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LIO SCONOSCIUTO Autore : Flavio Zambon e-mail : zambonf@libero.

it
Pag.
1
L Io Sconosciuto
Viaggio ai confini della spiritualit
di Flavio Zambon
Depositato alla S.I.A.E. 2000 - Copyright 2001-2006
Cap. 1 La Famiglia..............................................................
..............................................................3
Cap. 2 La scuola................................................................
................................................................7
Cap. 3 I primi segnali..........................................................
............................................................10
Cap. 4 II grande amore..........................................................
..........................................................13
Cap. 5 La caduta................................................................
..............................................................22
Cap. 6 La risalita..............................................................
...............................................................34
Cap. 7 La compagna..............................................................
..........................................................44
Cap. 8 Lo Scopo.................................................................
.............................................................52
Cap. 9 Viaggi astrali...........................................................
.............................................................64
Cap. 10 La preveggenza..........................................................
........................................................72
Cap. 11 La grande battaglia.....................................................
........................................................80
Cap. 12 Oltre la morte..........................................................
...........................................................93
Cap. 13 La galassia.............................................................
..........................................................106
Cap. 14 L incidente.............................................................
..........................................................117
Cap. 15 II dinosauro............................................................
..........................................................124
Cap. 16 II ricovero.............................................................
............................................................132
Cap. 17 La responsabilit.........................................................
.....................................................141
Cap. 18 Le voci.................................................................
............................................................151
Cap. 19 II demone...............................................................
..........................................................159
Cap. 20 Frammento d estasi......................................................
....................................................164
Cap. 21 Conclusione.............................................................
........................................................170
Cap. 1 La Famiglia
Erano le ore nove del mattino di una calda giornata estiva, il sole entrava fort
e e lucente dalla finestra ed inondava l intera stanza da letto dove io mi trova
vo ancora sdraiato, mentre una voce perentoria, dal piano di sotto, mi sollecita
va:
"Metti in ordine le tue cose !"
Mia nonna, una donna energica, coraggiosa e rassicurante, in certi momenti cambi
ava aspetto ed assumeva le sembianze di un generale deciso a farsi ubbidire.
In quei momenti la cosa pi saggia da fare era sparire dalla circolazione, finch la
nonna non cambiava ruolo e tornava una persona serena e tranquilla dedita alle
proprie faccende.
Colto alla sprovvista non mi venne idea migliore che rifugiarmi in bagno: nessun

o avrebbe potuto contestarmi i bisogni fisiologici.


Ero parimenti consapevole che quella strategia non mi avrebbe esonerato da una s
erie di faccende, le quali, una dopo l altra, avrebbero occupato l intera mattin
ata.
Odiavo quei lavori casalinghi, come pulire il bagno, smontare, rimontare le cors
ie delle scale e riordinare le stanze che si sarebbero sommati ad un altra serie
di lavoretti nel giardino e nell orto.
Ma la cosa che odiavo di pi era ricevere ordini.
Dover ubbidire mi dava una sensazione di oppressione insopportabile, e doverlo s
ubire per tutta la mattina, mi portava all esasperazione.
Tuttavia, per quanto strano possa sembrare, non avrei fatto niente per ribellarm
i o per tentare un accordo, almeno per limitare il tempo che avrei dovuto dedica
re ai lavori di casa.
Non che fossi remissivo, tutt altro a sedici anni il mio carattere ribelle aveva
gi dato dei problemi; ma lo scontro con i miei tutori era da evitare, per quanto
possibile. Paventavo il conflitto familiare che ne sarebbe seguito, solitamente
violento ed umiliante che psicologicamente mi avrebbe fatto soffrire per giorni
.
I miei tre tutori erano una banda di repressori davvero temibile.
Considerati separatamente non erano cos male, ma assieme avevano sviluppato strat
egie che avrebbero fatto invidia al pi temibile aguzzino.
La nonna, molto energica ed autoritaria, conosceva molto bene l arte di imporsi
con sottili ma efficaci pressioni psicologiche, che portavano inevitabilmente a
sensi di colpa e frustrazioni.
Era solita dire: "E questo il ringraziamento per chi ti ha raccolto dalla strad
a e ti ha dato tutto?".
Oppure "Per l amor di Dio!
Che il nonno non sappia!", e continuava:
"E cos vecchio che un dispiacere cos, lo ucciderebbe" ed ancora:
"Perch se qui venisse a mancare il nonno ..."
e completava la frase con ampi gesti delle braccia che sottolineavano e rendevan
o l argomento inoppugnabile.
Mia madre, donna debole ed arrendevole, le faceva eco puntualmente. Mi chiamava
in disparte e con un filo di voce tremante mi spiegava che:
"..dobbiamo a loro se non ci troviamo su una strada. Perch alla morte di tuo padr
e ci siamo trovati pieni di debiti e senza un tetto."
Le regole nella casa dei nonni erano ferree e quando mi ribellavo, anche ad uno
solo di loro, si metteva in moto la macchina repressiva.
Per prima cosa, si assicuravano che fossi a loro disposizione, che non avessi im
pegni. Quindi mia madre e mia nonna iniziavano la carica alternandosi con straor
dinario sincronismo.
Finito una attaccava l altra, senza sosta, per ore.
Non ero abbastanza forte per tutto questo e normalmente dopo un po capitolavo,
con sensi di colpa non indifferenti e con complessi di inadeguatezza che avrebbe
ro minato il mio carattere per il resto della vita.
Il nonno era un altro attore importante in quest azione di tortura psicologica:
alto un metro e sessanta, di corporatura robusta, quasi completamente calvo, por
tava in modo austero ed impeccabile i suoi settant anni.
Discendeva da un antica e nobile famiglia siciliana, dalla quale aveva ereditato
il portamento e l eleganza, nonch la mentalit e la severit che poi nella sua vita
si sarebbero acuite ed evidenziate con una lunga militanza nelle fila del fascio
.
Era partito volontario in diverse guerre per amore della Patria e del Duce.
Era finita sia la sua Patria che il suo Duce, ma la visione militaresca della vi
ta era rimasta intatta e pronta ad essere impartita ai suoi nipoti che aveva acc
olto in casa alla morte del genero, che aveva sempre disprezzato.
La presenza del nonno imponeva un silenzio pesante, carico di tensione.
Una parola, un gesto, un mancato saluto sarebbero equivalsi ad una mancanza di r
ispetto verso il capo famiglia.
La mia incapacit di accettare qualsiasi autorit, sommata alla rigidit esasperata ed

ottocentesca del nonno mi faceva vivere la permanenza in quella casa come una t
ortura fisica.
Il momento peggiore era a cena quando tutti eravamo costretti a stare assieme.
Si iniziava a mangiare in silenzio, un silenzio rotto solo dalla televisione che
a quell ora trasmetteva il telegiornale.
Ogni notizia era importante, ogni fattore di disturbo o di distrazione avrebbe c
ausato una esplosione d ira da parte del nonno.
Una parola, un rumore, un oggetto posto nella tavola tra il nonno e il televisor
e avrebbero scatenato una serie di insulti, manifestazioni di rabbia, drammatizz
azioni in un grande assolo.
Iniziata questa seconda fase, non si poteva sapere davvero quando e come sarebbe
finita.
Gli insulti, le urla, gli atti inconsulti scorrevano come le rapide dei fiumi am
ericani che avevo visto alla televisione.
Sembrava che niente e nessuno potesse fermarli, anzi, ogni reazione sembrava aum
entare ulteriormente la tensione portando come unica conseguenza un peggiorament
o della situazione.
La vittima sacrificale di turno se la vedeva davvero brutta: doveva rimanere fer
ma, immobile e ricevere tutto senza mai reagire sperando solo che finisse al pi p
resto.
Quando toccava a me il ritornello era sempre lo stesso:
"Sei un povero imbecille!
Non sei capace di niente.
Non sei capace di esprimerti !
Non dovevo mandarti in quella scuola! Chiss cosa ti hanno inculcato nella testa.!
...."
Per anni quelle frasi sarebbero riecheggiate nelle mie orecchie, rendendomi pi di
fficile fare ogni cosa.
Ritornata la calma, si doveva consumare l ultimo atto del dramma.
Mentre si riordinava, dopo la cena, la nonna si dimostrava visibilmente preoccup
ata dello stato di salute del nonno :
"Queste arrabbiature lo fanno star male"
"Lui l uomo pi buono che conosca"
"Siete voi che lo fate arrabbiare"
Dopo anni di guerra non dichiarata facevo il possibile per evitare gli scontri.
Quindi, quella mattina, se non avessi trovato una scusa sufficientemente plausib
ile per evitare i lavori che mi aspettavano, avrei dovuto ubbidire senza nemmeno
fiatare.
La mia mente scorreva velocemente sugli unici argomenti inoppugnabili:
- studio: purtroppo eravamo a fine settembre e le scuole non erano ancora inizia
te.
- salute: non potevo ammalarmi cos, improvvisamente.
Con rassegnazione aprii la porta del bagno e mi trovai di fronte la nonna che as
pettava in silenzio.
"Visto che ti trovi qui, cominciamo proprio dal bagno. Ha bisogno di una bella p
ulita a fondo.
E meglio che ne approfittiamo perch fra poco inizia la scuola e allora non potra
i pi aiutarmi come oggi."
Avanti di questo passo sarei arrivato ad amare la scuola !
NO IMPOSSIBILE!!
Dopo circa un ora e mezza avevo lucidato ogni interstizio del lavello. Scesi al
piano terra dove sicuramente mia nonna mi aspettava con un altro compito.
Infatti era ferma vicino ad un grande vaso, che sicuramente pesava almeno il dop
pio di quanto pesavo io. Dal vaso si innalzava una pianta di limone.
Accidenti, avrei dovuto spostarlo di una ventina di metri senza rompere i rami d
i quell odiato alberello.
Mi apprestavo a muovere il vaso, impugnandone saldamente i bordi, quando ebbi la
sensazione di aver gi vissuto quell episodio.
La sensazione era simile ad un flash che illuminava in modo vivido tutta la scen
a dentro e fuori di me.

Tutto era durato solo un attimo ma mi aveva lasciato una strana sensazione di ri
cchezza interiore.
Mollai per un istante la presa del vaso, pensando come avessi potuto aver gi viss
uto quell episodio.
Quel vaso, per mia fortuna, non l avevo mai spostato, ed anche qualora avessi gi
compiuto quel gesto, certamente non potevo averlo compiuto con lo stesso stato d
animo, nella medesima posizione, con l identica luce e in situazione analoga.
"Forse me lo sono sognato"
"Forse solo una sensazione e nient altro"
A quell epoca non sarei di certo potuto arrivare a conclusioni diverse.
Ebbi anzi la saggezza inconscia di evitare di pensare a cose che, in quel moment
o, non avrei potuto comprendere pienamente.
Lasciai perdere e mi concentrai per spostare quel maledetto vaso.
Cap. 2 La scuola
Quindici giorni dopo iniziarono le lezioni.
Il mio morale miglior.
Non che la scuola mi piacesse. Provavo anzi per essa un rifiuto paragonabile a q
uello che sentivo per la mia famiglia.
Sottostare per un intera mattinata all autorit di altre persone mi deprimeva.
La scuola aveva per un gran vantaggio rispetto alla famiglia:
poteva essere marinata.
Passavo delle bellissime mattinate in compagnia dei miei compagni di scuola a vo
lte nei cortei studenteschi.
Erano molti coloro che condividevano questa mia predilezione ed in particolare e
ro molto affiatato con tre compagni di classe.
Il primo, per importanza, si chiamava Gianni: un ragazzo poco pi alto di me, non
di bell aspetto, ma molto simpatico. Mi legava a lui un amicizia che sconfinava
nella venerazione. Brillante nelle relazioni con le persone, Gianni aveva una pa
rticolare capacit di trascinare il gruppo al punto che ci si ritrovava a fare sem
pre quello che lui desiderava, senza nemmeno accorgersene.
Lo ammiravo anche perch aveva rapporti d amicizia con i nostri coetanei "pi import
anti": rappresentanti degli studenti, musicisti, leaders di gruppi, ecc.
Era senza dubbio il pezzo forte della compagnia.
Il secondo era un ragazzo alto, magrissimo, con una folta chioma di capelli ricc
i che avevano ispirato il suo soprannome: Paia.
Era un ragazzo timidissimo ma il suo attivismo politico lo rendeva un riferiment
o per il gruppo. Tramite lui, infatti, riuscivamo a conoscere le date fissate pe
r gli scioperi in netto anticipo rispetto ai coetanei, con l ovvio vantaggio di
programmare le nostre scorribande. Sapevamo come si muoveva la politica nella no
stra scuola, quali professori appartenevano all una o all altra corrente e di co
nseguenza il modo per accattivarci la loro copertura nei momenti opportuni.
Eh s! Anche noi andavamo incontro a serie difficolt, soprattutto dopo 15 giorni di
continue assenze da scuola!
A quel punto, un rientro calcolato, dicendo le cose giuste durante la lezione co
n il professore giusto, ci permetteva altri lunghi periodi di mattinate spensier
ate.
Il terzo compagno inseparabile era Pierluigi, il classico ragazzo normale.
Alto quasi quanto Paia era di corporatura proporzionata. Condivideva tutte le sc
orribande senza mai esserne l ispiratore. Era posato e serio. Ci seguiva diventa
ndo la platea che approvava, sorridendo, gli attori principali.
Il nostro ritrovo preferito era il bar dei ferrovieri perch possedeva alcune cara
tteristiche interessanti: ci si poteva soffermare per tutta la mattina spendendo
pochissimo, si potevano disputare lunghe partite a carte, c erano i calcetti e,
cosa pi importante, ci sentivamo davvero al sicuro, perch nessuno dell ambiente s
colastico frequentava quel posto.
Non c era davvero alcun pericolo che qualcuno ci trovasse.
Quel giorno, in particolare, erano le dieci e ci apprestavamo ad iniziare una nu
ova partita a carte, dopo aver ordinato la solita "spuma".
Ad un certo punto, iniziai ad avvertire un prepotente impulso ad andarmene.
Era la prima volta che provavo una sensazione del genere.

Non ero un tipo sportivo, n un amante delle passeggiate e soprattutto stavo bene
in quel bar, perch, per quanto spoglio, l passavo le ore migliori della mia giorna
ta.
Non avevo niente da fare e non avevo la minima idea di dove andare, mentre l mi s
tavo divertendo.
Eppure dissi:
"Continuate la partita da soli, vado a fare due passi" senza tradire la sensazio
ne che si stava impadronendo di me.
Mi guardarono sorpresi.
"Ma dove vai?"
"Mah, faccio solo due passi, torno subito"
Mi avviai verso una delle due porte d uscita.
Camminai solo dieci minuti, senza una meta precisa, continuando a chiedermi cosa
mi stesse accadendo.
"Forse sto troppo fermo" mi dissi.
"Forse dovrei praticare uno sport".
Percorsi cinquecento metri, sentii esaurirsi quella smania di camminare e tutto
felice tornai al bar.
Mi avvicinai al tavolo dove avevo lasciato i miei amici e mi accorsi del clima t
etro che si era instaurato.
Il primo a parlare fu Pierluigi:
"Figlio di una puttana, qui che dovevi essere anche tu!"
poi intervenne Gianni:
"Che fortuna sfacciata hai avuto".
Sempre pi confuso stavo per chiedere cosa fosse successo, quando intervenne Paia:
"Accidenti l unico socialista che mette la scuola prima del partito"
"Ma volete spiegarmi che cosa e successo?" chiesi seccato.
Mi rispose Pierluigi, con tono alterato:
"Lo vuoi davvero sapere ? Mentre tu stavi scendendo da quella
scala, il professore di matematica stava salendo dall altra.
Ci ha riconosciuti subito e ci ha detto che domani faremo i conti." Non osavo ag
giungere altro perch vedevo i miei compagni talmente
sconvolti che temevo di rovinare l amicizia che ci legava.
Ma, inevitabilmente, cominciai a chiedermi cosa, o chi, mi avesse fatto evitare
l incontro con il professore.
Non poteva essere una coincidenza o solo fortuna, di questo ero certo.
Pi mi concentravo per mettere luce, pi il fatto assumeva le sembianze di un mister
o.
C era stata una forza o un desiderio prepotente che mi aveva fatto uscire in tem
po e nella direzione giusta per evitare il professore.
Un mistero che si sommava ad altri misteri, una domanda che si sommava ad altre
domande; ma una certezza si faceva strada nella mia mente:
La mia non sarebbe stata una vita normale.
Cap. 3 I primi segnali
Il 10 novembre si presentava, alle otto del mattino, come una giornata tetra.
Consultai il calendario delle lezioni e mi accorsi che non vi erano in programma
lezioni pesanti: due ore d aggiustaggio, nelle quali avrei utilizzato la lima p
er la prima volta in modo da non farla apparire ancora nuova, seguite da un ora
d italiano con un professore che non avevo ancora conosciuto. Alla fine un ora d
i matematica, ma i miei informatori mi avevano avvertito che si sarebbe tenuta u
n assemblea organizzata all ultimo minuto.
Questa giornata scolastica mi sembrava quasi eccitante perci decisi che avrei var
cato la porta dell aula.
Dovevo per affrettarmi, perch, prima di entrare a scuola, avrei dovuto appartarmi
in un posto tranquillo per falsificare la firma del nonno.
Nonostante fosse un operazione abituale, doveva essere fatta con particolare att
enzione perch comportava sempre dei rischi.
Il professore di aggiustaggio era una persona squisita e, nonostante i chili in
eccesso, manteneva sempre un buon aspetto ed un aria gioviale.
Mi teneva in particolare attenzione perch sua figlia, mia compagna di classe nell

e medie, mi reputava un bravo ragazzo.


Il carattere pacifico e l idea che il professore aveva di me mi convinsero che n
on avrei avuto problemi.
Ed infatti fu cos: il professore accett la giustificazione senza obbiettare.
Iniziai la lezione di aggiustaggio con la tuta candida e la lima ancora confezio
nata.
Mi convinsi ben presto dell assurdit di quella lezione, tutta concentrata a limar
e un pezzo di ferro, che era puntualmente ammaccato dal professore non appena fo
sse stato limato perfettamente.
Prima della fine delle due ore raggiunsi l accordo con un compagno, particolarme
nte abile in quella materia infernale, fatta di limatura ed inchiostro, per forn
irgli giornalini pornografici in cambio di pezzi di ferro gi limati a puntino, da
presentare all esame finale.
Terminai la lezione soddisfatto, perch quell anno avevo chiuso con le lime.
Una volta cambiati ci recammo in aula. Il nuovo professore di italiano arriv in s
ensibile ritardo.
Ritenni in ogni modo, che, data la mia posizione, non fosse il caso di avanzare
critiche.
Portava un pacco di giornali sotto braccio ed una volta chiusa la porta e saluta
ta la classe dichiar che quel giorno avremmo studiato storia viva.
Avremmo cio letto e discusso le notizie da vari giornali di diverse correnti poli
tiche per poterci avvicinare il pi possibile all obiettivit.
Eravamo nei primi anni settanta, quando l anticonformismo era una moda, ma quest
o professore superava tutti.
Non molto alto, la sua calvizie tradiva l et, che doveva essere prossima alla cin
quantina, sebbene il suo abbigliamento e portamento facessero invidia ad un vent
enne.
Tutto proteso verso la conoscenza, faceva dell anticonformismo uno stile di vita
.
In ogni suo discorso trasparivano un intelligenza ed un esperienza non comuni.
Ci fu una frase che mi colp particolarmente facendo vacillare il mio atteggiament
o menefreghista e distaccato, di moda in quegli anni.
" .. il cristianesimo ha molte colpe, ma la pi grave e quella di aver fatto cess
are la ricerca... "
Fu come un fulmine a ciel sereno.
Mai semplici frasi, per quanto intelligenti, mi avevano scosso a tal punto.
Nel suo breve discorso c erano due aspetti che mi avevano colpito profondamente:
il primo era la messa in discussione del cristianesimo, che, data la mia educaz
ione, rappresentava qualcosa d intoccabile.
Questo significava non avere tab e poter mettere tutto in discussione.
Vedevo condensato in un solo concetto la ribellione a tutto ci che sentivo impost
o, anche se in quel momento non riuscivo ad immaginare che molte delle cose che
stavo rifiutando, nel corso degli anni, le avrei accettate.
Il secondo concetto che mi colp fu la ricerca, ma soprattutto quella nuova idea d
i ricerca.
Non quella tecnologica ma quella della vita.
Rimasi ad ascoltare la sua lezione con profonda ammirazione e riconoscenza per a
vermi dato in pochi minuti quello che altri non sarebbero stati in grado di darm
i in un intera esistenza.
La lezione termin, ma io in quell ora ero cambiato, la mia vita non sarebbe pi sta
ta una fuga dalle diverse situazioni, ma avrei iniziato a cercare la risposta a
tante domande che si erano affollate nella mia mente nel corso degli anni.
Chi siamo?
Da dove veniamo?
Per quale scopo?
Cos giusto, cos sbagliato?
Fu la ricerca delle risposte a tutte queste domande che mi port dai sedici ai dic
iotto anni ad iniziare esperienze religiose orientali quali lo yoga, il buddismo
, lo Zen ecc..
Ma tutte, dopo un iniziale entusiasmo, mi lasciavano solo una sensazione di fall

imento.
Era come se tentassi di accendere un fuoco con un cerino: dopo un iniziale fiamm
ella il fuoco si spegneva subito lasciando solo un leggero velo di fumo che test
imoniava l insuccesso.
Stanco, ripresi il vecchio ruolo di ribelle.
Cap. 4 II grande amore
Passarono quattro anni. Era una domenica sera di novembre. Salii sulla corriera
che mi avrebbe portato a Motta, un paese a circa sessanta chilometri da casa mia
.
Dovevo recarmici ogni inizio settimana perch era l che avevo trovato lavoro, in un
a fabbrica che realizzava strumentazioni per la scuola.
Una cosa che continuava a stupirmi era l aver trovato lavoro in un paesino di pr
ovincia, di cui, fmo ad allora, ignoravo addirittura l esistenza.
Due anni prima avevo cercato lavoro in molti paesi e citt, compresa la mia, senza
nessun risultato.
Mentre, per una serie di coincidenze, il lavoro aveva gi scelto me, in uno sperdu
to paese di campagna.
La scomodit dovuta alla distanza mi aveva condotto alla decisione di trasferirmi,
in una casa privata, ospite di una signora molto gentile e premurosa.
Era alta, formosa, decisa ed energica: sembrava non risentire minimamente dei su
oi sessant anni.
Mentre salivo in corriera pensai che di l a poco l avrei trovata ad aspettarmi co
me al solito sinceramente felice di vedermi. Anche lei mi considerava un bravo r
agazzo.
Se avesse saputo cosa avevo combinato nel week-end non credo mi avrebbe portato
ancora considerazione.
Avevo compiuto scorrerie, ideato ogni tipo di scherzi e spaventato gente assieme
ai soliti amici del sabato.
Era ormai parecchio tempo che passavo la settimana da tranquillo ragazzo lavorat
ore ed il week-end da scatenato teppista.
Salii dalla porta posteriore della corriera, feci qualche passo fmo a circa met e
mi sedetti in una poltrona alla sinistra, appoggiando la borsa, contenente gli
effetti personali per la settimana, nella poltrona a fianco.
Mi rilassai esausto. Avevo passato il pomeriggio domenicale in una discoteca, ch
e si trovava a met strada tra la citt natale ed il paese dove risiedevo. Avevo ten
tato di abbordare qualche ragazza campagnola ma senza successo e quindi mi ero s
fogato in lunghi e faticosi balli.
Guardai fuori dal finestrino, era una giornata uggiosa ma il freddo non era anco
ra arrivato.
Molti ragazzi appena usciti dalla discoteca ridevano e scherzavano ad alta voce
con un accento leggermente diverso dal mio, che tradiva tutto un altro stile di
vita.
<Accidenti, dove sono andato ad inguaiarmi. > pensai.
Mi voltai sconsolato, ricordandomi che avrei dovuto trascorrere ancora una setti
mana di lavoro prima di ritornare dai miei amici.
Quello che vidi due sedili a destra avanti a me, mi lasci senza fiato.
Era una ragazza, di circa diciotto anni, bellissima, con capelli castani che, di
ritti, cadevano sulle spalle e valorizzavano ancora di pi il suo perfetto viso d
angelo.
I suoi occhi azzurri, accattivanti ed alteri nello stesso tempo, paralizzavano
.
Si chiamava Manuela e l avevo conosciuta quattro anni prima ai tempi della scuol
a.
Era stato un incontro molto strano.
Una mattina di dicembre ero andato, con un compagno di scorribande, nella stazio
ne dei treni ad acquistare sigarette, quando il mio amico mi invit ad dirigermi v
erso ad gruppo di ragazzi che intendeva presentarmi.
Ci avvicinammo.
Dall abbigliamento si capiva chiaramente il loro orientamento politico.
Indossavano quasi tutti eskimo e pantaloni marroni a coste, alcuni avevano una b

orsa di stoffa fatta a mano.


Formavano un cerchio che, al saluto del mio accompagnatore, si apr come una conch
iglia.
E quello che mi apparve al centro era di certo una perla.
Era lei, bellissima, seduta sulle ginocchia di uno che doveva essere il suo raga
zzo.
Non so se lui fosse realmente cos brutto, o se risultasse solo svantaggiato dalla
vicinanza con quella che mi apparve subito come la pi bella ragazza che avessi m
ai visto.
Certo la coppia mi apparve come nella favola della "Bella e la bestia".
L unica differenza: lei era splendida.
II suo sorriso mi incant ancor pi della sua bellezza.
Minuta, ben proporzionata, era alta circa un metro e sessanta, i vestiti, anche
se trasandati, non riuscivano a sminuirne la bellezza.
Rimasi immobile ed estasiato, ma lei non si accorse di me ne della mia espressi
one, che doveva essere da perfetto idiota, preoccupata di rimanere lei l attrazi
one, affascinante e sbarazzina, di tutto il gruppo.
Quando il mio accompagnatore mi trascin di forza fuori dalla stazione, ancora con
fuso, emozionato, frastornato, chiesi subito informazioni riguardo alla ragazza.
Mi conferm che la "bestia" era il suo ragazzo e che non c era nessuna speranza di
mettersi tra i due.
Molti, abbagliati dalla sua bellezza avevano tentato l impresa di conquistarla m
a lei era molto innamorata di lui.
Dopo un po ritornai da solo alla stazione dei treni per rivederla ancora.
Era come se il solo vederla da lontano mi rendesse felice.
Non la trovai, dovevano essere gi andati a scuola.
Espressi dal profondo il desiderio di rivederla e, se non chiedevo troppo, di fr
equentarla.
Ed ora, a distanza di anni, era l, a soli due metri da me.
La mia mente, eccitata, cominci ad analizzare la sua espressione.
Frequentavo le discoteche da anni e avevo acquisito l abilit di capire quasi tutt
o della ragazza che mi stava di fronte dall espressione e dai movimenti del corp
o.
Percepivo il carattere, intuivo pregi e difetti ma soprattutto se era libera e q
uindi abbordabile.
Ma in quell occasione, l osservazione mi portava a conclusioni cui non potevo cr
edere.
<No !!. E impossibile !!> pensai,
<Una ragazza cos bella deve avere sicuramente qualcuno.
E se tento di abbordarla rischio di fare solo una figuraccia come quattro anni f
a.
"E meglio accontentarsi di ammirarla e cercare di capire il pi possibile in ques
to lasso di tempo che mi e concesso. > Pensai:
<Come mai anche lei viaggia verso Motta?"
Forse va a trovare degli amici. >
<No, impossibile! In quel paese non c nessuno che valga la pena di visitare ed i
n ogni caso farebbe il possibile per andarsene. >
Continuai a ragionare finch giunsi alla sconcertante conclusione che l unico moti
vo per il quale stava viaggiando verso quel paese a quell ora era perch ci abitav
a.
Ma conclusi anche che forse era meglio lasciar perdere piuttosto che nutrire fal
se illusioni.
Mi sentivo come il ranocchio della fiaba assieme alla principessa, con l unica d
ifferenza che io non avrei potuto che restare me stesso.
Un mese e mezzo dopo, in una splendida giornata di sole di gennaio mi stavo reca
ndo nel garage di Rik, il miglior amico che avevo in quel periodo.
Rik era un ragazzo pi giovane di me, ma la sua simpatia e la sua profondit lo avev
ano reso un amico affiatato e caro.
Con lui condividevo alcune scorribande notturne ma non lo coinvolgevo quando si
superava il limite della legalit o si rischiava la vita.

Ero particolarmente affezionato a lui, forse perch a differenza di altri amici su


perficiali, con lui riuscivo a parlare di ricerca spirituale.
Il suo garage era il posto di ritrovo di molti ragazzi del quartiere e per quest
o l avevamo addobbato con poster e cartelloni in modo da renderlo pi accogliente.
L avevamo attrezzato con giradischi, casse e tutto l occorrente per organizzare
delle feste.
Ma per quante volte ci avessimo provato, non eravamo mai riusciti a portarci del
le ragazze.
Avevamo giustificato questo fatto in molti modi, di certo era che le ragazze l, n
on ci volevano venire.
Dappertutto ma non il quel garage.
Divenne quindi un ritrovo per soli uomini.
Varcai la porta certo che avrei trovato qualcuno con cui scambiare quattro chiac
chiere.
Se poi fossi stato fortunato avrei trovato anche il mio amico.
Trovai infatti Rik, ma in compagnia di una ragazza.
Feci l atto di uscire mentre pensavo ad una scusa per lasciarli da soli quando l
a ragazza si volt.
Era lei: Manuela.
Aveva una abito da sera bianco di seta.
Non era certo nel suo stile, visto che vestiva sempre alla Hippy.
Sembrava un antica vestale.
Mi fu chiaro, anche in questa occasione, che non si trattava di coincidenza.
Era un disegno ignoto che mi faceva trovare quella ragazza in una situazione a m
e favorevole.
Ringraziai mentalmente il destino per avermi avvertito il mese prima, attraverso
il precedente incontro in corriera: questa volta non mi sarei lasciato perdere
l occasione.
Qualcosa conduceva la mia vita e mi dava indicazioni chiare ma soprattutto la ce
rtezza della sua potenza.
Mentre Rik me la presentava, parlandomi di feste ed altre cose che non ascoltai,
mi preparai a far uso di movimenti corporei che trasmettessero sicurezza e disi
nvoltura e mi avvicinai fingendo di vederla per la prima volta.
Quindi mi presentai.
"Flavio" "Manuela"
"Devi andare da qualche parte?"
"Devo prendere la corriera. Ma mi porta Rik."
"Dove abiti?" dissi con fare quasi casuale.
"A Motta."
"Guarda che coincidenza! Io ci lavoro a Motta! Ed ho preso una camera vicino al
centro. Ci si potrebbe trovare uno di questi giorni"
"Io abito in Via......, puoi venirmi a trovare se vuoi"
"Ci verr una sera di questa settimana. Ci sono problemi di orari?"
"No. Mio padre non mi crea nessun problema"
A questo punto intervenne Rik;
"La prossima domenica potremmo andare assieme in un locale. Ne conosco uno a Spr
esiano dove danno della buona musica."
Rik stava facendo il mio gioco.
Niente di meglio che giocare in casa.
Mi bastava perfezionare l appuntamento e poi potevo anche uscire di scena.
"Ok. Ci possiamo trovare alle tre di domenica prossima alla stazione ferroviaria
"
e Manuela;
"Per me va bene."
"Ok. Io per adesso devo andare ! Salve ! Ci vediamo!"
E cos uscii fngendo indifferenza, quando avevo ormai il cuore che mi stava uscendo
dalla gola.
Era fatta. Eccitatissimo, pensavo solo al metodo pi sicuro per conquistarla anche
se sapevo che questo intervento misurato mi avrebbe concesso delle buone possib
ilit di successo.

Una settimana dopo, ci ritrovammo, io e Rik, ad aspettare l incontro.


Durante la settimana ci eravamo assicurati che Manuela avrebbe portato anche un
amica, in modo da formare due coppie; con Rik ci eravamo accordati in merito, ma
io ormai avevo la certezza che Manuela sarebbe stata mia e di nessun altro.
Con somma sorpresa, la vedemmo arrivare addirittura con due amiche, che poi scop
rimmo essere sorelle.
La pi giovane era decisamente pi attraente dell altra, ma sicuramente non bella qu
anto Manuela.
Ci avviammo quindi verso l unica macchina: la mia.
Il tragitto era breve, ma il traffico allung il tempo necessario ad arrivare nel
piazzale di fronte alla discoteca, di circa mezz ora.
Approfittammo di quel tempo per ridurre le distanze tra noi,
"Abitate tutte a Motta ?" chiesi io
"Si, siamo amiche da molti anni" rispose la pi giovane, che oltre ad essere pi car
ina era decisamente anche pi spigliata.
"E quale scuola frequentate ?" incalzai io.
Fu sempre la pi giovane a prendere la parola spiegandoci la posizione di tutte e
tre, inizi quindi a parlare della loro amicizia e di cosa si faceva in paese.
Felice che ci fosse qualcuno che sostenesse la conversazione, abbandonai mentalm
ente gli argomenti di cui si stava parlando per dirottare la mia attenzione vers
o il viso di Manuela.
Spostai leggermente lo specchietto retrovisore in modo da poter vedere il suo vo
lto.
Mi bastava poterlo ammirare qualche frazione di secondo, tra una curva e l altra
, per sentirmi felice.
A lei bastava fare un movimento impercettibile per emanare un fascino irresistib
ile.
Constatai con felicit, che anche lei parlava solo quando non poteva farne a meno.
Questa era sempre stata una mia caratteristica.
Il gesto, l atteggiamento, erano stati ed erano il mezzo di comunicazione prefer
ito, che nel particolare ambiente della discoteca mi avevano procurato un certo
successo.
Infatti, tra i suoni assordanti di quei locali, la comunicazione attraverso gest
i, mi avevano dato un vantaggio eccezionale, rispetto ai miei coetanei.
Non c era domenica che rimanessi senza ragazza.
Ripensai alle conquiste fatte e mi senti rassicurato e tranquillo.
Non avrei avuto problemi a conquistare anche questa ragazza perch avrei seguito u
na sequenza di azioni ormai collaudata.
Arrivammo nel piazzale di quel locale tanto decantato da Rik, parcheggiammo la m
acchina e ci apprestammo ad entrare.
All ingresso c erano solo due persone che stavano facendo il biglietto prima di
noi, e questo mi parve molto strano.
Normalmente nelle discoteche, specie a quell ora del pomeriggio, si costretti ad
accalcarsi per entrare.
Entrammo, e l impressione che mi fece il locale fu molto buona.
Era molto piccolo e dava una sensazione di intimit particolare, era diviso da tan
ti spar con una piccola luce soffusa.
La musica era meno alta dei locali che frequentavo normalmente e, cosa molto imp
ortante, era lenta.
Ci sedemmo e tra Rik e le due sorelle continu incessante la conversazione iniziat
a in auto con un incalzare tale da far risaltare ancora pi il distacco mio e di M
anuela.
Era fatta, senza nessun sforzo s era creata una barriera tra Rik e le sorelle da
una parte e Manuela e me da una altra.
Ci muovevamo con la padronanza della situazione di chi si sente a proprio agio c
ome se fosse a casa sua.
Sembrava un intesa naturale.
E quando mi mossi lentamente ed elegantemente verso di lei fissandola negli occh
i ormai un potente incantesimo ci aveva allontanato dal resto del mondo.
Nel momento in cui allungai il braccio in segno di invito i suoni erano ormai lo

ntani e le immagini erano distorte e tendevano a scomparire.


