Cuito Cuanavale, la Guadalajara di Fidel Castro di Virgilio Ilari
L’intenzione dell’amministrazione Bush era di basare sulla sponda
meridionale del Mediterraneo il nuovo Africa Command (USAFRICOM), istituito il 1° ottobre 2007 e attivato un anno dopo a Stoccarda. A seguito però del rifiuto opposto per ora da tutti i paesi nordafricani, si è ventilato di trasferirlo a Napoli, già sede delle Forze Meridionali della NATO nonché storica base delle spedizioni italiane d’Oltremare e dell’Afrika Korps. La creazione del sesto dei “combatant unified commands” regionali americani è solo uno dei molteplici segnali del crescente rilievo strategico del continente africano, ma ha anche offerto nuove armi alla polemica antimperialista, ora flebile in Europa ma non nel resto del mondo, inclusi gli stessi Stati Uniti. Infatti è stato proprio un professore della Johns Hopkins University di Washington a rivalutare il ruolo dell’internazionalismo comunista nelle guerre di liberazione africane e nella sconfitta dell’apartheid, in un saggio del 2002 (Conflicting missions: Havana, Washington and Africa, 1959- 1976, University of North Carolina Press) che è divenuto un punto di riferimento per la storia strategico-militare dell’Africa sub sahariana e ha ricevuto il premio Robert Farrell della Society for the Historians of American Foreign Relations (la disciplina accademica in cui è incardinato l’autore). Di origini italiane (nato a Venezia nel 1944 da un “ufficiale di marina” meridionale che raccontava poi al figlio di essersi rallegrato della resistenza sovietica sul Don nel dicembre 1941), formatosi a Ginevra, Pietro Gleijeses è per certi versi una simpatica icona del Sessantotto: studioso dell’imperialismo americano in America Centrale e nei Caraibi, insignito nel novembre 2003 della medaglia cubana dell’Amicizia, ha sposato una scultrice giapponese assai nota a Cuba, anche se meno della sorella Yoko Ono (la vedova di John Lennon, dei Beatles). Inoltre la tesi centrale del suo libro, basato su solide ricerche negli archivi americani e cubani, è il ruolo autonomo e trainante svolto da Fidel Castro nel decidere l’intervento in Angola invasa dai mercenari e dai reazionari sostenuti dagli Stati Uniti, dalla Cina, dalla Corea del Nord, dallo Zaire di Mobutu e dal Sudafrica. Riecheggiando l’enfasi di un famoso articolo che nel 1976 Gabriel Garcia Marquez dedicò all’“Operacion Carlota” (così denominata dalla ferocissima schiava negra che aveva capeggiato la rivolta cubana del 1843), Gleijeses dimostra che l’iniziativa di Fidel Castro fu all’inizio sconfessata dall’URSS, il cui impegno seguì solo due mesi più tardi, quando i volontari cubani avevano già invertito il rapporto di forze e salvato i comunisti angolani. La guerra civile tra il MPLA marxista di Agostinho Neto (1922-79) e poi di José Eduardo Dos Santos e l’UNITA di Jonas Sawimbi (1934- 2002) durò fino al 2002 con un bilancio di mezzo milione di morti. Altrettanti furono però i volontari, tra militari e cooperanti civili, che si avvicendarono nella Mision Internacionalista de cubanos in Angola (MICA) dal 1975 al 1991, con due picchi di 36.000 e 50.000 militari nel 1976 e 1988. Per questo gli Stati Uniti e il Sudafrica dovettero negoziare con Cuba la pace in Angola e il futuro della Namibia, decisi nell’Accordo tripartito di New York del 22 dicembre 1988. E’ però innegabile che l’accordo quadro era già stato raggiunto il 1° giugno nel vertice di Mosca tra Reagan e Gorbaciov e che fu l’Unione Sovietica ad assumere la leadership diplomatica e militare dell’internazionalismo comunista in Africa e a dirigere l’impiego delle truppe cubane. Secondo Douglas Rivero, uno storico della distensione, quasi un terzo delle forniture militari sovietiche a Cuba (400 milioni di dollari su 1.500) era in realtà destinato per procura all’Angola, segno che l’URSS preferiva intervenire in Africa piuttosto che in America Latina. L’URSS però non esiste più: e se la sinistra internazionalista coltiva ancora la “DDR Nostalgia”, ha decretato un’ingrata damnatio memoriae nei confronti della patria sovietica, ergendosi