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Cap. 3 Elementi di semantica. Diversi approcci al problema del significato.

Oggetto di queste lezioni il problema del significato linguistico, problema che pu essere riassunto nella domanda che cos il significato (di unespressione linguistica)? Perch mai questo dovrebbe essere un problema? intuizione comune che parole e frasi abbiano un significato che noi tipicamente conosciamo o comunque possiamo conoscere; il successo della comunicazione sembra dipendere dal fatto che capiamo, o afferriamo, significati. Ebbene, ad essere oscuro che cosa sia il significato in quanto tale, cio che tipo di entit esso sia, una tipica questione filosofica. Strettamente legata alla questione della natura del significato inoltre la domanda in virt di che cosa una parola ha il significato che ha?, ovvero, che cosa lega una parola al suo significato? La risposta a questultima domanda potrebbe sembrare ovvia: il significato una relazione convenzionale, cio non naturale, arbitraria1. Una parola significa quel che significa per convenzione, non perch presenta, ad esempio, una somiglianza col suo significato. Non c nulla che evochi o ricordi il correre nella parola corsa. Certo ci sono delle eccezioni (le onomatopee, come rimbombo, bisbiglio, tic-tac ecc.), ma sono del tutto marginali. chiaro tuttavia che dire che una parola ha significato per convenzione non una risposta del tutto soddisfacente: si tratta di una convenzione tacita, che non stabilita da nessuna istituzione, e che viene spesso (sempre tacitamente) rinegoziata, nel senso che, nel corso del tempo, le parole possono mutare il loro significato; non vi dubbio che il linguaggio si evolva continuamente. Inoltre non sembra che impariamo a parlare seguendo delle norme. Non percepiamo i significati come se fossero delle regole, sebbene alcuni sostengano proprio che il modo pi appropriato di concepire i significati sia considerarli come delle regole, regole duso delle parole. Lunico modo di capire per quale ragione una parola associata a un certo significato sembra essere quello di fare una ricerca storica sullorigine della parola, ricostruirne letimologia. Eppure questo non un tipo di ricerca che interessi, se non marginalmente, i filosofi del linguaggio e i linguisti teorici. Ritorneremo nei paragrafi successivi sulla questione. Prima di entrare nel merito delle diverse teorie semantiche, opportuno fornire un po di terminologia. Le unit linguistiche fondamentali dellanalisi semantica sono le parole e gli enunciati. Se la nozione di parola intuitivamente chiara a tutti, la nozione di enunciato, che un po pi tecnica, richiede alcune precisazioni e distinzioni. Vi sono infatti diverse nozioni affini, ma non identiche, a quella di enunciato: FRASE = sequenza di suoni linguistici avente una struttura sintattica. ENUNCIATO = frase dotata di significato. PROFERIMENTO = emissione di un enunciato da parte di un certo parlante in un certo istante. La relazione tra enunciati e proferimenti quindi analoga a quella che sussiste tra un tipo generale e dei casi particolari. Se Renzo e Lucia, in istanti diversi, proferiscono entrambi Che Dio ci protegga!, questi sono due proferimenti diversi di uno stesso enunciato. Esistono diversi tipi di enunciato a seconda del tipo di azione (o atto linguistico) che si compie emettendo quegli enunciati. Parlando possiamo fare affermazioni (La capitale del Portogallo Lisbona.), fare domande (Qual la capitale del Portogallo?), impartire degli ordini (Domani partirai immediatamente per Lisbona!), fare scommesse (Scommetto mille euro che domani il
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Questa osservazione si trova gi nel Cratilo di Platone.

14 capo ti manda a Lisbona), sancire (purch se ne abbia lautorit) delle situazioni tramite delle procedure rituali (Vi dichiaro marito e moglie; Battezzo questa nave Margherita) ecc. La semantica, intesa nella sua accezione pi stretta, si interessa esclusivamente degli enunciati che servono a fare affermazioni, detti enunciati dichiarativi. Un enunciato dichiarativo viene usato per dire come stanno le cose. Luso di enunciati dichiarativi viene anche detto descrittivo, o assertivo (perch descrivere fare affermazioni, e lasserire latto linguistico di fare affermazioni). A torto o a ragione (i pareri sono discordi), gli studiosi di semantica ritengono che luso assertivo del linguaggio sia quello pi rilevante, ovvero che gli enunciati dichiarativi siano quelli logicamente prioritari. Lidea che sono gli enunciati dichiarativi a possedere significato in prima istanza. Come dire che comprendiamo lenunciato-domanda La capitale del Portogallo Lisbona? perch comprendiamo innazitutto lenunciato dichiarativo La capitale del Portogallo Lisbona. Come vedremo (cap. 4), gli usi non assertivi del linguaggio sono oggetto di studio della pragmatica. La propriet fondamentale degli enunciati dichiarativi quella di possedere un valore di verit, cio di essere veri o falsi. Gli enunciati non dichiarativi (domande, ordini ecc.) non sono n veri n falsi: non ha senso attribuire un valore di verit agli enunciati non dichiarativi. ENUNCIATO DICHIARATIVO = enunciato usato per fare unaffermazione o asserzione, ovvero enunciato dotato di un valore di verit. ASSERZIONE = atto linguistico realizzato tramite luso di un enunciato dichiarativo. In filosofia del linguaggio si parla spesso di proposizioni, cio di ci che espresso da un enunciato dichiarativo. La necessit di introdurre, accanto a quello di enunciato dichiarativo, anche il concetto di proposizione controversa. Gli studiosi che ritengono importante distinguere gli enunciati dalle proposizioni motivano la loro posizione osservando che diversi enunciati possono esprimere una stessa proposizione. Per esempio La neve bianca, La neige est blanche e The snow is white sono tre enunciati diversi che esprimono tutti la stessa proposizione. Gli autori che insistono sullimportanza di distinguere gli enunciati dalle proposizioni affermano anche che la proposizione, e non lenunciato, a possedere in prima istanza un valore di verit; lenunciato eredita, per cos dire, il valore di verit dalla proposizione. Una seconda giustificazione della necessit di postulare proposizioni deriverebbe dalluso del discorso indiretto e dalluso di verbi mentalistici come credere o pensare: luso di un enunciato come, per esempio,Gianni dice/sostiene/crede/pensa che la capitale del Portogallo Lisbona, sembra suggerire che c qualcosa che Gianni crede o dice, e questo qualcosa non pu essere un enunciato, bens una proposizione. Infatti, da un lato, io potrei riportare esattamente il pensiero di Gianni pur usando parole diverse da quelle che ha usato (o userebbe) lui; e dallaltro il contenuto di una credenza, ci che Gianni crede, non sembra essere un enunciato, perch Gianni non obbligato a esprimere verbalmente il suo pensiero. PROPOSIZIONE = ci che espresso da un enunciato dichiarativo. Possiede intrinsecamente un valore di verit. Infine, importante distinguere uso e menzione. Tipicamente usiamo parole, per esempio per parlare del mondo (es. Il gatto grigio), ma talvolta menzioniamo le parole, cio parliamo di parole, come in gatto ha cinque lettere . Quando si menzionano espressioni linguistiche (parole o enunciati), buona norma metterle tra apici o tra virgolette, come abbiamo sempre fatto durante questa introduzione preliminare.

15 3.1. Che cosa ha significato? Prima di affrontare la difficilissima domanda che cosa il significato, potremmo chiederci preliminarmente quali unit linguistiche hanno innanzi tutto significato: diamo significato agli enunciati partendo dal significato delle parole, o diamo significato alle parole partendo dal significato degli enunciati? Se pensiamo al processo di comprensione, la risposta giusta sembra proprio essere la prima: il significato di un enunciato qualcosa che viene costruito assemblando, per cos dire, i significati delle parole che li compongono (cfr. pi avanti il principio di composizionalit). Inoltre noi ci chiediamo tipicamente, o almeno pi frequentemente, che cosa significa una certa parola, piuttosto di che cosa significa un dato enunciato. E i dizionari sono esattamente repertori di significati di parole. Daltra parte, i filosofi che sostengono il primato del significato enunciativo si basano sullosservazione che non si pronunciano mai parole in isolamento; che non si pu realizzare un atto linguistico, non si pu mai dire qualcosa, tramite una singola parola; lenunciato lunit fondamentale di analisi semantica. cio solo con un intero enunciato che possiamo fare asserzioni o esprimere giudizi. Lillusione che le parole abbiano un significato autonomo deriva dal fatto che noi abbiamo familiarit con diversi usi della parola, cio che abbiamo udito quella parola in diverse circostanze di enunciazione, ed estrapolato cos il significato della parola da quegli usi. Quanto al dizionario, non forse un repertorio di usi di una parola? Una parola ha il significato che ha in virt del fatto che viene usata in una collezione di enunciati. Loggetto di questa discussione esemplarmente rappresentato dallapparente conflitto tra due principi fondamentali, entrambi proposti da Gottlob Frege2 ed entrambi considerati irrinunciabili da molti filosofi: Principio del contesto: una parola non ha significato in quanto tale, ma solo in un contesto enunciativo3. Lidea che sono gli enunciati ad avere primariamente significato, e ha senso parlare di significato di una parola solo per intendere il contributo che quella parola porta al significato degli enunciati in cui essa impiegata. Principio di composizionalit: il significato di un enunciato dipende dal significato dei suoi costituenti e dalla struttura sintattica dellenunciato. Lidea che per determinare il significato di un enunciato bisogna prima determinare il significato delle sue parti (ad essere importante la struttura e non solo le parti perch, evidentemente, il significato di Gianni ama Maria ben diverso da quello di Maria ama Gianni: due enunciati costituiti dalle medesime parole hanno significati diversi in funzione del modo in cui le parole sono collegate, ci che appunto chiamiamo struttura dellenunciato). Entrambi i principi sono intuitivamente molto ragionevoli. Per quanto riguarda il primo principio, che il significato di una parola dipenda dal contesto linguistico in cui essa pronunciata addirittura lampante in alcuni casi, come questo o lui (casi in cui non nemmeno sufficiente prendere in considerazione un singolo enunciato, ma bisogna andare a vedere una porzione pi ampia di testo). Ma anche quando apparentemente una parola ha un unico significato perfettamente determinato, come comprare, non difficile far vedere che il contesto pu modularne il significato in modo anche assai variegato, come nellesempio seguente: (1) Giulia stamattina ha comprato il Corriere della Sera.
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Logico e filosofo tedesco (1848-1925), considerato unanimemente il padre fondatore della logica moderna e della filosofia analitica del linguaggio. La specifica teoria semantica di Frege sar illustrata nel par. 3.3. 3 Una nota formulazione di questa tesi si trova nel 60 dei Fondamenti dellAritmetica (1884).