Ed al tocco della sua mano nella mia, la vecchia abitudine di pensare mi aveva o
rmai abbandonato.
Ero stato trasportato in un stato di trance tra sogno e realt e, se non fossi sta
to abituato ai gesti del corteggiamento da anni di pratica, in quel momento avre
i avuto delle serie difficolt.
Ci muovemmo assieme verso la pista da ballo, ma ormai avevo avuto gi momenti talm
ente intensi che, se qualcuno mi avesse svegliato in quel momento, sarei comunqu
e rimasto appagato.
Ed invece il sogno che stavo vivendo prosegu con livelli di felicit che non avevo
mai provato.
Arrivati al centro della pista ci avvicinammo e provai una sensazione incredibil
e.
Le emozioni avevano sostituito completamente il pensiero.
Stavo vivendo con il cuore.
Ci che provavo al suo contatto era come una melodia.
Al posto di ogni nota, c era una vibrazione del mio corpo, che uscendo, mi procu
rava una sensazione di estasi.
E come per incanto, mi ritrovai a baciarla.
La semplice immagine di due bocche che si sfiorano non pu rappresentare quel mome
nto.
Ogni cosa aveva il sapore dell infinito.
Sono cose che non si dimenticano, rimangono vive nella mente e nel cuore.
E una ricchezza che non si pu perdere e che nessuno pu rubare.
Alla fine di un lungo bacio ripresi i sensi.
Sapevo per esperienza che, raggiunto il successo del bacio appassionato, dovevo
allentare un po la presa.
Infatti, se ad una donna si nega un secondo bacio, dopo dieci minuti la si trova
molto pi appassionata.
Se al contrario si e troppo precipitosi la donna si mette sulle difensive aumen
tando le difficolt del corteggiamento.
"Ci fermiamo un po " dissi con dolcezza. "Se vuoi" mi rispose.
"Vado a prendere qualcosa da bere. Porto qualcosa anche a te?" chiesi, e mi parv
e il modo migliore per fare una pausa. "Si! prendimi una Coca Cola !" Andai vers
o il banco ed incrociai Rik. "Come va?" chiesi.
"Bene, sono simpatiche ma sono dueeeee" si lament. "E ti lamenti? ".
"A te sembra stia andando bene" osserv.
"Che pezzo di ragazza, e sconvolgente".
"Siete davvero una bella coppia. State bene assieme".
"Speriamo che duri." Sussurrai.
"Hai gi preso qualcosa ? " chiesi.
"S, ho gi preso un Alexander, ma ti aspetto".
Andai verso il cameriere ed ordinai una Coca Cola ed un Gin Frizz.
Una volta ricevuti i due bicchieri ci avviammo assieme verso i nostri posti a se
dere.
Le sorprese non erano finite.
Manuela si era seduta in disparte.
Nessun segnale poteva essere pi chiaro.
Mi avvicinai e, mentre mi sedevo, con un lungo gesto con la mano simulai l atter
raggio della coca cola nel suo petto, e poi senza fermarmi alzai il bicchiere sf
iorando la sua guancia, infine lo spostai sfiorando le sue labbra.
Quando il bicchiere pass davanti al suo viso chiuse gli occhi ed io mi avvicinai
per darle un bacio leggero.
Misi infine il bicchiere tra le sue mani, gliele strinsi e dissi
"Sei meravigliosa".
Lei si avvicin e finalmente prese l iniziativa in un altro, lunghissimo bacio.
L esperienza mi aveva davvero aiutato!
Cominciai a sfiorarle il seno e poi gi fino al lato interno delle gambe, per poi
risalire fino al pube senza mai insistere.
Passavo sfiorando, in tutto il corpo, in modo da studiare quali erano le parti p

i sensibili.
Ma quando lei mi prese la testa fra le mani, partendo dal collo verso l alto, io
ricaddi in quel vortice di sensazioni e non riuscii pi controllare la situazione
in modo razionale.
Lei scivol sotto i vestiti, mi accarezz tutta la schiena e poi con una azione acro
batica pass la mano sul mio torace senza alzare la camicia in modo da non attirar
e l attenzione.
Quando ormai sembrava che non riuscissimo pi a mantenere dei limiti, la musica ca
mbi ritmo e le luci psichedeliche aumentarono di luminosit, questo cre un stacco ch
e attir la nostra attenzione sull ambiente circostante.
Ci alzammo e mentre ci ricomponevamo lei si rivolse a me
"Hai una pelle morbidissima"
Io le rivolsi uno sguardo di ringraziamento e con un cenno la invitai a raggiung
ere il gruppo
Lei acconsent.
Le fui grato, perch mi dispiaceva trascurare Rik.
Cap. 5 La caduta
Nei giorni e nelle settimane seguenti io e Manuela ci frequentammo spesso, passa
vamo parecchie ore in compagnia delle sue amiche e di un ingegnere, che in quel
periodo, divideva la stanza con me.
Andavamo in discoteca, al bar al centro del paese, ed a casa sua dove i suoi gen
itori ci accoglievano sempre con estrema cortesia.
Suo padre, un uomo apparentemente trasandato, aveva idee chiare sulla vita e sul
le persone.
Le sue rughe parlavano di una esperienza non comune per la gente di quel paese.
Il fatto che non parlasse perfettamente Italiano ed avesse sposato una donna fra
ncese facevano capire che doveva aver viaggiato molto e lavorato all estero.
La conferma arriv appena varcai per la prima volta la soglia del suo studio, eran
o appese alle pareti moltissime fotografie di paesaggi e persone molto diverse.
Lui condusse la mia attenzione lungo una sequenza di fotografie, "queste le ho s
cattate quando ero in Africa" disse indicandomi in particolare una fotografia ne
lla quale lui, vestito in uniforme, era al centro di un gruppo di africane compl
etamente nude con delle paglie ornamentali sulla testa.
Per una strana coincidenza, lavorava nella stessa fabbrica dove lavoravo io, e q
uesto mi aiut molto.
Potei frequentare la sua casa con maggiore libert e, qualche volta, anche apparta
rmi in camera di sua figlia.
Una sera che mi trovai finalmente solo con Manuela nella sua cameretta, lei apr l
a conversazione quasi di scatto,
"Franco torner questo week-end in licenza" si riferiva al ragazzo con il quale av
eva una relazione da circa un anno.
In realt non l aveva mai rotta, nemmeno in questo ultimo periodo in cui ci eravam
o frequentati spesso.
"Cosa gli dirai?" chiesi dopo un lungo silenzio, durante il quale cercai di trov
are il modo migliore di affrontare la situazione.
"Non lo so!"
"Prima o dopo dovrai scegliere "
"Ma non adesso! E militare capisci ?" e continu
"Non posso dargli questo dispiacere "
"Va bene. Tanto era un po che volevo passare del tempo con i miei amici. Ci ved
iamo luned ?"
Cercai di nascondere il profondo dolore che provavo con una improvvisa disinvolt
ura.
Ma le parole scendevano sempre pi di tono.
"Passo io a casa tua alla solita ora " continuai
Da quel momento Franco rappresent per me la classica spada di Damocle; ogni qualv
olta ne avvertivo la presenza, la mia profonda gioia si trasformava istantaneame
nte in dolore e angoscia.
Questo continuo alternarsi di gioia e dolore cominci a minare il mio equilibrio p
sicologico.

Antiche paure ed angosce popolavano ormai tutte le mie notti, ma anche di giorno
mi trovavo sempre pi spesso in stati confusionali.
Anche Manuela non era indenne da questo marasma di sentimenti che ormai non erav
amo pi in grado di gestire.
Le sue amiche mi avevano riferito che la sua incapacit di prendere una decisione
tra me e Franco, la stava portando alle soglie di un collasso nervoso.
Una mattina a scuola era addirittura svenuta.
L avevano soccorsa e, fatta rinvenire, furono costrette a riportarla a casa.
"Stai attento, che ha un brutto carattere" mi disse una sua amica seduti nel bar
del centro, e continu:
"Esiste solo lei. Usa tutti e poi li getta"
Ma io ero troppo innamorato per essere d accordo con lei o anche solo per presta
rle attenzione; pertanto, pensai di approfittare di quella conversazione per chi
edere informazioni sul suo ragazzo:
"Parlami di Franco !"
"E alto come te. Pi robusto e molto simpatico.
"Pensi che rimarr con lui?"
"Penso che vi far impazzire tutti e due"
"Prima o poi dovr decidere se lui o me"
"Non decider mai !"
"Cosa ne pensi di tutta la storia ?"
"Scusa ma non condivido assolutamente! Per me avrebbe dovuto avere un ragazzo al
la volta."
"Questa situazione mi ha gi fatto impazzire. Ormai non riesco pi adusarne."
"Si vede che ne sei innamorato. Ma ascolta me, lascia perdere."
Mi morsicai un labbro. La conversazione aveva preso una brutta piega.
Non mi era di nessun aiuto.
Avevo solo capito, tra le righe, che in realt nessuna delle sue amiche la sopport
ava per la sua aria altezzosa.
Passarono i giorni e la situazione divenne sempre pi instabile, fra non molto Fra
nco avrebbe finito il CAR e avrebbe avuto un trasferimento in un paese pi vicino,
forse a pochissimi chilometri.
Una domenica, dopo il pomeriggio in discoteca, riusciia liberarmi dalle sue amic
he e ad appartarmi in macchina con lei in un parcheggio poco frequentato.
Iniziammo a baciarci prima delicatamente poi in modo sempre pi appassionato ma no
n era pi la felicit iniziale, l angoscia era mescolata alla gioia.
Tanto pi ero felice con lei, tanto pi la vedevo bella e tanto pi avevo paura di per
derla.
Ma non potevo evitare di cadere in quella spirale discendente.
I baci e le carezze spegnevano subito quel lume di ragione che mi rimaneva e mi
sentivo trascinato sempre pi gi.
Dopo un po , mi ritrovai a baciarle il corpo completamente nudo.
Era bellissimo, snello ma ben proporzionato, teso e diritto era pronto ad vibrar
e ad ogni tocco di piacere.
La coprii interamente di baci, le toccai ogni punto del corpo e sprofondai in le
i con le dita per appagarla.
"Facciamo all amore " lei propose.
Mi guardai intorno ed ebbi paura.
"No. Non qui !" risposi, e la mia risposta sorprese anche me.
In realt avevo paura che qualcosa rovinasse tutto o che io non fossi all altezza
della situazione.
Non ero nello stato d animo di proseguire o forse non ero pronto.
Sta di fatto che mi ritrassi e le dissi che l avrei riaccompagnata a casa.
Due giorni dopo andai a casa sua ma sentivo che ormai era tutto finito ed ogni t
entativo di recupero sarebbe fallito.
Ci ritirammo in camera sua e mi preparai all epilogo.
Lei inizi:
"Ho deciso di rimanere con Franco".
La sensazione che provai fu come se un grosso getto di acqua fredda scorresse su
l mio corpo a partire dalla testa, causando una improvvisa contrazione di tutti

i muscoli.
"Ma come puoi rinunciare a tutto questo ? Mi hai detto che provavi anche tu emoz
ioni profonde quando stavi con me".
"S. Ma ho deciso di rimanere con lui".
"E per l altra sera, non e vero?" cercando di trovare una spiegazione della se
parazione.
"Era la prima volta non vero ?" disse.
E riprese:
"L ho capito subito".
"Non me la sentivo di farlo nella cinquecento !". Mi resi conto del tono stridul
o che stava assumendo la mia voce.
Ma ormai la situazione si faceva drammatica.
Lei, una volta presa la decisione, era tornata padrona della situazione, mentre
io in posizione di netto svantaggio, lottavo nell ultimo tentativo di rimanere a
ssieme.
Niente mi importava pi, niente mi avrebbe consolato se l avessi persa.
Ma quando la guardai negli occhi mi parve, per la prima volta, fredda ed impenet
rabile, altera nella sua superba bellezza ed inattaccabile.
Mi rifugiai nella solita frase, a me sconosciuta:
"Spero che questo non rompa la nostra amicizia".
"No, possiamo vederci quando vuoi".
Ma il suo tono metteva a nudo la realt che ormai a lei non importava pi niente e c
he addirittura la stavo scocciando.
La salutai, uscii e cominciai a sentirmi male.
La mia mente mi ricord che in situazioni simili si comincia a bere e quasi in mod
o automatico, mi ritrovai in un bar.
"Un calice di rosso " chiesi con un filo di voce.
Ed una volta bevuto chiesi:
"Un doppio whisky".
Bevevo con violenza, quasi volessi spararmi le bevande in gola.
Ma non sentivo alcun beneficio.
Anzi l angoscia ed il dolore aumentavano.
Non so quanto tempo impiegai ad arrivare a casa ma certo si era fatto tardi.
La padrona era gi in vestaglia quando aprii la porta. La mia espressione la spave
nt.
"Signor Flavio si sente male?" mi chiese sinceramente preoccupata.
"S signora, sto malissimo. Vado a letto ma non so se domani potr andare a lavorare
".
Sentii il peso dell angoscia, sopra le mie spalle, che si faceva sempre pi grande
.
I muscoli erano ormai un unica fascia di dolore.
Nella mia mente, la frase:
"E tutta colpa mia " risuonava con echi cupi ed ossessivi.
Cercavo, con lo sguardo, qualche oggetto familiare, che mi sollevasse dal baratr
o che sentivo aprirsi sotto i miei piedi.
Mi veniva alla mente solo il pensiero che l avevo persa e che senza di lei la mi
a vita non avrebbe avuto pi senso.
Erano passate solo sei settimane da quando l avevo conosciuta, ma per me rappres
entavano un intera esistenza.
Mi sdraiai sul letto e lo spasmo muscolare si estese su tutto il corpo paralizza
ndomi di colpo.
Ogni movimento mi era negato.
Ma stranamente la cosa non mi spavent, anzi, avrei ringraziato il destino se mi a
vesse tolto la vita, evitandomi la disperazione che stavo provando.
Chiusi gli occhi ed iniziarono a scorrere immagini apparentemente senza nessun l
egame logico.
Vedevo una sala di comandi simile a quelle delle torri di controllo degli aeropo
rti, con tanti tavoli stretti ed illuminati da un video che a prima insta sembra
vano visori di radar, ma che, ad un pi attento esame, dovevano essere una specie
di computer.

C erano segni strani, simboli, frasi scrtte in una lingua a me sconosciuta che ve
nivano sovrapposti ad una mappa trdimensionale.
La sovrapposizione dava la sensazione trdimensionale.
Mi chiesi cosa poteva essere e mi venne in mente che fosse una mappa stellare.
Riaprii gli occhi e trovai la mia solita cameretta in una penombra rassicurante.
<Sto impazzendo > pensai.
<I1 destino mi ha riservato davvero una brutta fme>.
La situazione era davvero critica, ma temere di diventare folle mi aiut a reagire
al torpore.
Cominciai a fare considerazioni su quelle immagini.
Pensai, dapprima, che fossero pura immaginazione ma mi dovetti ricredere perch la
sensazione non era quella di creare con la mente ma di osservare un oggetto con
creto.
Potevano essere alcune sequenze di uno dei pochi film di fantascienza che avevo
visto.
Ma anche se alcune scene si potevano esserlo, non ricordavo assolutamente qualco
sa di uguale, inoltre non ero un appassionato di quel genere.
Decisi che l unico modo per svelare quel segreto era quello di lasciar scorrere
quelle immagini per avere pi informazioni.
Richiusi gli occhi e non pass molto tempo che mi apparve una nuova scena.
Mi trovavo ora in un salone assieme a molte persone.
Una cosa che mi toglieva il respiro era la grandezza di quel locale.
Mi sembrava un salone per la sua forma rettangolare ma doveva misurare almeno se
ttecento metri di lunghezza e duecento di larghezza.
Era immenso.
Le persone, dovevano essere almeno trecento, sembravano davvero degli insetti.
Davanti a me stava una donna e mi parlava in una lingua sconosciuta ma di cui ca
pivo il senso.
Mi stava dicendo che quando sarebbe tornata ci saremmo sposati.
Era molto bella ma la cosa che colpiva di pi era il suo portamento altero.
Era alta e vestiva con una uniforme luccicante.
Provavo un senso di inferiorit nei confronti di quella persona ed in quel momento
mi sentivo anche meschino.
Ebbi la certezza che stavano partendo per una lunga missione.
L attesa sarebbe stata lunga due Dinners ma ne sarebbe valsa la pena perch la mia
donna sarebbe diventata Ainnasc, una specie di vice ammiraglio.
Immagini, sensazioni, concetti ed anche nomi scorrevano a getto continuo, ma mi
bastava riaprire gli occhi per bloccarli come se questi ultimi funzionassero da
interruttore.
Bloccai l episodio per riprendere fiato.
Un altro particolare incredibile era che, mentre la mia parte pi razionale rimane
va sconvolta da queste immagini e cercava di allontanarle, un altra parte di me,
molto pi profonda, le dava per scontate.
Quando riaccesi il mio video mentale, vidi chiara Vim,m,agine di una astronave c
he si allontanava.
Era possente.
Mi sentii fiero della mia razza e soprattutto della mia donna che occupava uno t
ra i posti pi prestigiosi.
Uno schermo gigante tridimensionale dava Vimpressione di guardare dalla finestra
.
Era posto al centro della stanza di controllo ed aveva la strana caratteristica
che da qualunque punto si guardasse si vedeva sempre la stessa immagine.
Alcuni responsabili di controllo discutevano di come sfruttare gli angoli gravit
azionali per l accelerazione.
"Rischiamo di perdere mezzo ciclo" disse uno "No.! I calcoli sono stati fatti da
l Grande Villah. Ed ormai non avremmo il tempo
per rprogrammare la traiettoria di accelerazione" avevo la certezza che il Grande
Villah fosse un nome affettuoso dato ad una specie di computer a fibre luminose
.
In realt non esistevano i computer come si intendono oggi ma centri di calcolo lo

gico molto veloce, a fibre ottiche, che si auto perfezionavano per assumere comb
inazioni sempre pi funzionali.
Le memorie erano dei composti biologici di memorizzazione.
Nelle nostre basi erano stati m.essi a punto dei centri di elaborazione molto pi
potenti perch dovevano essere il centro di coordinamento di tutta la confederazio
ne.
Riaprii gli occhi in una completa costernazione.
Cosa mi stava succedendo?
Ero certo di essere in pieno esaurimento nervoso, ma ero altrettanto certo di no
n essere ancora pazzo.
Ma cos erano quelle immagini cos reali ma anche cos assurde?
Da dove venivano ?
Forse l esaurimento nervoso aveva attenuato la ragione e salivano in superficie
aspetti inconsci profondi.
Forse da un inconscio collettivo ?
In balia di cose pi grandi di me ed in preda al collasso nervoso mi appisolai.
Mi svegliai al bussare della signora sul vetro della porta,
"Signor Flavio, come sta questa mattina?"
"Malissimo. Signora pu farmi un favore?"
"Quello che vuole"
"Pu telefonare in ditta ed avvisare che oggi non potr andare perch sto male"
"A chi devo dirlo ?"
"Basta che lo dica alla centralinista e ci penser lei a riferirlo al ragioniere d
el personale"
"Telefono subito. Poi se ha bisogno di qualcos altro io sono qua"
Quel sonno leggero, invece di riposarmi, aveva aumentato il livello di angoscia.
Lo spasmo muscolare crebbe al massimo e cominciai a provare terrore.
Mi trovai su un precipizio, appeso miracolosamente, mi tenevo solo con una mano
su una radice e cercavo con l altra un appiglio pi resistente.
Annaspavo disperatamente, sentivo la terra secca polverizzarsi sulla mano ad ogn
i tentativo di presa.
Ero nell antica terra dei Druidi, era una bellissima notte illuminata dalla luna
, la notte della cerimonia del sole.
Ripensai al mio villaggio di case fatte di terra e paglia, ai boschi alla caccia
alle feste e alla vecchia nutrice che mi aveva preparato al grande passo.
Mi aveva chiamato, due giorni prima, per spiegarmi come si diventava un guerrier
o druido e che grande onore fosse sottostare alla prova la notte della cerimonia
del sole.
Mentre la donna mi spiegava, seduta sulla terra arsa dal sole, davanti alla sua
capanna, mi sentivo particolarmente felice.
Erano anni che aspettavo questo momento e mi compiacevo che fosse venuto nella n
otte pi importante dell anno.
La donna continuava a spiegarmi,
"Questa la cerimonia che mene ripetuta di anno in anno dalla notte dei tempi!
Ci incontriamo tutti, alle pietre.
Ringraziamo il sole e da questo rcemamo il potere e la vita.
E una buona notte per diventare un guerriero ma mi devi ascoltare molto attenta
mente.
Mi ascolti figliolo. ?"
"Si. sono attento"
"I sacerdoti faranno i rituali al centro del cerchio. Ed il potere scender dal ci
elo. La forza e la vita irradier tutte le persone che si troveranno attorno al ce
rchio. E tu quella notte sarai l. Hai capito ?"
"Si . ho capito. " risposi eccitatissimo pensando solo a quello che avrei fatto
una volta guerriero.
"La forza entrer nel tuo petto. Ma attenzione ! Devi aspettare fino a quando ti s
entirai davvero pronto.
Se scatterai troppo presto sarai travolto se scatterai troppo tardi sarai troppo
pesante. Quindi aspetta il momento che sentirai pi giusto.
Poi scatterai in una caccia nella notte.

E dovrai cacciare il tuo simbolo, l oggetto che ti dar la forza nella vita da gue
rriero. "
"Ma quale l oggetto che devo cercare ?" chiesi
"Questo non lo so. Io posso solo dirti di cercare l oggetto pi potente che potrai
trovare, ma attenzione ! Devi trovarlo prima delle prime luci dell alba perch al
trimenti la prova sar fallita."
"L oggetto che troverai sar la tua prima arma, la tua forza, il tuo simbolo ed il
tuo nome. "
Con questi insegnamenti mi apprestai quella notte alla prova di iniziazione come
guerriero.
C era un grande cerchio di pietre tra le quali erano stati accesi dei grandi fuo
chi.
L impressione era che il grande cerchio di fuoco coincidesse con un altrettanto
grande cerchio di pietra.
Al centro del cerchio stavano gli stregoni con altre persone che li aiutavano ne
lla cerimonia.
n cerchio costituiva il sole al quale si davano in sacrificio animali ed uomini.
Ero eccitatissimo e quando mi parve che la forza fosse entrata in me, partii in
una corsa folle alla ricerca dell oggetto.
Sapevo che poteva essere qualsiasi cosa, l importante era che fosse l istinto a
guidarmi.
Ma all improvmso caddi in uno strapiombo, forse tradito dalla troppa eccitazione
.
In quel momento pensai d essere stato tradito dagli spiriti della notte.
Mentre lottavo disperatamente per la vita considerai che gli spiriti non mi avev
ano accettato come guerriero.
In quella civilt, gli spiriti erano una parte importante della popolazione del vi
llaggio perch, a volte, uno spirito prima di reincarnarsi rimaneva nel villaggio
dove aveva vissuto.
Questi erano spiriti che identificavo mentalmente come uomini senza corpo, ma c
erano anche spiriti, molto pi potenti che si potevano trovare nelle montagne e ne
i boschi.
Questi si estendevano in valli intere ed avevano la forza di guidare le nostre v
ite.
Le forze dell universo erano le stelle, il sole ecc., ma gli stregoni potevano f
are magie solo grazie all alleanza con questi spiriti.
C erano spiriti buoni e cattivi e quindi uno stregone doveva avere molta esperie
nza per muoversi in queste realt occulte.
Gli stregoni rappresentavano la casta pi importante del villaggio ed ubbidivano s
olo ad un loro centro, che funzionava come l attuale Vaticano, situato in una lo
ntana isola a tutti sconosciuta.
Erano loro a guidare il villaggio a decidere, nel bene e nel male, la pace e la
guerra.
Poi venivano i guerrieri, che se in vita acquisivano molta forza, venivano rispe
ttati quasi come gli stregoni.
La forza non era intesa come forza fisica ma come potere mentale o potere legato
alla persona.
La forza fisica e la guerra erano solo i mezzi per arrivare ad un potere pi eleva
to.
Questo potere non veniva per spiegato perch ogni uno doveva trovare una sua strada
per acquisirlo.
I guerrieri erano dediti alla guerra ma in tempo di pace avevano mansioni di ca
ccia.
Ogni epica impresa di guerra o di caccia poteva essere un passo verso la forza e
d il potere.
In realt un impresa poteva durare anche pi vite.
Si raccontava di un guerriero che doveva cacciare un grande animale. Gli era sta
to detto da uno stregone che un giorno sarebbe passato in una gola.
n guerriero and in quella gola ed aspett per anni ed anni finche ormai vecchio mo
r.

Si reincarn subito ed al quindicesimo anno, dopo l iniziazione di guerriero, torn


in quella gola ed aspett altri quindici anni finche l animale pass e venne ucciso
.
Alla fine questo guerriero acquisii una forza ed un potere immenso.
Riaprii gli occhi e pensai,
<E se fossero vite precedenti ?>
In vita mia non avevo mai considerato questa possibilit!
Avevo rifiutato perfino il concetto cristiano di inferno e paradiso, immaginarsi
, lo stesso essere che si reincarna pi volte perdendo tutti i ricordi delle vite
passate.
II concetto della reincarnazione avrebbe rivoluzionato tutta la mentalit e le co
noscenze contemporanee.
Ma se io avevo avuto pi vite precedenti non dovevo essere sicuramente l unico, ed
allora perch questa possibilit non era assolutamente menzionata nella cultura occ
identale?
Come poteva essere, che nessuno la considerasse certa ma, nel migliore dei casi,
fosse vista come un opinione di alcune persone, comunque poco attendibile?
Ed ancora, perch si perde completamente la memoria delle vite precedenti?
E perch me ne sono ricordato proprio io?
La signora buss alla porta e mi chiese,
"Vuole che le prepari qualcosa?"
"No grazie! Non si disturbi! Se ho bisogno la chiamo!"
"Vuole che chiami il medico "
"No grazie ! Va un po meglio, Spero di poter andare a lavorare domani"
Mi sentivo davvero un po sollevato.
Il pensare allentava leggermente la tensione e dava un po di sollievo ai muscol
i e speravo vivamente di poter tornare a lavorare perch non avrei proprio saputo
cosa dire al medico.
Comunque ero sempre bloccato a letto da non potermi nemmeno muovere.
Se avessi dovuto andare al bagno sarebbe stato un vero guaio.
Per mia fortuna questo non era ancora accaduto.
Mi rilassai un attimo e tornai sui miei pensieri,
<Che grande conquista ho ottenuto questa notte.
Il collasso nervoso, che avevo visto sempre come una delle peggiori condizioni,
era stato per me una grande fortuna. >
D altro canto cos il bene ed il male, la fortuna e la sfortuna se non una vision
e limitata e parziale causata solo dalla nostra misera condizione di umani?
Una cosa buona pu diventare buona o cattiva in base alle situazioni del momento,
ma soprattutto in base alla persona che la vede o pi precisamente dal modo in cui
quella persona la vede.
Ogni cosa pu davvero essere considerata buona o cattiva se queste considerazioni
sono cos labili?
Non forse pi onesto limitarsi a considerarle cose, fatti e persone?
Fino a poche ore prima non conoscevo la realt della reincarnazione.
Ma quante altre cose ancora non conosco?
Ed allora come potrei continuare a giudicare?
Pensai : <No. Se voglio proseguire nella ricerca della conoscenza in questo mome
nto devo abbandonare ogni presunzione ed imparare ad essere umile. >
Avevo imparato molte cose in cos poco tempo ma molte altre avrei dovuto impararne
in futuro.
Pensare al futuro doveva aver fatto scattare qualcosa perch riuscii a muovermi.
Muovendo faticosamente prima una mano, poi un braccio quindi prima una gamba poi
l altra riuscii a mettermi seduto sul letto.
Mi sentivo molto debole e dolorante pi che mai.
Guardai gli oggetti davanti a me e pensai all assurdit di quel grande amore.
E mi presi in giro.
< Acci denti, le ho prese fsse questa volta !>
<ho trovato proprio pane per i miei denti! >
Ma questo episodio mi aveva portato anche altri insegnamenti:
Innanzitutto che siamo tutti in preda a molti problemi psicologici che non riusc

iamo a gestire, sia io, sia Manuela, sia le amiche invidiose.


Pensai :<Da domani inizio a studiare psicologia per riuscire a risolvere almeno
parte dei problemi con le persone che mi sono vicine.
E poi mi tiro su le maniche e comincio a fare carriera, per gestire al meglio la
mia vita.>
<Bene ! Domani torno al lavoro !>
Cap. 6 La risalita
Tornai al lavoro il giorno dopo, debole ma diverso.
Cominciai ad interessarmi allo studio dell elettronica, ad applicarmi con impegn
o nel lavoro, nei rapporti con i miei colleghi ed a cercare un modo per salire d
i grado.
Erano passati quasi tre anni dal primo giorno di lavoro in quell azienda e non a
vevo fatto nessun passo in avanti.
Ero rimasto in una logorante catena di montaggio ad avvitare un numero infinito
di bulloni e a praticare ininterrottamente fori su lastre di plexiglas.
Ma sarebbe stato cos ancora per poco.
In un solo mese mi preparai per un esame interno e riuscii a superarlo.
Successivamente mi dedicai ai centralini telefonici e tanto feci finch, due setti
mane dopo l esame, mi affiancarono ad un responsabile di settore, per imparare t
utto quello che riguardava la costruzione ed il collaudo di quelle apparecchiatu
re.
Nei mesi che seguirono imparai il funzionamento di altri macchinari, finch potei
avere la responsabilit di un piccolo reparto.
In quel periodo non pensavo ad altro che guadagnare terreno in azienda, strappan
do competenza, responsabilit e prestigio ai miei colleghi.
Stupii tutti quando mi proposi come aiutante nello staff di progettazione e rice
rca formato da due ingegneri.
Stupii ancora di pi quando dimostrai a tutti di essere in grado di collaudare sch
ede di microprocessori e stendere complessi programmi in linguaggio macchina.
Divenni ben presto responsabile di tutto il settore di produzione di computers e
microprocessori, utilizzati per controlli numerici.
Erano passati sei mesi dal mio rientro e potevo essere davvero orgoglioso di que
llo che ero riuscito a realizzare.
Avevo raggiunto una posizione all interno dell azienda, che non avrei mai sperat
o, ero salito al livello massimo permesso dal mio titolo di studio.
Ma non mi sentivo ancora soddisfatto.
Cominciai ad avere contatti all esterno dell azienda.
Conobbi titolari di aziende e persone disposti a darmi del lavoro. Avrei potuto
aprire un piccolo laboratorio e montare e collaudare schede elettroniche.
Contemporaneamente concordai con il mio titolare di fare alcuni lavori fuori dal
l azienda.
Il ruolo di dipendente cominciava a starmi stretto, d altro canto aprire un atti
vit in proprio comportava tanti rischi e richiedeva denaro.
Era un esperienza a me sconosciuta ed i miei si sarebbero sicuramente opposti.
Per loro era troppo importante mantenere la sicurezza di un posto fisso come dip
endente.
Quella del dipendente era per tutti i miei familiari quasi una religione, venera
ta ed agognata quasi fosse la massima aspirazione di un uomo.
Chi non aveva un posto fsso doveva lottare con tutte le sue forze per ottenerlo e
quando raggiungeva questo stato di grazia doveva ringraziare Dio e fare il poss
ibile per non perderlo.
Come avrei potuto dire a mia madre ed al nonno che mi sarei licenziato per aprir
e un azienda?
Non avrebbero mai capito ed invece di aiutarmi mi avrebbero ostacolato con tutte
le loro forze.
Mi trovai cos, un sabato pomeriggio di novembre inoltrato, a fare una tra le scel
te pi difficili della mia vita.
Non era la famiglia il solo ostacolo; avrei dovuto investire tutti i miei rispar
mi per acquistare il necessario per eseguire i lavori.
Era un problema davvero grande.

Nessuno avrebbe potuto aiutarmi o consigliarmi.


