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Elido Fazi

La terza guerra mondiale?


Chi comanda, Obama o Wall Street? Libro secondo

I edizione: marzo 2012 2012 Fazi Editore srl Via Isonzo 42, Roma Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-6411-591-7 www.fazieditore.it

1. La storia di Obama vista da Roma La nostra mente umana, troppo umana, non in grado di comprendere la realt per via diretta. Riesce a farlo solo per via indiretta, attraverso le notizie e le informazioni che ci arrivano. Perdipi, la nostra capacit di decifrare limitata, mentre la quantit di informazioni che dovremmo elaborare pressoch infinita. La mente costretta a interpretare le notizie attraverso gli unici strumenti di cui disponiamo: paragoni, metafore, associazioni del pensiero. Siamo guidati non solo dalla ragione, ma anche dall'istinto; perch ragione ed emozione, come ha scoperto Antonio Damasio, vanno l'una a braccetto dell'altra. Con questa premessa, provo ora a raccontare la storia della presidenza di Barack Obama, fingendo di rivolgermi direttamente a lui. Caro Obama, potr sembrarti strano che un italiano voglia raccontare la tua storia da presidente. Mi scuso per il tu, ma ho imparato a usarlo nelle aziende americane in cui ho lavorato, come Ford e Business International, aziende che tu conosci bene (in quest'ultima hai addirittura cominciato a lavorare subito dopo la laurea in Scienze Politiche). La seconda settimana di febbraio hai incontrato il nostro presidente del Consiglio, Mario Monti. Non so, al di l dei discorsi ufficiali, di cosa avete discusso, ma so che Monti di finanza se ne intende, avendo lavorato dal 2005 al 2011 come international advisor alla Goldman Sachs, proprio negli anni del crollo di Wall Street. Non so nemmeno di cosa abbiano parlato, lo stesso giorno, il viceministro dell'Economia Vittorio Grilli e Lloyd Blankfein, amministratore delegato della Goldman Sachs. Time Magazine ha dedicato la copertina della sua edizione europea, letta da poche migliaia di persone, a un minaccioso Mario Monti, colui per il quale, come ben dice la prestigiosa rivista, il processo democratico

stato sospeso per consentire a un tecnocrate non eletto di perseguire politiche impossibili da varare per gli eletti dal popolo. Nel suo ultimo libro (Uscita di sicurezza, Rizzoli, 2012) Giulio Tremonti, ex ministro dell'Economia e delle Finanze nel governo Berlusconi, scrive che quando il crepitare degli spread fa vacillare la fiducia in noi stessi e lo spirito dell'Unione Europea, [...] quando per conservare i suoi interessi la finanza arriva all'ultimo stadio, mettendosi a governare in presa diretta facendo uso di tecnici che, loro s, sono del tutto diversi dal popolo, [...] quando evidente che questo processo, essendo basato sulle stesse meccaniche che hanno causato la crisi, non la interrompe, ma all'opposto la prolunga e l'aggrava, [...] allora chiaro il rischio che emergano qua e l, e a partire proprio dalla civilissima Europa, i primi segni di un tipo nuovo di fascismo: il fascismo finanziario. Non so bene perch, ma le sinapsi del mio cervello mi hanno fatto associare la copertina di Time Magazine al pensiero di Tremonti. Spero almeno che abbiate parlato esclusivamente di finanza, e non magari di armi. Ma se avete affrontato anche quest'ultimo argomento, ti dico brevemente cosa pensano molti cittadini italiani, che sul tema, a destra come a sinistra, ritengo siano molto uniti. L'acquisto degli oltre cento cacciabombardieri f35, che coster all'Italia 15 miliardi di euro, per aderire a un programma militare che sembra essere il pi costoso della storia (ma di cui praticamente non sappiamo nulla), ci lascia stupefatti. Ogni velivolo coster 120 milioni di euro e, come ha ben detto un luminare dell'oncologia, l'italiano Umberto Veronesi, con il prezzo di ogni caccia potremmo costruire 185 asili o scuole. Ti posso garantire, vivendo in questo paese spero ancora un paese democratico che noi abbiamo pi bisogno di scuole che di bombardieri. Cosa dobbiamo farci noi con i caccia? Monti propone sacrifici ai pensionati per comprare, con i soldi cos risparmiati, aerei da guerra? Non ti sembra una cosa assurda? Tra l'altro, a rendere ingiustificabile una spesa del genere nel nostro paese non sono soltanto le ragioni della morale e del buon senso, ma anche

la nostra Costituzione, la quale all'articolo 11 dichiara che l'Italia ripudia la guerra, se non come strumento di difesa. Gli italiani sono un popolo pacifico. Il nostro pensiero sulla guerra che essa rappresenti una delle peggiori barbarie che ancora funestano il mondo. E non aspettiamo altro che venga presto dimenticata come una pessima abitudine del passato, pi esecrabile della schiavit o di ogni altra maledizione caduta sulla testa dell'umanit. Tu hai ricevuto il premio Nobel per la pace e queste cose, sono sicuro, le condividerai, sia razionalmente che con il cuore. Poi, senz'altro, avrete parlato di Wall Street, visto che il nostro presidente conosce molto bene la Goldman Sachs, la banca che sembra governare gli Stati Uniti. Sotto Bush ii, uno che dormiva in piedi, lo ha fatto di sicuro. Al Tesoro, all'epoca, c'era Henry Paulson (gi presidente e amministratore delegato della Goldman Sachs). Al vertice della Banca Mondiale nel 2007 era stato messo Robert Zoellnich, gi managing director della Goldman Sachs; e il responsabile legale della premiata ditta, Josh Bolten, era stato addirittura scelto da Bush ii come suo capo di gabinetto. Anche l'Italia ha dato una mano in questo senso. Mario Draghi, gi direttore generale del Tesoro e presidente del Comitato per le Privatizzazioni negli anni Novanta, dal 2002 al 2005 stato vicepresidente per l'Europa della Goldman Sachs, prima di essere nominato governatore della Banca d'Italia e poi della Banca Centrale Europea. Nell'ultimo governo Prodi c'era un solo esponente della premiata ditta: Massimo Tononi, nominato sottosegretario al Ministero dell'Economia con delega alle privatizzazioni (il business che tanti soldi ha portato nelle tasche di Claudio Costamagna, referente prima in Italia e poi in Europa della Goldman Sachs, grande amico di Romano Prodi, l'unico italiano a essere citato nel libro The Partnership. The Making of Goldman Sachs di Charles D. Ellis). proprio Ellis che scrive: Romano Prodi divenne consulente per l'Italia e dava suggerimenti del tipo: non fate questo business in questo modo;

fatelo nell'altro. Quando fu chiaro che uno dei modi per ottenere importanti mandati in Italia era pagare abitualmente tangenti, Prodi ne inform Fife, il quale ribad, ovviamente, che un premiato salumificio come la Goldman Sachs non l'avrebbe mai fatto. Eugene Fife era il banchiere inviato alla met degli anni Ottanta a Londra per dare consigli a Margaret Thatcher su come gestire le privatizzazioni. Romano Prodi, al tempo professore di Economia e politica industriale, negli anni Settanta era gi stato ministro per l'Industria del quarto governo Andreotti. Era poi diventato presidente dell'iri, l'Istituto per la Ricostruzione Industriale, di propriet pubblica, tra il 1982 e il 1989. Quando lasci questa carica, accett un'offerta della Goldman Sachs, di cui divenne senior advisor. Nessuno sapeva chi eravamo. Prodi ci ha dato un'immediata credibilit presso un gruppo di persone importanti. [...] Quanto sono importanti le relazioni? In questo mestiere sono tutto: senza, non vai da nessuna parte, ha dichiarato Costamagna alla giornalista del Sole 24 Ore Laura Serafini, autrice di un coraggioso libro (poco letto sinora, ma che io consiglio vivamente) intitolato Italian Bankster. Splendori e miserie dei banchieri d'affari di casa nostra. Tu, caro Obama, forse non sai che anche in Italia, cos come negli usa, stata pi la sinistra che la destra a spalleggiare la Goldman Sachs. Nel 1993 Claudio Costamagna, il volto della banca in Italia, venne ospitato addirittura nella rivista Il Mulino di Bologna, con un articolo intitolato Privatizzazioni: l'obiettivo la public company. Poi, nel 1997, partecip a un congresso organizzato dal Partito Democratico della Sinistra sulle privatizzazioni. Cos la pensava allora Costamagna: Se c' un partito in Italia che fin dal governo Amato ha dato sempre il suo pieno appoggio alle dismissioni, questo il pds. E da quando al governo tutti i mercati, che scommettono sulle attese, ne hanno dato atto. Quando si devono privatizzare grandi societ, soprattutto in settori delicati e monopolistici, l'unico modo realizzare public company, societ

possedute da milioni di azionisti e governate dal management, che ha come scopo non l'aumento del fatturato e dell'occupazione, ma il maggior valore delle societ racchiuso nei corsi azionari (Costamagna: privatizzazioni occasione per la democrazia, Il Sole 24 Ore, 23 febbraio 1997). Pi chiari di cos si muore. Vale la pena ripeterlo: governate dal management, che ha come scopo non l'aumento del fatturato e dell'occupazione, ma il maggior valore delle societ racchiuso nei corsi azionari. In Italia nessuna privatizzazione ha mai portato a una public company. Il controllo sempre stato affidato a mani forti, sia che questo accadesse attraverso i patti di sindacato (accordi tra un cospicuo numero di soci che controllano una percentuale del capitale non superiore al 30 per cento) o attraverso una scalata, come nel caso di Telecom, il nostro ex campione nelle telecomunicazioni, che stata comprata senza spendere una lira. Come possibile comprarsi un'azienda come la Telecom senza metterci una lira? Semplicissimo per i maghi dei premiati salumifici. Un gioco da ragazzi. Si fa un leveraging buyout. Ma di questo parleremo un'altra volta, quando racconteremo tutte le strane cose che sono successe a partire dal 1992 in Italia. Insomma, la Goldman Sachs e le altre banche d'affari intrattenevano rapporti privilegiati a sinistra. Ma avevano amici anche nell'altro schieramento. Nel 2007, quando Berlusconi che sembrava ormai spacciato venne resuscitato in extremis dalla nostra sinistra, Gianni Letta, il suo instancabile braccio destro, fu nominato consulente proprio della gloriosa ditta Goldman Sachs. Ma lasciamo stare l'Italia e torniamo agli Stati Uniti, quelli degli anni Trenta, che, lo avrai letto e visto nei film, non sono stati certo allegri,

neppure a Broadway, come ci racconta un altro giornalista del Sole 24 Ore, Mario Margiocco, nel suo bel libro Il disastro americano (in questo e nel prossimo capitolo citer abbondantemente dal suo testo, un resoconto colto e sorprendente della crisi e dei primi anni della tua presidenza). A Broadway, come dicevo, era difficile riempire le sale: il costo di un biglietto, intorno ai 5-6 dollari, scoraggiava molti. Fra i musical che ressero il cartello, dal novembre 1931 al maggio dell'anno successivo, al glorioso Imperial Theatre 1.400 posti sulla Quarantacinquesima, teatro che ha ospitato negli anni Cole Porter, Irving Berlin, i due Gershwin e tante altre celebrit ci fu The Laugh Parade. Ed Wynn, interprete e produttore, entrava in scena su un presunto cammello e dimenticava il comando per far piegare all'animale le zampe anteriori e smontare. Ne provava parecchi e alla fine indovinava, gridando all'orecchio dell'animale: Goldmansachs!. E il cammello crollava. La platea rideva, ma di un riso amaro. The Laugh Parade era fuori cartellone da circa un anno quando Franklin D. Roosevelt cominci a ricostruire, pezzo dopo pezzo e con ben pochi alleati a Wall Street, la credibilit dei mercati americani. La persona che lo aveva pi aiutato a capire come funzionasse Wall Street era stato un certo Ferdinand Pecora. Di sicuro tu non sarai rimasto sorpreso quando il New York Times titol, a inizio 2010: Dov' oggi un nuovo Pecora?. Possibile che, nel 2009, non fosse facile, nemmeno in America, trovare una persona che avesse il coraggio, la lucidit e la voglia di sbugiardare i potenti banchieri di Wall Street? Proprio come aveva fatto, all'inizio degli anni Trenta, Ferdinand Pecora, l'uomo che consent a Roosevelt, sull'onda dell'indignazione popolare, di varare una nuova legislazione finanziaria. Ricostruendo la vicenda nelle sue memorie, qualche anno dopo, Pecora ricord agli americani che Wall Street era stata duramente ostile al varo delle nuove regole, il Glass-Steagall Act, che avrebbe riformato banche, Borsa e finanza. Poche pagine, 37 per l'esattezza; senz'altro esigue rispetto al DoddFrank Act del luglio 2010, 848 pagine che sembrano, a oggi, essere

state lette oltre che da te, naturalmente, e dalla commissione e dai banchieri che le hanno scritte solo da pochi burocrati del Partito Comunista cinese. E questo solo l'inizio, poich non si tratta di una legge che si rivolge direttamente ai banchieri, come quella di Roosevelt, ma fornisce solo indicazioni di massima ai burocrati dei vari ministeri e delle agenzie che dovranno stendere tutti i regolamenti. I lavori, infatti, sono ancora in corso. Un paradiso per l'industria delle public relations di Washington, i cosiddetti lobbisti. Ma non avevi detto, in campagna elettorale, di volerli combattere? Avrai senz'altro letto quanto scrive questo mese l'Economist, cio che la sola sifma (Securities Industry and Financial Markets Association), un'associazione di imprese della finanza, una delle tante associazioni cum lobbisti che infestano Washington, ha messo al lavoro 5.490 persone, sguinzagliandole in tutte le decine di subcommittees che stanno scrivendo i regolamenti del Dodd-Frank sguinzagliandole in tutte le decine di subcommittees che stanno scrivendo i regolamenti del Dodd-Frank Act. Ripeto: 5.490 persone. Ma torniamo a Ferdinand Pecora. Come gi saprai, era nato in Sicilia, e arrivato negli usa quand'era ancora bambino. La sua storia affascinante. Magistrato a New York, aveva militato fin da giovane nei Repubblicani di Teddy Roosevelt. Come magistrato aveva fatto chiudere un centinaio di buckets shops, agenzie dove si poteva investire in Borsa senza l'acquisto o la vendita di titoli, ma replicando il listino: in pratica, delle vere e proprie scommesse, una sorta di derivato ante litteram. Ingaggiato nel gennaio 1933 come ennesimo pubblico ministero per scrivere il rapporto finale di una commissione d'indagine che si trascinava da un anno, Pecora pot riprendere, grazie all'appoggio di Roosevelt, gli interrogatori, e portare cos alla sbarra i giganti di Wall Street. Scopr, per esempio, che il potente Albert Wiggin della Chase National Bank, che sosteneva di avere compiuto sforzi eroici per salvare il mercato nel '29, in quei giorni invece vendeva al ribasso; oppure che uno dei banchieri pi ricchi del mondo, John P. Morgan jr, nel 1931 e nel 1932 non aveva pagato un dollaro di tasse. Pecora port alla luce molto altro ancora e divenne un eroe popolare. La commissione in cui lavor da allora porta il suo nome, e non quello di altri

senatori e magistrati che ne facevano parte. Il settimanale Time, lo stesso che aveva coniato la parola banksters, prima che Ulrick Beck la rimettesse in circolazione qualche anno fa, gli dedic la copertina nel giugno 1933 (edizione americana stavolta, non europea). A quanto sembra, all'inizio dell'indagine i banchieri di Wall Street accettarono di comparire davanti alla commissione e collaborare, ma a mano a mano poi che gli affari si riprendevano, e crescevano, in modo sempre pi aperto e duro Wall Street si opponeva a ogni serio programma di riforma, scriver ancora Pecora. Se fossi stato al posto di Mario Monti, ti avrei raccontato come un italiano, un tuo fan, ha seguito e vissuto la tua storia, gli entusiasmi che hai acceso e le delusioni che ne sono seguite. Ti avrei parlato di ci che mi piaciuto di te, e di ci che mi ha deluso. Cominciamo con le note positive, attingendo ancora una volta al resoconto di Mario Margiocco. Il 22 settembre 2008, una settimana dopo il crollo di Lehman Brothers, a Green Bay, nel Wisconsin, hai pronunciato un bel discorso: L'era di avidit e irresponsabilit di Wall Street e di Washington ci ha portati a un passaggio insidioso. Dicevano che volevano un mercato libero, e invece hanno creato un mercato selvaggio e cos facendo hanno calpestato i nostri valori pi profondi di giustizia, equilibrio e reciproca responsabilit. Ci troviamo quindi ad affrontare una crisi finanziaria cos profonda come non ne avevamo dalla Grande Depressione. Di conseguenza i vostri posti di lavoro, i vostri risparmi e la vostra sicurezza economica sono a rischio [...]. E mentre ci diamo da fare, Washington deve riconoscere che una vera ripresa economica richiede che venga fronteggiata non solo la crisi di Wall Street, ma anche quella di Main Street che molti di voi hanno dovuto affrontare ben prima delle notizie della settimana scorsa[...]. Ma quali che siano le soluzioni su cui converremo questa settimana, assolutamente imperativoche venga avviata immediatamente la riforma delle politiche fallimentari e del fallimentare metodo digoverno che hanno consentito, per prima cosa, che vi fosse questa crisi. Non siamo arrivati a

questopunto per un accidente della storia. Siamo in questo guaio a causa di una filosofia fallimentare che dice che dovremmo dare sempre di pi a quelli che pi hanno, nella speranza che la prosperit arrivicos al resto di noi. Siamo a questo punto perch per troppo tempo le porte di Washington sono statespalancate a un esercito di lobbisti e di interessi particolari che hanno trasformato il nostro governo inun gioco che solo loro sanno giocare, che hanno stracciato la protezione dei consumatori, combattutocontro regole di buon senso e regole di percorso, e fatto s che la nostra economia lavori per loroinvece che per voi. Bello. Come si poteva non essere d'accordo con te? Dicevi di ispirarti al modello di Franklin D. Roosevelt. Una crisi finanziaria di proporzioni eccezionali stava creando un ponte fra voi due, anche se per te non era possibile, come lo fu per lui, attribuire la responsabilit politica della crisi finanziaria del 2008 ai soli Repubblicani: da Ronald Reagan a Bush ii, uomini che credevano solo nella deregulation e nel laissez-faire. Se uno si chiede chi fra gli ultimi presidenti ha avuto maggiori responsabilit nel disastro finanziario, certamente Bill Clinton rientra nella scelta. Se Reagan stato il primo grande ispiratore della deregulation, Clinton sicuramente stato, prima di Bush II, il mezzano delle nozze fra Wall Street e il Partito Democratico. In campo finanziario, Bush ii sembrava solo un capitano di nave distratto in plancia. Clinton colui che, con gran frastuono di fanfare mediatiche e tromboni, ci ha regalato il Gramm-Leach-Bliley Act, noto in gergo come glb, o meglio ancora come Financial Services Modernization Act. Entrato in vigore nel mese di novembre del 1999, ha annullato quasi tutte le normative di controllo sulle banche previste dal Glass-Steagall Act del 1933, eliminando le barriere tra banking companies, securities companies e insurance companies, che erano state la base della riforma di Roosevelt. Il senatore Democratico Christopher Dodd, uno dei due firmatari della tua legge di riforma di Wall Street, nel 1999 omaggi cos il glb: Saluto questo giorno come un giorno di successo e di trionfo. Dieci anni pi tardi, una volta diventato presidente della commissione bancaria del Senato, lo stesso Dodd stato uno dei protagonisti della ricerca di nuove regole per Wall Street. Uno dei tanti, nella Washington di fine decennio degli anni Duemila, chiamati a risanare problemi che loro

stessi avevano provocato. Change stata la parola d'ordine della tua campagna elettorale. Ma di change se ne visto poco, finora. Se il cambiamento, quindi, stato discutibile, resta pur sempre l'hope, l'altra parola che ha dominato la campagna elettorale del 2008, quella scritta in blu e rosso sotto il tuo ritratto, opera del designer e street artist Shepard Fairey. L'opera in questione esposta dal 17 gennaio 2009 alla National Portrait Gallery di Washington. Presentata come simbolo della storica campagna, che ti ha reso presidente degli Stati Uniti, stata donata al museo da Heather e Tony Podesta, rispettivamente cognata e fratello di John Podesta, uno dei maggiori lobbisti di Washington. C' qualcosa di singolarmente deprimente nel fatto che la versione del poster Hope di Barack Obama esposta alla National Portrait Gallery prima appartenesse a una coppia di lobbisti, ha scritto Thomas Frank, ex giornalista pentito del Wall Street Journal e autore nel 2004 di What's the Matter with Kansas? (lo stesso Frank ha appena pubblicato un nuovo libro, Pity the Billionaire, .Piet per i miliardari', la storia di come i conservatori, nonostante tutto quello che successo nel 2008, siano riusciti a sfondare nel 2010 addirittura in Stati da sempre a maggioranza Democratica). Ma torniamo al novembre del 2008 e alla tua campagna elettorale. Marted 4, all'hotel Grant Park di Chicago, c'era stato un memorabile ricevimento: tutta la citt ti aveva celebrato come il suo campione. La comunit nera e tutte le minoranze testimone il volto rigato di lacrime del vecchio leader Jesse Jackson , e con loro l'America progressista e quella stanca e impaurita dalla terrificante crisi finanziaria, avevano pianto di commozione di fronte al primo presidente afroamericano nella storia degli usa. Tutto il paese e il mondo intero avevano salutato una nuova era. Persino Gore Vidal, quando lo chiamai al telefono, era commosso.

