Opere
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Tra le persone che assistettero al discorso di san Paolo all’Areopago di Atene e che, al termine, decisero di farsi discepoli dell’Apostolo, gli Atti degli Apostoli menzionano Dionigi l’Areopagita.
Le opere di Dionigi si presentano con una densità speculativa e una ricchezza di elevazione interiore che hanno conquistato numerosissimi lettori e influenzato intellettuali e mistici di ogni tempo.
Nella Gerarchia celeste e nella Gerarchia ecclesiastica Dionigi presenta il cosmo strutturato secondo un ordine ben preciso, che va dallo spirituale all’umano, dall’universo intelligibile a quello sensibile. La gerarchia è «un ordine sacro…»
Nei Nomi divini si individuano i termini che rendono intelligibile nel modo migliore l’essenza divina, la quale nella creazione si partecipa e si irradia in forme molteplici. Nella Teologia mistica di Dionigi il tema centrale è quello dialettico della sempre più profonda penetrazione nella realtà in cui Dio si rivela e insieme del continuo oltrepassamento dell’immagine, per giungere sino alla visione dell’Invisibile, e ad essa è debitrice tutta la tradizione mistica occidentale, dai Vittorini e da san Bernardo a Bonaventura, a Eckhart, a Taulero, a Giovanni della Croce, a Bérulle.
Un testo che ancora oggi affascina, interroga, stupisce.
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Book preview
Opere - Dionigi Areopagita
Dionigi Areopagita
Opere
Gerarchia celeste
Gerarchia ecclesiastica
Nomi divini
Teologia mistica
L’educazione interiore
KKIEN Publishing International
info@kkienpublishing.it
www.kkienpublishing.it
Prima edizione digitale: 2023
Datazione: tra il 485 e il 518/28 (prima traduzione latina realizzata verso l’838)
Traduzione di Pietro Scazzoso
ISBN 9788833261652
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Table Of Contents
Introduzioni
Dionigi Areopagita: vita, opere e pensiero
Dionigi l’Areopagita
Il corpus dionysiacum
La filosofia estetica di Dionigi l’Aeropagita
La mistagogia liturgica nella Gerarchia ecclesiastica dello Pseudo-Dionigi l’Areopagita e la tradizione alessandrina
Dionigi Areopagita e la sua teoria del simbolo
Benedetto XVI - Pseudo-Dionigi Areopagita
OPERE
Gerarchia Celeste
Capitolo primo
Come ogni illuminazione divina, procedendo secondo bontà in modo vario verso le cose a cui provvede, rimane semplice, non solo, ma unifica le creature illuminate.
Capitolo secondo
Come le cose divine e celesti convenientemente si manifestano anche attraverso i simboli dissimili
Capitolo terzo
Che cos’è la gerarchia e qual è l’utilità della gerarchia
Capitolo quarto
Che cosa significa la denominazione «angeli»
Capitolo quinto
Perché tutte le sostanze celesti sono denominate indistintamente angeli
Capitolo sesto
Qual è la prima disposizione delle sostanze celesti, quale quella mediana e quale l’ultima
Capitolo settimo
Serafini, cherubini, troni, e la loro prima gerarchia
Capitolo ottavo
Dominazioni, potenze, potestà, e la loro gerarchia, che è quella di mezzo
Capitolo nono
Principati, arcangeli, angeli, e la loro gerarchia, che è l’ultima
Capitolo decimo
Ripresa e conclusione dell’ordinamento angelico
Capitolo undicesimo
Perché tutte le sostanze celesti sono chiamate, con lo stesso nome, potenze celesti
Capitolo dodicesimo
Perché i capi della gerarchia umana sono chiamati angeli
Capitolo tredicesimo
Perché si dice che il profeta fu purificato dai Serafini
Capitolo quattordicesimo
Che cosa significa il numero degli angeli che ci è stato tramandato
Capitolo quindicesimo
Quali sono le immagini che danno una forma alle potenze angeliche: la forma di fuoco e la forma umana; che cosa sono gli occhi, le mani, le orecchie, le narici e il resto di cui si parla in questo capitolo
Gerarchia Ecclesiastica
Capitolo primo
La tradizione della gerarchia ecclesiastica e qual è il suo scopo
Capitolo secondo
I riti del battesimo
II mistero dell’illuminazione
Contemplazione
Capitolo terzo
I riti della riunione
Il mistero della riunione ossia della comunione
Contemplazione
Capitolo quarto