Nessuna certezza e tanti dubbi.
Sentii il bisogno di fare due passi. Uscii di casa.
Il cielo era coperto da grandi nuvole ma una brezza fresca, che entrava con forz
a nelle narici, mi riempiva di vitalit ed entusiasmo.
Sentivo il vento che mi accarezzava il viso e portava tanti rumori familiari, ch
e mi davano una pacata serenit.
Oltre la rete, che fiancheggiava la strada, si estendeva la campagna, dove l inc
ontenibile bellezza della natura si era conservata, nonostante l intervento dell
uomo.
Si! Aumentava in me il desiderio di una bella passeggiata lungo i campi coltivat
i, nel vano tentativo di sentirmi parte dall imponenza silenziosa della natura.
Mi avviai lungo una strada che si inoltrava tra campi e filari fnch sentii di dove
rmi fermare.
Non capii, ma qualcosa pi forte di me, mi guid nell attraversare la strada fmo a t
rovarmi di fronte ad un fossato pieno di immondizie e rifiuti vari.
Trasalii.
Di fronte a me, sopra un mucchio di rifiuti, c era, intatto, uno scatolone da im
ballaggio.
Era uno scatolone da imballaggio, di un particolare trapano, che avrei dovuto ac
quistare. Era segnato nella mia lista fra le attrezzature pi costose.
La mente correva in decine di ragionamenti futili;
< Sicuramente ci sono laboratori di elettronica qui vicino >.
<E sicuramente una coincidenza >
Era un nuovo segno e non potevo nascondermelo.
Ripresi il controllo della mente e cercai di mettere ordine nell accaduto.
C erano due fatti inconfutabili.
Primo: mi ero posto un problema forse pi grande di me, dato che non avevo gli ele
menti per risolverlo.
Secondo: in modo alquanto originale, ma avevo avuto la risposta.
Non ebbi il minimo dubbio che la risposta fosse giusta.
Mancava solo un elemento per chiudere il capitolo: chi me l aveva data?
Guardai attorno a me, quasi per scoprire qualche elemento che potesse aiutarmi a
fornire una spiegazione, ma soltanto un paesaggio immobile mi stava a guardare.
Non un movimento, non un segnale, ma sentivo come un tepore salire da quei campi
spogliati da un autunno ormai finito.
Ebbi la sensazione di continuit tra le cose, come se non esistessero dei confini
di separazione tra me e ci che mi circondava, tra le case ed i campi, tra i rami
stecchiti ed il cielo, ma che queste delimitazioni fossero solo nella mente.
Come se ogni cosa fosse disegnata nella sabbia, ma in realt esistesse solo la sab
bia.
Ebbi un momento di sussulto e mi spaventai di ci che provavo, ricorsi quindi alla
ragione per capire.
Quel segno poteva essermi stato dato solo da quella forza che mi guidava.
Oppure la risposta poteva essermi data da Dio o da qualche essere soprannaturale
.
O ancora, poteva essere un potere che avevo proprio io.
Cominciai ad analizzare un ipotesi alla volta.
Anni prima avevo attribuito quei fenomeni ad una forza, ma questa spiegazione, o
rmai, non mi soddisfaceva pi.
Il concetto di forza non diceva pi niente, come non riuscivo a concepire, che qua
lcun altro si prendesse la briga di darmi una mano, per quanto santo e potente
potesse essere.
Per quale motivo un essere o una qualche entit, che si potesse classificare come
Dio, si doveva scomodare per risolvere dei miseri problemi?
Cominci a farsi strada la convinzione che il concetto di potere dei Druidi doveva
essere reale.
Ogni persona o cosa dotata di un potere personale che cresce in base alla purezz
a delle sue azioni e delle sue intenzioni.
Una persona deve volere fermamente una cosa e perseguirla con determinazione sen

za nessuna esitazione.
In questo modo possono verificarsi anche i miracoli.
Ripensai a quel guerriero druido che aveva dimostrato una determinazione che and
ava oltre la vita e capii un altro aspetto che ,in tutti questi anni, avevo tras
curato: quel guerriero aveva acquisito un potere cos grande solo perch, avendo acc
ettato un compito che si sarebbe protratto oltre la vita, aveva abbandonato, in
modo definitivo, ogni egoismo ed ogni paura.
Solo rinunciando alla vita come propriet da gestire, ci liberiamo da tutti gli eg
oismi.
Solo evitando di considerare la morte come un ostacolo perdiamo ogni paura.
Ebbi la certezza che, per questi motivi, quel guerriero aveva acquisito molto po
tere.
Provai una grande commozione nel pensare a quel guerriero, tanto che non riuscii
a trattenere le lacrime.
In un certo senso la mia ricerca e la mia comprensione avevano reso omaggio a qu
el guerriero.
Avevo dato attenzione ad uno spirito che certamente vagava nell immensit; ero cer
to che fosse grato di sentirsi riconosciuto in una civilt come la nostra, dove, i
l lottare per qualcosa, che non fosse un interesse personale, era considerato pu
ra idiozia.
Il sole, incendiando il cielo, conferiva maggiore solennit al momento.
Ritenni di spostarmi dal ciglio della strada fm sotto un cespuglio per poter viv
ere il ricordo in modo completo.
Man mano che la luce si affievoliva anche le mie emozioni si attenuavano.
I due fenomeni sembravano legati da un filo invisibile, e nel silenzio del luogo
sembrava che il pianeta rispettasse quel connubio.
Quando l oscurit vinse il giorno, era ormai scesa dentro di me una calma ed una s
erenit che non avevo mai provato.
Rimanendo in silenzio mentale, ascoltavo ogni sensazione salirmi dal profondo.
Le nuvole si erano diradate ed avevano lasciato ampi spazi dai quali le stelle p
otevano sfoggiare tutta la loro bellezza.
La luna che stava sorgendo, dava al paesaggio un aria particolarmente familiare.
Si affacci alla mente un altro episodio che doveva risalire almeno a tremila anni
prima.
Mi trovavo nella stessa posizione, inginocchiato e seduto sui talloni, in un gra
nde spiazzo con l erba completamente calpestata.
Ebbi la sensazione di trovarmi nell antica Gallia all et del bronzo.
In quell episodio, sicuramente precedente a quello dei druidi, dovevo essere un
guerriero.
Avevo di fronte a me una lancia rudimentale ed un arco, ero vestito solo di una
pelle che mi copriva a malapena le anche.
n caldo afoso, nonostante fosse notte fonda, mi fece pensare di essere in piena
estate.
Rimanevo fermo in quella posizione per assorbire dalla terra la forza ed il pote
re necessari per l azione di guerra che avrei domito compiere.
Era credenza, a quei tempi, che, se un guerriero assorbiva il fluido e la forza
che emanava la terra, avrebbe vinto contro qualsiasi avversario.
Solo, in quella radura, immobile, mi sembrava di avere sotto controllo tutto que
llo che mi circondava.
L olfatto ed l udito sempre all erta mi permettevano di percepire ogni animale,
ogni foglia che si muovesse nel raggio di parecchi metri.
Era vitale riuscire a sentire ed individuare il percolo con ogni senso. Ed era al
trettanto imporante farlo nella pi completa immobilit per non diventare preda.
Non erano utilizzati solo i sensi che conosciamo oggi, ma molte altre percezioni
che l uomo ha dimenticato nella notte dei tempi.
n potere del guerrero era una particolare percezione quasi visiva, che arrvava al
corpo non come immagine ma come sensazione.
n corpo avvertiva la sensazione del percolo e, senza l intervento della mente, ad
ottava l adeguata azione di difesa o di attacco.
Oggi potremmo pensare che fossero i riflessi di atleti incalliti, ma sono certo

che noi uomini del duemila non riusciremo mai a capire quel particolare mondo: i
l mondo dei guerrieri.
Nel ricordare quell episodio mi pervasero un grande entusiasmo, una forza ed una
carica che non avevo mai provato, almeno in questa vita.
n cuore cominci a battermi sempre pi forte, sentivo una puzza nauseabonda, ed i mi
ei muscoli cominciavano a tendersi.
Mi sentivo nel corpo del guerriero, sentivo le sue emozioni, vivevo i suoi pensi
eri e percepivo il suo corpo.
Era un corpo giovane come il mio ma molto pi forte ed agile, i suoi muscoli erano
di ferro e la sua presa di acciaio.
Era una sensazione meramgliosa.
I miei sensi percepivano tutto ci che mi circondava in modo pi intenso e vivo dona
ndomi un grande piacere.
Una grande sicurezza nella mia abilit e nella mia esperienza mi facevano sentire
padrone del mondo che mi circondava.
E all improvmso si verflc una cosa straordinaria.
Fu come se dalla mia testa si prolungasse un periscopio, o meglio ancora, era co
me se parte della testa volasse in alto appesa ad un palloncino, e questo pallon
cino fosse legato al collo.
Ero qui e l contemporaneamente.
Vedevo il terreno ad un metro di distanza da me, e contemporaneamente osservavo
la radura ed il bosco da un altezza di circa cinquanta metri dal suolo.
Spostavo l attenzione prima in alto e poi in basso finch dall alto indi muoversi
delle figure.
Erano i miei avversari che si stavano avvicinando velocemente, furtivi e con mol
ta attenzione.
Mi accorsi allora di essere solo.
Dovevo vendicare il mio villaggio saccheggiato, e di fronte a questa considerazi
one era trascurabile che fossi solo ad affrontare venti guerrieri nemici.
Era altrettanto trascurabile la quasi certezza della morte.
Era inconcepibile con quanta calma e concentrazione andavo verso il mio destino.
Quando gli avversari furono abbastanza vicini emisi un urlo selvaggio e mi lanci
ai all attacco.
Rivivevo in tal misura quel ricordo che non riuscii a trattenermi dall emettere
un urlo e dallo scattare in piedi.
Mi gettai sugli avversari e cominciai a trafiggerne uno. Un secondo si stava avv
icinando alle mie spalle e con un gesto fulmineo spinsi la lancia all indietro c
olpendolo in pieno petto.
Ormai erano tutti su di me ed i colpi di clava e di lance appuntite si abbatteva
no su di me con un ritmo crescente.
Dopo pochi secondi cadevo in fin di vita, trafitto in pi part, con un orecchio asp
ortato di netto, l osso della fronte scoperto, in un lago di sangue.
Gli avversari se ne stavano andando, quando tentai di rialzarmi e impugnare un b
astone.
Percepii netto il dolore e lo sforzo ed altrettanto chiar furono le mie emozioni
ed i miei pensier.
L ultimo sguardo che rvolsi ai miei avversar ed al mio mondo fu di indomabile orgo
glio.
Sentivo che era giunta la mia ultima ora e in quel momento il pensiero and al mio
villaggio, a tutti i suoi abitanti che avevano deciso di andarsene piuttosto ch
e sottostare ad una trb violenta e sanguinara.
L eroismo portato all estremo nella ricerca della libert, mi commossero.
Mi ritrovai disteso sull erba singhiozzando disperatamente per il guerriero che
ero stato.
La commozione ed il dolore che mi opprimevano il torace, non mi erano nuovi.
Rimanevo vittima di queste emozioni ogni volta che parlavo o che pensavo alla li
bert.
Per tutta la vita, avevo avuto la sensazione di aver lottato e sofferto per la l
ibert, ma questa sensazione non aveva mai trovato una spiegazione logica ma solo
adesso ero in grado di capire da dove mi derivasse questo anelito

Singhiozzai a lungo finch, tra le luci distorte e deviate dalle lacrime, comincia
i a mettere a fuoco un altro episodio.
Ero in una grotta buia, c erano solo due torce appese, che sembravano pi intente
a rmanere accese che ad illuminare.
Ero incatenato, assieme ad una decina di altr uomini, lungo un cunicolo stretto c
he si allargava a met circa della catena, in concomitanza delle torce.
Nel punto pi largo c erano due guardiani che, dirtti in piedi ed armati di fruste
e spade, infiervano su due disgraziati come me.
Dovevo trovarmi in Indocina, nell attuale Laos, parecchi millenni fa.
Come in altre civilt antiche, alcune persone di un villaggio venivano offerte in
sacrificio agli dei.
Appartenevo a quel villaggio, ed avevo accettato sempre, quei rituali finch tale
sorte non tocc ad una donna alla quale ero particolarmente legato.
Era mia sorella.
Mi ribellai contro la sentenza di morte e finii in quei cunicoli infernali con d
egli aguzzini che non avevano limiti in barbarie e crudelt.
Eravamo tutti inginocchiati a ricevere ogni tipo di insulti e provocazioni ed al
minimo cenno di ribellione rischiavamo una morte terrbile.
In quel momento uno degli aguzzini stava urlando contro uno di noi, roteava perco
losamente un bastone con il braccio sinistro mentre con il destro imbracciava un
a spada.
Cominci ad urlare contro tutti, noi
"Questo bastardo ha provato a rbellarsi.!
Adesso faremo vedere a tutti cosa succede a chi prova a rbellarsi! Sik prendi que
sto bastardo e tienilo in piedi!"
n malcapitato venne preso, dal secondo aguzzino, alle spalle ed alzato in piedi,
in modo da esporre il torace ed il ventre nudi e sporchi al prmo aguzzino.
Quest ultimo si guard attorno con un sguardo di superort e di compiacimento nella su
a posizione di potere.
Inaspettatamente quest ultimo alz la spada e, facendola cadere, apr in un sol colp
o il ventre del malcapitato.
Fu una scena raccaprcciante.
L urlo di dolore della mttima rese ancora pi drammatica l evento che si stava svo
lgendo.
Con il sangue finirono sul terreno anche le interora dell uomo.
Non potr mai dimenticare lo sguardo di terrore e di dolore dell uomo in quel mome
nto.
La rabbia che provai fu lacerante, non ruscii a trattenere un urlo "NOOOOOO!!!!!"
Quella scena mi fece provare fisicamente la condizione di schiavo, mia e dei mie
i compagni.
La rabbia verso quell aguzzino esplose nella mia mente e divenne rabbia contro l
a schiavit, rabbia contro tutti coloro che sopprmono e sentivo con tutte le forze
che anche oltre la vita avrei anelato alla liber.
Mi ritrovai a pensare sopra l erba che si stava inumidendo, col freddo che comin
ciava a farsi sentire.
Rialzandomi, mi guardai attorno.
C era una calma quasi irreale, anche per la campagna dove mi trovavo.
Presi un cerino dalla tasca e lo accesi per illuminare il quadrante dell orologi
o. Erano le due del mattino.
Avevo passato sette ore nella pi completa immobilit.
Sentii il freddo solo quando cominciai a muovermi.
Ripensai a quelle ore che erano trascorse ed ebbi chiara la sensazione che il po
tere aveva usato i miei sentimenti ed i miei ricordi, per darmi una chiara indic
azione.
Non avevo solo ricevuto la risposta su cosa dovessi fare nel mio futuro, ma perc
h dovevo farlo e come.
Fui certo che dovevo iniziare una mia attivit, perch era un passo importante verso
la libert.
Capii che avrei dovuto perseguire questo scopo come passo verso la conoscenza, e
questo mi fece sentire molto felice.

Il concetto di libert mi era molto affine, quasi una parte di me stesso.


Ma per realizzarlo dovevo percorre un tragitto molto lungo, nel quale avrei dovu
to lottare per una libert mentale, negando le abitudini, i luoghi comuni, tutti i
:
"E sempre cos da che mondo e mondo";
per una libert psicologica, liberandomi da tutti i complessi ed i problemi;
per una libert spirituale superando le limitazioni imposte dal corpo fisico.
E questo lungo tratto l avrei percorso da guerriero, con le due armi fondamental
i, di cui ora disponevo: l impeccabilit e l umilt.
L impeccabilit nel perseguire l obiettivo, senza indulgenze verso se stessi.
E verso tutti.
Che stupendo concetto quello dell umilt, il solo menzionarlo mi fece schizzare il
punto di vista, cinquanta metri sopra la testa.
Mi vedevo dall alto, camminare in quella strada buia e provai una grande ammiraz
ione ed un grande affetto verso me stesso, per aver ricordato il principio dell
umilt.
Umilt che il guerriero prova verso il re e verso il mendicante in egual misura.
Sembra una sciocchezza ma, se applicata con dedizione ed onest , d il giusto valor
e alle persone ed alle cose.
L umilt del guerriero assomiglia molto al codice dei cavalieri medioevali con l u
nica differenza che il secondo stato traviato dal titolo di prestigio del cavali
ere.
Il guerriero non deve, nemmeno per un momento, gloriarsi della sua posizione, o
ricercare il titolo per prestigio, perch in quel caso tutto ci che ha di buono, as
sumerebbe valenza negativa.
La nostra storia costellata di guerrieri o cavalieri che in realt erano figure ne
gative proprio per questo, poich la differenza minima ed molto facile equivocare.
Pensavo a tutto questo mentre mi avvicinavo a casa, attraversando una zona resid
enziale della periferia, completamente deserta.
Si stava formando un leggero strato di foschia che generava strani giochi di luc
e attorno ai lampioni; faceva ormai molto freddo.
Diedi un ultimo sguardo alla campagna, ormai lontana, e ringraziai quei guerrier
i, ringraziai il potere, ringraziai tutto il creato per ci che mi era stato donat
o; promisi a me stesso che sarei stato all altezza del compito, e mi avviai vers
o la porta di casa.
Cap. 7 La compagna
Nonostante le mie scelte di vita fossero radicalmente cambiate non avevo ancora
abbandonato i vecchi amici e l abitudine di frequentare le discoteche.
Un sabato sera di fine aprile mi trovavo in un piccolo locale di un paese che di
sta circa dieci chilometri da Treviso.
Ero accompagnato da un amico con il quale ero molto affiatato, e da due ragazze,
che in quei giorni erano per noi un vero problema.
Si era creata una situazione davvero paradossale; la ragazza che accompagnavo io
si era innamorata, a sentir lei, del mio amico, e questi non ne voleva sapere,.
Al contrario egli cercava di corteggiare la ragazza che era venuta con lui, che
a sua volta non lo sopportava.
Era una situazione davvero comica, se vista dall esterno, ma decisamente poco pi
acevole per chi vi era coinvolto.
Pensai di togliermi di impiccio lasciando il mio amico a sbrigarsela da solo con
quelle due, tanto pi che le aveva trovate lui, e mi diedi da fare per conoscere
qualche nuova ragazza.
Mi ero informato dal disk-jokey sulla sequenza dei brani veloci e lenti che avre
bbe seguito in modo da fare l abituale giro di perlustrazione poco prima che arr
ivassero i lenti.
Questo avrebbe permesso di decidere in tempo la ragazza che avrei invitato al mo
mento giusto al posto giusto.
La tecnica prevedeva anche di creare un minimo di intesa, con gli sguardi, poco
prima che finissero le musiche veloci, in modo da prevenire eventuali interferen
ze di altri ragazzi che avrebbero rovinato tutto.
Eseguivo la tecnica ormai per abitudine, quindi iniziai a girare per il locale.

Ci fu uno sguardo che mi colp, come se ci fosse stato un lampo nella semioscurit d
el locale.
C era un gruppo di ragazzi e ragazze che dovevano far parte di una compagnia, tu
tti seduti in una poltrona a forma di semicerchio e tra questi c era una ragazza
che con i gomiti appoggiati sulle ginocchia guardava il pavimento in modo scons
olato.
Dall espressione doveva averne abbastanza di quella situazione, ma quello che io
percepii andava molto al di l della semplice sua noia.
Provai in quello sguardo una profonda affinit.
Ebbi la sensazione che quel lampo, che aveva attirato l attenzione, fosse in rea
lt un aura luminosa attorno a lei.
Mi venne all improvviso un ricordo della mia infanzia.
Avevo circa sette anni, in una giornata molto calda di un giugno inoltrato, ero
in vacanza al mare con i miei e mi stavo recando in spiaggia.
Attraversavamo una strada alberata con due marciapiedi colmi di persone che pass
eggiavano.
Mi ricordai in modo molto vivo i colori sgargianti dei vestiti dei passanti e de
i negozi, il caos di macchine e persone e la luce accecante del sole.
Ad un tratto sentii prepotente il desiderio di guardare in una precisa direzione
.
Non vidi niente di particolare, ma questo, invece di farmi desistere mi spinse a
scrutare meglio spostandomi verso quel punto che tanto mi attirava.
Sentivo che tra quella folla c era una persona che amavo.
I miei mi rincorsero preoccupati e rimproverandomi, mi riportarono nella direzio
ne precedente. Io iniziai a piangere e a gridare disperato, temevo di perderla d
efinitivamente, ma poi una strana certezza mi tranquillizz: l avrei ritrovata.
Non diedi importanza a quell episodio, che dimenticai molto presto, e solo quell
a sera in discoteca mi torn in mente.
Stava per succedere qualcosa!
Accostai la ragazza e le chiesi se voleva ballare con me.
Lei mi guard, era molto carina, ma la cosa che mi colp di pi in quel momento era lo
sguardo che faceva trasparire un carattere positivo e disponibile.
Guard i suoi amici chiedendo permesso per venire a ballare.
Si alz in piedi e ci avviammo verso il centro della sala, aveva un corpo stupendo
, come avevo sempre desiderato in una ragazza.
Le cinsi i fianchi come in un rituale, e nella penombra accogliente della discot
eca le chiesi "Come ti chiami"
"Raffaella, e tu?"
"Flavio, vieni spesso in discoteca?"
"Vengo molto di rado, perch frequento altri ambienti.
In questa discoteca la prima volta che vengo, sono stata portata da una compagni
a di amici"
Sentivo che dovevo fare una variante alla solita tecnica, e la invitai a sedersi
.
Ci sedemmo e le chiesi
"Cosa fai, studi?"
"Si ! Frequento l universit di Padova. Il secondo anno di medicina. E per essere
pi comoda ho affittato una stanza con altre due ragazze"
Alcuni suoi atteggiamenti mi facevano tornare in mente dei ricordi dell astronav
e che avevo rivissuto mesi prima.
Mentre parlava comparivano dei flash della donna dell astronave che, con l unifo
rme splendente, mi salutava e s avviava verso le uscite.
C era in lei qualcosa, l atteggiamento fiero ed indipendente che mi riportava in
mente la donna dell astronave.
E mentre mi parlava ricordai altri particolari.
Facevo parte dello staff che calcolava e programmava la rotta dell astronave in
missione.
Sembrava che tutto procedesse bene finch al secondo ciclo, circa 4 anni dopo la p
artenza, il coordinatore si accorse di un errore di valutazione della rotta.
Eravamo ai limiti del sistema solare, nel quale oggi mmamo, che la spedizione do

veva perlustrare allo scopo di sapere se era popolata da esseri inventi potenzia
lmente o realmente pericolosi.
La missione si era avvicinata al terzo pianeta della stella gialla di classe "M"
ritenuta la sede pi probabile come orgine di esser corporei organizzati, ma doveva
visitare anche gli altr pianeti, perch anche se apparentemente invivibili per ess
ere biologici, potevano essere la base di esser puramente energetici.
La nostra civilt era entrata pi volte a contatto con esser energetici molto evoluti
, non erano mai rsultati percolosi, ma il cosmo era talmente imprevedibile che non
si poteva dare niente per scontato.
Ogni passo nella rcerca e nell osservazione del cosmo aveva porato nuove conoscenz
e a volte strabilianti, che spesso ci costrngevano a rconsiderare tutte le teore fi
no allora date per scontate.
Fenomeni a prma insta del tutto naturali, si rvelavano azioni di esser non corporei
.
Episodi inspiegabili rsultavano alla fine come la sommatora di fenomeni naturali a
ddirttura di altre realt spazio temporali.
Eravamo arrvati a capire che tutto ci che era materale aveva un andamento ciclico.
Anche l universo come lo conoscevamo, era al suo settimo ciclo, cio per ben sette
volte si era espanso per poi colassare, ma ad ogni ciclo universale una pare inf
initesima di matera non era tornata all appello ma, trasformata al pi alto livello
energetico, aveva proseguito come per inerzia il suo corso, creando realt diverse
che si sovrapponevano ai cicli successivi.
Era un po come quando si gettano dei sassolini in uno stagno: il sasso la mater
ia che compie il suo ciclo, mentre le onde sono la realt diversa, risultato del c
iclo del sassolino. Diversi sassolini creano sequenze diverse di onde che anche
sovrapponendosi rimangono distinte.
Queste diverse realt, anche se perdono il legame con la materia, possono influire
in modo sottile.
Le realt parallele possono creare delle irregolarit nell espansione dell universo
e delle irregolarit nelle formazioni di galassie.
A parit di condizioni, alcune galassie si possono formare prima di altre oppure i
n maniera diversa.
Non si per mai capito se queste realt parallele hanno consapevolezza propria.
Tornando alla missione, i pianeti erano risultati disabitati, solo il terzo pian
eta avrebbe potuto ospitare degli esseri biologicamente simili a noi.
Questo sarebbe per potuto accadere solo dopo migliaia di anni a meno che non foss
e intervenuta, nel frattempo, una colonizzazione estema.
In realt quel pianeta in quel momento dava i primi segni di vita vegetale al suol
o, ma negli oceani si erano ormai formati i primi molluschi, per cui non poteva
essere colonizzabile.
L errore di rotta caus un errata direzione, facendo s che la forza gravitazionale
del pianeta pi vicino alla settima stella di quel quadrante, che avrebbe domito l
anciare l astronave nella ma del ritorno, diede invece una ulteriore accelerazio
ne diritto verso quel sole.
Eravamo in serio percolo e l intero staff si mise all opera per rcalcolare la rott
a e la varante correttiva in una corsa febbrle contro il tempo.
Ci si accorse subito, per, che non c era il tempo necessaro per farlo e quindi bis
ognava ruscire a salvare il salvabile, rpiegando con tentativi manuali di deviazio
ne della rotta, utilizzando i raggi propulsor dell astronave, visto che non c era
no altr pianeti da poter sfruttare.
Io in quel frangente mi sentii particolarmente responsabile dell astronave e del
le vite che sarebbero andate perdute, compresa quella della mia compagna.
Eravamo uno staff, quindi la responsabilit non poteva essermi attribuita interame
nte, ma nonostante questo provavo un angoscia sempre pi grande.
n senso di inferiorit che nasceva era alimentato dalla conoscenza delle mie orgini
.
Ero infatti, stato trovato, ad un solo giorno dopo la mia nascita, in un grande
scomparo destinato ai rfiuti.
Mia madre, mi aveva abbandonato a more sicura, cera che nessuno mi avrebbe potuto
trovare, dato che c era un sistema automatico di eliminazione e/o di rciclaggio .

Ma gli addetti allo smaltimento dei rfiuti sentirono le mie grda e poterono soccor
rermi.
Quelle orgini mi avevano messo sempre in uno stato di inferort nei confronti dei mie
i simili.
Senza una famiglia e senza un nome non potevo frequentare cere scuole e certi amb
ienti.
Quel lavoro di aggregato allo staff era il massimo cui io avrei potuto aspirare.
Era per questo che sentivo quella donna inequivocabilmente superore a me.
Mano a mano che passava il tempo il mio senso di colpa aumentava sempre di pi.
Sentivo l errore e la responsabilit pi grande di me, ogni sguardo dei miei collegh
i lo interpretavo come un accusa, l angoscia ormai ottenebrava la mia mente e mi
causava l insonnia.
Mi affannavo a cercare una soluzione ma ormai tutta l energia a disposizione del
l astronave era decisamente insufficiente per contrastare la forza gravitazional
e della stella sommata all accelerazione che aveva l astronave.
Quindi, ora dopo ora, la fine si avvicinava.
Mi sentivo talmente male che avrei voluto farla finita, vedevo ormai in modo oss
essivo l errore, la colpa, la realt della mia nascita, e nella disperazione si fe
ce grande la volont espressa in una promessa "ti rtrover ! A qualsiasi costo !".
Guardavo Raffaella mentre parlava e guardavo le mie immagini, e cominciavo a chi
edermi se davvero poteva esserci un legame a tutto questo.
Mi parve davvero enorme quel disegno che si stava schiudendo alla mia mente.
Era davvero incredibile, pensare di aver ritrovato la donna dopo migliaia e migl
iaia di anni, condotto dalla mia promessa, di vita in vita, fino a quell incontr
o.
Eppure la sensazione era chiara.
Ero certo di aver ritrovato la donna.
La volont mi aveva spinto a rimanere nel pianeta che le analisi della spedizione
avevano dato per probabile luogo abitabile.
A farmi rimanere fu anche la considerazione che, un essere morto in modo violent
o, cerchi di rimanere nei pressi dell incidente.
Fui certo di essermi quindi reincarnato sulla terra e rimasto in attesa, vita do
po vita.
Guardai Raffaella e mi chiesi;
<Come potr verificare se queste sensazioni sono vere? Non potr certo dirle : - Sai
noi eravamo promessi sposi circa sessanta milioni di anni fa -. Mi sarei ritrov
ato di certo rinchiuso in un manicomio nel giro di pochi minuti. >
Lasciai perdere questi interrogativi, dato che l unica cosa che mi rimaneva da f
are era di mantenere una stretta amicizia, in modo che conoscendoci pi profondame
nte avrei potuto avere pi elementi.
Ripresi quindi a chiacchierare con lei;
"Quanti anni hai?"
"Ventuno"
"Accidenti, sembri molto pi giovane!"
"E tu ?"
"Venti tre."
"No! Non ci credo neanche se mi fai vedere un documento."
"Ma se proprio vuoi, eccolo qua!"
Presi il portafoglio, dal quale estrassi il documento, soddisfatto di poterlo fa
r vedere, perch la foto era riuscita particolarmente bene.
"Se non avessi visto non ci avrei creduto!" disse sincera.
Ripresi il controllo della situazione e pensai che dovevo ottenere in modo veloc
e due risultati : creare un contatto e sapere se c erano dei legami affettivi co
ntro i quali dovermi scontrare.
Dovevo farlo prima che la sua compagnia o le due pazze ci interrompessero.
"Che ne dici se ci incontriamo il prossimo sabato per fare un giro in macchina?"
"Per andare dove?"
"Ma! Decideremo al momento! Se mi dai il tuo numero di telefono, ti chiamo in se
ttimana e ci mettiamo d accordo."
Presi un pacchetto vuoto di sigarette e ne strappai un lato "Hai una penna?"

"Si in borsa dovrei averne una."


Nel linguaggio psicologico il fatto di cercare in borsa significava che aveva un
sincero desiderio di rivedermi, quindi potevo fidarmi che il numero di telefono
era corretto, ed avevo buone speranze che non avesse il ragazzo.
Se mi avesse risposto che non ce l aveva, senza darsi da fare per trovarla in qu
alche modo, lasciandomi tutto il compito di trovarla, avrebbe significato che no
n aveva nessun interesse di rivedermi.
L trov, dopo aver rimescolato il contenuto della borsa, e me la porse.
Io scrissi il numero e mi sforzai, nella penombra, di vederlo spostando il carto
ncino verso la sorgente di luce.
Lei continu ;
"In questo periodo vado tutta la settimana all universit in corriera. Quindi mi t
rovi solo il venerd sera verso le otto e mezza."
"Va benissimo perch anch io sono costretto ad andare lontano per lavoro. Ti telef
oner venerd sera."
Pensai che, poich dimostrava di essere sincera e semplice non avendo problemi ad
uscire con me, sicuramente non aveva un legame affettivo perci non indagai, ma mi
congedai dicendo;
"Ora devo andare a vedere cos successo ai miei amici, dal momento che li ho un p
o trascurati."
Tornai dalle due ragazze e dal mio amico, che, ormai esasperato, mi faceva segno
di andarsene. Vista la situazione, lo compresi appieno e proposi di accompagnar
le a casa.
Nelle settimane che seguirono mi incontrai con Raffaella tutti i week-end. Passa
mmo ore ed ore a parlare delle nostre vite, delle nostre esperienze, e dei nostr
i pensieri.
Io mi sorpresi a parlare tanto, come non avevo mai fatto in tutta la mia vita, e
lei si sorprese della mia profondit, dal momento che aveva bollato tutti i ragaz
zi che frequentavano la discoteca come degli inguaribili superficiali.
Parlavamo di tutto, eravamo arrivati a conoscerci molto profondamente quando la
baciai per la prima volta.
Ci trovavamo in aperta campagna, a tarda sera, di ritorno da un piccolo locale,
nel quale avevamo trascorso alcune ore, ascoltando buona musica..
Era una notte tranquilla e la luna piena contribuiva a renderla rassicurante.
Stavo bene con quella ragazza, era diverso che stare con le altre che avevo cono
sciuto prima di lei.
Era rilassante, tranquilla, senza problemi, e di certo, anche se ne avesse avuti
in futuro, non me li avrebbe fatti pesare.
Fu una cosa normale fermare la macchina voltarsi verso di lei e baciarla.
Cap. 8 Lo Scopo
Erano passati tre anni dall incontro con Raffaella, che nel frattempo era divent
ata mia moglie. Nel lavoro le cose non erano andate altrettanto bene., La prima
societ che avevo costituito fall per mancanza di profitti.
Successivamente lavorai come libero professionista, finch non ricevetti la propos
ta di diventare dipendente di una grossa societ
Accettai perch il nuovo lavoro era interessante sia dal punto di vista economico
sia dal punto dell esperienza che avrei potuto maturare.
Entrai cos a far parte di un azienda che prometteva molto bene e dava quel tipo d
i sicurezza alla quale anni prima avevo rinunciato.
Dopo sei mesi l azienda fall.
Ritenni anche questo un segno del potere che mi rimetteva nel sentiero tracciato
, ma solo dopo aver acquisito quel minimo di esperienza organizzativa di cui ave
vo bisogno per proseguire.
Mi ritrovai a fare delle scelte radicali in pochi minuti ma questa volta ero pre
parato e con le idee molto chiare.
Riuscii a tenermi alcuni clienti in modo da poter sostenere l avviamento ed avvi
ai la nuova societ con sicurezza e decisione.
Nonostante le difficolt fossero, comunque, molto grandi, ero riuscito a dare all
azienda quel minimo di volano economico per poter andare avanti.
Dopo un anno ero riuscito a creare un parco clienti accettabile ed un organizzaz

ione di collaboratori che mi permetteva di guardare al futuro con serenit.