contro Putin e gli altri veri o presunti epigoni, e a favore delle rivoluzioni rosa o arancione nell’ex-“Impero interno” di Mosca. Del resto anche durante la guerra fredda la sinistra respingeva con sdegno l’ossessione reazionaria di vedere ovunque lo zampino sovietico, considerandola un tentativo di screditare le lotte di liberazione e di legittimare la repressione. Il regime cubano non ha mancato di sfruttare propagandisticamente la tesi di Gleijeses: il 6 dicembre 2005, in occasione del 30° anniversario della missione militare cubana in Angola, Fidel Castro sottolineò che fu decisiva per consolidare l’indipendenza dell’Angola e conseguire quella della Namibia e contribuì in modo significativo alla liberazione dello Zimbabwe e alla scomparsa dell’odioso regime dell’apartheid. Nel luglio 2007, in occasione del ventennale dell’inizio della battaglia di Cuito Cuanavale, l’ultima della guerra in Angola, Gleijeses l’ha commemorata con un breve articolo, accreditando autorevolmente la tesi ufficiale che la considera la definitiva disfatta inflitta dalle forze cubane alle truppe di Botha, nella più grande battaglia combattuta in Africa dopo la seconda guerra mondiale e – secondo una fonte angolana - la “più grande mai combattuta al disotto dell’Equatore” (trascurando però Isandlwana e Adua, le due sconfitte del colonialismo britannico e italiano in Africa). La battaglia fu combattuta nella provincia di Cuando Cubango (compresa tra i due fiumi omonimi), incuneata tra lo Zambia ad Est e la Namibia a Sud (in particolare la striscia orientale di Caprivi che separa l’Angola dal Botswana). Questo territorio, per ragioni etniche e sociali, era la roccaforte dell’UNITA, il movimento anticomunista appoggiato dalla CIA e dal Sudafrica, che aveva impiantato una capitale a Jamba, nell’estremo Sud a ridosso del confine con Zambia e striscia di Caprivi. Fin dal settembre 1980, con l’appoggio delle forze di difesa sudafricane (SADF), l’UNITA aveva occupato l’ex-base portoghese di Mavinga, 200 km più a Nord-Ovest, riaprendo così i fuochi di guerriglia nelle province settentrionali di Moxico e Lunda al confine con lo Zaire. Secondo il generale Huambo, capo dell’intelligence di Sawimbi, nel 1986 le forze ribelli (FALA) contavano 28.000 regolari (44 battaglioni) e 37.000 guerriglieri, mentre i governativi (FAPLA) erano da 50 a 65.000, appoggiati da 58.000 stranieri: 37.000 cubani (12 reggimenti di fanteria, 7 corazzati, 1 d’artiglieria e 2 brigate contraeree con aviazione e istruttori, comandati da Gustavo Freitas Ramirez), 2.500 sovietici (generale Konstantin Shaknovich?), 2.500 tedesco-orientali (generale von Status?), 2.500 nord-coreani, 3.500 comunisti portoghesi (colonnello Leitao Fernandes?) e 10.000 esuli dai paesi confinanti (1.400 katanghesi, 7.500 namibiani dello SWAPO e 1.200 sudafricani dell’ANC). Secondo il generale Rafael Del Pino, che aveva comandato le forze aeree cubane in Angola e nel maggio 1987 fuggì negli Stati Uniti, i cubani avevano avuto in Angola 10.000 morti, feriti e dispersi e ben 56.000 disertori. Già nel 1985 i governativi avevano tentato invano di riprendere Mavinga. Una seconda offensiva scattò l’11 luglio 1987, con l’evidente intento politico di rafforzare la posizione di Luanda nel negoziato bilaterale con gli Stati Uniti cominciato il mese prima e di accrescere l’impatto della visita fatta in Europa dal presidente Dos Santos. Secondo le SADF a dirigere l’operazione Saludando Octubre erano i sovietici e le forze consistevano in 18.000 uomini (14 brigate FAPLA e 2 cubane), con 150 carri T-54/55 e 250 veicoli blindati, appoggiati da caccia MiG- 21/23 ed elicotteri Mi-8/24/25 operanti dalla base aerea arretrata di Menongue (300 km a Nord-Ovest di Mavinga e a 500 da Jamba, situata oltre il raggio operativo dei MiG). Il 4 agosto il presidente sudafricano Botha autorizzò un ennesimo intervento militare in sostegno dell’UNITA. Comandata dal colonnello Deon Ferreira (che dopo la caduta dell’apartheid divenne il primo capo di stato maggiore del nuovo esercito sudafricano), l’operazione Modular fu condotta