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Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dellUniversit Kore di Enna

EUROPA E POVERT
Salvo And
Professore ordinario di Diritto comparato nellUniversit Kore di Enna Nei giorni scorsi i sindacati hanno organizzato in tutti i Paesi dell'Unione europea grandi mobilitazioni per la difesa del lavoro e del welfare. All'appello dei sindacati hanno risposto moltissimi cittadini preoccupati sempre pi delle conseguenze che le politiche dell'austerit producono sulle condizioni di vita dei cittadini. Ci troviamo di fronte a processi di esclusione sociale di massa, tali da mettere seriamente in crisi quei principi di eguaglianza e giustizia sociale su cui si sono fondate le democrazie emancipanti di questo dopoguerra. Le nuove povert prodotte dalla perdita del lavoro e dalla sua sempre minore remunerazione rischiano di creare contrasti sociali molto seri, se si considera che si allarga sempre pi la forbice che esiste fra i redditi medi dei lavoratori e quelli di una ristretta casta fatta da top manager, alti burocrati e professionisti di successo. Tutto ci comporta una crisi di quei valori che hanno consentito il formarsi di forti legami sociali rivelatisi essenziali per fronteggiare le diverse emergenze che hanno caratterizzato un difficile dopoguerra. L'avvio del processo di integrazione europea attraverso le prime Comunit ha dato un importante supporto all'estendersi ed al consolidarsi di un'economia sociale di mercato che, attraverso la redistribuzione del reddito, ha creato un forte consenso sociale e ha cos realizzato le condizioni perch le abitudini della democrazia potessero diffondersi anche in Paesi privi di significative tradizioni democratiche. Non c' da sorprendersi se oggi i cittadini europei, contestando l'Europa dell'austerit che si preoccupa soprattutto di difendere la tenuta dell'euro, si schierino contro una visione dell'Europa che appare quanto mai lontana da quella per la quale si batterono i Padri fondatori. Costoro non pensavano soltanto ad abbattere le barriere doganali per far circolare ricchezza e consentire un pi facile accesso alle risorse a Paesi che di essi erano sprovviste -facendo cos venire meno una delle cause delle tante guerre europee-, ma miravano attraverso la collaborazione dei governi nazionali a promuovere forme di lotta alla povert mai sperimentate a livello continentale, attraverso politiche di sostegno allo sviluppo.

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In alcuni casi si trattava di estendere lo Stato sociale a Paesi che lo Stato sociale non avevo mai conosciuto. In altri, occorreva invece consolidare quella esperienza in contesti dove le ferite recenti della guerra erano ancora troppo profonde per permettere a ciascun Paese di realizzare una politica della crescita che desse pari opportunit a tutti i cittadini e privilegiasse la protezione dei non abbienti. Nel momento in cui l'Europa appare ai suoi cittadini come una matrigna che smentisce le tradizioni di solidariet che hanno costituito il costante punto di riferimento dell'intero processo di integrazione, del tutto comprensibile che gli europei protestino e lamentino una scarsa attenzione verso i problemi sociali e una ingiustificata preoccupazione verso i destini di quei poteri forti che nell'immaginario collettivo sono i veri responsabili della crisi attuale. Il mondo giovanile, in particolare, ritiene di dovere reagire con sempre maggiore durezza alla crisi dello stato sociale, teorizzata come necessaria proprio da quel mondo dellalta finanza che attraverso spericolate speculazioni ha prodotto il dissesto economico. Crea reazioni sempre pi rabbiose il fatto che coloro i quali attraverso la speculazione finanziaria hanno messo in ginocchio tanti Paesi in occidente oggi drenino risorse che potrebbero essere destinate allo sviluppo, al finanziamento delle imprese, al sostegno delle famiglie in difficolt, alla garanzia del diritto al lavoro o al mantenimento di un efficiente sistema di ammortizzatori sociali. I giovani e gli altri esclusi ritengono, non a torto, che il neoliberismo sia la causa principale di questo inarrestabile processo di impoverimento dei Paesi occidentali e ritengono altres che i governi abbiano subito passivamente i diktat dei mercati senza fare nulla per mettere sotto controllo le transazioni economiche. E questa la ragione di quel furto di futuro denunciato dagli indignados, che ovunque attaccano con crescente violenza i simboli del potere finanziario. La difesa della moneta europea, in assenza di una politica sociale che comporti una difesa dei diritti, rischia di produrre una vera e propria guerra tra le generazioni che si riflette anche nella vita delle famiglie. Com' stato giustamente osservato da tanti, il neoliberismo, dopo aver generato la crisi, oggi pretende di esserne il rimedio e, con lassenso dei governi europei, pretende di teorizzare