La consacrazione dell’unguento e ciò che con esso si consacra
Il mistero della consacrazione dell’unguento
Contemplazione
Capitolo quinto
Le ordinazioni sacerdotali
Il mistero delle ordinazioni sacerdotali
Contemplazione
Capitolo sesto
Gli ordini degli iniziati
Il mistero della consacrazione monacale
Contemplazione
Capitolo settimo
I riti funebri
Il rito funebre per coloro che sono morti santamente
Contemplazione
Nomi Divini
Capitolo primo
Il metodo dell’opera e la tradizione dei nomi divini
Capitolo secondo
Intorno alla teologia unita e distinta, e quale sia l’unione e la distinzione in Dio
Capitolo terzo
Quale sia il valore della preghiera e intorno al beato Ieroteo, al rispetto delle sacre scritture e al modo di trattarne
Capitolo quarto
Il Bene, la Luce, il Bello, l’Amore, l’estasi e lo zelo. Il male non è un essere, né deriva dall’essere, né esiste negli esseri
Capitolo quinto
Dell’Essere e degli esemplari
Capitolo sesto
La vita
Capitolo settimo
La Sapienza, l’intelletto, la Ragione, la Verità, la Fede
Capitolo ottavo
La Potenza, la Giustizia, la Salvezza, la Redenzione, ma anche la Ineguaglianza
Capitolo nono
Grande, Piccolo, Medesimo, Altro, Simile, Dissimile, Stato, Moto, Uguaglianza
Capitolo decimo
Onnipotente, Antico dei giorni; ma si tratta anche dell’eternità e del tempo
Capitolo undicesimo
La Pace, l’essere-in-sé, la vita-in-sé, la potenza-in-sé e le espressioni analoghe
Capitolo dodicesimo
Santo dei santi, Re dei re, Signore dei signori, Dio degli dèi
Capitolo tredicesimo
Il perfetto e l’Uno
Teologia Mistica
Capitolo primo
Che cosa sia la divina caligine
Capitolo secondo
Come bisogna unirsi e rivolgere inni alla Causa di tutte le cose e che sta sopra tutte le cose
Capitolo terzo
Quali sono le teologie affermative e quali quelle negative
Capitolo quarto
Non è alcuna delle cose sensibili colui che è Causa per eccellenza di ogni cosa sensibile
Capitolo quinto
Non è alcuna delle cose intelligibili colui che è Causa per eccellenza di ogni cosa intelligibile
Introduzioni
Dionigi Areopagita: vita, opere e pensiero
Una nuova fase nella storia platonica e neoplatonica medievale si apre nel IX secolo con la diffusione delle opere dello Pseudo Dionigi. Nell’827 D.C. l’imperatore bizantino Michele III dona a Ludovico il Pio un manoscritto greco che contiene quella che lui chiamerà teologia greca
, sono le opere attribuite a Dionigi l’Areopagita, così chiamato perché i medievali ridetene vano che fosse quel Dionigi fatto poi santo che secondo gli Apostoli era stato convertito da San Paolo in persona durante la sua predicazione sull’areopago ad Atene. L’autore di queste opere è un Dionigi che non ha niente a che vedere con il Dionigi convertito da San Paolo. Si tratta di un autore cristiano di formazione neoplatonica vissuto probabilmente in Siria tra il V è il VI secolo.
Il codice delle opere attribuite a Dionigi conteneva quattro trattati: la gerarchia celeste, la gerarchia ecclesiastica, i nomi divini, la teologia mistica scritti in greco che insieme a un gruppo di dieci lettere dello stesso autore iniziano a circolare pochi anni dopo che l’imperatore bizantino ha fatto questo dono a Ludovico il Pio. Il re ricevuto questo codice chiede ad un abate Induino di tradurre queste opere dal greco al latino. Dall’832 queste opere iniziano a circolare. In realtà la traduzione di Induino era estremamente difficile e imprecisa, di lettura molto ostica. È per questo motivo che il successivo re di Francia Carlo il Calvo chiederà a un monaco di origine irlandese di fare una nuova traduzione e grazie alla produzione di Scoto Eriugena queste opere avranno una larga circolazione dal IX secolo in avanti. Successivamente ci saranno nuove traduzioni dal greco (XIII secolo). Godranno di una circolazione molto larga e eserciteranno l’influenza molto profonda sul pensiero filosofico teologico medievale e anche rinascimentale. All’interno di queste opere si trovano una serie di idee che confermano alcuni spunti che erano già presenti grazie al l’influenza indiretta del pensiero di Platone.
