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Un senegalese a Roma

La storia di Ousmane e i sogni di un “invisibile”. Un articolo per ‘Tu Inviato’


Ousmane Ndjane è nato nel 1975 nella città senegalese di Bambey situata nella
regione che si chiama Diourbal. Oggi vive a Roma, in periferia, e lavora in un
centro internet, è sorridente e ha sempre una battuta di spirito per tutti. Un giorno
come un altro si confida la cliente: “Ho scritto un racconto, te lo faccio leggere”.
Ousmane apre il suo mondo interiore, tutte le speranze che riponeva, venendo in
Europa, dopo aver conseguito la laurea in letteratura romanza e aver vinto un
master in Portogallo. Sorgono di getto altre domande, pensando di rendere visibile
a più persone l’esperienza umana e la cultura di un uomo, magari liquidato dal
distratto cittadino come un “immigrato”. Dunque uno già “classificato” in partenza.
Ousmane,da che famiglia provieni?

Sono figlio di genitori divorziati e sono stato affidato ai miei zii, vivevamo in un
gruppo di 30 persone. Mio zio è un insegnante, è lui che mi ha formato e mi ha
trasmesso la passione per la lettura.
Qual è la tua religione?
Sono musulmano.
Come interpretate il Corano, cosa ne pensi dell’uso del chador, o della
poligamia?

Penso che anche se è vero che nel Corano è scritto che un uomo possa avere più
di una moglie, ritengo si tratti di un’eccezione e che non sia giusto che l’uomo
debba mantenere la propria moglie. Anche lei dovrebbe contribuire al bilancio
familiare.
Prima di giungere in Italia, sei stato in Portogallo. Come hai vissuto
quell’esperienza?
Ero molto fiero di aver conseguito la borsa di studio in letteratura portoghese e di
vivere nella bella città di Lisbona. Ho trovato un lavoro in un cantiere in quella città.
E che tipo di esperienza è stata per te?

Un lavoro duro e massacrante, senza garanzie, nè un contratto, nè


un’assicurazione, si lavorava alla giornata. Io ed altri emigrati ci raggruppavamo in
una piazza, ci venivano a caricare su delle macchine degli uomini assolutamente
privi di scrupoli, bianchi o neri che fossero, promettevano al malcapitato, che non
aveva altre alternative, un bel lavoro e invece lo sfruttavano. Avevo un permesso di
soggiorno di categoria D, che era valido solo per studiare, perciò lavoravo in nero.
Dopo quasi un anno sono venuto in Italia, quasi allo scadere di quel permesso.

Dove sei andato a vivere?


Sono stato ospitato da una specie di capogruppo di africani a Ladispoli (sul litorale
romano, nda), in un appartamento privo di norme igieniche. Dormivamo
letteralmente uno sull’altro e con un unico bagno. L’estate facevo il ‘Vu’ cumprà’ sul
litorale laziale, e l’inverno facevo di tutto, ma soprattutto vendevo cd. Non mollavo,
perchè dovevo inviare i soldi alla mia famiglia in Africa.

Che cosa ti dava la forza per andare avanti?

La mia fede in Allah, che in qualche modo mi avrebbe aiutato, e l’orgoglio di poter
sostenere economicamente i miei familiari.
Hai sempre vissuto in quella casa?

No, a un certo punto mi sono spostato a Roma a vivere nel residence Bravetta,
dove vivevano africani e italiani indigenti. Lì viveva una sorta di comunità mista.
E che lavoro facevi in quel periodo?

Ho lavorato in un negozio di un piccolo commerciante e mi sentivo così fiero di aver


trovato un lavoro più dignitoso. Il primo giorno mi sono trovato in anticipo davanti
alla saracinesca dell’attività con il camice come se fosse una divisa. Ogni volta che
il mio lavoro finiva, dovevo velocemente trovarne un altro, altrimenti sarei dovuto
espatriare. Ho fatto il portantino presso l’ospedale S. Carlo di Nancy, con un
contratto temporaneo con la cooperativa che aveva l’appalto. Ho sempre pagato le
tasse e ho come voi diritto alle cure mediche presso la Asl.
Vorresti tornare in Senegal?

Oh sì, certo, è il sogno di ogni emigrante ritornare nella propria patria. Ma sarebbe
realizzabile solo se vincessi alla lotteria, io devo lavorare. Ho sposato una
senegalese e sono divorziato, ma devo mandare i soldi a lei e alla mia bambina di
3 anni. Le chiamo spesso e dico a mia figlia che ritornerò e mi si stringe il cuore
quando mi chiede: ‘Quando, papà? Cosa posso fare?’ Non ho il reddito per farla
venire qui.
Adesso lavori in un centro internet, un franchising, pensi che riuscirai a
trovare qualcosa di meglio?
Non credo.
Ti senti scoraggiato o pensi davvero non sia proprio possibile trovare un’altra
attività?
Non è possibile, questa è la dura realtà, vedo tante persone che hanno studiato
come me, italiane, munite di cittadinanza, che non riescono a trovare nulla.
Ti piacerebbe avere la cittadinanza italiana? Anche se me la dessero, non
cambierebbe niente. Io mi conosco, io so che sono bravo e non mi piace andare in
giro a chiedere raccomandazioni, come si fa qui. No, non fa per me.
Ora una provocazione: secondo te sono più razziste le persone nere verso i
bianchi, o viceversa?

Il razzismo investe tutti quelli che non conoscono l’altro, per pura ignoranza, non-
conoscenza. Ti faccio un esempio paradossale: se una comunità di italiani fosse
venuta nel mio Senegal, e si fosse comportata male, non lavorando, rubando, ecc.
io sarei stato razzista con loro. Dipende dalle situazioni.
Giulia Salfi

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