Mi ritrovai il 20 di aprile del 85 in macchina in una zona collinare che distav
a circa cento chilometri da casa, per visitare un cliente.
Erano le dieci del mattino e viaggiavo assorto nei pensieri, com era mia abitudi
ne.
Correvo lungo una statale densamente alberata quando un raggio di sole, filtrato
tra le chiome degli alberi, mi colp accecandomi.
Fu come un brusco risveglio, riuscii a tenere la macchina nella corsia con un ce
rto sforzo, frenai, ed appena tornai a vedere, rallentai, accostai la macchina a
l bordo della strada e mi fermai un po per riprendere fiato.
Lo spavento aument pensando che la strada non era molto larga e nello stesso mome
nto che sbandavo nel senso opposto stava transitando un grosso camion.
Placai l angoscia guardandomi attorno.
Era una bellissima giornata, l aria tersa permetteva di spingere lo sguardo molt
o lontano.
Le catene montuose, ancora imbiancate di neve, sembravano gioiose e felici di tu
tta quella luce. Un po pi vicino scorgevo una linea armoniosa di colline che sem
bravano messe appositamente tanto erano ordinate.
I prati ed i boschi si erano vestiti di un verde brillante, i casolari ed i cast
elli sul cucuzzolo delle colline pi alte, accrescevano la bellezza del paesaggio.
Sarei rimasto l tutta la mattina, se non avessi avuto impegni; guardai l orologio
erano le dieci e dieci mentre l appuntamento era fissato per le undici. Il rima
nente tratto di strada lo avrei percorso in mezzora, quindi potevo concedermi un
quarto d ora di pausa.
Da quando mi ero messo a lavorare in proprio, mi ero negato completamente ogni p
ausa, non per una sorta di masochismo, ma semplicemente perch avevo sempre qualco
sa a cui pensare o su cui impegnarmi. Capitava sempre pi spesso che le persone mi
parlassero e che io, a causa della concentrazione sul lavoro, non riuscissi nem
meno a sentirle.
Tutto ci che non riguardava il lavoro aveva priorit minima e quindi non attirava l
a mia attenzione.
Era raro che mi fermassi ma quella mattina decisi di farlo, avrei telefonato al
cliente per avvertirlo che sarei arrivato in ritardo.
Avviai il motore e girai alla prima strada secondaria che trovai. Percorsi lenta
mente un viottolo, largo quanto la mia macchina, che tagliava di netto dei campi
nella direzione di una collina. Ai bordi c erano dei cespugli che a tratti espl
odevano di fiori variopinti.
Ad un tratto il percorso acquist una certa pendenza e, contemporaneamente, la veg
etazione si alz.
La folta vegetazione diminu bruscamente la luminosit, ma la bellezza del posto mi
convinse di diminuire ulteriormente la velocit ed aprire il finestrino per poterm
i immergere negli odori della natura.
Avanzavo lentamente tra buche, rami caduti a causa di un violento acquazzone e g
alline che mi attraversavano la strada d improvviso.
La natura mi era sempre piaciuta: da piccolo passavo giornate spensierate tra ca
mpi e radure, ad osservare estasiato ogni albero, ogni cespuglio.
Conoscevo a memoria ogni campo nel raggio di chilometri da casa mia, gioivo dell
a casualit della natura, ma mi sentivo depresso ogni volta che mi imbattevo in po
zzanghere inquinate o alberi abbattuti.
Le opere dell uomo mi infastidivano, ogni testimonianza di disprezzo verso la na
tura mi umiliava.
L amore verso la natura era sempre stato fortissimo, ed anche quel giorno mi sen
tivo felice di esserne a contatto.
Lasciai la macchina in un piccolo spiazzo di terra battuta e proseguii a piedi.
Gli alberi erano bellissimi, il caos del traffico era ormai lontano, i pensieri
e le responsabilit del lavoro appartenevano ad un altra realt.
Passo dopo passo approdavo in un altra dimensione e iniziavano ad affiorare altr
i ricordi di vite passate.
Dovevo essere nel perodo medioevale. Ero a cavallo, solo, e stavo attraversando b
oschi molto simili a quelli che stavo vedendo ma pi densi. Ero di una sporcizia u

nica e Vabbigliamento sembrava formato da pezzi di diversi vestiti, tutti, a bra


ndelli, sui quali spiccavano le armi che, al contraro, erano ben tenute.
Avevo due spade, una alla cinta lunga circa mezzo metro e larga attorno ai dieci
centimetr, ed un altra molto pi grande legata alle spalle in modo da non sbilanci
armi quando camminavo e posta in modo da poterla sguainare con rapidit e facilit p
ortando le mani sopra la testa.
Sempre legato alle spalle avevo un piccolo scudo in modo da proteggermi da imbos
cate improvmse. Dai fianchi del cavallo pendeva anche della ferraglia.
Nel rcordo andai fino ad un albero alto circa due metr ma molto largo. Doveva misu
rare almeno quattro metr di diametro. Scesi dal cavallo e mi avvicinai alla piant
a. Ai piedi del fusto c era un cespuglio che nascondeva l ingresso di un antro c
he iniziava in una pare cava dell albero per poi continuare in una grotta abbasta
nza ampia per poterci vivere.
Era buio nella grotta, nel rcordo, presi una torcia e l accesi.
Al prmo bagliore della fiamma, apparve della mobilia, che la scarsa luminosit rend
eva ancora pi grezza e rudimentale di quello che probabilmente era.
Mi muovevo nel luogo con estrema familiart, ed iniziai a togliermi le armi e gli s
trati superor degli abiti.
Lasciai cadere tutto sul pammento, che era costituito da terra viva, e mi sdraia
i sul paglierccio.
Ero stanco ma felice di essere tornato a casa, non era una reggia ma ne ero fier
o.
Era il massimo delle aspirazioni per un guerrero, possedere un rfugio segreto dove
nessuno lo potesse trovare.
Un luogo dove ci si pu rfugiare dopo una sconfitta, quando si rmane ferti dopo
una battaglia,
quando si braccati e
perseguitati dai nemici oppure, come quel giorno, quando si ha bisogno di un po
di riposo.
Mi sentivo appagato e protetto nella solitudine di quel luogo.
Avevo viaggiato a cavallo per un mese e mezzo, attraverso catene montuose inneva
te e foreste vergini.
Avevo incontrato solo un piccolo villaggio di montanari, in una piccola radura,
che mi avevano ospitato molto gentilmente, ma per tutto il resto del maggio avev
o affrontato ogni genere di intemperie, di giorno e di notte.
Da quando avevo impugnato la mia prima spada ed avevo salutato i miei genitori,
imharcandomi in ogni tipo di avventura, era sempre stato cos. I sacrifici e le pr
ivazioni non mi avevano mai pesato, ma in quell inverno c era stata una nota mol
to triste che mi aveva accompagnato fino al mio rifugio.
Era morto, in un com.battim.ento, il mio amico pi caro.
Era pi alto di me di circa cinque centimetri, molto pi robusto ed aveva un caratte
re espansivo ed allegro che riusciva sempre a coinvolgere tutti.
Ricordai le serate che avevamo passato in allegra spensieratezza a bere e cantar
e, e mi venne un nodo alla gola.
Ogni situazione, per quanto difficile, diventava comica e divertente dopo una su
a battuta ironica.
Ogni percolo era affrontato con noncuranza e gioia assieme a lui.
Lo amavo dal profondo del cuore, sentivo la sua amicizia, come un calore che mi
avrebbe potuto rscaldare nel peggiore inverno.
Ma in quel febbraio non c era pi.
Arruolati come mercenar in un esercito del nord, avevamo affrontato la battaglia
con il solito sorrso sulle labbra e la gioia nel cuore, ma questa volta lui non f
u abbastanza abile, si era fatto imbottigliare da tre avversar in un angolo della
cinta estema di un castello della Sassonia, ed io non fui abbastanza vigile da
accorgermi che lui era in percolo.
Mi chiedevo com fosse stato possibile che il potere del guerrero, in quel frangen
te, non mi avesse fatto sentire il percolo che stava correndo il mio amico.
Da sempre, in battaglia, la "insta del guerrero" mi permetteva di vedere tutto at
torno a me da un altezza di tre metr dal suolo e di sentire il percolo verso me, i
miei compagni e, nel caso in
cui gli ideali per cui si combatteva erano forti, anche il percolo che correva l

intero esercito.
n potere del guerrero legava tutto ci che egli amava.
Ma in quell occasione non percep il mio amico se non dopo chefuferto a more.
In quel momento abbandonai il duello che stavo sostenendo e mi diressi con ansio
sa trepidazione verso il luogo dove l amico stava per spirare.
Fu grande il dolore che provai, ero sempre stato pronto alla mia more ma non a qu
ella di colui che mi illuminava la vita.
Mentre accorrevo lui mi guard e raccolse tutte le sue forze per tentare la sua ul
tima battuta. Inizi a formare una espressione comica che conoscevo molto bene, ma
quando fece per aprre la bocca invece delle parole sgorg del sangue, seguito da u
n piccolo rantolo e quindi croll.
Aveva tentato di scherzare fino all ultimo, da buon guerrero impeccabile, sentivo
che questo sarebbe domito essermi di lezione, ma non avevo voglia di prendere l
ezioni da nessuno.
Tornai al presente con un fardello di dolore e malinconia. Sentivo un nodo alla
gola ed una pressione allo sterno mi faceva ansimare.
Scesi dalla macchina e mi sedetti al bordo della strada, su un guardrail in lami
era ondulata, che mi aiutava a rimanere nel ventesimo secolo.
Ripensai alla mia vita e mi resi conto che stavo vivendo da eremita tra la gente
. Vivevo immerso nei miei impegni e nei miei pensieri, cos assorto che non sentiv
o pi quando mi si rivolgeva la parola.
Mi scusai, pensando che stavo realizzando la mia decisione di creare un azienda,
per la quale dovevo investire tutti i miei sforzi.
Ma ne valeva davvero la pena ?
Mi tornavano alla mente tutte le trasmissioni sulla guerra nucleare.
Bastava un niente e saremmo scomparsi tutti rendendo inabitabile il pianeta.
Perch quindi dare la vita per il lavoro?
Stavo forse sbagliando tutto ?
Forse avrei dovuto vivere di pi, tornare a conoscere persone fuori dall ambiente
del lavoro e divertirmi.
Guardai davanti a me, al di l della strada il pendio si faceva molto ripido.
La vegetazione era molto ftta, composta di alberi ed arbusti, dava una sensazione
di un bosco inesplorato e vergine.
La mia attenzione era attirata in modo particolare dal pendio, aveva qualcosa di
familiare.
Mi sforzai di ricordare e dopo un po all immagine reale si sovrappose un altro
ricordo.
Anni dopo la morte del mio amico, mi trovavo in una sperduta zona montagnosa del
nord. Stavo salendo per un pendio boscoso.
Ebbi la certezza che stavo fuggendo via dal luogo nel quale si stava svolgendo u
na battaglia perch ero rimasto gravemente ferito.
n sole splendeva alto in un cielo azzurro e completamente sgombro dalle nuvole.
La notte precedente aveva piovuto a dirotto ed ora l aria era di una limpidezza
magica.
Salivo con fatica a causa della ferita, la spada e lo scudo mi causavano un dolo
re insopportabile. Ma per niente al mondo avrei abbandonato le mie armi: senza d
i esse mi sarei sentito perduto.
Sembrava che gli alberi volessero aiutarmi scaricandomi, al mio passaggio, tutta
l acqua che trattenevano tra le foglie.
Salii per circa cinquanta metri finch la salita si addolci e cominciai a sentirmi
al sicuro. Mi fermai lasciando cadere le armi e mentre stavo per sedermi indi l
ultima cosa che mi sarei aspettato in quella valle sconosciuta.
C era di fronte a me una casa di paglia, che doveva essere di certo abitata, dat
o che l erba davanti l uscio era calpestata e le pareti ed il tetto erano in buo
no stato.
Ma chi poteva abitare in quella valle remota, lontana almeno una settimana di ca
mmino dal pi vicino paese abitato, e circondata da alte montagne che la isolavano
completamente per sei mesi all anno?
Forse dei cacciatori che utilizzavano quella casa come base nella stagione estiv
a.

Ma la smentita mi arriv poco dopo, quando un vecchio apparve sull uscio. Era alto
un metro e sessanta, di et indefinibile. Aveva una lunga barba bianca e piccoli
occhi azzurri che sembrava sorrdessero su un viso senza espressione.
L imperturbabilit di quel vecchio mi innervosiva.
Ogni persona del popolo che incontravo poteva avere due reazioni: o fuggiva oppu
re annichiliva in un sermlismo assoluto.
Poteva essere il mio aspetto davvero ripugnante, oppure la mia stazza o forse qu
ei grandi comi che adomavano il mio elmo a far fuggire la popolazione, di certo
ero un guerriero temuto.
Solo quel vecchio non ebbe la minima reazione nel vedermi, se non quella di ferm
arsi ad osservarmi come se fossi solo una cosa curiosa.
Forse era un guerriero che aveva deciso di passare la vecchiaia tra quei monti.
Questo avrebbe spiegato la sua freddezza, ma se questo fosse stato vero, dovevo
aspettarmi sicuramente delle sorprese.
Un guerriero, se staziona in un luogo, prepara delle trappole in modo da preveni
re possibili percoli.
Dovevo stare in guardia!
Aveva una mano appoggiata alla parete intema, avrebbe potuto impugnare una bales
tra, che in quella situazione mi avrebbe creato dei ser problemi.
Infatti la ferta mi impediva quell agilit necessara per scampare alla more. Solo lo
scudo mi poteva davvero salvare, quindi allungai la mano per afferrarlo lentamen
te senza mai distogliere lo sguardo dal vecchio.
Quando impugnai lo scudo mi sentii pi tranquillo e cercai di ralzarmi.
Eravamo immobili uno di fronte all altro ad una distanza di quindici metr circa,
ma mentre io rmanevo nella concentrazione di chi aspetta un cenno per scattare, i
l vecchio aveva il volto completamente rlassato di chi non ha niente di cui preoc
cuparsi.
Quella sicurezza, che intravvedevo nel suo volto, continuava a preoccupami, finc
h gli alber cominciarono a muoversi ed io crollai a terra svenuto.
Mi rsvegliai il giorno dopo ed ero a letto al caldo, sotto il tetto della sua cas
a.
La capanna era molto ordinata e curata, c erano solo le cose indispensabili per
un lungo soggiorno in quelle montagne.
Tutti gli attrezzi erano stati costruiti da mani abili e la cura con la quale er
ano stati tenuti faceva capire le orgini nobili di quel vecchio.
Non poteva essere un semplice montanaro, quindi, ma nemmeno un guerrero. L esile
corporatura non gli avrebbe permesso di raggiungere la vecchiaia e, a pensarci b
ene, non avevo visto nessun guerrero che avesse raggiunto la vecchiaia.
Forse era un prete che aveva rifiutato di rimanere tale e per questo si era rifu
giato tra quelle montagne.
Mentre pensavo, lui entr con un secchio d acqua, e mi parve ancora pi esile di que
llo che mi ricordavo.
Lo osservai e mi resi conto che io pesavo almeno quattro volte di pi. Ma come era
riuscito a trascinarmi fino al suo letto?
Forse viveva con qualche altro sicuramente pi robusto e pi giovane.
Questo pensiero mi tranquillizz, il vecchio si era sentito tranquillo alla mia in
sta, perch era sicuro che il suo compagno Vavrebbe difeso.
D altro canto il suo compagno non doveva essere un percolo per me, perch se voleva
uccidermi l avrebbe gi fatto mentre ero svenuto.
Anche il fatto che abitassero in quella valle mi parve pi normale.
In due persone si possono affrontare anche inverni rgidi in quelle valli isolate.
"Eiii! Vecchio chi sei?" dissi rude.
Lui si volse verso di me e mi guard con un espressione che mi sconvolse.
Era sereno, nell suo volto non c era ombra di paura o preoccupazione, non aspira
zioni o desider.
Mi fiss senza una parola.
Ebbi l impulso di preoccuparmi, come facevo sempre verso quello che non conoscev
o, ma il suo sguardo mi trasmise una sora di calma.
Si volt verso la pora e continu nelle sue faccende.
<Forse non conosce la mia lingua. > pensai.

Provai con le altre lingue che conoscevo a stento, forse sarei ruscito a comunica
re.
Ma lui prosegu verso la pora uscendo senza nemmeno degnarmi di un sguardo.
La rabbia mi sal al cervello e pensai:
<Un vecchio non mi pu trattare cos, adesso mi faccio sentire!>
Feci per alzarmi, ma una fitta lancinante mi trafisse da pare a pare sopra il polm
one sinistro.
Crollai di nuovo nel letto e nella mia realt diferto.
<Forse meglio aspettare il suo compagno, sperando che sia pi normale. > pensai.
Passarono le ore, ormai la notte era vicina, il vecchio continuava a lavorare co
n una costanza ed una calma che mi facevano sentire in un altra dimensione.
Quel vecchio emanava qualcosa di molto particolare che non avevo mai conosciuto
e che non riuscivo ad afferrare.
Dopo un po mi porse una scodella con una specie di minestrone che mangiai con m
olta foga, quindi mi addormentai.
Passarono cos due giorni, il vecchio si svegliava molto presto e lavorava fino a
che il buio glielo impediva, rimanendo impegnato nelle sue faccende nel completo
silenzio. A volte mi guardava, ma era come se vedesse un oggetto qualsiasi, com
e se io fossi, ai suoi occhi, come la sedia o il letto nel quale ero sdraiato.
Pensai che il lungo eremitaggio lo aveva reso pazzo ed incapace di instaurare un
rapporto con i suoi simili.
Passavano i giorni ed io cominciai ad alzarmi dal letto, anche se con molta fati
ca, dato che la ferita mi aveva indebolito molto.
Facevo il possibile per guarire e riprendere le forze al pi presto perch quella si
tuazione mi creava un imbarazzo crescente.
n silenzio del vecchio mi esasperava, si alternavano in me emozioni di rabbia e
di paura, mentre lui rimaneva in un immobilit emotiva sorprendente.
Pass ancora una settimana prima che io fossi in grado di partire. Ripresi le mie
cose e mi avviai verso i monti. Avrei domito camminare molto per uscire da quell
a valle.
Mi voltai verso la capanna, avrei voluto ringraziare il vecchio, per tutto quell
o che aveva fatto in quei giorni ma sarebbe stata un altra umiliazione dato che
non mi avrebbe risposto.
Lo indi avvicinarsi verso di me porgendomi un bastone, che mi avrebbe aiutato ne
l lungo cammino, e rimasi sbalordito quando disse nella mia lingua;
"Che tu, un giorno, possa volgere al bene!"
Le emozioni si affollavano nella mia mente, avrei voluto dire molte cose e porre
molte domande, ma dalla mia bocca usc solo un "Ma..!"
Dopo alcuni secondi che lo fissavo completamente stupito con la bocca aperta gli
chiesi;
"Cosa vuoi dire? Cosa significa che io possa volgere al bene?"
Ma lui torn nel suo abituale atteggiamento e dopo avermi guardato con la solita n
oncuranza mi volt le spalle e si avvi verso la sua abitazione.
Ripensando a quel vecchio a distanza di secoli mi venne istintivo pensare <Che g
rande essere quel vecchio >, ed infatti era stato davvero grande ed impeccabile.
La grande frustrazione che avevo provato nel soggiornare da lui derivava dalla s
ensazione che, nonostante fosse esile e debole fisicamente, aveva una grande for
za, certamente superiore alla mia.
Il suo intento ed il suo potere dovevano essere tanto grandi quanto insondabili.
Che grande occasione persa non aver potuto ascoltare i suoi insegnamenti, sicura
mente mi avrebbe potuto dare molte delle spiegazioni che, con molta fatica, stav
o cercando di ottenere in questa vita.
Ma forse, allora, non sarei stato in grado di comprenderle.
E forse, gli insegnamenti me li aveva dati, ma, nonostante fossero passate tante
vite, non ero ancora maturo per capirli.
Durante la permanenza in quella capanna avevo sprecato il mio tempo ad innervosi
rmi, invece di osservare il vecchio, perch consideravo le cose che faceva come as
solutamente normali.
Forse, ad un pi attento esame, non sarebbero state normali o forse non era normal
e il modo in cui le faceva.

Cominciai a ricordarmi che ogni piccolo lavoro sembrava la cosa pi importante, ed


ogni cosa aveva la stessa importanza di tutte le altre.
Mi arrabbiavo quando mi accorgevo che mi guardava nello stesso modo in cui guard
ava tutti gli altri oggetti, anche se in questo non c era ombra n di disprezzo n d
i giudizio.
Sentivo, dal profondo, che il motivo della mia irritazione era la certezza che i
n lui vedevo la vera impeccabilit del guerriero, che io rincorrevo da molto tempo
.
Di certo, questo non spiegava tutto di quel vecchio, ad esempio non spiegava que
ll incredibile serenit che emanava la sua persona.
Sembrava il risultato di uno scopo pi alto, di uno scopo che io non conoscevo.
Mi sforzai di capire, avevo la sensazione di essere vicino alla spiegazione, ma
questa non si concretizzava.
Mi alzai e mi avviai verso la cima della collina, dovevo ancora telefonare al cl
iente.
La pendenza della strada diminu dolcemente, e contemporaneamente gli alberi si di
radarono, finch mi trovai in una terrazza di terra di fronte ad una piccola chies
a.
La terrazza dava alla sinistra su un panorama che si perdeva nella grande pianur
a Padana, ed alla destra terminava con il bosco.
C erano delle panchine sulle quali erano seduti degli uomini anziani ed un prete
intento a leggere la Bibbia.
La chiesa era cinta, a partire dalla destra, da un muro che doveva contenere un
piccolo cimitero.
C erano circa una decina di persone, per lo pi anziane, che si dirigevano al cimi
tero, incolonnate ed ordinate.
Ebbi la sensazione che quella fosse una scena di potere fatta per me.
Mi fermai per rimanere testimone di tutto quello che succedeva, ma il prete alz l
o sguardo verso di me e poi lo diresse verso il cimitero, quasi ad indicarmi di
proseguire in quella direzione.
Ci muovemmo contemporaneamente verso il cimitero, ed arrivammo assieme all ingre
sso.
Le persone erano tutte in silenzio, fuorch una donna anziana che piangeva sommess
amente e con dignit.
Tutto il gruppo, compatto, si mosse verso la fossa scavata da poco, dove aspetta
vano due operai con i badili in mano.
La bara era gi stata depositata dentro la fossa e gli operai aspettavano l ultima
benedizione del prete per seppellirla.
Mi parve strano vedere la lapide, gi preparata ed appoggiata sotto un albero alla
destra della buca.
A tutti i funerali cui avevo partecipato la lapide non c era perch il tempo per p
repararla era pi lungo dei pochi giorni che dividevano la morte dalla sepoltura.
Era nuova, quindi, l unica spiegazione possibile era che il morto quand era in v
ita era stato cos previdente da preparare tutto in anticipo.
Mi venne in mente mia nonna paterna che, con la fierezza di chi in vita non ha m
ai avuto bisogno di nessuno, volle preparare tutto per la sua morte.
Ripensando a mia nonna mi sal una profonda commozione che mi fece sentire parte d
i quella comitiva.
La commozione pass, sostituita dal divertimento, quando mi accorsi, che tutte le
persone presenti, cominciavano a guardarmi ed a bisbigliare tra loro, per cercar
e di capire chi era quel ragazzo sconosciuto vestito bene e che veniva dalla cit
t.
Avrebbero realmente dovuto rompersi il capo per ricordarsi chi fossi.
Guardai tutta la scena e la mia attenzione torn sulla lapide: era in marmo nero m
olto lucido con delle scritte dorate, che risaltavano bene e rendevano molto ele
gante la lapide.
Rispetto alle lapidi gi presenti nel piccolo cimitero sarebbe stata certamente no
tata.
Mi avvicinai per leggerle;
"nato il 03/05/1898 morto il 03/04/1985"

"GIACOMO TONON"
".. CHE TU POSSA TORNARE NEL NULLA.."
<Che strana frase per una tomba > pensai, Giacomo l avr letta chiss in quale libro
. Ma mi ricordai improvvisamente che quella era una scena di potere e quella fra
se era per me.
Il nulla, ecco lo scopo di quel vecchio della foresta, e si accese una lampadina
nella mia mente.
Il nulla era lo scopo che perseguiva da impeccabile guerriero, come avevo potuto
dimenticarlo?
Avevo la sensazione di averlo sempre saputo, ma non perch qualcuno me l aveva det
to o spiegato, ma perch faceva parte di un ordine prestabilito.
Ero certo di averlo sempre saputo, e quel vecchio aveva gettato un seme perch io
avessi potuto ricordarlo.
Il seme gettato era cresciuto vita dopo vita finch oggi era sbocciato nella compl
eta comprensione.
Infatti, nelle vite successive a quell episodio, una piccola parte della mia att
enzione, era rivolta verso la ricerca dello scopo di quel vecchio.
Ed oggi, era finalmente chiaro, lo scopo di ogni essere vivente, di ogni religio
ne, di ogni filosofia onesta e di ogni intuizione.
Il nulla, cos semplice ma cos difficile da raggiungere, che ha impegnato nei secol
i, molte menti e molti esseri superiori.
Lo sforzo di ogni religione nell indicare la direzione ed il modo per raggiunger
lo veniva puntualmente frainteso e tradotto in scopi umani.
Ogni grande pensatore lo ricercava, consciamente o inconsciamente, ma alla fine
percorreva solo dei piccoli passi. Mi venne alla mente l immagine della grandezz
a infinita di questo scopo rispetto all infinitesima piccolezza di noi esseri co
nsapevoli.
Ma quale consapevolezza, se non sappiamo nemmeno di dover anelare al nulla, e ch
e la pi grande aspirazione deve essere nel non essere.
Mentre seguivo in modo affannoso i miei pensieri mi arriv un brandello di frase c
he il prete stava dicendo.
".. tornare a Dio ..." che grande verit!
Tornare a Dio! Ero certo, che da sempre conoscevo lo scopo del nulla, perch un te
mpo ero il nulla. Non ero consapevolezza di essere, e sapevo che sarei tornato a
non essere.
Ma le condizioni corporee mi avevano fatto perdere questo ricordo.
Noi facciamo un lungo viaggio nella consapevolezza di essere finch arriviamo alla
maturit di non essere.
come la goccia d acqua che evapora dal mare iniziando un lungo viaggio, nella fo
rma di una goccia, per poi tornare al mare e fondersi in esso.
Cap. 9 Viaggi astrali
Dopo la grande emozione del primo incontro, con il passare degli anni, tra me e
mia moglie, si era venuta a formare un intesa, che andava ben oltre un possibile
amore terreno.
La nostra affinit si rafforzava di giorno in giorno.
Parlavamo molto delle nostre esperienze di crescita spirituale, e condividevamo
ogni piccolo successo, consapevoli che stavamo camminando verso orizzonti lontan
i e sconosciuti.
Era davvero una compagna unica, penso che senza di lei non avrei potuto fare que
l cammino spirituale che ho fatto.
Eravamo, fin dall inizio, incredibilmente complementari, lei aveva quello che no
n avevo io e viceversa, in ogni campo ed in ogni caratteristica.
Sentivo che eravamo il piede sinistro ed il piede destro con un unico scopo in c
omune: andare molto lontano.
Sembrava che niente ci accomunasse, ma in realt era una simmetria che spingeva e
spronava entrambi in un continuo progredire.
Dato che si pu trovare solo ci che si conosce, il comunicarci realt diverse ci perm
etteva di allargare il nostro campo di azione.
Una fecondazione mentale e spirituale che prolificava in un continuo crescendo.
Lei mi parlava spesso delle sue esperienze, cio della presa di coscienza da parte

sua di un altra dimensione dell io, reale quanto il corpo fisico, ma di una con
sistenza molto pi sottile: il corpo astrale.
Mi raccontava che alcune volte si muoveva in questa dimensione, durante il sonno
o nel dormiveglia accompagnata da un altro essere che definiva come spirito gui
da, una specie di angelo custode che la guidava, la proteggeva e forniva insegna
menti qualora richiesti.
La cosa che mi rendeva molto scettico era il fatto che qualcuno si prendesse cur
a di qualcun altro.
L azione di aiutare qualcuno senza un tornaconto mi era del tutto sconosciuta.
Non riuscivo a ricordare una sola volta che una persona avesse dato il suo aiuto
gratuitamente.
Pensai che questo forse era semplicemente un mio punto di vista, che mi impediva
di vedere la realt.
Stavamo facendo il letto quando lei inizi;
"Questa notte venuto il mio spirito guida mi ha insegnato ad uscire dal corpo fi
sico e mi ha preso per mano. Io mi sentivo particolarmente tranquilla quando ho
visto il mio corpo sdraiato nel letto."
Ed io esclamai
"Accidenti, deve essere davvero un esperienza stimolante riuscire a fare viaggi
astrali in piena consapevolezza."
"Non mi capita spesso, ma credo che questo sia possibile per tutti coloro che lo
desiderano" Disse.
Ed io ribattei:
"Forse, sar anche semplice, ma io non saprei da dove cominciare."
"Basta avere l intenzione di farlo, desiderare che questo avvenga e soprattutto
non avere paura. Se si vuole andare in un posto bisogna semplicemente pensarlo,
ed in un attimo ci si ritrova proprio l, anche se lontano migliaia di chilometri"
disse lei.
"Mi venuta un idea. Se lo spirito guida ha potuto prenderti per mano, significa
che pu esserci contatto anche tra corpi astrali come per i corpi fisici. Quindi p
erch non venite a darmi una spinta chiss che io riesca ad unirmi alla compagnia" d
issi in tono polemico.
Ero un po arrabbiato all idea di non riuscire ad avere quel tipo di esperienza.
Sentivo che da solo non ci sarei mai riuscito e la cosa peggiore era che non riu
scivo ad accettare il loro aiuto.
Eppure dovevo riuscire a prendere consapevolezza nella dimensione dei sogni.
Come avrei, altrimenti, potuto proseguire nella ricerca della verit se mi era pre
cluso un aspetto tanto importante.
Nei giorni seguenti iniziai a leggere libri e altro materiale, che trattavano qu
ell argomento.
Lessi e rilessi, ma quanto avevo a disposizione parlava di esperienze fatte da a
ltre persone, senza per riferire di tecniche specifiche che mi avrebbero permesso
di sperimentare questa nuova dimensione.
Alla fine decisi che ogni sforzo sarebbe stato vano: l atteggiamento pi proficuo
sarebbe stato quello di rimanere in attesa che il destino tracciasse per me la v
ia, al momento giusto.
Passarono i mesi, nei quali evitai di pormi interrogativi e cercai di evitare og
ni sforzo nella ricerca.
Un giorno stavo camminando senza meta nelle vie della mia citt quando vidi, sotto
una loggia del centro storico, una bancarella improvvisata, dove erano disposti
in modo ordinato molti libri. Sopra questi c erano alcuni cartelli che riportav
ano : "LIBRI NUOVI SCONTO 50%" oppure "LIBRI USATI". Dietro, un uomo di mezza et,
si prodigava ad attirare i passanti ma con discrezione. Guardava le persone che
passavano ed appena ne incrociava lo sguardo proponeva di avvicinarsi con un ge
sto della mano ed indicava i libri che stava vendendo.
Trovai naturale avvicinarmi per vedere se c era qualcosa di interessante, e quan
do venne il mio turno l uomo indic dei libri usati.
Non avevo mai avuto simpatia verso oggetti usati, perch non sapere di chi erano s
tati, mi creava un senso di repulsione, ciononostante volli guardare lo stesso.
Notai dei romanzi di Castaneda: un autore a me sconosciuto. Presi il primo intit