Venerd 7, all'Hilton di Chicago, di fronte a una platea estasiata di giornalisti americani e stranieri, avevi presentato la squadra di economisti per mettere a fuoco le idee necessarie a combattere la pi grave crisi finanziaria che gli Stati Uniti e il mondo intero potessero ricordare, una crisi peggiore di quella del 1929. L'atmosfera era ancora quella elettrizzante di tre giorni prima. Wall Street era stata travolta dalle proprie follie e salvata da Washington con i soldi dei contribuenti. Tu, che senza la crisi forse non avresti vinto, eri stato catapultato alla presidenza, a forza di gridare Change! Change! Change!. Avevi ragione, occorreva cambiare, e profondamente. Anche noi italiani abbiamo esultato: finalmente una faccia nuova. Uno che vuole dare una svolta. Ma ben note erano le facce degli economisti schierati al tuo fianco. Quel 7 novembre, infatti, rimanemmo perplessi nel vedere la sfilata di economisti che via via sisistemavano sotto una batteria di bandiere a stelle e strisce. Il Transition Economic Advisory Board era, naturalmente, niente pi che una foto di gruppo e un'occasione mediatica. Per, a me come a tante altre persone, sembrava davvero bizzarro ritrovare insieme sullo stesso palco Robert Rubin e Robert Reich, Larry Summers e Paul Volcker. I primi due erano stati ministri di Bill Clinton, Rubin al Tesoro e Reich al lavoro. Nei primi anni Novanta erano stati protagonisti di epici scontri (la guerra dei due Bob, l'aveva definita la stampa di allora): ultraliberista Rubin, liberal di sinistra Reich. Rubin lo conoscevo soltanto per le sue teorie, la Rubinomics, un bollito misto composto principalmente di free trade e deregulation finanziaria. Reich lo conoscevo personalmente. Robert Rubin stava alla crisi finanziaria del 2008 come Robert McNamara alla guerra del Vietnam, scrive ancora Margiocco. Due figure tragiche. McNamara era un supermanager del settore auto affascinato dalle statistiche, tutto grafici e regolo calcolatore, intento come ministro della Difesa a fornire le ultime cifre sulla contenibilit dei costi, sull'efficacia dei bombardamenti e sul body count, il numero dei nemici uccisi. Rubin era un top trader di Wall Street, ispiratore della politica economica deiDemocratici da Mondale a Dukakis, da Clinton a Kerry. Anche Rubin, come McNamara, era affascinatoda quella branca della statistica che si chiama Calcolo delle Probabilit, applicata ai prodotti

finanziari. Rubin era entrato alla Goldman Sachs nel 1966, a ventotto anni, e l'aveva lasciata nel 1992, chiamato da Clinton a Washington. Quando vi arriv, la banca d'affari aveva 650 dipendenti; ne contava pi di 7.000 quando se ne and, e oltre 30.000 nel 2008. Quando era copresidente della Goldman Sachs le sue retribuzioni erano gi ottime, ma non al livello dei 126 milioni ricevuti fra il 1999 e il 2008 da Citigroup, un'altra banca alla quale aveva dato una mano quando ricopriva la carica di ministro del Tesoro. Mi scuso con te, ma devo ripetere ai miei lettori italiani una cosa che ti sar gi nota. Nel 2008, un anno prima del famigerato glb Act di Clinton, una banca commerciale, la Citicorp, si era fusa con una societ di assicurazioni, la Travelers Group, formando appunto Citigroup, una corporation che combinava attivit bancarie, assicurative e di commercio di securities. Non essendo tutto questo legale, a causa della vecchia ma ancora in vigore legge di Roosevelt, il Glass-Steagall Act, la Federal Reserve di New York aveva concesso un'autorizzazione temporanea. Wall Street voleva la deregulation e Rubin aveva fatto di tutto per fornirgliela. Aveva rifilato ai Democratici un tempo il partito di chi detestava Wall Street una polpetta avvelenata, il cuore stesso del pensiero di Wall Street: le idee della Goldman Sachs. E quest'ultima aveva portato Rubin prima ai vertici della finanza, poi della politica e dell'establishment americano. Quali erano le idee della Goldman Sachs? I nostri profitti sono la chiave del nostro successo. Accrescono il nostro capitale, attraggono e consentono di fidelizzare le nostre persone migliori. La profittabilit cruciale per il nostro futuro, recita il nono dei 14 principi ispiratori della strategia della banca, elaborati negli anni Settanta da uno dei suoi top manager, John Whitehead. Criticato dai giornali nel 1999, subito dopo l'approvazione della legge che modernizzava Wall Street (a chi poteva venire in mente di mettere in discussione una legge ritenuta la pi moderna del mondo, come naturale

negli Stati Uniti?), quando da ministro del Tesoro era passato direttamente a Citigroup, Rubin aveva candidamente dichiarato: Non vedo come e perch non avrei dovuto fare quello che desideravo fare e perch avrei dovuto diventare una sorta di monaco per il solo fatto di essere stato un ministro della Cosa Pubblica. Persino Berlusconi sarebbe stato pi cauto, in materia di conflitto di interessi. A gennaio 2009 Rubin lascia Citigroup. Nella lettera di commiato scrive: Il mio grande rimpianto stato quello di non aver riconosciuto per tempo, io come del resto tanti altri veterani di questo settore, i sintomi della grave crisi che ha colpito il sistema finanziario. Ancora nel gennaio 2010, il New York Times, parlando soprattutto dei suoi anni a Citigroup, ricordava che Rubin non si mai scusato, per non parlare delle responsabilit che non ha mai accettato. Uno di cui fidarsi, un tipo coerente, Robert Rubin! Il secondo, Robert Reich, lo conoscevo anche personalmente, avendo pubblicato negli ultimi dieci anni i suoi libri. Mi era particolarmente noto un suo testo del 1991, The Work of Nations: Preparing Ourselves for 21st Century Capitalism, pubblicato in Italia dal Sole 24 Ore. Quando per un periodo fui consulente della Regione Umbria per l'attrazione di investimenti in un'area industriale in declino tra Terni e le cascate di Narni, ne feci una fotocopia e la portai all'assessore all'industria, che naturalmente in quella regione, da sempre governata dalla sinistra, era di sinistra. Una sera del 2004, dopo la presentazione a piazza Venezia del suo ultimo libro, Perch i Liberal vinceranno ancora, nel bel mezzo dell'era Bush ii, portai Reich da Nino a via Borgognona, uno dei ristoranti preferiti di Gore Vidal. Quando si era dimesso da ministro del Lavoro aveva ufficialmente addotto la scusa che preferiva occuparsi della famiglia e dei figli, piuttosto che stare a litigare con Rubin a Washington. Mi sembrava naturale cheavesse portato con s a Roma suo figlio, che aveva allora diciotto anni. E mentre Jamie, il mio secondogenito, parlava con lui di tendenze musicali a New York, io e Bob discutemmo a lungo di economia, di come lui vedeva la situazione sotto Bush ii e delle politiche seguite nel decennio precedente

dal suo presidente, Bill Clinton. Per onest, devo dire che anche lui allora sottovalutava i danni che Wall Street avrebbe potuto fare. Sarebbe dovuto venire di nuovo in Italia a met 2008, al Festival dell'Economia di Trento. Non lo fece, perch non voleva spendere neanche un secondo del suotempo se non per far vincere Obama. Ecco, insomma, perch mi sembrava che qualcosa non andasse. Che ci facevano Rubin e Reich sullo stesso palco? Perch Larry Summers, ferreo paladino della deregulation clintoniana, sorrideva accanto all'anziano gigante dell'economia Paul Volcker, profondamente contrario a quello che lui aveva fatto sotto l'amministrazione Clinton? Lo aveva dichiarato Volcker stesso nell'aprile 2008: Detto semplicemente, il brillante nuovo sistema finanziario con tutti i talenti che lo hanno formato, con tutti i suoi ricchi premi ha fallito la prova del mercato. Per essersi opposto a una deregulation che gi a met degli anni Ottanta gli sembrava avventata e troppo dettata da Wall Street, Volcker era stato prepensionato da Reagan e dai suoi. Interessato a un terzo mandato che, dato il buon lavoro svolto, sembrava scontato, aveva invece dovuto lasciare nel giugno 1987 una fed autorevole ad Alan Greenspan. Wall Street si era mobilitata in forze per cacciarlo. Anche Summers era stato ministro del Tesoro nel governo di Clinton, succedendo a Rubin, che aveva accettato la montagna di soldi da Citigroup. Come Rubin, era stato uno dei campioni assoluti della cosiddetta nuova finanza di Wall Street. Con Alan Greenspan, ovviamente assente all'Hilton di Chicago poich Repubblicano, avevano costituito la triade iperliberista degli anni Novanta. I tre erano stati immortalati come campioni e salvatori del mondo in una memorabile copertina di Time nel 1999. Una stagione che, come anche tu sai, finita male. Insomma, schierato al tuo fianco, quel 7 novembre 2008, c'era tutto e il contrario di tutto. Dicevi di voler ascoltare pareri diversi da un team of rivals. Capisco che in campagna elettorale ogni apporto ti fosse utile, ma

ora si trattava di scegliere. Tre settimane dopo, il 24 novembre, capimmo tutti, costernati, la natura della tua scelta. L'ex ministro di Clinton, Summers, che ambiva addirittura a un ritorno al Ministero del Tesoro, fu da te nominato primo stratega economico della Casa Bianca, in quanto direttore del National Economic Council. Rubin portava cos a termine il suo capolavoro: dettare la linea del tuo governo dopo aver tanto lavorato per l'ascesa di un terzo governo Clinton, quello di Hillary, proprio mentre il suo mondo, quello della deregulation, che tanti guadagni gli aveva procurato, stava franando miseramente. Bob Rubin aveva fatto in tempo a piazzare attorno a te, caro Obama, una squadra di amici di Wall Street. E a comparire in pubblico sul palco dell'Hilton di Chicago per l'ultima volta, speriamo, a fianco di un presidente. Nominavi ministro del Tesoro Timothy Geithner, protg di Summers e Rubin. Come capo della fed di New York, la pi importante nel sistema di banche federali che formano l'istituto di emissione, aveva avuto il ruolo di regolatore del primo mercato americano e di quello mondiale. Con i risultati che tutti conosciamo. Rubin era ufficialmente scomparso, poche ore prima della nomina di Summers. Il 23 novembre, a tarda sera, i contribuenti americani avevano dovuto mettere oltre 300 miliardi di dollari, da loro regolarmente pagati in tasse, a disposizione di Citigroup, la grande banca dove Rubin aveva a lungo lavorato e della quale era ancora l'eminenza grigia. Il doppio di quello che sarebbe stato necessario per salvare la quale era ancora l'eminenza grigia. Il doppio di quello che sarebbe stato necessario per salvare la Grecia. A Paul Volcker avevi riservato solamente un ruolo consultivo part-time. Uno dei pochi grandi uomini di finanza genuinamente Democratici, dal prestigio indiscusso, era stato cos emarginato ben pi di quanto i suoi ottantuno anni potessero giustificare, escluso da Summers da ogni rapporto

organico con lo staff economico. Reich, dopo la campagna, tornava a insegnare a Berkeley, in California. Ma perch, caro Obama, hai affidato un'opera titanica come la riforma di Wall Street a persone ampiamente coinvolte nelle scelte che avevano provocato la crisi finanziaria peggiore della storia americana? Come mai non hai capito subito che alla ricostruzione di regole finanziarie credibili era legato il prestigio degli Stati Uniti nel mondo? Come hai potuto non notare, a novembre del 2008, una brutale dichiarazione del ministro delle Finanze indiano Pranab Mukherjee, che ricordava a tutti quale fosse l'opinione sulle conseguenze della crisi fuori dall'Europa e dal Nordamerica? Il sistema europeo crollato, e il sistema americano crollato: Mukherjee parlava cos al momento dell'acquisto da parte dell'India di 200 tonnellate d'oro messe in vendita dal Fondo Monetario, e indicava come, mentre il suo paese aveva forti disponibilit di cassa, Stati Uniti ed Europa fossero costretti a indebitarsi, pi di quanto gi non fossero, per salvare il sistema finanziario e gestire debiti pubblici onerosissimi. L'invito alla Cina a sottoscrivere il debito pubblico americano, ripetuto a met del 2009 dal ministro del Tesoro Timothy Geithner davanti agli studenti dell'universit di Pechino, era stato accolto da una risata della platea studentesca, divertita dall'affermazione che gli investimenti in dollari fossero solidi e garantiti. Persino uno come Roger C. Altman, numero due al Tesoro sotto Clinton nel 1993-94 e uno deiprotagonisti dell'alta finanza americana, aveva dichiarato a inizio del 2009: Il crac finanziario ed economico del 2008, il peggiore in oltre settantacinque anni, un duro colpo geopolitico di prima grandezza per gli Stati Uniti e per l'Europa. Per il medio periodo, Washington e i governi europei non avranno n le risorse n la credibilit economica per svolgere quel ruolo internazionale che altrimenti sarebbe stato il loro. Queste debolezze verranno eventualmente superate, ma nel frattempo la crisi accelerer tendenze che stanno spostando il centro globale digravit e lo stanno allontanando dagli Stati Uniti. La scelta di Summers e Geithner fu seguita con attenzione anche in Italia. Il Sole 24 Ore, il nostro Financial Times, pubblic un fondo in

prima pagina in cui si diceva: Il presidente ha preferito, ovviamente, persone di esperienza. Purtroppo, alcuni ne hanno cos tanta da avere lasciato sul campo un poco di credibilit. Ora, se avevano ragione tutti i democratici del mondo, che vedevano nella deregulation eccessiva degli anni di Clinton una delle cause principali della crisi del 2008, non era quantomeno singolare che tu avessi richiamato i teorici di quella deregulation a gestire una situazione che non avevano previsto e a ripristinare regole che a suo tempo proprio loro avevano abolito? possibile oggi, dopo quanto accaduto nel 2007-2008, presentare al mondo la sec, la Securities and Exchanges Commission creata col New Deal nel 1934, come se fosse ancora il modello per le autorit di Borsa e di mercato che stata per pi di settant'anni? E presentare la fed, che evidentemente non si accorta o non ha voluto accorgersi di come Wall Street stesse vendendo vorticosamente prodotti pericolosi, come l'archetipo della Banca Centrale per eccellenza? Wall Street era pronta a una riforma vera, con garanzie per il futuro? Ne riteneva i costi accettabili? O, memore del motto dell'amico di Rubin, l'ex chief executive officer di Citigroup, Chuck Prince finch la musica suona occorre star su e ballare , voleva riprendere le stesse danze? Nessuno meglio di Lawrence Summers incarnava il ritorno dei soliti noti. Era stato per quattro anni viceministro di Rubin al Tesoro, poi suo successore per un anno e mezzo, fino al termine della presidenza Clinton. Al Tesoro si era occupato di affari internazionali, e aveva avuto un ruolo chiave in Asia dopo la crisi del '97, consigliando con la solita faccia tosta austerit, privatizzazioni, liberalizzazioni, come aveva gi fatto prima nella Russia di Eltsin. Nel 2001 Rubin, da consigliere di amministrazione di Harvard, aveva favorito il ritorno di Summers come presidente nella prima universit americana, lasciata anni prima quand'era un giovane professore. Summers stato poi costretto alle dimissioni dalla presidenza di Harvard nel 2006, non tanto, come si disse ripetutamente, in seguito alla lunga disputa innescata da un suo giudizio sulle scarse doti scientifiche del

cervello femminile, ma piuttosto perch indebolito da un vecchio scandalo in cui erano rimasti coinvolti alcuni suoi protetti, inviati nell'ex urss negli anni Novanta con i soldi di un programma dello Stato federale. Il gruppo doveva disegnare la struttura finanziaria della nuova Russia. Contravvenendo a ogni norma, alcuni di loro avevano fatto notevoli operazioni in proprio, guadagnando milioni e milioni di dollari. In pratica, insider trading, come avrebbe rivelato un'inchiesta giudiziaria americana. L'inchiesta si concluse con una pesante multa per Harvard di oltre 26 milioni di dollari. Summers, dimissionario, era tornato a Harvard solo come docente. Ma nello stesso periodo era entrato anche in una boutique finanziaria molto esclusiva, la D.E. Shaw & Co., in qualit di codirettore part-time. Per un solo giorno di lavoro alla settimana (una sorta di superco.co.co), Summers guadagnava oltre 5 milioni di dollari l'anno. Tu, caro Obama, che avevi scelto come modello Abraham Lincoln, il protagonista della riunificazione del paese e dell'emancipazione degli schiavi, ti trovavi purtroppo a ricalcare il ruolo di Franklin Delano Roosevelt, senza aver incontrato sulla tua strada, per, un italiano come Pecora, qualcuno che ti facesse capire che Summers non era forse la persona giusta per guidare le riforme. Quando hai presentato il tuo primo bilancio, il 26 febbraio 2009, l'enfasi l'hai messa tutta sugli enormi problemi ereditati. La responsabilit di Bush ii era evidente, cos come era un dato di fatto che gli uomini del Partito Repubblicano non avevano fatto buona guardia nei vari enti di sorveglianza finanziaria. Bush ii aveva aumentato il deficit federale portandolo nel 2008 a 700 miliardi e tu, per affrontare la crisi, eri costretto l'anno dopo pi che a raddoppiarlo, portandolo a circa 1.800 miliardi. E tutto questo per tendere una mano ai banchieri, che prima della crisi si erano arricchiti a dismisura e ora cercavano soldi dallo Stato per salvarsi. Purtroppo non eri presente quando, la sera di venerd 20 febbraio 2009, un'ottantina di persone presero posto per una cena nei bei locali della biblioteca della vecchia e rinnovata Casa Italiana alla Columbia

