiamo:
V
1
(t) = V
0
Q
1
(t)/C
1
= V
0
e
t/
1
(VII.8)
Questa tensione viene presentata tal quale allingresso del secondo ltro (passa basso) dal ripetitore
di tensione (poniamo al momento G = 1).
Nella Fig.7 `e rappresentata la seconda parte della formazione del segnale:
1
V (t)
V e
0
t/
1
V
R
C
2
2
(t)
Fig.VII.7
Applicando la II legge di Kirchho abbiamo:
V
1
(t) = i
2
R
2
+
q
2
C
2
=
dq
2
dt
R
2
+
q
2
C
2
(VII.9)
Cerchiamo la soluzione particolare nella forma
q
p
2
= Q
p
0
e
t/
1
(VII.10a)
dq
p
2
dt
=
Q
p
0

1
e
t/
1
(VII.10b)
La 10b), sostituita nella 9) d`a:
V
0
=
R
2

1
Q
p
o
+
Q
p
o
c
2
(VII.11)
ovvero otteniamo
Q
p
o
=
V
0
C
2

2
(VII.12)
Troviamo ora la soluzione dellequazione omogenea associata nella forma:
q
o
2
(t) = Q
o
2
e
t/
2
(VII.13)
Pertanto per la soluzione completa q
2
(t) otteniamo:
q
2
(t) =
V
0
C
2

1
e
t/
1
+Q
o
2
e
t/
2
(VII.14)
Per la derivata di q
2
(t) otteniamo:
dq
2
(t)
dt
= i
2
(t) =
V
0
C
2

1
e
t/
1

Q
o
2

2
e
t/
2
(VII.15)
Imponendo che la corrente a t = 0 valga
V
0
R
2
(il condensatore ha una ddp nulla ai suoi capi inizial-
mente in quanto scarico), abbiamo la prescrizione su Q
o
2
:
V
0
R
2
=
V
0
C
2

Q
o
2

2
(VII.16)
[Cap. VII, 3] 75
e quindi
Q
o
2
=
2
V
0
(
C
2

1
R
2
) = V
0
C
2

1
(VII.17)
Pertanto:
q
2
(t) =
V
0
C
2

1
( e
t/
2
e
t/
1
) (VII.18)
e
V
OSH
=
q
2
(t)
C
2
=
V
0

1
( e
t/
2
e
t/
1
) (VII.19)
Nella pratica si pone
1
=
2
e quindi occorre calcolare il limite della 19) per
1

2
= (si noti lo
zero al numeratore e al denominatore per
1
=
2
). Otteniamo allora:
V
OSH
(
1
=
2
= ) = lim

2
V
0

1
e
t/
2
(1 e
t(1/
1
1/
2
)
) =
=
V
0

1
e
t/
2
t (1/
1
1/
2
) = V
0
t

e
t/
(VII.20)
con, ricordiamolo, V
0
=
Q
s
C
f
+ C/A
. Landamento di V
OSH
`e riportato in Fig.8.
Fig.VII.8
Il massimo, che `e raggiunto per t
M
= , vale V
0
/e, con e numero di Nepero. Il segnale ha una
estensione temporale eettiva dellordine di alcuni , che vedremo essere nei casi reali attorno al s.
Linformazione sulla quantit`a da misurare `e tutta contenuta nel massimo (detto anche ampiezza
del segnale). Se lamplicatore che disaccoppia i due ltri presenta un guadagno G, la tensione
in uscita dallo Shaper viene semplicemente moltiplicata per G (nella solita ipotesi che G sia una
costante reale, ovvero che lamplicatore abbia una risposta indipendente dalla frequenza).
La misura di Q
s
quindi pu`o essere fatta da un ADC che misura lampiezza del segnale alluscita del
Formatore. Questa `e infatti la procedura normalmente seguita; le conversioni dellADC (detto di
picco per la funzione svolta di misura del massimo) vengono poi classicate in modo da disporre
delle distribuzioni delle ampiezze dei segnali provenienti dal rivelatore. Se i segnali fossero tutti
identici, ovvero fossero identiche le cariche Q
s
depositate dalle particelle, se fossimo in assenza di
rumore e le uttuazioni nelle conversioni assenti, le classicazioni nellistogramma interesserebbero
un unico canale in cui si addenserebbero tutti i conteggi. La presenza del rumore, come vedremo in
dettaglio, allarga questa distribuzione.
Prima di passare ad arontare il problema del calcolo del rumore nel nostro sistema, ricordiamo la
funzione complessiva svolta dal sistema preamplicatore+formatore:
1. il preamplicatore di carica produce in uscita un segnale a gradino con una altezza proporzionale
alla carica; se il guadagno A del blocco amplicatore base `e 1 (e tipicamente vale 10
4
10
5
),
76 [Cap. VII, 3]
luscita dipende solo da Q
s
e dal valore della capacit`a C
f
che deve essere ad alta stabilit`a, in
particolare con bassissimo coeciente di temperatura. La preamplicazione di carica si preferisce
in genere rispetto ad altre soluzioni proprio perche essa d`a una risposta praticamente indipendente
(nel solito limite su A molto grande) dalla capacit`a C
D
del rivelatore che non `e particolarmente
stabile e controllata: per esempio, se invece di usare un preamplicatire di carica avessimo usato un
preamplicatore di tensione, avessimo cio`e misurato la tensione che si sviluppa ai capi del rivelatore
a seguito dellimpulso di corrente, avremmo in questo caso avuto V
D
=
Q
s
C
D
+C
P
e quindi la
risposta sarebbe venuta a dipendere da C
D
e C
P
, entrambe molto poco sotto il nostro controllo e
non particolarmente stabili in funzione della temperatura (inoltre si ricorder`a che C
D
varia con la
tensione di contropolarizzazione applicata al rivelatore).
2. il formatore preserva linformazione su Q
s
, ma conna temporalmente il segnale in un ambito
ristretto di tempo. Vedremo che questo ha un eetto beneco sul rapporto segnale/rumore. Tuttavia,
anche se il rumore non fosse presente, esiste comunque un vantaggio nella formazione su tempi
brevi. Infatti, supponiamo che i segnali arrivino sul rivelatore, separati da una dierenza di tempo
dellordine di una decina di s; si ricorda che i tempi di arrivo delle particelle sono normalmente
fuori dal controllo stretto dello sperimentatore e quindi quei 10 s vanno pensati come valore medio
di un intervallo di tempo uttuante fra un impulso e un altro. Se volessimo misurare le ampiezze
alluscita del PA andremmo rapidamente in dicolt`a a causa del cosidetto impilamento dei segnali
(vedi Fig.9a).
Fig.VII.9
Invece, come mostrato nella parte b della gura, alluscita del formatore i segnali compaiono ben
separati e la determinazione del massimo non presenta alcuna dicolt`a aggiuntiva rispetto al caso
di segnale isolato. Sulla base di questo argomento, sembrerebbe anzi che convenisse diminuire al
massimo la durata della formazione, preservando solo il vincolo ovvio che il tempo della formazione
fosse superiore alla durata dellimpulso di corrente (che, come sappiamo, non `e proprio una (t)). A
parte questultimo vincolo, che in pratica porrebbe un limite inferiore per dellordine di 1050 ns
per rivelatori al Silicio, sar`a proprio lesame del rumore del nostro sistema a insegnarci che il valore
[Cap. VII, 4] 77
di `e determinato da un compromesso che ottimizza il rapporto segnale/rumore e di fatto preclude
una riduzione acritica del tempo di formazione .
4. La risposta dello shaper nel dominio delle frequenze
Per quanto riguarda il segnale non ha alcun interesse la risposta del formatore (ne del pream-
plicatore) nel dominio delle frequenze, ovvero alleccitazione sinusoidale. Tuttavia sappiamo che
non appena si voglia arontare il problema del rumore diventa fondamentale conoscere la funzione
di trasferimento della rete lineare esaminata.
Esaminiamo quindi la funzione di trasferimento del formatore fra ingresso e uscita, rimandando al
paragrafo successivo lanalogo calcolo per il PA: per questultimo, a causa delle diverse collocazioni
delle sorgenti siche di rumore, lanalisi si deve dierenziare per le diverse funzioni di trasferimento,
mentre nel caso del formatore una sola `e la funzione di trasferimento di interesse (appunto quella
fra ingresso e uscita).
Lanalisi in frequenza dello shaper `e banale in quanto si tratta di calcolare la funzione di trasferimento
di un circuito CR RC passabanda, con due ltri totalmente disaccoppiati:
/
SH
=
j
1
1 +j
1
1
1 +j
2
(VII.21)
Per
1
=
2
= otteniamo:
/
SH
=
j
(1 +j)
2
(VII.22)
e per il modulo:
[/
SH
[ =

1 +
2

2
(VII.23)
Calcoliamo ora quanto vale il massimo di [/
SH
[ e dove si colloca in funzione della frequenza.
Si trova che :
d[/
SH
[
d
= 0 (VII.24)
comporta:

M
= 1/ (VII.25)
come era facilmente immaginabile, ricordando gli eetti di taglio dei due ltri separati. Proprio
basandosi sulle propriet`a dei ltri separati, si deduce subito una attenuazione di 6dB; infatti
ognuno dei due ltri alla pulsazione
M
= 1/ riduce lampiezza di 3dB.
Nella rappresentazione [/
SH
[
dB
in funzione del logaritmo della pulsazione, abbiamo la curva mo-
strata in Fig.10.
78 [Cap. VII, 5]
Fig.VII.10
Nella gura sono mostrati anche gli andamenti separati del ltro passa basso e passa alto.
E di notevole interesse per la discussione che seguir`a determinare la larghezza della curva [/
SH
[
in funzione della pulsazione; determiniamo quindi qual `e lambito di pulsazioni per cui la curva si
mantiene al di sopra di 1/

2 volte del massimo.