olato "VIAGGIO A IXTLAN" per leggere, nel retro, la descrizione del contenuto.
"...,ultimo volume della trilogia in cui Castaneda descrive minuziosamente il su
o lungo ed affascinante tirocinio di apprendista stregone .."
Un po deluso, perch non mi erano mai interessati libri che trattavano di stregon
eria, cominciai a leggere solo brani a salti finch :
".. insegue il potere in una serie di sconvolgenti incontri con l ignoto - un co
nfronto con la morte e il passato .."
Fu la frase che cattur il mio interesse; volli saperne di pi, aprii il libro in un
a pagina a caso e cominciai a leggere :
"..Viaggiare sognando ....." L emozione cominci a stringermi la
gola, guardai attorno per alleggerire la tensione e continuai ;
" pili facile quando ci si pu concentrare su un luogo di potere, come questo."
Guardai, quasi istintivamente, all inizio della pagina dove era riportato il tit
olo del capitolo:
"L ultima danza del guerriero 145"
Cominciai a leggere brani a caso, quasi volessi divorare quel libro:
".. chiese dei miei progressi nel sognare."
"Mi sugger di provare a sognare quando facevo un sonnellino durante il giorno..."
Sembrava impossibile che qualcun altro avesse il mio stesso punto di vista, ma o
gni frase che leggevo mi avvicinava sempre di pi alla conclusione che quel libro
mi calzava in modo perfetto.
L entusiasmo di aver finalmente trovato del materiale cos affine alla mia ricerca
mi spinse a comprare in un colpo solo tutti e tre i libri di Castaneda che eran
o esposti in quella bancarella.
Nei giorni seguenti vissi solo in funzione della lettura di quei romanzi. Lo scr
ittore, un antropologo di origine sud-americana, per motivi di studio e di ricer
ca, era diventato apprendista stregone sotto la guida di un maestro messicano.
Ritrovai negli insegnamenti del messicano incredibili similitudini con i ricordi
che avevo del mondo dei druidi.
La filosofia del guerriero era incredibilmente simile.
Come potevano due civilt cos distanti nel tempo e nei luoghi avere in comune perfi
no termini e significati.
Era, un po , come trovare nelle Americhe un popolo che utilizzava le barche dei
vichinghi.
Pensai che, in realt, non si perde mai completamente una cultura o una conoscenza
, ma queste possono riaffiorare in ogni momento grazie a reincarnazioni di esser
i divenuti consapevoli delle loro vite precedenti.
Tutto questo era per me una conferma che i miei ricordi erano reali.
Trassi da quelle letture dei nuovi spunti per proseguire nel mio cammino.
Mi piacque il termine "potere personale" usato spesso in questi libri che ricono
bbi come la forza del destino che guida una persona.
Ma al contrario della cultura dei druidi che vedeva questa forza come qualcosa d
i misterioso, nei libri di Castaneda era descritta in modo quasi scientifico con
precise tecniche e comportamenti che permettevano di aumentarla.
Il libro riportava in particolare due tecniche che denominava il "non fare" ed i
l "sognare" che aiutavano e guidavano la consapevolezza nella dimensione dell IO
sognante.
Interpretai il "non fare" come una tecnica per trascendere il reale, per essere
quindi pi disponibile a situazioni ed avvenimenti non comuni, e dava come primo r
isultato il silenzio mentale.
Il sognare era prendere gradatamente consapevolezza della dimensione della realt
del sogno.
Questa consapevolezza si conquistava attraverso una serie di esercizi, il primo
dei quali era cercare le proprie mani nel sogno.
Si dovevano, cio, cercare le proprie mani mentre si stava sognando in modo ordina
rio. Il trovare le mani permetteva di passare dal modo passivo di sognare ad un
controllo completo delle proprie azioni.
Non ci pensai due volte ad utilizzare quella tecnica e per giorni e giorni pensa
i di cercare le mani nel sogno.
Era un gran desiderio che rimaneva inappagato, nel sonno non succedeva assolutam

ente niente.
Pensai che forse era questione di tempo ma cominciavo a diventare scettico. Fina
lmente un notte riuscii ad avere la prima esperienza.
Dormivo gi profondamente quando tra sogni del tutto ordinari, riconobbi degli ogg
etti della vita quotidiana.
Vidi in particolare la valigia ventiquattro ore in un angolo del salotto dove l
avevo appoggiata.
Il riconoscere un oggetto reale fu un colpo che mi scosse in modo particolare. C
ominciai a ricordarmi i miei impegni ed un po alla volta tutti i particolari de
lla vita da sveglio. Dopo pochi attimi mi resi conto che stavo sognando o meglio
acquisii la consapevolezza della dimensione di sogno.
Mi ricordai il comando di guardare le mani, ma nel momento in cui tentai di farl
o, tutto a torno a me cominci a roteare in modo minaccioso.
Le immagini roteavano intorno a me in una miriade di colori, che la velocit mesco
lava e confondeva.
La paura si impadron di me, e cominciai a sentire nausea.
Stavo quasi per vomitare quando cercai di concentrarmi solo su un particolare og
getto, che stava sfrecciando davanti a me, e di colpo tutto attorno a me si ferm.
Mi trovavo sopra un cavalcavia molto familiare. Era il cavalcavia che facevo ogn
i giorno per tornare a casa.
Era incredibilmente reale, le macchine che correvano, il semaforo che a quell or
a lampeggiava, il buio attenuato dai lampioni che lanciavano dei riflessi sull a
sfalto, persone che camminavano sui marciapiedi.
Una scena normalissima nell ora in cui stavo sognando, eppure diversa.
Non riuscivo a capire cosa c era di diverso finch non vidi una bambina che anzich
camminare si spostava volteggiando senza toccare il marciapiedi, dall altro lato
della strada.
Sembrava tranquilla e perfettamente a suo agio, consapevole della mia presenza,
mi guard e se n and passando oltre.
Sembrava che per lei fosse una cosa normalissima, mentre io cercavo disperatamen
te considerazioni logiche che mettessero ordine a quello che stavo vivendo.
Ma fu un grande errore. L azione di pensare mi portava ad introvertirmi e quindi
tornavo in balia dei sogni ordinari.
Infatti il semplice pensare fece scomparire la scena che stavo vedendo e tornaro
no a sfrecciarmi davanti migliaia di scene ad una velocit tale che non riuscivo a
distinguerne nessuna.
Mi ricordai che dovevo guardare le mani, e cos feci.
Riuscii a prendere il controllo della situazione e mi ritrovai nella mia camera
da letto, dove erano coricati i corpi di mia moglie ed il mio.
Mentre guardavo il mio corpo scese su di me una profonda depressione, provavo pe
na per me, per la mia vita, per i miei sogni e le mie aspirazioni.
Mi sentivo piccolo ed impotente, limitato ed incapace.
Non c erano delle ragioni precise per sentirmi depresso, era come se fossero esp
losi i sentimenti che cercavo di reprimere nella vita normale. Sentimenti che in
quella dimensione non avevano pi freni e barriere e quindi si impadronivano di m
e senza che io riuscissi a fermarli.
Mi sentivo sempre pi sconsolato e la tristezza diventava sempre pi grande.
Mi ricordai che Castaneda nel suo romanzo era sempre ripreso dal suo maestro per
ch indulgeva nei suoi difetti, cercai allora di reagire. Nella vita normale riusc
ivo sempre a scacciare angoscia e tristezza con un gesto della mano come quando
si scaccia un insetto fastidioso. A volte questo gesto lo accompagno con un picc
olo urlo. Provai quasi per abitudine, ma in questa dimensione fu come una incred
ibile spinta che mi lanci fuori dalla camera da letto, fino ad un piccolo negozio
artigiano, dove un anziano signore stava lavorando attorno ad un tavolo antico
alla luce di una lampadina penzolante.
Io mi trovavo in strada ma la porta aperta mi permetteva di vedere ogni particol
are.
Era un laboratorio di un restauratore di mobili antichi molto piccolo ed in un d
isordine incredibile.
C erano attrezzi disseminati dappertutto ed ogni tipo di mobilia accatastata att

orno al vecchio.
Ma il vecchio sembrava a suo agio in quel caos, e non venne meno la sua concentr
azione quando mi avvicinai all ingresso.
Ma chi era quel vecchio? Cosa ci facevo io in quel posto?
Mentre mi rendevo conto di queste incongruenze sentivo che la tristezza e l ango
scia avevano ormai raggiunto un livello di dolore.
Provai un profondo desiderio di fuggire da quella realt, non volevo pi tornare a v
ivere, non volevo pi avere problemi.
Sentivo nello stesso tempo il grande peso della vita, che conducevo tutti i gior
ni e l inutilit di viverla.
Mi sembrava che ogni sforzo fosse vano ed inutile, quasi patetico.
A che serviva vivere se poi ci si ritrovava sempre in quella sconsolata limitate
zza umana?
I pensieri mi fecero cadere nuovamente nei sogni ordinari e dopo un po mi svegl
iai.
Mi svegliai con un grandissimo mal di testa e con tutta la depressione che avevo
provato nel sonno.
Mi sentivo male. Mi alzai ed andai sul terrazzo che dava sul giardino dove erano
mirabilmente distribuiti molti alberi che abbellivano la vista.
In quella notte buia i lampioni tra gli alberi davano una sensazione di familiar
it.
Mi era sempre piaciuto guardare quel giardino, dal primo momento in cui ci erava
mo trasferiti in quel condominio in campagna; riusciva sempre a rilassarmi atten
uando le emozioni negative.
Pensai all esperienza del sogno e la prima considerazione che formulai fu di com
pleto fallimento.
Ero a malapena riuscito ad abbozzare un controllo, ma il continuo indulgere ne a
veva fatto un esperienza disastrosa; talmente negativa che preferii sospendere i
tentativi almeno per il momento.
Pensai che fosse meglio acquisire altri dati, finch mi sarei sentito abbastanza p
reparato da riprovare.
Forse quella non sarebbe mai stata la mia via alla conoscenza.
Nel romanzo di Castaneda in pi punti il maestro esortava il suo discepolo nel seg
uire la strada che ha un cuore.
Ed io sentivo che la strada con il cuore era la lotta per il potere e l impeccab
ilit. L insistere verso qualcosa che non era nella mia natura mi avrebbe creato s
olo delle difficolt nella ricerca della verit.
In fondo riuscire a compiere viaggi astrali solo una delle abilit che si possono
acquisire, non molto diversa dal fare bene un programma al computer.
Era vero che il "potere personale" mi aveva indicato il libro che mi insegnava a
d acquisire questa abilit, ma era altrettanto vero che le emozioni negative che n
e avevo ricevuto erano insopportabili.
Cercavo di convincermi che era meglio abbandonare quel tipo di esperienza, e que
sto mi dava sollievo, ma nello stesso tempo avevo dei dubbi. Il dubbio che non d
ovevo desistere, forse perch bisognava affinare l esperienza o il dubbio che la m
ia fosse solo vigliaccheria.
Mentre mi arrovellavo il cervello mi ricordai di un sogno che avevo fatto mesi p
rima:
Stavo camminando lungo una strada pedonale lungo il fiume, in una zona che conos
cevo molto bene perch ci andavo spesso a passeggiare con mia moglie. E mentre pas
seggiavo osservavo i particolari della strada e pensavo contemporaneamente. Pass
avano nella mia mente molte immagini e ricordi della vita ordinaria legati da un
a logica oscura.
Mi ricordai che in sogno decisi di voltare verso in una strada che non conoscevo
.
E, mentre la percorrevo, memorizzavo in modo preciso ogni particolare.
Una cosa che mi rimase impressa in modo particolare fu un parapetto in tubi di f
erro che impediva di cadere in un canale.
Mi rimase impresso perch ad esso era legato un sentimento di angoscia per un peri
colo scampato.

Ero certo che quella via non l avevo mai vista, quindi se quello era un sogno or
dinario tutti i particolari che avevo visto me li ero immaginati, ma se i partic
olari corrispondevano al luogo, quella notte c ero stato davvero, con il corpo a
strale, e senza nessuna tecnica particolare.
Erano le due del mattino ma ero troppo ansioso di avere la risposta per aspettar
e il giorno.
Cominciai a vestirmi, il rumore svegli mia moglie che mi chiese cosa stavo facend
o;
"Non riesco a dormire! Vado a fare due passi!" risposi
"...uhh" mugugn mia moglie.
Uscii quasi di corsa, presi la macchina e mi avvicinai al luogo del sogno. Dovet
ti superare una sbarra di ferro che delimitava una zona privata.
Arrivai nel luogo del sogno e fu grande l emozione quando riconobbi tutti i part
icolari, il muretto che costeggiava la strada, il fossato, gli arbusti che separ
avano la strada dal fossato, fmo al parapetto dei tubi di ferro sopra il canale.
Era davvero eccezionale quello che avevo scoperto.
I viaggi astrali li facevo molto prima che io fossi interessato a loro. Solo che
li avevo sempre confusi con sogni ordinari. O forse tutti i sogni sono reali co
me il resto della nostra vita, solo che noi commettiamo il grande errore di cons
iderarli solo dei sogni.
II nostro sforzo deve essere indirizzato semplicemente a prendere consapevolezza
di ci che gi esiste.
L errore che stavo facendo era quello di cercare di fare una esperienza con osse
ssione e violenza.
Ossessione e violenza che si era rivolta contro di me, trasformando un fatto del
tutto normale in un esperienza allucinante.
Capii che in realt la vera tecnica l abbandono, fare senza aspettarsi nulla, anel
are senza pretendere, comunque sempre con quell umilt che fa grande un guerriero.
Avevo fatto un nuovo piccolo passo verso la conoscenza, e questo mi inebriava. M
a c erano molti dettagli che dovevo mettere in ordine.
Ad esempio, se i sogni sono una realt com possibile che a volte sogniamo cose str
anissime, sicuramente inventate dalla mente?
Conclusi che tutto ci che noi vediamo comunque un nostro punto di vista. Un sempl
ice oggetto come una sedia pu essere mostruosa se osservata dal punto di vista di
una formica.
Ad una analisi superficiale si sarebbe portati a pensare che noi non potremmo ma
i condividere il punto di vista di una formica.
Ma se pensiamo che nei sogni noi non abbiamo le regole fsiche di esseri umani, ed
aggiungiamo che il punto di vista direttamente influenzato da attenzioni, consi
derazioni e conoscenze, possiamo concludere che il punto di vista di una formica
forse ancora tra i pi normali che possiamo assumere nei sogni.
Mi avvicinai al parapetto e, a causa di un sasso sporgente, inciampai cadendo so
pra il parapetto. Vidi l acqua scorrere sotto di me e provai la stessa angoscia
del sogno.
Cap. 10 La preveggenza
Il lavoro proseguiva abbastanza bene. Nonostante i problemi rimanessero sempre m
olti, riuscivo ad avere clienti nuovi e gli introiti erano garantiti.
Un giorno di luglio, mi trovavo a 150 km. da casa, nello studio di un commercial
ista per incontrare, insieme a lui, un suo cliente al quale stavo tentando di ve
ndere un computer.
Le fasi iniziali della trattativa procedevano senza grosse difficolt.
Durante la prima visita avevo rilevato le esigenze del cliente e in un secondo i
ncontro avevo presentato la nostra soluzione e presentato il preventivo. Quel gi
orno ci saremmo rivisti per chiudere il contratto.
L azienda commercializzava frutta e verdura all ingrosso.
I clienti sceglievano da soli casse e sacchi contenenti i vari prodotti e li pes
avano su grandi bilance, di fronte all ufficio del ragioniere.
Quest ultimo, letta la pesata, la riportava nella bolla del cliente.
II problema da superare consisteva proprio nel dover compilare simultaneamente
un gran numero di bolle di consegna.

Dal commercialista ero arrivato un po in anticipo, come mia abitudine, e quindi


attesi.
L ufficio non era molto grande, ma lo spazio era sfruttato al massimo e con inte
lligenza.
Due impiegate mostravano grande professionalit e dedizione al lavoro e rimanevano
concentrate nonostante gli squilli del telefono e il continuo viavai di persone
nella stanza.
C era una grande vetrata che dava su un giardino ben tenuto, molto verde per ess
ere in luglio avanzato e molto colorato per essere in una zona commerciale.
Arriv il cliente, un signore di mezza et, il viso sempre sorridente ed un modo di
fare accattivante che metteva tutti a proprio agio.
Non era il titolare dell azienda con il quale avevo parlato in precedenza, ma qu
esti si fidava ciecamente di lui, tanto da proporgli di entrare a far parte dell
a societ.
Entrai con lui dal commercialista che ci stava aspettando seduto alla scrivania.
"Buongiorno." Esord lui alzandosi per salutarci e stringerci la mano
"Buongiorno." Risposi.
"Siete le persone pi puntuali che conosca." disse il commercialista.
"E un mio difetto arrivare sempre in anticipo", feci io.
"Spero non mi abbia aspettato molto" disse il ragioniere .
"No! Ero arrivato da pochi minuti; non si preoccupi!"
Ci accomodammo tutti e tre.
Stavo per iniziare a introdurre l argomento, quando il commercialista intervenne
con una battuta che serviva a metterci a nostro agio e stemperare qualsiasi ten
sione.".
"Ormai siamo in zona ferie, Lei dove andr quest anno?"
Chiese, rivolgendosi al cliente.
"Mah! Quest anno ho prenotato in Sardegna. Tutti i miei amici che ci sono stati
ne sono rimasti entusiasti. Cos ho pensato di andare un po a vedere com "
"Ah. Bellissima la Sardegna ! Vedr che non rimarr deluso. Io ci sono stato due ann
i fa e ci ritornerei ancora." rispose il commercialista.
"Io non ci sono mai stato , ma da dalle foto che ho visto e da quello che mi han
no raccontato dev essere bella davvero." dissi io.
A questo punto ci fu una pausa che mi incoraggi ad introdurre il motivo dell inco
ntro;
"Bene. Avete avuto modo di vedere il preventivo, di valutarlo? C qualcosa che e
meglio riprendere?"
"Mah! Il mio dubbio e quello di riuscire ad essere abbastanza veloce con il com
puter!" disse il ragioniere.
Ed io ribattei:" All inizio, se non ha mai utilizzato un computer non sar certo v
elocissimo, ma dopo un po di pratica vedr che batter i tasti senza accorgersi."
"Non lo so, bisogner vedere !" rispose scettico il cliente.
Ed io: "Si ricorda che sono rimasto da lei una intera mattinata per vedere da vi
cino il suo lavoro? Proprio perch ho visto e toccato con mano sono d accordo con
lei che ci deve essere uno strumento velocissimo che le possa dare una mano. E p
roprio per questo ho studiato la soluzione, trovando il modo di ottimizzare ogni
fase, facendo si che il programma la segua senza pause.
Infatti ho inserito nell offerta un modulo-programma che permette la gestione de
l multi tasking." spiegai.
"Cosa significa?"
"Che il computer pu eseguire contemporaneamente pi lavori. Ad esempio, pu inserire
i dati di un documento di consegna merce mentre sta stampando una fattura. Tutto
questo lo pu fare una persona; da sola!", spiegai, cercando di essere il pi chiar
o possibile ed osservando i miei interlocutori per capire se mi stavano seguendo
. E continuai;
"Oltre a questo ho previsto una serie di modifiche ai programmi standard, facend
o in modo che ogni inserimento-dati venga ottimizzato, permettendo di utilizzare
i programmi nel minor tempo possibile."
Credevo di avere superato ormai l obiezione e rimasi quindi in atteggiamento di
attesa e di osservazione del colloquio per poterlo indirizzare verso la conclusi

one, ma come un lampo, nella mia mente riaffior un sogno che avevo fatto mesi pri
ma.
Ero a letto e stavo sognando in modo ordinario, quando apparve un rettangolo, (m
i sembrava un foglio), sospeso su un fondo pi scuro. La sua angolazione mi permet
teva di vederlo inclinato in tutte le direzioni. Come se guardassi il lato di un
tetto di una casa da un suo angolo
Ebbi come la sensazione che la mia mente avesse assunto quel simbolo per definir
e la dimensione dello spazio - tempo.
Nel sogno vidi un punto tracciare una parabola sovrapposta al rettangolo che rim
aneva fermo.
La parabola sembrava partire dal mio punto di insta e si fermava in una zona cen
trale del rettangolo.
Ero cerio di aver sintetizzato mentalmente e graficamente il concetto di un magg
io nella doppia dimensione spazio temporale.
Mentre visualizzavo la traccia lasciata dal punto, percepivo la sensazione del v
iaggio di cinque mesi e di circa centocinquanta chilometri.
Percepii il luogo e mi indi seduto nell ufficio del commercialista.
Nel sogno avevo gi vissuto la stessa scena con una precisione incredibile. Era tu
tto uguale ma molto pi vivo della realt. Era come se nel sogno la mia vista fosse
migliore e riuscivo a soffermarmi molto di pi su tutti i particolari.
Nel sogno avevo visto con molta pi precisione i vasi di fiori, il tagliacarte, il
ferma porta, i soprammobili.
Ogni oggetto nel sogno era stato "colto" ed osservato con molta cura, ma non att
raverso il sistema normale di attenzione "selettiva" che normalmente adottiamo,
piuttosto, direi, attraverso una attenzione " globale".
Era come se, in un sogno di quel tipo , io avessi la possibilit di osservare tutt
o con la stessa precisione con cui si osserva una cosa alla volta. Il sogno risu
ltava pi reale della stessa realt.
Nel momento in cui la realt collimava con il sogno, era come se la scena diventas
se pi viva e precisa. Come un flash che evidenziasse il momento che stavo vivendo
.
Mi era gi accaduto altre volte; ma mai come allora ebbi un riscontro cos preciso d
i quello che era avvenuto.
Mai come allora avevo riconosciuto la preveggenza nel momento in cui si era rive
lata.
Tutte le volte precedenti avevo vissuto gli eventi in modo parziale, scattava il
flash e sentivo di aver gi vissuto l episodio, ma non riuscivo a spiegarmi il pe
rch e come. Succedeva e basta!
In quell ufficio, al contrario, ricordavo tutto.
Ricordai inoltre, che nel sogno feci una considerazione: che la trattativa mi sa
rebbe sfuggita di mano senza una "idea" che eliminasse completamente i dubbi del
cliente.
L idea consisteva nel fatto che ai clienti che si fossero presentati alla pesatu
ra venisse assegnato un numero; un po come l elimina-code che si trovava in mol
ti supermercati.
Il numero assegnato al cliente avrebbe coinciso con il numero della bolla. Il cl
iente, una volta alla pesatura, avrebbe chiamato il suo numero e questo sarebbe
stato inserito dall operatore nel computer.
Il programma inserito, una volta ricevuto il numero, avrebbe richiamato istantan
eamente la bolla corrispondente a quel preciso cliente e aumentato sensibilmente
la velocit delle operazioni.
L idea era eccezionale e molto semplice da realizzare con il computer.
Mentre mi ricordavo del sogno, il colloquio stava prendendo una brutta piega, i
dubbi del cliente erano tornati a galla ed il commercialista, nonostante l inten
zione di aiutarmi in ogni modo si trovava impotente di fronte alle continue obie
zioni del cliente.
Decisi di seguire le indicazioni del sogno.
Iniziai allora a spiegare la mia idea, e quando ebbi concluso il commercialista
ne fu entusiasta.
"Questa davvero un idea eccezionale! esclam. "Perch non mi vengono mai idee come q

uesta? Sono certo che funzioner".


L entusiasmo del commercialista fu cos trascinante che cancell in un colpo solo og
ni dubbio e perplessit da parte del cliente, che si rasseren.
E rivolto al cliente chiesi;
"Lei cosa ne pensa?"
"Mi sembra che possa funzionare" rispose e cos sfruttai l occasione per rafforzar
e il mio successo;
"La soluzione e stata studiata nei minimi dettagli, ed ora sarebbe il momento i
deale per realizzarla. Sottoscrivendo il contratto in questo periodo avrebbe a d
isposizione il prodotto quando rientra dalle ferie, e potr verificarne l efficien
za prima di fine anno. A Gennaio sar gi attivo e partir tranquillamente con la cont
abilit a pieno regime.". Cominciai a
stabilire delle scadenze ben sapendo che era una sua necessit partire all inizio
dell anno.
Era quasi scontata a quel punto la sua domanda;
"Ma ci vuole cos tanto tempo per iniziare?"
"Tenga presente che lei rientra il 15 settembre e, considerando che non avr a dis
posizione molto tempo, saranno necessari almeno due mesi e mezzo per imparare ad
utilizzare il computer ad un buon livello di dimestichezza.
Sono inoltre necessarie delle verifiche di funzionamento.
Nell ipotesi, abbastanza frequente, che le modifiche apportate presentino degli
errori, dobbiamo avere il tempo di intervenire.
Considerando la verifica finale si arriva a fine anno."
Quasi ci fossimo accordati in precedenza, il commercialista intervenne ancora un
a volta in mio favore:
"Ho seguito anche altre informatizzazioni, in cui sono stati necessari da tre a
sei mesi solo per la fase iniziale."
Ed io insistetti sottolineando:
"Deve considerare che quando lei utilizzer il computer, dovr sentirsi sicuro"
Ed a questo punto il cliente concluse ;
"Va bene! Partiamo!"
"Benissimo. Ora consideriamo un momento alcuni preventivi sul lavoro proposto."
Dissi portando l attenzione sull aspetto economico dell operazione.
"Se consideriamo l intero pacchetto la cifra si aggira su.......Per un
totale di.........compresa l Iva."
"Veda di fare un piccolo sconto ......" disse il commercialista
passando ora dalla parte del cliente, che acconsentiva in silenzio.
"Cercher di awantaggiarLa senza togliere niente alla qualit del lavoro.
Stabilito lo sconto massimo che posso fare, lo converto in ore gratuite di addes
tramento del personale presso la sua azienda."
Calcolai il dieci per cento sul prezzo del software e del computer, lo computai
in ore al costo aziendale e lo moltiplicai per il costo ora di listino.
"Bene. Sono un totale di venticinque ore che equivalgono alla bellezza di lire..
......, non mi sembra male" dissi rivolgendomi a loro.
"Se non si pu fare di pi..." disse il cliente, ma sapevo che adottava quell attegg
iamento per ottenere un massimo che non conosceva.
Era fatta! Dovevo incalzare per ottenere un assegno di acconto, al fine di evita
re ogni ripensamento da parte sua.
"Ecco... Ci sarebbero alcuni dettagli da espletare per definire il tutto e parti
re tranquilli per le vacanze".
"Mi dica!" rispose il cliente.
"Bisognerebbe firmare il contratto ..." dissi porgendo il foglio da firmare ed i
ndicando un punto nel foglio.
"Ecco qui l autografo..." disse il cliente
"E poi ci sarebbe il trenta per cento alla sottoscrizione dell ordine" dissi qua
si in modo casuale.
"Per me questo non regolare, perch la firma dovrebbe metterla il titolare." disse
, ed io rimasi immobile fngendo di pensare, aspettando, in realt, che trovasse lui
delle soluzioni a quel problema.
Ed infatti:

"Potrei anticipare con un mio assegno e poi farmelo rimborsare."


"Penso che possa andare bene lo stesso" disse il commercialista .
"Va benissimo. Non ci sono problemi." dissi io.
Il cliente frm l assegno ed io potei uscire da quel uffcio dopo un strepitoso succe
sso.
Avevo fatto un buon lavoro, avevo ottenuto il consenso, l aiuto e l ammirazione
sincera del commercialista e avevo concluso un ottimo affare.
Ma ancora di pi, avevo percepito con estrema precisione il meccanismo con il qual
e utilizzare la preveggenza.
Avevo sintetizzato mentalmente il comando "vai a" contemporaneamente a "vai nel
momento".
Ma la cosa pi incredibile che nel sogno avevo fatto una considerazione, che poi h
o potuto utilizzare nella realt.
Mi chiedevo , comunque: <Ho vissuto in anticipo la considerazione e la soluzione
del problema o l idea della soluzione mi venuta 5 mesi prima, in base alla visi
one dell episodio che avrei vissuto pi avanti?
Avevo davvero modifcato i fatti oppure li semplicemente previsti?
Il futuro gi prestabilito?
Ed in tal caso da chi?
Ogni fatto che sarebbe avvenuto, poteva essere modificato?
Ed ancora...
Il viaggio temporale e solo composto da percezioni o e simile ai viaggi astral
i, nei quali ci si sposta con un corpo astrale?.
Sembrava che ogni piccola risposta che riuscivo ad avere facesse nascere una lis
ta infinita di domande.
Il capire alcune cose della preveggenza invece di darmi delle soluzioni aveva fa
tto nascere una serie di interrogativi.
Interrogativi non semplici che potevano cambiare l atteggiamento nei confronti d
ella vita.
Infatti, se ci che deve ancora avvenire non pu essere modificato, sarei stato port
ato ad accettare in modo passivo il futuro ed il mio sforzo si
sarebbe indirizzato solo nel cercare di aumentare le mie capacit di preveggenza.
Se al contrario ci che scritto la conseguenza logica delle nostre azioni e pu esse
re cambiato, sarei stato pi determinato nel cambiare le cose.
In che modo dovevo cercare le risposte?
In quell ultimo periodo oltre che, utilizzare il potere personale , avevo speri
mentato anche la vista del guerriero come tecnica che mi poteva aiutare.
Avevo sperimentato quindi, che si poteva utilizzare la "vista del guerriero" sia
per vedere il pericolo sia per capire cose al momento sconosciute.
Quando dovevo trovare una spiegazione difficile o volevo esprimermi con frasi in
cisive, uscivo dal corpo con la semplice intenzione di farlo ed avevo in modo is
tantaneo la risposta. Ad un mio comando uscivo dal corpo, ma non come entit fisic
a, non con corpi astrali o che altro, ma semplicemente facevo uscire dal corpo i
l mio punto di vista.
Quella che altri chiamano intuizione era per me un abilit che potevo utilizzare c
ome una qualsiasi altra tecnica.
Dopo molto esercizio ero arrivato a capire che il punto di vista poteva essere i
ndirizzato in luoghi ben pi lontani dei quattro cinque metri di altezza che erano
utilizzati dal guerriero.
Se dovevo capire qualcosa legato al pianeta spostavo il mio punto di vista oltre
l atmosfera, e di colpo avevo la risposta.
Le risposte non erano frasi sentite o pensate ma percezioni che il mio io coscie
nte traduceva, a volte con difficolt, in frasi.
Le risposte per erano sempre proporzionali al livello di maturit in cui mi trovavo
in quel momento.
Poteva accadere che, alla stessa domanda fatta in momenti diversi della mia vita
, ottenessi risposte diverse.
Ma l ultima risposta non cancellava ne invalidava le risposte date in precedenza
, anche se cos poteva sembrare, ma al contrario completava le precedenti, perch la
differenza stava nel mio livello di comprensione.

Nella mia possibilit di capire.


Tanto pi ci innalziamo spiritualmente tanto pi sono complete le risposte.
Quindi in realt le risposte dipendono dalla nostra capacit di comprendere.
Una risposta un piccolo gradino che ci innalza un po di pi e ci prepara alla ris
posta successiva, perch sono tutte risposte parziali.
Da tempo ormai ero certo che la verit non ha bisogno di spiegazioni o risposte, p
erch la verit la "non risposta".
Cercavo di capire la preveggenza con la vista del guerriero", ma non sapevo dov
e indirizzare il mio punto di vista.
Pensai di indirizzarlo nel simbolo che avevo visto nel sogno. Mi parve una buona
idea e cos feci.
La risposta fu strabiliante ;
"Non esiste spazio o tempo, perch esse sono solo dimensioni create degli esseri c
onsapevoli per mettere ordine al loro mondo".
Il tempo cos come lo vedevo era solo un idea sulla quale poggiava tutto il mondo
cos come lo conosciamo.
In realt, riusciamo a mantenere in vita la consapevolezza solo perch abbiamo creat
o un ordine, una catalogazione dei fatti nel sistema temporale.
Abbiamo dato successivamente una dimensione ed alla fme un significato ad ogni p
articolare fatto.
In questo modo riusciamo ad indirizzare la nostra attenzione verso qualcosa e di
conseguenza esserne consapevoli.
Ad esempio in questo libro le frasi si susseguono una all altra permettendoci di
leggerle e quindi di capirle.
Ma se noi le sovrapponessimo tutte otterremmo solo una macchia nera senza nessun
significato.
Oppure se noi le mescolassimo avremmo una serie di caratteri e di simboli tutti
uguali senza nessun significato.
Come per il libro, l ordine lo abbiamo creato noi a nostro uso e consumo.
Se noi togliessimo questo ordine, tutto sarebbe uguale, avrebbe lo stesso signif
icato.
Avremmo pura verit.
Avremmo il nulla.
Cap. 11 La grande battaglia
Raggiunta l auto, appoggiai la valigia 24 ore sul sedile anteriore, a fianco del
posto di guida. Mi tolsi la giacca con estremo sollievo, dato il caldo soffocan
te.
Allentai il nodo della cravatta, mi appoggiai con le mani allo sportello della m
acchina e mi guardai attorno.
Il sole era ancora splendente nel cielo, non una nuvola era accorsa in aiuto ad
alleggerire la stretta dell afa.
Di fronte a me c era un viale alberato con aiuole perfettamente squadrate. Era t
utto in ordine; l asfalto, i marciapiedi, le panchine ed il verde.
Due vecchi seduti su una panchina sembravano fuori posto, rispetto al perfetto o
rdine del viale.
Provai sollievo al pensiero che da li a pochi minuti avrei imboccato l autostrad
a. I lunghi rettilinei mi avrebbero permesso di correre velocemente, ed i finest
rini aperti mi avrebbero dato finalmente refrigerio.
Che vita ricca era la mia, vivevo nel ventesimo secolo, in una societ che mi dava
tutti i comfort: potevo avere la dimensione di nuove ed affascinanti realt e nel
lo stesso tempo mantenere l antica sapienza acquisita con esperienze di profonda
spiritualit.
Affondavo nel passato e mi proiettavo nel futuro.
Avevo ampliato la mia conoscenza a livelli impensabili.
Rividi mentalmente quello che ero stato fino a pochi anni prima. Timido, impauri
to da tutti e da tutto, sempre schivo e profondamente angosciato.
Tornai all immagine che avevo di me in quel momento: sicuro nell affrontare la v
ita ed i problemi, sempre determinato nel raggiungimento degli scopi che mi pref
issavo e rapido nel prendere le decisioni.
Ma l entusiasmo si spense subito in un dubbio molto sottile.

Ero davvero cambiato?