University, tra la Amsterdam Avenue e la Centodiciassettesima strada, a New York. Per nostra fortuna, c'era Mario Margiocco, che ci ha raccontato di cosa si parl quel giorno. Nel pomeriggio, accademici di prima grandezza come Robert Mundell, Joseph Stiglitz, Jeffrey Sachs e Robert Shiller, il ministro francese delle Finanze, Christine Lagarde, e uomini della finanza newyorkese come George Soros, avevano discusso sul tema Emerging From the Financial Crisis, cio Come uscire dalla crisi finanziaria. L'incontro era stato organizzato da Edmund Phelps, il leader dei neokeynesiani statunitensi, insignito del Nobel nel 2006 per aver chiarito la comprensione delle relazioni tra gli effetti a breve e lungo termine delle politiche economiche. Un vero anticonformista wasp, uomo raro negli anni di omologazione sulle parole d'ordine reaganiane e dei new democrats. Dal podio erano state lanciate alcune frecciate alla Casa Bianca, al neopresidente, a Geithner certamente, e anche a Summers, in particolare quando un professore della Columbia Business School, Amar Bhid, aveva ricordato che mentre Lincoln licenziava i generali che perdevano le battaglie, oggi quelli che le perdono vengono promossi. Lo speaker d'onore fu Paul Volcker, ex governatore della fed e da te recentemente nominato presidente dell'Economic Recovery Advisory Board. Phelps l'aveva definito senza esitazione il pi autorevole esponente della finanza negli Stati Uniti e ritengo nel mondo. Fino a quel momento, Volcker non aveva ancora tenuto una riunione formale del suo Board, e non lo avrebbe fatto sino alla primaveraavanzata. Nonostante il ruolo cruciale avuto nella tua campagna elettorale (simbolo di affidabilit in materia finanziaria), Summers e Geithner lo tenevano a distanza. Volcker aveva vissuto da protagonista le vicende finanziarie del dollaro, a partire dagli anni Sessanta. Era diventato nel 1971 sottosegretario al Tesoro per la politica internazionale e aveva gestito con grande accortezza la fine del sistema monetario di Bretton Woods. Alla guida della fed aveva, con spiccata competenza e indipendenza, debellato l'inflazione degli anni Settanta. E durante la campagna elettorale aveva dato gravitas e peso alla tua corsa presidenziale, in vari incontri e photo opportunities. L'intervento che Volcker tenne quella sera entrato nelle cronache della

crisi come l'atm speech, il discorso del Bancomat. Le sue parole sono ricordate anche nel numero dell'Economist del 25 febbraio 2012 (che porta in copertina un'inquietante Iran con la i iniziale a forma di bomba atomica). L'ex governatore della fed non aveva mai lesinato le critiche, e tutto il suo disprezzo, nei confronti della nuova finanza di Wall Street, ricca di premi per i suoi adepti, ma pericolosa per la societ: Questi titoli rischiosi non hanno portato nessun beneficio al pubblico. E l'invenzione del Bancomat stata di gran lunga pi utile di qualsiasi titolo innovativo inventato a Wall Street. Saprai, caro Obama, che Volcker l'uomo che rifiut un primo invito di Ronald Reagan, non appena questi si insedi alla Casa Bianca (i due non si erano mai incontrati), e un secondo, quando il presidente gli propose di andarlo a trovare alla fed. L'economista rispose che la visita sarebbe stata inappropriate. Durante il suo dinner speech, Volcker sostenne che quanto accaduto sui mercati era la madre di tutte le crisi finanziarie e una sfida al capitalismo e alla societ. Il capitalismo non era a rischio di sopravvivenza aggiungeva ma non sono cos sicuro che questo valga anche per il capitalismo finanziario per come si sviluppato negli ultimi decenni. La crisi non stata il risultato di restrizioni del credito, come spesso in passato, ma di un eccesso di capitali; non solo di una mancanza di supervisione, ma di un aumento del numero dei financial engineers, autori di prodotti finanziari in cui l'uso eccessivo di matematica e scienze esatte aveva con successo messo in ombra le debolezze di quel mondo. Non esisteva una facile via d'uscita. Il tutto non verr dimenticato e non torneremo a quel tipo di sistema finanziario che avevamo prima della crisi, non credo sar possibile. E invece s. Era esattamente quello che voleva la Goldman Sachs, ed quello che ha ottenuto. E tu, caro Obama, non hai fatto nulla per impedirlo. Il 27 marzo 2009, ricevendo alla Casa Bianca i tredici maggiori banchieri del paese ancora scossi per la crisi, avevi parlato chiaro: La mia

amministrazione l'unica cosa tra voi e i forconi della folla inferocita. Qualche giorno dopo, Volcker confid a un amico: Sono sorpreso dal fatto di non essere mai consultato. A quel punto, per, persino il Financial Times aveva capito che non eri un leader di vere riforme ma un cheerleader per generiche riforme, per qualsiasi cosa che possa plausibilmente venir chiamata riforma. triste vedere uno dei veri grandi uomini pubblici della nostra era onorato ma messo da parte, scriveva il premio Nobel Paul Krugman l'11 aprile del 2009 sul ruolo riservato a Paul Volcker. Per quanto sia difficile crederlo, le banche sono ancora la lobby pi potente a Capitol Hill, mentre siamo alle prese con una crisi bancaria che molte delle banche stesse hanno creato. Francamente, comandano loro, diceva gi il 29 aprile 2009 il senatore Dick Durbin, Democratico dell'Illinois, alla stazione radio wjjg 1530 di Chicago. Tu stesso, in un ampio discorso intitolato A New Foundation, ad aprile avevi spiegato cos la scelta cruciale degli aiuti alle banche, citando il cosiddetto effetto moltiplicatore, quello che si studia nei corsi di Economia monetaria all'universit: Ci sono molti americani che comprensibilmente pensano che i soldi del governo sarebbero spesimeglio se andassero direttamente alle famiglie e alle imprese invece che alle banche e chiedono: Dov' il mio vantaggio?. La verit che un dollaro di capitale in una banca pu diventare otto odieci dollari alle famiglie e alle imprese, con un effetto moltiplicatore che pu alla fine condurre a una crescita pi veloce. Questo vero, Caro Obama, ma lo quando le banche fanno il loro mestiere, ossia concedere prestiti alle imprese e ai cittadini.

Dice Margiocco: L'intero approccio, si osservava da pi parti, ora non aveva molto senso: se l'effetto moltiplicatore delle banche avesse funzionato gli americani avrebbero dovuto fare altri debiti E poich moltiplicatore delle banche avesse funzionato, gli americani avrebbero dovuto fare altri debiti. E poichla fed e il Tesoro a quel punto avevano gi iniettato direttamente [...] nelle banche circa mille miliardi, i cittadini americani, gi fortemente indebitati, avrebbero dovuto fare altri 8-10 mila miliardi di debiti. Tutto per uscire meglio da una crisi provocata proprio dal debito?. In un'ampia intervista del 3 maggio al New York Times, chiedevi di far ripartire il mercato delle cartolarizzazioni, cio il motore primo della creazione dei derivati, ed escludevi il ridimensionamento delle grandi banche di Wall Street e un ritorno al Glass-Steagall Act del 1933. Era la linea del ritorno allo status quo, come chiedevano i grandi banchieri, quelli too big to fail. Tutto divenne ancora pi chiaro qualche giorno pi tardi, quando Rodgin Cohen, grande legale della Goldman Sachs e di tutti gli altri premiati salumifici di Wall Street, dichiar pubblicamente: Non sono per nulla convinto che ci sia qualcosa di davvero sbagliato nel nostro sistema finanziario. Come a dire: non successo nulla, stata solo una maligna, passeggera congiunzione astrale. A gennaio 2010, davanti alla commissione incaricata dal Congresso di scrivere la storia del grande crac del 2008, il numero uno della Goldman Sachs, Lloyd Blankfein non avrebbe avuto una posizione diversa. La crisi? Succede, a volte. Cohen era stato solo pochi mesi prima in corsa come numero due al Tesoro a fianco di Timothy Geithner. Ma caro Obama, come potevi, a marzo dell'anno del Signore 2009, dopo tutto quello che era accaduto pochi mesi prima, prendere in seria considerazione l'avvocato pi potente e astuto di Wall Street per il ruolo di numero due al Tesoro? Per fortuna, qualcuno deve averti suggerito che un tandem CohenGeithner sarebbe stato troppo duro da digerire per quel 99

per cento di cittadini americani, notoriamente male informati, che non ha mai beneficiato delle prebende di Wall Street e che si ritrovava allora con il sedere per terra. Addirittura a Giulio Tremonti, che non uno sfegatato marxista, era apparso chiaro sin da allora che quella del 2008 non era una delle tante crisi, ma un tornante cruciale della storia, l'inizio di un nuovo paradigma, una svolta senza pi ritorno, la fine di un mondo che per poco tempo, pi o meno per un ventennio, ma tuttavia molto intensamente, ci ha drogato e cullato con l'idea del benessere progressivo e gratuito donatoci dalla finanza; era chiaro anche a lui che non ci si poteva comportare come se nulla fosse accaduto, come se il risanamento finanziario potesse ancora essere possibile, perch sarebbe stato come concretizzare il pi vasto piano mai congegnato di fallimento dei tanti a vantaggio dei pochi. Osservando il tutto da lontano, da Roma, ci sembrato che Wall Street ti abbia imposto uno stato dinecessit, cio l'applicazione a difesa del suo interesse di un non-democratico superpotere: idee fredde e gelide, da fascismo bianco, che scendono dall'alto verso il basso. Come grande leader eletto dai cittadini tu avresti dovuto metterti al servizio dei popoli, avresti dovuto metterti al di sopra della grande finanza, al di sopra di Wall Street. Ma ora basta scrivere al presidente degli Stati Uniti. Non nego di essermi divertito: la finzione di questa lettera mi ha aiutato a dare immediatezza e slancio a ci che avevo da dire, restituendomi un po' dell'entusiasmo ideale e della sana indignazione che sarebbe opportuno serbare sempre anche quandosi affrontano temi economici e finanziari, che cessano di essere freddi e astratti quando, come in questo caso, dalle cattedre universitarie e dai grafici della Borsa arrivano a condizionare materialmente, drammaticamente, la vita quotidiana di milioni di persone. Adesso, per, continueremo lungo i binari di una narrazione pi tradizionale, in prima o in terza persona. Lo scorso 13 febbraio, un luned, prima che andasse ospite al programma di Gad Lerner L'Infedele, ho parlato un paio d'ore con

l'economista abruzzese Marcello De Cecco. la mente pi lucida sui temi dell'economia internazionale che io conosca in Italia. Abbiamo discusso pi che altro delle differenze tra marchigiani e abruzzesi, dovute secondo entrambi al fatto che le Marche sono state per secoli sotto lo Stato Pontificio e l'Abruzzo sotto il Regno di Napoli. La campagna marchigiana come se fosse pettinata dai coltivatori diretti l'Abruzzo no ha detto lui. Abbiamo continuato a chiacchierare con lo stesso tono svagato, finch a un certo punto gli ho chiesto, quasi a bruciapelo: Ma quando ti apparso chiaro che Obama non avrebbe fatto nulla per riformare Wall Street?. Subito, mi ha risposto, prima ancora della vittoria elettorale, me l'aveva fatto capire un mio amico americano. Non ha fatto nomi e quindi non posso esserne certo, ma penso che l'amico americano cui ha fatto riferimento sia Thomas Ferguson, professore dell'Universit del Massachusetts, politologo ed economista, collaboratore di The Nation (il pi vecchio periodico radical americano ancora in edicola). Da molti anni, Ferguson studia il legame tra donazioni a partiti e candidati e sistema politico: il golden rule, .la regola d'oro', come dice anche il titolo di un suo libro, per capire la politica americana. Nell'aprile 2008 Ferguson aveva gi diffuso i primi dati sui fondi raccolti dai maggiori candidati prima che si aprisse la stagione delle primarie. Su un campione di 628 donatori del mondo della grande finanza, sembra che Obama avesse gi ricevuto il doppio della Clinton, quando ancora era 20 punti indietro a Hillary nei sondaggi. Io ho scoperto solo di recente, attraverso la voce Lloyd Blankfein su Wikipedia, che la Goldman Sachs stata la principale azienda finanziatrice della campagna di Obama. Obama sempre stato vicino a Wall Street, sostiene Ferguson, convinto che il candidato del South Side di Chicago non abbia semplicemente ereditato i legami di Hillary, ma ne avesse di solidi e in proprio fin dall'inizio. Poi continua: E penso che il vero aiuto che l'amministrazione Obama ha dato al mondo finanziario e che i Repubblicani non avrebbero potuto mai dare sia stato, come dire, quello di calmare un po' il risentimento del pubblico, nel senso che un po' tutti vanno in giro con questo modello piuttosto obsoleto secondo cui i Democratici sono il partito del popolo, cosa che io posso rilevare anche negli scritti di noti economisti [...] bene, non c' nulla di meglio che avere un partito di Wall Street che anche il partito del popolo, nel sentire comune, e con questo si riesce a sistemare tutto.

Summers, Geithner e lo stesso Obama presentano, nel giugno 2009, le 88 pagine di proposte del Financial Regulatory Reform: A New Foundation. Proposte cos generiche, cos ampiamente discrezionali, cos piene di scappatoie, che non avrebbero fatto nessuna differenza se fossero gi state in vigore nel 2008. Per chi sa leggere tra le righe, era ben visibile la mano della Goldman Sachs. Il nostro modello non cambiato, abbiamo sempre detto coerentemente che il nostro modello di business rimane lo stesso, dichiar nel luglio 2009 all'agenzia Bloomberg David Viniar, responsabile finanziario della Goldman Sachs. Una lampante presa di distanza da qualsiasi responsabilit nel disastro. Il Nobel Paul Krugman, prima ancora che le proposte venissero presentate, fece il riassunto di quello che stava succedendo: Quello che in realt stiamo vedendo la decisione da parte del presidente Obama e dei suoi consiglieri di sopravvivere attraverso la crisi finanziaria, nella speranza che le banche possano tornarein buona salute Anche un altro famoso e stimato premio Nobel, Joseph Stiglitz, dette un giudizio complessivamente negativo su tutto, puntando il dito contro una lettura della crisi che ne sottovalutava la portata, contro l'aiuto indiscriminato alle banche, e contro la debolezza e l'ambiguit delle riforme finanziarie che sarebbero state invece indispensabili per infondere fiducia. Il 19 luglio 2009 Krugman scrive sul suo blog: Molta gente aveva appoggiato Obama contro Hillary Clinton alle primarie perch temeva che la Clintonavrebbe riportato in auge la squadra di Bob Rubin. E che cosa ha fatto Obama? Ha riportato in auge lasquadra di Bob Rubin. A questo punto era chiaro a tutti che, a differenza di Roosevelt nel 1933, Barack Obama aveva deciso che Wall Street andava non punita, ma garantita e rafforzata.

Salvando il sistema finanziario senza riformarlo, scrisse nell'estate del 2009 Paul Krugman, Washington non ha fatto nulla per proteggerci da una nuova crisi, e, in effetti, l'ha resa pi probabile. A complicare il clima, c'era nel paese la sensazione che l'ordine delle priorit alla Casa Bianca non fosse chiarissimo. A inizio estate del 2009 la riforma finanziaria era in alto mare mentre l'esecutivo stava per lanciare quella sanitaria, sulla quale si sapeva avrebbe impegnato in autunno il grosso delle proprie energie. Entrambe importanti, ma la seconda chiaramente in sottordine rispetto alla prima. Senza regole finanziarie in grado di restituire al paese la solidit e la credibilit dei mercati del denaro che il New Deal aveva a suo tempo garantito, infatti, qualsiasi riforma sanitaria sarebbe stata costruita sulla sabbia. Arianna Huffington, la star dell'informazione via web, dava questa scoraggiata lettura: Dopo le vacanze estive del Congresso, tutta l'energia a Washington sar concentrata sulla riformasanitaria. Spero ci venga dato un grande progetto. Ma anche se accade, con un sistema finanziarionel quale siamo ancora tenuti in ostaggio dalle banche, un altro collasso inevitabile. E porter ogni cosa, compreso un grande piano sanitario, gi con s. Nel settembre 2009, parlando ai banchieri nel cuore di Wall Street, alla Federal Hall, Obama ricordava a una platea perplessa che quelli di Wall Street non possono riprendere a rischiare senza riguardo per le conseguenze, e aspettarsi che la prossima volta il contribuente americano sia l ad attutire la loro caduta. Nel discorso ci sono frasi ancora pi esplicite: Non n giusto n responsabile da parte vostra, dopo che vi siete salvati con l'aiuto del governo, disattendere i vostri obblighi nei confronti della pi generale ripresa, di un sistema pi stabile e di una prosperit ampiamente condivisa. Le reazioni a queste accuse? Un grande sbadiglio, il commento raccolto dalla cnn e ripreso da Der Spiegel in un articolo dal titolo molto chiaro: Hilflos gegen die Zocker (.Senza speranze contro i giocatori'). In

platea quel giorno non c'erano i numeri uno, i presidenti e gli amministratori delegati delle grandi banche, ricevuti a Washington a fine marzo per discutere in privato con il presidente della crisi. Quel giorno gli applausi furono di cortesia, non scroscianti. E quando Obama aggiungeva non avete bisogno di aspettare una legge per sistemare il vostro quadro retributivo in modo che la gente sia compensata per risultati di lungo periodo e non per performance di breve periodo, molti sguardi scivolarono a terra, o si alzarono al cielo. Il discorso era ben scritto, ben pronunciato, pieno di buone intenzioni. Ma shockingly naive, cos lo boll Arianna Huffington, che poi il 20 dicembre avrebbe nominato il vero personaggio dell'anno 2009: il lobbista. Fece un certo effetto, nell'autunno dello stesso anno, a crisi non risolta ma domata, sentire un economista di prima grandezza, un liberal dalle credenziali impeccabili come James K. Galbraith (figlio di quel John Kenneth Galbraith che fu per una vita ai vertici del Partito Democratico, da Roosevelt in poi, oltre a essere colui che ci ha raccontato meglio la crisi del 1929), dare un giudizio severo sulla presidenza: La situazione oggettiva di Obama molto pi simile a quella di Herbert Hoover che a quella di Franklin Roosevelt. Il paese molto pi avanti del sistema politico, vuole un Roosevelt che faccia cambiamenti e invece si ritrova un Obama-Hoover che cerca di ripercorrere sentieri noti e di ricostituire il sistema precedente. Cos vuole Washington, cos vuole Wall Street, la classe dirigente che ha firmato il disastro. Ma cos non vuole l'America. Il 24 settembre 2009, invitato alla commissione banche e affari finanziari della Camera, Volcker aveva espresso in modo compiuto il suo pensiero: Ci sono alcuni a Wall Street che vorrebbero tornare al business as usual. Dopotutto, per un certo tempo e per alcuni quel sistema stato enormemente remunerativo. Tuttavia, ha messo a rischio non solo l'economia americana, ma anche larga parte dell'economia mondiale. La sfida non quella diinsabbiare o giocherellare ai margini di un sistema che si rotto. Dobbiamo minimizzare il pericoloche le incertezze e i rischi inerenti al funzionamento di un sistema finanziario di mercato possano dinuovo minare il funzionamento e le fondamenta della nostra economia.