Imponiamo quindi (i pedici i e s si riferiscono al valore inferiore e superiore rispettivamente):

i,s

1 +
2
i,s

2
=
1
2

2
(VII.26)
Svolgendo i calcoli si trova che la zona in cui la curva si mantiene al di sopra di 1/

2 volte del
massimo, vale:
()
9dB
=
2

(VII.27)
ovvero ()
9dB
=
1

. Il calcolo mostra che lintervallo `e simmetrico attorno al massimo su carta


logaritmica, ma non su scala lineare: il limite inferiore vale
i
= (

21)/, mentre quello superiore

s
= (

2 + 1)/.
In ogni caso la larghezza della banda di frequenze trasmesse dal ltro `e proporzionale allinverso
della costante di tempo , ovvero `e direttamente proporzionale al valore della pulsazione
M
di
centro banda.
5. Lindividuazione delle sorgenti di rumore
Se si monta una catena di misura del tipo rappresentato in Fig.1 e si vanno ad esaminare
alloscilloscopio le varie tensioni di interesse, ci si accorge della presenza di signicative componenti
di rumore. Questo avviene semplicemente perche, essendo la catena di misura progettata per misu-
rare segnali di entit`a molto piccola (anche solo poche centinaia di cariche elettroniche), di necessit`a
si riesce a mettere in evidenza il rumore che `e sempre presente, ma percepito solo in presenza di
sistemi ad alta sensibilit`a come il nostro.
E opportuno, per prima cosa, individuare le sorgenti di rumore presenti nel circuito: per far questo
sfrutteremo ovviamente quello che abbiamo imparato sulle sorgenti siche di rumore nei capitoli
[Cap. VII, 6] 79
precedenti. Concentreremo comunque la nostra analisi in quelle zone del circuito dove il segnale viene
generato e subisce il primo trattamento: infatti `e quella la zona nella quale qualunque disturbo viene
amplicato e comparir`a alluscita. Chiariamo a questo proposito n dora che per questo motivo
non considereremo le sorgenti di rumore nella parte di circuito a valle del primo stadio di pream-
plicazione; quindi in particolare il rumore termico delle resistenze, il rumore shot delle correnti e
tutte le sorgenti di rumore dei dispositivi elettronici che non siano quelli del primo stadio di ingresso,
saranno ignorati; nei casi pratici, sar`a opportuno vericare laccuratezza di questa schematizzazione,
eventualmente ricorrendo a misure dedicate.
I contributi al rumore elettronico nella zona di ingresso del PA sono identicati in maniera rela-
tivamente semplice e qui di seguito li elenchiamo, rimandando a dopo lanalisi quantitativa del loro
eetto:
1. il rivelatore `e un diodo a giunzione contropolarizzato e pertanto presenta una corrente di satura-
zione inversa I
B
(detta anche corrente di buio), caratterizzata da full shot noise con densit`a spettrale
di rumore: w
I
B
I
= 2qI
B
. Questa corrente, essendo le dimensioni del diodo molto superiori a quelle
dei diodi impiegati per applicazioni circuitali, `e spesso abbastanza superiore al nA e normalmente
cresce con il prolungarsi dellutilizzo del rivelatore, a causa del danneggiamento da radiazione. Topo-
logicamente il generatore di corrente di rumore si colloca esattamente come quello di segnale: infatti
tale corrente, come quella di segnale, `e generata allinterno del rivelatore;
2. la resistenza R
B
di polarizzazione (o di Bias) presenta rumore Johnson. Conviene adottare per
essa la rappresentazione di un generatore di corrente con densit`a spettrale w
R
B
I
= (4kT)/R
B
, in
parallelo a R
B
. In questo modo, essendo HV schematizzabile come un generatore ideale di tensione
e quindi sostituibile con un cortocircuito verso massa secondo il Principio di sovrapposizione, il gene-
ratore di corrente di rumore si colloca anchesso nella stessa congurazione circuitale del generatore
associato alla corrente di buio e quindi di segnale;
3. la resistenza in reazione R
f
presenta pure rumore Johnson. Schematizzando anche in questo caso
il rumore col generatore di corrente associato, si approda, come vedremo meglio nel seguito, ad una
congurazione uguale a quella degli altri generatori di rumore nora considerati;
4. lo stadio di ingresso del PA, che `e normalmente costituito da un JFET, presenta rumore. Come si
fa usualmente, si rappresenta leetto complessivo tramite due generatori, uno di corrente I
Fet
con
densit`a spettrale w
Fet
i
= 2qI
Fet
che rappresenta il cosidetto rumore parallelo e uno di tensione con
densit`a spettrale w
Fet
v
che rappresenta il rumore serie. Il generatore di corrente, essendo posto fra
lingresso e massa, si colloca esattamente come tutti gli altri generatori di rumore n qui considerati,
mentre il generatore di rumore serie ha una sua collocazione circuitale particolare.
Sappiamo che per trovare leetto che questi generatori di rumore hanno sulluscita dello shaper,
dobbiamo calcolare la funzione di trasferimento fra i generatori di rumore considerati e luscita sopra
detta. Per tutti i generatori che abbiamo individuato, salvo il generatore di rumore serie allingresso
del JFET, la funzione di trasferimento `e sempre la stessa e uguale a quella del segnale. Questa `e
una grossa semplicazione nel calcolo, che purtroppo non interviene quando si tratter`a di studiare
il rumore serie del JFET.
Per entrambi le due congurazioni, il calcolo della funzione di trasferimento verr`a eettuato in due
passi: prima la funzione di trasferimento fra i generatori di rumore e luscita del PA e poi la funzione
di trasferimento fra lingresso dello shaper (ovvero luscita del PA) e la sua uscita. La funzione di
trasferimento complessiva, ovvero dal generatore di rumore alluscita dello shaper, sar`a data dal
prodotto delle due funzioni, visto che abbiamo ammesso impedenza nulla di uscita del PA.
Procediamo quindi al calcolo delle funzioni di trasferimento fra i generatori di rumore e luscita del
80 [Cap. VII, 6]
PA.
6. Il calcolo della funzione di trasferimento fra i generatori di rumore
e luscita del preamplicatore
Come abbiamo appena visto, tutte le sorgenti di rumore, salvo quella del rumore serie del
JFET, hanno la medesima congurazione circuitale del generatore di corrente di segnale. Per prima
cosa, quindi, calcoliamo la funzione di trasferimento del segnale (rispetto ai terminali di uscita del
PA). Ricordiamo che non abbiamo eettuato questo calcolo quando abbiamo studiato la risposta
al segnale in quanto questultimo non `e sinusoidale, ma approssimativamente rappresentabile con
una (t) (la conoscenza della funzione di trasferimento ci sarebbe stata comunque utile perche
la sua FT
1
ci avrebbe dato proprio la risposta alla quale eravamo interessati). Per ottenere la
funzione di trasferimento, potremmo ora calcolare la FT della funzione di risposta, data dalla 3) o
-pi` u accuratamente dalla 4); comunque, pur essendo possibile procedere con questo metodo, molto
rapido e formale e tutto sommato non particolarmente istruttivo, preferiamo arontare il calcolo
esplicito della funzione di trasferimento, per altro estremamente semplice.
Con riferimento alla Fig.11 e applicando il metodo simbolico, abbiamo:
C
P
C
f
I
s V
s
C
D
+

Fig.VII.11
1
s
=
1
s
jC
f
(VII.28)
cio`e per la funzione di trasferimento otteniamo:
/
I
=
1
s
1
s
=
1
jC
f
(VII.29)
Si sar`a notato che abbiamo fatto il calcolo nella ipotesi semplicativa di guadagno A innita-
mente grande del blocco base: in particolare questo ci ha permesso di trattare lingresso - come
una massa virtuale. Abbiamo anche trascurato leetto di R
B
, R
f
e C
A
. Anche nel seguito, per il
calcolo del rumore, procederemo con queste semplicazioni che riducono notevolmente il calcolo e
costituiscono una ottima approssimazione, sopratutto per la valutazione del rumore.
Il modulo quadro di /
I
vale allora:
[/
I
[
2
=
1

