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La domanda che nasce da queste riflessioni, dunque, : che cosa pensano davvero i nostri concittadini cattolici e la gerarchia ecclesiastica della direzione in cui deve andare una societ per diventare pi vivibile, umana, anche pi caritatevole e cristiana? Certamente si deve riconoscere loro il diritto di far valere democraticamente la propria visione del mondo e della vita; dunque di affermare i valori della famiglia, i diritti dell'embrione, anche la castit prematrimoniale e la fedelt coniugale. Ma "democraticamente" che cosa vuol dire? Solo contando sul consenso della maggioranza? Paradossalmente, proprio al principio di maggioranza si sono appellati opinionisti cattolici e persino prelati per rispondere alle proteste dei laici contro il divieto della inseminazione eterologa. Il ragionamento sembra filare. In democrazia, singoli e gruppi fanno valere le proprie opinioni su ci che credono bene e verit; se sono maggioranza, questi valori diventano leggi. Ma, come del resto proprio il Papa ha ricordato tante volte, la maggioranza numerica non tutto. Anche Hitler prese il potere per volont di una democratica maggioranza. Sostenere i propri valori democraticamente significa anche accettare il diritto delle minoranze a rispettare i propri. Per esempio: nessuno impone ai cattolici di divorziare o di abortire, e ai medici in quest'ultimo caso riconosciuto il diritto alla obiezione di coscienza. Nel caso della inseminazione eterologa, il diritto di ricorrervi negato a tutti in nome di una scelta di coscienza di una maggioranza; nel caso dei single, in nome della stessa scelta di coscienza il diritto all'inseminazione semplicemente rifiutato. Credere o no nella famiglia come unico luogo di trasmissione della vita una questione di coscienza; dunque bisogna rispettare il diritto alla riproduzione anche di chi non crede nella famiglia. Del resto, questo l'orientamento di molte leggi in vigore anche da noi; se no si dovrebbe proibire il divorzio, o ancor pi sanzionare penalmente ogni relazione sessuale fuori dal matrimonio. Eccetera. Una societ, si anche detto, non si regge se non su valori condivisi, e dunque su leggi che pongono necessariamente limiti. Ma la nostra societ - con la libert di opinione, di stampa, di religione, insomma i "diritti di libert" che si sono fatti valere anche con il contributo dei credenti ma troppo spesso contro le posizioni ufficiali della Chiesa - diventata estremamente complessa e pluralista. E il pluralismo moderno, che certo comporta tanti svantaggi, ha anche il pregio enorme di aver affermato, almeno in linea di principio, la libert della coscienza individuale, di tutti gli individui a ugual titolo. L dove sorgono conflitti "di coscienza" come quelli in mezzo a cui ci troviamo oggi, sarebbe il caso di attenersi a questo valore, davvero il pi generale e essenziale tra quelli su cui si costruito il modello sociale a cui nessuno di noi accetterebbe di rinunciare, cio il principio secondo cui ognuno libero di fare tutto ci che crede e vuole fino a che non lede la pari libert di chiunque altro. Se provassimo ad applicare questo principio al problema della inseminazione artificiale o delle coppie di fatto che cosa ne verrebbe? I cattolici intendono porre qui dei limiti richiamandosi ai diritti del nascituro, persino al suo diritto alla propria "identit biologica" e perch non razziale?). Ma ritenersi i rappresentanti autorizzati dei diritti dei nascituri non viola la pari libert di altri che, con altre convinzioni vogliono rappresentare gli stessi diritti? Se poi si sostiene che la visione cattolica della sacralit della vita, sempre e comunque, "naturalmente" (razionalmente, oggettivamente) pi giusta si finisce di nuovo per volere che la legge adotti una determinata visione del mondo, una "confessione", contro altre, imponendola anche alla coscienza di chi non ci crede. Con tutti i limiti, dei quali siamo fin troppo consapevoli, il valore moderno della libert di coscienza dell'individuo - di quel singolo di cui anche i capelli del capo sono contati dalla provvidenza amorevole di Dio - resta l'unico su cui fondare la nostra vita associata e la nostra speranza di poterne fare una "vita buona".
GIANNI VATTIMO