Oppure avevo semplicemente smussato i miei difetti ed esaltato le mie attitudini
senza per cambiare profondamente?
Avevo davvero eliminato l angoscia e la paura?
Erano domande inutili, conoscevo molto bene le risposte.
Ero migliorato. Questo si! Potevo addirittura sembrare un altra persona, ma non
potevo ingannarmi fino al punto di credere di aver risolto tutti i problemi.
Quelli erano sempre l a sfidarmi ogni giorno.
La conoscenza e l esperienza mi avevano permesso di gestirli, ma non di risolver
li.
In quegli anni avevo fatto davvero molto.
Mi ero sottoposto a terapie individuali, terapie di gruppo, avevo seguito alcuni
corsi psicoterapeutici, avevo frequentato organizzazioni di yoga e di meditazio
ne trascendentale ma niente era stato risolutivo.
Ma ero davvero un caso disperato?
Oppure la psicoterapia in realt riusciva ad avere successo solo in rari casi?
Salii in macchina ed avviai il motore.
Nei momenti di sconforto la velocit mi aiutava e quindi lanciai la macchina in un
a ripresa che fece fischiare le gomme sull asfalto.
E mentre gli alberi sfilavano lungo la strada pensai al problema che pi d ogni al
tro m infastidiva: l ansia.
L ansia di fronte all autorit, l ansia di fronte alle difficolt.
Ogni qualvolta dovevo affrontare delle difficolt calava attorno a me un sottile v
elo che ingrigiva tutto e dava, all evento che si avvicinava, un aspetto fatale.
Quando ci accadeva avevo l impressione che non sarei mai uscito da quell episodio
, che ci sarei rimasto in eterno.
Era una sensazione che mi opprimeva e mi creava un forte stress.
La volont era completamente inefficace nel far fronte a queste emozioni negative,
pi cercavo di superarle pi ne rimanevo imprigionato.
Nonostante questo accadesse molto spesso, non riuscivo ad abituarmici.
Respirai profondamente mentre guardavo, fuori dal del finestrino, le colline che
si estendevano alla sinistra dell autostrada.
Si ergevano altere nella foschia che andava formandosi tra le numerosissime cimi
niere disseminate nella pianura ai loro piedi.
Quel panorama mi apparve come uno stridente miscuglio di cose moderne e antiche;
la frenesia della vita odierna in quei luoghi che raccontavano d antichi ed imm
utabili splendori della natura.
Sembrava mi volesse ricordare una realt con la quale, alla fine, si dovr fare i co
nti.
La realt dell essere alla quale non si pu sfuggire.
Sfrecciai nell autostrada per circa un ora tra campi coltivati e stabilimenti, t
ra centri abitati e grandi magazzini commerciali, finch sentii il desiderio di us
cire ad un casello autostradale.
Mi sarebbero bastati pochi chilometri per raggiungere la mia uscita ma trovai di
vertente cambiare un po le abitudini di sempre, inserendo un piccolo diversivo.
Uscii dall autostrada e dopo alcuni chilometri mi trovai in un piccolo paese che
non conoscevo molto bene essendoci stato in precedenza
solo di passaggio. Parcheggiai con difficolt e m incamminai tra le viuzze in cerc
a di qualcosa di diverso.
Era un paese anonimo come molti altri, in cui le costruzioni moderne avevano a p
oco a poco completamente sommerso tutto ci che c era di antico.
Sebbene avesse una sua storia, tutte le costruzioni mettevano in mostra un decad
ente modernismo.
Il centro storico mi aveva deluso, quindi feci per prendere la via del ritorno q
uando notai l insegna di un osteria.
Decisi di visitare quel locale come ultimo tentativo.
Quando varcai la soglia rimasi a bocca aperta, era certamente il locale pi rustic
o che avessi mai visitato.
Lo stile doveva essere di circa tre secoli prima, sembrava che tutto fosse rimas
to al suo posto con meticolosa precisione.

Nel corso del tempo nuovi oggetti erano andati a sommarsi ai vecchi creando un m
iscuglio di oggetti e di stampe che dava l impressione di trovarsi in un negozio
di antiquariato.
Sul banco del locale, costruito in legno massiccio, facevano bella mostra di s le
tipiche specialit venete: dalla classica "poenta e osei" all invitante "musetto"
fmo all ormai raro piatto di "nervetti".
Sopra il banco una gran trave di legno sorreggeva un muro divisorio agghindato c
on paioli e pentolini.
Salami ed insaccati di ogni tipo pendevano dal soffitto tra antiche padelle di r
ame di ogni misura e forma.
Le travi, nonostante la vernice recente, non riuscivano a nascondere le crepe e
venature che tradivano gli anni.
I muri dalla forma irregolare e massiccia, che dava l impressione di essere in u
na grotta, sottolineavano l antica fattezza.
L elegante ed il rustico si mescolavano facendo emergere in me un dolce rimpiant
o per il passato.
Mi sedetti volendo assaporare completamente l atmosfera di quel posto prima anco
ra delle sue specialit.
Ordinai qualcosa ed iniziai a guardarmi attorno.
C erano attrezzi per il lavoro dei campi, utensili di ogni tipo: falci, torce, s
pade e coltelli.
Ogni oggetto risuonava in me come un eco di antichi ricordi, rievocava qualcosa,
anche se non sempre riuscivo a percepire cosa.
Mi sembrava di guardare un album di famiglia dove ad ogni immagine erano legate
delle sensazioni. Il piacere di tante rievocazioni mi stava facendo sentire pi le
ggero, finch dovetti soffermarmi su un oggetto che scaten la mia repulsione.
Era un uccello imbalsamato, che a stento ricordava un fagiano.
Feci fatica a riconoscerlo perch, cos vecchio ed impolverato, aveva perso tutti i
suoi colori.
Provai pena per quel volatile cos umiliato in quell angolo, e rabbia per quella c
inica mania di uccidere ed impagliare gli animali.
Il mio amore per la natura mi spingeva ad odiare tutto ci che danneggiava od umil
iava il suo splendore.
Come si potevano uccidere animali liberi, solo per il gusto della caccia, come s
i potevano distruggere interi habitat per semplice lucro?
Era da sempre, un motivo di grande frustrazione accorgermi che l amore che avevo
per la natura era un sentimento sconosciuto alla maggior parte dei miei simili.
Ma erano davvero i miei simili?
Certamente essere uomini non significa avere il titolo di esseri evoluti, si tra
tta solo di un punto di partenza.
solo un opportunit per elevarsi.
Chi uccide senza un valido scopo ha perso questa opportunit e chi non ama ogni cr
eatura di questo universo si preclude ogni altra possibilit.
La caccia poteva essere giustificata, in momenti di effettiva necessit, come nei
secoli passati, ma oggi era da condannare nel modo pi severo.
Mentre pensavo alla caccia mi venne in mente che anche Don Juan, nel romanzo di
Castaneda insegnava l arte della caccia.
Ma certo lui lo faceva per scopi ben pi alti.
Infatti, il capire le tecniche della caccia era un passo importante del noviziat
o, dato che avrebbe permesso a chi intraprendeva questo cammino, di "dare la cac
cia" ai propri difetti.
L adepto doveva utilizzare le tecniche della caccia per osservare e conoscere la
sua preda fmo al punto di preparare una trappola adeguata.
Era davvero un ottimo punto di vista vedere i propri difetti, come realt separate
, da catturare.
Chiss se avrei avuto successo con una simile tecnica?
Forse avrei dovuto tentare?
L idea non mi piacque, sentivo che non mi si addiceva.
Sentivo i miei problemi troppo grandi; ero certo che una simile tecnica non foss
e sufficientemente efficace.

Avrei s, dovuto vedere i problemi, come realt esterne al mio essere, ma avrei dovu
to pormi nei loro confronti come un guerriero e non come un cacciatore.
L entusiasmo cominci a farsi strada in me.
Come potevo non averci ancora pensato?
Come guerriero avrei combattuto la mia ultima, ma certamente, pi importante batta
glia della mia esistenza.
Avrei combattuto i miei difetti.
Con lo stesso coraggio e determinazione che mi avevano accompagnato precedenteme
nte.
Ero sempre pi eccitato al pensiero di combattere ancora, ma cercai di calmarmi pe
r riflettere un po .
Come avrei combattuto i miei difetti, se ogni tentativo di utilizzare la volont e
ra fallito.
Se tutte le tecniche moderne di psicoanalisi con me avevano fallito, che speranz
e potevo avere?
Di certo il guerriero ha delle possibilit in pi. Innanzi tutto non indulge in sent
imenti di inadeguatezza e di fallimento.
In secondo luogo, prima di ogni battaglia, considera in modo freddo e determinat
o le proprie armi ed i propri vantaggi sul nemico.
Quindi analizza attentamente il nemico in ogni sua manifestazione al fme di capi
re il suo punto debole.
Ed infine studia la strategia che porta alla maggior possibilit di successo.
Solo allora, attacca con tutta la sua determinazione.
Sentivo che quella sarebbe stata la mia strada. Da quel momento avrei dichiarato
guerra ad oltranza ai miei difetti.
In quella guerra non ci sarebbero state regole e non sarebbero state accettate t
regue ma solo vittorie o sconfitte.
Mi alzai di scatto, quasi non volessi perdere attimi preziosi. Quel locale, tant
o piacevole fino a pochi minuti prima, era diventato fonte di distrazione. Volev
o avere tutta la concentrazione possibile per le mie riflessioni.
Andai verso la cassa e dopo aver pagato, mi avviai verso la macchina.
Cominciai quindi ad analizzare il mio principale problema: l ansia. Essa si mani
festava ogni qualvolta dovevo affrontare qualcosa di importante.
A suo tempo era bastato un esame scolastico, un colloquio per un assunzione, opp
ure un test psicologico per farla nascere.
Ora, anche dimostrazioni di vendita o l insegnamento in un corso erano motivi sc
atenanti.
Tutto iniziava con un episodio cui davo importanza.
Cominciava ad insinuarsi in me una leggera preoccupazione per quello che sarebbe
potuto accadere, che aumentava notevolmente col passare del tempo.
In questa prima fase i due aspetti principali, sempre presenti, erano l importan
za che davo al fatto e la considerazione che non potevo evitarlo.
Appena davo importanza ad un episodio scattava il meccanismo che creava il probl
ema. Una volta originato questo problema si autoalimentava uscendo dal controllo
della mia volont.
Avrei potuto evitare di affrontarlo, ma sarebbe stato come cercare di vivere in
una campana di vetro per non contrarre delle malattie.
Non era certo scappando dalle difficolt che sarei riuscito a vincerle.
Nella seconda fase avevo la sensazione di entrare in una situazione senza via di
uscita.
Era la mancanza di una soluzione o di una scappatoia che faceva aumentare a dism
isura l ansia e l angoscia.
A niente potevano servire le rassicurazioni mentali.
Sentivo che nessuno avrebbe potuto aiutarmi.
Pi cercavo di osservare con scrupolosa attenzione il mio difetto, pi sentivo che s
tavo per esserne travolto.
Era come se il semplice ricordare lo facesse rivivere con tutta la sua drammatic
it.
Cominciai a sentire la solita pressione al torace ed a vedere tutto pi grigio.
In quel momento non c era nulla che giustificasse l insorgere dell ansia, ma sem

brava che bastasse la semplice attenzione al problema per risvegliarla.


Arrivai alla macchina e cercai di mantenere una certa disinvoltura anche se comi
nciavo a sentire la morte nel cuore.
Imboccai una strada che portava in aperta campagna sperando di trovare un posto
lontano da occhi indiscreti.
L ansia e l angoscia continuavano a crescere ma questa volta non avrei fatto nul
la per cercare di evitarle. Avrei lottato fino alla fine con l unico scopo di vi
ncerle.
Se per far questo fossi dovuto entrare in loro come Ulisse entr nella citt di Troi
a, lo avrei accettato. La strada che sembrava tagliare in due la terra si faceva
sempre pi deserta, ed io cominciai a piangere ed ad urlare.
Ma la sensazione era come se fosse un altro a piangere e non io.
Sembrava che in realt una parte di me stesse ad osservare senza riuscire a provar
e dolore ed afflizione, mentre l altra parte di me era in preda alla pi completa
disperazione.
Il mio io, che osservava, si accorse che le punte di dolore erano cicliche ed in
tercalate da momenti d apparente tranquillit.
Approfittai di uno di questi momenti di pausa per parcheggiare in un terrapieno
che probabilmente era usato dai trattori per fare manovre.
Prima di ricadere in un altra crisi mi guardai attorno per rassicurarmi che ness
uno mi potesse vedere.
Ricaddi quindi in un altro attacco di profondo terrore ancora pi drammatico dei p
recedenti.
Avevo l impressione di non riuscire a vedere ci che mi stava attorno, contro ogni
evidenza. Infatti c era un bellissimo tramonto rotto solo da alcune nuvole che
avanzavano da occidente.
Provavo la sensazione di essere imprigionato in un qualcosa che non mi permettev
a di uscire, che si faceva sempre pi opprimente.
Cominciai a sentire tutti i muscoli ed ogni parte del mio corpo soggetti ad un i
ncredibile pressione.
Sentii le ossa della mano, chiusa a pugno, che dalla pressione arrivavano persin
o a toccarsi provocandomi un dolore sordo.
Lo stomaco non riusc a contenere il pasto che avevo consumato poco prima e vomita
i.
Mi sarebbe bastato reagire e considerare quell esperienza inutile ed assurda per
ritornare in me e poter tornare a casa tranquillo.
Ma la decisione di andare fino in fondo era gi presa e non avrei permesso a me st
esso nessun tentativo di fuga o d indulgenza.
Mi sentii un po come Ulisse, che si fece legare dai suoi compagni all albero de
lla nave per non cadere nella tentazione di raggiungere le sirene.
A me sarebbe bastata la volont ma le tentazioni di fuggire erano in ogni caso mol
to forti.
Respiravo in modo affannoso e veloce.
Ero ormai madido di sudore, quando sopraggiunse una nuova e pi grave crisi.
Singhiozzai, urlai di dolore e di disperazione, come se qualcosa non riuscisse a
d uscire.
Ebbi chiara la percezione che qualcosa non riusciva ad uscire.
Ma cosa?
Forse stavo rivivendo la mia operazione alle tonsille, alla quale mi ero dovuto
sottoporre all et di circa sei anni?
Era stata un operazione traumatica, effettuata a vivo, ma non aveva avuto un and
amento ciclico.
Mentre cercavo di concentrarmi per capire quale episodio stavo rivivendo saett ne
lla mia mente l unica risposta attendibile.
Quella cosa che non riusciva ad uscire ero io.
Stavo rivivendo la mia nascita.
Alla luce di questa rivelazione tutti gli elementi che caratterizzavano la mia a
nsia si fecero chiari.
L andamento ciclico della crisi era dovuto alle doglie, la pressione spastica su
tutto il corpo era dovuta alla pressione del ventre di mia madre che premeva pe

rch uscissi.
La sensazione di non vedere era dovuta al semplice fatto che allora non vedevo p
er niente.
L aver capito che le mie ansie erano dovute al trauma della nascita, che in qual
che modo era richiamata da elementi della vita quotidiana, non mi diedero il sol
lievo che avrei sperato.
I dolori e gli spasmi non erano cessati, anzi dovetti costatare che erano aument
ati e nello stesso tempo era stata coinvolta anche quella piccola parte di me ch
e vedeva tutto in modo distaccato.
Ero nel pieno della disperazione e del dolore.
Non era dolore immaginario, quello che provavo doveva essere sicuramente un repl
ay perfetto dell esperienza di trent anni prima.
Stavo rivivendo l esperienza della nascita con una precisione di particolari inc
redibile.
Mia madre era stata accompagnata in ospedale, nel pomerggio, da mio nonno, con qu
ella premurosa gentilezza e parecipazione che lo contraddistinguevano nei momenti
difficili.
Mia madre era molto preoccupata ed angosciata e mio nonno cercava di tranquilliz
zarla mentre, sorreggendola, la stava accompagnando a piedi dal vecchio ingresso
dell ospedale al reparo.
I due furono accolti da un medico ed un infermiera che, dopo una discussione che
non percepii completamente, a causa del sopraggiungere delle prme doglie, ci fec
ero sdraiare in un letto.
E li aspettammo.
Ed aspettammo molto, mentre le doglie salivano d intensit proporzionalmente al te
rrore di mia madre ed al nervosismo di mio nonno.
Sentivo il nonno che imprecava contro i medici che non intervenivano e contro mi
o padre che non c era mai, nemmeno nell occasione della nascita del suo prmogenit
o.
Mentre mio nonno camminava avanti ed indietro per la stanza imbestialito, provai
un grande affetto per quelle due persone che stavano dando tutto, a modo loro,
per mettermi alla luce.
Provai anche risentimento nei confronti di mio padre che non aveva mai partecipa
to alla mia vita, sempre assorbito dalla sua passione per il canto e per i suoi
amici.
Negli anni che seguirono, prima che morisse d infarto, contai nelle dita della m
ano le volte che andammo assieme ad una gita e ricordai solo una carezza di rico
noscimento ricevuta da lui, quasi non fossi nemmeno esistito.
Quanto avevo sperato che mi amasse! Mia madre cerc di giustificarlo agli occhi de
l nonno, ma non potevo che essere d accordo con
lui, dal momento che, se davvero fosse stato interessato alla famiglia, non ci s
arebbero stati ostacoli per accorrere in quei momenti tanto diffcili per mia madr
e.
Mia madre che sentivo cos debole di fronte alle avversit, cos vulnerabile e cos sola
.
Nemmeno quel gran dolore fsico che provavo in quel momento riusc a soffocare la pe
na che provavo per mia madre.
Era ed ancora una donna di una bont e pazienza incredibili.
In trent anni di vita non l avevo sentita mai giudicare nessuno, anzi giustifcava
e comprendeva anche coloro che l avevano ingannata e maltrattata.
Aveva dovuto sopportare sacrifci e situazioni molto dure, che la sua innata debol
ezza aveva reso ancora pi diffcili.
Dopo molti anni passati con mio padre, tra creditori, fallimenti e solitudine, d
ovette tornare nella casa dei suoi genitori con due bocche in pi da sfamare; la m
ia e quella di mio fratello.
Dovette ricominciare da zero tra problemi irrisolti e problemi nuovi da risolver
e.
La sua era stata davvero una vita diffcile e non potevo certo fargliene una colpa
se anche lei non aveva mai dimostrato un cenno d affetto nei miei confronti.
Anche il parto, era stato duro come tutta la sua vita. Le urla che sentivo non e

rano motivate solo dal dolore ma anche dalla solitudine e l angoscia di non aver
e un punto di riferimento al quale potersi ancorare.
Dopo molto tempo le doglie si fecero m.olto forti ma i medici aspettarono ancora
perch vollero che le acque si rompessero da sole.
In quei momenti il mio terrore sal a livelli incredibili e pensai:
<NON NE VENGO PI FUORI>.
Fu quella frase pensata ad aumentare il terrore e l angoscia, oppure fu il panic
o a spingermi in quella considerazione?
Di certo il ricordare quella frase fece salire la disperazione ed il terrore.
Non avevo pi scampo!
Pi il tempo passava pi la pressione alVintemo del ventre di mia madre aumentava. L
e pareti diventavano una barriera che sembrava insormontabile.
La cosa pi incredibile era che mentre ricordavo vivevo in maniera precisa la stes
sa esperienza di trent anni prima.
Le stesse sensazioni, gli stessi dolori e gli stessi rumori.
Sentivo il tonfo sordo del corpo di mia madre contro il letto dopo essersi solle
vata a causa di una fitta.
Sentivo i passi delle infermiere ed il rumore del lettino che era trasportato in
sala parto.
Sentivo il rumore metallico degli attrezzi e voci lontane di medici ed infermier
e.
Nel frattempo la voce di un uomo si rivolgeva ad una donna:
"Spostala un po verso di me!"
"Accidenti non esce, dovremmo utilizzare la ventosa!"
Prohahilmente un infermiera rivolta a mia madre;
"Forza! Ancora uno sforzo ed tutto finito!"
Ma ancora minuti interminabili, che dopo ore strazianti, diventavano sempre pi in
sopporahili.
Ogni pare del corpo era sotto un incredibile pressione;
Ed ancora quel pensiero; "NONNE VENGO PI FUORI!"
"Questa tortura non finir mai!"
E poi, quasi all improvmso, uno strattone e la testa sbuc dal ventre di mia madre
.
Fu una sensazione di liberazione incredibile.
Cominciai a piangere ed e singhiozzare a dirotto, come se anche le lacrime avess
ero rotto una diga ed in quel momento straripassero con violenza sulle mie guanc
e.
Rotolai nell erba per trovare sollievo e conforto.
Piansi ancora per alcuni minuti, poi mi calmai.
Disteso sul terreno con il viso tra l erba mi appisolai stremato ma non tranquil
lo.
C era la frase "non ne vengo pi fuori" che rimbalzava ossessivamente nella mia te
sta.
Mi svegliai dopo poco con la stessa frase nella mente, ma cominci a dipanarsi un
nuovo episodio.
Mi stavo guardando con orgoglio il corpo nudo, il torace ampio, muscoloso ma arm
onioso, le braccia robuste con un bracciale d oro che cingeva il braccio sinistr
o e che certificava la mia origine nobile.
Dovevo trovarmi circa nel 2000 avanti Cristo ed ero seduto su una sedia ricavata
da una pietra che sporgeva da una parete e con i gomiti appoggiati su un piano
molto lungo.
A fianco e tutto attorno c erano altre persone sedute che sembrava vivessero tut
te una loro tragedia.
C era chi si lamentava, chi piangeva, chi urlava ed imprecava e chi, come me, ri
maneva in silenzio ma non privo di dolore.
Nel viso si leggeva un espressione, comune a tutti, greve e rassegnata.
Le donne erano tutte vestite con tessuti morbidi e delicati, mentre gli uomini,
perlopi, avevano solo una piccola gonna colorata.
La stanza era molto bassa con strane sporgenze alle pareti.
Sembrava che l architetto si fosse divertito a formare con le pareti disegni geo

metrici incomprensibili.
Tutto era formato da pietra lavorata in modo grezzo.
Tre torce illuminavano il luogo da punti diversi e la luce intensa che propagava
no dava un aspetto di signorilit al luogo.
Mentre fissavo sconsolato la tavola di pietra impolverata e piena di tante picco
le schegge di pietra che si conficcavano nei gomiti, ripensavo alla mia donna.
Mi tornavano alla mente le lunghe passeggiate lungo canneti e i canali d irrigaz
ione.
Era bellissima la campagna nel lato sinistro del fiume ed ancora pi bello era sta
re in compagnia di Ely.
Preferivamo passeggiare all imbrunire quando eravamo certi di essere soli e pote
vamo sentirci padroni di tutto il mondo.
Eravamo entrambi nobili ed il nostro matrimonio era ben visto a corte, ma il nos
tro amore era cos grande che anche se ci fossero state delle difficolt ero certo c
he le avremmo superate.
D altronde l amore per quella donna era stata l unica cosa seria ed impegnativa
della mia vita passata a corte.
Trascorrevo il tempo con i miei amici, scorrazzando con le bighe tra campagne e
paesi rurali, dove, a volte, ci divertivamo a spaventare i poveri contadini, cor
rendo tra le loro capanne a tutta velocit travolgendo palizzate e piccoli arnesi
da lavoro.
Altra preoccupazione era la cura del corpo che cercavo di rendere robusto ed agg
raziato con esercizi fisici e massaggi.
Anche il trucco era per me un appuntamento fisso per mantenere il viso sempre es
teticamente perfetto.
Non un sacrificio, non una fatica domita al lavoro, non un dolore avevo conosciu
to in quella vita spensierata e frvola.
Tutto era andato sempre meramgliosamente bene, finch non mor il mio consanguineo c
he era al potere.
Era costume, a quei tempi, rnchiudere nella piramide, oltre alla salma del Dio Re
, anche tutti i suoi inservienti ed i parenti pi stretti, che dovevano accompagna
rlo nel trapasso.
Fui rnchiuso anch io, non tanto per il legame di parentela ma perch appartenente a
lla classe dei guerrer, titolo pi che altro onorfico, che m includeva fra quelli che
avrebbero scortato e difeso il Re dopo la morte.
Beffa del destino fu, che in quella vita, non avevo mai toccato un arma tanto ch
e non sarei riuscito a difendere nemmeno me stesso.
Piano piano mi stavo rendendo conto che da l non sarei pi uscito e sal d intensit l
angoscia di non poter rivedere Ely, i miei amici, le mie campagne.
Fu in quel momento, al culmine di quella sensazione dimpotenza e d oppressione,
che feci la considerazione:
"Non ne vengo pi fuori".
Mi rialzai dal terreno dove ero rimasto sdraiato, mi stropicciai gli occhi per c
ercare di riprendere il controllo della situazione.
Quella sera i ricordi erano particolarmente pesanti, sentivo il bisogno almeno d
i una pausa.
Cercai di mettere un po d ordine partendo dall ultima esperienza che avevo rivi
ssuto, analizzandola attentamente.
Fui certo che quell episodio di quattromila anni addietro, aveva mantenuto intat
to il suo bagaglio emotivo, molto pi di quanto si fossero mantenute le mummie.
Mi resi conto che ogni esperienza negativa rimane attiva, e ci condiziona fintan
to che non ricordata consciamente o inconsciamente.
Quando un episodio della vita quotidiana ha qualcosa in comune con l esperienza
passata, riaforano tutte le sensazioni negative ed il dolore contenuti in essa.
Quando percepivo che una determinata situazione non mi avrebbe permesso di fuggi
re, automaticamente si agganciavano le precedenti esperienze con tutto il loro b
agaglio d emozione.
Il pi delle volte non ci accorgiamo quale episodio sta influenzando il nostro com
portamento, ma viviamo stati nevrotici illogici, contro i quali la nostra mente
e la nostra volont sono del tutto impotenti.

D altro canto non possiamo lamentarci n delle nostre condizioni attuali n di quant
o abbiamo sofferto in passato, perch il modo di vivere ogni situazione dovuta uni
camente alla nostra responsabilit e alle nostre scelte.
Infatti di fronte alla sepoltura nella piramide, avrei potuto reagire in modo di
verso: rimanere consapevole e affrontare tranquillamente la fine.
Consapevole che, non opponendo resistenza, sarei morto senza soffrire molto, rin
ascendo cos pi sereno.
Consapevole che quella era solo una delle tante vite, che avevo ed avrei vissuto
.
Consapevole che, se lo avessi voluto, avrei potuto rivedere in altre esistenze l
e persone che amavo.
Se avessi agito in questo modo, per quanto negativa fosse stata l esperienza, no
n avrebbe lasciato in me alcun trauma.
Mentre quella considerazione, piena di drammatica impotenza di fronte alla mia c
ondizione di allora, rimasta intatta fmo al momento del parto, mi aveva accompag
nato in tutti i momenti della vita che mi ricordavano la prigionia.
Era solo la mia considerazione di essere impotente, e di conseguenza incapace di
liberarmi, ad avermi reso davvero prigioniero per migliaia d anni.
Ognuno di noi ha, in qualsiasi momento ed in qualsiasi circostanza, la grande re
sponsabilit di tutte le decisioni prese in quel momento e delle relative consegue
nze che potranno avere su di lui.
Credo che nessuno abbia mai capito davvero il potere che pu avere il nostro pensi
ero.
Niente davvero negativo se noi non lo rendiamo tale.
Tutto potrebbe diventare positivo se noi decidessimo di vederlo tale.
ormai un abitudine collettiva addossare la responsabilit di ci che ci accade sempr
e ad altri e vedere ogni cosa come qualcosa di drammatico.
Chi troverebbe divertente trovare la propria auto sfasciata?
Chi rimarrebbe sereno di fronte alla morte di un parente caro?
Eppure ogni cosa dipende dal punto di vista.
Ed il nostro punto di vista solo una nostra decisione.
Cap. 12 Oltre la morte
Mi guardai intorno; si era fatto buio, nonostante la luna riuscisse ad illuminar
e le vicinanze.
Le nuvole giocavano con il disco illuminato formando stupendi disegni in continu
o movimento.
Era bello stare l, in quel silenzio consolatore.
Pensai che quella notte sarei potuto rimanere l, immobile, per ore ed ore.
Nessuno mi aspettava quella sera e quindi sarei potuto rimanere a dormire in que
l campo, tra alti alberi e granoturco ancora verde, che emanava quell odore cara
tteristico che mi piaceva tanto.
Mi alzai ed andai verso l auto, aprii il portabagagli certo di trovare qualcosa
di utile per la notte.
Trovai infatti una coperta che mia moglie mi aveva incaricato di ritirare dal ne
gozio di pulitura, e che, come mia abitudine, mi ero scordato di portare a casa.
Fu in questo caso una dimenticanza fortunata, perch con la coperta avrei potuto d
ormire sdraiato sul terreno.
Trovai anche due scatole di succhi di frutta ed alcuni cracker.
Esultai di gioia nel sentirli tra le dita, perch l esperienza che avevo appena vi
ssuto mi aveva stremato e sentivo il bisogno di mangiare qualcosa.
Mi sedetti e, mentre mangiavo, tornai alle mie riflessioni.
Continuavo a meravigliarmi di quanto fossero dettagliate le esperienze rivissute
.
Precise e ricche di tutti i particolari visivi ed emotivi, copie esatte dell epi
sodio reale.
Con il corpo ero l, alle otto di sera del 27 luglio 1986, ma lo spirito rimaneva
ancorato al passato. Questo accadeva quando le esperienze che rivivevo erano dol
orose, in quei casi tutto il mio essere rimaneva ancorato all epoca dell esperie
nza stessa.
Avevo formulato due ipotesi nel tentativo di spiegare questo fenomeno: la prima,

che fossi io a ricreare la scena in tutti i suoi aspetti partendo da un ricordo


mentale, la seconda che il ricordo fosse un entit energetica che rimaneva fissat
a non solo nella mente ma anche nel corpo.
La seconda mi sembrava pi accettabile, ma faceva nascere un interrogativo che rim
aneva senza risposta.
I ricordi delle vite precedenti a che corpo si fissavano?
Non capivo come i ricordi di vite, anche lontane nel tempo, riuscivano ad arriva
re ad intensit pari a quelli attuali.
Mentre facevo queste considerazioni mi accorsi che fino allora non mi ero mai ri
cordato niente di ci che avveniva tra una vita e l altra.
Non avevo elementi per capire cosa rimanesse di noi dopo la morte, e cosa accade
sse tra le diverse esistenze.
Era un quesito davvero appassionante e non volli perdere l occasione di cercare
una risposta.
Cercai di concentrarmi per ricordare cosa fosse avvenuto dopo la morte.
Mi sforzai a lungo ma non ricordai nulla a riguardo.
L unico ricordo che affiorava alla mente era ambientato nel 1600 circa, in una c
ittadina vicino York.
Vedevo in modo chiaro le pietre della strada levigate dall usura degli anni e ba
gnate da una leggera pioggia.
Era buio ed una luce che proveniva da una taverna poco lontana dava dei riflessi
sulla strada rendendola fiabesca.
Non era questo l episodio che cercavo, ma volli riviverlo ugualmente.
Stavo camminando verso la taverna quando una carrozza sfrecci rumorosamente sfior
andomi, incurante della mia presenza.
Mi gettai di lato, scivolando sulla strada bagnata e mi ritrovai insozzato di fa
ngo e di sterco di cavallo.
Imprecai verso quegli sciagurati che per poco non mi avevano investito, ma mi re
si conto che era normale comportarsi cos con un vagabondo.
In realt ero un vecchio soldato, ma ormai il mio aspetto non aveva pi niente di er
oico o di cavalleresco.
Ero diventato un poveraccio contro il quale tutti potevano infierire ed approfit
tare.
Infatti la sera prima, mentre dormivo in un pagliaio donna una mi aveva scoperto
e, chiss per quali motim, si era messa ad urlare accusandomi di stregonera.
Mentre mi ralzavo dalla melma cercando di rmettermi in ordine mi rmbombavano ancora
nella mente quelle urla isterche.
Come odiavo quella donna, al solo rcordarla mi sal una rabbia incontenibile.
Avrei voluto strozzarla, imprecai, bestemmiai e le lanciai le peggior maledizioni
e cero questo non serv a calmarmi.
Quella stupida isterca era entrata nella mia vita trascinandomi nella peggiore es
perenza mai vissuta.
Mi ritrovai, infatti, dapprima di fronte ad un intera borgata che mi guardava im
mobile e silenziosa, poi trascinato con forza di fronte alla corte dell inquisiz
ione.
Fu come un sogno, tanto gli avvenimenti si susseguirono velocemente.
Tutto era talmente assurdo che non riuscivo ad immaginare che una persona coscie
nte potesse dare peso alle menzogne e alle allucinazioni di una femmina isterica
.
Mi accusava di stregonera perch, a suo dire, mi aveva visto fare cose strane alle
galline, mentre in realt, cercavo solo di prepararmi un giaciglio per la notte.
In quei momenti ero cero che dopo un po mi sarei svegliato.
Ma non fu cos!
n processo, per quanto infame, era reale, come era reale e concreta la condanna
a more.
Non ci furono dubbi da pare degli inquisitor nel condannarmi a more, tanto che non
vollero nemmeno ascoltarmi.
E cos fui trascinato via per essere giustiziato subito, perch per un vagabondo non
valeva nemmeno la pena di impegnare una cella o di perdere tempo.
Non riuscivo a capire in che modo ero riuscito a scampare da quella situazione s