2
C
2
f
(VII.30)
Il generatore di rumore associato alla corrente di saturazione inversa del rivelatore I
B
(tipica-
mente da alcuni nA no ad alcuni A) si schematizza come un generatore di corrente ubicato come
[Cap. VII, 6] 81
1
s
nella Fig.11 e quindi, avendo il generatore uno spettro di potenza w
I
B
i
= 2qI
B
, esso produce
alluscita del PA una densit`a spettrale:
W
I
B
OPA
=
2qI
B

2
C
2
f
(VII.31a)
Si noti che, pur essendo il rumore originario bianco, la funzione di trasferimento verso luscita del
preamplicatore (un integratore matematico) comporta in uscita una spettro di potenza che cresce
in maniera inversa a
2
, ovvero presenta una divergenza in continua.
Il generatore di rumore in corrente associato a R
B
pu`o rappresentarsi esattamente come quello di
1
s
e quindi anche per questo contributo abbiamo (vedi Fig.12):
C
P
C
f
R
B
R
B
w
OPA
4kT
R
B
i /
n
2
=
C
D
+

Fig.VII.12
W
R
B
OPA
=
4kT
R
B
1

2
C
2
f
(VII.31b)
Nella Fig.12 abbiamo disegnato a tratteggio la resistenza R
B
in quanto essa, pur determinando
lesistenza del generatore di rumore che stiamo considerando, viene tuttavia ignorata per quanto
attiene al calcolo della funzione di trasferimento.
La corrente di rumore parallelo allingresso del JFET si colloca come le altre sorgenti (vedi Fig.13)
e quindi d`a un contributo del tipo:
C
f
I
FET
C
P
C
D
i /
n
2
= 2q I
FET
w
OPA
+

Fig.VII.13
W
I
Fet
OPA
=
2qI
Fet

2
C
2
f
(VII.32)
Leetto del rumore Johnson della resistenza R
f
merita una breve discussione.
82 [Cap. VII, 6]
C
f
R
f
w
OPA
R
f
C
P
i /
n
2
=
4kT
R
f
C
D
V
out
I
I
0
fn
+

Fig.VII.14
Con riferimento alla Fig.14, dove abbiamo indicato il generatore di rumore associato a R
f
, ma
abbiamo disegnato a tratteggio R
f
per ricordare che non ne consideremo leetto nella funzione di
trasferimento, notiamo che: un estremo del generatore di rumore Johnson di R
f
coincide come
tutti i generatori no ad ora considerati con la massa virtuale. Laltro estremo `e collegato al gene-
ratore equivalente di tensione alluscita del PA. Potremmo pensare che la situazione fosse identica
a quella incontrata per R
B
: ovvero potremmo sostituire il generatore 1
out
con la sua resistenza
interna (idealmente nulla). Questa procedura `e sbagliata: infatti lapplicazione del Principio di
sovrapposizione, che permette la sostituzione dei generatori con le loro resistenze interne, `e corretta
solo se i generatori sono indipendenti; non `e questo il caso di 1
out
, che `e un generatore controllato
dalla ddp v

v
+
. Per risolvere il problema possiamo procedere come segue, assumendo che il
guadagno del blocco base A sia estremamente grande: la corrente iniettata dal generatore nella
massa virtuale non pu`o che entrare nel ramo C
f
; infatti se cos` non fosse e una parte di corrente
percorresse il parallelo di C
D
e C
P
, questo provocherebbe una ddp sulla massa virtuale, che la
reazione, a causa del guadagno A innito, immediatamente annullerebbe. Quindi, percorrendo tutta
la corrente il ramo di C
f
, allaltro nodo (quello delluscita del PA) non vi `e possibilit`a per la corrente
1
fn
di richiudersi verso 1
out
: la legge dei nodi impone che 1
o
sia zero. Pertanto la ddp in uscita
dovuta al generatore di rumore associato a R
f
, calcolata come caduta prodotta su C
f
, rispetto allo
0 della massa virtuale, vale:
1
out
=
1
fn
jC
f
(VII.33)
e quindi possiede la medesima funzione di trasferimento degli altri generatori (e il risultato ottenuto
applicando in maniera sbagliata il Principio di sovrapposizione, avrebbe dato un risultato corretto
per la tensione in uscita, ma non per la corrente). Pertanto:
W
R
f
OPA
=
4kT
R
f
1

2
C
2
f
(VII.34)
Consideriamo ora la funzione di trasferimento fra il generatore di rumore serie con densit`a spettrale
v
2
Fet
)/ che sappiamo rappresentare il rumore termico del canale del JFET. Nella pratica dovremo
davvero vedere (e questo andrebbe fatto anche per il rumore parallelo) cosa dice il costruttore per
landamento dello spettro di potenza di v
2
Fet
)/; siccome sappiamo che il grosso delleetto `e un
contributo di rumore bianco, ammettiamo che per la densit`a spettrale valga lespressione VI.15:
w
Fet
v
= v
2
Fet
)/ =
2.7kT
g
m
(VII.35)
[Cap. VII, 6] 83
Per trovare ora la funzione di trasferimento per il generatore di rumore serie, osserviamo la Fig.15:
C
f
C
D
C
P
V
Fet
1 i
V
0 i
v
V = Av
+

Fig.VII.15
La tensione V
1
in ogni istante `e data da: v
i
(la ddp allingresso - delloperazionale senza rumore)
pi` u la tensione istantanea di rumore serie del JFET, ovvero V
1
= v
i
+v
Fet
. Luscita dellamplicatore,
istante per istante, soddisfa la relazione:
V
o
= Av
i
(VII.36)
Inoltre, a causa del fatto che A 1, per ogni tensione nita V
o
osservata alluscita dellamplicatore,
v
i
= V
o
/A 0. Questo comporta che, essendo limpedenza fra lingresso - e + delloperazionale
nita, la corrente nel ramo interno fra - e + deve essere di fatto nulla. Pertanto la ddp V
1
, istante
per istante, si pu`o esprimere mediante la ripartizione capacitiva di V
o
sulla serie della capacit`a C
f
con il parallelo di C
D
con C
P
. Pertanto:
V
1
= v
i
+v
Fet
=
V
o
A
+v
Fet
(VII.37)
e
V
1
= V
o
1
j(C
D
+C
P
)
1
jC
f
+
1
j(C
D
+C
P
)
= V
o
C
f
C
D
+C
P
+C
f
= V
o
C
f
C
(VII.38)
Uguagliando la 37) e la 38), abbiamo:
V
o
(
1
A
+
C
f
C
) = v
Fet
(VII.39)
ovvero
V
o
= v
Fet
A C
AC
f
+ C
= v
Fet
C
C
f
+
C
A
v
Fet
C
C
f
(VII.40)
Quindi la funzione di trasferimento per il generatore serie e luscita del PA `e reale e vale
C
C
f
. Al
medesimo risultato si pu`o giungere osservando che la congurazione ora esaminata `e equivalente
(e infatti ha la medesima funzione di trasferimento) a quella di un amplicatore operazionale non-
invertente con v
Fet
applicato allingresso +; infatti, comparendo v
Fet
in serie agli ingressi, il
circuito `e completamente equivalente a quello che si ottiene facendo slittare il generatore v
Fet
no
a porlo nel ramo fra lingresso + e massa. Quindi per lo spettro di potenza in uscita abbiamo:
w
v
Fet
OPA
= v
2
Fet
)/

C
C
f

2.7kT
g
m

C
C
f

2
(VII.41)
84 [Cap. VII, 6]
Questo contributo quindi, a causa della funzione di trasferimento che gli compete, appare in uscita
con la medesima dipendenza dalla frequenza di quella del generatore serie; in particolare se il rumore
serie `e ben descritto dal rumore Johnson della resistenza del canale del JFET, anche il rumore in
uscita `e bianco.
A questo punto, ammettendo di aver considerato tutte le sorgenti di rumore signicative, ab-
biamo per la densit`a spettrale di rumore totale in uscita dal PA:
w
tot
OPA
= w
I
B
OPA
+w
I
Fet
OPA
+w
R
B
OPA
+w
R
f
OPA
+w
v
Fet
OPA
=
a