16 (2) Berlusconi stamattina ha comprato il Corriere della Sera. evidente che nel caso (1) quello che si intende che Giulia ha acquistato in edicola la copia di un quotidiano, mentre il significato di (2) che Berlusconi ha acquisito la propriet di un giornale. Per quanto riguarda il principio di composizionalit, proprio non si vede come potremmo comprendere un enunciato se non comprendessimo preliminarmente il significato delle parole in esso contenute. Dunque i due principi sembrano proprio essere entrambi validi. Tuttavia sembrano anche dare adito a un circolo vizioso: in base al secondo principio, per sapere che cosa significa un enunciato devo sapere che cosa significano le parole che lo compongono. Ma, in base al primo principio, per sapere che cosa significa una parola devo gi comprendere almeno alcuni enunciati in cui essa viene usata. Un po come la questione delluovo o della gallina. Come possibile, allora, la comprensione? Non c una risposta chiara e completamente soddisfacente a questo problema. Una via duscita potrebbe essere la seguente. La determinazione del significato di una parola e la determinazione del significato dellenunciato sono due processi che vanno di pari passo, sia logicamente sia temporalmente. Non ce n uno che precede laltro, sono due processi che si sorreggono reciprocamente. Inoltre plausibile sostenere che abbiamo gi unidea almeno vaga di che cosa significa una parola fuori contesto; il ruolo del contesto non tanto quello di conferire significato alla parola, quanto quello di precisarlo, di determinarlo compiutamente. Si potrebbe cio interpretare il principio del contesto come se dicesse che una parola acquisisce un significato ben determinato, completamente specificato soltanto nel contesto di un enunciato. Le parole, prese di per s, non hanno un significato perfettamente determinato, bens una pluralit di sensi o forse un senso in qualche misura vago, generico (si pensi a un puzzle di cui mancano alcune tessere oppure a una fotografia sfuocata: limmagine complessiva gi ben riconoscibile ma, in alcuni punti, c qualcosa che non si capisce bene); ma quando la parola inserita in un enunciato, il suo significato diventa perfettamente chiaro: le sfuocature o indeterminazioni spariscono. La parola porta, ad esempio, pu significare tanto un certo tipo di artefatto (Il falegname sta riparando la porta), quanto lo spazio che divide due vani (Gianni entrato dalla porta). Se questa ipotesi corretta, le parole mantegono una certa priorit, indispensabile se vogliamo mantenere lassunto che per comprendere un enunciato dobbiamo prima comprendere le parole; tuttavia il significato di una parola presa in isolamento qualcosa di insaturo, di intrinsecamente lacunoso, di parzialmente indeterminato. Questa immagine ha il merito di spiegare perch ci vogliono tutti e due i principi, ma non rimuove del tutto limpressione di circolarit, perch lascia aperto il seguente problema: se le parole hanno gi un (per quanto parzialmente indeterminato) significato prima del loro impiego in qualsiasi contesto enunciativo, come fare a spiegare come si imparano le parole se non possiamo chiamare in causa gli enunciati in cui vengono usate? Una risposta potrebbe essere lapprendimento ostensivo (= basato sullindicazione): indico al bambino una sedia dicendo sedia; indico al bambino un tavolo dicendo tavolo, e cos via. Se tuttavia diverse parole possono essere apprese, almeno in linea di principio, in questo modo, chiaro che per altre parole le cose non possono funzionare in questo modo, e solo unassidua interazione linguistica pu consentire, in modo graduale, il loro apprendimento. Bisogna quindi concludere che nessuna delle due opzioni pu averla vinta da sola, e che nella questione della priorit del significato lessicale vs. enunciativo permane un elemento di paradossalit, qualcosa di sconcertante. Ci basti per quanto riguarda la discussione di quali tipi di espressione abbiano significato in prima istanza. Nel seguito cominceremo con loccuparci di significato lessicale, lasciando sullo sfondo il principio del contesto. Successivamente avremo modo di dire qualcosa anche sul significato enunciativo.

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3.2. Teorie intralinguistiche e il problema del riferimento Cominciamo con losservare che spesso per spiegare qual il significato di una parola ne forniamo una parafrasi, diamo cio una specie di definizione del tipo: significato (scapolo) = maschio adulto non sposato Questo sembra suggerire da un lato che il significato di una parola , come quello degli enunciati, composto ( cio una struttura, una entit complessa) e dallaltro che il significato di una parola dipende sempre da altri significati. Infatti per comprendere il significato di scapolo dobbiamo conoscere i significati di maschio, adulto, non e sposato. Cos come labbiamo presentata, questa teoria della scomposizione lessicale4 (o analisi componenziale) non pu soddisfarci, essenzialmente per le due seguenti ragioni: 1) Si riescono a scomporre solo alcune (poche!) parole, quindi la teoria non abbastanza generale. 2) La teoria circolare, perch definisce il significato di una parola sulla base dei significati di altre parole. Spiegare il significato col significato non sembra una strada promettente per illuminare la natura del significato, anche se esistono teorie che ritengono che le cose stiano proprio cos (per esempio, la linguistica strutturale, vedi sotto). Se non si accetta lidea di una radicale intralinguisticit dei significati, se, cio, non siamo soddisfatti dellimmagine secondo cui qualsiasi significato dipende da altri significati, cosicch il lessico di una lingua si configura come una rete senza un principio e una fine, siamo obbligati a supporre che prima o poi il processo di scomposizione lessicale si arresti, giungendo a dei significati primitivi, non dipendenti da altri significati. Qui giunti, dobbiamo dare una chiara spiegazione di che cosa un significato primitivo, altrimenti il fallimento della teoria risulta evidente. Sono stati fatti tentativi di spiegare i significati primitivi, per esempio come - primitivi non linguistici (p. es. concetti, intesi come strutture neuronali, innati, cfr. Katz 1972). In questo caso la teoria insoddisfacente, perch scarica il problema su altre teorie (psicologiche). O come: - parole di un metalinguaggio. Un metalinguaggio un linguaggio usato per parlare di un linguaggio. Mentre il linguaggio ordinario usato per parlare di oggetti, eventi ecc., un metalinguaggio usato per parlare di parole, enunciati, in generale entit linguistiche. Ebbene, se i significati primitivi sono parole di un metalinguaggio, abbiamo un regresso infinito nella spiegazione, perch il problema di spiegare il significato si sposta sulle parole del metalinguaggio (e i significati delle parole del metalinguaggio sono spiegati con le parole di un meta-metalinguaggio, e cos via, allinfinito). Altrimenti detto, la parafrasi interpretata come una forma di traduzione, ma nessuna traduzione pu funzionare come interpretazione (= decodifica o comprensione del significato) se non si conosce gi la lingua del traduttore, lequivalente del metalinguaggio. La conclusione che la teoria della scomposizione lessicale , nella migliore delle ipotesi, una teoria parziale: coglie quello che sembra essere un aspetto importante della nozione di significato, e cio linterdipendenza dei significati delle parole, ma non in grado di dar conto di unaltra intuizione molto solida, che la comprensione non pu essere meramente un gioco di rimandi linguistici, che capire il linguaggio richiede di uscire dalla lingua. Il problema delle teorie intralinguistiche, come lo strutturalismo, risiede cio nel trascurare il fatto che il linguaggio usato per parlare della realt, per comunicare informazioni sul mondo. Occorre perci riconoscere che (almeno) un aspetto del significato determinato da una relazione tra parole e cose reali, cio tra la parola e le cose a cui la la parola si applica. Tale relazione tradizionalmente chiamata riferimento. Il problema della circolarit potrebbe essere risolto affiancando alla teoria della scomposizione lessicale una teoria del riferimento.
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Versioni di questa teoria sono state proposte da Katz e Fodor (1963), Katz e Postal (1964), Katz (1972).

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Intermezzo. Cenni allo strutturalismo La versione pi convincente di teoria intralinguistica probabilmente quella proposta dalla linguistica strutturale, un programma di ricerca che, insieme al generativismo, ha dominato la linguistica del Novecento e segnato lintera cultura del secolo. Il fondatore dello strutturalismo, nonch della linguistica moderna (della linguistica come scienza quale oggi praticata), F. de Saussure (morto nel 1913), il cui Cours de Linguistique Gnrale uscito postumo nel 1916. Per de Saussure la linguistica si occupa del rapporto tra significante e significato. Il significante la forma linguistica, il significato il suo contenuto, ci per cui il significante sta. Le parole considerate come meri suoni (entit fisiche) sono esempi di significanti; le parole intese come unione di forma e contenuto sono segni. Possiamo anche dire che il segno linsieme costituito dal significante e dal significato. Ora, il punto cruciale che il rapporto tra significante e significato interno al segno, cio, appunto alla linguistica; come dire che il significato non un oggetto del mondo esterno. In questo senso quella che i filosofi analitici chiamano teoria del riferimento non parte (secondo gli strutturalisti) della linguistica. La semantica, cio la teoria del significato, , viceversa, una parte della linguistica e il significato, o senso, di una parola il posto che essa occupa nella struttura linguistica e specificamente semantica. Per comprendere appieno il concetto di significato come ruolo, bisogna considerare che lidea fondamentale della linguistica strutturale che il linguaggio un sistema o struttura, cio fondamentalmente un insieme di relazioni di vario genere. In un sistema, qualunque sistema, le relazioni sono pi importanti dei relati. Ne segue che, in un sistema, i suoi componenti sono individuati dalla posizione che occupano in questa rete di relazioni. I componenti, se vogliamo, non sono cose, ma nodi di una rete. Il concetto di ruolo appunto questo: posizione nella rete, funzione che svolge nel sistema. Pertanto, quando lo strutturalista afferma che il significato di una parola il ruolo che quella parola svolge nel sistema-lingua complessivo, quello che vuole dire che c una vastissima e intricata rete di relazioni tra parole, e che il significato di quella parola non altro che il posto che la parola occupa nella rete. in effetti pi appropriato parlare di relazioni semantiche tra parole, perch non si d qualcosa come un significato in isolamento, fuori dalle relazioni con le altre parole. Il significato linsieme di relazioni. Esempi di relazioni semantiche sono la sinonimia (la relazione che sussiste tra parole intersostituibili in ogni contesto, come, per esempio, pietra e sasso, o cammino e percorso), liperonimia/iponimia (la relazione che sussiste tra una parola come felino e una come gatto, o viceversa), lantonimia (la relazione che sussiste tra freddo e caldo) ecc. Parlare di ruolo nella lingua richiede di introdurre una seconda distinzione cruciale (la prima era quella tra significante e significato) avanzata da de Saussure: quella tra langue e parole, cio, pi o meno, tra la lingua come sistema di relazioni individuate dalla teoria linguistica e la lingua come insieme di specifiche enunciazioni concrete. La parole corrisponde allinglese speech, il parlato, cio allemissione effettiva di espressioni linguistiche, mentre la langue la lingua come oggetto teorico, una sorta di astrazione rispetto alla parole. Una stessa espressione linguistica avr propriet diverse se classificata come un elemento della langue o della parole. Si noti come la dicotomia rimandi a due diverse opposizioni, quella tra astratto e concreto e quella tra sociale e individuale. Riguardo alla prima, la distinzione tra le leggi generali della lingua e le singole applicazioni o casi di una legge. Interpretata in questo senso la distinzione langue/parole importante perch riflette luso di una metodologia scientifica rigorosa anche in linguistica: si parte dalla parole per arrivare a formulare le leggi della langue, che, a loro volta, dovrebbero consentire di prevedere il funzionamento della parole. Limportanza della distinzione risiede quindi nello statuto di piena scientificit che deve essere accordato alla linguistica, andando al di l della catalogazione di usi e dellimposizione di regole prescrittive. La seconda opposizione, invece, rimanda al contrasto tra ci che non pu non essere individuale (la parole), perch sempre un singolo soggetto a produrre emissioni linguistiche, come esito di un suo personale pensiero e