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la dittatura del mercato come l'ultima grande ideologia delloccidente. Si fa sempre pi strada lidea della necessit di una divisione, all'interno dell'Unione europea, tra Paesi ricchi che devono guidare e Paesi poveri che devono subire decisioni spesso oggettivamente ingiuste. I temi della giustizia sociale che negli anni della prosperit europea sembravano essere un punto obbligato nell'agenda dei governi, che miravano a superare il modello della cosiddetta societ dei due terzi per potere assistere anche quel terzo di societ degli esclusi, paiono oggi travolti dalle polemiche contro lassistenzialismo nemico dello sviluppo. E ci pur essendo in presenza di nuove frange di povert che colpiscono anche coloro che si ritenevano ormai da anni al sicuro. Di fronte al deperimento di quel sistema di diritti individuali e collettivi che hanno costituito il vanto dello stato sociale europeo, il cittadino vive l'Unione europea come la causa del peggioramento delle sue condizioni di vita e teme che la cessione di altre quote di sovranit possa ulteriormente indebolire il sistema delle garanzie. Di fronte a questa percezione di abbandono, l'Europa dei mercati si configura come un'entit lontana e astratta che ha interferito con il patto tra capitale, lavoro e welfare e che oggi intralcia il consolidamento del processo democratico. Il mercato cos vissuto il protagonista della grande asimmetria democratica che si realizzata tra decisori e destinatari delle decisioni e il suo potere d'imperio privo di contrappesi democratici rischia di far saltare quel tavolo di compensazione dei conflitti che ha consentito di far convivere (in una societ ben ordinata) classi deboli, ceto medio e classi dominanti sulla base di un patto che attraverso la mobilit sociale garantiva ad un numero sempre pi alto di persone di potere accedere al mondo del benessere. Il rischio che avendo come unico obiettivo quello di salvare una moneta unica che divenuta il solo baluardo del processo di integrazione non si garantisce l'unit politica del continente europeo e, mettendo a dura prova la coesione sociale degli Stati, si creino le condizioni perch l'Europa sia sempre pi disunita. L'Europa comunitaria non ha vissuto mai momenti cos difficili come quello attuale, perch mai ha rischiato di perdere concretamente di vista quell'obiettivo di un'unit funzionale