2
+b (VII.41)
con
a = (2qI
B
+
4kT
R
B
+
4kT
R
f
+ 2qI
Fet
)/C
2
f
(VII.42a)
e
b =
2.7kT
g
m
(C)
2
C
2
f
(VII.42b)
Riportiamo nella Fig.16, a tratto continuo, landamento rappresentato dalle 41) e 42) con lasse delle
pulsazioni sia in carta lineare che logaritmica, rispettivamente nelle parti a) e b).
Fig.VII.16
Il rumore alluscita del preamplicatore consiste quindi (almeno nelle schematizzazioni fatte, che sono
assai realistiche) di due contributi con comportamento dierente in funzione della frequenza: uno
bianco che cresce con la temperatura, `e inversamente proporzionale alla transconduttanza del JFET
in ingresso e cresce col quadrato della somma delle capacit`a in ingresso (normalmente dominata da
C
D
); laltro contributo cresce fortemente al diminuire della frequenza, cresce per una parte con le
correnti di fuga e per unaltra con linverso delle resistenze connesse alla massa virtuale (questa parte
dipende anche dalla temperatura). Se osserviamo allora luscita del preamplicatore alloscillografo
il rumore sar`a in generale evidente e leetto pi` u marcatamente percepibile sar`a quello di una linea
[Cap. VII, 7] 85
di base fortemente uttuante in bassa frequenza. Lo spettro di potenza alluscita del preamplica-
tore `e gi`a stato mostrato nella Fig.IV.3, con anche le uttuazioni tipiche di queste determinazioni
sperimentali.
Nella Fig.17, parte a), `e riportata la simulazione numerica delluscita del preamplicatore; si notino
le uttuazioni lente, dovuta ai grossi contributi in bassa frequenza, nonche la frastagliatura pi` u ne,
indotta dalla componente del rumore bianco. Nella parte b) della Fig.17 `e riportata la stessa uscita,
con due segnali sovraimposti, che nascono sulle uttuazioni della linea di base (si `e assunto un valore
di R
f
tale per cui
f
= 100 s). Osservando la gura e sulla base delle considerazioni svolte so-
pra, `e facile convincersi che alluscita del PA `e praticamente impossibile determinare con precisione
le ampiezze delle transizioni del segnale, perche esse nascono su imponenti uttuazioni di quello
che dovrebbe essere lo zero. E naturale quindi trattare il segnale con lo shaper che sappiamo avere
come funzione principale quella di rimuovere i contributi in bassa frequenza (e limitare quelli in alta).
Fig.VII.17
7. Leetto del formatore e il rumore nale in uscita
A questo punto siamo in grado di trovare la densit`a spettrale di rumore in uscita del formatore,
ovvero quella nale. Basta allo scopo calcolare (vedi 23) e 41)):
w
tot
OSH
= [/
SH
[
2
w
tot
OPA
=

2

2
(1 +
2

2
)
2
(
a

2
+b) =

2
(a +
2
b)
(1 +
2

2
)
2
(VII.43)
86 [Cap. VII, 7]
con a e b dati dalle 42). Si noti che la densit`a spettrale denita dalla 43) assume un valore nito
per = 0 e tende a 0 allaumentare di .
Un eetto importante dello shaper `e quello di rimuovere le componenti di rumore in bassa frequenza
(grazie alla presenza del ltro CR passa alto). In particolare esso rimuove le divergenze della densit`a
spettrale di rumore osservata alluscita del PA. Da questo punto di vista sembrerebbe addirittura
vantaggioso impiegare un ltro caratterizzato dallavere una la pi` u piccola possibile; come accen-
nato precedentemente questa soluzione avrebbe anche il vantaggio di ridurre il tempo di accupazione
della linea di base da parte del segnale e quindi abbattere la probabilit`a di impilamento dei segnali
nel caso di alti ritmi di arrivo di particelle sul rivelatore. Si ricorda per`o che la diminuzione di com-
porta s` uno spostamento verso lalto della frequenza centrale del ltro e quindi un maggior riuto
della basse frequenze, ma comporta anche un allargamento della banda accettata (si ricordi che la
27) insegna che la larghezza cresce come la frequenza di centro banda): per evitare il contributo delle
basse frequenze si `e cio`e costretti ad aumentare quello delle alte. In Fig.16 sono disegnati, sovrap-
posti allo spettro di potenza in uscita del preamplicatore, gli andamenti di due ltri passa banda,
caratterizzati da frequenze di centro banda che dieriscono di un fattore 10. Lasse lineare delle
pulsazioni (parte a), permette di apprezzare il sensibile allargamento delle larghezze, allaumentare
della pulsazione centrale. Esiste, come vedremo fra poco, un valore ottimale per , ovvero quello
per cui `e massimo il rapporto segnale/rumore.
Per arontare il problema dellottimizzazione del rapporto segnale/rumore bisogna innanzitutto
denire completamente il metodo di misura della grandezza cui siamo interessati, compresi gli ul-
teriori interventi in banda passante che il metodo di misura eventualmente comporta. Abbiamo
visto che nel nostro caso la quantit`a di interesse `e la carica Q
s
: essa si determina dopo opportuna
taratura in base alla misura del massimo del segnale alluscita dello shaper, che sappiamo valere, a
parte il banale fattore moltiplicativo G che abbiamo deciso di ignorare:
V
M
OSH
=
Q
s
C
f
e
(VII.44)
con e base dei logaritmi neperiani. In presenza di rumore con la densit`a spettrale denita dalla
43) la conversione del massimo da parte dellADC di picco subisce una dispersione. Nella Fig.18 la
curva continua rappresenta il segnale in presenza di rumore, mentre la curva punteggiata ragura
la risposta ideale, in assenza di rumore; V
M
rappresenta la dierenza fra il valore vero e quello che
verr`a registrato dal convertitore.
Fig.VII.18
Ammettendo che il sistema mantenga il comportamento lineare ipotizzato, le uttuazioni (e quindi
[Cap. VII, 7] 87
la varianza) che si hanno nella determinazione del massimo (nella ipotesi di segnale, ovvero di carica
Q
s
costante) saranno le stesse che si otterebbero misurando la linea di base (cio`e il solo rumore).
Poiche inoltre gli ADC di picco che vengono normalmente utilizzati in questo tipo di misure possono
essere considerati ideali quanto a banda passante, ovvero non introducono ulteriori tagli in frequenza,
possiamo valutare la varianza sulla misura del massimo semplicemente integrando la densit`a spettrale
di rumore alluscita dello shaper su tutta la banda:

2
(v
OSH
) =


0
w
tot
OSH
d =

2
(1 +
2

2
)
2
(
a

2
+b) d =
=
a
2


0
d()
(1 +
2

2
)
2
+
b
2

2
(1 +
2

2
)
2
d()
(VII.45)
I due integrali hanno lo stesso valore:


0
1
(1 +
2

2
)
2
d() =

2
(1 +
2

2
)
2
d() =

4
(VII.46)
Quindi nalmente otteniamo:

2
(v
OSH
) =
a
8
+
b
8
(VII.47)
Si noti che la 47) presenta un minimo in funzione di . Sperimentalmente la valutazione di
2
(v
OSH
)
si fa in genere proprio osservando la distribuzione delle ampiezze (dei massimi) in corrispondenza
di segnali di particelle monocromatiche che depositano tutte la stessa energia nel rivelatore e mis-
urandone la larghezza. La distribuzione, in assenza di ulteriori eetti spuri, quali oscillazioni dovute
a disturbi a 50 Hz o a radiofrequenze, appare gaussiana e la standard deviation della gaussiana `e
proprio la radice della 47). In pratica la larghezza osservata con questa tecnica sore di allargamenti
dovuti anche al meccanismo di rivelazione, che nulla hanno a che vedere col rumore elettronico; per-
tanto, se interessa la determinazione del solo contributo elettronico, si procede in maniera diversa,
precisamente inserendo allingresso del preamplicatore impulsi che simulano particelle monocro-
matiche e poi procedendo come sopra.
Come gi`a anticipato, la dipedenza funzionale della 47) dalla costante di tempo , suggerisce imme-
diatamente lesistenza di un valore ottimale che massimizza il rapporto segnale/rumore. Poiche il
segnale
Q
s
C
f
e
non dipende da , il rapporto segnale/rumore si massimizza semplicemente minimiz-
zando la 47); non sempre la procedura `e cos` semplice; altre formazioni del segnale danno risposte
inuenzate dai dettagli dei parametri introdotti. Il guadagno G `e al solito ignorato, perche esso
inuenzerebbe allo stesso modo segnale e rumore, comparendo esso nella funzione di trasferimento
del formatore.
Minimizzando la 47) rispetto a si trova il valore ottimale
opt
per la costante di tempo di formazione:

opt
=

b
a
(VII.48)
Riprendiamo le espressioni per a e b date dalle 42), che riportiamo qui per comodit`a:
a = (2qI
B
+
4kT
R
B
+
4kT
R
f
+ 2qI
Fet
)/C
2
f
(VII.49a)
e
b =
2.7kT
g
m
(C)
2
C
2
f
(VII.49b)
88 [Cap. VII, 7]
Usando dei valori realistici per le grandezze che entrano nelle 49), si trova tipicamente
opt