da 3.000 uomini delle SADF (32° battaglione commandos, 61° meccanizzato, 20° artiglieria) e delle SWATF (Namibia), con 3 batterie di mortai, razzi Valkiri da 122 mm derivati dal russo Grad e cannoni a lunga gittata da 155mm (G-5 e G-6). Le FAPLA sferrarono un attacco diversivo da Nord (Lucusse) e uno principale da Est (Cuito Cuanavale). In realtà l’avanzata fu poco decisa e il 13 settembre le FALA bloccarono la colonna aggirante di destra ad appena 40 km a S-E di Cuito Cuanavale. Il 3 ottobre l’artiglieria sudafricana distrusse la 47a brigata corazzata delle FAPLA mentre tentava disperatamente di ripassare a guado il fiume Lombo. Fiera del successo, Pretoria rivendicò ufficialmente il merito, provocando l’irritazione di Sawimbi. Le FALA e le SADF proseguirono intanto l’inseguimento su Cuito Cuanavale, dove 3 brigate FAPLA (59a motorizzata e 21a e 25a di fanteria) si attestarono tra la sponda occidentale del Tumpo e quella orientale del Cuito. La posizione era però sotto il tiro dei pezzi da 155mm che dalle alture di Chambinga, a 30-40 km di distanza, martellavano il villaggio, il ponte sul Cuito e la pista di atterraggio, ostacolando i rifornimenti. La versione ufficiale delle SADF fu poi che non intendevano impadronirsi di Cuito Cuanavale, ma solo completare la distruzione delle forze governative e impedire che vi venisse creata una base aerea avanzata, da dove i MiG potessero effettuare raid contro la capitale dell’UNITA. Secondo Luanda e l’Avana, invece, l’obiettivo di Pretoria era di conquistare Menongue e di installarvi il governo provvisorio di Sawimbi. Il 15 novembre Dos Santos chiese aiuto a Castro, il quale gli mandò il meglio dell’aviazione, migliaia di rinforzi, molto materiale e il famoso stratega Arnaldo T. Ochoa Sanchez, già comandante dell’operazione Carlota e poi della spedizione del 1977 nell’Ogaden, molto apprezzato dai colleghi sovietici e insignito nel 1984 del titolo di Eroe della Rivoluzione cubana. L’operazione fu battezzata “Maniobra XXXI Aniversario de las Fuerzas Armadas Rebeldes”; il 5 dicembre i primi 200 specialisti e consiglieri cubani arrivarono a Cuito, il cui comando fu assunto dal generale cubano Leopoldo “Polo” Cintras Frias. I cubani fortificarono la testa di ponte con trincee, rifugi sotterranei per elicotteri e munizioni, torrette di carri interrati e soprattutto campi minati. Inoltre i MiG operanti da Menongue (sia pure vulnerabili sotto i 16.000 piedi di quota ai micidiali missili Stinger forniti nel gennaio 1986 da Reagan a Sawimbi) assicurarono la superiorità aerea tenendo in rispetto i cacciabombardieri sudafricani (Mirage e Impala). Il 9 gennaio 1988 i sudafricani riuscirono ugualmente a distruggere il ponte sul Cuito con un aereo teleguidato di fabbricazione israeliana, ma i cubani ripristinarono i collegamenti con una passerella di legno e il 13 respinsero il primo di cinque assalti terrestri. Frattanto Ochoa fu richiamato a Cuba e sostituito da Cintras Frias, mentre gli Stati Uniti accettarono di allargare il negoziato ai cubani e la delegazione, guidata da Jorge Risquet, arrivò il 28 gennaio. Esponendo al segretario del partito comunista sudafricano la sua strategia, Castro si paragonò ad un “pugile che para col sinistro e colpisce col destro”. Così, raggiunto lo stallo a Cuito Cuanavale, l’8 marzo Cintras Frias concentrò il grosso delle forze cubane (40.000 uomini) a Sud-Ovest, minacciando le SADF alla diga di Calueque, 11 km a Nord del confine con la Namibia. Il 16 marzo un giornale di Pretoria scrisse che il governo aveva offerto il ritiro “in” Namibia (e non “dalla” Namibia) contro quello dei cubani dall’Angola. Il 23 marzo si svolse l’ultimo e più intenso assalto contro Cuito Cuanavale, respinto dopo 15 ore di combattimenti. Botha accettò di entrare nel negoziato e il primo incontro tripartito si svolse al Cairo il 3 maggio. Risquet respinse però la richiesta del ritiro bilanciato, dichiarando che Pretoria non avrebbe ottenuto a tavolino quel che non aveva ottenuto con le armi. Il 27 giugno i MiG fecero un raid dimostrativo su Calueque. L’8 agosto fu concordato un