19 conoscenza della lingua, e ci che non pu che essere sociale, pubblico, la langue, in quanto un sistema di regole non pu che essere condiviso, il risultato di una sorta di accordo tacito5. Si deve a de Saussure anche unaltra distinzione universalmente accettata nella teoria linguistica e ricorrente a tutti i livelli di analisi (fonologico, grammaticale ecc.), quella tra relazioni sintagmatiche e relazioni paradigmatiche. Si considerino le sequenze di fonemi [c] [a] [n] [e] e [p] [a] [n] [e]. La relazione verticale tra [c] e [p] si chiama relazione PARADIGMATICA. Le relazioni paradigmatiche sono quelle cruciali per le distinzioni (la nozione di ruolo distintivo di ununit linguistica probabilmente lintuizione principale della linguistica strutturale). La relazione orizzontale che sussiste invece tra [c] e [a] (o tra [p] e [a], ecc.) si chiama SINTAGMATICA. Analogamente la relazione che sussiste tra due parole consecutive in una frase sintagmatica. Quella che sussiste tra una parola A in una frase e una parola B che metto al posto di A in quella frase una relazione paradigmatica. Dovrebbe essere chiara la parentela tra scomposizione lessicale e strutturalismo: in ambedue il significato di unespressione dipende dal significato di altre espressioni; ma nello strutturalismo la tesi particolarmente radicale, perch nega che esista un significato lessicale al di l dellinsieme di relazioni intralinguistiche che una parola intrattiene con altre parole. La circolarit imputata allanalisi componenziale quindi esplicitamente asserita dagli strutturalisti, che tendono a concepire il significato non come una cosa ma come un ruolo, una funzione nella lingua. Torniamo cos alla questione al centro di questo paragrafo, lopposizione tra teorie intralinguistiche e teorie referenziali. In accordo a una concezione referenziale del significato, le parole sono essenzialmente etichette per le cose, suoni per indicare oggetti. Gatto significa le cose a cui si riferisce, cio i gatti. Ma, anche lasciando per il momento impregiudicata la questione se il significato di una parola coincida senza residui col suo riferimento, o se invece il riferimento sia soltanto un aspetto, sia pure importante, del significato, la nozione di riferimento ha comunque i suoi problemi. Per essa si pone, per cominciare, la stessa questione che ci si poneva allinizio di questo capitolo (cfr. la discussione sulla natura convenzionale del significato): che cosa tiene insieme una parola e le cose a cui essa si riferisce? Che cosa fissa il riferimento di una parola? La situazione abbastanza chiara nel caso dei nomi propri: un nome proprio si riferisce al suo portatore in virt di una cerimonia di battesimo, cio di una procedura pubblica che stabilisce una volta per tutte che quel nome si applica a quellindividuo. Ma il caso dei nomi propri anomalo; non un caso che essi vengano considerati una categoria grammaticale a s (nei dizionari non compaiono). Infatti: 1) A differenza dei nomi propri, un nome comune si applica non a un singolo individuo, ma a una classe virtualmente infinita di individui. Come si pu parlare di battesimo in questo caso?6 Come fa una parola a stare per innumerevoli individui? E in particolare: come fa ad applicarsi anche agli individui futuri? 2) Qual il riferimento delle: - parole astratte (indifferenza, reciprocamente, ...) - parole funzionali (e, inoltre, se, allora, ...) - nomi fittizi (Ulisse, Achille, ...)? Se anche nel primo caso volessimo ammettere che le entit astratte sono cose come tutte le altre (cio, se includessimo tra gli oggetti del mondo anche gli stati mentali, gli eventi, le relazioni, ecc.), resterebbero le difficolt indotte dalle altre due categorie. I problemi 1 e 2 hanno indotto, fin dai tempi di Aristotele, a concepire la relazione tra parole e cose non come una relazione diretta ma come una relazione mediata.
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Si invita il lettore a paragonare la distinzione langue/parole con la distinzione chomskiana tra competenza ed esecuzione: che cosa le accomuna; in che cosa sono diverse? 6 Kripke (1972) ha una soluzione, discutibile, a questo problema, che sar rapidamente illustrata nel par. 3.4.

20 C unaltra ragione a suggerire lipotesi della mediazione: come ha osservato il filosofo Thomas Nagel, una parola p. es. un nome comune - non pu riferirsi al proprio referente in virt di qualche propriet intrinseca della parola stessa, tanto vero che parole diverse in lingue diverse si riferiscono alla stessa cosa. Quindi ci deve essere qualcosaltro, un terzo elemento. Sebbene indubbiamente esista una relazione tra parole e cose e tale relazione sia certo pertinente per una teoria del significato, essa deve essere caratterizzata in modo pi complesso di quanto non avvenga con lo schema nome/portatore. Da qui lidea della mediazione. 3.3. Riferimento mediato: teorie triangolari concetto o idea

parola

cosa

La relazione tra parola e cosa (la relazione di riferimento) sempre mediata da unentit, tipicamente mentale, spesso chiamata concetto o idea. Le parole si riferiscono alle cose in virt dellessere connesse ai concetti, e il significato il concetto7. Cominciamo con losservare che laver introdotto lelemento di mediazione non risolve la solita questione "in virt di che cosa una parola ha il significato che ha", perch, per poter sostenere che lintroduzione dellelemento di mediazione risolve il problema, bisogna ora spiegare in che modo una parola legata a un concetto e (ancora pi difficile) in che modo un concetto legato, si applica, alle cose. Ovvero, inutile dire che il significato di una parola il concetto che essa esprime se non chiariamo che cosa un concetto e come esso si leghi da un lato alla parola, dallaltro alle cose. Vediamo allora alcuni esempi di teorie triangolari, cio alcuni modi in cui stato caratterizzato lelemento di mediazione. 3.3.1. TEORIA DEL SIGNIFICATO COME IMMAGINE (Locke 1690) Lidea che lelemento di mediazione (il concetto) unimmagine mentale. Sappiamo riferirici (correttamente) ai gatti con la parola gatto perch possediamo unimmagine che analoga ai gatti veri, e che quindi, in virt di questa relazione di similarit, li rappresenta tutti. La teoria ha due problemi: 1) problema delluniversalit (o dello schematismo): unimmagine sempre particolare; come pu stare per una pluralit (infinita) di individui? In altri termini: un concetto deve essere schematico, deve astrarre da tutte le differenze tra particolari sussunti e catturare solo le propriet comuni, ma unimmagine non in grado di fare questo. 2) problema dellintersoggettivit: unimmagine soggettiva, privata. Tu ed io abbiamo immagini diverse: come possiamo allora comunicare? Come pu uno stesso significato corrispondere a due immagini diverse? (E vale anche il viceversa: io potrei associare la stessa immagine a due significati diversi, per esempio a quello della parola olmo e a quello della parola faggio). Ora, non detto che lelemento di mediazione debba essere una entit mentale, anche se questa idea oggi assai in voga nella scienza cognitiva e nella filosofia di orientamento naturalistico. Secondo unaltra versione di teoria triangolare, lelemento di mediazione non una entit mentale. 3.3.2. TEORIA FREGEANA DEL SENSO (Frege 1892)
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Questa idea gi presente in Aristotele, nel De Interpretatione.