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alla realizzazione di una vera giustizia sociale che possa creare solidariet tra gli Stati prevenendo controversie e conflitti. E se l'Europa appare lontana e ostile ai suoi cittadini del tutto comprensibile che questi, sentendosi meglio garantiti dal proprio Stato, si mostrino sempre pi disinteressati ai destini del processo di integrazione e sempre pi legati allo Stato nazionale anzich ad un'Unione europea che non fa nulla perch essi siano cittadini europei optimo iure. E, daltra parte, l'Europa ha fatto poco o nulla per assicurare una dimensione sociale al processo di integrazione e per dare un senso allo status di cittadino europeo. In tale ottica, pesa anche lassenza di partiti europei che si possano fare carico del problema agendo autonomamente rispetto ai partiti nazionali. L'Europa che doveva diventare pi grande ed unita negli anni in cui fu guidata da una grande personalit politica come Delors, appare oggi pi divisa e pi stretta, se si considera che emergono all'interno di essa una parte dominante ed una parte dominata; una parte che giudica un peso insostenibile le politiche solidaristiche e un'altra che ritiene la solidariet essenziale perch il processo di integrazione prima o poi possa riprendere il suo corso. La divisione che di fronte alla crisi si registra, per, una divisione che non pu solo spiegarsi sulla base dei livelli di ricchezza prodotti e quindi redistribuiti, perch riguarda la stessa filosofia dello stare insieme. L'Europa non pi unita nella diversit, ma disunita a causa di essa, soprattutto in considerazione del diverso status che alcuni Paesi membri vorrebbero imporre. E siccome i diritti costano, prescrivere, da un lato, standard ineludibili in materia di funzionamento ottimale dello Stato di diritto e di svolgimento del processo democratico, e poi, dallaltro, non fare in concreto nulla per farsi carico delle sfavorevoli eredit storiche lasciate in alcuni Paesi dai vecchi regimi negatori di ogni libert, costituisce un atto di intollerabile ipocrisia. L'Europa pi divisa che mai su questioni di fondo perch c chi ritiene - e non sono pochi - che con la crisi i tempi sono divenuti maturi per definire un nuovo assetto dell'Unione basato su un nucleo di Stati che decidono attraverso un direttorio ad hoc, considerando gli altri Paesi come Paesi satelliti che eseguono. La funzionalit dellUnione dovrebbe insomma essere assicurata dal principio di diseguaglianza tra gli Stati.

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Non questa l'Europa unita nella diversit sognata dai padri e cos definita nel dovrebbe portare l'Europa ad assumere tutti i connotati di una vera entit politica.

TUE.

La

diseguaglianza sarebbe il primo passo verso la paralisi del processo di integrazione che Sta accadendo che la divisione sempre pi profonda che si viene a verificare tra un'Europa tutt'altro che solidale ed una Europa pi debole (che chiede comprensione e tempi adeguati per rientrare nei canoni previsti dai custodi del rigore economico) produce conflitti che non scaturiscono solo dal diverso potere economico degli Stati, ma anche dal diverso modello di sviluppo che si vuole perseguire. Il fatto che la Germania e altri Paesi del Nord Europa promuovano una campagna contro greci, spagnoli, italiani e altri paesi del Sud, considerati la rovina dell'Unione europea perch incapaci di attuare politiche di rigore in grado di difendere la forza delleuro, dimostra che la moneta unica in molti casi solo il pretesto per spaccare il continente. Vi sono ragioni culturali che stanno alla base del conflitto. La forza dell'Europa non pu venire dal fatto che essa si divida in gruppi omogenei a secondo dell'ammontare del
PIL

nazionale, ma dalla capacit di fondere queste diverse realt tenuto

conto che le responsabilit della crisi non sono soltanto dei Paesi del Sud fiscalmente irresponsabili, ma sono anche dei Paesi del Nord che a suo tempo hanno aggirato le regole comunitarie rompendo nel 2003 il patto di stabilit e crescita. Si trattato di scelte politiche che gli altri Stati europei sono stati costretti a subire. L'attuale crisi figlia anche di questi strappi. Adesso alcuni studiosi e osservatori politici, per giustificare la irreversibile rottura dell'Europa cos come , si sono spinti persino a spiegare che le differenze tra i Paesi europei sono quasi disegnate dallo spartiacque tra protestantesimo e cattolicesimo; si tratta dello stesso criterio usato da HUNTNIGTON che individuava nella religione il fattore chiave che avrebbe creato nuovi conflitti di civilt su scala mondiale. Secondo questo punto di vista, le crisi di questi Paesi derivano dal fatto che il Sud rimasto alieno alletica protestante del lavoro nel senso weberiano del termine1. Insomma, siamo di fronte a una sorta di ellenizzazione del discorso economico (KRUGMAN), quasi che il rispetto delle regole fissate a Maastricht sia in grado di prevenire qualunque crisi economica, ovunque essa si produca e qualunque frattura essa determini. Ad
1

Per una efficace critica queste di queste teorie, si veda KUNDNAMI, Scontro di civilt in Europa, in Limes, 2012, 3, pp. 9 - 16.