cessate il fuoco e il 30 le SADF si ritirarono unilateralmente dall’Angola. Le perdite dichiarate da Pretoria furono di 31 morti e 280 feriti contro 4.785 e 1.800 FAPLA e cubani, e di 3 carri Oliphant, 5 trasporti truppe e 1 veicolo logistico contro 94, 100 e 389. L’UNITA perse 3.000 uomini su 8.000: quanto ai velivoli il bilancio sarebbe di 3 Mirage contro 9 MiG ed elicotteri. L’accordo tripartito fu firmato il 22 dicembre a New York. Il ritiro cubano iniziò il 10 gennaio 1989 e fu completato solo il 25 maggio 1991. Nell’aprile 1989 i delegati sudafricani riuniti a Matanzas per il VII congresso dell’ANC risposero al saluto di Risquet inneggiando a Cuito Cuanavale. Due mesi dopo, il 12 giugno 1989, Ochoa fu arrestato per corruzione e narcotraffico, condannato a morte e fucilato il 12 luglio a Baracoa, ad Ovest dell’Avana. Il suo nome è stato sbianchettato dalle commemorazioni angolane, cubane e sudafricane e neppure Gleijeses lo menziona nel suo articolo sul ventennale della battaglia. Il 6 dicembre 2007 il ministro degli esteri angolano Paulo Teixeira Jorge, accompagnato da alcuni reduci, l’ha commemorata al Parlamento sudafricano, una cui delegazione, guidata dal presidente dell’ANC Jacob Zuma, ha visitato il campo di battaglia nel marzo 2008. Queste iniziative sono state criticate dal capo dell’opposizione, il liberale progressista Frederik van Zyl Slabbert, il quale ha esortato i concittadini a non “cadere in un’invenzione storica”. Pur riconoscendo di non aver avuto accesso alle fonti sudafricane, ancora classificate, Gleijeses ha liquidato in poche battute il tentativo “revisionista” dei reduci delle SADF, e in particolare dell’ex ministro della difesa Magnus André de Merindol Malan (classe 1930, la stessa del suo storico avversario Ochoa), di contestare la tesi della vittoria cubana. In effetti la maggior parte della cinquantina di libri che ho potuto reperire circa la guerra in Angola e Namibia e le “covert operations” (“Koevoet”) delle SADF, sono di impronta reducista e filo-apartheid, in particolare le memorie di Malan, i cinque saggi di Peter Stiff e i tre del colonnello dei paracadutisti Jan Breytenbach, già comandante del 32° Battaglione “Buffalo” formato nel 1975 coi veterani del FLNA (guerriglieri angolani già inquadrati nell’esercito zairese) inquadrati da ufficiali bianchi (e tanto famoso da essere citato nel film Blood Diamond di Edward Zwick, del 2006, come l’unità di provenienza del protagonista, interpretato da Leonardo Di Caprio). Tuttavia questa riserva ideologica non può inficiare studi indipendenti come quelli del maggiore dei Marines Michael F. Morris, che ha considerato tecnicamente esemplare l’operazione condotta dalle SADF nel 1987-88 (Flying Columns in Small Wars, 2000, PDF online); o di storici militari come James M. Roherty (State Security in South Africa: Civil-Military Relations under P. W. Botha, M. E. Sharpe, 1992), John Turner (Continent Ablaze. The Insurgency Wars in Africa, Cassell 1998) ed Edward George (The Cuban Intervention in Angola 1965-1991. From Che Guevara to Cuito Cuanavale, Frank Cass Military Studies Series, New York 2005). Secondo George “Cuba’s much-heralded ‘victory’ over the South Africans at Cuito Cuanavale is shown to have been no more than a costly stand-off, its real significate lying in the impetus it gave to the American-brokered peace process”. In definitive Pretoria non cedette per la resistenza del caposaldo angolano e la relativa superiorità area cubana, ma per le pressioni americane, l’isolamento internazionale e la crisi interna che condusse di lì a poco alle dimissioni anticipate del presidente Pieter Willem Botha (1916-2006). Cuito Cuanavale ha avuto nondimeno un effetto politico più duraturo e importante: quello di concedere ad un regime oppressivo un’attenuante morale e un alone di simpatia. E se è risibile il paragone con Stalingrado, pure calza quello con Guadalajara. Anche quella una vittoria esagerata, ma il cui mito sopravvisse alla sconfitta dei repubblicani spagnoli e contribuì realmente alle future fortune della sinistra internazionale.