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SEI INTERMEZZI LESSICALI

di Guido Gerboni

INDICE
- L’Angelo Gnostico
- LA MORTE SI SCONTA VIVENDO

- LETTERA AI FARISEI

- LA STAZIONE NOMENTANA
- PICCOLA VENERE

- LA SOFFITTA
L’ANGELO GNOSTICO
Mi apparve come ecloghe
da andirivieni di spasmi nottambuli.
Come dietro la mascherata che lancia strali di onnipotenza e gloria, protraendosi come una saetta
di Giove
in un nubifragio su terre battute dai venti.
Fiammeggiante e attonito, curvo, le ali d’oro taglienti, luciferino verde opalescente, d’occhi
d’abisso perpetua d'acanto lo sguardo.
Come cadendo in un sonno senza cordoglio,
senza aspettative,
sfrontato come una puttana all’angolo, senza più rincorsa, senza più desideri,
senza più sogni,
solo trascorsi
e polvere.

LA MORTE SI SCONTA VIVENDO

Per anni e tutt’ora questo verso,


mi risuona senza eco,
così asciutto da non dargli seguito.
Come una invettiva portuale mi si scaraventa addosso come piombo fuso, come le
raccomandazioni che i genitori danno ai figli prima di uscire.
Mi appare indigesto, al suo impatto mi ottenebro, mi trovo a malincuore svenato,
spinto a correre ai ripari, a mantenere desto un buon senso di encomio e una
fustigazione di desideri. La via peregrina che scivola al portone dell'amico
sconsiderato. Quell'aria fresca, rifugio riparato all’ombra, come di un ritmo
blando, che non permette gesta dissolute,
come un Buddha sfatto,
ingordo di mondi,
di estasi,
di trascendenze.
LETTERA AI FARISEI

Ieri, incedendo sornione,


quando già la sera declinava il suo gusto per il giorno,
sul tratturo ripetuto dallo studiolo analitico alla mia autovettura
in linea retta parcheggiata,
con in braccio un fardello d'ombrello
e una manciata di monete vuote in fronte mi si è fatto
un volto noto.
Avrei voltato lato se non fossi stato a tirata di sguardo,
così costretto, ho rivisitato le angherie di Antonio,
compagno liceale.
Fermi, come due segnali stradali ci siamo accordati le precedenze,
una manciata di minuti per una manciata d'anni.
Diplomato, laureato, battezzato, abbandonato, milite ignoto alla catena di montaggio.
Poi, preso da uno slancio di fraternità malandata, mi ha invitato a bermi una birra a casa sua, lì, a
due passi di cordoglio.
Siamo saliti dal luminoso atrio di neon sul marmo,
fin sotto al suo piano.
Vivendo solo, sfinito da una donna troppo onesta, bella casa, belle gesta, nel suo nido avviluppato
di quel viaggio mitico in Australia, il legno cavo vibra il suono primordiale,
icone ai muri di quell'infinita stagione.
Da par mio, replicatti, per non passar troppo sciattone, inadempiente,
che avrebbi pubblicato un paio di libricciuoli, sciocchezzuole per gente come noi, così emancipata.
Due ore e il tempo corre di conversazione,
tra vuoti e pieni e rappresaglie di parole doloranti, messe alle strette....

Da sonno a veglia fu,


il sogno in un baleno

( Ungaretti )

LA STAZIONE NOMENTANA
In attesa dell’ultimo vaporetto
verso la stanza costata il cielo, con un bavaglio di pensieri
che ruminando giungono alle vestigia del Tempo,
ma la verità con zampe di gallina ha fornicato altrove.
E il vaporetto sulle rotaie
procede in modo egregiamente stentato,
come un calvo signore di mezza età che ha ancora i denti
per un sorriso.
E lì,
con tutta la mia determinazione rimasta,
sul muretto in attesa superstite,
con un aria sciocca di giovane dinoccolato, imbastardito,
d’improvviso pianto che non ha lacrime, che non ha parole adatte.
Come quando, allora perso in un'altra attesa,
si rimpiange l’attimo che passa, che ci trascina altrove,
ed il sole già tramontando con occhi lunari in un fremito, in sbiadite immagine che staccano l’orizzonte
d’infinito.
Così,
costando molto alla comunità tutta riunita in queste orge
d' entusiasmo, messi a decantare i buoni sentimenti e le costatine di agnello frignano sulla tavola calda,
come un ossesso che impreca contro il suo natale,
e nuore e fanti si danno al ballo di fine anno, nel canovaccio di uno sfoggio di genitali al vento, mentre
nuove rappresaglie fustigano
amare recrudescenze
e l’attico si gode la propria vista sovrana
su melodie dolenti.
PICCOLA VENERE

Neanche con un aereo potresti mirare al cielo.


Sei una tanica di benzedrina
che ride e strazia senza preavviso tutto ciò che scalcia.
Mi passi sopra come un treno a vapore che raglia,
tritandomi le ossa.
Sei come un segugio che se ne sbatte del cacciatore e si mangia tutto ciò che
trova. Mi lasci sul selciato a biascicare, ridacchiando te ne vai alle tue sere
accatastando mucchi di cadavere.
Ma io non so lasciarti e non so non amarti,

perché in te mi amo.

LA SOFFITTA
E vengo con tutti i buoni propositi raccolti, portati a domicilio a rincuorarti
e tu mi canti una ramanzina al cuore per dirmi che il cielo è infinito
e il mare più profondo...

Nacque da un coitum interruptus per volontà propria.


Emancipandosi all'ordine dei fatti a squarciagola miagolava come un profano
colto sul finire della sera.
Si era affittato una soffitta da cui sprizzava succo di limone ai passanti nelle serate estive,
si accomodava sul davanzale, contemplando il cielo percorrere le sue genuflessioni
quotidiane da un capo all'altro e poi di nuovo indietro.
Se ne stava lì il più possibile, pensando che avrebbe potuto passarci dentro,
se solo fosse stato attento....

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