cabrosa, cero era che ne uscii e volevo impegnare gli ultimi spiccioli che avevo
per festeggiare alla locanda.
Entrai e mi riempii di gioia nel vedere tanta gente che beveva, scherzava, ridev
a e cantava.
Mi avviai deciso verso l oste per ordinare una caraffa di birra.
"Ehi oste!" feci con tono sforzato, consapevole della mia condizione di emargina
to.
Ma nessuno mi aveva degnato di uno sguardo: sembrava che nessuno mi avesse nemme
no visto.
"Mi scusi oste" rivolto all uomo che ormai mi stava di fronte ad un palmo di nas
o.
Ma ancora, la mia richiesta di attenzione, non caus il minimo interesse.
Fu la mia esasperazione a farmi gridare;
"Oste! Vuoi ascoltarmi o no!" mi meramgliai della mia azione. Da tanti anni non
osavo pi alzare la voce, ma ancora di pi mi meramgliai per il fatto che nonostante
avessi urlato, in quella stanza nessuno mi aveva sentito.
Fu allora che cominciai a rendermi conto che gli altri non mi vedevano e quindi
realizzai di essere moro.
Mi ritorn in mente l esecuzione, il boia che con il viso nascosto mi tagli di nett
o la testa con un solo colpo d ascia.
Fu una morte tanto veloce ed indolore che non mi resi nemmeno conto di cosa foss
e successo.
Avevo vagato per circa un ora tra le vie del paese senza rendermi conto della mi
a nuova condizione.
Ma come potevo essere morto se continuavo a fare tutto quello che facevo da vivo
?
Avevo addirittura la sensazione del corpo fisico.
Forse tutto si era svolto troppo velocemente o forse ci vuole un po di tempo pe
r abituarsi alla nuova realt, di certo anche senza il corpo a me sembrava non fos
se cambiato nulla.
L unica cosa che davvero era cambiata era la mia consistenza ovvero la densit del
mio corpo.
Era una mia allucinazione oppure la dimensione dopo morti semplicemente una form
a fisica molto pi sottile di quella da vivo?
Non riuscivo a raccapezzarmi!
Nessuno ti prepara all esperienza da morto, poi un giorno ti capita e non sai co
sa fare!
Cercai disperatamente di ricordare tutto quello che sapevo della condizione dell
a morte.
Mi venne in mente che in certi paesi mi avevano raccontato di spiriti che si agg
iravano in castelli e casolari perch resi anime senza pace da una morte violenta.
I loro familiari fecero fare molte messe nella chiesa del paese per liberare le
anime di quei poveretti ed alla fine il fenomeno cess.
Era davvero quella la mia sorte?
Ma per me chi avrebbe richiesto delle messe?
Non conoscevo nessuno. Ero solo un povero vecchio soldato che da anni ormai vaga
bondava di paese in paese, senza nessuno scopo se non quello di vivere.
La mia ansia crebbe e tomai a cercare di attirare l attenzione delle persone del
la locanda.
II
ricordo svan senza darmi la possibilit di avere altre informazioni sulla rea
lt della morte.
Alzai lo sguardo verso le luci lontane di un piccolo paese e pensai che davvero
meraviglioso esistere.
L ansia che avevo provato poco prima mi aveva scosso, ed il sentirmi ancora in v
ita mi faceva provare un sollievo paragonabile al risveglio dopo un incubo.
Era davvero cos drammatica la morte?
Rimanere soli in una realt che non si conosce, nella speranza e nell attesa di un
a nuova vita.
Ero perplesso!
Forse il ricordo era insufficiente per darmi la giusta visione di quella realt. P

robabilmente quello che avevo provato era il naturale disagio dei primi momenti
dopo la morte.
Non poteva essere sempre cos!
Pensai che dovevo cercare di ricordare qualcosa di pi, ci provai ma fu un tentati
vo vano.
Non riuscivo a ricordare pi niente di quell episodio quindi mi sforzai di trovare
qualche altra informazione nel ricordo di altre morti.
Niente! Non un briciolo di informazione. Non un flash!
Eppure se avevo ricordato decine di vite dovevano esserci almeno altrettante mor
ti!
Lo sforzo mentale doveva avermi affaticato perch cominciai a sentire una gran pes
antezza in ogni parte del corpo.
Non era semplice pesantezza degli arti e dei muscoli ma una vera e propria sensa
zione di paralisi.
Mi sembrava che le parti del mio corpo fossero talmente pesanti che diventava qu
asi impossibile muoverle.
Chiusi gli occhi e mi apparve un altra scena.
Ero disteso su di un letto ad una piazza in una stanza elegantissima. Dal tipo d
i arredamento doveva essere attorno al 1700 circa. Quadri ed arazzi appesi nelle
pareti davano la certezza di essere in una casa di famiglia nobile.
n letto aveva il classico castelletto comune a quell epoca.
Attorno, in una penombra fluttuante creata da piccole candele, c erano sei perso
ne, che in rispettoso silenzio, guardavano verso di me.
Erano tutti addolorati od almeno volevano farlo credere.
Una persona, la pi anziana, ruppe il silenzio;
" il momento di portarlo ma!"
Gli altri annuirono in silenzio. Ed un secondo intervenne:
"Chiss che nell aldil trom finalmente la pace!"
"Non si mai accontentato di niente. Ha sempre reso la vita difficile a tutti. Pa
ce all anima sua!"
Mi consideravano gi morto mentre io ero ancora l.
Non riuscivo muovermi, sentivo il corpo come fosse di pietra, ma tutto il resto
lo percepivo come sempre.
Volevo dire a quelle persone che ero ancora vivo ma ogni tentativo diventava uno
sforzo inutile contro qualcosa di irremombile.
In realt non volevo rendermi conto di essere morto e per questo mi stavo aggrappa
ndo alla vita con ogni mezzo, ma tutto ci non solo non mi era di conforto ma mi s
tava creando dei problemi.
Era come se nel tentativo di muovere gli arti io rimanessi impigliato nella mate
ria con la conseguenza che tutto il mio essere si appesantiva.
Era una sensazione molto negativa, era come se fossi legato ad un m.asso che sta
va affondando in acque profonde ed io con lui scendevo sempre di pi.
Ad un certo punto ebbi la percezione che se avessi continuato nel mio assurdo te
ntativo mi sarei perso irrimediabilmente nella materia.
Fu una percezione che mi salv perch dal momento che smisi di aggrapparmi, al mio c
orpo senza vita, cominciai a sentirmi meglio, ebbi chiara la sensazione della ri
salita.
Tornai al tempo presente riaprendo di scatto gli occhi.
Erano molti gli insegnamenti che potevo trarre da un ricordo apparentemente insi
gnificante.
Avevo capito che non bisogna mai porre resistenza ad un evento, anche se si trat
ta della morte.
Porre resistenza significa fare uno sforzo che si ritorce contro di noi in modo
reale.
Ma la cosa pi sconcertante era rendermi conto che nel tentativo di trattenere il
corpo, tutto il mio essere si era appesantito, ma non nella concezione normale d
i peso, ma di materializzazione.
L appesantimento era dovuto all acquisizione di materia da parte della mia anima
, come se il semplice volermi legare al corpo causasse un aumento di densit.
Probabilmente dopo quello sforzo il mio corpo astrale avr pesato qualche frazione

di grammo in pi.
Capii all improvviso quanto importante fosse l insegnamento cristiano di non dar
e valore alle cose in generale ed al denaro in particolare, infatti se non abban
doniamo nella vita il nostro morboso attaccamento a tutto ci che materiale, andia
mo, nella morte, incontro ad un esperienza terribile.
Inoltre tutto quello che avevo rivissuto mi portava a concludere che i fantasmi
esistono e che tutti i racconti riguardo a loro hanno una base reale.
Un altro tassello importante di conoscenza aveva trovato il suo posto nella mia
mente. Forse tutti questi dati e le opinioni che stavo maturando non sarebbero s
tati condivisi da chi vede la realt dal punto di
vista scientifico, ma io ero certo di essere nel giusto, e non avrei voluto, per
niente al mondo, rinunciare ad una conoscenza che sentivo reale.
Ero certo che se avessi parlato di questo a molte persone che conoscevo mi avreb
bero preso per un folle; ma come avrei potuto entrare nei misteri della vita se
prima non accettavo in modo completo i misteri della morte?
D altro canto tuttora la scienza moderna si ritrova incapace di spiegare molte c
ose ed impotente di fronte a molti fenomeni, solo perch non vuole accettare dei p
ostulati e delle realt che vanno al di l della sua portata.
D altronde la scienza frutto di conoscenze umane e se gli uomini non accettano c
on coraggio le loro realt di esseri immortali, rimarranno limitati e non si potr m
ai costruire una societ nella libert e nella giustizia.
Se si pensa che al termine della vita non ci sia niente, si cercher di arraffare
e di godere il pi possibile, mentre se fossimo consapevoli che noi esistiamo da s
empre, non ci limiteremmo a fare sempre le stesse cose, commettendo sempre i nos
tri soliti errori, ma utilizzeremmo le nostre vite cercando di migliorarci e di
aiutarci a vicenda, per riuscire a cambiare e fare un miglioramento.
Fui certo, in quel momento, che chiunque si fosse accorto della propria immortal
it e dell assurda ripetizione delle proprie azioni per milioni di anni, avrebbe v
isto le cose in modo molto diverso e avrebbe cominciato a muoversi verso scopi m
igliori.
Tornai a sedere e cercai con la mano una scatola di succo di frutta, la trovai e
mentre succhiavo con l aiuto di una cannuccia, ripresi ad osservare ed ad ascol
tare ci che stava vicino a me.
Una leggera brezza muoveva le foglie pi alte degli alberi, creando un sottofondo
musicale che dava risalto alle cicale ed ai grilli che, da incalliti solisti, av
evano intavolato un concertino.
Le ranocchie da lontano davano il loro contributo per non correre il pericolo di
essere escluse.
Sentivo che tutto attorno a me la vita pulsava.
Sarei rimasto ad ascoltare estasiato i rumori della notte per ore ed ore.
Pi li ascoltavo pi mi sembrava di entrare in quel mondo. Quel campo diventava semp
re pi grande, il canto dei grilli diventava assordante, mi sembrava di distinguer
e il rumore della singola foglia che si piegava al vento, delle ali di un pipist
rello che sfrecciavano rapide nell aria.
Ero felice nel sentirmi immerso e sembrava che niente potesse turbarmi fino a ch
e non sentii qualcosa o qualcuno che strisciava ad un metro da me.
Quel rumore mi fece pensare subito ad una vipera e quasi istantaneamente caddi n
el panico pi totale.
Mi avevano detto che le vipere non si trovano pi nelle nostre zone, ma tutte quel
le spiegazioni erano lontane. Io ero l nel buio quasi completo, solo ed in balia
di ogni pericolo.
Tutto ci che mi circondava divenne in un solo attimo pericoloso, tutto l amore ch
e provavo fmo a pochi secondi prima si trasform in terrore.
Mi sentivo paralizzato, sia fisicamente che mentalmente.
Anche i miei sensi erano fuori dal mio controllo, sentivano solo il pericolo.
La mia mente, come impazzita, riusciva solo a creare immagini terrificanti di mo
rsi, di dolore e sofferenza.
Ogni cosa attorno a me diventava sempre pi mostruosa ed abnorme.
Era come se tutto mi fosse nemico, se tutto volesse farmi del male ed io non ave
ssi scampo.

Il terrore crebbe di attimo in attimo fmo al punto che divenne insopportabile, f


u come se, ad un certo punto, fosse troppo grande per contenerlo e considerai ut
ile in questo caso un cambiamento di punto di vista.
Il mio punto di vista schizz a tre metri dal mio corpo, proprio sopra un ramo del
l albero pi vicino.
Di colpo il terrore cess come se fosse solo dentro al mio corpo e quindi, da un p
unto di vista esterno, non potessi pi provarlo.
Avevo assunto un certo distacco, ma inizi un altro fenomeno strano.
Stavo vedendo contemporaneamente tre scene diverse che si sovrapponevano.
Le prime due scene erano ormai normali per me in quei momenti di sdoppiamento de
l punto di vista; ero cosciente di essere seduto per terra e nello stesso tempo
mi vedevo dall alto.
Ma fmo a quel momento non si era mai sovrapposta una terza immagine; volli quind
i porvi attenzione.
In quella terza immagine mi vedevo cam.minare tra campi incredihilmente verdi, l
a luce era molto intensa, quasi accecante, l aria era frizzante e tutto attorno
era calmo.
La mia, per non era un andatura armoniosa e tranquilla, ma un mommento affannoso,
che assomigliava molto pi ad una marcia forzata, sembrava quasi volessi sfuggire
qualcosa o che fossi talmente preoccupato da essere completamente assorto nei m
iei pensieri.
Un po per curiosit, un po per caso posi la mia attenzione verso i sentimenti di
quel mio io alter ego che vagava tra i campi senza pace.
Come per incanto il mio punto di insta si spost ed io indi i campi e filari di fa
ggi in modo diverso.
Da quel punto di vista la realt era grigia, non vedevo la luce in modo positivo m
a anzi la fuggivo perch mi dava fastidio agli occhi, i campi e gli alberi non mi
piacevano affatto, anzi li odiavo come odiavo tutto ci che mi circondava.
Era incredibile come le stesse cose da positive fossero diventate negative.
n mio cuore era gonfio di rabbia e questa trovava sfogo nel disprezzare tutto. N
ulla andava bene e tutto sembrava essere contro di me. E con questo animo vagavo
tra quei campi con l intenzione di rendere ogni mio passo un offesa al mondo.
Era come se volessi che ogni mia azione risultasse provocatoria.
Ma provocatoria verso chi? O verso cosa?
A quella domanda ebbi come risposta la sensazione di essere moro da molto tempo o
rmai, e che il mio atteggiamento doveva essere provocatorio contro Dio.
La mia era una condizione di profondo disagio. Non mi sentivo bene di fronte al
mondo n tantomeno nei confronti di me stesso.
In realt Dio non si era mai rivelato, fino a quel momento nessuno era intervenuto
nei miei confronti, da quando ero moro.
Ma il silenzio e la mancanza di rapporti con i miei simili avevano reso quella c
ondizione di pace, l inferno pi terribile.
Non riuscivo a sopporare pi niente e quella situazione mi spingeva a camminare con
tinuamente con foga crescente.
Ma fino a quando avrei potuto continuare?
Mi resi conto che lo stesso atteggiamento nevrotico lo assumevo anche da vivo, c
on l unica differenza che da vivo il corpo poneva un limite fisico a quel contin
uo vagare e, quindi, si intercalavano periodi di incessante attivit a periodi di
riposo, spesso accompagnati da depressione.
Da moro, invece, avrei potuto vagare in etemo, con tutta la mia rabbia ed il mio
disprezzo.
Essendo moro la mia realt nevrotica era solo pi evidente perch non sovrapposta alle
regole fisiche e materiali del corpo.
Tanto evidente che l impressione che potevo dare era proprio quella di un dannat
o.
Solo una nuova reincarnazione poteva porre una fine temporanea a quel vagare, ma
ero certo che poi avrei ripreso nello stesso modo una volta finita quella breve
esperienza.
Provai una grande pena per me e per la mia condizione e decisi di abbandonare qu
ell immagine e ripresi, nuovamente, il punto di vista sopra il ramo dell albero.

Tornai a rivedermi dall alto, ma questo non mise sollievo alla pena che continua
vo a provare; anzi cominciarono a scorrermi davanti decine e decine di immagini
di vite diverse, che avevano in comune le stesse nevrosi e mi facevano vedere ne
gative cose che in realt erano meravigliose e vivere in modo pietoso.
Ma cosa mi aveva portato a questa condizione?
Quale traumatica esperienza aveva creato questa nevrosi cronica?
Inizi a prendere forma, davanti a me, un altra immagine.
Ero a cavallo tra altri cavalieri che dal loro abbigliamento molto grezzo doveva
no essere sicuramente dei barbari del trecento dopo Cristo.
Le loro selle erano fatte di pelli lavorate alla meno peggio ed anche i vestiti,
agghindati di chincagliere, lasciavano molto a desiderare.
I capelli trasandati e le barbe lunghe facevano rsaltare nelle facce di quei guer
rer la ferocia pi totale.
Non era la loro potenza fisica a far paura ma il loro sguardo che aveva poco d u
mano. Sembrava che appartenessero ad un mondo dove la piet non esisteva.
In loro ed in me esisteva solo la violenza come unico scopo di vita. Non era sol
o il voler uccidere per non essere uccisi, ma era anche il voler usare violenza
per sentirsi grandi ed invincibili.
Usare violenza per divertirsi, per sentirsi importanti, perch in quel popolo si c
onosceva solo quel mezzo per comunicare.
Era uno stile ed un modo di vivere che in qul perodo ci aveva portato ad essere te
muti da tutti e noi rngraziavamo il nostro capo per averci portato ad un successo
tanto grande.
Eravamo un popolo rbelle ed indisciplinato ai margini delVimpero.
Un popolo che, da insignificante e sconosciuto, si era trasformato in pochi anni
in uno tra i pi famosi e temuti. La nostra fama e quella del nostro capo ci prec
edeva di molte miglia, tanto che quando ci avmcinavamo ad una citt tutti fuggivan
o lasciando il deserto.
Nell episodio, che stavo vedendo, stavamo cavalcando in una ricca zona dell impe
ro rom.ano del nord e stavamo per attaccare un imporante citt di nome Aquileia.
C eravamo avvicinati con andatura sostenuta per conquistare la citt di sorpresa.
Riuscimmo quasi nell intento perch non tutti, gli abitanti fecero a tempo a fuggi
re.
Ci lanciammo all attacco tutti, quasi all unisono, con urli che laceravano l ari
a.
La citt era hellissima ed il sole alto e splendente la rendeva quasi fiabesca.
I templi con le loro alte colonne bianche al sole erano meramgliosi ed imponenti
, le case patrizie rendevano la citt elegante e varia. Aquileia sembrava un gioie
llo che emergeva tra il verde dei boschi e dei campi coltivati.
n suo popolo era di una spiccata eleganza, le tuniche bianche e drappeggiate in
varie fogge davano ai romani un segno d inconfondibile superiorit, sia in termini
di civilt che di gusto.
Quel mattino noi affondammo l attacco come si affondava un coltello nel corpo di
un agnellino. Incontrammo una resistenza minima, quasi inconsistente ed entramm
o nella citt distruggendo tutto quello che incontravamo nel nostro cammino.
Io iniziai, con la spada sguainata, a dare colpi a destra ed a manca con l entus
iasmo di chi d sfogo alla sua grande passione che, a quel tempo, era distruggere.
Avanzai tra case e ville finch mi addentrai in una viuzza che probabilmente dovev
a poriare alla zona popolare.
La viuzza si restringeva quasi a chiudersi in un angolo.
Di fronte a me c era un romano sulla mezza et che cercava di fuggire con degli og
getti fra le braccia.
Quando mi inde mi fiss negli occhi per un attimo, ma gli bast per capire che l avr
ei sicuramente ucciso.
Si volt per scappare, ma senza molta convinzione, perch si rendeva conto che con i
l cavallo avrei potuto raggiungerlo facilmente.
Non gli rimase che rifugiarsi su un angolo sperando d essere pi protetto.
Mi scagliai su di lui e non esitai un attimo nel colpirlo con la mia spada nella
sua spalla destra.
Emise un urlo di dolore pieno di disperazione e poi si accasci lentamente.

n suo sguardo mi colpi profondamente, tanto che sentii, come una fitta nel mio p
etto.
Ma fu solo un attimo, riuscii a riprendermi subito gridando verso di lui, "Ora p
agherete tutto quello che avete fatto al mio popolo".
Anche se sapevo che non era la vendetta che mi spingeva ad uccidere, urlai con f
oga per convincermi di essere nel giusto.
Stavo per infierire su di lui portando l ultimo colpo quando un suo concittadino
, armato solo di bastone e di tanto coraggio, mi colp ripetutamente sulla gamba d
estra.
Per me rappresentava il classico moscerino contro il toro, ma era anche una sfid
a che rendeva ancora pi divertente quel saccheggio che stavamo compiendo.
Mi voltai verso il nuovo bersaglio vivente e con un fendente gli staccai di nett
o la testa.
Corsi quindi verso il centro dell abitato per raggiungere i miei compagni.
Molte case cominciavano a prendere fuoco ed i miei compagni sempre pi esaltati co
rrevano da tutte le parti distruggendo ed uccidendo.
Una piccola folla di romani era stata radunata a forza al centro di una piccola
piazza proprio di fronte al tempio.
Era ormai una bolgia tra gli urli delle mttime e dei miei compagni che si stavan
o divertendo a pi non posso.
C era chi si limitava a distruggere, chi uccideva e chi violentava le donne.
Nella confusione un grido di un mio compagno attir la mia attenzione;
"I romani stanno fuggendo con le navi dal porto. Bisogna fermarli"
"Ehi tu! Vai con lui e bloccali a valle. " Tuon un altro.
Si form subito un gruppo con il compito di fermare i pochi che erano riusciti, a
fuggire.
Mi fermai davanti al gruppetto di romani, tra loro una donna cercava di divincol
arsi da un mio compagno.
Io la guardavo immobile, senza espressione, mentre incrociai il suo sguardo che
implorava aiuto.
Fu come essere colpito da una seconda lancia.
Mentre il mio compagno con uno strappo ai vestiti la denudava in un sol colpo e
gli si avventava addosso, io mi sentii come se le forze mi venissero meno.
strnsi le brglie e diressi il cavallo al passo, verso il poro.
Percorsi lentamente il tratto lungo l argine del fiume, abilmente attrezzato per
l attracco delle navi.
La citt andava ormai completamente a fuoco ed ogni angolo era testimone della nos
tra violenza, corpi mutilati e straziati ovunque, segni di distruzione in ogni c
ostruzione.
Sembrava per che la distruzione della citt avesse trovato un eco anche dentro di m
e.
Ero ruscito a far tacere il mio rmorso ed il mio senso di colpa quando avevo uccis
o le mie prme mttime, ma non ci ruscii allo sguardo di quella donna.
Non ruscivo a capire come potevo essere mttima di simili sentimenti, sicuramente
sconosciti ai miei compagni.
Come potevo provare piet per i nemici del mio popolo?
Nessuno mi aveva insegnato e nessuno mi aveva mai dimostrato di provare sentimen
ti simili.
Mentre avanzavo tra le rovine, pensai che quello che stavamo facendo era sbaglia
to, ma non capii perch.
Era quello il modo di vivere che conoscevo e non ruscivo ad immaginarmene un altr
o.
Le mie sensazioni venivano dal profondo, da una pare sconosciuta di me e sicurame
nte in contrasto con la cultura e la conoscenza di quella vita.
Quella pare di me mi diceva che sarei stato punito per gli orrendi saccheggi che
stavo compiendo.
Cap. 13 La galassia
Le immagini sfumarono ed io mi ritrovai ad osservare da sopra il ramo. Provavo u
n senso di liberazione, di profondo sollievo, come mai prima d allora.
Mi sentivo pi libero, il senso di colpa aveva lasciato il posto a percezioni di g

randi profondit.
Come se dentro di me ci fosse tutto un universo di emozioni e di sensazioni, che
era diventato un po pi accessibile ora che avevo accettato un altra parte di me
.
Quella percezione era troppo affascinante e ne fui catturato. Non era la prima v
olta che la provavo, ma questa volta era pi chiara.
Era come se, con il semplice ricordo, quelle esperienze negative si cancellasser
o e quel mondo sconosciuto dentro di me si aprisse in tutta la sua grandezza.
Anni prima si era rivelato con rapidi flash, simili a fulmini che entravano nell
a mia mente, ora appariva come un immagine, per quanto mutevole al variare dell
attenzione.
Era come se fosse impossibile concentrarsi su qualcosa in particolare, se ci pro
vavo ottenevo solo il risultato di cambiare l immagine.
Quello che vedevo assomigliava ad un universo costellato di galassie di ogni tip
o e forma, in continuo mommento.
Quello che provavo contemplando quell immagine era un grande amore ve
rso il tutto ed una grande quiete e calma.
Era come se io potessi contenere una m.assa di amore inimmaginabile, la sensazio
ne era quella di amare contemporaneamente un numero infinito di cose.
Lo definii amore perch non riuscivo a trovare altri termini che potessero esprmere
la sensazione che provavo, ma in realt era molto di pi.
Normalmente noi definiamo amore un sentimento positivo dell anima verso persone
od oggetti che ne diventano beneficiar, ma in quell occasione era come se la mia
anima forse rvolta a tutto in generale, senza mai concentrarmi in un particolare,
come la luce di una lampadina. Lei sa solo di illuminare e non si preoccupa di
ci
che ricever la sua luce, e contemporaneamente, grazie a lei, mi
gliaia di oggetti e di immagini diventano visibili.
Era un emozione incredibile e di una vastit inimmaginabile.
Rimasi un po in quell estasi finch sentii il bisogno di capire cosa stavo rivive
ndo o in che fenomeno fossi entrato.
Forse stavo ammirando la volta celeste da una posizione particolare.
Forse il mommento delle galassie in realt era il mommento di incredibile velocit d
i un astronave.
Avevo ormai accettato completamente l idea di avere vissuto una vita in un astro
nave.
Per sapere se l episodio che stavo rivivendo era quello, dovevo cercare nel rico
rdo qualche particolare o qualche mio simile.
Mi sforzai di trovare qualcosa che potesse aiutarmi, ma rimasi esterrefatto nel
rendermi che io ero solo in mezzo alle stelle.
Non era possibile!
Doveva per forza esserci una spiegazione razionale!
Forse avevo fatto delle missioni esteme con la semplice tuta, attrezzata di picc
oli propulsori direzionali.
Non poteva che essere cosi! Anche le emozioni che avrei provato in quell occasio
ne sarebbero state pi che giustificate.
Chi non proverebbe grandi emozioni, solo nello spazio?
Pensai che se avessi avuto pazienza, sicuramente, nell episodio avrei ricordato
qualcosa che avrebbe chiarito tutto.
Ma ci che rammentavo mi creava ancora pi confusione.
Innanzitutto non avevo la sensazione corporea.
Se fossi stato in uno scafandro o in una tuta, per quanto morbida potesse essere
stata, avrei di certo avuto qualche sensazione tattile o comunque avrei mantenu
to la sensazione del corpo fisico.
<Forse sono morto!> pensai
<Probabilmente ci sono fasi diverse nella morte> e cominciai a strutturare tutta
una serie di regole di quella dimensione che potessero ricondurre l esperienza
che stavo vivendo nei limiti dello spiegabile.
<Forse hanno ragione i cattolici nelVaffermare che esiste il paradiso, l inferno
ed ilpurgatoro>.

<Forse il ricordo del prato verde dove camminavo si rifaceva alla mia esperienza
nel purgatorio ed ora percepisco la realt del paradiso.> continuai, ma le conget
ture che stavo costruendo evidenziavano tutta una serie di incongruenze.
Se quello era il paradiso, come potevo essere poi tornato nella terra con tutte
quelle nevrosi?
<Forse non un ricordo, ma un immagine di qualcosa che deve ancora avvenire!>
"Che io stia vedendo il futuro?"
L assurdit dei miei ragionamenti aveva il solo risultato di creare confusione e d
i far svanire l immagine.
Appena me ne accorsi, abbandoni ogni riflessione e tornai a vivere quella stupen
da immagine.
Osservai che i mommenti non potevano essere dovuti all effetto ottico dovuto al
mio spostamento, ma erano mommenti reali tra le galassie.
Bastavano semplici conoscenze di astronomia per capire che un secondo avrebbe do
mito corrispondere a milioni di anni.
La velocit apparente di mommento delle galassie era quasi paragonabile a quella d
elle nuvole sospinte dal vento primaverile.
Una valanga di ulteriori domande mi affollava la mente;
"Come posso vedere il mommento delle galassie cos rapido?"
Ero sempre pi confuso e sconcertato e, per combattere la sensazione di panico che
stava per impadronirsi di me, cominciai a passare in rassegna tutte le possibil
i spiegazioni;
"Forse sto ricordando in sogno alcuni effetti ottici che assomigliano allo spost
amento di galassie, oppure non nemmeno un ricordo ma pura creazione della mia me
nte"
Per quanto cercassi di spiegare quello che vedevo, la paura dell ignoto diventav
a sempre pi grande, finch una particolare galassia attir la mia attenzione.
Era una galassia molto lontana a forma di spirale, con la quale sentivo una p
articolare affinit^
Cominciai a provare un singolare senso di amore, che non riuscivo a comprendere,
verso quell ammasso di stelle.
Avvertivo un amore spassionato, tanto che mi sembrava un fiore bellissimo.
Mi concentrai per un istante in quella nuova sensazione, che aveva ormai cancell
ato ogni paura. Era una sensazione incredibilmente pura da ogni remora culturale
o di atteggiamento, assomigliava ad un crescendo energetico.
Era come se davvero provassi un sentimento di amore verso la galassia.
Mi destai improvvisamente da quelle immagini, aprendo gli occhi.
Mi ritrovai nel campo, ansimante e con i battiti cardiaci molto accelerati.
Poich mi trovavo inginocchiato, mi resi conto che quello che avevo visto non pote
va essere un normale sogno. Infatti se avessi dormito non avrei potuto mantenere
quella posizione.
Quella considerazione mi fece acuire tutte le perplessit e le domande irrisolte.
Avevo la certezza che non era un sogno ma uno dei tanti ricordi, talmente lontan
o dai canoni delle esperienze ordinarie, che non riuscivo a raccapezzarmi.
Non era un esperienza che poteva essere spiegata razionalmente e quindi comincia
i a cercare intensamente una sensazione che desse un senso a tutto quello che av
evo provato.
Tutto quello che riuscivo a sentire ed a provare era solo la convinzione di esse
re grande.
Era una bellissima sensazione che per scacciai perch mi sembrava di peccare di pre
sunzione.
Alla fine mi resi conto che non avevo scelta, dovevo immergermi nuovamente in qu
ella immagine per quanto incredibile ed ignota.
Mi bast richiudere gli occhi per ritrovarmi nell immensit dello spazio, deciso, st
avolta, di andare fmo alla fine qualunque cosa avvenisse.
La scena per era diversa perch diversa risultava la direzione dell
osservazione.
C era, nel nuovo campo visivo, una galassia che assomigliava molto ad una nuvola
senza forma, la luce delle stelle era offuscata da una specie di strato gassoso
che delimitava in modo uniforme tutta la galassia.