Il suo era un attacco frontale. Cinque i passaggi salienti: 1. riaffermare il principio della separazione fra banche che raccolgono risparmio e banche d'affari, considerandolo come elemento base della regolamentazione finanziaria; le prime, spina dorsale dell'economia, devono essere sotto l'ombrello protettivo pubblico; le seconde, libere di fare operazioni a rischio, no; 2. regolare i derivati come un tipico prodotto finanziario e promuovere politiche pi prudenti nelle retribuzioni e nei bonus del settore; 3. chiedere la chiusura di tutti i loopoles, le scappatoie che migliaia di lobbisti avevano disseminato nella legislazione finanziaria in elaborazione; 4. sottoporre gli hedge funds e il private equity a regole di registrazione e reporting; 5. introdurre un nuovo resolution regime, ovvero regole da attivare in caso di crisi e fallimento di istituzioni non bancarie di potenziale importanza sistemica. L'attacco a Geithner e alla stessa Casa Bianca non passava inosservato. La tesi del too big to fail is too big to exist,l'architrave del Volckerpensiero, trovava un appoggio nell'analoga e netta presa di posizione del governatore della Banca d'Inghilterra, Mervyn King. Il 20 ottobre, parlando a Edimburgo, la casa della Royal Bank of Scotland protagonista di un tremendo crac, King dichiarava che il 2008 aveva visto probabilmente il pi grave caso di moral hazard di tutta la storia mondiale. Pochi giorni prima a New York era sceso in campo perfino Greenspan, diventato ormai un sostenitore della mano visibile dello Stato. Di fronte al Council on Foreign Relations di New York, Greenspan aveva dichiarato parlando delle banche: Se sono troppo grandi per fallire, sono troppo grandi e basta. In quell'occasione aveva anche invocato le leggi antitrust: Nel 1911 abbiamo spezzato la Standard Oil, e che cosa successo? Le varie parti hanno acquisito pi valore del tutto. Forse questo che occorre fare. Per l'antico discepolo prediletto di Ayn Rand, l'immigrata russa diventata apostola dell'antistatalismo e della totale estraneit dello Stato dall'economia, era decisamente un cambiamento notevole. Volcker, come riportava Michael Hirsch sul settimanale Newsweek il

2 novembre 2009, doveva ammettere che il presidente ovviamente ha deciso di non accettare le mie proposte in fatto di regolefinanziarie, e di essere stato utilizzato come una sorta di simbolo di responsabilit e prudenza durante la campagna elettorale. Lo stesso mese Paul Krugman, matre penser dell'America progressista, bollava cos la stagione politica del dopo-crac: Questa la tragedia del pasticciato salvataggio. Uomini di governo, forse influenzati dal troppo tempopassato con i banchieri, si sono dimenticati che per governare con efficacia occorre mantenere la fiducia della gente. E avendo trattato con guanti di velluto l'industria finanziaria che ci ha cacciato in questo guaio con le sue mani hanno gettato al vento la fiducia della gente. Signori, svegliatevi. La vostra risposta, il minimo che io possa dire, stata inadeguata: questo strilla Paul Volcker nel dicembre 2009 a un gruppo internazionale di banchieri, in un hotel di campagna del Sussex in Gran Bretagna. Vorrei che qualcuno mi fornisse uno straccio di prova neutrale dei vantaggi che l'innovazione finanziaria ha portato alla crescita economica uno straccio di prova soltanto, aveva aggiunto. Anche se qualcuno dei presenti l'aveva contestato, alla fine gli applausi erano stati tutti per il vecchio maestro che sapeva parlar chiaro. La tanto decantata, anni fa, innovazione finanziaria non aveva coinciso affatto con uno sviluppo dell'economia reale misurata in posti di lavoro. Come dimostrano i dati del Bureau of Labour Statistics, dal punto di vista dell'impiego il primo decennio del terzo millennio stato un decennio perduto: per la prima volta in settant'anni, dai tempi della Grande Depressione, non si avuto un aumento dell'occupazione nel settore privato. A ottantadue anni, senza incarichi particolari, tenuto a distanza da una Casa Bianca dove dominavano le posizioni filo-Wall Street del consigliere economico Summers e del ministro del Tesoro Geithner, Volcker alla fine sembrava vincere la sua battaglia. Il 21 gennaio 2010, di fronte alla protesta dell'elettorato del Massachusetts che pochi giorni prima aveva

preferito un Repubblicano (il primo eletto nello Stato dal 1978) per quello che era stato il seggio di John e poi per quasi mezzo secolo dei Kennedy, la Casa Bianca aveva recuperato l'anziano banchiere centrale e lo aveva messo davanti alle telecamere a fianco del presidente mentre questi annunciava che le regole dell'ex capo della fed, la Volcker rule, sarebbero state finalmente aggiunte alla legislazione finanziaria in preparazione al Senato. E la Volcker rule stata infine inserita nel Dodd-Frank Act del luglio 2010, ma oggi bersaglio di un attacco continuo, giorno dopo giorno, da parte di Wall Street e dell'establishment finanziario. Basta leggere l'Economist del 23 febbraio 2012, che dedica un editoriale all'argomento. Provo a riassumerlo brevemente, tanto per far capire che la battaglia ancora in corso e che bisogna, nonostante tutto, sperare per prima cosa che Obama venga rieletto, che faccia penitenza, e infine avvii le riforme tanto attese da uno come lui. Ricordiamo il titolo dell'editoriale, accompagnato dall'immagine di una scatola di fiammiferi con sopra il ritratto di una banconota da cento dollari che brucia: Financial Innovation: Such seething brains, such shaping fantasies. Una volta era il punto di vista di Alan Greenspan a tenere banco in tema di innovazione finanziaria, scrive l'Economist. Greenspan era convinto che le innovazioni, ossia la securitization, i CreditDefault Swap (cds), avrebbero irrobustito il sistema finanziario. Adesso arrivato Volcker, che crede che l'ultima vera innovazione sia stata il bancomat. Il giudizio di Greenspan sicuramente sbagliato, ma le regole di Volcker sono troppo restrittive. A oggi l'lite finanziaria rimasta a tenere le leve del potere e, evitato per ora il fallimento, somministra le sue lezioni morali e fallimentari ai giovani, ai popoli, ai governi. Da ultimo, non esitando nel ricorso alla presa diretta del potere. Non vi spaventate, non Lenin, ma soltanto Giulio Tremonti, che cos scrive nel suo libro, Uscita di sicurezza.

Insomma, ormai risuona chiarissima la domanda: Obama che comanda Wall Street o sono le banche che comandano Washington? 2. La crisi del 2008 stata peggioredi quella del 1929? Tutte le perplessit, la confusione, i problemi non sorgono in America permanchevolezze nella Costituzione o nella confederazione, n per mancanzadi onore e virt, ma per crassa ignoranza sulla natura della moneta, delcredito e della circolazione monetaria. Da una lettera di John Adams a Thomas Jefferson, 1797 Viviamo in anni eccezionali. Come uomini e donne siamo chiamati a una grande sfida; in questi tempi che saremo o nobilitati o ridimensionati o addirittura considerati mostri dalla Storia. Viviamo una crisi della stessa portata e della stessa pericolosit di quella, anche allora inattesa, del 1929; una crisi protrattasi, con fasi alterne, per tutti gli anni Trenta. Viviamo nel caos, tra forze oscure che non si sa nemmeno a cosa aspirino, se non a preservare il loro potere,il potere del capitale dominante. Se gli anni Dieci del terzo millennio non saranno, come alcuni temono e come invece furono gli anni Trenta, un decennio perduto, e si riuscir a evitare una guerra, lo si dovr soltanto alla diversa struttura del tessuto economico internazionale e alla maggiore concordia geopolitica (che ci pu oggi sembrare insufficiente, ma che comunque enormemente superiore a quella del primo dopoguerra). Angela Merkel, Barack Obama, il simpatico Xi Jinping, futuro leader della Cina, e persino Monti, non sembrano somigliare a Stalin, Mussolini e Hitler, che imperversavano in quegli anni. Xi Jinping ha dichiarato, nel 2009, durante un viaggio in Messico: Primo, la Cina non esporta pi rivoluzioni; secondo, non esporta carestia n miseria; terzo, non esporta guerre. Lui sembra uno cheparla chiaro. Ma visto come si sono messe le cose, non possiamo escludere che qualcuno decida di esportare una guerra, la pi clamorosa di tutte. Nel numero dell'Economist del 25 febbraio, nell'editoriale di apertura, compare questo passaggio: The air is thick with the profecy of war. Leon Panetta,

America's defence secretary, has spoken of Israel attacking Iran as early as April. Non traduco nemmeno, per non spaventarvi troppo. Avendo lavorato per anni per il gruppo dell'Economist, vi posso solo dire che una simile previsione deve essere presa sul serio. Tuttavia, al momento il rischio sembra essere rientrato dopo l'incontro all'inizio di marzo, a Washington, tra Obama e il primo ministro israeliano Netanyahu. La correttezza, l'integrit e la trasparenza sono la pietra miliare di un'economia che esige il sostegno e la fiducia del pubblico e che risponde alle esigenze e aspettative di quest'ultimo. Recita cos il primo punto di un decalogo approvato di recente in sede ocse. Per poter agire, per poter essere cittadini informati e responsabili, bisogna innanzitutto provare a capire i fenomeni globali, comprese, anzi in particolare, le crisi come quella del 2008. Moltissimo stato scritto sugli eventi di quell'anno, ma nessuno riuscito ancora a raccontarli come fece John Kenneth Galbraith quando si occup della crisi del 1929. Non un lavoro che pu essere affidato a una sola penna. Ho invitato altre persone che stimo a partecipare, nella collana One Euro, a questo racconto, che mi sembra indispensabile per capire il nostro tempo. In questo capitolo, molto parziale, cercher di descrivere la crisi attingendo alle fonti migliori tra finanzieri, economisti, giornalisti, scrittori. Finanzieri come George Soros, il quale, prima ancora che la crisi scoppiasse con tutto il suo fragore nel settembre del 2008 (con il fallimento della Lehman Brothers e le immagini sui teleschermi di tutto il mondo di junior bankers che con gli scatoloni in mano liberavano i loro uffici), apriva cos il suo libro Cattiva finanza: Ci troviamo nel bel mezzo della peggiore crisi finanziaria dagli anni Trenta a oggi. Per certi versi ricorda altre crisi che si sono verificate negli ultimi 25 anni, con una profonda differenza per: la crisi

ricorda altre crisi che si sono verificate negli ultimi 25 anni, con una profonda differenza per: la crisiattuale segna la fine di un'epoca di espansione del credito basata sul dollaro come valuta di riserva internazionale. Le crisi cicliche del passato facevano parte di un processo di brusca crescita e decrescita (boom-bust); la crisi attuale invece il culmine di un super boom che durato pi di 25 anni. Iniziato verso la fine del 2007, come racconta lui stesso, il libro analizza e spiega la situazione, affrontandola anche da un punto di vista filosofico. Per la parte filosofica, mi stato di grandissimo aiuto Colin McGinn, che ha commentato scrupolosamente il testo e mi ha aiutato a superare certe difficolt concettuali, ricorda Soros nei ringraziamenti. McGinn ha scritto uno dei pi bei saggi di filosofia degli ultimi anni, Shakespeare filosofo. Giornalisti come il gi citato Mario Margiocco, che ha avuto la fortuna o sfortuna di seguire da inviato la crisi del 2008, giorno dopo giorno, il quale inizia con queste parole il suo Il disastro americano: Fra i pregi del giornalismo c' la variet di persone, avvenimenti, paesi con i quali si viene a contatto. Fra i difetti c'l'inevitabile superficialit con cui si racconta tutto questo. Per motivi di spazio, di tempo, di competenze. Come diceva un bravo collega americano, i giornalisti sono come il Rio de la Plata: molto ampi, ma poco profondi. Si salvano spesso, per fortuna, perch i loro scritti episodici, nell'incalzare di scadenze orarie precise, hanno spazi altrettanto definiti: raramente superano le cento righe per sessanta battute. Con un po' di mestiere, si riesce a far fronte. Banchieri come Paul Volcker, l'uomo pi rispettato dell'economia americana, ex governatore della fed, che in un discorso del 2005, tenuto a Stanford, in California, diceva: Prese insieme, le circostanze sembrano le pi intrattabili e pericolose che io posso ricordare [...]. Ifigli del baby boom stanno spendendo come se non vi fosse domani [...]. La propriet della casa diventata un mezzo per indebitarsi e raccogliere denaro e non solo una tradizionale fonte di stabilitfinanziaria [...]. E, arrivando al cuore del problema, come nazione consumiamo e investiamo, ciospendiamo, circa il 6 per cento in pi di

quanto produciamo. Che cosa tiene tutto insieme? Che cosatiene questi alti consumi, l'alto indebitamento, l'alto deficit pubblico? Un flusso veramente impressionante e crescente di capitali dall'estero. Un flusso che oggi vale pi di 2 miliardi di dollari al giorno. [...] E quello che dico alla fine dovrebbe trovare rimedio nella pi vecchia lezione di politica finanziaria nella storia delle banche centrali: in un forte senso di disciplina nel governo della moneta edei conti pubblici [...]. Ma nessuno sembra voler capire e cercare di fare qualcosa. Economisti come il premio nobel Paul Krugman o come Joseph Stiglitz, che in Freefall, 2010, ha scritto: La sola sorpresa sulla crisi economica del 2008 che possa essere stata una sorpresa per molte persone. Ma torniamo al titolo di questo capitolo. A fine settembre 2009, Christina D. Romer, presidente del Council of Economic Advisers della Casa Bianca, scriveva: Sono profondamente convinta che gli shock che hanno colpito l'economia degli Stati Uniti nell'autunno scorso sono stati tanto gravi quanto quelli del '29. Ma si sbagliava, per difetto. Sentiamo quello che racconta Margiocco. Negli anni Trenta fallirono 10.000 banche, molto piccole per lo pi, coinvolgendo in tredici anni depositi per 7,6 miliardi di allora, pari a circa 100 miliardi di oggi. Nel 2007-2009 sono stati messi a rischio asset per oltre 7.000 miliardi, settanta volte di pi rispetto al 1929, con conseguente intervento pubblico per salvare banche e assicurazioni. Gli asset pro capite coinvolti sono stati stimati, in base alla popolazione residente nelle rispettive epoche, a circa 800 dollari per gli anni Trenta, a oltre 20.000 nella crisi del 2008. Il Fondo Monetario ha calcolato i costi globali della crisi del 2008, suddivisi per nazione nel caso dei paesi del g20 (quindi anche degli Stati Uniti) e in termini di quota di pil.

La comunit mondiale ha impegnato contro la crisi, nei primi quattro mesi dal caso Lehman Brothers (da met settembre 2008), in media il 28 per cento del pil del g20. Se si esclude il caso irlandese, Stati Uniti e Gran Bretagna sono i paesi che hanno messo pi risorse per il sostegno a banche e finanza ovvero l'81,6 per cento del pil di Londra e il 90 di Washington. Per fare un confronto: la Germania ha messo a disposizione il 22 per cento del suo pil, la Francia il 19, l'Italia, dove le banche sono state poco colpite e le costrizioni di bilancio hanno imposto prudenza, il 3,3. In confronto cost pochissimo la guerra in Vietnam: 698 miliardi di dollari in valuta di oggi; quasi nulla il Piano Marshall e la corsa alla Luna: rispettivamente 115,3 e 237 miliardi; e la seconda guerra mondiale, sui due fronti dell'Atlantico e del Pacifico, richiese solo 3.600 miliardi. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che entro la fine del 2012 i debiti pubblici dei paesi del g20siano destinati a salire fino a un livello medio del 120 per cento. Domanda che tutti noi dovremmo farci: ma questo sostenibile? Per capire cosa successo nel 2007-2008, e cosa sta ancora accadendo, occorre, come abbiamo gi fatto nel primo libro di questa serie, partire da lontano. Solo cos si pu cogliere il significato di ci che si verificato negli ultimi trent'anni nell'economia americana e in quella globale. Altrimenti, gli articoli che leggiamo tutti i giorni sui giornali risultano incomprensibili e spesso fuorvianti. Bisognerebbe addirittura partire dagli assunti alla base delle teorie economiche che hanno influenzato i governi, soprattutto quello americano e quello inglese, e cio che i mercati, soprattutto quelli finanziari, dovrebbero essere tenuti a briglie sciolte, perch prima o poi trovano automaticamente il loro punto di equilibrio. la teoria della concorrenza perfetta, fondamento delle dottrine neoliberistiche della scuola economica di Chicago, quella che ha prodotto vari premi Nobel, come Robert Merton nel 1997 (per aver sviluppato un nuovo metodo matematico per la valutazione dei derivati, anche se da consulente porter la ltcm al fallimento nel 1998), e Robert Lucas jr, il mago delle aspettative razionali, Nobel nel 1995. Alla base di questa teoria c' un'idea di fondo, e cio che i partecipanti al mercato, le autorit monetarie e quelle fiscali sono in grado di basare le loro decisioni sulla

pura conoscenza. Alla fine della seconda guerra mondiale, le banche giocavano un ruolo molto diverso nell'economia rispetto a quello svolto negli ultimi decenni. I mutui per comprare casa, persino negli Stati Uniti, richiedevano un pagamento anticipato di almeno il 20 per cento; in Italia almeno il 50. I prestiti obbligazionari erano soggetti a ferrei controlli. Anche l'acquisto di un'autovettura richiedeva un anticipo. Solo pi tardi sarebbe apparso il leasing. Non esistevano carte di credito. Le transazioni finanziarie internazionali erano soggette a norme molto restrittive, e in quasi tutti i paesi del mondo i movimenti di capitale erano molto limitati. Il dollaro, convertibile in oro, fungeva da valuta internazionale. Quando il 15 agosto del 1971 fu sospesa la convertibilit del dollaro, la moneta americana rimase la valuta principale in cui le banche centrali concentravano le loro riserve. Le banche erano ancora considerate le istituzioni pi affidabili che ci fossero, e i banchieri, traumatizzati dai fallimenti degli anni Trenta, mettevano la sicurezza al primo posto. L'economia aveva gi iniziato a globalizzarsi, ma lo strumento principe della globalizzazione allora era costituito dagli Investimenti Esteri Diretti: un'impresa straniera, supponiamo la Procter and Gamble o la Texas Instruments, progetta investimenti produttivi in un altro paese. Il mercato internazionale si riferiva ancora principalmente alle merci e ai servizi. Ogni operazione era sempre accompagnata dalla finanza ma, ad esempio nel rapporto della Business International Financing Foreign Operations, le informazioni principali erano di tipo pratico. Chi assicura contro il rischio di cambio? Quanto costa finanziare un investimento a livello locale? Chi fa l'export credit? La finanza era ancora al servizio degli investimenti produttivi e del commercio internazionale, soprattutto quello delle materie prime, del petrolio e delle derrate agricole. Le banche, in Italia, erano ancora in gran parte statali, facevano parte dell'iri, l'Istituto per la Ricostruzione Industriale, costituito nel 1933 da Benito Mussolini per salvare dal fallimento i principali istituti di credito italiani (Banca Commerciale, Credito Italiano e Banco di Roma).