21 Per Frege il valore semantico di una parola costituito in primo luogo dal suo riferimento (la sua Bedeutung). Tuttavia, Frege osserva che possibile riferirsi a uno stesso oggetto in modi diversi, come in Everest e la montagna pi alta del mondo o in Walter Scott e lautore del Waverley o in la stella del mattino e la stella della sera ecc. Ora, non irrilevante riferirsi in un modo piuttosto che in un altro a un certo oggetto, perch, per esempio, che la stella del mattino sia la stella della sera non unovviet, ma qualcosa che si scopre. Venire a sapere che due oggetti apparentemente distinti sono in realt lo stesso oggetto costituisce un progresso conoscitivo. Lo stesso punto pu essere espresso dicendo che un enunciato come La stella del mattino la stella del mattino e un enunciato come La stella della sera la stella della sera non hanno lo stesso valore epistemico: il primo vero a priori, il secondo no. Il valore cognitivo (= conoscitivo), o epistemico degli enunciati in cui occorrono espressioni aventi stesso riferimento in generale differente. Bisogna allora ammettere che le espressioni linguistiche possiedono, oltre al riferimento, un un secondo aspetto o propriet che ha rilievo semantico, il senso (Sinn), che il modo di pensare ad un certo oggetto (lo stesso oggetto pu essere dato nel pensiero in modi diversi) o, alternativamente, ci che fissa il referente di unespressione, vale a dire la specificazione di come si individua un certo oggetto. Frege dice che il senso determina il riferimento, cio che, una volta afferrato un senso, ipso facto loggetto risulta determinato. Infatti, a uno stesso oggetto possono corrispondere due o pi sensi diversi ma, dato un senso, univocamente determinato loggetto che gli corrisponde. Classi diverse di espressioni hanno tipi di senso differenti: il senso di un nome proprio una descrizione8, il senso di un enunciato il pensiero che esso esprime; quanto alle parole come gatto, Frege non ce lo dice esplicitamente, ma deve essere una qualche collezione di propriet che ci consente di fissare univocamente il referente, che la classe dei gatti. Per esempio, una descrizione che fornisca condizioni necessarie e sufficienti per stabilire se un certo individuo un gatto oppure no. Il senso di gatto cio dato da una collezione di propriet che devono essere soddisfatte da un individuo per appartenere allinsieme dei gatti (in termini biologici, potremmo dire linsieme di caratteristiche che definiscono la specie). Si deve tuttavia osservare come lapplicazione al linguaggio naturale di questo tipo di considerazioni sia non poco problematica: per molte parole non esistono condizioni necessarie e sufficienti per determinarne il riferimento (torneremo in 3.7 su questo punto). Abbiamo presentato la teoria di Frege come esempio di teoria non mentalistica della relazione (mediata) tra parole e cose. La teoria non mentalistica in quanto il senso per Frege una entit astratta ed oggettiva: il senso non una rappresentazione mentale. Se cos non fosse, dice Frege, la comunicazione sarebbe impossibile, perch non parleremmo delle stesse cose. Il triangolo freghiano perci assai diverso da quello lockiano: il senso non nella maniera pi assoluta un concetto inteso come rappresentazione mentale o unidea, e la relazione tra senso e Bedeutung differente da quella tra, p. es., immagine e cosa. Il senso sta al riferimento pi o meno nel modo in cui un metodo di calcolo sta alloutput del calcolo (almeno nel caso dei termini predicativi, cio delle parole come gatto). Difficolt della teoria di Frege importante sottolineare, innanzitutto, che non si pu capire ed apprezzare appieno la teoria di Frege se si guarda solo al senso delle parole. Per Frege, infatti, in primo luogo lenunciato a possedere un valore semantico (principio del contesto, cfr. 3.1), e senso e riferimento delle parole sono individuati solo relativamente a come essi concorrono a determinare senso e riferimento degli enunciati. Ci posto, vi sono i seguenti problemi:
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Il senso di Aristotele, per esempio, espresso da locuzioni del tipo il pi grande filosofo dellantichito il maestro di Alessandro Magno. Naturalmente, non la descrizione (intesa come espressione linguistica) ad essere letteralmente il senso, perch la descrizione solo unespressione sinonima del nome (che ha lo stesso senso -e quindi stesso riferimento). Il senso ci che la descrizione esprime. Per Frege i nomi propri sono abbreviazioni di descrizioni.

22 - Elusivit della nozione di senso. Che tipo di entit sono i sensi? Dove stanno? Per Frege i sensi non sono n nella mente n nel mondo l fuori, bens in un terzo regno, una sorta di iperuranio paragonabile al platonico mondo delle idee. - Assenza di criteri per lidentit di senso: c da sospettare che due espressioni diverse abbiano senzaltro senso differente, ma Frege non pensa cos (micio e gatto differiscono per il tono, non per il senso). Ma allora come facciamo a capire quando due parole hanno lo stesso senso? - Come osservato sopra, per molte parole non esistono condizioni necessarie e sufficienti per fissare il riferimento. Quindi falso che il senso determina, nel senso rigoroso dellespressione, il riferimento. - Non ben chiaro quale sia il senso di un nome proprio. Ognuno vi attribuisce il suo? (per esempio, per me il senso di Aristotele quello espresso dalla descrizione il pi grande filosofo dellantichit mentre per te quello espresso dalla descrizione il maestro di Alessandro Magno). Questo certo poco in sintonia con lidea che i sensi siano oggettivi. Pi radicalmente, si pu dubitare del fatto che il senso dei nomi propri sia dato da una descrizione, e dellidea stessa che i nomi propri abbiano un senso. Questa considerazione ci introduce naturalmente al paragrafo 3.4, dedicato allillustrazione della cosiddetta teoria del riferimento diretto. 3.4. Riferimento diretto (teorie referenziali non triangolari) Nonostante le difficolt che abbiamo segnalato nel par. 3.2 in relazione alla teoria del riferimento (non mediato), in tempi relativamente recenti (fine anni 60) sono state avanzate teorie non triangolari della relazione tra parole e cose. Si cio fatta strada lidea che il riferimento sia una relazione diretta tra parole e cose, ed eventualmente che il significato sia ad esso riducibile. Tali teorie sono state sviluppate in chiave principalmente antifreghiana, cio come rifiuto dellidea che il riferimento sia mediato dal senso, nonch in chiave antimentalista, cio come rifiuto dellidea che il significato sia unentit mentale. Secondo Saul Kripke (1972), i nomi propri non sono sinonimi di descrizioni. Infatti nel ragionamento controfattuale, quello espresso da enunciati condizionali della forma Se le cose non fossero andate cos e cos, allora , possiamo dire in modo non contraddittorio che Aristotele potrebbe non esser stato il maestro di Alessandro Magno (mentre non possiamo dire che il maestro di Alessandro Magno potrebbe non esser stato il maestro di Alessandro Magno). Questo mostra che possiamo immaginare un mondo possibile, cio una ipotetica situazione alternativa al mondo reale, nel quale un dato individuo, quello stesso individuo a cui noi ci riferiamo con un nome, non gode delle propriet di cui invece gode (o ha goduto) nel mondo reale. Altrimenti detto, lecito supporre che le descrizioni con cui noi caratterizziamo un individuo potrebbero essere false, ma latto stesso di fare questa supposizione richiede che lindividuo in s rimanga quel che , a svolgere la funzione di perno del nostro discorso. Anche se cambiano le propriet o descrizioni attribuite a quellindividuo, lindividuo in s non cambia, pena la perdita di sensatezza dellipotesi stessa. Kripke esprime questa tesi dicendo che i nomi designano rigidamente i loro portatori, il che significa che un nome designa lo stesso individuo in ogni mondo possibile. Al contrario, le descrizioni non sono rigide, perch in un ipotetico mondo alternativo al nostro non si applicano allindividuo a cui si applicano nel mondo reale, non sono pi vere di quellindividuo. Dunque i nostri usi linguistici, e specificamente il ragionamento controfattuale, evidenziano che i nomi propri funzionano come una sorta di etichetta per i loro portatori: vi stanno attaccati senza alcuna mediazione. E come fanno a starvi attaccati? Come fa ritorna la solita domanda il nome a riferirsi al suo portatore? La risposta di Kripke la cosiddetta teoria del battesimo iniziale pi catena causale: il nome viene associato, attaccato, al suo referente tramite un battesimo iniziale, cio una sorta di rituale linguistico nel quale qualcuno dice, indicando una certa cosa, chiamer questo X (dove X un nome); successivamente tutti i parlanti di quella comunit usano il nome X con lintenzione di continuare a usare il nome nel modo tramandato (cfr. Kripke 1972, trad. it., p.

23 89): il battesimo iniziale causa del fatto che il nome venga usato in un certo modo, per riferirsi a una certa cosa; e il fatto che un certo parlante usi il nome in quel modo , a sua volta, causa del fatto che un altro parlante usi il nome in quello stesso modo; questa catena causale pu tuttavia funzionare solo perch i parlanti hanno lintenzione pi o meno deliberata di continuare a usare il nome in modo conforme allo standard, e ci allo scopo di comunicare con successo. Lefficacia della comunicazione richiede la stabilit degli usi linguistici, almeno di quelli referenziali. Non si tratta, cio di una causalit fisica, ma di una causalit, appunto, intenzionale. I teorici del riferimento diretto ritengono che ci valga non solo per i nomi propri, ma anche per (almeno) i nomi di genere naturale e di sostanza, come gatto e acqua. Il ragionamento (cfr. p. es. Putnam 1975) analogo: se anche i gatti fossero, per assurdo, robot telecomandati da Marte, noi continueremmo a chiamarli gatti. Una volta che qualcuno ha battezzato un esemplare di gatto con la parola gatto, questa parola designa rigidamente tutti gli individui che stanno in una relazione di similarit strutturale con quellesemplare, indipendentemente da qualsiasi conoscenza noi possiamo avere sui gatti. Le descrizioni che noi associamo comunemente ai gatti potrebbero rivelarsi non veridiche, ma i gatti continuerebbero ad essere i gatti, cio la parola gatto continuerebbe ad essere applicata a quelle cose l, animali o robot che siano. In altre parole, secondo Putnam il riferimento non determinato da un senso (qualunque cosa esso sia) e tantomeno da qualsivoglia entit mentale, bens dalla realt stessa, cio dal fatto che i gatti sono tutti membri di una stessa specie9. Questo fatto (lessere la realt quello che ) pu trascendere ogni nostra conoscenza, come nel celebre esperimento mentale della Terra Gemella. In questa fantasia filosofica c un mondo perfettamente identico al nostro (molecola per molecola), popolato quindi da nostri replicanti (identici a noi molecola per molecola), nel quale unica differenza la sostanza che esce dai rubinetti, che c nei mari, fiumi e laghi, e che gli abitanti di Terra gemella chiamano, come noi, acqua, non ha la struttura chimica della (nostra) acqua, cio non H2O, bens ha unaltra struttura, sia essa XYZ. Ebbene, osserva Putnam, in questa situzione io e un mio gemello molecolare assoceremmo le stesse descrizioni alla parola acqua, la useremmo nelle stesse circostanze, e nondimeno ci riferiremmo a due cose diverse: con la parola acqua un abitante della Terra si riferisce ad H2O, con la stessa parola un abitante di Terra gemella si riferisce a XYZ, indipendentemente dal fatto che i due ne siano o meno al corrente. Una volta che la parola acqua stata introdotta, nel nostro mondo, per denotare quella sostanza l, da quel momento in poi acqua si applica soltanto ai campioni di H2O, designa rigidamente H2O (= lacqua non pu non essere H2O)10. Se si concepisce il senso come qualcosa che sta nella mente delle persone, allora non pu assolvere la funzione di fissare il riferimento. Infatti, nel caso di Terra gemella, a uno stesso e unico senso, ci che io e il mio gemello molecolare abbiamo entrambi in mente in relazione alla parola acqua, corrispondono due riferimenti diversi: H2O sulla Terra e XYZ su Terra gemella. Se si vuole che il significato fissi il riferimento, non pu essere unentit mentale. Per Putnam dunque il riferimento determinato dalla realt fisica (o fisico-chimicobiologica), che quella che e pu trascendere qualsiasi conoscenza o rappresentazione che ce ne facciamo. Una conseguenza particolarmente sconcertante di questo punto di vista che noi, in alcuni casi, non sappiamo quello che diciamo! Non sappiamo a che cosa davvero ci stiamo riferendo. Per esempio, secondo Putnam, gli italiani della prima met del Settecento, che usavano la parola acqua anche se non ne conoscevano la struttura chimica (che non era stata ancora scoperta),
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Si noti per inciso che, almeno secondo alcuni teorici del riferimento diretto, il riferimento di gatto non linsieme dei gatti, ma la specie gatto (che considerata una entit reale, oggettiva e in qualche modo concreta). 10 Se il mondo reale fosse non il nostro ma Terra gemella, la parola acqua designerebbe rigidamente XYZ. Si noti che lesperimento mentale di Putnam non deve essere letto come se acqua potesse denotare qualcosa di diverso da H2O: Terra gemella non , come pure verrebbe spontaneo dire, un mondo in cui lacqua non H2O, bens un mondo in cui qualcosa che sembra acqua (= sembra H2O), in realt non acqua (= non H2O, bens XYZ). Se il mondo reale fosse Terra gemella, varrebbe esattamente lopposto: acqua denoterebbe rigidamente XYZ e un mondo in cui la parola acqua fosse usata per denotare H2O sarebbe un mondo in cui qualcosa sembra acqua (cio XYZ), ma in realt non acqua (= non XYZ, bens H2O). Spero che non vi giri troppo la testa!

