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LA PESTE Interpretazioni storiche

Tra i problemi connessi con la diffusione della peste pi dibattuti nella storiografia vi quello della sua possibile incidenza differenziale, in termini di mortalit, secondo la classe sociale. La minore incidenza della mortalit nelle classi pi agiate potrebbe dipendere, in linea di principio, almeno da quattro ordini di fattori: le abitazioni pi salubri e un minor affollamento; un'alimentazione migliore dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo; un trattamento di favore da parte delle autorit, nel senso che i poveri avevano maggiori probabilit di essere rinchiusi, anche se non ancora ammalati, nei lazzaretti, dove il rischio del contagio era altissimo; una maggior possibilit per i ricchi di fuggire in luoghi isolati e non toccati dall'epidemia. Di tali fattori l'unico che sembra, sulla base delle pi moderne conoscenze mediche, aver influito in misura assai poco rilevante il secondo. Infatti il livello nutritivo non risulta incidere sostanzialmente sul grado di letalit della peste. Vi invece un relativo accordo sul fatto che, soprattutto quand la diffusione delle epidemie divenne pi lenta e graduale permettendo dunque un'analisi del suo itinerario, una previsione del suo cammino, una conoscenza delle zone ancora indenni o di quelle sulle quali il flagello si era gi abbattuto e poi allontanato, l'efficacia della fuga come mezzo di difesa (solitamente attuabile solo dagli strati pi abbienti della popolazione) era maggiore e dunque la selezione sociale si faceva pi accentuata. Quanto ai fattori che stanno alla base della scomparsa della malattia dall'Italia, e pi in generale dall'Europa occidentale, tra XVII e XVIII secolo, il dibattito resta a tutt'oggi aperto. Mentre alcuni studiosi tendono ad assegnare una notevole importanza all'adozione di misure di prevenzione e di difesa da parte dell'uomo, altri negano recisamente l'efficacia di tali provvedimenti e assegnano invece rilevanza a cause del tutto indipendenti dall'azione umana. In effetti, pur nell'ignoranza delle modalit di trasmissione del contagio, una serie di misure (come la creazione di rigidi "cordoni sanitari" alle frontiere) volte a impedire la mobilit delle persone e delle merci deve aver contribuito a limitare la diffusione a largo raggio delle epidemie, mentre erano certamente assai poco efficaci i provvedimenti che venivano presi all'interno delle citt una volta che l'epidemia vi era penetrata. da ritenere che una notevole importanza abbiano comunque avuto una serie di interventi, attuati senza lo scopo specifico di combattere la diffusione della peste, che determinarono una riduzione delle occasioni di contatto tra l'uomo e i ratti. Tra questi la progressiva sostituzione di muri in mattone al posto di pareti di legno, di tetti di tegole al posto di quelli di paglia, infine l'eliminazione dalle citt dei magazzini domestici dei cereali. Altre spiegazioni, come quella della progressiva sostituzione del rattus rattus da parte del rattus norvegicus (il cui parassita meno adatto a trasmettere il bacillo) o quella della comparsa di una nuova malattia, la pseudotubercolosi, che ha il potere di immunizzare dal bacillo della peste, possono avere un fondo di verit, peraltro difficilmente verificabile. Restano infine le ipotesi, anch'esse non dimostrabili, di modificazioni della virulenza del bacillo (quest'ipotesi sembra per smentita dalle gravi epidemie che nel Novecento hanno colpito altre regioni del mondo) o di un progressivo adattamento biologico delle popolazioni europee, che potrebbero aver acquisito nel corso del tempo una maggiore resistenza all'infezione. comunque indubbio che l'incombere del flagello della peste ha senz'altro stimolato (alla pari di quanto, alcuni secoli dopo, si verificato con l'arrivo del colera) e accelerato nelle societ europee (e gli stati italiani sono stati, per gran parte dell'Et moderna, all'avanguardia sotto questo aspetto) la maturazione di una coscienza collettiva e di una capacit di organizzazione nei confronti dei problemi sanitari e ha determinato un'attenzione maggiore ai legami tracondizioni di vita delle popolazioni e diffusione delle malattie. Infine va sottolineato il fatto che, secondo l'opinione prevalente, proprio la riduzione della

mortalit conseguente alla sparizione delle grandi epidemie di peste sarebbe alla base del grande ciclo di sviluppo economico e demografico che ha interessato i paesi dell'Europa occidentale a partire dal XVIII secolo. L'iniziale aumento di popolazione determinato dalla scomparsa delle epidemie pi catastrofiche avrebbe infatti stimolato gli investimenti in agricoltura, consentendo successivamente, con l'aumento della produzione agricola, anche l'innesco di un processo di accumulazione nel settore industriale. W.H. McNeill, La peste nella storia, Einaudi, Torino 1982; J. Ruffi, J.C. Sournia, Le epidemie nella storia, Editori riuniti, Roma 1985; J.N. Biraben, Les hommes et la peste en France et dans les pays europens et mditerranens, Mouton, Parigi 1975-1976; L. Del Panta, Le epidemie nella storia demografica italiana, Loescher, Torino 1980.

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