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aver prodotto la crisi, per, non solo il peso di unEuropa meridionale che ha infranto le regole di Maastricht (gi fatte a pezzi da francesi e tedeschi), ma stato il rifiuto dei Paesi del Nord ad accettare fino in fondo lo spirito dell'Unione europea e la scelta di curare lo stato di salute dell'Europa monetaria senza perseguire l'obiettivo di realizzare gradualmente l'Europa politica. Sino alla crisi economica di questi anni, che ha rivelato la debolezza dell'euro di fronte ad una speculazione finanziaria organizzata da ambienti che puntano molto sul fallimento dell'Europa politica, le differenze in Europa riuscivano a coesistere e le differenze non erano un problema per il futuro del processo di integrazione. Ma il rimedio a questi problemi non pu venire da analisi affrettate che insistono sulle differenze culturali, bens risolvendo nodi economici che hanno molto a che fare con il completamento del processo di integrazione. Si tratta non solo di adottare meccanismi di aggiustamento della bilancia dei pagamenti, ma di mettere a punto meccanismi di protezione dell'euro che riguardano un ripensamento delle istituzioni comunitarie che non possono che passare attraverso il conseguimento di una diversa identit politica dell'Unione europea. La bagarre scatenata dalle misure imposte dall'Europa agli Stati membri per proteggere l'euro, non ha nulla a che vedere con un conflitto di civilt del tipo di quello teorizzato da HUNTINGTON all'indomani della fine della guerra fredda. C' un'Europa che guarda allo stato di salute della finanza e che si vuole dissociare dai Paesi che si dibattono nelle difficolt dell'economia reale per uscire dalla crisi. C' insomma nel continente un duro conflitto tra chi si preoccupa della protezione dei mercati e che si batte per la difesa dei diritti. Ebbene, l'Europa si limita a prendere atto delle tensioni esistenti senza avere una strategia per venire a capo di essi. E un'Europa, quella attuale, che arretra di fronte alle grandi sfide che una crisi economica cos difficile e prolungata impone e che non pare in grado di mettere in discussione il proprio modello di sviluppo. unEuropa spaventata, nella quale si moltiplicano sempre pi numerose le ossessioni securitarie. Essa non riesce a affrontare la crisi ripensando il rapporto tra i Paesi del Nord e centro Europa ed i Paesi del Sud, cos come non riesce a far sentire la propria voce di fronte ai preoccupanti segnali che emergono da

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alcuni Paesi in cui il rifiuto ad accettare i vincoli della democrazia comporta rischi di involuzioni autoritarie. L'Europa prende atto per esempio delle riforme costituzionali che stanno stravolgendo il tessuto democratico di Paesi come l'Ungheria e Romania che, pur a suo tempo avendo accettato le regole del confronto democratico, adesso stracciano disinvoltamente gli impegni sottoscritti. Anche di fronte a questi problemi l'Europa, per paura, costretta a fare di necessit virt dimostrando di non essere, in tempi di crisi, la casa della democrazia e dei diritti. Ben altra reazione si avuta negli anni scorsi di fronte alle provocazioni di HAIDER, governatore della Carinzia. Insomma, si parla di unit politica dellEuropa, ma concretamente ogni giorno si possono misurare gli arretramenti che si compiono sul piano della cultura dei diritti e della pratica democratica. Ma l'Europa dimostra tutta la propria debolezza, tutta la propria impotenza anche in politica estera. L'Europa vent'anni fa, all'indomani della caduta del muro, inseguiva il sogno di diventare attore globale, forte della conseguita unit tedesca e dell'allargamento dei suoi confini verso i paesi dell'Europa dell'est. Si candidava ad essere il laboratorio di un modello di governance parziale della globalizzazione, in quanto macroregione in grado di fare coesistere diverse identit nazionali allinterno di una organizzazione di Stati che tendeva a divenire un vero e proprio Stato federale. LEuropa di ventanni fa, forte delle sue tradizioni di patria dei diritti, riteneva di potere contaminare con la sua cultura costituzionale Paesi usciti da dittature durissime e prolungate, riuscendo a conciliare libero mercato e tutela del lavoro, massima occupazione e diritti dellambiente, stabilit politica e diritti della partecipazione democratica. Attraverso la Commissione di Venezia ha assistito i Paesi dellest che passavano dalla dittatura alla democrazia senza assumere un piglio imperialista e senza pretendere forme di assoggettamento politico dei nuovi regimi. E stato un momento magico questo per lEuropa. Ogni traguardo sembrava a portata di mano. Il grande contributo che essa dava ai Paesi dellest che venivano a ricongiungersi allEuropa, non pareva peraltro doverla distogliere dai doveri storici a cui riteneva di dovere