Per molti anni nel dopoguerra, l'iri divenne la pi grande azienda industriale al mondo al di fuori degli Stati Uniti. Le banche facevano cose simili. Raccoglievano il risparmio dalle famiglie, i capitali dal mercato con obbligazioni facili da capire, e lo investivano nelle imprese e nelle famiglie stesse, concedendo mutui. I banchieri, con poche eccezioni come Enrico Cuccia e Raffaele Mattioli, venivano considerati le persone pi noiose del mondo. Solo a partire dagli anni Novanta sarebbero diventate delle star superpagate. Poi arriv la prima crisi petrolifera del 1973 e le banche si misero al lavoro per riciclare i petrodollari. Gli istituti statunitensi aprirono delle filiali all'estero per aggirare le normative esistenti in patria. Furono inventati nuovi strumenti finanziari e la gestione delle banche cominci a diventare un'attivit molto pi complessa. Vi fu un'autentica esplosione di crediti internazionali tra il 1973 e il 1979, quando arriv il secondo shock petrolifero. Nel 1979 diviene primo ministro nel Regno Unito Margaret Thatcher. Ricordo che il giorno della sua vittoria io e Katherine, la mia prima moglie, andammo a visitare per la prima volta l'appartamento che il Comune di Londra ci aveva assegnato al Barbican, una serie di grattacieli abitativi dentro la City. L'inquilino che ci aveva preceduto e che ci mostrava la nostra nuova casa si occupava di finanza. Era un entusiasta della Thatcher. L'anno seguente negli Stati Uniti fu eletto presidente Ronald Reagan. Se c' un economista che viene identificato con quel periodo, questo Milton Friedman. Il nerbo ideologico del reaganismo considerato opera sua. Il famoso slogan reaganiano, lo Stato non la soluzione, lo Stato il problema, un distillato del pensiero del noto economista. La fed cominci a muoversi sulle linee guida di Friedman, che assegnavano alla Banca Centrale il solo compito di una politica monetaria non inflazionistica. E per questo, secondo Friedman, bisognava controllare l'offerta di moneta, lasciando i tassi di interesse liberi di fluttuare. L'apoteosi di Friedman venne celebrata l'8 novembre 2002, nei festeggiamenti a Chicago per i suoi novant'anni. Tornato per l'occasione

dalla California, dove viveva da circa trent'anni, Friedman venne salutato come maestro assoluto. Ben Bernanke, a Chicago per celebrare il maestro, sostenne che se nel 1929 la fed avesse seguito principi analoghi a quelli di Friedman, non ci sarebbe stata la Grande Depressione, causata da una politica monetaria sbagliata. E gli riconobbe il merito di aver trasmesso a milioni di persone una comprensione dei benefici di mercati liberi e competitivi. Friedman morto nel 2006 con la reputazione intatta. Oggi non sarebbe pi cos. La sua una linea che stata declassata, archiviata forse, gi da George W. Bush, quando il 19 settembre 2008 ha dovuto dire che l'azione del governo non solo giustificata, ma anche essenziale, per spiegare l'intervento senza precedenti che fed e Tesoro stavano avviando per salvare dal fallimento le banche di Wall Street. All'improvviso, all'inizio degli anni Ottanta, cominci a diventare popolare, oltre alla teoria monetaristica di Milton Friedman, che una sua base teorica comunque l'aveva, quella che venne definita la supply-side economics. Essa enfatizzava il ruolo dell'offerta (supply) nello stimolare la crescita economica, in contrasto con le teorie keynesiane che si focalizzavano sulla domanda. Il sostegno all'offerta doveva avvenire, secondo Martin Feldstein, l'economista pi attivo nel propagandare questa nuova linea, attraverso un taglio delle tasse alle imprese e ai ricchi. Divent popolare la cosiddetta curva di Laffer, inventata da un oscuro economista della University of Southern California, che sosteneva come oltre un certo livello di tassazione la gente preferisca lavorare di meno. Nella sua prima finanziaria Reagan segu questo principio: tagli le tasse ai ricchi e aument allo stesso tempo le spese militari. La supply-side fece per subito flop, non c'era infatti nessuna ricerca empirica che avvalorasse la tesi, e le misure portarono soltanto, come c'era da aspettarsi, a un massiccio deficit pubblico. Poich la fed, seguendo le ricette monetaristiche di Milton Friedman, fissava degli obiettivi per l'offerta di moneta, lasciando i tassi di interesse liberi di fluttuare, e poich il deficit doveva essere finanziato nei limiti rigidi imposti dagli obiettivi per l'offerta di moneta, i tassi di interesse schizzarono verso l'alto, raggiungendo vette senza precedenti.

Nel 1982 i tassi alti spinsero il Messico a minacciare di venir meno ai propri obblighi di pagamento. Fu la scintilla che diede il via alla crisi del sistema bancario internazionale degli anni Ottanta e che devast i paesi dell'America Latina. La crisi fu contenuta con l'intervento attivo e fantasioso delle autorit monetarie. Le cifre dovute dai debitori sovrani eccedevano di gran lunga il capitale delle banche. Se i paesi debitori avessero fatto default, il sistema bancario sarebbe saltato. L'ultima volta era successo nel 1932, nell'ambito della Grande Depressione. Le banche centrali trascesero il loro ruolo tradizionale e si unirono per salvare i paesi debitori. Furono elaborati pacchetti di aiuto per ogni singolo paese. In linea di massima, le banche commerciali concessero delle proroghe, le istituzioni monetarie internazionali, il fmi e la Banca dei Regolamenti Internazionali iniettarono liquidit nel sistema, mentre i paesi debitori accettavano di adottare programmi di austerity finalizzati a migliorare la loro bilancia dei pagamenti. Nel caso del salvataggio del Messico parteciparono pi di 500 banche commerciali. L'integrit del debito doveva essere preservata a ogni costo. La fed reag alla crisi allentando la presa sull'offerta di moneta. L'economia, agevolata da un boom di consumi da parte delle famiglie, cominci a decollare. Le banche erano sempre pi disposte a concedere prestiti, perch ogni nuova concessione aveva l'effetto di migliorare la quantit del loro portafoglio prestiti. Gli alti tassi di interesse attirarono montagne di capitali stranieri negli usa. Si mise in moto un processo autoconsolidante, in cui un'economia forte e una moneta forte, un massiccio deficit pubblico e un continuo deficit della parte corrente della bilancia dei pagamenti si consolidarono a vicenda per produrre una crescita non inflazionistica. Era l'imperial circle di Ronald Reagan, che permetteva agli Stati Uniti di finanziare una forte spesa nel settore militare importando beni cinesi a basso costo e capitali dall'estero. Ancora a met degli anni Ottanta l'economia cominciava a globalizzarsi sempre di pi, ma la finanza era ancora sullo sfondo. Il g7, costituito nel 1976 a Puerto Rico, era l'istituzione pi potente della Terra, il segno tangibile di chi era al comando (l'Occidente, in pratica, anche se allora nell'Occidente veniva incluso pure il Giappone). Su circa 4 miliardi di

persone, il g7 ne rappresentava pi o meno un sesto, ma controllava all'incirca il 60 per cento del pil mondiale. L'Italia era orgogliosamente uno dei membri. La quinta o sesta potenza economica al mondo, in gara con la Gran Bretagna (le due economie erano allora comparabili). Ricordo che fece scalpore sulle prime pagine di tutti i quotidiani italiani una dichiarazione dell'allora ministro degli Esteri Gianni De Michelis, rilasciata in occasione di una tavola rotonda con il governo italiano da me organizzata (nel 1990 o 1991, non ricordo bene). Il ministro afferm che l'Italia aveva superato la Francia ed era diventata la quarta potenza del mondo. I dati li aveva presi da un piccolo giornale americano che citava come fonte la Business International. Purtroppo era solo un refuso. Comunque stessero le cose, mi era chiaro, come chiara la luce del sole, che anche noi italiani, per uno strano accidente della storia, eravamo entrati a far parte del numero ristretto dei paesi ricchi e fortunati. L'economia reale allora sovrastava di gran lunga l'economia finanziaria, ma grandi cambiamenti erano in corso. Le precedenti crisi del credito avevano sempre portato a un irrobustimento delle misure regolatrici, ma, sotto l'influenza delle teorie che allora cominciavano a diventare egemoniche, quelle del fondamentalismo del mercato e della deregulation, la crisi messicana e degli altri paesi dell'America Latina ebbe un esito opposto. Le banche statunitensi chiesero e ottennero una maggiore libert di operare. Nel suo discorso ufficiale di accettazione del Nobel, il 9 dicembre 1997, Robert Merton, uno dei padri del moderno pretium iustum applicato con modelli matematici alla finanza, ricordava come la formula per calcolare il prezzo delle opzioni messa a punto da altri due colleghi (il copremiato Myron Scholes e il defunto Fischer Black), da lui perfezionata, fosse stata inserita dalla Texas Instruments in un calcolatore diffusissimo, in tempi pre-personal computer, presso la maggior parte degli operatori sul mercato delle opzioni di Chicago. Cos Accademia e mercati si incontravano. Questa congiunzione di interesse intellettuale con applicazioni sui mercati finanziari centrale per la ricerca sulla finanza moderna, dichiar Merton della Harvard Business School ricevendo l'ambito premio a Stoccolma.

Eravamo lontani anni luce da quando, nel 1974, parlando nella stessa sala, Friedrich Hayek, anche lui neoliberista convinto, aveva dedicato il suo discorso di accettazione, intitolato The Pretence of Knowledge (.La presunzione di sapere'), a mettere in guardia gli economisti dalle teorie che pretendevano di racchiudere la realt in una formula. Nel '98, a meno di un anno dalla sua Nobel Lecture, Merton sarebbe stato pesantemente coinvolto nel crac della finanziaria ltcm, di cui era consulente e socio, senza riuscire per a trarne la dovuta lezione. D'altra parte, i teorici hanno sempre messo in guardia dalla totale affidabilit delle proprie ipotesi applicate al mercato, e anche Merton in questo caso si adegu. Ma restava il fatto che lui e altri avevano messo nelle mani dei mercati uno strumento percepito come una scienza esatta e contrabbandato come tale da trader troppo svelti e interessati. Un presupposto generale e due teorie economiche a esso collegate sulla razionalit e l'efficienza dei mercati, la reh (Rational Expectations Hypothesis, .Ipotesi delle aspettative razionali')e laemh (Efficient Markets Hypothesis, .Ipotesi dei mercati efficienti'), ci aiutano a capire quanto accaduto nella crisi del 2008. Il presupposto che l'economia una scienza, capace quindi di individuare e applicare principi generali oggettivi. Dimenticando che s, forse di scienza si tratta, ma pur sempre scienza sociale, sottoposta quindi a tutte le incognite del comportamento umano. Il passaggio da scienza sociale a scienza esatta avvenuto innestando massicce dosi di logica matematica e minimizzando le variabili capaci di smentire una teoria che escludesse fatti imprevisti o cambiamenti radicali. Un errore di colossale ingenuit intellettuale, come avrebbe spiegato dopo il crac del 2008 con un certo compiacimento il matematico polacco Benot Mandelbrot, il fondatore di quella che oggi viene chiamata geometria frattale, la branca della matematica che studia la teoria del caos. L'applicazione di questa teoria aveva portato Mandelbrot a mettere in discussione l'ipotesi di razionalit dei comportamenti degli agenti economici e l'ipotesi dell'efficienza del mercato, soprattutto quella secondo cui i movimenti dei prezzi del mercato sono descrivibili come un cammino casuale (random walk) ma prevedibile.

Le due teorie collegate, che da tale premessa traggono spunto, sono la reh e la emh. Queste diventarono Vangelo a partire dagli anni Ottanta, ma in maniera definitiva negli anni Novanta, e sono alla base della cosiddetta scuola neoclassica, quella cio che considerava inadeguata la ricetta keynesiana(intesa, in estrema sintesi, come ruolo dominante della politica economica e della mano pubblica, quando necessario), riscoprendo in chiave moderna e matematica la teoria della concorrenza perfetta. La cristallizzazione di entrambe le teorie attribuita all'Universit di Chicago, dagli anni Cinquanta centro del neoliberismo economico e della scuola neoclassica. Tuttavia, occorre usare con cautela l'espressione, abusata, di Scuola di Chicago. Prima di tutto perch di Scuole di Chicago ce ne sono diverse: quella legata a Milton Friedman e George Stigler, la pi nota e neoliberista, a partire dagli anni Cinquanta; quella di Robert Lucas, Eugene Fama e altri, degli ultimi venticinque anni. Le teorie reh e emh non convinsero mai fino in fondo Milton Friedman: le considerava utili a sostenere la supremazia del mercato, ma tutt'altro che infallibili. Tra le altre scuole che pi hanno contribuito alla diffusione della reh e della emh, in un contesto ancora pi pluralista di quello tutt'altro che univoco di Chicago, ci furono la Carnegie-Mellon University di Pittsburgh, il mit, la Harvard Business School e la Stanford University. La emh, nella formulazione di Fama, prevede che i mercati sappiano giudicare al meglio perch sono il luogo dove si raccolgono il maggior numero di informazioni. E la reh, che ha trovato le pi nitide espressioni matematiche in Robert Lucas, dice che, sebbene il futuro non possa essere perfettamente pronosticato, le aspettative dei protagonisti sul mercato sono prevedibili perch usano le informazioni disponibili. Aspettative identiche al miglior pronostico possibile sul futuro. Con queste teorie alla base, negli anni Novanta Wall Street cominci a sviluppare una serie continua di innovazioni finanziarie per trasferire i rischi su altri investitori, come i fondi pensione e i fondi comuni di

investimento, affamati di rendimenti elevati, i cosiddetti derivati. Il pi esteso di questi mercati divent quello dei cds, Credit Default Swap, uno strumento che era stato inventato in Europa all'inizio degli anni Novanta, ma che ebbe il suo boom a Wall Street. Che cosa un cds? Il concetto di base non impossibile da capire. I primi cds furono il frutto di un accordo tra banche. La banca a, il venditore dello swap, si accorda per pagare un interesse annuale per un periodo fisso alla banca b, l'acquirente dello swap, con riferimento a uno specifico portafoglio di prestiti. La banca b si impegna ad avallare le perdite della banca a per tutta la vita dello swap. Le condizioni vennero standardizzate e gi nel 2000 il valore astratto dei contratti era salito a circa un milione di miliardi di dollari. Scrive Margiocco: Nel 2007, all'inizio della crisi il valore nominale stimato dei contratti cds era salito a 42,6 milioni di miliardi di dollari. Per dare una idea della dimensione del fenomeno, la capitalizzazione di Borsa degliStati Uniti nello stesso periodo era pari a circa 18,5 milioni di miliardi e il mercato dei Bond americanidi soli 4,5 milioni di miliardi. Nel 1999 Clinton, come abbiamo visto in precedenza, abol definitivamente la linea di confine tra banche d'investimento e banche commerciali, il cui fondo rischi sui crediti cresceva di giorno in giorno. La legge, firmata dal presidente il 12 novembre 1999, fu ribattezzata Financial Services Modernization Act, o glb dalle iniziali dei primi firmatari. Questa legislazione davvero storica, dichiarava Clinton. Siamo all'altezza di quanto chiede il popolo americano. Wall Street salut quell'annuncio con un balzo in avanti di 174 punti dell'indice Dow Jones. E Lawrence Summers ministro del Tesoro e maestro di cerimonie dell'approvazione della legge, immortalato in foto con un Clinton raggiante

al momento della firma, attorniato da senatori e deputati aggiunse: Con questa legge il sistema finanziario americano compie un gran balzo in avanti verso il xxi secolo!. Quel giorno, naturalmente, c'era anche Alan Greenspan a festeggiare. I danni prodotti dalla modernization furono ulteriormente amplificati dall'esito della trattativa fra Repubblicani e Democratici per far approvare il provvedimento. I primi ottenevano la legge, con il via libera alla deregolamentazione di tutti gli swaps. I secondi, pur vicini ormai al mondo finanziario, dovevano comunque offrire qualcosa di concreto anche al loro elettorato pi tradizionale, insensibile alle gioie di Wall Street, e lo fecero inserendo nella glb una clausola sociale: offrire i vantaggi offerti dalla nuova legge anche alle banche che concedevano mutui alle minoranze e ai ceti economici pi disagiati Il mito di una nuova finanza autoregolata si univa a quello dell'indebitamento capace di realizzare il sogno americano di una casa di propriet per tutti, anche per chi non aveva soldi. Partiva cos la grande stagione dei mutui subprime, che passarono da 160 miliardi di dollari nel 2000 a 1.300 miliardi nel 2007. La glb pass a larghissima maggioranza al Senato e alla Camera. Fra gli otto senatori che votarono contro, c'era Byron Dorgan, Democratico del Nord Dakota: una sua dichiarazione filmata all'epoca diventata, dieci anni dopo, un video di culto in rete. Voglio mettervi in guardia oggi contro questa legge, che penso sia sostanzialmente terribile, dice il senatore nel filmato. Penso che tra dieci anni ci guarderemo indietro e diremo che non avremmo dovuto farlo. Decine di voci della societ civile si levarono in protesta. Alcuni misero in guardia sul fatto che si stavano creando dei giganti finanziari ingovernabili, che un giorno i contribuenti avrebbero dovuto comunque salvare. Ma come si faceva acombattere una legge battezzata Financial Modernization senza apparire retrogradi? Il successore di Greenspan alla fed, Ben Bernanke, rimarr sulla stessa linea ancora nel maggio 2007, due mesi prima dell'inizio degli interventi di salvataggio. In collegamento via satellite a un convegno in Georgia sui

mercati finanziari, Bernanke dichiarava: L'innovazione finanziaria ha portato enormi benefici. E la dispersione del rischio in modo pi ampio nel sistema finanziario ha, finora, aumentato la resistenza del sistema e dell'economia. A dimostrazione del fatto che la fed non aveva capito nulla. All'inizio del nuovo millennio, le banche erano ansiose di evitare che troppi bad debts apparissero sui loro bilanci e cos cominciarono a impacchettarli e rivenderli a investitori non soggetti a controlli. Furono inventati derivati di vario tipo, strumenti finanziari sempre pi complessi e sempre pi sofisticati, basati sulla convinzione erronea che i mercati tendono sempre all'equilibrio. La superbolla a quel punto comincia a prendere il via. Sui derivati vale la pena ricordare la spiegazione che ne ha dato agli inizi dell'anno 2000 al Consiglio di Stato cinese (l'equivalente del nostro Consiglio dei ministri) un giovane avvocato d'affari, Gao Xiqing, che dopo essersi laureato a Pechino nel 1978, e dopo aver preso un master in Legge sempre nella capitale nel 1981, aveva studiato Legge anche negli Stati Uniti, presso la Duke University, diventando il primo cinese a passare l'esame di abilitazione ad avvocato, il Bar Exam, nello Stato di New York. E dopo aver lavorato in uno dei pi famosi studi legali di Wall Street lo stesso di Richard Nixon tornato in Cina nel 1988 diventando President and Chief Investment Officer della China Investment Corporation, la famosa cic. L'episodio riportato nel libro di Mario Margiocco Il disastro americano: Per spiegare i derivati, Xiqing us la cosiddetta teoria degli specchi: prendiamo un bene, ad esempio un libro, che ha un valore preciso. Possiamo scegliere di acquistare il libro in questione oppure un certificato azionario che ne assicura la propriet, o quella di una sua quota. Questo il primo specchio. Poi se ne pu aggiungere un altro, comprando un titolo legato al certificato azionario: questo il primo derivato. Da qui in poi si possono aggiungere diecimila specchi, tutti con il loro derivato, dando cos un'immagine quasi perfetta e riuscendo a far contenta la gente interessata a investire nel libro. L'immagine per pu interrompersi, a un certo punto. E tutto pu sparire, diceva Xiqing. Dieci anni fa, i sommi governatori della Cina si misero a ridere

ascoltando questa teoria. La cosa peggiore era che i derivati e gli altri strumenti erano cos sofisticati che la fed non riusciva pi a fare un adeguato calcolo dei rischi. Nel 2000 ci fu lo scoppio della bolla Internet. La fed reag abbassando in pochi mesi il tasso di interesse dal 6,5 per cento al 3,5. Poi ci furono gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 e la fed abbass i tassi fino all'1 per cento a partire dal luglio del 2003, i pi bassi da mezzo secolo, e cosrimasero per un anno intero. Per 31 mesi consecutivi il tasso di interesse a breve termine depurato dell'inflazione rimase negativo: in pratica il denaro per le banche era diventato gratuito, e quando cos chi fa prestiti continuer a prestare fino a quando non c' pi nessuno che vuole prestiti, nemmeno l'ultimo degli ultimi. Dal 2000 al 2005 il valore degli immobili crebbe di oltre il 50 per cento. Si stima che la met della crescita del pil americano nella prima met del decennio fosse relativa al mercato immobiliare, sia direttamente, attraverso la costruzione di case, che indirettamente, attraverso gli acquisti legati all'edilizia (arredamento, idraulica dei bagni, e cos via). D'altra parte, era una cosa logica: quando ci si aspetta che il valore delle propriet aumenti pi del costo del denaro, ha senso acquistare immobili, soprattutto seconde case. Nel periodo 1999-2001, in poco tempo la massa del valore della finanza, inclusi i derivati, divenne pari al pil di tutti i paesi del mondo, per poi proseguire senza sosta, fino a diventare 10 volte il pil mondiale. Il problema centrale di prevenire le crisi finanziarie stato risolto, a tutti i fini pratici, ed stato risolto per molti decenni a venire, dichiar avventatamente il 10 gennaio 2003 Robert Lucas, premio Nobel per l'economia nel 1995. Le nuove operazioni finanziarie, sviluppate all'interno della rete Internet, erano sempre meno collegate all'economia reale, e diventarono rispetto a questa sempre pi autonome: in pratica erano scommesse. Intanto la fed e chi avrebbe dovuto vigilare facevano sempre pi fatica a capire cosa stesse succedendo.