La tradizione platonica consegna alla cultura medievale l’idea di un mondo strutturato gerarchicamente; questa convinzione è profondamente radicata è rafforzata grazie all’influenza delle opere dello Pseudo Dionigi in cui l’intera realtà è concepita come una struttura gerarchica che procede dell’unità al molteplice di dal semplice al complesso. Lo Pseudo Dionigi utilizza qui idee direttamente neoplatoniche (non tanto le idee di Plotino ma quelle di Proclo il quale era esponente del neoplatonismo secondo il quale per fare posto alle molteplici divinità della religione pagana aveva moltiplicato gli intermediari tra l’Uno e il molteplice). Dionigi riprende l’idea di una pluralità di intermediari tra l’Uno e il mondo materiale ma ne dà un’interpretazione cristiana e quindi immagina che esista una molteplicità di gerarchie di esseri spirituali; una gerarchia molto precisa di sostanze immateriali: gli angeli. Tutta la concezione degli angeli che si sviluppa nella cultura latina dal IX - X secolo in avanti ha una molteplicità di fonti alcune sono direttamente testamentarie come ad esempio il Nuovo Testamento; ma il modo in cui viene realmente concepita la natura, l’esistenza di queste sostanze spirituali che giocano un ruolo fondamentale nella concezione cristiana medievale del mondo dipende profondamente dalla gerarchia celeste o angelica dello Pseudo Dionigi.
Dal punto di vista filosofico sono due gli aspetti più rilevanti dell’influenza di queste opere:
1) presenza all’interno delle opere dello Pseudo Dionigi di quel particolare modo di concepire le idee come esemplari divini delle cose. Si diffuse nella cultura patristica una rilettura della teoria delle idee che le toglie dall’Iperuranio di Platone e le colloca nella mente di Dio. Il logos rappresenta il luogo in cui vengono collocate le idee concepite come modelli divini della creazione. Questo modo di intendere le idee viene diffuso dalle opere dello Pseudo Dionigi;
2) si trova un’analisi raffinata del concetto base della metafisica: la nozione di essere e della sua applicabilità a Dio. La tesi centrale della Metafisica di Aristotele è che l’essere si dice in molti modi in quanto vi sono diversi tipi di enti che secondo Aristotele si dispongono secondo una gerarchia. Per Aristotele vi sono esseri immutabili, immateriali, eterni (sostanze separate, i motori immobili che sono oggetto di una parte della metafisica che Aristotele chiama teologia). Ci sono poi altri tipi di sostanze per Aristotele: sostanze immutabili che non hanno esistenza indipendente e sono gli enti matematici. Infine vi sono vari tipi di sostanze soggette a mutamento e anche un’estensione si dispongono secondo una recisa gerarchia (ci sono sostanze più perfette che conoscono un solo tipo di cambiamento: lo spostamento locale e sostanze mutevoli che rappresentano il livello più elementare). Gli accidenti sono le proprietà delle cose che non hanno un’esistenza separata dalle cose stesse. All’interno di questo modo di dividere i vari tipi di enti, le sostanze separate cioè gli enti più perfetti che esistono nella realtà immateriali ed eterni sono appunto sostanze cioè di essi si può predicare l’essere. Dio o i vari dei sono e quindi di questi si può predicare l’essere.
Nella tradizione del pensiero neoplatonico, invece, l’Uno è aldilà della stessa distinzione essere- non essere, non si può neppure dire che è. Contro una teologia di ispirazione aristotelica che identifica Dio con l’essere, c’è un’altra tradizione del pensiero in cui non si può identificare Dio e essere e non si può predicare l’essere di Dio.