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adempiere verso i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, soprattutto da quando essa si era allargata verso Sud con lingresso prima di Spagna e Portogallo e poi della Grecia, di Malta e di Cipro. Gli accordi di associazione con Paesi come la Tunisia e poi lavvio del processo di europartenariato con la Conferenza di Barcellona (1995) sembravano peraltro gli atti concreti di una politica mediterranea che assumeva i Paesi della sponda Sud come interlocutori necessari (soprattutto in ragione dei forti storici legami da essi stabiliti con lEuropa) e non dei normali partner da coinvolgere in un politica di vicinato che tendeva a coinvolgere Paesi dellest non candidati ad entrare nellUnione europea. In questo senso lavvio della istruttoria per lammissione della Turchia nella indirizzato allintero mondo musulmano. Lattacco alle Due torri, la passiva condivisione delle politiche di Bush jr nelle guerre per la democrazia, che dovevano rimanere atti di solidariet verso popolazioni oppresse e non guerre imperiali e infine la crisi economica hanno visto il prevalere dellEuropa della paura sullEuropa del coraggio e della grande progettualit. LEuropa, sentendosi aggredita nelle sue certezze, si mossa rispondendo ad impulsi emotivi: la certezza di un benessere prodotto da un capitalismo in grado di garantire processi di accumulazione inesauribili, la certezza di una identit culturale in grado di assorbire le identit diverse delle comunit di immigrati che sceglievano di vivere nei suoi territori e che adesso, al contrario, vengono vissute come una minaccia, la certezza di potere usare i territori della sponda Sud come luoghi di sfruttamento di materie prime acquisite a condizioni tali da consentire ai cittadini europei di vivere al di sopra delle proprie possibilit. LEuropa ha avuto paura di tante incertezze, di un destino oscuro, di tanti nemici minacciosi che congiuravano contro la sua sicurezza dentro i propri confini e fuori di essi e, come sempre le capitato di fare nei momenti di difficolt, si chiusa al mondo esterno e al mondo delle diversit che accoglie nel proprio seno, divenendo cos culturalmente pi povera, mortificando le proprie tradizioni di libert e facendo prevalere le tendenze razziste provenienti da una destra politica che alimenta a fini elettoralistici l'allarme sociale prodotto dalla societ multietnica.
UE