Lo racconta con grande lucidit sempre Mario Margiocco: Non un ruggito, ma un miagolio emerse il 28 aprile 2004, quando i cinque membri della sec sedevanoa un tavolo in una sala riunioni del seminterrato nella sede di 5th Street Northwest, a Washington, adue passi dal National Museum of Crime and Punishment. C'era da esaminare una richiesta, ormai pressante, delle grandi banche d'affari, che volevano eliminare le riserve obbligatorie per le rispettivesezioni di brokeraggio. In cambio accettavano un sistema di autocontrollo computerizzato, aperto allasec. Henry Paulson, l'allora capo della Goldman Sachs e futuro ministro del Tesoro di Bush, guidava la carica per ottenere l'abolizione delle riserve. Come osserv uno dei commissari, Harvey J. Goldschmid, un giurista della Columbia University, l'unico a manifestare dubbi sul provvedimento (anche se poi vot a favore di esso): Sono i pezzi grossi di Wall Street che chiedono questo, ci significa che se qualcosa va storto, sar un gran bel guaio. Ma Annette L. Nazareth, funzionario responsabile della regolamentazione dei mercati, aveva assicurato che per la prima volta le banche d'affari, con le nuove regole, avrebbero potuto ricevere dei limiti all'indebitamento da parte della sec. Limiti che per non arrivarono mai. L'indebitamento esplose e la sec neppure utilizz la nuova disponibilit di dati per controllare l'esposizione delle banche al settore dei mutui subprime, quando questi cominciarono a tremare. Curiosamente, tutto nasceva da una richiesta della Commissione ue di controllare le attivit delle filiali europee della Goldman Sachs. Bruxelles avrebbe accettato di soprassedere se la casa madre avesse aperto i libri alla sec, su cui c'era allora imprudentemente, possiamo dire oggi grande fiducia. Le banche d'affari accettarono, ma chiesero in cambio l'esenzione dai limiti delle riserve di capitale. E la sec non controll mai fino in fondo i loro libri contabili. Quel pomeriggio a Washington tutto fu deciso in 55 minuti e votato all'unanimit. Era la corda con cui le banche d'affari di Wall Street, portando all'eccesso l'indebitamento soprattutto su titoli a rischio come i derivati legati ai subprime, si sarebbero in seguito impiccate. Un esperto di software finanziario dell'Indiana scrisse alla sec per spiegare che lasciare alle banche d'affari l'autogestione del rischio era una mossa suicida perch gli strumenti informatici non erano fattiper anticipare

momenti di rischio eccezionale. Secondo il consulente informatico Leonard B. Dole, sistava ripetendo l'errore che aveva provocato nel 1998 il crollo dell'hedge fund ltcm. Solo che questa volta rischiava di franare tutta Wall Street. Ma neanche Dole fu ascoltato. Annette Nazareth divenne poi nel 2005 commissario sec, incarico che avrebbe mantenuto fino al gennaio 2008. E un anno dopo, in seguito alla rinuncia dell'avvocato Rodgin Cohen a diventare vice di Geithner al Tesoro, fu persino per alcune settimane in prima fila per quell'incarico. Il suo nome stato ritirato dopo dei segnali di nervosismo dal Congresso. Ma il solo fatto che fosse stato sostenuto, come quello di Rodgin Cohen del resto, indica come fosse vaga agli inizi dell'amministrazione Obama la consapevolezza dei motivi che avevano provocato il crollo dei mercati. E quanto trasversale fossela rete di connessioni tra vecchio e nuovo governo. Nell'agosto del 2007, mentre scoppiava la crisi, mi trovavo in India dove, in osservanza al pi comune dei luoghi comuni legati a quel paese e al suo immaginario, mi ero recato per riflettere e riprendermi da un periodo non proprio felice. A ogni modo, e contro ogni previsione, quel mese si rivel prezioso: incontrai Alice, che poi diventata mia moglie, e i giornali indiani mi offrirono un angolo visuale perfetto, competente e non condizionato, dal quale seguire la bufera finanziaria che si stava abbattendo sull'Occidente. Nessun posto migliore dell'India per capire che l'homo oeconomicus non poi cos homo oeconomicus. Ma andiamo con ordine. Un mercoled di fine luglio 2007, mi ero svegliato presto e insieme a un avvocato d'affari romano avevo preso un volo da Roma per Torino. Alle 11 di quella mattina avevamo un appuntamento con Andrea Agnelli. Erano mesi che il mio compagno di viaggio cercava di fissarlo. Non potevo dirgli di no, adesso che ci era riuscito. E neanche potevo raccontargli quello che mi era successo negli ultimi mesi e che quindi per me, in quel momento, discutere di affari non aveva molto senso. L'Agnelli, che aveva appena costituito una societ finanziaria piena di

liquidit e pronta a fare investimenti, mi sembr un agnellino. Voleva fare bene il mestiere di famiglia. Al suo fianco sedeva un bocconiano milanese di altezza superiore alla media. Nu splng, avrebbero detto a Quintodecimo, il paese dove sono nato. L'ufficio si trovava in un appartamento nel centro di Torino. Non ricordo se l'aereo per tornare a Roma doveva partire alle due o alle tre del pomeriggio, fatto sta che o l'Alitalia o l'aeroporto di Torino non avevano calcolato che in quei giorni migliaia di meridionali partivano per le ferie al Sud, e non lo facevano pi con un'utilitaria fiat, ma sempre pi spesso in aereo. Risultato: l'aeroporto era completamente assediato. Ci offrirono di partire alle otto di sera. Non c'era niente da fare. Dopo che io e il mio compagno di viaggio esaurimmo quello che dovevamo dirci sull'esito dell'incontro e su come preparare al meglio la riunione che avremmo avuto a Roma a settembre, tirai fuori un libro dal mio zainetto ne avevo appena comprato uno nuovo di zecca, di colore rosso scuro, l a Torino e mi misi a leggere. Il venerd successivo sarei partito da solo per l'India. Avevo bisogno di allontanarmi per qualche tempo dall'Italia. I mesi precedenti non erano stati facili. Decisi di mandare un sms ad Alice. Era la prima volta che lo facevo. Rispose subito. Era al Lido di Venezia con suo figlio Ernesto. Mentre le ore passavano troppo lente all'aeroporto di Caselle, mi misi a pensare a lei. Ci eravamo conosciuti a una cena su una terrazza del Campidoglio, alla vigilia della finale del Premio Strega, vinto quell'anno da Niccol Ammaniti. Non uscivo di casa da due mesi. La bandiera dell'umore sventolava sempre nera, senza segnali di miglioramento in vista. Non volevo andarci a quella cena. Ma all'ultimo momento mi ero fatto convincere da un amico a fare una cosa che fino a quel giorno avevosempre rifiutato: consegnargli la mia scheda di votante al premio. Avevo criticato in pubblico varie volte questo comportamento. E ora, invece, eccomi l, tra quei tavoli: l'amico era tale da decenni e non ero

riuscito a dirgli di no. Doveva mettere insieme quattro o cinque schede per aiutare il suo datore di lavoro. Cupo, amareggiato, per come vedevo il mondo in quel momento fargli questo favore mi sembr cosa buona e giusta. Perch dovevo comportarmi diversamente dai tanti? Chiamai all'ultimo minuto la mia amica Domiziana Giordano, che fu felice di accompagnarmi. Leiadorava le cene e le feste. Avevamo fatto insieme vita mondana in un'isola greca l'anno prima. Appena arrivato in Campidoglio consegnai subito la scheda al mio amico. Non volevo trattenermi tutta la sera. Ci capit di sedere al tavolo Guanda. Conoscevo molte persone, e quelle che non avevo mai incontrato prima le conoscevo di nome e mi faceva piacere vederle. Ammaniti curava con una certa classe le pubbliche relazioni. Fu molto carino con tutti, anche con me e Domiziana. Se soffriva, non lo dava a vedere. E cos a un certo punto, a un certo punto, a un certo punto ecco che a Raffaele Manica, notoprofessore di Letteratura, viene un'intuizione. capitato al tavolo vicino a una ragazza bionda, che gli sta parlando del suo ultimo work-in-progress, un saggio sull'erotismo in Moravia e l'influenza che questo ha avuto sugli scrittori degli anni Novanta. Ci che deve aver pensato : perch non presentare questa ragazza a Elido Fazi? Cosa c' di pi normale? Una scrittrice in cerca di un editore. Quando mi strinse la mano pronunciando il suo nome Alice sorridendo alla luce della luna, pensai che fosse una sua laureanda che voleva pubblicare la tesi. Nei trenta secondi di conversazione, lei ci infil un'informazione: la sera seguente era stata invitata alla finale del premio al Ninfeo di Valle Giulia. Con un altro invito all'ultimo minuto, chiesi a Domiziana di accompagnarmi al Ninfeo il giorno dopo, anche se non avevo pi la mia scheda e la mia presenza fisica non era quindi richiesta. Non avevo dubbi che nel bel mezzo della festa sarebbe riapparsa Alice. Avevo indossato una t-shirt nera sotto il vestito di lino, nero anch'esso. Immagine fedele di come mi sentivo. Stavo parlando con Gabriella Sica e

Valeria Paniccia quando si avvicin. Gli ricordai di nuovo la mia email, in caso volesse mandarmi il manoscritto di cui mi aveva parlato. Il giorno dopo, era venerd, il manoscritto arriv. Cominciai a leggerlo quasi subito. Domenica pomeriggio l'avevo finito. Non pubblicabile, non cos com'era. Ma gliel'avrei detto a voce. La invitai a pranzo al mio solito ristorante, Dalle Signore, alla Birreria Peroni di via Brescia. Cercai di essere sincero spiegandole perch, cos com'era, il suo testo non funzionava. Non parlavo con unadonna, tranne che per questioni di lavoro, da tre mesi esatti. Cominciai a raccontarle le mie catastrofi, come se stessi chiacchierando con un amico d'infanzia che non vedevo da anni, e non con una sconosciuta. Le raccontai troppe cose, compresa la storia che mi portava, la settimana seguente, acinquantacinque anni suonati, a iniziare un pellegrinaggio solitario in India. Quel pomeriggio ero gi pentito. Come mi era saltato in mente di confidarle tutti i miei guai? Il giorno dopo il rientro da Torino, mentre in ufficio cercavo di mettere a posto le ultime carte e firmavo i documenti necessari per pagare gli stipendi prima di partire, mi venne in mente di chiamarla. Io vado in India, perch non vieni pure tu?. Il giorno seguente, mentre il taxi stava per imboccare dal raccordo anulare lo svincolo per Fiumicino, decisi di chiamarla di nuovo. Continuai con lo scherzo sull'India. Poco prima di imbarcarmi sul volo per Kuwait City-Nuova Dehli, ricevetti un sms: Mi sa che ci vediamo in Oriente. Due giorni dopo essere arrivato in India, mentre esploravo la fortezza rossa dei Mogul, cercando di adattarmi al pi presto al caos di Dehli, Alice mi conferm che sarebbe arrivata il 9 agosto, alle cinque di mattina, con lo stesso volo della Kuwait Airlines.

Passai qualche giorno a New Delhi e poi prenotai un volo per il Rajastan. Arrivai a Udaipur, una splendida citt medievale affacciata su un lago al cui centro c' un'isoletta che, dopo essere stata per secoli la reggia estiva di un maharaja, ora un albergo (famoso soprattutto in Italia perch i fratelli Vanzina vi hanno girato Natale in India). l che volevo portare Alice. Meglio esplorarlo bene prima. Al Lake Palace cominciai ad ascoltare ogni sera, al tramonto, la Sinfonia n. 3 in re minore di Mahler. Ne ero attratto come fossi un chiodo vicino a una calamita. Non riuscivo a capire perch, all'improvviso, quella musica mi piacesse cos tanto. Cos come trovo banale inventare della musica per un programma, trovo insoddisfacente e infruttuoso tentare di dare una spiegazione a un pezzo di musica. In ogni modo, dapprima, poich il mio stile appare ancora strano e nuovo, bene che l'ascoltatore prenda alcune indicazioni e alcuni punti di riferimento per orientarsi nel suo viaggio, o piuttosto una mappa degli astri, per poter comprendere il cielo notturno coi suoi mondi scintillanti. Ma una siffatta spiegazione non pu contenere di pi. L'uomo deve compiere l'associazione con qualcosa di gi conosciuto, altrimenti perduto, ha detto, scrivendo a un amico, Mahler stesso di questa sinfonia. I tempi nelle sinfonie di Mahler possono cambiare. Nella versione che avevo nel mio iPod, gli otto corni che iniziano all'unisono il primo movimento, senza accompagnamento, una marcia popolareaustriaca credo, durano esattamente quindici secondi, poi si sentono tre forti colpi di tamburo. Dopo trenta secondi la musica comincia ad affievolirsi. Allo scoccare del sessantesimo secondo arriva un lunghissimo silenzio, quindici secondi. Secondo la mappa delle stelle fornita direttamente dall'autore, pare sia un inno al dio Pan. Dal Lake Palace una barca portava a riva, ogni volta che si voleva, sulla sponda della citt, da dove si poteva facilmente raggiungere, a piedi, il centro. Scoprii che Udaipur era la capitale di un antico regno indiano, il regno del Mewar. Vi aveva governato, dal 1500 in poi, un'antica dinastia di

sovrani indiani che avevano mantenuto l'indipendenza senza mai accettare alleanze con i Mogul. A piedi, come dicevo, si poteva raggiungere il centro, con i suoi templi e i suoi caff e poi la riva del lago, con i suoi ghats. Un giorno, nella solita barca che ci riportava all'isola dov'era l'albergo, prese posto vicino a me un grassone indiano, che con il suo buffo inglese parlava di business con un americano; progetti immobiliari, resort e alberghi che avrebbero voluto o dovuto costruire intorno alle sponde del lago Pichola, ancora intatte. Pensai in quel momento che forse ha ragione Salman Rushdie quando dice che l'unica, vera fede dell'India non l'induismo o il buddhismo ma l'affarismo. Poco dopo mi distrassi e non li ascoltai pi. Tra pochi giorni sarei stato di nuovo in compagnia. Non c'era verso: l in India dovevo per forza di cose fare il punto su me stesso, prima che Alice arrivasse. Negli affari avevo avuto un certo successo, anche se qualche anno aveva grandinato. Ma nelle cose sentimentali ero un disastro, una lunga fila di croci, di storie finite. Mentre ero perso nei miei pensieri, il timoniere attracc al molo dell'albergo. L'indiano dai baffi giganti, un gigante lui stesso, che con un enorme ombrello colorato mi accompagnava all'ingresso, sorrideva, come sempre. Cominciai a sospettare che fosse un mago capace di leggere nei miei pensieri. Aveva notato che tutte le sere sceglievo sempre lo stesso posto, nel punto pi isolato dell'isolaalbergo, per godermi il tramonto. Appena arrivava il buio, le ciglia mi si abbassavano e spesso ascoltavo Mahler in stato di dormiveglia. Le luci che vedevo non erano pi quelle dei palazzi a riva. Mi ricordai di un verso che avevo scritto a Nosy Be in Madagascar: Oh come dolce se cos la morte.

Un endecasillabo venuto cos, gi pronto. Mi informai su chi fosse il miglior indovino di Udaipur. Abitava in una spelonca, non lontano dal tempio pi importante. Pass alcune ore a guardarmi le mani e a tastarmi. Poi cominci a parlare. Per rassicurarmi che le sue non erano chiacchiere cominci con il passato. Avrei cos potuto verificare personalmente che quello che diceva era vero. Non era lontano, in effetti: Not far from Truth. Cominciai ad ascoltarlo con sempre maggiore attenzione. Finch giunse il momento di parlare del futuro. Qualcosa gli avevo raccontato, non mi aveva solo palpato le mani e i piedi. Gli avevo detto che ero in India da solo in attesa che arrivasse una sconosciuta. Volevo delle previsioni accurate. Non si sbilanci tanto sui dettagli ma fece delle previsioni pi a lungo termine: gli anni che sarebbero stati belli e quelli che sarebbero stati brutti. Subito dopo raccontai tutto ad Alice, prima via sms e poi per telefono. Facevamo lunghissime chiacchierate, anche di un'ora. Io, sospettoso come al solito, non ero ancora sicuro che la sua non fosse una presa in giro. Mi ero fatto tutta una cultura sulle donne serpenti. Magari all'ultimo minuto ci avrebbe ripensato. Ma anche se fosse andata cos, di che cosa avrei potuto lamentarmi? Che non aveva mantenuto lapromessa di venire in India? Oppure immaginavo un imprevisto: desiderava venire, ma all'ultimo minuto non trovava pi il passaporto. Dopo Udaipur, volai a Jaipur e dintorni. Il Rambagh Palace, anche questo l'ex palazzo di un maharaja, non era male, ma la citt era troppo chiassosa. La esclusi dal mio tour. Mi ero stancato di tutte quelle regge. Decisi di cambiare stile. Prenotai una pensione a Pushkar, una citt ancora pi piccola di Udaipur, anch'essa sulle rive di un laghetto, famosa per i suoi quattrocento templi. Noleggiai una macchina e mi trasferii l. Una sera venne gi l'ira divina. Mentre ero al ristorante, la cittadina

venne letteralmente sommersa. L'acqua mi arrivava alla cintola quando tornai alla pensione, la sera tardi. Il giorno dopo la citt era piccola incontrai una ragazza giapponese con cui avevo conversato la sera precedente mentre fuori diluviava. Veniva a lavorare l per un mese l'anno per conto di una fondazione. Quella sera sarebbe andata alla festa di compleanno di un suo amico, in campagna. Allarg l'invito anche a me. La casa era lontana, fuori citt, e molto grande. Le donne e gli uomini indiani si erano divisi il territorio. C'era poi una zona mista in cui si mangiava e si parlava. La giapponese aveva scritto un libro e ne stava scrivendo un altro. Io ero la persona giusta con cui parlarne. Mi sembr troppo sicura della sua filosofia. Io non avevo tutte quelle certezze. Voleva tornare con me in macchina a Jaipur. Per fortuna, mentre tornavamo a Pushkar, arriv la telefonata di Alice, che si protrasse a lungo. Non potevo certo interromperla dicendole che non ero solo. Chi era?, chiese indispettita la giapponese solo perch avevo parlato quindici minuti al telefono. Non lo so ancora, risposi. Ci lasciammo come due buoni amici. Tornai a New Delhi l'8 agosto. Leggendo i giornali locali cominciai a capire quello che stava succedendo in America. Due giorni prima l'American Home Mortgage, una delle pi grandi finanziarie americane per l'acquisto di immobili, aveva avviato la procedura fallimentare dopo aver licenziato la maggior parte del suo personale. Tra un articolo di giornale e l'altro, faticai per trovare un mazzo di rose. Fortuna che alla fine in India si trova tutto. Alice sarebbe arrivata alle 5 di mattina del giorno dopo.