Dionigi l’Areopagita e contemporaneamente Severino Boezio trasformano questo aspetto particolare della teoria dell’essere di ispirazione neoplatonica per renderla compatibile con il monoteismo cristiano.
Secondo Dionigi Dio si identifica con l’essere puro che fornisce la sostanza di ogni ente. È un principio che trascende infinitamente ogni essere e tuttavia si può asserire che coincide con l’essere puro ed è la fonte causale di ogni essere finito.
Dionigi sostiene che essere è il nome più generale di Dio, in un certo senso anche essere è inadeguato a Dio perché Dio è aldilà di ogni possibile predicazione, tutto ciò che è deriva l’essere da Dio ed esiste in quanto partecipa del suo essere. Dio per Dionigi può essere identificato con l’essere puro e ogni ente che esiste nella realtà esiste in quanto partecipa al l’essere divino. L’uomo non potendo nella sua finitezza conoscere Dio in sé può conoscerlo proprio nelle sue creature cioè nelle sue partecipazioni. Collegato a questo tema del rapporto Dio-essere vi è un altro tema centrale nel pensiero di Dionigi che condizionerà a lungo la filosofia-teologia, la mistica cristiana: è il tema della teologia negativa.
Le sue opere offrono una trattazione dei problemi dei nomi divini. Il problema dei nomi divini ha un’origine scritturale, nasce dal testo sacro dove vengono attribuiti a Dio dei nomi e presentati alcuni attributi divini; si dice allora che Dio è buono, giusto, luce ecc... Il problema è che valore dare a questo tipo di definizioni di Dio. Riflettendo su questo problema Dionigi introduce una distinzione che sarà poi dominante nel pensiero successivo non solo medievale: distinzione tra teologia affermativa, negativa e superlativa.
1) La teologia affermativa è una teologia che pretende di affermare qualche cosa di Dio. Costruisce delle frasi in cui Dio è il soggetto e poi ci sono dei predicati ad esempio Dio è buono. Secondo Dionigi una teologia affermativa ha un fondamento ma avendo una formazione filosofica neoplatonica, si rende conto che una teologia di questo tipo comporta dei notevoli rischi come ridurre la realtà divina alle categorie e ai predicati umani. Ciò che è assolutamente semplice e ciò che è infinito non tollera nessuna negatività, nessuna diversità che vi si opponga, ma il problema è che come dirà Hegel ogni affermazione è negazione
. Se ogni affermazione è anche al tempo stesso una negazione, una teologia affermativa che pretende di affermare qualche cosa di Dio rischia di limitarlo e quindi bisogna utilizzare con estrema prudenza il metodo della teologia affermativa sapendo che qualsiasi affermazione che riguardi la realtà divina è un’affermazione impropria, imprecisa che va presa al massimo in senso metaforico.
2) La teologia negativa nega la possibilità di predicare qualche cosa di Dio. Sostiene che da un certo punto di vista è meglio negare i predicati a Dio invece di affermarli. Per non correre il rischio di interpretare alla lettera invece che metaforicamente ciò che noi diciamo di Dio è opportuno negare ciò che noi pensiamo di poter dire di Dio. Infine si sfocia nella teologia superlativa o iperbolica.
3) La teologia superlativa o iperbolica è una teologia che in ogni caso permette di affermare che Dio è aldilà di qualsiasi predicato, quindi non si può dire né che Dio è essere o che non è essere ecc... In questo modo si attribuiscono dei predicati che sono formalmente positivi ma sono concettualmente negativi. È proprio in questa prospettiva che secondo Dionigi si può reinterpretare l’auto definizione di Dio dell’Esodo, dicendo di se stesso sono colui che sono
. Dio avrebbe manifestato apertamente l’impossibilità di dare a Dio stesso un nome. Per Dionigi significa: sono colui che è senza nome". Di qui l’idea che è un’arte colazione in chiave cristiana di un motivo che risale alla tradizione neoplatonica dell’ineffabilità di Dio, se si dice qualcosa di Dio, si può paradossalmente predicare di lui coppie concettuali (esempio essere-non essere) perché di lui che essendo aldilà di ogni predicazione, le predicazioni opposte coincidono e questo è il tema della coincidentia oppositorum. Quest’idea porta Dionigi a teorizzare apertamente un particolare modo che l’uomo deve seguire, compiere un cammino intellettuale morale che lo porti a distaccarsi dalla molteplicità delle cose e dalla molteplicità delle sue stesse immagini e idee.