24 si riferivano comunque ad H2O, proprio come noi che pure siamo in una ben diversa situazione epistemica. Il riferimento trascende persino la competenza linguistica di unintera comunit! Putnam: la divisione del lavoro linguistico La possibilit che il riferimento trascenda la competenza di unintera comunit linguistica non cancella il fatto che, almeno in una societ scientificamente avanzata come la nostra, si sappiano molte cose sugli enti cui le parole si riferiscono. Inoltre, allo scopo della comunicazione linguistica, questo sapere non deve necessariamente essere in possesso di ciascuno di noi, non deve cio necessariamente essere un sapere individuale, perch le persone sono ben disposte a usare le parole con lintenzione di usarle nel modo in cui le userebbero gli esperti, anche se non hanno le conoscenze degli esperti al riguardo. In altri termini, non c bisogno, per usare e comprendere la parola quark o la parola ammortamento, che io sia un fisico o un esperto di economia e gestione aziendale: sufficiente che nella comunit linguistica ci siano degli esperti (fisici ed economisti) a cui io posso fare deferenza. Quando mi capita di usare la parola quark, quali che siano le mie conoscenze al riguardo, ci che si deve intendere con il mio uso di questa parola ci che lesperto sa sui quark. In questo senso si parla di divisione del lavoro linguistico, per sottolineare il carattere cooperativo tanto della conoscenza quanto della competenza linguistica. Si ribadisce tuttavia, ancora una volta, che anche lesperto pu essere trasceso dalla realt fisica, nel senso che anche lesperto pu avere conoscenze parzialmente inadeguate, e per questa ragione non si pu dire in assoluto e in tutti i casi che egli sia il depositario del significato, inteso come ci che fissa il riferimento, del termine. Putnam: La teoria dello stereotipo Il fatto che il riferimento possa trascendere la competenza linguistica dei parlanti non un problema perch, secondo Putnam, per gli scopi comunicativi sufficiente padroneggiare degli stereotipi, cio delle informazioni tipiche associate alle parole. Per esempio, lo stereotipo di limone costituito dai tratti: giallo, aspro, rugoso. Oppure lo stereotipo di tigre costituito dai tratti feroce, mantello a strisce, vive nella Jungla. Gli stereotipi non fissano il riferimento, nel senso che non sono condizioni necessarie e sufficienti: un limone verde viola lo stereotipo ma nondimeno un limone; una tigre albina non ha il mantello a strisce ma nondimeno una tigre. Nulla allinfuori della realt stessa, come abbiamo visto, pu fissare il riferimento in questo senso (se non in alcuni casi). Tuttavia la conoscenza degli stereotipi pi che sufficiente per garantire il buon funzionamento della comunicazione: quando parliamo, per esempio, di tigri o di limoni, ci capiamo benissimo perch associamo alle parole gli stessi stereotipi, o comunque stereotipi sufficientemente simili. Le considerazioni che Putnam fa sulla nozione di stereotipo suggeriscono quindi una divaricazione tra la teoria del riferimento e la teoria della comprensione. La nozione di significato, conclude Putnam, un po un ibrido tra le due: tanto il riferimento quanto lo stereotipo sembrano essere elementi costitutivi del significato. Il punto che questi due aspetti non possono essere soddisfatti da ununica nozione, come voleva Frege: non c un entit, mentale o astratta che essa sia, che possa simultaneamente fissare il riferimento ed essere un contenuto di conoscenza. Una critica Secondo i sostenitori del riferimento diretto, stabilire qual il riferimento di una parola una questione del tutto diversa dallo stabilire che cosa fissa il riferimento di una parola. La teoria della designazione rigida risponde alla prima domanda, la teoria del battesimo iniziale + catena causale risponde alla seconda. Non si pu negare che la seconda teoria sia molto meno convincente della prima. E poi: siamo sicuri che il significato non abbia nulla a che fare con la seconda questione? Gli stessi Putnam e Kripke sono molto prudenti su questo punto. Ma la perplessit pi grande che suscita la teoria del riferimento diretto risiede, almeno a mio parere, nellassumere una nozione

25 metafisica di riferimento, che non corrisponde a come il linguaggio effettivamente funziona nei processi comunicativi. Essa assume il punto di vista di Dio, non degli uomini, che, secondo quanto predice la teoria, non sanno mai veramente bene di che cosa parlano. Eppure, quando parliamo comunemente dellacqua (per esempio), non ci riferiamo allacqua in quanto H2O, ma in quanto entit di esperienza comune, che usiamo per dissetarci e lavarci, qualcosa che conosciamo molto bene. Per queste ragioni, pur riconoscendo che autori come Putnam e Kripke abbiano avuto il merito di mostrare alcune debolezze delle teorie triangolari, la teoria da essi proposta ben lungi dallaver detto lultima parola in semantica lessicale. 3.5. Il significato degli enunciati Finora abbiamo sempre fatto ipotesi su che cosa il significato delle parole. Ma che dire del significato degli enunciati? La tradizione della filosofia analitica del linguaggio del Novecento, quella che comincia con Frege e arriva fin quasi ai giorni nostri grazie al contributo di filosofi e logici di grande statura quali B. Russell, L. Wittgenstein (nella prima fase del suo pensiero), A. Tarski, R. Carnap, W. V. Quine, D. Davidson e altri ancora, ha in effetti privilegiato il significato enunciativo, interessandosi del significato delle parole solo in quanto esso concorre a determinare il significato degli enunciati. Partiamo, ancora una volta, da Frege. La teoria triangolare, basata sulle nozioni di senso e di riferimento, deve, per Frege, essere estesa a tutto il linguaggio: tutte le espressioni linguistiche (nomi propri, come Carlo, descrizioni definite, come il Presidente della Repubblica, termini predicativi, come cane, enunciati, come il gatto sul tappeto) devono avere un senso e un riferimento. Ebbene, il riferimento di un enunciato, secondo Frege, il suo valore di verit, cio il Vero (se lenunciato vero) e il Falso (se lenunciato falso). Per esempio il riferimento dellenunciato La neve bianca il Vero; il riferimento dellenunciato Bill Clinton lattuale Presidente degli USA il Falso. Il Vero e il Falso sono considerati da Frege due oggetti astratti, paragonabili a numeri. In questo modo c una perfetta simmetria tra parole (o descrizioni) ed enunciati: in entrambi i casi il riferimento un oggetto. Nel caso degli enunciati, questo strano oggetto astratto che il valore di verit. Ma non tanto questo il punto importante. Pi importante il fatto che, per Frege, la verit la propriet semantica fondamentale. Potrebbe sembrare strano che la verit sia una propriet semantica, ovvero che la nozione di significato abbia strettamente a che fare con quella di verit. Quando, nella seconda parte del corso (modulo B) faremo un po di logica, ci sembrer pi naturale11. Ma possiamo fin dora avvicinarci a comprendere questo punto di vista. Lidea di Frege che siamo interessati al valore di verit di un enunciato in quanto gli enunciati sono lespressione linguistica dei giudizi, o pensieri, che sono la sostanza della conoscenza, il modo in cui la conoscenza si articola. Conoscere avere pensieri veri, ovvero, equivalentemente, formulare giudizi veri. In questo senso sono i pensieri o i giudizi a possedere in prima istanza un valore di verit ad essere veri o falsi. Gli enunciati ereditano il loro valore di verit dai giudizi di cui sono espressione. Ora, per determinare il valore di verit di un enunciato indispensabile determinare il riferimento delle parole contenute nellenunciato. Per esempio, per sapere se lenunciato il gatto di Clinton nero vero, bisogna sapere qual il riferimento della parola gatto, qual il riferimento della parola Clinton, e qual il riferimento della parola nero. Possiamo allora dire che, in questa prospettiva, siamo interessati al riferimento delle parole solo in quanto ci interessa conoscere il valore di verit degli enunciati (cfr. il principio del contesto); daltra parte, per determinare il valore
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La centralit della verit , in parte, una conseguenza del fatto che Frege interessato prima di tutto alla Logica; anche il suo interesse per il linguaggio filtrato dal suo mestiere di logico.