Non eravamo come Angelica e Tancredi che per giorni e giorni si macerano nelle stanze segrete del Palazzo di Donnafugata, indecisi se farlo o meno. Altri tempi. Il giorno dopo il suo arrivo prendemmo l'aereo per Udaipur. Fu durante il viaggio che appresi che bnp Paribas aveva sospeso tre dei fondi d'investimento per 2 miliardi di euro, adducendo problemi nel comparto dei finanziamenti ipotecari subprime negli usa. La Banca Centrale Europea, la bce, diretta allora dal francese Claude Trichet, aveva iniettato 95 miliardi di euro nel sistema bancario dell'Area Euro per alleviare i problemi. Rimasi sorpreso. Mi sembrava una cifra enorme. Al Lake Palace tutti sapevano che sarei tornato con una donna, anche il gigante dell'ombrello. Avevo scelto con cura la suite dove avremmo trascorso tre giorni. Godeva di una splendida vista sull'antico palazzo del maharaja, sulle sponde del lago di fronte. Non volevo passare come un fissato che ascolta ogni giorno la stessa sinfonia. Non volevo fare la figura del chiodo matto attratto dalla calamita. Quella sera a cena, per convincerla che il giorno dopo doveva ascoltare Mahler insieme a me sull'iPod, una cuffia a testa, feci ricorso alle mie scarse nozioni di filosofia. Prima per feci una premessa: nell'iPod avevo di tutto, anche Franco Califano. Cominciai da quel principio che i greci chiamavano homoion: quel che noi conosciamo deve gi essere in noi stessi. Noi conosciamo solo ci che siamo o possiamo essere. All'inizio, questo pensiero pu sembrare un'assurdit, anzi sembra pi vero il contrario. Uno ascolta la musica e pensa che ci sia uno, un Soggetto, che ascolta e poi un Oggetto, cio la musica. Pensiamo che soggetto e oggetto siano due enti separati. Ma non cos; non lo per un motivo semplice semplice. Il Soggetto infatti condizione dell'Oggetto e l'Oggetto condizione del Soggetto. Nessuno dei due vive senza l'altro. Ti annoio?. Mi era venuto all'improvviso il dubbio che le donne mi

lasciassero per un motivo molto semplice: forse ero un tipo noioso. Rispose che non si annoiava, ma non capii se fosse sincera. Ripresi l'esposizione delle mie teorie. I due, Soggetto e Oggetto, non sono simili, come due elementi che noi possiamo paragonare, anche se sono legati a doppio filo. L'oggetto della conoscenza inseparabile da chi lo conosce. Citai a memoria, per impressionarla, una frase di Mahler. L'uomo deve compiere l'associazione con qualcosa di gi conosciuto, altrimenti perduto Sicura che non ti annoio?. No, vai avanti. Voglio solo finire questo ragionamento. Solo dentro il nostro Io esiste l'esperienza di ci che i pensieri ci procurano. Ci osserviamo, ci appropriamo dei pensieri degli altri, li assimiliamo. La Verit di cui parla Keats, la Verit che sempre Bellezza, non pu essere vera se non in connessione alla realt di colui che pensa. Questo vero gi nella scelta dell'oggetto dei nostri pensieri, nel modo in cui chi pensa, il Pensante appunto, sceglie il suo oggetto di riflessione, lo ama, ama se stesso, sceglie, agisce, si comporta in un certo modo piuttosto che in un altro. Mi resi conto che era la decima volta che citavo Keats in due giorni. Per quella sera era meglio finirla l. Avevo capito, per, che le piaceva ascoltarmi. E io avevo molta voglia di parlare. Il giorno dopo tornammo insieme dall'indovino, che stavolta non riusc a essere brillante come lo era stato con me. Non capimmo granch di come

sarebbe stato il nostro futuro. In compenso, per, facemmo amicizia con tutta la sua famiglia, la moglie e una decina di figli. Da Udaipur volammo a Jodhpur. L'albergo, della stessa catena del Lake Palace, non era come ce l'aspettavamo. Con la bellezza del primo ci eravamo bruciati tutti gli altri. Ci colp l'allegria dei bambini a una festa che si teneva all'interno di un cimitero, pochi chilometri fuori citt, in mezzo a centinaia di scimmie. I bambini, con genitori giovanissimi, erano tutti ben vestiti, allegri e molto forse troppo socievoli. Non chiedevano soldi, volevano solo farsi le foto con noi. Fu l che appresi qualche altra notizia sulla crisi. La Goldman Sachs aveva affermato che avrebbe immesso 3 miliardi di dollari in un hedge fund per sostenerne la quotazione. La notte di ferragosto cenammo a lume di candela all'interno del Forte di Mehrangarth, su un enorme terrazza da cui si poteva ammirare, al tramonto, l'azzurro delle case. Fuori c'era la notte, bella e necessaria. Nella mia memoria i ricordi sguisciavano come pesci. Dopo aver raccontato di Quintodecimo, Manchester, Londra, New York, Madrid, Atene, Lisbona, passavo il tempo a filosofeggiare. In pochi giorni avevo capito tutto del buddhismo e dell'induismo, o almeno cos sostenevo con Alice. Spesso quando si parla di illuminazioni improvvise, di cortocircuiti del nostro cervello, di Einstein che scopre il teorema della relativit o di Keats che scrive A thing of beauty is a joy forever, non sappiamo mai cosa pensare. La reazione pi giusta sarebbe comunque quella di ritenere che l'Illuminazione a posteriori la scoperta di un'Illuminazione a priori, di qualcosa che esisteva gi. Ci che l'Immaginazione coglie come Bellezza deve essere vero, che esistesse prima oppure no. Alice mi guardava in modo strano. Tutti quei discorsi confusi le facevano pensare, ne sono sicuro, che non fossi del tutto sano di mente. Sfruttavo soprattutto le lunghe pause negli aeroporti per documentarmi su quello che stava succedendo in America, osservando il dibattito vibrante, come direbbe il nostro presidente Napolitano, sulla questione

geopolitica che stava pi a cuore agli indiani: in caso di guerra meglio stare con gli americani o con i cinesi? Gli americani facevano di tutto per ingraziarsi gli indiani, erano disposti persino ad aiutarli con la loro tecnologia nel settore militare nucleare. Strano, pensai, ricordandomi dell'Iran e dell'annosa questione se stesse arricchendo l'uranio per scopi civili o militari. Affittammo una macchina, attraversammo il deserto del Thar fin quasi ai confini con il Pakistan, fermandoci a dormire a Jaisalmer, in mezzo al deserto, una citt del xii secolo ancora intatta. Passammo un intero pomeriggio sulla terrazza di un albergo dentro le mura, a parlare per ore e ore, di editoria e di Zeta, di filosofia e di poesia anche se lei non voleva prendermi sul serio e Keats era ormai diventato unnome impronunciabile. Secondo me, le dicevo, ci che distingue il pensiero scientifico dal pensiero dei filosofi, dei poeti e dei teologi questo: la nostra coscienza, la nostra ragione, l'intero nostro essere non pu conoscere l'oggetto della Verit scientifica se non in modo universalmente valido. Il punto di vista soggettivo, se uno pensa scientificamente, ovunque identico. Non c' nessuna originalit in chi arriva a capire per secondo. Noi, e su questo mi scaldavo, dobbiamo superare il pensiero di quelli che hanno negato per secoli la legittimit di ogni interrogazione al di l della fisica. Tutti coloro in grado di pensare sanno che cos. La scienza si dedica ai fatti, alla materia; la filosofia e la poesia ai valori, ai significati ultimi. La conoscenza empirico-scientifica e i percorsi della conoscenza filosoficateologica-poetica appartengono a piani diversi, non possono intersecarsi, sono tra loro incommensurabili, risultano reciprocamente intraducibili. In questo modo essi non sono conflittuali. Vivono su due sfere diverse. Come gi diceva Nietzsche, tra la poesia, la filosofia, la religione e le scienze non pu svilupparsi un'amicizia. Ma non ci dovrebbe neanche essere inimicizia. Si occupano della stessa cosa: l'uomo, l'essere, il cosmo. E oggi noi dobbiamo essere aperti, non avere nessunapreclusione al dialogo tra i due campi. Non possiamo pi pensare solo in un modo o nell'altro: la conoscenza umana non solo razionale, ma

anche simbolico-affettiva. La ragione e le emozioni sono inseparabili, come ci ha spiegato bene Antonio Damasio. Avrei potuto tranquillamente applicare i miei ragionamenti a quello che stava succedendo in America. Avevo avuto la fortuna di studiare Economia a Manchester dopo che i monetaristi che avevano occupato quella facolt, come David Laidler, si erano trasferiti oltreatlantico. Il mio professore di Teoria della crescita economica era Ian Steedman (famoso per aver scritto il volume Marx after Sraffa), il principale economista neo-ricardiano inglese, e con lui avevo fatto la tesi. Alla teoria della concorrenza perfetta basata sulla conoscenza perfetta l a Manchester non credeva nessuno. E nessuno credeva alla teoria delle aspettative razionali contorte acrobazie mentali per difendere il sistema, specchio di un mondo immaginario che non ha alcun rapporto con la realt che stava elaborando a Chicago il futuro premio Nobel Robert Lucas. Tornammo a Dehli. Stavano arrivando i miei figli Tom e Francesco. Passammo tutti insieme solo una notte, esplorando a piedi uno dei quartieri pi malfamati della citt, davanti alla stazione ferroviaria. Dehli ha questo di bello: nonostante tutto, uno si sente sicuro a girare di notte, anche nelle zone peggiori. L'anno dopo, nel settembre del 2008, quando ci furono i botti pi clamorosi della crisi finanziaria, io, Alice e i nostri due figli, Francesco ed Ernesto, eravamo appena tornati da una lunga vacanza in Giappone. L non c'erano buoni giornali in inglese come in India, e non avevo seguito con attenzione le notizie finanziarie. Ripropongo brevemente una storia ben nota. Il 7 settembre 2008 vengono salvate dal fallimento e nazionalizzate due grandi finanziarie pubbliche, Fannie Mae e Freddie Mac, quando ormai il mercato si rifiutava di far loro credito. Non mi sorprese molto, anche se una cosa simile sarebbe stata impensabile fino a qualche mese prima Una mossa gigantesca: in un colpo solo finiva sotto l'ombrello federale una

massa di impegni finanziari pari a oltre 5.000 miliardi, pi di un terzo del pil americano. Una settimana dopo, il 15 settembre, la banca d'affari Lehman Brothers a dichiarare bancarotta, con ancora attaccato al marchio una bellissima tripla a da parte delle tre pi rinomate agenzie di rating. Il 16 settembre Bush ii, con i soldi dei contibuenti, 450 miliardi di dollari, salva aig, la prima compagnia assicurativa americana che, con una sua controllata londinese, aveva assicurato di tutto (mutui subprime, derivati e altro) senza poter assolutamente far fronte agli impegni. Con tutti quei soldi si poteva salvare tre volte la Grecia. Nel 1987, aig aveva aperto a Londra una piccola struttura, subito invasa da un gruppo di trader ferrati in matematica e decisi a cavalcare le opportunit offerte dai derivati. Tra il 1987 e il 2007 l'aig Financial Products (aigfp) aveva fruttato alla casa madre 5 miliardi di dollari di utili lordi, soprattutto dopo il 2001, quando i derivati ormai volavano e al comando della societ era arrivato Joseph Cassano (il cui cognome per noi italiani gi tutto un programma). Con il pieno appoggio dell'allora numero uno e padre-padrone di aig, Maurice Hank Greenberg, Cassano si gett a capofitto nei derivati. aigfp assicurava debiti corporate sottoscrivendo cds. E con Cassano pass dall'assicurare le relativamente affidabili obbligazioni societarie ai meno garantiti crediti al consumo; e naturalmente ai mutui, o meglio i titoli derivati dai mutui, compresi i subprime. Secondo alcuni esperti della crisi, il vero detonatore, la carica che a settembre apr lo squarcio nella grande nave della finanza, sono stati i cds, e in particolare i cds di Cassano uno che deve somigliare al capitano Schettino che allora aveva contratti in essere per 450 miliardi. Come assicuratore, avrebbe dovuto avere riserve adeguate. Ma non ne aveva, n a Londra n nella casa madre. Erano assicurazioni senza garanzia, quindi delle non-assicurazioni. E alla fine toccato ai cittadini americani farsene carico, grazie a Paulson, a Bernanke e a Geithner.

Sembra che la fed, allora rappresentata nella trattativa non soltanto da Bernanke ma anche da Geithner, ancora presidente della fed di New York, sia stata innaturalmente generosa con i creditori della filiale londinese di aig. Infatti, quando a novembre 2008 erano stati effettuati i pagamenti, i creditori avevano ricevuto il prezzo pieno (100 cent per dollaro) senza alcuno sconto, come in genere avviene in operazioni analoghe, perch chi salva la situazione carica sui creditori anche una parte dei costi. Fra i beneficiati dagli oltre 62 miliardi di dollari offerti dai cittadini americani, c'erano varie banche, anche europee, ma soprattutto c'era la Goldman Sachs che, nella persona dell'amministratore delegato Lloyd Blankfein, aveva partecipato attivamente (non si sa a che titolo, essendo creditore interessato) alla trattativa per il salvataggio, svoltasi nel palazzone blindato della fed di New York, vicino al ponte di Brooklyn. A gennaio 2010, un deputato Repubblicano riuscito a ottenere la corrispondenza elettronica intercorsa nell'autunno del 2008 fra la compagnia americana e la fed di New York: quest'ultima invitava gli assicuratori a non divulgare i termini dell'intesa con i clienti di aigfp e soprattutto il fatto che le banchecreditrici sarebbero state risarcite al 100 per cento. Guardate il film Too Big to Fail per capire cosa sarebbe successo al sistema finanziario internazionale se il governo degli Stati Uniti non le avesse salvate. Il 22 settembre, anche la Goldman Sachs chiede aiuto, passando, per salvarsi, da banca d'affari a holding bancaria, ottenendo cos la piena copertura della Federal Reserve. Era saltato il banco. In quattro giorni era crollata Wall Street. Quello che Wall Street aveva fatto nei decenni precedenti era stato terrificante. Non solo aveva gonfiato a dismisura strumenti come i cds e le cartolarizzazioni, ma aveva gestito, con l'aiuto delle finanziarie pubbliche Fannie e Freddie, la pi grossa bolla immobiliare di tutti i tempi, resa possibile da un uso smodato e senza regole di cartolarizzazioni e derivati. Aveva fatto scommesse folli e manipolato la politica perch tutte le regole venissero abolite. Aiutata da compiacenti dottrine economiche che

assicuravano la sostanziale infallibilit del mercato. Ma come era potuto accadere tutto questo? A tutte le persone ragionevoli, a settembre del 2008 sembr che la crisi fosse derivata da tre cause. La prima era stata l'eccesso di liquidit. L'assenza di inflazione aveva fatto dimenticare che se l'eccesso di moneta non fa salire l'indice dei prezzi non pu far altro che creare delle bolle speculative, in particolare sul valore delle case, offerte ora anche a chi non aveva che poche migliaia di dollari a disposizione. Erano questi i sottoscrittori dei mutui subprime (letteralmente .non ottimali'), concessi cioa chi non aveva garanzie creditizie sufficienti. Tutto veniva comprato a credito, con due megafinanziarie immobiliari pubbliche, Fannie Mae (Federal Mortgage National Association) e Freddie Mac (Federal Home Loan Mortgage Corporation), garanti del sistema. La seconda causa era stata la deregulation, dovuta all'irrazionale fiducia in un mercato che, secondo teorie accreditate, avrebbe sempre e comunque teso all'equilibrio. E su questo nessuno aveva responsabilit pi grandi dell'ex presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, e del suo stretto collaboratore e successore Ben Bernanke. La terza causa era stata la crescita smisurata dei derivati, cresciuti talmente di volume da sopravanzare qualsiasi altro mercato. Creati per essere nella maggioranza dei casi un'assicurazione o una diversificazione o comunque un'alternativa, erano diventati una massa di rischio mai vista nella storia finanziaria. Ora, poich gli intermediari, come sono le banche, lavorano su commissione, chiaro che un mercato arrivato nel 2008 a 683.000 miliardi di dollari di valore effettivo dei contratti (10 volte il pil di tutto il mondo) rappresentava, e rappresenta, per le banche come Goldman Sachs che operano in questo settore, una fonte di utili senza confronti.

La Grande Depressione, ricordava tempo fa Paul Krugman, ha insegnato che non si deve mai sottostimare il potere distruttivo delle cattive idee. Ricordiamo la frase pronunciata da Lucas a gennaio2003 come presidente dell'American Economic Association, che gli stata, dopo il 2008, rinfacciata infinite volte. La miopia degli economisti ufficiali stata imbarazzante. Pensate che nell'agosto 2008, ormai in piena crisi, in un testo intitolato The State of Macro, Olivier Blanchard, l'economista francese che dal 1 settembre sarebbe diventato capo economista del Fondo Monetario Internazionale, definiva buono lo stato della macroeconomia. Ci trovavamo, scriveva Blanchard, in un periodo di grande progresso e vivacit dopo due decenni che avevano visto convergenza di visione e di metodologia. Paul Krugman, nella sua rilettura della dbcle del pensiero economico, sostiene che per Lucas e molti altri (ad esempio Blanchard e lo stesso Bernanke, cos legato a Milton Friedman) si trattato di un colossale abbaglio, una confusione tra Bellezza e Verit, dove la Bellezza era quella degli algoritmi matematici e la Verit quella di un mercato che altra cosa: scambiavano la Bellezza, vestita di abbagliante matematica, con la Verit.

Conclusione In questa cronaca di quanto sta oggi accadendo nel mondo ho cercato di seguire il consiglio di un grande filosofo brasiliano, professore di Storia del diritto all'universit di Harvard, Roberto Mangabeira Unger, autore di uno dei libri pi importanti del secolo scorso: Politics: a Work in Constructive Social Theory (tre fitti volumi per circa duemila pagine pubblicati nel 1987 e non ancora tradotti in Italia). La sua opera ha influenzato profondamente le politiche del governo Lula, di cui Unger stato minister of Strategic Affairs. Una sintesi del suo pensiero, in circa seicento pagine, verr pubblicata a maggio 2012. Mangabeira Unger un tipo interessante, uno che mette la Negative Capability di John Keats alla base del suo pensiero. Il mio proposito, scrive Unger, sar quello di pensare nel modo pi semplice che posso ai problemi che vorrei discutere. Nel nostro tempo, la filosofia ha conseguito qualche trionfo soprattutto perch alcuni uomini sono riusciti a pensare con una semplicit inusuale. Prima di chiudere, per, riassumo brevemente i contenuti del libro primo di questa serie. Il sistema finanziario internazionale nato dopo la guerra a Bretton Woods, controllato da un consorzio di autorit finanziarie che rappresentano il mondo sviluppato (l'incarnazione del famigerato Washington Consensus), un sistema che mira a imporre una rigida disciplina di mercato a paesi recalcitranti come la Grecia e l'Italia, ma disposto tranquillamente a infrangere le sue regole quando il sistema finanziario stesso a essere in pericolo, ormai giunto al termine. Fine. Stop. Dopo la guerra, le banche centrali del mondo hanno accettato il dollaro come principale valuta di riserva internazionale. Di conseguenza, gli Stati Uniti hanno potuto finora permettersi politiche controcicliche, mentre altri paesi, soprattutto quelli che una volta erano chiamati in via di sviluppo, e altri paesi cosiddetti sviluppati, sono stati costretti a cavarsela con i propri mezzi.