Se Dio viene concepito in questo modo, il cammino della mente verso Dio non può non essere un percorso strettamente razionale, ma è necessaria quella che egli chiama una forma di intuizione sovraintellettuale che supera la nostra razionalità che consenta alla mente umana di immergersi in quella che egli chiama tenebra divina. La ragione umana in qualche modo riesce a cogliere Dio solo nel momento in cui supera se stessa, nega se stessa, trascende se stessa e intuisce Dio come lui dice in una piena ignoranza cioè negando la sua stessa conoscenza, le sue nozioni. È da qui che proviene da una parte il tema della ditta ignoranza, ignoranza che non si tratta di non sapere le cose ma che è un superare ogni tipo di conoscenza che noi abbiamo nel tentativo di ricongiungersi a un Dio che trascende le nostre capacità concettuali.
Dionigi l’Areopagita
Alessandro Ghisalberti
già professore ordinario di Filosofia teoretica e di Storia della filosofia medievale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica di Milano
Tra le persone che assistettero al discorso di san Paolo all’Areopago di Atene e che, al termine, decisero di farsi discepoli dell’Apostolo, gli Atti menzionano Dionigi l’Areopagita e una donna di nome Damaris (Atti 17,34). Il titolo di Areopagita indica l’appartenenza di Dionigi al tribunale dell’Areopago: si tratta perciò di un personaggio ragguardevole, un giudice, ex arconte e sicuramente discendente da una famiglia aristocratica ateniese; una tradizione riferita da san Giovanni Crisostomo identifica Damaris con la moglie di Dionigi, ma non si hanno prove di questa affermazione.
Più attendibile la notizia conservataci nella Storia ecclesiastica da Eusebio, secondo cui Dionigi l’Areopagita divenne il primo vescovo di Atene e morì martire. Non esistono altre notizie sicuramente riferibili al Dionigi menzionato dagli Atti, mentre nel secolo IX Dionigi l’Areopagita venne identificato con san Dionigi, vescovo di Parigi nel secolo III, mandato da Roma a predicare il Vangelo in Gallia, dove fu martirizzato verso il 270. Il primo documento ufficiale in cui compare tale identificazione è la Vita di san Dionigi scritta dal monaco Ilduino (m. 840), biografia composta troppo tardi per essere considerata più che una leggenda.
Esiti contrastanti sulla biografia di Dionigi
Nella teologia cristiana tuttavia il nome di Dionigi l’Areopagita è diventato famoso per un ulteriore dato, ossia per la comparsa verificatasi nel secolo VI di alcune opere di argomento teologico-mistico, con l’aggiunta di alcune lettere, scritte in greco da un prete di nome Dionigi e dedicate al confratello Timoteo.
Questo Dionigi dichiara di essere vissuto al tempo degli Apostoli, di essere stato discepolo di un certo Ieroteo e con lui discepolo di san Paolo (I nomi divini III); afferma inoltre di avere assistito, insieme con il filosofo sofista Apollofane, all’eclisse di sole verificatasi al momento della crocifissione di Cristo (Epistola VII) e di essersi recato, insieme con Timoteo, Giacomo fratello del Signore e Pietro «per vedere il corpo sorgente di vita e dimora di Dio» (I nomi divini III), espressione in cui gli studiosi vedono indicata la dormizione di Maria Vergine.
I destinatari di alcune delle dieci lettere incluse nel corpus degli scritti di Dionigi confermerebbero la dichiarata datazione apostolica: la decima lettera è indirizzata all’apostolo Giovanni, in esilio a Patmos; la settima al vescovo di Smirne, Policarpo; la nona si rivolge a Tito, vescovo di Creta e noto discepolo di san Paolo, e le prime quattro lettere sono indirizzate al monaco Gaio, identificabile con il Gaio cui è indirizzata la terza Lettera di san Giovanni.