26 di verit di un enunciato, occorre conoscere il riferimento delle parole in esso contenute (cfr. il principio di composizionalit). Ecco perch, pur in un quadro in cui la verit la propriet fondamentale, il riferimento cos importante. Riferimento e verit sono indissolubilmente legati non c luna senza laltro e viceversa. Fin qui, il riferimento (e la verit). Ma, come abbiamo visto, per Frege le parole hanno anche un senso. Lo stesso deve valere per gli enunciati e in generale per qualsiasi espressione linguistica. Se, infatti, lunica propriet semantica degli enunciati fosse il riferimento, tutti gli enunciati veri sarebbero semanticamente equivalenti, e cos pure tutti gli enunciati falsi; una conseguenza del tutto assurda sarebbe come dire che, per esempio, Lerba verde e La neve bianca hanno lo stesso significato. Vi sarebbero soltanto due significati possibili: il Vero e il Falso. Qual , allora, il senso di un enunciato? Frege afferma che il senso di un enunciato il pensiero espresso dallenunciato. E, cos come avviene per il riferimento, vale il principio di composizionalit anche per il senso: il senso di un enunciato dipende esclusivamente dai sensi dei suoi costituenti e dalla struttura sintattica dellenunciato. Ne segue che, per esempio, gli enunciati La stella del mattino brilla e La stella della sera brilla hanno senso diverso, perch i loro rispettivi costituenti La stella del mattino e La stella della sera hanno senso diverso. Questa centralit del significato enunciativo e lidea che vi sia una stretta relazione tra significato e verit caratterizza lintera tradizione analitica del Novecento post-Fregeana. A partire da Wittgenstein (continuiamo a riferirci alla prima fase del suo pensiero) si affermer tuttavia la tesi secondo cui il significato di un enunciato non sia il pensiero bens le condizioni di verit, cio la situazione che, se realizzata nel mondo, renderebbe vero lenunciato. Per esempio, le condizioni di verit di oggi piove a Torino sono che il 27 ottobre 2006 (la data in cui sto scrivendo queste righe) a Torino piova davvero. Attenzione a non confondere le condizioni di verit con il valore di verit: oggi piove a Torino falso (in questo momento fa bello), ma ci non toglie che le sue condizioni di verit siano che oggi piova a Torino. Le condizioni di verit non sono necessariamente realizzate: se lo sono, lenunciato vero; se non lo sono lenunciato falso. Secondo alcuni lidentificazione del senso di un enunciato con le condizioni di verit uninterpretazione corretta della teoria di Frege (ovvero: il pensiero espresso da un enunciato coincide con le sue condizioni di verit), ma il modo in cui Frege introduce la nozione di senso, in relazione alle credenze dei parlanti, getta qualche dubbio su questa identificazione. Laffermazione esplicita che il significato di un enunciato coincide con le sue condizioni di verit libera la teoria del significato da un residuo di psicologismo che persiste nellopera di Frege. Come abbiamo visto nella teoria del riferimento diretto, il significato non deve avere nulla di mentale; il significato quello che , in modo totalmente indipendente da quello che i parlanti ne sanno al riguardo. 3.6. Teorie antirealistiche: significato come uso Le difficolt in cui incorrono le teorie discusse dovrebbero forse indurci a cercare un punto di vista totalmente diverso, che rinunci allidea dellesistenza di una relazione stabile tra parole e cose e allidea che ci sia un misterioso ente, il significato, il cui requisito fondamentale deve essere quello di fissare il riferimento. Potrebbe esserci qualcosa di sbagliato nellidea stessa di cercare unentit precisa con cui identificare il significato. In questa direzione va, nella seconda fase del suo pensiero, Ludwig Wittgenstein (1889-1951), che, sulla base di una serrata critica a certe immagini del linguaggio tramandate dalla tradizione filosofica, giunge a delineare un punto di vista radicalmente alternativo a quelli che abbiamo fin qui presentato. Lo sfondo della riflessione di Wittgenstein sul linguaggio una concezione della filosofia come un certo tipo di attivit, di pratica, che consiste in unattenta analisi dei diversi usi del linguaggio che facciamo nelle concrete situazioni comunicative. La filosofia non deve mirare, come invece fa la scienza, alla costruzione di teorie, perch lo scopo della filosofia , lungi dal darci la conoscenza di fatti empirici, terapeutico: la filosofia come una cura, una cura contro la propensione del pensiero a restare imprigionato in alcuni paradossi e rompicapi che

27 sistematicamente si presentano nella riflessione filosofica. Secondo Wittgenstein, infatti, molti problemi filosofici nascono da un fraintendimento delle parole che usiamo. I paradossi sono creati dal linguaggio, ma i problemi svaniscono non appena ci rendiamo conto di che cosa effettivamente intendiamo con i diversi usi di una parola. Questa idea della filosofia era gi caratteristica della prima fase del pensiero di Wittgenstein, rispetto alla quale, tuttavia, si accentua ora lantisistematicit: meno enunciazioni di princpi, pi presentazioni di esempi. Su questo sfondo le tesi principali sul linguaggio sono le seguenti: Le parole non hanno un uso soltanto referenziale (= critica del modello ostensivo, o agostiniano, del linguaggio). Il significato di una parola determinato dalluso nei diversi giochi linguistici. Luso e la comprensione del linguaggio costituiscono nel loro insieme unabilit, cio un sapere-come (skill, know-how), non una conoscenza in senso proprio, un sapere-che. Il linguaggio intrinsecamente pubblico. Il linguaggio intrinsecamente normativo. Non ci sono, nella grande maggioranza dei casi, condizioni necessarie e sufficienti per fissare il riferimento di una parola (= teoria delle somiglianze di famiglia) Vediamo nel dettaglio ciascuna di queste tesi, raggruppandole in quattro aree tematiche. (i) Significato come uso e comprensione come abilit Le parole non sono meramente etichette per oggetti, puri nomi (di cose). Servirsi di una parola per riferirsi a un oggetto, come quando dico quel gatto, non che uno degli usi di una parola, e in diversi casi nemmeno il pi rilevante. In generale, ogni parola ha diversi usi, e le parole differiscono le une dalle altre per le modalit del loro impiego. Per cercare il significato di una parola bisogna quindi guardare ai modi in cui essa effettivamente impiegata. E gli usi di una parola sono molteplici, cos come gli usi degli enunciati: non solo asserzioni ma anche domande, ordini, imprecazioni, ringrazamenti, ecc. Un catalogo degli usi di una parola non ci consente di individuare univocamente un significato, ma ci dice molto su come funziona una parola. Non c nientaltro nella nozione di significato oltre agli usi delle parole; il dizionario stesso un repertorio di usi. Parlare e capire diventa allora questione di imparare questi usi, di acquisire unabilit, un complesso di capacit. In altre parole, la padronanza del linguaggio non consiste tanto nellavere certe conoscenze, per esempio nel sapere che gatto si riferisce ai gatti o che i gatti sono felini ecc., ma, semmai, nel sapere come si impiegano le parole. Knowing how piuttosto che knowing that. Parlare (e comprendere) un linguaggio pi simile al saper andare in bicicletta o al saper suonare uno strumento qualcosa che si sa fare piuttosto che qualcosa che si conosce. vero che a volte si apprende il riferimento di una parola in modo ostensivo: dico sedia indicando al bambino una sedia. Ma, osserva Wittgenstein, per comprendere queste definizioni ostensive, bisogna gi padroneggiare un frammento di linguaggio, perch bisogna comprendere che quello che sta facendo listruttore applicare una parola a un oggetto. Anche questo un gioco linguistico (cfr. ii). (ii) Giochi linguistici e forme di vita Una parola sfruttata in modo diverso a seconda delle svariate circostanze comunicative in cui essa viene usata. Ogni circostanza comunicativa, in qualche modo, fa storia a s, perch determinata da chi sono gli interlocutori, dal bagaglio di conoscenze condivise che hanno, dagli scopi non solo comunicativi della loro interazione. Si potrebbe dire, usando una celebre espressione di Wittgenstein, che ogni specifica interazione comunicativa un gioco, un gioco linguistico. Come in tutti i giochi, chi vi partecipa segue delle regole. Dunque luso entro un gioco linguistico che d significato a unespressione. Un gioco linguistico unattivit in cui il linguaggio ha un ruolo preponderante e nel quale parole ed azioni,

