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Maurizio Bonanni

UNA RECESSIONE NELLURNA

Roma, 28 Febbraio 2008

Euro sopra quota 1,5 sul dollaro? Petrolio oltre i 102 $ al barile? E chissene.. Per gli alfieri che si sfidano in campagna elettorale conta solo il dilemma della ennesima divisione tra laici e cattolici. Davvero cos che si conquista il diritto a governare il Paese? In America quotidiani, commissioni parlamentari e protagonisti delleconomia di mercato hanno il coraggio di mordere le caviglie allonnipotente Governatore della Banca Centrale Usa (accusato di lassismo e di mancato controllo sulloperato delle banche statunitensi), il quale non trova di meglio, per rimediare allattuale recessione conclamata, che fare dichiarazioni sullulteriore, imminente ribasso dei tassi di interesse, sperando che il cavallo beva! Ma, sul Vecchio come sul Nuovo Continente, c solo un mulo morto di fatica: quellultima pagliuzza dei mutui a rischio gli ha spezzato (definitivamente?) la schiena. E cos, milioni di famiglie americane vedono scendere giorno per giorno il valore delle case acquistate -indebitandosi fino al collo, allepoca!-, al di sotto di quello del mutuo, anche nei casi considerati affidabili, per quanto riguarda lerogazione dei prestiti, facendo cos esplodere le sofferenze bancarie, per mancato versamento dei ratei. Fatto, questultimo, responsabile di quel meccanismo perverso delle vendite a catena, che va a deprimere ulteriormente il valore di mercato degli immobili Usa (scesi, attualmente, a meno 20%, rispetto al periodo precedente allesplosione della bolla!). LEuropa, per, di certo non se la gode, questa incombente stagflazione (sorta di nitroglicerina economica, composta da bassa crescita ed elevata inflazione!) delleconomia americana. Quanto meno, non sorridono le famiglie italiane che hanno acquistato la casa a caro prezzo, con mutui (allora convenienti!) a tasso variabile. Sono proprio quei ratei ingordi, lievitati come torte pasqualine, che ingoiano oggi oltre met del reddito familiare disponibile, sottraendo quote crescenti di consumi al Pil nazionale. E se non cresce il prodotto interno, non ci sono soldi per pagare il welfare, le defiscalizzazioni e gli aumenti salariali delle categorie che lavorano e producono ricchezza nel Paese. Come i vagoncini di un treno in frenata, Europa e America stanno andando verso un declino economico comune, mentre continuano a crescere le economie asiatiche e quella indiana. Gi: ma fino a quando? Chi acquister pi, tra qualche mese, i beni da loro prodotti in simili quantit, in grado di sostenere aumenti annuali di crescita superiori all8%? Certo, per Cina ed India non tutto il male verr per nuocere dato che, finalmente, potranno orientarsi sulla crescita dei mercati e dei consumi interni, di cui i loro cittadini hanno un disperato bisogno. Unica, magra consolazione quella relativa al fatto che una recessione in Occidente si ripercuoter altrettanto negativamente sui produttori di materie prime, con particolare riferimento ai cartelli petroliferi. Gli anni 70, infatti, hanno insegnato abbondantemente a sceicchi e nuovi produttori come funziona linterdipendenza tra economie sviluppate e percettori di petrodollari: quando soffrono le prime si svuotano i forzieri delle seconde che, sfortunatamente per loro, non hanno un apparato industriale in grado di assicurare la produzione autoctona di beni e servizi necessari, in sostituzione di quelli acquistati in Occidente, grazie alle montagne di petrodollari accumulati. Quindi, con questi chiari di luna, voi che cosa vi aspettereste da leader responsabili? Ad esempio, la definizione di una comune strategia dellUnione europea per tirare gi i tassi di interesse fissati dalla

Bce (Banca centrale europea), facendo una sorta di svalutazione competitiva con il dollaro, al fine di rilanciare le asfittiche economie di Francia, Italia e Germania, quanto meno. E invece no: gli gnomi di Francoforte temono linflazione pi di ogni altra cosa, mentre Bruxelles continua a sovvenzionare produzioni agricole del tutto fuori mercato. Invece, occorrerebbe un accordo tra le economie forti per tagliare le unghie ad una speculazione finanziaria folle, dove enormi capitali carichi di liquidit si spostano sugli acquisti giornalieri delle materie prime, scommettendo quantit incredibili di denaro anche sulle pi minime oscillazioni, con rischi, tutto sommato, per loro abbastanza irrisori, rispetto ai guadagni attesi. In pratica, si assiste alla tragica rappresentazione di un capitalismo che divora se stesso. I russi che, in fondo, la sanno lunga, hanno ripristinato un sano zarismo economico, ri-nazionalizzando, di fatto, il settore energetico ed impedendo ai capitali esteri di entrare negli assets pi esclusivi dei comparti strategici delleconomia russa. In pratica, Putin si mantenuto con un piede nelleconomia di mercato e, con laltro, nel pi puro statalismo dellera sovietica. Bene: vogliamo decidere anche noi da che parte stare? Pi Stato e meno libero mercato, o viceversa? Se la scelta fosse la seconda, come si realizzano le riforme pi penetranti (riduzione del costo del lavoro e del welfare; disboscamento delle caste di ogni ordine e grado; riduzione della spesa pubblica, con il taglio di enti inutili, come le province, etc.) in senso liberista? Aspetto risposte da Pd e Pdl, ma non ci credo..

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