1 s. Nella Fig.19 sono riportate le uscite dello shaper al primo dei due segnali mostrati nella
Fig.17 b), per tre diversi valori della costante di tempo : 100 ns, 1 s e 10 s, nelle parti a),
b) e c) rispettivamente. Le scale sono sempre le stesse per tutti e tre gli andamenti riportati. Si
notino le diverse durate dei segnali e il diverso rapporto segnale/disturbo. Questultimo aspetto si
percepisce ancora meglio nella Fig.20, dove la scala verticale `e espansa di un fattore 10 e quella
orizzontale abbraccia un intervallo pi` u ampio. Manifestamente la situazione ottimale `e proprio
quella che corrisponde alla costante di tempo di formazione di 1 s. Al lettore attento non sar`a
sfuggito nella Fig.20 b) e c) la presenza di un riattraversamento da parte del segnale dello zero
prima del recupero denitivo della linea di base; questo comportamento `e dovuto al fatto che la
simulazione, come anticipato durante la illustrazione della Fig.17, ha ammesso per luscita del PA
un decadimento esponenziale con
f
= 100 s ed ha coerentemente calcolato il segnale di uscita dello
shaper. Si osservi che i tempi di formazione pi` u lunghi sono pi` u sensibili alleetto e si sappia che esso
`e facilmente correggibile tramite la cosidetta compensazione polo-zero, che per`o non discuteremo.
Fig.VII.19
[Cap. VII, 7] 89
Fig.VII.20
Ovviamente esistono situazioni di lavoro dei rivelatori per le quali il valore ottimale di si
discosta anche molto da quello tipico: in particolare, se la corrente di buio I
B
del rivelatore `e par-
ticolarmente alta, la prescrizione 48) suggerisce lutilizzo a parit`a di altri parametri di costanti di
tempo pi` u brevi, mentre limpiego di rivelatori ad alta capacit`a C
D
richiede, a parit`a di tutto il resto,
lallungamento delle costanti di tempo. Nei due casi considerati sappiamo infatti che laumento della
corrente di buio provoca laumento del rumore in bassa frequenza e costringe ad spostare verso le
alte frequenze il centro banda e che lopposto accade (cio`e aumenta il rumore in alta frequenza)
quando aumentano le capacit`a C in ingresso.
Prima di arontare nel paragrafo successivo alcuni altri aspetti legati al rapporto segnale/rumore,
vorremmo spendere una parola per rimuovere un equivoco nel quale si corre il rischio di cadere:
90 [Cap. VII, 8]
si sente talvolta dire propriamente che, a parit`a di tutti gli altri parametri, lutilizzo di un ri-
velatore ad alta capacit`a peggiora il rapporto segnale/disturbo. Altre volte invece si sente parlare
impropriamente di rumore dovuto alla capacit`a del rivelatore. Questa ultima aermazione, se
non errata, `e perlomeno fuorviante perche suggerisce che la capacit`a sia lorigine del rumore, che
`e ovviamente falso: come abbiamo visto la sorgente del rumore in questione `e il rumore serie del
dispositivo elettronico in ingresso (il JFET, tipicamente) che ha un eetto crescente con le capacit`a
in ingresso al dispositivo, fra cui spesso preponderante quella del rivelatore.
8. Considerazioni ulteriori sul rumore della catena
Le espressioni 49) per a e b dicono alcune cose ovvie ed altre assai meno, che meritano una
breve discussione: la parte ovvia `e che operare a temperatura ridotta, a parte le complicazioni
che ne derivano, `e utile per ridurre tutti quei contributi di origine appunto termica. Allo scopo,
talvolta il JFET di ingresso `e separato dal resto del preamplicatore, collocato in prossimit`a del
rivelatore e posto a temperatura notevolmente ridotta (non conviene ridurre eccessivamente la tem-
peratura perche la conseguente riduzione della mobilit`a dei portatori di carica nei semiconduttori
compromette il funzionamento del dispositivo). Talvolta si provvede anche a rareddare le resistenze
R
B
e R
f
. Altrettanto banale `e la considerazione sulle correnti di fuga che devono essere le pi` u piccole
possibile (anche in questi casi il rareddamento pu`o essere beneco).
Meno banali sono le considerazioni che si possono fare sulla parte di rumore serie del JFET (a parte
laspetto della temperatura, gi`a arontato). La formula 49b) suggerisce che conviene minimizzare
C: la parte C
D
che deriva dal rivelatore normalmente non si pu`o considerare come un parametro
da variare a piacere, ma deve essere piuttosto considerata come un dato di fatto. Infatti la ca-
pacit`a del rivelatore C
D
sar`a senzaltro minimizzata contropolarizzando il rivelatore no al massimo
svuotamento possibile, ma per il resto (supercie del rivelatore) ci teniamo la capacit`a che il rive-
latore possiede e che sar`a presumibilmente dettata dalla ecienza geometrica che il rivelatore deve
possedere per soddisfare le esigenze del nostro esperimento. A C contribuisce anche C
P
in cui
la parte dovuta alla capacit`a verso massa del gate del JFET `e spesso dominante. Pertanto sembra
ovvio che la migliore scelta per ridurre b sia quella di cercare il JFET con la minima C
P
e la massima
transconduttanza g
m
. La ricetta, cos` lapalissiana, purtroppo non funziona quasi per nulla, perche
di fatto le due richieste sono conittuali: infatti invariabilmente accade che un JFET con piccola
capacit`a C
g
= C
gs
+ C
gd
abbia anche piccola transconduttanza g
m
e viceversa. In altre parole, il
processo costruttivo dei JFET intrinsecamente fornisce dispositivi con un rapporto C
g
/g
m
pratica-
mente costante. Questo signica, un po semplicisticamente ma non troppo, che occorre innanzitutto
individuare un costruttore di JFET che abbia eettivamente ottimizzato il processo che garantisca
la minimizzazione del rapporto C
g
/g
m
e selezionare eventualmente i JFET migliori da questo punto
di vista; quindi, sopratutto nel caso in cui la capacit`a C
D
sia grande rispetto alla capacit`a C
g
del
singolo JFET, si possono aggiungere altri JFET in parallelo. Leetto risulta beneco perche un
parallelo di JFET `e equivalente ad un unico JFET con transconduttanza pari alla somma delle
transconduttanze, capacit`a di ingresso pari alla somma delle capacit`a e densit`a spettrale di rumore
serie uguale. Finche la somma delle capacit`a non supera il termine sso C
D
+ C
f
otteniamo solo
vantaggi (il denominatore di b della 49b) aumenta pi` u di quanto faccia il numeratore). E semplice
[Cap. VII, 10] 91
convincersi che si smette di avere vantaggio quando il parallelo dei JFET presenta una capacit`a
complessiva pari a quella C
D
+C
f
.
Come abbiamo gi`a sottolineato precedentemente, in questa trattazione non abbiamo considerato
altre sorgenti di rumore oltre a quelle di tipo granulare e termica. Sappiamo viceversa che, almeno
per quanto riguarda il rumore parallelo nel JFET, ovvero la parte di generatore di corrente, esiste un
signicativo contributo di rumore 1/f. Nella selezione del JFET di ingresso occorrer`a tener conto
anche di questo fatto, esaminando attentamente le caratteristiche che il costruttore ci fornir`a in
proposito.
9. Il rumore espresso in unit`a di interesse sico
Abbiamo gi`a detto che molte delle applicazioni dei rivelatori al Silicio e della catena di misura
del tipo appena descritto riguardano la misura dellenergia depositata dalle particelle nei rivelatori.
In questa prospettiva vale quindi la pena di valutare il tipo di precisione nella misura di energia che
si pu`o ottenere con la strumentazione descritta.
Il primo passo `e quello di conoscere il legame che intercorre fra lenergia depositata in un Silicio
da una radiazione ionizzante (sperando che non dipenda dal tipo di radiazione) e la quantit`a di
carica che in esso viene liberata. Sperimentalmente `e noto che per ogni legame covalente rotto nel
Silicio, la radiazione ionizzante deve aver deposto, in media, circa 3.6 eV di energia; si osservi che
tale energia `e circa 3 volte superiore allenergia di legame elettrone-lacuna nel Silico: ci`o signica
che solo una frazione dellordine di un terzo di tutta lenergia depositata nisce in ionizzazione.
Laltro fatto sperimentalmente ben accertato `e che tale coeciente `e largamenete indipendente dal
tipo di radiazione , , o particelle subnucleari che hanno colpito il rivelatore; si hanno deviazioni
signicative, nel senso di una ulteriore riduzione dellecienza di conversione energia-carica, solo per
nuclei molto pesanti e relativamente poco energetici che hanno densit`a di ionizzazone particolarmente
elevate. A questo punto possiamo valutare, sulla base del rumore tipico di una catena elettronica
di misura, qual `e la minima carica che si riesce a misurare e poi passare, tramite il coeciente
= 3.6 eV/coppia alla determinazione della corrispondente energia.
Se consideriamo come minima carica misurabile Q
min
s
quella che in uscita fornisce un segnale con
una ampiezza corrispondente a 3 volte la del rumore, utilizzando la 44) e la 47), otteniamo:
Q
min
s
= 3 C
f
e

a
8
+
b
8
(VII.50)
Il risultato, tenendo conto delle 49) non dipende da C
f
, comune al segnale e al rumore. Adot-
tando per i vari parametri che entrano nelle 49) dei valori tipici, ovvero: I
B
= 10 nA, I
Fet
I
B
,
R
B
= 10 M, R
f
R
B
, C = 100 pF, g
m
= 30 mAV
1
e = 1 s otteniamo:
Q
smin
1.7 10
3
q (VII.51)
dove q rappresenta la carica dellelettrone. Il sistema, in altri termini ha una sensibilit`a tale da
misurare una energia depositata di circa
E
min
1.7 10
3
q 3.6eV/q 6 keV
92 [Cap. VII, 10]
Invece di esprimere questo risultato in termini di energia minima rivelabile, si pu`o dire equiva-
lentemente che per eetto del rumore elettronico, qualunque energia depositata nel Silicio da una
particella ionizzante, ha una associata dellordine di 2 keV . Questo limite va considerato pi` u che
altro come indicativo in quanto con particolari accorgimenti, alcuni dei quali esposti nel paragrafo
precedente, si riescono ad ottenere anche dei valori signicativamente migliori.
10. Il calcolo nel dominio del tempo
Vogliamo ora far vedere come, a causa del fatto che tutte le sorgenti di rumore del nostro
sistema in studio sono a spettro bianco (onestamente: avendo ipotizzato ...), sia abbastanza semplice
calcolare la varianza totale alluscita del formatore nel dominio del tempo, utilizzando il Teorema di
Campbell (seconda parte, formula III.35 e III.36). Infatti, lipotesi che le sorgenti di rumore siano o
di tipo granulare o termico corrisponde ad assumere che nelle sorgenti considerate gli impulsi delle
sequenze siano tutti uguali e formi. Allora possiamo applicare la III.36 ed essa ci dice che, per
ogni sorgente di rumore caratterizzata da una sequenza di impulsi formi con area individuale q
e ritmo di ripetizione medio , in un qualunque ramo della rete per il quale la funzione di risposta
rispetto al ramo (o nodo) dove origina il rumore considerato sia (t), si ha una varianza totale data
da:

2
= q
2

2
(t) dt (VII.53)
Prima di procedere, vediamo come sia possibile porre la 53) in una forma ancor pi` u semplice
per i calcoli che dobbiamo svolgere. Notiamo intanto che per il rumore shot vale
q = I (VII.54)
e quindi

2
shot
= qI

2
(t) dt (VII.55)
Riprendendo la deduzione del rumore termico del Cap.V, .5, troviamo che in quel caso: q =
e
L
,
=
N

e quindi q
2
=
2kT
R
e pertanto:

2
iJohnson
=
2kT
R

2
(t) dt (VII.56)
Le relazioni di sopra sono state dedotte assumendo sequenze di corrente, ma la matematica non
cambia se esaminiamo impulsi di tensione; questo signica che, ad esempio, se avessimo esaminato
il rumore Johnson in termini di impulsi elementari di tensione, avremmo ottenuto

2
vJohnson
= 2kTR

2
(t) dt (VII.57)
dove (t) rappresenta la funzione di risposta agli impulsi di tensione.
Nelle formule 55), 56) e 57) la varianza calcolata `e quella che corriponde al tipo di grandezza misurata
in uscita, corrente o tensione. Si sar`a notato che i fattori numerici a moltiplicare lintegrale niente
altro sono che met`a delle densit`a spettrali di rumore delle sorgenti originarie; infatti al risultato
[Cap. VII, 10] 93
espresso dalle 55), 56) e 57) si poteva anche giungere applicando il teorema di Parseval alle espressioni
delle varianze in uscita calcolate nel dominio delle frequenze, sfruttando la indipendenza degli spettri
di potenza dalla frequenza (w
or
rappresenta lo spettro di potenza originario delle sorgenti primarie
di rumore bianco):

2
=


0
w d =


0
w
or
[/[
2
d =
w
or
2

[/[
2
d =
w
or
2

2
(t) dt (VII.57)
in quanto la funzione di risposta coincide con FT
1
della funzione di trasferimento /.
Venendo quindi al nostro caso della catena elettronica di misura della carica, per quanto riguarda
tutti i contributi di rumore riconducibili a generatori di rumore in corrente allingresso nella stessa
congurazione circuitale del generatore di segnale, il calcolo `e gi`a tutto impostato. Infatti la funzione
di risposta in tensione alluscita dello shaper, ovvero la risposta alla (t) di corrente allingresso del
preamplicatore, `e gi`a stata calcolata (vedi 20)):

iv
(t) =
t
C
f

e
t/
t 0 (VII.58)
Pertanto, per quanto riguarda la varianza associata ai generatori di corrente di rumore allingresso
della massa virtuale, abbiamo:

2
i
(v
OSH
) =
1
2
(2qI
B
+ 2qI
Fet
+
4kT
R
B
+
4kT
R
f
)


0
(
t
C
f

e
t/
)
2
dt (VII.59)
Essendo


0
x
2
e
x
dx = 2 (VII.60)
abbiamo:

2
i
(v
OSH
) =
a
8
(VII.61)
dove, come sopra, a = (2qI
B
+ 2qI
Fet
+
4kT
R
B
+
4kT
R
f
)/C
2
f
.
Quanto al secondo termine occorre calcolare la funzione di trasferimento
vv
(t) del formatore,
in risposta alla (t) inviata dal generatore del rumore serie della Fig.15. Per determinare
vv
(t)
possiamo procedere in vari modi: uno potrebbe essere quello di applicare la FT
1
alla funzione di
trasferimento fra la (t) generata l`a dove opera il generatore di rumore serie e luscita dello shaper,
che conosciamo. Noi seguiremo una procedura dierente, un po meno formale: sappiamo che la
tensione di uscita del preamplicatore riproduce, istante per istante, il segnale del generatore di
rumore serie (la funzione di trasferimento `e reale e pari al rapporto dell capacit`a
C
C
f
(vedi 40)).
Quindi luscita del preamplicatore in risposta alla (t) nel generatore serie vale:
v

OSH
=
C
C
f
(t) (VII.62)
Si tratta ora di calcolare la risposta dello shaper alla (t) al suo ingresso. Questo risultato `e presto
ottenuto notando che la funzione di risposta
iv
(t) =
t
C
f

e
t/
t 0 corrisponde alla risposta
dello shaper ad una funzione a gradino al suo ingresso: infatti la risposta del preamplicatore alla
corrente di segnale in ingresso (anchessa una (t), per lappunto) `e la funzione a gradino. Ora,
essendo la (t) rappresentabile come la derivata della funzione gradino ed essendo il sistema lineare,
la
vv
, funzione di risposta alla (t) in ingresso allo shaper si pu`o ottenere semplicemente derivando
94 [Cap. VII, 10]
la
iv
(t) (e ovviamente risistemando le costanti).
Pertanto, essendo

iv
(t) =
t
C
f

e
t/
t 0 (VII.63)
la risposta al gradino di ampiezza 1/C
f
, otteniamo

vv
(t) = C
d
iv
(t)
dt
=
C
C
f
1

(1
t

) e
t/
t 0 (VII.64)
A questo punto non resta che calcolare

2
v
(v
OSH
) =
2.7kT
2g
m

2
vv
(t) dt (VII.65)
Sostituendo la 64) nella 65) e calcolando lintegrale si ottiene:

2
v
(v
OSH
) =
2.7kT
8g
m
(C)
2
C
2
f
1

=
b
8
(VII.66)
dove, come prima, b =
2.7kT
g
m
(C)
2
C
2
f
.
La varianza totale su v
OSH
, data dalla somma della 61) e della 66) restituisce allora il risultato
47), ottenuto svolgendo i calcoli nel dominio delle frequenze.
G.Poggi: Appunti sul rumore elettrico; Cap.VII
Firenze, 11 maggio 2006
VIII
I DISCRIMINATORI A FRAZIONE COSTANTE
1. La determinazione di marche di tempo o del timing
Esistono numerosi esempi in sica nei quali ha interesse conoscere listante di tempo in cui un
certo evento si `e vericato. Va da se che la misura, in generale, deve essere fatta con una precisione
adeguata allo scopo che ci preggiamo. Tali misure di tempo quasi sempre hanno un interesse per
poter determinare poi dierenze di tempo. Possiamo per esempio immaginare la misura della velocit`a
media di una sferetta che rotola lungo un piano inclinato (ottenuta dalla conoscenza della dierenza
dei tempi di passaggio fra due fotocelle poste a distanza nota), oppure la misura della velocit`a media
di una particella che ha attraversato in successione due rivelatori, pure posti a distanza nota, oppure
la misura della dierenza di tempo fra listante in cui una particella instabile penetra e si ferma in
un rivelatore e listante in cui essa decade. Tutti questi processi producono, o nelle cellule fotoelet-
triche posto lungo il piano inclinato o nei rivelatori di particelle predisposti alluopo, dei segnali
elettrici che opportunamente trattati devono fornire linformazione alla quale siamo interessati. Le
tecniche che consistono nellestrarre dai segnali detti uninformazione riguardante listante di tempo
in cui levento si `e prodotto vanno genericamente sotto il nome di timing, con una corrispondente
espressione italiana di temporizzazione per la verit`a molto poco usata.
Consideriamo lultimo dei casi considerati che sperimentalmente `e sucientemente articolato da
mettere in evidenza i vari aspetti associati alla soluzione del problema; oltretutto `e chiaro che il
nostro interesse va verso lillustrazione delle tecniche pi` u sosticate, ovvero quelle che consentono
misure di intervalli di tempo anche inferiori al ns.
Facciamo inizialmente lipotesi che il segnale associato alla rivelazione della particella che arriva sul
rivelatore, alla ne della catena di misura ad esso associata, abbia un andamento del tipo rappre-
sentato nella Fig.1:
t
t
0
i(t)
Fig.VIII.1
96 [Cap. VIII, 1]
Per essere concreti ammettiamo che il segnale i(t) sia la corrente di anodo di un fotomoltiplicatore
(PMT, PhotoMultiplier Tube) accoppiato otticamente al rivelatore a scintillazione che viene colpito
dalla particella. Landamento riportato nella Fig.1 `e determinato, almeno per la prima parte (fronte
di salita del segnale), quella pi` u rapida, dal tempo di risposta del PMT che pu`o essere di pochi ns e
per la seconda parte dal tempo di decadimento della uorescenza dello scintillatore; a seconda degli
scintillatori impiegati si possono avere delle costanti di tempo di decadimento della uorescenza da
alcuni ns ad alcuni s. Ripensando allesempio del capitolo precedente, il segnale della Fig.1 pu`o
anche rappresentare abbastanza fedelmente luscita del preamplicatore accoppiato ad un rivelatore
al Silicio.
Supponiamo ora che il decadimento della particella che si `e arrestata nello scintillatore avvenga
tramite lemissione di almeno una particella carica, la quale produce allora nel rivelatore una secon-
da scintillazione, che a sua volta produce un secondo segnale di corrente alluscita del PMT. Questo
segnale `e del tutto simile al primo, in particolare avr`a la stessa forma. Supponiamo anche per il
momento, salvo abbandonare presto questa ipotesi veramente poco realistica, che i due segnali di
arrivo della particella e di decadimento abbiano anche la stessa ampiezza, cio`e siano identici.
Ammettiamo anche che luscita del PMT sia esente da rumore. In queste ipotesi, vergognosamente
semplicative, la informazione sullistante di arrivo della particella e sullistante del suo decadimento
si potrebbero ottenere semplicemente inviando la corrente i(t) allingresso di un discriminatore (con
resistenza di ingresso di 50 , per assicurare la terminazione al cavo che trasmette il segnale) con
una soglia di discriminazione posta ad un un valore negativo, piccolo quanto si vuole. Il discrimina-
tore al passaggio della soglia, quindi appena il segnale inizia a discostarsi dallo 0, produce in uscita
un segnale logico vero 1 la cui transizione dallo stato 0 allo stato 1 `e contemporanea alla
nascita del segnale e costituisce quindi il nostro segnale di timing. Il ritorno del segnale logico
(che supponiamo sia in logica negativa) allo stato falso 0 avviene dopo un tempo che possiamo
impostare secondo la nostra convenienza e che, in prima approssimazione, non `e di alcun interesse.
Nella Fig.2 riportiamo con lo stesso asse dei tempi le tensioni alluscita del PMT e luscita del
comparatore al cui ingresso il segnale viene applicato.
U
C
t
0
t
d
t
a
i(t)
t
t
arrivo della particella decadimento
"0"
"1"
Fig.VIII.2
Si ammette che i fronti dei segnali logici, ed in particolare quello di interesse 0 1, siano estrema-
mente brevi. In questo schema la dierenza fra listante della transizione 0 1 delluscita del
discriminatore in risposta allarrivo della particella e quello in risposta al suo decadimento danno
proprio la dierenza di tempo fra gli istanti del processo sico ai quali siamo interessati. In pra-
[Cap. VIII, 2] 97
tica la transizione 0 1 del primo segnale logico d`a lo start ad un convertitore Tempo-Ampiezza
e il secondo d`a lo stop al medesimo dispositivo. Il convertitore Tempo-Ampiezza agisce come un
cronometro e fornisce allutente la dierenza di tempo come segnale analogico di tensione.
Lutilizzo nel comparatore di una soglia estremamente bassa `e fondamentale per non introdurre
ritardo fra listante in cui nasce levento che produce il segnale di anodo e quello in cui luscita del
comparatore compie la transizione 0 1 o come si dice il comparatore scatta. La soglia innite-
simamente bassa permette al sistema di funzionare correttamente anche quando i segnali avessero
ampiezze diverse: lo scatto del comparatore avverrebbe non appena il segnale si discostasse da zero
(ed avesse derivata negativa).
Rilasciamo ora lipotesi per altro insostenibile che non esista rumore alluscita di anodo del PMT.
La presenza di un rumore non nullo, dovuta principalmente ai termoelettroni emessi con tempi a
caso dal fotocatodo e che producono sequenze di impulsi a caso alluscita di anodo, ognuno ampio al-
cuni mV su 50 , impedisce di collocare la soglia del discriminatore bassa come abbiamo ipotizzato.
Infatti, se lo facessimo, il discriminatore scatterebbe sul rumore, ovvero produrebbe unuscita
logica ad ogni arrivo di termoelettrone; a parte lo scarso nostro interesse per queste uscite, il vero
problema sarebbe che tale modo di funzionare di fatto impedirebbe di compiere misure corrette e
renderebbe praticamente impossibile distinguere le transizioni alle quali siamo interessati da quelle
(la maggioranza) dovute al rumore. La presenza del rumore ci forza quindi a posizionare la soglia
ad un valore signicativamente diverso da 0, comunque in valore assoluto superiore alle creste di
rumore che nel caso specico signica lampiezza dei segnali dei termoelettroni (vedi Fig.3).
2. La tecnica Leading Edge
La tecnica di timing appena detta, ovvero la creazione di un segnale logico associata al passaggio
di una soglia da parte del primo fronte del segnale `e detta di Leading Edge (LE). Lampiezza nita
della soglia porta ad un ritardo sistematico (vedi Fig.3) fra listante t
a
in cui luscita del comparatore
scatta e listante di vero inizio del segnale t
0
.
U
C
t
0
t
0
t
a
i(t)
soglia V
T
t
t
walk
Fig.VIII.3
Tuttavia, se il segnale di decadimento avesse esattamente la stessa ampiezza e forma del primo, la
98 [Cap. VIII, 2]
dierenza fra i fronti 0 1 delle uscite del comparatore sarebbe esente da errori sistematici. Se
viceversa le ampiezze dei segnali cambiano di volta in volta, cambiano anche di volta in volta i ritardi
introdotti dalla tecnica LE (essi aumentano al diminuire dellampiezza dei segnali) e le dierenze di
tempo fra le transizioni 0 1 dei segnali logici non riproducono pi` u le corrette dierenze di tempo.
Si osservi che un segnale cos` poco ampio da essere inferiore al valore della soglia non produce lo
scatto del comparatore e che un segnale con ampiezza pari al valore di soglia produce un timing
ritardato rispetto al valore corretto (inizio del segnale) dellintervallo di tempo che intercorre fra la
partenza del segnale e il raggiungimento del massimo.
La dipendenza del timing dallampiezza del segnale `e detta, con locuzione pregnante, walk (vedi
Fig.3). Sinteticamente, indulgendo sicuramente a qualche inglesismo di troppo, la tecnica di timing
basata sul leading edge presenta un sensibile eetto di walk.
Non basta: la Fig.3 `e fortemente irrealistica. Infatti il rumore `e sempre presente e in particolare
i termoelettroni non si fanno scrupolo ad abbandonare il fotocatodo quando avviene la rivelazione
della particella. Pertanto una pi` u corretta rappresentazione delluscita di anodo `e suggerita dalla
Fig.4, dove anche il segnale, non solo la linea di base, `e corrugato dal rumore *.
U
C
t
0
t
0
t
a
i(t)
soglia V
T
t
t
jitter
Fig.VIII.4
Si noti che i fronti delluscita U
C
del comparatore sono disegnati sfumati, a ricordarci che la
presenza del rumore sovraimposto al segnale, fa s` che anche segnali identici, combinandosi diver-
samente col rumore, diano luogo a istanti di passaggio della soglia (e quindi a transizioni 0 1 di
U
C
) dierenti. Questo eetto, cio`e della uttuazione statistica del timing dovuta alla presenza del
rumore, `e detto jitter. E ovvio che il jitter `e tanto maggiore, a parit`a di ampiezza di segnale, quanto
maggiore `e il rumore e, a parit`a di rumore, quanto pi` u piccola `e lampiezza del segnale: infatti a
parit`a di forma e con segnali che crescono linearmente col tempo, segnali pi` u piccoli hanno pendenze
in valore assoluto inferiori e la stessa increspatura sul segnale induce una variabilit`a maggiore nel
passaggio di soglia.
* A volere essere pignoli, se il PMT `e rareddato cos` da avere una emissione termoionica vera-
mente contenuta, il ritmo di produzione dei termoelettroni pu`o essere talmente basso che la proba-
bilit`a che essi si impilino sul segnale sia irrelevante e allora una tecnica di timing con soglia bassissima
funziona davvero bene.
[Cap. VIII, 3] 99
Il jitter rappresenta un errore di tipo casuale sul timing, mentre lo walk rappresenta un errore di
tipo sistematico.
A questo punto vale la pena di rimarcare che stiamo assumendo che i segnali abbiano tutti la stessa
forma, ovvero che segnali diversi fra loro dieriscano unicamente per un fattore di scala sullampiezza.
In particolare ci`o implica che, dato un segnale qualsiasi, il suo massimo (o una qualunque frazione
pressata di esso) viene raggiunto sempre dopo lo stesso tempo a partire dallinizio del segnale stesso.
Questa ipotesi `e coerente col fatto che il sistema di rivelazione abbia un comportamento lineare e
che le varie eccitazioni (uorescenza indotta dal passaggio delle particelle attraverso lo scintillatore
o dal loro decadimento, quindi segnali prodotti da altre particelle) possano dierire fra loro solo per
ampiezza e non per forma. La realt`a dei fatti `e tale per cui questo non `e esattamente vero per tutti
i rivelatori: comunque noi assumeremo, a meno che non sia detto esplicitamente il contrario, che le
forme siano eettivamente sempre le stesse. Inoltre assumeremo che i segnali abbiano, almeno per il
primo fronte, andamenti lineari in funzione del tempo. Questa `e sicuramente una schematizzazione
non particolarmente realistica, perche qualunque segnale, essendo generato in un processo sico
reale, parte sempre con derivata prima nulla e quindi assume inizialmente un andamento parabolico
(ovviamente un andamento analogo si osserva quando esso raggiunge il massimo). Tuttavia, quello
che non `e particolarmente irrealistico ipotizzare `e che per tutti i segnali esista una zona, suciente-
mente lontana dallinizio del segnale e dal suo massimo, nella quale il segnale ha un andamento nel
tempo ben confondibile con quello di un segmento di retta.
Luguaglianza delle forme, al variare dellampiezza, ci suggerisce che una tecnica di timing esente
da walk consisterebbe nel produrre la transizione del segnale logico di timing in corrispondenza del
passaggio di una soglia che idealmente, per ogni segnale, si adeguasse ad una denita frazione del mas-
simo, per esempio quando i segnali raggiungessero la met`a della loro ampiezza nale. La creazione
di questa soglia mobile `e eettivamente possibile e consiste nella realizzazione del cosidetto timing
a frazione costante o Constant Fraction Timing.
3. Il discriminatore a frazione costante
Consideriamo un segnale del tipo riportato in Fig.1, cio`e con andamento iniziale lineare. In-
dichiamo con T
M
il tempo di raggiungimento del massimo. Mediante la catena elettronica riportata
in Fig.5 compiamo le seguenti operazioni (lineari) sul segnale:
t
0
t
0
1
R
F
V
t
0
t
0
D
T
D
T
/(R
1
+R
2 1
F=R )
M
T
R
T > T
D M
V
D
2
+