28 cio comportamenti linguistici e non, sono strettamente intrecciate. O, da un altro punto di vista, una certa situazione comunicativa nella quale vengono rispettate certe regole non scritte di comportamento linguistico (e non). Se le regole non venissero seguite, la comunicazione non riuscirebbe. I giochi linguistici sono (o sono parte di), in effetti, forme di vita, situazioni di vita vissuta. Il senso o significato delle parole non nella testa della persone, bens qualcosa che emerge nelle pratiche sociali, che scaturisce dallaccordo tra le persone. Usare e comprendere una parola padroneggiare il gioco linguistico (o i giochi linguistici) in cui essa normalmente usata. Lidea fondamentale di Wittgenstein perci che per comprendere come funziona il linguaggio, e in particolare il fenomeno della produzione e comprensione di significati, bisogna guardare alla pratica del linguaggio, al suo sfruttamento nella vita quotidiana, non trattare il linguaggio come un codice astratto. Citando Anthony Kenny, le parole non possono essere comprese al di fuori del contesto delle attivit umane non linguistiche in cui immerso luso del linguaggio. (1984: 26, corsivo mio). (iii) Pubblicit e normativit Dunque per Wittgenstein il linguaggio un fenomeno intrinsecamente sociale, pubblico. Non si pu cogliere la natura del linguaggio se lo si concepisce come una struttura astratta di tipo logico (come pensava il primo Wittgenstein) o come una struttura psicologica, una dotazione mentale. Inoltre il linguaggio, e specificamente gli aspetti semantici del linguaggio essenzialmente di questi che si sta parlando --, ha una natura normativa, perch non si possono usare le parole a proprio piacimento: luso di una parola determinato da certe norme. La natura insieme sociale (o pubblica) e normativa del linguaggio rifulge nel celebre argomento del linguaggio privato ( 243-265 circa delle Ricerche filosofiche). Wittgenstein intende per linguaggio privato unipotetico linguaggio tale che il significato delle sue espressioni stabilito da una singola persona. Per esempio io potrei stabilire che un certo vocabolo denota una mia particolare sensazione, unaltra parola denota unaltra sensazione, e cos via. Ora, osserva Wittgenstein, un siffatto linguaggio impossibile, nel senso che non davvero un linguaggio, perch non c modo di verificare se chi lha inventato e lo parla sta usando correttamente le parole oppure no. Infatti, se io, che ho inventato questo linguaggio, confondessi il significato di due parole usassi luna al posto dellaltra rispetto a come originariamente le avevo introdotte -- non ci sarebbe modo di saperlo: nessuno potrebbe correggermi. Questa impossibilit di verificare se una parola stata usata correttamente oppure no, ovvero limpossibilit di distinguere tra usare correttamente una parola e meramente credere di averla usata correttamente, costituisce secondo Wittgenstein una riduzione allassurdo del concetto di linguaggio privato: il linguaggio intrinsecamente pubblico. chiaro che largomento del linguaggio privato presuppone una concezione fortemente normativa del linguaggio, presuppone cio che, affinch un insieme di espressioni sia un linguaggio, a ciascuna delle espressioni sia necessariamente associata una regola duso. Una volta che si accetti questa premessa, limpossibilit del linguaggio privato segue dal fatto che lapplicazione di una regola deve necessariamente essere soggetta a un controllo pubblico. In altre parole, ci che largomento dimostra che, se luso del linguaggio soggetto a norme, allora un linguaggio privato impossibile. Ma, come vedremo nel paragrafo successivo, si pu tentare di negare che luso delle parole sia governato da norme. Questa eventualit per Wittgenstein assurda: se luso del linguaggio non fosse governato da norme, ognuno potrebbe parlare come gli piace, e la comunicazione non sarebbe possibile. Non si pu giocare a un gioco se non si rispettano le regole, sia esso gli scacchi, il calcio oil linguaggio.

(iv) Somiglianze di famiglia

29 Ricorderete che, nella presentazione della teoria dellanalisi componenziale, avevamo fatto lesempio della parola scapolo. Scapolo una delle (rare) parole definibili: qualcosa uno scapolo se e solo se un maschio, un adulto, e non sposato. Ci equivale a dire che essere maschio, essere adulto ed essere non sposato sono condizioni necessarie e congiuntamente sufficienti per essere uno scapolo, ovvero per fissare il riferimento della parola scapolo. Possiamo anche dire (cfr. 3.3) che mel loro insieme queste condizioni costituiscono il concetto di scapolo, in quanto forniscono un criterio infallibile per determinare se qualcosa uno scapolo oppure no. Per la maggior parte delle parole, tuttavia, non esistono condizioni necessarie e sufficienti per fissarne il riferimento, non esistono cio i concetti cos come sono tradizionalmente intesi. In una categoria ci sono sempre membri sotto qualche aspetto anomali (membri che violano una delle supposte condizioni criteriali e nondimeno sono considerati appartenere alla categoria in questione). Wittgenstein ha colto molto efficacemente questo punto osservando come i membri di una categoria esibiscano piuttosto somiglianze di famiglia: come un bambino assomiglia al padre sotto qualche aspetto, alla madre sotto qualche altro aspetto, e magari allo zio per il naso, al nonno per gli occhi e cos via e lo stesso vero di ogni altro membro di una famiglia (intesa in senso ampio) --, analogamente i membri di una categoria, come quella di gioco, non condividono tutti gli stessi tratti. Alcuni giochi si somigliano sotto certi aspetti, altri giochi sotto altri. I membri di una categoria hanno cos quella che potremmo chiamare unaria di famiglia, pur senza condividere tutti un determinato insieme di propriet (Ricerche Filosofiche, 66-67). Questa osservazione ha almeno due conseguenze interessanti, che sono state assai discusse in psicologia cognitiva. La prima che in una categoria ci sono membri pi rappresentativi di altri (il pinguino e il passero sono ambedue uccelli, ma il primo , per cos dire, molto meno uccello del secondo). La seconda che le categorie hanno confini sfumati, nel senso che ci possono essere oggetti la cui collocazione in una categoria piuttosto che in unaltra incerta. Un oggetto cilindrico di altezza circa pari al diametro della base, per esempio, potrebbe essere collocato tanto nella categoria tazza quanto in quella di boccale. Modificando alcuni tratti (per esempio, presenza o meno di un manico; materiale con cui fatto loggetto) ci si sposta verso altre categorie, come vaso o bicchiere. 3.7. Teorie cognitive: significato come rappresentazione mentale Gli sviluppi delle scienze della mente (la cosiddetta scienza cognitiva) e dellintelligenza artificiale hanno contribuito, soprattutto negli anni Settanta del secolo scorso, a rilanciare la vecchia idea che il significato sia unentit mentale. In particolare, gli studiosi di rappresentazione della conoscenza e di analisi automatica del linguaggio naturale (tra cui M. Minsky, T. Winograd, Y. Wilks), e i ricercatori che lavorano al confine tra filosofia, linguistica e psicologia (come P. Johnson-Laird, R. Jackendoff, G. Lakoff) hanno proposto, tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, alcune teorie (o scampoli di teorie, perch raramente si arrivati a risultati sistematici paragonabili a quelli ottenuti nella tradizione fregeana), che possiamo chiamare semantiche cognitive, in quanto considerano pertinenti per il significato i fattori psicologici, ci che i parlanti sanno in relazione alle parole. Le semantiche cognitive non devono tuttavia essere considerate come una nuova versione di teorie triangolari, perch in diversi casi i cognitivisti si disinteressano completamente del riferimento e, anche quando ammettono che il riferimento sia un aspetto del significato, non pensano che il significato debba fissare il riferimento. I punti pi importanti su cui la maggior parte dei sostenitori della semantica cognitiva convergerebbe sono i seguenti: 1) La semantica deve essere una teoria della comprensione, e la comprensione un processo psicologico. 2) Il processo di comprensione mette capo alla costruzione di rappresentazioni mentali (anche se non c accordo su che cosa debba intendersi esattamente per rappresentazione mentale e su quali tipi di rappresentazioni vengano costruite).

30 3) Le rappresentazioni mentali non richiedono interpretazioni ulteriori: costruire una rappresentazione mentale di un enunciato comprenderne il significato. 4) I significati delle parole sono tipicamente identificati con i concetti, cio con file mentali (rappresentazioni, strutture di conoscenza) associati alle parole. Teoria del significato e teoria dei concetti tendono a coincidere. 5) I concetti non sono condizioni necessarie e sufficienti (cfr. paragrafo precedente). 6) Rifiuto della distinzione tra dizionario ed enciclopedia: non esiste una conoscenza linguistica pura separabile dalla conoscenza delle informazioni sul riferimento delle parole. Per esempio, fa parte della conoscenza del significato della parola tigre sapere che le tigri sono quasi estinte e vivono esclusivamente nella jungla. Il punto 3 particolarmente spinoso, perch la tesi secondo cui i significati sono rappresentazioni mentali si espone a una critica che era gi stata rivolta alla teoria di Locke: unimmagine mentale non pu essere un significato perch, esattamente come le parole, unimmagine va interpretata, compresa. Unimmagine associata a una parola avr lo stesso contenuto o significato della parola, ma non pu essere il significato della parola12. Loggetto di questa critica una delle molte variazioni sul tema della cosiddetta fallacia dellhomunuculus: ai fini di spiegare certe nostre capacit mentali, come riconoscere un oggetto, produrre unimmagine mentale, comprendere un enunciato ecc., inutile e sbagliato postulare enti mentali, cio cose dentro la testa, perch qualsiasi oggetto mentale richiede a sua volta di essere interpretato, richiede cio un omino dentro la testa; ma ovvio che non ci sono omini dentro la testa. Cos, ad esempio, non si pu spiegare il fatto che riconosciamo loggetto davanti a noi come una penna supponendo che nel nostro cervello si formi limmagine di una penna; e non si pu spiegare il fatto che noi comprendiamo lenunciato la penna sul tavolo supponendo che nella nostra testa si formi unimmagine di una penna sul tavolo o, eventualmente, una formula di un linguaggio mentale che significa che la penna sul tavolo. La tesi 3 un tentativo di sfuggire a questo problema basato sulla seguente strategia: invece di sostenere in modo puro e semplice che le rappresentazioni mentali sono i significati, si afferma che, costruendo rappresentazioni, afferriamo (comprendiamo) il significato. Questa mossa sembra presupporre un atteggiamento antirealistico di tipo wittgensteiniano verso la nozione di significato, ma non sempre i sostenitori della semantica cognitiva sembrano esserne consapevoli; limpressione che essi oscillino tra la tentazione di identificare in modo puro e semplice il significato di una parola con una rappresentazione mentale ad essa associata, e una dissoluzione della nozione di significato. Un altro punto su cui aggiungere qualcosa il sesto. Qui il bersaglio polemico dei cognitivisti una certa teoria semantica diffusa tra i linguisti, per esempio la semantica della linguistica strutturale (cfr. 2.2), in base alla quale il significato una nozione puramente linguistica; la conoscenza del significato delle parole non mai conoscenza sul riferimento delle parole. facile far vedere, tuttavia, che in molti casi certe conoscenze sul riferimento delle parole sono considerate parte integrante della competenza semantica. La distinzione tra la conoscenza linguistica e la conoscenza del mondo illusoria perch ci sono molte informazioni che non sono n puramente linguistiche n puramente fattuali. La semantica cognitiva stata fatta oggetto di diverse critiche. Le due pi diffuse tendono entrambe a negare che ci che fanno i semanticisti cognitivi abbia rilievo filosofico, rivesta cio qualche interesse per una teoria del significato. Quale che sia il giudizio che si vuol dare sulle teorie psicologiche, infatti, esse spiegano i meccanismi mentali della comprensione, ma non il nostro concetto di comprensione e men che mai quello di significato. Spiegare come facciamo materialmente a comprendere un enunciato non spiegare che cosa significa quellenunciato.
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Questo punto stato espresso efficacemente dal filosofo Scott Soames: una rappresentazione non pu mai essere un contenuto; essa semmai qualcosa che ha un contenuto (Soames 1989, p. 578).