costituiva un atto dal forte valore simbolico

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La storia europea del secondo millennio insegna che proprio nei momenti di chiusura l'Europa ha registrato una preoccupante decadenza creando le condizioni per l'emergere del nazionalismo guerrafondaio e di una condizione di isolamento internazionale. I tempi di splendore della civilt europea sono invece legati alle aperture che si sono avute nel continente nei confronti delle altre civilt e che hanno consentito l'emergere di societ pluraliste, la coesistenza pacifica di diverse religioni, in grado di garantire il progresso culturale e lo sviluppo economico. paradossale che l'Europa disconosca le tradizioni dello Stato sociale nato nel continente proprio nel momento in cui gli Stati Uniti del presidente Obama rifiutano i miti di un neoliberismo egoista e si preoccupano di iniziare a dare protezione a chi non ha mai potuto sperimentare il senso di sicurezza che solo uno stato compassionevole pu dare. Nella campagna elettorale che l'ha visto opposto al liberista Romney, Obama ha spiegato che i diritti sociali sono diritti fondamentali perch consentono all'individuo di realizzarsi non solo nella sua relazione con gli altri esseri umani ma come membro di un gruppo sociale che va salvaguardato nella sua articolazione; che i diritti sociali sono necessario complemento dei diritti civili e delle libert dal momento che nessuno pu fruire di essi senza un minimo di sicurezza sociale. Non c' una vera libert se si assume lo Stato come un antagonista che si estranea dalla condizione umana, ma solo potendo contare sull'aiuto dello Stato. Se l'austerit finanziaria dovesse essere fine a se stessa e non finalizzata alla crescita economica nel contesto delle sistema europeo, il rischio che via via si rompano non soltanto i paesi che dalle agenzie di rating vengono giudicati come paesi deboli e inaffidabili ma anche i paesi che hanno un rating da tripla AAA. E a poco vale, sul piano internazionale, il rafforzamento della fiducia nell'euro se all'interno degli Stati europei prevale il disordine sociale che inevitabilmente porta alla instabilit politica. Uno Stato sociale vitale essenziale per la crescita che non pu venire soltanto dal rigore finanziario. La vitalit dello Stato sociale che deve essere patrimonio comune di tutti i paesi europei costituisce un elemento, non secondario, di impulso dello stesso processo di integrazione. Compito dell'Europa non quindi quello di deprimere gli sforzi che gli Stati fanno per conseguire questi risultati,

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imponendo tagli regionali ragioneristici alla spesa sociale, ma di fornire adeguati sostegni a quanto gli Stati gi fanno per garantire le politiche della solidariet. LEuropa nei decenni scorsi si candidava al ruolo di attore globale, in grado di influire sulle decisioni da cui dipendevano la pace e l'ordine sociale del pianeta, e soprattutto a fare ci in primo luogo nella regione mediterranea .Oggi invece l'Europa nel Mediterraneo conta poco pur in presenza di eventi che potrebbero avere conseguenze straordinarie sul futuro della regione e del continente africano. Le rivolte per la libert verificatisi nei paesi della sponda sud via via paiono ignorate, sminuite nel loro significato da uno scetticismo che porta a guardare quel mondo utilizzando stereotipi che avevano ragion dessere ai tempi dei dittatori amici dellOccidente. Nel momento in cui sembra prevalere nei paesi delle rivolte una sincera voglia di libert e di apertura verso l'Occidente pi vicino, l'Europa si chiude, non erige ponti che possono favorire il dialogo ma cortine per blindare le frontiere all'emigrazione illegale e di quella legale. Il ricatto della destra populista ha buon gioco nell'imporre una politica ostile al confronto tra le culture e al riconoscimento della identit. Non si parla pi di un'alternativa mediterranea possibile al modello di sviluppo euroatlantico. LEuropa politica non in vista, mentre si realizza un'Europa preoccupata di garantire l'ordine pubblico alle proprie frontiere, di limitare la libert degli immigrati che sono diventati frattanto cittadini europei. La societ europea ha paura di uno sviluppo dei paesi della sponda sud del Mediterraneo perch questo sviluppo ci potrebbe rendere pi poveri. Di fronte a questi fenomeni abbiamo bisogno di una paziente opera di ripoliticizzazione della societ europea; da ci dipende il futuro dellEuropa. Ma se lEuropa soltanto una potenza che da il meglio di se nella difesa di una moneta, molto difficile che essa possa divenire pi sicura nellesercizio del proprio ruolo planetario, e soprattutto che i diritti dei propri cittadini possano essere difesi, in forme tali da farli sentire davvero cittadini europei.

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