C
c
U
t = t + T + F T
Z 0 D M
t
Z
R
o
2
Fig.VIII.5
il segnale `e innanzitutto diviso su rami; uno dei due rami presenta il segnale V
F
attenuato di un
100 [Cap. VIII, 3]
fattore F = R
2
/(R
1
+R
2
) allingresso + dellamplicatore-sommatore ; allingresso - del som-
matore giunge laltro segnale V
D
inalterato in ampiezza, ma ritardato tramite linea di trasmissione
chiusa sulla sua impedenza caratteristica di un tempo T
D
appena superiore al tempo T
M
di rag-
giungimento del massimo (che, si ricorda, `e uguale per tutti i segnali). Luscita del sommatore U

`e cos` costituita da un segnale bipolare che presenta sempre un passaggio del valore 0 V al tempo
t
Z
indipendente dal valore del massimo (vedi Fig.5):
t
Z
= t
0
+T
D
+F T
M
(VIII.1)
Se T
D
sopravanza signicativamente T
M
, cosa che si cerca di evitare, allora la schematizzazione
non `e pi` u corretta e in particolare cambia il tempo di passaggio dello 0.
Se tutti i segnali vengono trattati con questa procedura, le corrispondenti uscite U

presentano un
passaggio del valore 0 ad un istante di tempo che ha un ritardo sso, cio`e uguale per tutti i segnali,
rispetto alla loro origine. Luscita U

viene pertanto inviata ad un comparatore con soglia posta a


0 e quindi produce una transizione logica 0 1 al tempo t
Z
dato dalla 1).
Un dispositivo che opera sul principio appena descritto, `e detto Discriminatore a frazione costante
o Constant Fraction Timing Discriminator (CFTD) e ha la caratteristica di essere, almeno per se-
gnali fatti come abbiamo ipotizzato, esente da walk. La scelta della frazione F non provoca, nelle
approssimazioni di segnali con andamento lineare sul fronte di salita, alcun cambiamento signicativo
(si sposta per tutti i segnali t
Z
, ma per tutti allo stesso modo e lo walk resta assente). Ancora una
volta, le cose stanno in maniera leggermente diversa: occorre cio`e tener conto dellesistenza del
rumore e del fatto che tipicamente, come gi`a detto, i segnali reali presentano allinizio un andamento
almeno parabolico (se non pi` u lento), poi tendono a linearizzarsi in funzione del tempo e quindi
raggiunta una pendenza massima cominciano ad incurvarsi, rivolgendo la concavit`a dalla parte
opposta, allavvicinarsi del massimo. Ora, dalle considerazioni prima fatte riguardo al jitter, sap-
piamo che esso, a parit`a di rumore, `e minimo se il passaggio della soglia (in questo caso lo 0
del segnale U

) avviene in corrispondenza della pendenza massima del segnale, ovvero nel esso;
pertanto il criterio normalmente adottato nella scelta di F `e proprio di quello di selezionare la
frazione del segnale in cui esso presenta il esso; di norma la zona del segnale con pendenza massima
`e sucientemente ampia da non rendere criticissima la scelta di F.
Con CFD aggiustati al meglio per quanto riguarda T
D
e F e utilizzati con segnali aventi tempi di
salita di alcuni ns, si possono avere walk residui, dovuti alla non perfetta linearit`a degli andamenti
o uguaglianza delle forme, di assai meno di un decimo di ns. Le ottime caratteristiche in termini
di walk vanno presto perdute se i segnali non hanno tutti forme identiche. E facile vedere che il
sistema descritto presenta, ad esempio, una marcata dipendenza del tempo di passaggio di zero dal
tempo di salita: nella nostra schematizzazione di pendenza costante abbiamo visto che il tempo di
passaggio di zero t
Z
dipende proprio linearmente da T
M
.
Alcuni rivelatori (per esempio i rivelatori a semiconduttore) presentano una pi` u o meno marcata
dispersione di forme; diciamo, in prima approssimazione, che abbiamo diversi tipi di segnale che,
oltre ad avere ampiezze diverse, presentano pendenze nella parte iniziale dierenti (continuiamo ad
ammettere andamenti lineari). Il motivo di questi diversi tempi di salita pu`o essere molteplice:
pu`o essere la dierente risposta del rivelatore alle diverse particelle o la dierente penetrazione
di queste nel rivelatore, che comporta diversi tempi di raccolta delle cariche; non approfondiremo
ulteriormente la sica di questo fenomeno, ma, stando contenti al quia, prendiamo atto della sua
esistenza, sapendo tuttavia che esiste una variante del CFTD, detta ARC-CFTD per Amplitude
Risetime Compensated CFTD, che permette di rimediare al problema. Il metodo di compensazione
si basa su una procedura identica a quella descritta prima, eccezion fatta per il ritardo T
D
che ora
[Cap. VIII, 3] 101
deve essere inferiore al tempo T
M
del raggiungimento del massimo. Considerando in dettaglio il
segnale somma abbiamo la situazione riportata nella Fig.6:
T
D
V
t
V
V
t
F
0
segnale somma per il comparatore
D
0
Z
Fig.VIII.6
Imponendo che la somma V
D
+ V
F
sia nulla (la condizione per cui scatta il comparatore con la
soglia a 0), ovvero:
F V
0
T
M
t
Z
=
V
0
T
M
(t
Z
T
D
) (VIII.2)
otteniamo:
t
Z
=
T
D
1 F
(VIII.3)
indipendente, come desiderato, sia dallampiezza che dal tempo di salita, ovvero, nella nostra schema-
tizzazione, dal tempo di raggiungimento del massimo T
M
.
Unultima considerazione per quanto riguarda il jitter: i metodi di discriminazione a frazione
costante, come abbiamo visto, si basano su una combinazione lineare del segnale a tempi diversi;
pertanto il segnale utilizzato per il passaggio di zero ha sempre una varianza complessiva di rumore
superiore a quella che possiede il segnale originario; ad essere precisi, nel fare questa aermazione
dovremmo anche considerare la funzione di autocorrelazione delluscita sommata, ma assumiamo
che la sua R() sia dierente da 0 solo su tempi molto minori di T
D
, per cui i due membri della
combinazione lineare si possano considerare indipendenti. Pertanto le tecniche CFTD, pur essendo
incomparabilmente superiori a quelle LE per quanto riguarda lo walk, sono ad esse inferiori per
quanto attiene al jitter. La tecnica LE, usando il solo segnale originario, presenta la minima varian-
za possibile nel timing.
G.Poggi: Appunti sul rumore elettrico; Cap.VIII
Firenze, 9 giugno 2006

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