L’insieme di questi dati spiega come sia potuto accadere che, quando il corpus degli scritti di Dionigi comparve sulla scena teologica a Costantinopoli, durante un dibattito fra la corrente monofisita di Severo di Antiochia e gli ortodossi, sostenitori della dottrina calcedoniana, i severiani abbiano invocato a sostegno delle loro tesi quegli scritti, dichiarandoli opera di Dionigi l’Areopagita.
Gli ortodossi misero in dubbio l’identificazione del Dionigi autore degli scritti con l’Areopagita; Ipazio, vescovo di Efeso, chiese delle prove concrete a favore dell’autenticità: come si spiegava il fatto che Atanasio e Cirillo di Alessandria avessero ignorato questi scritti, che sarebbero risultati estremamente utili per convincere gli ariani del tempo del Concilio di Nicea?
Nonostante i dubbi, l’identificazione dell’autore del corpus con l’Areopagita trovò presto accoglienza favorevole: nel 593 Gregorio Magno citava con estremo rispetto il divino Dionigi
e i papi del secolo VII lo considerarono il primo Padre della Chiesa. Quando Ilduino operò l’identificazione di san Dionigi di Parigi con l’Areopagita finì perciò con lo stabilire l’ulteriore sovrapposizione, quella dei due martiri con l’autore del corpus dyonisianum, di cui fornì la prima traduzione in latino.
Una nuova e più elegante traduzione, curata pochi decenni dopo dal massimo filosofo del tempo Giovanni Scoto Eriugena (810-870), assicurò al corpus una più ampia diffusione tra gli studiosi latini, destinata a diventare capillare con la nascita delle università medievali: due grandi scolastici, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, commentarono analiticamente le opere da loro riconosciute autentiche dell’Areopagita.
Il prestigio che il corpus riceveva dall’attribuzione a un personaggio formatosi alla scuola diretta degli Apostoli ha certamente attenuato le difficoltà che quella presunta paternità implicava. Era tuttavia lo stesso corpus a fornire indicazioni utili per superare l’obiezione di Ipazio, relativa al silenzio dei Padri. Più volte Dionigi prega Timoteo di non divulgare la dottrina sacra, perché non sia profanata: «Per quello che ti riguarda, o caro Timoteo, è necessario che tu mantenga nel segreto queste cose, secondo l’esortazione santissima, facendo in modo che i profani non conoscano e non divulghino le cose divine» (I nomi divini I).
La teoria del segreto, comune all’esoterismo neoplatonico e neopitagorico, poteva risultare convincente: i Padri antichi potevano avere utilizzato il testo senza citarlo; la disciplina dei misteri sarebbe stata rispettata finché non s’imposero le necessità dell’apologetica. Oppure si poteva congetturare che erano stati gli eretici o i pagani a tenere nascosti i testi, per privare l’ortodossia di un’arma così importante. Quand’anche fosse risultato infine che alcuni passi delle opere erano sicuramente databili in età più tarda rispetto a quella apostolica, sarebbe stato sempre possibile invocare la presenza di interpolazioni successive all’ originale.
Sulla scorta di queste indicazioni, il corpus dyonisianum è stato il testo più autorevole, dopo gli scritti del Nuovo Testamento, sino a quando nel secolo XVI Lorenzo Valla non sollevò un’obiezione di fondo: come poteva il Dionigi teologo e filosofo autore di famosi scritti essere lo stesso Dionigi l’Areopagita convertito da san Paolo, che invece era un giudice?
Erasmo e gli altri umanisti recepirono questa obiezione e si parlò di Dionigi come lo pseudo-Areopagita (o, impropriamente, dello pseudo-Dionigi), denominazione invalsa sino ai nostri giorni. Numerosi studiosi del nostro secolo hanno cercato di ricostruire i dati biografici del personaggio, ma si sono avuti esiti contrastanti. I principali elementi sinora accertati dalla critica riguardano la dipendenza dei Nomi divini dalle opere di Proclo (410-485), il riferimento del corpus a usi liturgici attestati solo a partire dal secolo V, il richiamo al monachesimo come forma di vita cristiana praticata in seno alla Chiesa. La datazione più verosimile porta alla fine del secolo V o agli inizi del secolo VI.