31 Alla stessa conclusione si arriva in base allargomento della normativit, quello pi frequentemente utilizzato contro la semantica cognitiva. Lidea che il significato di una parola quello che , indipendentemente da quello che i parlanti ne sanno al riguardo. Invece una rappresentazione mentale, in quanto soggettiva, pu non essere completamente adeguata, o eventualmente essere del tutto erronea. Se, per esempio, io credo che lartrite sia una malattia delle fibre muscolari, ho una certa rappresentazione mentale associata alla parola artrite, ma non conosco il significato della parola, e non avr una comprensione adeguata degli enunciati in cui la parola usata. Sbarazzarsi completamente di questa obiezione , almeno a mio parere, impossibile: non possiamo parlare a nostro piacimento, usare le parole in modo del tutto deviante dal modo in cui sono comunemente usate, pena lesclusione dalla comunit. In altri termini, molto difficile negare che nel linguaggio permanga un elemento normativo. Quello che possono fare i cognitivisti sostenere che non c bisogno di ipostatizzare lelemento normativo in una nozione come quella di significato esterna alla testa delle persone: non c bisogno, ai fini di spiegare come faccio a capire lenunciato il gatto sul tappeto, di postulare (per esempio) una struttura astratta che dalla testa del mio intelocutore entra nella mia testa. Allo scopo di comunicare con successo non necessario che i parlanti condividano esattamente uno stesso nucleo di informazioni chiamato significato, bens sufficiente che le rappresentazioni siano abbastanza simili, o convergenti. In molti casi la convergenza assicurata dal fatto che lambiente percettivo in cui viviamo uguale per tutti, e che i sistemi percettivi sono identici: il gatto che vedo io identico a quello che vedi tu. Insomma, per poter parlare di gatti basta che siamo in grado di individuare come gatti (grosso modo) gli stessi oggetti, e che condividiamo una parte delle nostre convinzioni sui gatti. Questa replica sembra funzionare bene se la critica della normativit sviluppata in una linea fregeiana, in base alla quale la comunicazione non possibile se non ci sono significati stabili, identici per tutti. I cognitivisti sono probabilmente nel giusto quando affermano che questo un requisito inutilmente forte per garantire il successo della comunicazione: ci arrangiamo molto bene grazie a competenza pragmatica, sforzi di costruirsi un modello coerente di quello che dice linterlocutore (e daltra parte, molte volte non ci capiamo affatto). Come osserva Chomsky, a nessuno mai venuto in mente di osservare che la comprensione richiede una pronuncia perfetta; capiamo litaliano parlato con una cadenza settentrionale, con una meridionale come con una straniera; perch nel caso del significato dovremmo richiederlo? Le cose sono un po pi complicate se la critica formulata dal punto di vista wittgensteiniano espresso paradigmaticamente nel suo argomento del linguaggio privato. Qui lidea che il linguaggio un prodotto sociale, non un codice privato; impariamo a parlare rispettando certe regole duso, certe convenzioni; se non rispettiamo le regole, non saremo capiti o verremo esclusi dal gioco linguistico. Per replicare a questo punto di vista, indispensabile sostenere che Wittgenstein sopravvaluta la dimensione normativa del significato. Il significato delle parole non una vera e propria regola messa per iscritto da qualcuno, che comporta sanzioni se viene violata. Ci che Wittgenstein chiama regole sono in realt norme duso che si diffondono ma che nessuno ha veramente lautorit di dettare una volta per tutte; ci sono parlanti pi competenti di altri, ma anche le autorit semantiche possono sbagliare, per esempio, anche i dizionari possono sbagliare. Il linguaggio pu dunque essere descritto come il risultato di convergenze negoziate di idioletti (ognuno ha il suo linguaggio, e tutti cerchiamo allo scopo di comunicare, di adattarli reciprocamente). Nondimeno lintegrazione dellaspetto normativo in una teoria cognitiva solleva qualche difficolt.
Un esempio di semantica cognitiva: la teoria dei modelli mentali
Comprendere un enunciato costruire un modello mentale dellenunciato stesso. Il modello costruito non un oggetto che deve a sua volta essere interpretato, ma gi linterpretazione dellenunciato. Lidea che il modello in connessione col mondo tramite percezione e azione, cio una struttura che ha un legame causale di natura sensomotoria col mondo reale.

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I modelli mentali sono strutture isomorfe allo stato di cose espresso dallenunciato 13. Nel modello ci sono dei contrassegni, degli elementi che corrispondono agli oggetti dello stato di cose. Questi contrassegni sono tipicamente rappresentazioni analogiche, cio qualcosa di simile a immagini di oggetti. P. es. il modello mentale dellenunciato La cartella sul tavolo qualcosa di simile a unimmagine che contiene una rappresentazione figurativa di una cartella e una rappresentazione figurativa di un tavolo poste nella relazione spaziale specificata da sul14. Comunque, non necessario che i modelli siano immagini concrete possono anche essere tabelle, grafici, tipicamente sono strutture miste che contengono sia elementi percettivi (spesso visivi) sia elementi linguistici (come quando cerco di risolvere un sillogismo con i cerchi di Euler-Venn o con i modelli postulati da Johnson-Laird). Pi che la natura precisa dei modelli, a Johnson-Laird interessa che essi soddisfino certi requisiti: - devono essere calcolabili (cio ci deve essere un procedimento finito ed esplicito per costruirli, da cui segue per conseguenza che essi sono riproducibili da programmi per computer e questo della riproducibilit o implementabilit un fondamentale requisito epistemologico, il complementare dellesperimento, o addirittura il sostituto dellesperimento, in scienza cognitiva) - sono ricorsivi, cio un modello pu a sua volta contenere al suo interno un altro modello. In particolare possibile costruire un modello di un modello mentale altrui, che quello che faccio quando devo comprendere enunciati come credo che - sono strutture finite Vediamo un esempio. Si consideri il seguente frammento di discorso: Gianni seduto a destra di Anna. Paolo seduto alla sinistra di Anna. Renata di fronte a Gianni. La comprensione del primo enunciato consiste nella costruzione del seguente modello: 1) A G

La comprensione del secondo enunciato d luogo a un modello parziale: 2) P A

che viene immediatamente integrato col precedente modello 1: P A G

Analogamente, la comprensione del terzo enunciato d luogo al seguente modello integrato: 3) P A R G

E cos via. Si noti quindi come nel corso della comprensione del discorso, si cerca sempre di costruire un modello unico, che integri le informazioni veicolate da ciascun enunciato. Quando non possibile si cerca ricorsivamente di modificare il modello originario in modo da renderlo compatibile con i nuovi dati. La teoria dei modelli mentali ha goduto di una notevole popolarit soprattutto come teoria del ragionemento sillogistico. Come teoria della comprensione ha convinto molto meno, per due ragioni opposte. Da un lato la sua capacit esplicativa modesta perch il processo di comprensione viene descritto in termini piuttosto vaghi, con la conseguenza che difficile falsificare la teoria. Dallaltro lato, la generalizzazione dal caso spaziale ad altri casi non appare molto agevole: a meno di non includere nella nozione di modello anche quella di rappresentazione proposizionale, i modelli sembrano confinati a rappresentare fondamentalmente lo spazio, anche se si deve considerare che lo spazio una metafora interpretativa molto potente e diffusa. Questo genere di difficolt, comunque, tipico di molte altre teorie cognitive.

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Da qui si capisce bene la critica, come quella di Soames citata nella precedente nota, alla tesi della natura autointerpretata delle rappresentazioni mentali: poich tipicamente il significato di un enunciato identificato con lo stato di cose espresso da quellenunciato, la nozione di modello mentale non pu svolgere il ruolo di significato perch presuppone la nozione di significato. 14 Questa proposta ricorda, sotto diversi aspetti, la teoria del Tractatus Logico-Philosophicus di Wittgenstein. Ma con una differenza cruciale: nel Tractatus, i significati non sono assolutamente enti mentali.

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3.8. Brevissima conclusione Abbiamo visto cinque approcci al significato lessicale (pi qualche breve escursione nel significato enunciativo): le teorie intralinguistiche, le teorie triangolari, le teorie referenziali pure, le teorie antirealistiche (significato come uso) e le teorie cognitive. Come si visto, nessuna teoria completamente soddisfacente, anche se ognuna di esse cattura qualche aspetto della nozione intuitiva di significato. Il problema del significato di gran lunga il pi sfuggente in linguistica e in filosofia del linguaggio ed lungi dallaver trovato una soluzione. Ma riflettere sul problema, valutando pro e contro di ogni soluzione, e cercando di idearne delle nuove, un esercizio molto salutare. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI (opere citate) G. Frege, Senso e significato, in G. Frege, Senso, funzione e concetto, a cura di C. Penco e E. Picardi, Laterza 2003 (ed. orig. 1892) (*ci sono altre due edizioni italiane di questo saggio). P. Johnson-Laird, Modelli mentali, il Mulino 1988 (ed. orig. 1983) J. Katz, Semantic Theory, Harper & Row, 1972. J. Katz, J. Fodor, La struttura di una teoria semantica, in L. Heilman, E. Rigotti (a cura di), La linguistica: aspetti e problemi, il Mulino, 1975 (ed. orig. 1963). J. Katz, P. Postal, An Integrated Theory of Linguistic Descriptions, MIT Press, 1964. A. Kenny, Wittgenstein, Bollati Boringhieri 1984 (ed. orig. 1973). S. Kripke, Nome e necessit, Bollati Boringhieri 1982 (ed. orig. 1972). J. Locke, Saggio sullintelletto umanio, Laterza (ed. orig. 1690). H. Putnam, Significato e riferimento, in A. Paternoster (a cura di), Mente e linguaggio, Guerini 1999 (ed. orig. 1973). (Una versione pi ampia di questo saggio si pu trovare in H. Putnam, Il significato di significato, in Mente, linguaggio e realt, Adelphi 1987 ed. orig. 1975). F. de Saussure, Corso di linguistica generale a cura di T. De Mauro, Laterza 2005 (ed. orig. 1916). S. Soames, Semantics and Semantic Competence, in Philosophical Perspectives, 3, a cura di J. Tomberlin, pp. 575-596. L. Wittgenstein, Tractatus Logico-philosophicus, Einaudi 1983 (ed. orig. 1921). L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi (ed. orig. 1953).

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