La globalizzazione dei mercati finanziari, iniziata con la deregulation negli anni Ottanta della Thatcher e di Reagan, e oggi rimpianta al mondo solo da Marco Travaglio e da Lloyd Blankfein (un progettosostenuto soprattutto dai sacerdoti della concorrenza perfetta come Milton Friedman e poi da tutta la Scuola di Chicago e da alcune, per fortuna non tutte, grandi accademie americane), un modello che bisogna ormai considerare fallimentare. Non vero che i mercati tendono verso l'equilibrio, e senza questo assunto stupido e folle continuare a creare tutta la parafernalia di strumenti derivati, come quelli che ci descrive l'Economist in uno dei suoi ultimi numeri (uno special di diciotto pagine in cui ci si chiede se l'innovazione finanziaria che ha ripreso a creare mefistofelicamente a tutta birra sia una cosa buona o cattiva). Si capisce cheneanche chi l'ha scritto crede alle sue conclusioni, ossia che sarebbe tempting soffocare tutta questa creativit dopo la crisi del 2008, soprattutto se non si riesce a capire quali siano gli strumenti buoni e quelli cattivi. Poi, con un ragionamento quasi perverso, l'autore conclude che bisogna lasciar fare a Wall Street, perch se non ci fossero queste innovazioni non si potrebbero aiutare i milioni di poveri del Terzo Mondo, sprovvisti di credito, e che comunque c' bisogno di lots of capital in the system to head off a calamity. La teoria dell'equilibrio dei mercati una fantasia, su cui nessuno oggi pi disposto a scommettere, anche se purtroppo il capitale finanziario continua senza sosta a inventare strumenti nuovi, ed libero di circolare da un paese all'altro, rendendo difficile per gli Stati tassarlo o regolarlo. I governi prestano ormai pi orecchio alle richieste del grande capitale internazionale, a Wall Street tanto per intenderci, alla Goldman Sachs che ne leader assoluto, piuttosto che alle aspirazioni dei propri cittadini. La globalizzazione dei mercati finanziari ha servito bene i pochi, soprattutto a Wall Street o nella City di Londra, ma non altrettanto bene il 99 per cento della popolazione mondiale. Ha fatto s che i risparmi mondiali venissero risucchiati verso il centro, e servissero a finanziare l'enorme debito pubblico degli Stati Uniti, il pi alto in termini assoluti al mondo, e il suo cronico disavanzo della parte

pubblico degli Stati Uniti, il pi alto in termini assoluti al mondo, e il suo cronico disavanzo della parte corrente della bilancia dei pagamenti. Si creata cos una situazione perversa in cui il capitale fluito da paesi pi o meno ricchi e da paesi poveri verso gli Stati Uniti. In Italia, un paese che fino a pochi anni fa vantava un tasso di risparmio tra i pi alti al mondo, inizier ora una battaglia per convogliare verso il centro gli eventuali risparmi che ancora non vi sono giunti, come quelli dei pensionati, degli operai e degli impiegati che li mettono nelle mani delle Poste. Seguite con attenzione il tentativo di privatizzare il ramo bancario delle Poste, mentre Passera comincia a costruire il suo dossier per argomentarne la privatizzazione. La bce sta avendo successo nel pompare liquidit a costi bassissimi, l'1 per cento, nel sistema bancario, ma questo flusso di credito non si trasferisce dagli istituti di credito alle imprese e ai cittadini che hanno bisogno di mutui. Lo ha detto persino, domenica 19 febbraio, Ignazio Visco, attuale governatore della Banca d'Italia, davanti ai cambisti del Forex. Le banche, secondo Visco, dovranno dimostrare di saper svolgere bene la loro funzione di allocazione del credito. Cio, in parole semplici, le banche dovrebbero tornare a finanziare imprese e famiglie, cosa che non stanno ovviamente facendo, nonostante siano state allagate di denaro a basso costo da parte della bce. E infatti i prestiti alle imprese sono scesi a minimi storici: le aziende faticano a ottenere fidi e le giovani coppie, anche quelle con il posto fisso, rinunciano persino a chiedere un mutuo per comprarsi una casa. Per ora le banche silimitano a prendere soldi all'1 per cento dalla bce e a reinvestirli in btp o altro, che rendono il 5-6 per cento. Su la Repubblica del 19 febbraio apparso un curioso articolo, L'America dice no all'austerity europea, a firma di Federico Rampini. Gli Stati Uniti, con alle spalle tutti i disastri che hanno portato all'economia internazionale, ci danno consigli. Il New York Times titola La strada fallimentare dell'Europa. Anche Washington, scrive il nyt, rischiava di soffocare sul nascere la crescita, se l'avesse affrontata con l'overdose di tagli e tasse che l'Europa sta somministrando. E poi Rampini se la prende con la Germania che continua ad avere un surplus

nella sua bilancia dei pagamenti: Una delle poche certezze che l'economia ci offre questa: non possiamo avere tutti un attivo commerciale, salvo che il pianeta Terra trovi il modo di esportare su Marte. Avrebbe dovuto prendersela anche con la Cina, che negli ultimi dodici mesi ha accumulato un surplus superiore (+201 miliardi di dollari) a quello tedesco (+188); poi con l'Arabia Saudita (+145), il Giappone (+108), la Russia (+84), l'Olanda (+66). In testa ai paesi con deficit nella bilancia dei pagamenti, come sempre gli usa (-466). Ma caro Rampini, ci sono stati sempre paesi in surplus nella parte corrente della bilancia dei pagamenti e paesi in deficit. Quello che non si era ancora mai visto che un paese, gli Stati Uniti, possa restare in deficit per oltre trent'anni. Poi la ciliegina sulla torta. C' un solo attore che gli americani salvano dal loro giudizio severo sulle politiche europee: la bce, che sotto la guida di Mario Draghi ha iniziato ad applicare una ricetta simile alla fed, con abbondanti iniezioni di liquidit. Simile alla fed? Ma non sono Alan Greenspan e Ben Bernanke ritenuti unanimemente i peggiori governatori della fed della storia degli Stati Uniti? Nessuno ha capito perch Obama non abbia sostituito Bernanke nel 2009, quando il suo mandato scadeva, innescando la domanda da cui siamo partiti: Ma chi comanda in America, Obama o Wall Street?. Senza che nessuno se ne accorgesse, a un certo punto, nella fase di passaggio da un millennio all'altro, l'antico assioma del 1953 di Charlie Wilson, ex numero uno di General Motors e allora ministro della Difesa di Eisenhower, ci che buono per il nostro paese buono per gm e viceversa, diventato ci che buono per Wall Street buono per gli Stati Uniti. Ho fatto la cronaca della crisi mettendomi anch'io, come gi nella prima puntata, dentro al racconto, perch, come dice George Soros in Cattiva finanza, prendendo a prestito l'idea da Karl Jaspers, il pi grande filosofo del secolo scorso: Il mio punto di partenza che la comprensione del mondo in cui viviamo per forza di cose imperfetta, perch siamo parte del mondo che cerchiamo di comprendere.

Post Scriptum Siamo in Recessione o in Depressione? Siamo in grave recessione, ha spiegato agli italiani il neosuperministrobanchiere Corrado Passera, mercoled 15 febbraio, dopo che l'istat aveva annunciato che c'era stato un calo del pil italiano nel quarto trimestre del 2011. L'espressione grave recessione diventata di uso corrente a partire dal dicembre 2008, ma era stata utilizzata, sporadicamente, fin dalla primavera dello stesso anno. Non nuovissima, Paul Krugman lausava, in riferimento ad altri periodi, gi nel suo libro, ,del 1999: indica una recessione pi severa del normale ed esorcizza cos lo spettro di una depressione. In termini tecnici, recessione un calo di vari indicatori produzione, occupazione, vendite al dettaglio e all'ingrosso e dura da quando si manifestano le flessioni a quando queste raggiungono il livello pi basso prima di risalire. Durata media: circa un anno. Il pil italiano, come ha detto questo mese il governatore della Banca d'Italia, ancora inferiore del 5 per cento rispetto ai livelli del 2007, e nel 2012 scender ancora: dell'1,5 per cento secondo gli ottimisti, del 3 o 4 secondo i pessimisti, soprattutto se si verificher un aumento del prezzo del petrolio. Si tratta di Grave Recessione o di Depressione? Le cose di cui parlo sono le stesse raccontate in due splendidi film, e, che purtroppo non hanno trovato distribuzione nella sale italiane. Per chi volesse approfondire, sono reperibili in dvd.

Ultime notizie Mentre stavo per andare in stampa, o meglio in Rete, nel primo pomeriggio di mercoled 14 marzo, successo qualcosa che non era mai accaduto nei 143 anni di vita della premiata ditta Goldman Sachs. Un certo Greg Smith, un sudafricano, executive director, capo dell'equity derivatives business in Europa, Medio Oriente e Africa, scrive una lettera aperta al New York Times con il poco originale titolo Why I am leaving Goldman Sachs. Alle 8 di sera sulla Rete c'erano gi pi di 300 articoli di opinionisti di gran nome che commentavano l'avvenimento. Ecco il testo integrale della lettera. Oggi il mio ultimo giorno alla Goldman Sachs. Dopo quasi dodici anni trascorsi qui ho iniziato un'estate come stagista, quando ancora studiavo a Stanford; sono stato per dieci anni a New York e adesso mi trovo a Londra credo di aver lavorato abbastanza a lungo in questa azienda per capirebene la traiettoria della sua cultura, della sua gente e della sua identit. E posso affermare, in tutta onest, che oggi questo ambiente pi tossico e distruttivo che mai. Per dirla con parole semplici, il modo in cui l'azienda opera e la sua interpretazione del fare soldi pone gli interessi dei clienti in secondo piano. Goldman Sachs una delle banche di investimento pi grandi e importanti del mondo, ed un elemento troppo cruciale della finanza globale perch possacontinuare ad agire in questo modo. talmente diversa dal luogo che conobbi quando ero studente, che non posso pi dire, in coscienza, di identificarmi con i valori che rappresenta. Gli scettici saranno, forse, sorpresi nel sapere che la cultura ha sempre rappresentato un aspettovitale del successo della Goldman Sachs. Essa era incentrata sul lavoro di squadra, l'integrit, il senso di umilt e il fare sempre le cose giuste per i clienti. La cultura era l'ingrediente segreto che rendeva grande questo posto, e che per 143 anni ci ha permesso di guadagnare la fiducia dei nostri clienti. Non si trattava semplicemente di fare soldi; questo da solo non basterebbe a sostenere cos alungo un'azienda. Si trattava di orgoglio e di fiducia nell'organizzazione. Mi rattrista dover ammettereche oggi, guardandomi attorno, quasi non scorgo

pi alcuna traccia della cultura che per molti anni miha fatto amare questo lavoro. Oggi non ho pi quell'orgoglio, n quella fiducia. Tuttavia, le cose non sono sempre andate cos. Per pi di un decennio ho reclutato e assistito i candidati che si sottoponevano ai nostri estenuanti colloqui di assunzione. Sono stato scelto insiemead altre nove persone (in un'azienda che ne conta pi di trentamila) per apparire sul nostro video promozionale, che stato trasmesso nei campus universitari da noi visitati in tutto il mondo. Nell'estate del 2006 sono stato io a gestire il programma di formazione in Sales and Trading per gli ottanta studenti che ce l'avevano fatta ed erano stati assunti tra i migliaia che avevano fatto domanda. Ho capito che era arrivato il momento di andarmene quando mi sono reso conto che non potevo pi guardare in faccia gli studenti e dire loro che questo un posto fantastico dove lavorare. Quando i libri di storia scriveranno della Goldman Sachs, racconteranno forse che durante il loro mandato l'attuale amministratore delegato, Lloyd C. Blankfein, e il presidente, Gary D. Cohn, hanno perso il controllo sulla cultura aziendale. Sono convinto che questo declino nella fibra morale dell'azienda rappresenti la pi seria minaccia alla sua stessa sopravvivenza. Durante il corso della mia carriera ho avuto il privilegio di fare da consulente a due dei pi grandi hedge fund del mondo, cinque dei massimi asset manager degli Stati Uniti e tre dei pi importanti fondi sovrani del Medio Oriente e dell'Asia. I miei clienti hanno una base di attivit di pi di un milione di miliardi di dollari. Mi sono sempre sentito orgoglioso di consigliare ai miei clienti quale fosse la cosa giusta per loro, anche se ci poteva significare un minore guadagno per la banca. Questo atteggiamento sta diventando sempre pi impopolare alla Goldman Sachs. Un altro segnale che eratempo di andarsene. Come si arrivati a questo? L'azienda ha cambiato la sua interpretazione di leadership, che una volta aveva a che fare con le idee, col dare l'esempio e fare la cosa giusta. Oggi, se porti abbastanza denaro, a meno di non essere un ex assassino, vieni promosso a posizioni di rilievo. Quali sono tre modi per affermarsi rapidamente come leader? a) Eseguire gli axes, che nel linguaggio Goldman Sachs significa persuadere i propri clienti a investire in titoli o in altri prodotti di cui l'azienda sta cercando di disfarsi perch considerati potenzialmente incapaci di generare grandi profitti; b) hunt elephants, .dare la caccia agli

elefanti', cio in linguaggio comprensibile cercare clienti, alcuni ben preparati altri no, a fare qualunque transazione, basta che porti il pi alto utile possibile alla Goldman Sachs. Chiamatemi pure un uomo d'altri tempi, ma a me non piace rifilare fregature ai clienti; c) trovarsi a vendere qualsiasi titolo illiquido od opaco con un acronimo di tre lettere. Oggi la maggior parte dei nostri leader mostra un quoziente di cultura pari esattamente allo zero. Partecipo a derivatives sales meeting in cui non viene spesa neanche una parola per cercare di capirecome potremmo aiutare i nostri clienti. L'unico argomento di cui si parla quello di come si possa guadagnare il massimo alle loro spalle. Se un marziano partecipasse a uno di questi incontri crederebbe che il successo del cliente non rientri in nessun modo nel processo del pensiero. Mi fa venire il voltastomaco il cinismo con cui le persone parlano di raggirare i clienti. Negli ultimidodici mesi mi capitato di vedere cinque diversi amministratori delegati che nelle mail interne definivano i propri clienti dei muppets, cio .pupazzi'. Non hanno alcuna umilt. Ma andiamo! L'integrit? Si restringe di giorno in giorno. Non so di traffici illeciti, ma vero che i nostri cercano di piazzare prodotti sempre pi complicati a clienti che spesso non li capiscono e non ne hanno bisogno? Certo. Ogni giorno che il buon Dio manda in Terra. Mi stupisco nel constatare come gli altri dirigenti non sembrino comprendere una verit fondamentale: se i clienti non si fidano di te finiranno per andare altrove. A prescindere da quanto sei bravo. Di questi tempi, la domanda che gli analisti junior che lavorano con i derivati mi pongono conmaggiore frequenza : Quanto abbiamo fatto su quel cliente?. E ogni volta mi infastidisco, perch una domanda che riflette chiaramente il comportamento che osservano nei loro superiori. Non ci vuole un genio per capire che di qui a dieci anni quello stesso analista che oggi siede in silenzio in unangolo della stanza e sente parlare di pupazzi, di cavare gli occhi e di farsi pagare non si trasformer in quello che definiremmo un cittadino modello. Il primo anno che sono entrato nella banca come junior analyst non sapevo nemmeno dove fosse il bagno o come allacciarmi le scarpe. Mi hanno insegnato il mestiere, cosa fosse un derivato, a capire la finanza, e a conoscere i nostri clienti e cosa li motivasse, cosa fosse da loro considerato

il successo e come avremmo potuto aiutarli ad arrivarci. Le cose di cui sono pi orgoglioso nella vita ottenere una borsa di studio per andare dal Sudafrica a studiare alla Stanford University, essere selezionato come finalista della Rhodes Scholarship, vincerela medaglia di bronzo di ping-pong ai Maccabian Games in Israele, noti come le olimpiadi ebraiche le ho tutte ottenute lavorando duramente, senza scorciatoie. Oggi la Goldman Sachs diventata ilparadiso delle scorciatoie. Non mi sembra pi il posto giusto per me. Spero che questo possa essere un campanello d'allarme per il consiglio d'amministrazione. Fate in modo che i clienti tornino a essere al centro del vostro lavoro. Senza clienti non farete soldi. Anzi, smetterete di esistere. Eliminate le persone moralmente corrotte, a prescindere da quanto denaro fruttano all'azienda. Coloro che pensano solo a fare soldi non potranno sostenere questa azienda ola fiducia dei suoi clienti per molto tempo ancora. Molti per hanno messo in dubbio che la cultura della Goldman Sachs sia cambiata cos drammaticamente negli ultimi dodici mesi. Molti sostengono che sempre stata questa. Odio la Goldman, ha detto il chief investment officer di un fondo inglese al Financial Times. Pensano solo a se stessi e io faccio di tutto per dissuadere la gente dal fare affari con loro. Se loro entrano in un business, un chiaro segnale per noi di non entrarci. Detto questo, non mi sembra che la banca sia cambiata di recente. Operano cos da molto tempo. Come lavora, anche in Italia, la Goldman Sachs lo sanno bene quelli della UniCredit. Come racconta il Financial Times di sabato 19 marzo, dopo settimane di duro negoziato, i due top-manager della Goldman Sachs Massimo della Ragione e Diego De Giorgi erano ormai convinti di tenere la banca italiana che aveva bisogno di rastrellare 7,5 miliardi di dollari in rights issue per le palle. L'UniCredit aveva affidato la posizione di global coordinator alla Bank of America Merrill Lynch e questo aveva causato nervosismo alla Goldman Sachs, che avrebbe voluto svolgere in prima persona questo ruolo.

Nel mese di novembre la Goldman Sachs ha cercato di orchestrare una ribellione chiedendo che anche lei, insieme alla Morgan Stanley e a JP Morgan, o almeno a una di loro, fosse nominata global coordinator. Ma la UniCredit aveva un piano b, preparato dal duo francese bnp Paribas e Socit Gnrale: alla fine di gennaio era riuscita a fare la sua operazione, nonostante le furiose proteste della Goldman Sachs. Un altro cliente in meno. Niente di particolare per una banca che ha gi ricevuto due anni fa una multa di 550 milioni di dollari dalla sec, la Securities and Exchange Commission per aver imbrogliato gli investitori, facendo loro comprare un mortgage derivative product bidone. Di recente, un giudice ha criticato fortemente la Goldman per conflitto di interessi nella fusione di due societ operanti nel campo dell'energia, El Paso e Kinder Morgan.

Collana One Euro 1. Elido Fazi, La terza guerra mondiale? La verit sulle banche, Monti e leuro. Libro primo. 2. Elido Fazi, La terza guerra mondiale? Chi comanda, Obama o Wall Street? Libro secondo. 3. Patrizio Nissirio, Ouzo amaro. Viaggio nella catastrofe economica e sociale della Grecia. 4. Marco Margiocco, LObama perduto. Perch le promesse non sono state mantenute e perch malgrado questo il risultato di novembre resta aperto.

Indice 1. La storia di Obama vista da Roma 2. La crisi del 2008 stata peggiore di quella del 1929? Conclusione Post Scriptum Siamo in Recessione o in Depressione? Ultime notizie

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