La mistica occidentale è debitrice a Dionigi
Prescindendo dalla questione sull’identità dell’autore, il corpus dyonisianum si presenta con una densità speculativa e una ricchezza di elevazione interiore che a un lettore attento e spassionato possono rendere adeguatamente ragione dell’enorme fascino prima ancora che della vasta influenza esercitati sugli intellettuali e sui mistici di ogni tempo.
Nella Gerarchia celeste e nella Gerarchia ecclesiastica Dionigi presenta il cosmo strutturato secondo un ordine ben preciso, che va dallo spirituale all’umano, dall’universo intelligibile a quello sensibile. La gerarchia è «un ordine sacro, una scienza è un’operazione che si conforma, per quanto è possibile, al Divino, e che è portata all’imitazione di Dio proporzionalmente, secondo le illuminazioni che da Dio stesso le sono comunicate» (Gerarchia celeste III, I); la gradualità gerarchica mira dunque a distribuire la perfezione divina nell’universo.
Nei Nomi divini si individuano i termini che rendono intelligibile nel modo migliore l’essenza divina, la quale nella creazione si partecipa e si irradia in forme molteplici. Dionigi insiste sui simboli intellettuali e sensibili che svolgono la funzione mediatrice per l’introduzione dell’uomo nella sfera del divino; egli è perciò considerato il fondatore della teologia negativa
, perché Dio si mantiene sempre trascendente a tutti i nomi.
Alla Teologia mistica di Dionigi è debitrice tutta la tradizione mistica occidentale, dai Vittorini e da san Bernardo a Bonaventura, a Eckhart, a Taulero, a Giovanni della Croce, a Bérulle; il tema che la attraversa è quello dialettico della sempre più profonda penetrazione nella realtà in cui Dio si rivela e insieme del continuo oltrepassamento dell’immagine, per giungere sino alla visione dell’Invisibile.
Molto acutamente è stato osservato come l’autore del corpus dyonisianum si identifichi senza residuo con la sua opera e come la collocazione che Dionigi fa del proprio mandato in uno spazio e in un tempo vicinissimi a quelli del mandato di san Paolo e san Giovanni corrisponde a una necessità, a una forma della sua veracità: «Ci si può solo rallegrare per il fatto che egli sia riuscito a scomparire per un millennio dietro l’Areopagita, riuscendo a rinnegare tenacemente il proprio volto, anche dopo che lo si è esumato in questa nostra età dei sepolcri infranti» (H. U. von Balthasar).
Il corpus dionysiacum
Un filosofo misterioso. Il caso dello pseudo-Dionigi può forse essere considerato come il più fecondo e influente falso letterario della storia del pensiero filosofico occidentale. Sotto il nome del discepolo di san Paolo e primo vescovo di Atene, già membro dell’Areopago di Atene, convertitosi al cristianesimo dopo aver assistito all’eclisse di sole verificatosi al momento della Crocifissione, si nasconde in realtà un autore anonimo, vissuto probabilmente nella Siria del V secolo, forse un ecclesiastico, anche se non è chiaro se potesse essere vescovo, presbitero o semplicemente monaco. Il corpus degli scritti composti da questo misterioso autore (quattro trattati e un gruppo di dieci lettere) presenta caratteristiche dottrinali e terminologiche che difficilmente potrebbero risalire alla prima fase della predicazione apostolica, mostrando già traccia di dispute eresiologiche successive e una certa contiguità terminologica e concettuale con l’ultima fase della speculazione neoplatonica, tanto che si è ipotizzata un’influenza diretta sullo pseudo-Dionigi da parte del filosofo ateniese Proclo. Al di là dei problemi di origine di questo corpus testuale, ciò che ne ha determinato la fortuna resta indubbiamente l’altissimo livello speculativo del suo contenuto dottrinale, che ha stabilito un fondamento sistematico e un arricchimento della speculazione teologica sviluppata fino al V secolo in seno alla tradizione della Chiesa.
Il corpus dionysiacum. I trattati che compongono il corpus dionysianum (dionysiacum nel lessico medievale) sono il De coelesti hierarchia, il De ecclesiastica hierarchia, il De divinis nominibus e il De mystica theologia. I primi due trattano della struttura gerarchica degli ordini angelici e degli ordini ecclesiastici, il terzo trattato è un compendio di teologia simbolica, il quarto è un breve trattato in cui vengono delineati i fondamenti della teologia negativa. La fortuna di questi scritti fu immensa sia nell’Occidente latino sia nell’Oriente bizantino: l’angelologia e la teologia negative sarebbero impensabili negli sviluppi dogmatici del cristianesimo medievale senza la mediazione dello ps.-Dionigi; allo stesso modo la teoria delle energie divine e la teoria della deificazione, che fornirono la base dottrinale della teologia mistica della Chiesa d’Oriente, sono grandemente debitrici dell’opera di questo misterioso autore. La rilevante presenza di strumenti concettuali e terminologici propri della speculazione neoplatonica viene giustificata in un certo modo dall’autore stesso, che nella VII Lettera si difende dall’accusa mossagli dal sofista Apollofane di utilizzare le cose dei greci contro i greci
, ripetendo un concetto caro a tutta l’apologetica patristica, ovvero che i filosofi pagani hanno utilizzato la sapienza divina in modo parziale e improprio, e che spetta ai teologi cristiani il corretto riutilizzo degli strumenti della razionalità e dell’intellettualità umana nella luce della Rivelazione.
I nomi di Dio. Uno dei fondamenti del pensiero dionisiano è l’apofaticità dell’essenza divina, ovvero il suo sfuggire a ogni possibilità di delimitazione, definizione o concezione da parte di qualsiasi intelletto creato, umano o angelico. La conoscenza dell’essenza divina, impossibile direttamente, trova possibilità attraverso una mediazione teofanica. La teologia conosce di conseguenza due modalità, cioè apofatica
(o negativa) e catafatica
(o affermativa), che descrivono le possibilità della gnoseologia delle realtà divine. Se la via catafatica è simbolica e analogica, la via apofatica è quella che ha il compito di riferire in senso proprio della realtà divina, ovvero negando ogni analogia tra quella e il mondo creaturale. Il problema dell’apofaticità divina viene affrontato da Dionigi nel De divinis nominibus e nella Mystica theologia. Nel primo trattato si dà conto di come l’unità divina, ineffabile e superiore a ogni unità e distinzione sia causa dell’essere delle creature e come queste possano conoscere e partecipare a quello attraverso le modalità definite dai nomi che lo designano e che definiscono le sue operazioni (o energie): questi nomi vengono analizzati nella successione della loro gerarchia, descrivendo un ordine in cui l’essere, la conoscenza e le distinzioni ontologiche non risultano altro che essere partecipazione a paradigmi ontologici identificati nel loro principio causale con Dio stesso. Dionigi riprende i nomi divini dalla terminologia filosofica ellenica (Uno, Bene, Luce, Bello, Amore, Vita, Essere, Sapienza, Ragione, Fede, Giustizia, Pace, Dissimile, Disuguaglianza, Moto, Eternità) imprimendo a questi un senso eminentemente cristiano, affiancando inoltre a questi nomi le definizioni della Bibbia (Antico dei giorni, Angelo del Gran Consiglio). I problemi fondamentali della teologia e della filosofia della partecipazione ontologica vengono sviluppati da Dionigi entro un quadro in cui è costantemente rimarcato l’elemento di superiorità-alterità della divinità in sé: nel trattare del problema del male, della predestinazione, della forza unificante (definita sotto il nome divino di Amore), Dionigi dipinge un grandioso affresco di un universo pervaso dall’energia divina che trasmette la sua potenza vivificante e deificante alle creature, secondo le due modalità discensiva (próodos), la quale porta dall’unità divina al molteplice creaturale, e ascensiva (epistrophé), nella quale si compie il percorso inverso dal molteplice all’unità divina.
La non-conoscenza. Nel caso della Mystica theologia, il punto di vista gnoseologico e metodologico seguito in Divinis nominibus è invertito, riferendosi qui della divinità nella sua impenetrabilità e superiorità a ogni definizione e determinazione. La via per eccellenza verso la conoscenza di Dio è dunque quella che nega ogni attributo e determinazione: partendo dalla negazione dagli attributi più lontani dalla natura divina (Dio non è sensibile) fino