L irregolarit della forma, attirava la mia attenzione in modo accentuato, tanto c


he concentrai l attenzione su di essa.
Quello che successe mi lasci impietrito.
L azione di osservarla fece scostare le galassie che stavano davanti.
Non potevo crederci. Tutto ci era inammissibile!
Stavo sicuramente sognando, non c erano davvero altre spiegazioni.
Insistetti nella mia osservazione ed avvenne un altro fatto incredibile. La gala
ssia si stava avvicinando.
Pi insistevo nell osservazione pi la galassia si avvicinava.
Pensai che, se abbandonavo l attenzione, tutto sarebbe tornato a posto.
Ma non fu cos!
Avevo modificato l assetto e l ordine delle galassie in modo stabile.
Non capii perch cominciai a preoccuparmi di rimettere tutto in ordine, ma fu pi fo
rte di me.
Era come se non avessi l autorizzazione di mutare gli equilibri stabiliti.
Cominciai a prodigarmi in inutili sforzi, che non avevano nessun effetto.
Mi sentivo come se, con la forza della mente, volessi, davanti al televisore, ca
mbiare canale senza telecomando.
All improvmso pensai semplicemente all immagine dell universo prima che avveniss
e lo spostamento e d incanto tutto torn come prm.a.
Capii che doveva essere cos, senza preoccuparmi di come doveva avvenire, un po c
ome fa un manager nel prendere una decisione. Decide senza fare il minimo sforzo
di organizzare o di pensare al come si dovr fare, perch sa che ci sar qualche altr
o a farlo.
Sembrava quasi che non esistessero pi le leggi fisiche dell azione, come ero abit
uato a compierla, infatti la semplice intenzione bastava per raggiungere il risu
ltato.
Ogni sforzo, non solo non aveva nessun effetto, ma anzi risultava solo nocivo.
Creava, cio solo confusione che rendeva pi difficile raggiungere lo scopo.
Infatti sforzi ripetuti davano una sensazione di impotenza che rendeva pi complic
ato il semplice volere che le cose avvenissero.
Questa scoperta mi entusiasm. Cominciai a fare piccoli spostamenti con l entusias
mo di un bambino che scopre un nuovo gioco.
Dopo un po rimisi tutto in ordine e tomai alla mia osservazione generale.
Avevo ormai rinunciato a dare o cercare spiegazioni perch quell esperienza andava
troppo oltre ogni pensiero razionale, e mi ero quasi rassegnato ad accettare in
modo passivo ogni cosa quando cominciai a provare una nuova ed incredibile espe
rienza.
Cominciavano a fiuire contemporaneamente un numero impressionante di immagini; c
ampi in fiore, paesaggi bellissimi, piante di forme mai viste, deserti sconfinat
i di color sgargianti, montagne brllanti e luci accecanti.
Era come se si fosse rotto un congegno che mi permetteva di analizzare un ricord
o alla volta, ed ora ttitto affluiva con violenza come l acqua al crollo della d
iga che la contiene.
Ma questo non mi spavent ne mi diede una sensazione negativa, anzi sembrava fosse
una condizione d essere che conoscevo molto bene.
Nonostante le immagini fossero numerosissime, riuscivo comunque a vederle. Sembr
ava che la mia mente potesse sintonizzarsi contemporaneamente su pi canali e vede
rli come in una sala regia televisiva.
Scelsi una immagine che mi preoccupava. Era l immagine di un pianeta molto simil
e alla luna, cosparso di crateri diversi ma tutti pi o meno circolari. I color del
la roccia erano composti di diverse sfumature tendenti al rosso, mentre nel suo
assieme il pianeta assumeva una colorazione giallo ocra, forse domita all atmosf
era.
Nel vederlo si impadron di me una crescente trstezza.
Ero molto addolorato a causa di quel pianeta, mi chiesi perch, e la rsposta fu tal
mente assurda che la sentii come una botta in testa.
Stava morendo!
Tomai a raprre gli occhi ancora pi sconcertato.
"Come posso provare un dolore cos grande per un pianeta che muore?" ed ancora mi

chiesi;
"Come pu morre un pianeta ?"
Pensai che forse in quel pianeta doveva trovarsi qualche essere a me caro ed era
lui che stava morendo.
L unica spiegazione che ruscivo a darmi era che avevo identificato il luogo con i
l vero motivo del dolore.
Ma mentre formulavo questa ipotesi, provavo netta la sensazione, che in quel pia
neta non c era nessun essere vivente, almeno come lo intendevo io.
Fu quasi istintivo allungare una mano e stringere un mazzo di erba fresca per se
ntirmi ancorato al ventesimo secolo ed ancora vivo.
La sensazione tattile della mano a contatto con l erba fresca ed umida mi diede
un profondo sollievo ma non risolse la situazione.
Quella pausa per mi rinvigor e mi diede il coraggio di affrontare di nuovo quelle
immagini.
Richiusi gli occhi e ricaddi nuovamente in quel dolore acutissimo.
Stavo davvero soffrendo per la perdita di una persona cara!
Mi venne in mente che in tutte le occasioni in cui avevo provato un dolore simil
e esso era seguito da un oppressione al torace. Cercai quindi di localizzare que
sto dolore.
Fu la mia, quasi una sfida, dato che non mi ricordavo sensazioni fisiche.
La risposta per fu altrettanto sconcertante quanto tutto quel ricordo.
"Hpianeta era ai margini!"
La risposta aveva tutte le caratteristiche di una informazione sicura.
Era come se mi fossi chiesto dove si trovava Parigi e mi fossi risposto che si t
rovava in Francia.
Volli mettere pi a fuoco la risposta ottenuta come si ingrandisce un particolare
grafico con il computer.
E, nonostante ponessi resistenza a quanto venivo a scoprire, quel pianeta si tro
vava al margine sinistro del mio tallone.
Era parte di me.
Riaprii gli occhi per scacciare ogni traccia di quelle immagini.
Quel gioco stava diventando sempre pi pericoloso ma altrettanto inevitabile.
Non si trattava solo di rispettare una mia decisione ma di convivere con un conf
litto sempre pi grande.
Da una parte avrei voluto chiudere quell esperienza con un qualsiasi pretesto, f
osse esso reale od inventato, e dall altra avvertivo la convinzione ed il deside
rio di continuare.
Ero attirato da quell esperienza in un modo altrettanto grande quanto la paura d
i diventare pazzo.
Mentre prendevo coscienza di questo conflitto una voce lontana riecheggiava nell
a mia mente come un eco che invece di attenuarsi aumentava di intensit;
"Sono un grande.."
Era la medesima considerazione che pochi minuti prima avevo scacciato con forza
dalla mia mente ed ora tornava con rinnovata energia.
Ebbi la sensazione che la frase avesse un seguito che non avevo il coraggio di a
ccettare.
Iniziai a seguire il ritmo di quella voce come il giocatore di basket segue e ma
ntiene il ritmo della palla.
"Sono un grande ..., sono un grande ...."
Finch esplose nella mia mente ; "... ESSERE"
Quando la frase trov la sua parte mancante, la voce si spense e fui pervaso dalla
sensazione di aver dato la risposta ad ogni domanda, mentre razionalmente non m
i sembrava di aver spiegato un bel niente.
Tornai a chiudere gli occhi nella speranza che questa nuova sensazione riuscisse
in qualche modo a chiarire quei ricordi.
Sembrava non fosse cambiato nulla e, quasi per caso, volli riprovare con la tecn
ica della ripetizione della frase che avevo appena ottenuto;
"Sono un grande essere. Sono un grande essere."
Ripetendo semplicemente la frase le im.m.agini attorno a me si facevano pi vive e
cominciai a percepire anche il mio corpo, ma non come si abituati ad intendere

la sensazione del corpo, ma piuttosto come se io fossi stato una nebbia che avvo
lge citt e foreste.
Mentre ripetevo mentalmente la frase, questa sensazione si fece pi reale finch mi
parve di non poter pi tenere nascosta la verit.
Ero la galassia!!
Fu come un colpo mortale per quella parte di raziocinio, di ventesimo secolo, ch
e ancora era riuscita a sopravvivere, dopo le mie svariate esperienze.
Ma contemporaneamente fu un grande sollievo dare il giusto riconoscimento a ques
ta verit.
Riaprii gli occhi tornando alla realt umana, con un bagaglio di conoscenza molto
pi vasto.
Ora tutte le domande ed i dubbi svanirono.
Ero davvero un essere nello spazio, dove il tempo e lo spazio avevano un senso c
ompletamente diverso dalla realt umana.
Ma la cosa pi incredibile era poter pensare che la galassia sente, vive ed ama co
me e forse pi degli esseri umani.
Rivedevo ora con occhi diversi tutto quello che mi era successo fmo a quel momen
to.
Il dolore per il pianeta morente aveva un senso completamente diverso.
Quell essere che abitava il pianeta come io abitavo in quel momento il mio corpo
stava morendo stava cio abbandonando la consapevolezza di essere il pianeta.
Ma una nuova domanda si form involontariamente nella mia mente;
"Si pu vivere in un ammasso materiale?" ed ancora
"Quanto grande pu essere un essere vivente?"
Mi guardai attorno ed osservai con attenzione il paesaggio che si estendeva tra
campagne aperte nella semioscurit di quella notte estiva.
" davvero possibile che tutto attorno a noi possa essere vivente?"
Guardai gli alberi, le sagome appena distinguibili dei cespugli ed il paese in l
ontananza.
Ancora inginocchiato abbassi le mani fino a toccare la terra ed affondai le dita
nell humus umido e soffice.
" davvero possibile che tutti noi viviamo sopra un essere vivente che prova le no
stre stesse emozioni ed i nostri stessi sentimenti?"
Cominciai ad immaginare come il pianeta terra potesse sentirci e che importanza
potesse avere essere a conoscenza di questa incredibile realt.
Le proporzioni non dovevano certo permettere al pianeta di essere consapevole de
lle nostre vite, come noi esseri umani non riusciamo ad essere consapevoli delle
vite dei batteri che abitano in noi.
Ma allora, come era possibile che io galassia fossi consapevole della vita di un
pianeta che faceva parte di me?
Nuovi dubbi e nuove domande iniziavano ad infastidirmi.
Accettavo ormai come certa la possibilit di osservare le galassie circostanti ma
non riuscivo a capire in che modo potevo visualizzare le miriadi di realt che fac
evano parte di me seppur ad una grandezza infinitesimale.
Era come se un essere umano riuscisse a vedere e percepire la realt di una singol
a cellula e ne soffrisse perch essa stava morendo.
Ero incuriosito da quello strano meccanismo di monitoraggio che possedevo quando
spostavo la percezione nella realt della galassia.
Mi rituffai quindi in quella lontana esistenza chiudendo gli occhi.
Tomai a percepire le miradi di immagini e di sfaccettature con occhi diversi.
Mi resi conto che erano immagini immediate, cio le vedevo nel momento stesso in c
ui stavano accadendo.
Erano realt molto diverse, sia per forma, sia per le relazioni temporali.
Vedevo deserti statici e situazioni inventi che mutavano con velocit vorticosa.
Erano mondi visibili e altr appena intuibili.
Ad esempio un essere vivente era associato ad un onda sonora.
Oppure vi erano esser viventi di pura luce.
Io ero consapevole di tutto questo, ma non ruscivo a padroneggiare il meccanismo
che mi permetteva di esserlo.
Mi sforzai per venirne a capo ma stavo per abbandonare rassegnato, quando mi ven

ne in mente che in realt emergevano fino al mio stato di consapevolezza i miliard


i di forme pensiero appartenenti a tutti gli esser che mi abitavano.
Era un po come leggere nel pensiero di altri esseri e questo avveniva in forma
naturale perch non avevo ancora compreso che erano realt separate, considerandole
parte di me.
Io amavo ognuno di loro perch sentivo che erano parte di me.
E questo amore, questo speciale rapporto di affinit, mi permetteva di esercitare
un abilit che andava oltre ogni immaginahile realt.
Potevo conoscere la vita di ogni essere vivente e sapere la storia di ogni parte
della galassia e questo mi dava una sensazione di saggezza immensa.
"Ma come potevo, partendo da livelli di consapevolezza propri di un essere cos gr
andioso, scendere fino a quelli infimi di un essere umano?"
Desideravo ardentemente capire cosa mi avesse spinto a passare tra realt cos diver
se.
Mentre rimanevo immobile cominciai a percepire una nuova ma non sconosciuta sens
azione: la noia.
Era una sensazione smisurata, come ogni moto dell animo che provavo in quella ci
rcostanza.
Nel momento in cui mi concentrai su di essa, mi resi conto che ero l da moltissim
o tempo, forse pi di un miliardo di anni terrestri.
In tutto quel tempo avevo visto talmente tante cose che ora nulla mi poteva anco
ra stupire o meramgliare.
La mia condizione cominci ad essere pi chiara: ero davvero stanco di rimanere in q
uella realt, per quanto vantaggiosa potesse sembrare, e cominciavo ad invidiare g
li esseri con vite corte ma piene di impreinsU, ricche di sofferenze e di gioie.
Per millenni avevo vissuto, indirettamente, vite zeppe di avvenimenti di ogni ti
po ed ora avrei accettato la vita pi disgraziata pur di non continuare a vivere n
ella noia.
Qualsiasi dolore o sofferenza pur di non rimanere l.
Avevo ormai preso una decisione e non sarei pi tornato sui miei passi.
Riaprii gli occhi e capii che era stata la decisione che aveva segnato in modo d
efinitivo tutta la mia storia di essere consapevole.
Dal momento in cui presi quella decisione, avevo tracciato una strada di centina
ia di vite fino a quel momento, in quel campo di granoturco.
Avevo vissuto nell astronave in quel popolo avanzato ma tanto simile a noi, avev
o percorso decine e decine di vite da guerriero ed ero rimasto sepolto vivo in u
na piramide egizia.
Avevo compiuto mille gesta, dalle pi eroiche alle pi umili, ma mai fmo, a quel mom
ento mi ero ricordato dei segreti di cui ero stato testimone.
Mai in tutte le mie esistenze, successive a quella della galassia, ero arrivato
ad una consapevolezza simile, eppure un immensa conoscenza ed un immensa saggezz
a erano nascoste in un semplice ricordo.
Quale profondit siamo noi esseri consapevoli, ed a quali astuti inganni ricorriam
o per trascorrere i nostri millenni!
Avevo deciso di essere coinvolto in misere vite e, per rendere il gioco pi divert
ente, avevo dimenticato completamente chi ero e da dove venivo.
Mi venne da sorridere al pensiero di tutte le volte in cui mi ero lamentato dell
a mia condizione e scossi la testa sconsolato nel pensare che ora dovevo lottare
con tutte le mie forze e le mie energie per riconquistare una consapevolezza ch
e avevo sciupato in modo davvero stupido.
Mi consolai pensando che, probabilmente, bisogna passare attraverso tutte le esp
erienze fmo a toccare il fondo prima di poter risalire.
"Ma risalire verso dove?" mi chiesi con rinnovata curiosit. Ma ormai la stanchezz
a si era impadronita del corpo ed io ebbi appena il tempo di aggiustarmi alla me
no peggio la coperta prima di crollare in un sonno profondo e tranquillo.
Cap. 14 L incidente
Stavo sfrecciando con la mia auto attraverso stradine che si insinuavano contort
e nella verde campagna.
Era un mattino d estate particolarmente limpido.
Il giorno prima e per tutta la notte si era abbattuto su tutto il circondario un

violentissimo temporale che aveva pulito e rinfrescato l aria, tanto che si per
cepiva quasi una sensazione di effervescenza.
Il cielo limpido dava alla luce del sole una forza accecante, quasi eccezionale
per quell ora del mattino. Erano le nove ma il bagliore sembrava possedere l int
ensit dello zenit.
Mi stavo avvicinando ad un semaforo verde e accelerai per timore che cambiasse c
olore.
Ero gi in ritardo al mio appuntamento e volevo fare il possibile per non perdere
altro tempo.
Quando per mi trovai proprio sotto alla colonna del semaforo mi accorsi di avere
compiuto un grande, gravissimo errore.
Il semaforo era completamente spento, forse a causa delle forti piogge della not
te, e l impressione che fosse stato verde era dovuta al forte riflesso del sole,
che data la sua altezza, aveva illuminato solo il vetro verde.
Il panico esplose in una frazione di secondo!
La situazione era molto grave; l incrocio non mi permetteva di vedere se nell al
tro verso stessero giungendo altre macchine, ed io avevo ormai raggiunto una vel
ocit ed una posizione tali, che non mi avrebbero permesso di frenare efficacement
e.
Fu il mio corpo a decidere, quasi per istinto, di reagire con una ulteriore acce
lerata. In quella situazione era la cosa pi saggia che si potesse fare, vista l i
mpossibilit di frenare non mi restava che liberare l incrocio pi velocemente che p
otevo.
La mia mente non ebbe il tempo di aggiungere nessuna considerazione o pensiero:
un boato spense tutto attorno a me.
Persi la consapevolezza per molto tempo finch cominciai a udire delle voci molto
distanti.
Queste voci si fecero pi vicine finch riuscii a capire che attorno a me c erano de
lle persone che stavano estraendomi dai rottami della macchina.
" ancora vivo." disse uno.
" incredibile come si sia salvato, perch la parte del conducente completamente dis
trutta".
"Se avesse avuto la cintura di sicurezza non l avrebbe scampata.".
"Appoggiatelo piano".
"Si, cos va bene!".
Stavo per aprire lentamente gli occhi quando tutto si spense nuovamente.
Quando ripresi conoscenza, mi ritrovai in un letto d ospedale.
Era ormai pomeriggio ed erano accorsi mio fratello e mia madre.
Quando riaprii gli occhi ci misi molto per capire dove mi trovavo e cosa fosse s
uccesso, ed appena ci riuscii la prima domanda che feci a mio fratello fu;
"Com ridotta la macchina?".
"Non lo so, non sono ancora andato a vedere. Ma tu come ti senti?" Fece lui, vis
ibilmente preoccupato.
"Mi sembra bene, a parte i dolori".
Ma la domanda di mio fratello mi aveva riportato alla realt, non conoscevo la sit
uazione del mio corpo, che poteva aver subito qualsiasi tipo di lesione.
Cominciai per prima cosa col muovere le dita del piede destro per verificare se
avevo paralisi.
Ci riuscii e con sollievo passai alle braccia.
Verificai cos che la sensibilit di tutti gli arti era ottima, ma che il pi piccolo
movimento del tronco mi causava dolori incredibili in tutta la schiena. Quindi c
hiesi;
"I dottori cosa hanno detto?".
"Hanno trovato parecchie ossa rotte ma tutto sommato poteva andare peggio".
"Che ossa?".
"Due costole .... la scapola .... la clavicola... Ma bisogna aspettare per veder
e se c anche un trauma cranico".
"Accidenti dissi.." ma non ero affatto preoccupato della mia sorte, anzi la nuov
a situazione con tutti i cambiamenti conseguenti mi stava divertendo.
Ogni cosa nuova aveva sempre destato il mio entusiasmo.

Naturalmente nascosi questo mio atteggiamento, che non sarebbe stato certo appre
zzato dai miei parenti, che attorno al mio letto cercavano di capire da ogni min
imo particolare se avessi subito conseguenze irreparabili.
D altronde c ero io in quel letto ed ero io che dovevo affrontare le difficolt ch
e fossero sopraggiunte. I miei parenti mi lasciarono solo ed io cominciai a pren
dere in rassegna tutti gli aspetti della nuova situazione.
Le ferie erano praticamente iniziate, quindi un periodo a riposo non avrebbe dan
neggiato il mio lavoro, mi avrebbe anzi permesso di rimanere finalmente solo con
me stesso nel tentativo di avanzare spiritualmente.
La mia vita frenetica mi impediva, infatti, di procedere nella mia ricerca, di r
iuscire a ricostruire tutte le mie vite precedenti. Ero sempre pi convinto che gl
i insegnamenti deducibili da queste reminiscenze avrebbero potuto essere ancora
molto importanti.
La stanza dove mi trovavo alloggiava quattro letti di cui solo due erano occupat
i.
Nell altro letto c era un signore anziano con una gamba ingessata, che si dedica
va tranquillo alle sue piccole faccende in completo silenzio.
La sicurezza dei suoi gesti faceva trasparire che doveva trovarsi l da parecchi g
iorni.
Ero sereno nonostante la situazione e non mi preoccupai nemmeno quando i dolori
si fecero sentire pi forti.
All inizio pensai che fosse normale che dopo un po le botte si facessero sentir
e, ma la situazione precipit e dovetti chiamare un infermiera.
Passarono solo pochi minuti prima che intervenisse l infermiera e gi i dolori ave
vano raggiunto un livello insopportabile.
"HHahh, fate qualcosa vi prego, ho dei dolori fortissimi!"
"Mi dica dove vi fa male?" chiese cortesemente.
"Qui sopra la scapola. fortissimo!" risposi.
"Allora alziamo un po il letto e poi mettiamo le bende per la clavicola" disse
l infermiera con tono rassicurante, e mi alz il bordo superiore del letto in modo
che io mi trovassi quasi seduto e quindi usc dalla stanza.
Torn pochi minuti dopo con una serie di bende e spalline simili a quelle che si u
sano per portare gli zaini scolastici.
Mi tolse la camicia del pigiama e mi imbrag le spalle in modo che fossero tenute
all indietro.
Forse fu la posizione o forse quel sistema di spalline, in ogni modo l intervent
o mi permise di sentirmi un po meglio.
I dolori non erano passati ma erano certamente pi sopportabili.
Cercai di rilassarmi e di mettermi a mio agio, per quel poco che mi era consenti
to, e cominciai ad avere la sensazione di avere gi vissuto un esperienza simile.
I dolori, le ossa rotte e l impossibilit di muoversi erano esperienze che dovevo
aver gi vissuto. Cominciai a passare in rassegna tutti i ricordi
simili di questa vita ma non trovai niente che si avvicinasse a quello che prova
vo in quel momento.
Chiusi gli occhi e cercai di concentrarmi nel tentativo di trovare quell ipoteti
co ricordo.
Cominci a prendere forma un episodio sicuramente avvenuto nel medioevo.
Mi trovavo seduto nel pavimento di quella che doveva essere una cella. Le pareti
erano formate da grandi blocchi di pietra lavorati in modo grossolano e accosta
ti senza alcun tipo di cemento.
La cella era completamente spoglia ed incredibilmente umida.
Era una giornata piovosa, e dalla piccola finestra chiusa solo da due sbarre inc
rociate, entrava un velo di acqua uniforme ed ininterrotto.
L acqua piovana non faceva che peggiorare una situazione gi pietosa, tutto attorn
o l umido rendeva le pareti viscide e scivolose dove solo muschio ed insetti sem
brava si trovassero a proprio agio.
Anche i topi, con il loro guizzare veloce, sembravano non apprezzassero il luogo
.
Io non riuscivo a muovermi a causa delle ossa rotte e delle violente percosse ri
cevute.

Avevo il viso completamente insanguinato ed i dolori mi attanagliavano tutto il


corpo.
In quella vita avevo il corpo molto robusto e dovevano aver lavorato un bel po
per ridurmi in quello stato.
Sapevo che era giunta la mia ora ma non c era traccia di paura nei miei sentimen
ti.
Provavo solo una gran rabbia. Mi concentrai su quel sentimento nella speranza di
capirne un po di pi, ed infatti dopo un po mi ricordai che ero stato tradito.
Provavo rabbia per i miei amici, o coloro che credevo tali, per avermi messo in
quella situazione, provavo rabbia contro i miei aguzzini che in circostanze norm
ali non sarebbero mai riusciti ad avere la meglio contro di me.
Oltre ad essere forte ed alto, ero un uomo che, con la spada in mano, difficilme
nte poteva essere sconfitto.
I miei compagni, forse lautamente pagati, mi avevano fatto ubriacare, con la scu
sa di una festa.
Una volta addormentato mi avevano incatenato e consegnato ai miei nemici. Questi
mi avevano sottoposto ad una serie di torture alle quali uomini meno resistenti
non sarebbero sopravvissuti. Avevo
fatto il possibile per non dar loro soddisfazione, n con un lamento od una suppli
ca, ma ci non mi bastava.
Ripromisi a me stesso che se un giorno fossi mai uscito da quel buco avrei cerca
to gli uni e gli altri e glieVavrei fatta pagare.
Riaprii gli occhi e provai sollievo nel ritrovare le morbide lenzuola del letto
e la compagnia di mia madre, che nel frattempo era ritornata.
Forse nel fisico avevo subito violenze simili, ma mi resi conto che nel medioevo
la situazione era sicuramente stata peggiore.
D altronde quell episodio, che avevo appena ricordato, mi aveva dato pi forza emo
tiva e, in segno di riconoscimento, tornai a reimmergermi in quel lontano giorno
.
Mi ritrovai in quella terrbile cella, immerso nel mio sangue, nell acqua e nel fr
eddo.
La situazione sarebbe stata drammatica per il mio io del ventesimo secolo ma era
in realt solo particolarmente difficile per il mio io medioevale.
Non il minimo segno di paura, ma solo molta rabbia. Avrei accettato tutto se mi
avessero sconfitto in battaglia o in un onesto duello, ma non tramite l inganno
ed il tradimento.
Ma anche la rabbia diminu e scomparve nel rendermi conto che stavo per morre. Voll
i approfittare di quei ultimi momenti che mi erano stati concessi per dare uno s
guardo a tutta la mia vita e rngraziai Dio per questo.
Cominciarono a scorrere di fronte ai miei occhi immagini bellissime di castelli
e di toni di prati bellissimi e montagne maestose, di eserciti e battaglie.
Erano tutti rcordi che suscitavano in me sentimenti piacevoli ma tra loro uno spi
ccava in modo particolare.
Ero davvero felice quando rcordai un pomerggio di prmavera di quattro anni prma.
Mi trovavo in una torre di un castello e da l vedevo l acqua limpida del canale s
cavato tutto attorno ed il verde splendente dei prati.
Era un verde smagliante che incorniciava il castello in modo cos perfetto da rend
erlo quasi irreale.
Pi in l, rgogliosi alber creavano disegni e giochi di foglie, ombre, color e luci che
andavano oltre ogni pi fervida fantasia.
I color dei fior sembravano il tocco finale per dare ancora pi gioia allo spettator
e.
Non una casa, non un campo arato, non un segno fatto dall uomo si scorgevano da
l all orizzonte.
Io mi trovavo l, in compagnia solo di una hellissima donna, figlia del proprietar
io del castello.
Ero felice perch l avevo ammirata per anni senza poterla avvicinare. Nei momenti
tranquilli della mia vita facevo il possibile per transitare in quel luogo solo
per poterla vedere.
E finalmente, quel pomerggio, avevo avuto il coraggio di avvicinarla per parlarle

.
"Nobildonna pu dare ascolto ad un suo mercenaro anche per un solo momento?" dissi
particolarmente agitato ed imbarazzato, tanto da rsultare un po goffo.
"Chi siete, per vostra grazia?" rspose con eldente atteggiamento altezzoso.
"Sono solo un soldato, che per vi ammira immensamente. "
dissi, sforzandomi di trovare le parole adatte ad interessarla.
n modo di fare goffo ed incero che veniva da un uomo di incredibile stazza dovett
e davvero divertirla, perch scoppi in una sincera rsata.
Mi rendevo conto, in quel momento, della mia ignoranza.
Non solo non sapevo leggere n scrvere ma non avevo mai frequentato persone colte e
nessuno mai mi aveva insegnato come si dovesse trattare con gente di alta nobil
t.
Nessuna situazione mi avrebbe messo maggiormente a disagio.
Avrei sconfitto cento eserciti senza chiedere una moneta pur di saper cosa dire
in quel momento.
"Pu accettare di rcevermi quando passo per il vostro castello?" dissi con quel poc
o di coraggio che ancora mi restava.
E lei reag correndo ma sghignazzando.
<Non andata poi male> pensai rvolgendo lo sguardo alla campagna sottostante.
Non potevo cero ambire di sposarla, mi sarebbe bastato avere la sua amicizia.
Riaprii gli occhi pensando che razza di idiota ero stato.
Non riuscivo a capacitarmi come io potessi essere stato quel gigante incapace.
Vada per le battaglie, vada per tutto il resto ma non riuscivo ad accettare di e
ssermi reso ridicolo davanti ad una donna.
Un lontano rumore di folla mi distolse dai miei pensieri, riportandomi alla real
t.
Era l ora della visite, decine di persone stavano percorrendo il corridoio per f
ar visita ai loro parenti o amici, sconvolgendo la tranquillit del reparto.
Sembrava che il caos ci avesse solo sfiorato lasciando incolume la stanza dove m
i trovavo, quando entr una signora sulla sessantina, la moglie del mio compagno d
i stanza.
Era un po smunta e dimessa anche nel vestire.
Senza incertezze pensai che fosse una brava donna di campagna, che aveva sacrifi
cato ogni suo sogno in piccoli e mai riconosciuti sacrifici giornalieri:Dare da
mangiare alle galline, lavorare i campi e tenere ordine alla casa per far trovar
e tutto pronto al suo uomo.
Ed anche quel momento sembrava facesse parte di un gesto sacrificale.
Lo sforzo di apparire elegante, serena e coraggiosa, senza avere nessuna possibi
lit di riuscire, faceva trasparire una vita di stenti e di sacrifici che, ormai s
colpiti nel suo volto, non sarebbe pi riuscita a nascondere.
Anche il matrimonio con suo marito, schiacciato da doveri e sacrifici, non aveva
pi il ricordo dell antico amore.
Portava una pianta esageratamente grande per un regalo, specie se questo doveva
rimanere in una stanza di ospedale.
"Ho voluto portarti una delle piante del tuo giardino" disse.
"Grazie." Rispose il marito quasi con riluttanza.
"Come stai?"
"Ma. I medici mi dicono che a giorni posso tornare a casa."
"Comunque non preoccuparti, Ezio se la sta cavando bene anche da solo con tutti
i lavori."
Cap. 15 II dinosauro
Passarono circa dieci giorni prima che i medici ritenessero che fossi in grado d
i tornare a casa.
Mi dissero che le ossa ormai si stavano saldando, si trattava di avere pazienza
per altri quindici giorni ed avrei potuto riprendere la vita di tutti i giorni.
Lasciai l ospedale felice ma non sereno.
Avevo la sensazione che qualcosa non fosse ancora a posto.
Pi volte avevo chiesto spiegazioni per i dolori forti e persistenti che continuav
o ad avvertire, ma ebbi pi volte la sensazione che non mi credessero.
Mi veniva ripetuto di non preoccuparmi, che erano stati fatti tutti i controlli

del caso, che i professori ed il primario in persona ritenevano che fossi guarit
o molto bene.
Mentre camminavo verso l uscita dell ospedale facevo molta attenzione a dove met
tevo i piedi perch la minima scossa mi infliggeva delle ftte dolorose per tutta la
schiena.
Trovai la macchina di mio nonno pronta ad aspettarmi e lui venne incontro per so
rreggermi.
Mi accompagn per tutto il tratto che mi separava dall auto e poi mi aiut a sedere
con la massima attenzione e delicatezza.
Nei momenti diffcili mio nonno riusciva sempre a dimostrare umanit e sensibilit sen
za limiti.
In quei momenti avrei voluto cancellare con un solo colpo di spugna tutti i disa
ccordi, tutte le discussioni, tutti i malintesi che si erano frapposti tra noi i
n anni di convivenza.
Ma dalla mia bocca usc solo un misero "grazie".
Ero incapace di dimostrare un affetto sincero o riconoscente.
Nonostante mi sforzassi di esternare i miei sentimenti, sembrava che questi non
riuscissero a perforare la mia pelle ed esternamente apparivo completamente inse
nsibile e distaccato.
Non amore, non odio, non rabbia ma solo silenzio.
Nessuno avrebbe mai immaginato osservandomi dall esterno, il groviglio di sentim
enti che mi pervadevano internamente.
Nessuno, nemmeno se mi conosceva da anni, percepiva la profondit e l intensit dei
miei sentimenti.
Era stata una delle caratteristiche del mio carattere, almeno in questa vita.
"Forse stato un episodio della mia infanzia a bloccarmi"
pensai, cercando una giustificazione.
Quindi passai in rassegna i miei ricordi e dovetti constatare che non rammentavo
un sincero gesto d affetto nemmeno nei tempi lontani.
Era incredibile, ma non potevo ingannarmi sul fatto che ero completamente blocca
to nell esternare i sentimenti.
Mentre le ombre degli alberi accarezzavano il mio viso, alleggerendo la calura d
i quel pomeriggio di agosto, pensavo che strano essere fossi.
Vivevo solo interiormente.
Dentro me c erano vibrazioni che non si attenuavano nemmeno con lo scorrere dei
secoli e fuori di me ero pi distaccato della vetta di una montagna.
"Cosa potrei fare per cambiare?" mi chiesi, ma dovetti interrompere i miei pensi
eri perch eravamo giunti a casa dei nonni e mia madre e mia nonna stavano venendo
ci incontro.
"Come stai?" chiese mia nonna con un sorriso confortante.
"Bene. Dicono che baster un po di riposo e torner nuovo quasi come prima." rispos
i in tono ironico.
"Vieni che ti abbiamo preparato la poltrona comoda e adatta per non sforzare il
collo".
Mi diressi verso il salotto con la certezza che avrei ricevuto le migliori cure.
I nonni e mia madre in caso di avversit o di malattie facevano quadrato attorno a
l familiare colpito.
Si trattava di una specie di codice comportamentale consueto della nostra famigl
ia: quando qualcuno stava male si accorreva in aiuto.
In quei momenti si percepiva davvero il nucleo familiare, dove ogni uno portava
quello che poteva con i suoi mezzi ed il suo modo di fare.
Mia madre si preoccupava in modo ossessivo di ogni particolare cercando, a suo m
odo, di intervenire.
Mio nonno portava tutto all eccesso, ingrandendo anche le preoccupazioni.
Mentre mia nonna incoraggiava tutti con il suo modo diretto di affrontare la vit
a.
Sembrava che niente potesse impaurirla e, da sola, con il suo smisurato coraggio
, dava forza e serenit a tutta la compagnia.
Mentre prendevo posto nella poltrona che mi avevano preparato sentii il conforto
e la protezione di quella casa.

Fino a pochi anni prima avrei sognavo solo di fuggirne, ma ora che vedevo le cos
e in modo molto diverso, pensai che avevo preso una decisione giusta a voler rim
anere l durante la mia convalescenza.
Ero felice anche perch avrei vissuto un po pi vicino alla natura, infatti la casa
dei nonni, anche se non era in aperta campagna, si trovava in
una periferia molto verde e con un giardino sempre ricco di piante e di fiori.
Da sempre avevo nascosto la passione per la natura come ogni altro sentimento, e
solo con me stesso mi abbandonavo a questo amore senza limiti.
Mi ricordai di quanto avevo sofferto, tempo addietro, nel veder calpestare una s
emplice pianticella da una macchina.
Giorni prima avevo cercato di proteggerla mettendo tutto attorno delle pietre in
modo che la gente la rispettasse.
La pianta era posta in un parcheggio quindi sarebbe bastato un minimo di attenzi
one per non ucciderla.
Fu proprio il mio socio a calpestare pietre e pianta e spazzare con la sua auto
tutto in un attimo.
Anche allora nascosi i miei sentimenti!
"Possiamo portare la poltrona in giardino?" chiesi, e subito si precipitarono pe
r sollevarla e portarla sotto un grande fico nel retro della casa.
"Qui dovresti stare bene perch c sempre ombra. " disse la nonna mentre si stava r
addrizzando con evidente sforzo.
Il fico era maestoso e con le sue grandi ed innumerevoli foglie rinfrescava gran
parte di un angolo del giardino che dava a nord.
Una vite di "fragolino" cresceva al suo fianco per poi allungarsi seguendo dei c
avi di acciaio rendendo ancora pi ampia e regolare l ombra del fico.
Sotto il fico, i nonni avevano messo un sottile strato di cemento, in modo da re
ndere pi agibile quell angolo del giardino.
Tutto attorno erano stati piantati pomodori che, oltre a creare un vero rifugio
verde, contribuivano a farmi sentire meglio, nonostante l odore forte e dolciast
ro che diffondevano.
Mi sedetti ed ebbi la sensazione che la quiete che mi circondava stesse entrando
in ogni parte del corpo.
Il caldo di quel pomeriggio di agosto aveva attenuato anche i rumori che proveni
vano dalla statale e sembrava mi proteggesse da ogni fonte di disturbo.
Il lavoro, con le preoccupazioni e le ansie relative, era lontano, le persone co
n tutte le loro nevrosi erano oltre quell oasi verde; ero finalmente solo: io co
n me stesso.
Ebbi la sensazione che dovesse esserci un motivo, per questo amore esagerato che
nutrivo nei confronti della natura, ma non avevo la minima idea di quale fosse
la genesi.
Mi concentrai e mi venne in mente l affermazione
"La terra mia madre".
Poteva essere una considerazione fatta in un qualsiasi momento, che non aveva ne
ssun nesso, comunque fosse, non spiegava di certo quel sentimento di amore.
Ma nella mia ricerca non volevo lasciare niente di intentato e quindi e chiusi g
li occhi per concentrarmi su quest affermazione.
La frase che la terra fosse davvero mia madre si trasform da pensiero a sensazion
e.
La sensazione crebbe fmo a diventare vero amore.
Nel frattempo vedevo davanti a me dei sassi che, m.ischiati alla terra, formavan
o un parapetto di una strada di campagna.
Ad un pi attento esame mi accorsi di trovarmi nel sito di un fiume alluvionale, e
quello che mi sembrava un muretto in realt era il letto naturale del fiume in se
cca.
La visuale si allarg e mi accorsi di trovarmi in una zona brulla ma che non aveva
le caratteristiche di un deserto, era completamente spoglia di vegetazione sebb
ene il terreno sembrasse fertile.
Probabilmente la completa mancanza di argini aveva permesso al fiume in piena di
spazzare ma tutto in una vasta zona.
n cielo era oscurato da grandi nuvoloni neri che promettevano molta acqua.

Di fronte a me, a circa duecento metri, c erano degli animali che sembravano din
osauri.
Dapprima pensai che fosse il ricordo di un film. Ma anche se potevano assomiglia
re ad immagini che avevo visto, il loro muoversi mi era completamente nuovo.
In ogni mommento erano lentissimi. Mentre camminavano erano goffi ed incerti com
e un bambino che stia imparando a muovere i primi passi.
Sembrava dovessero cadere ad ogni istante.
Mi accorsi che anch io ero uno della loro razza per quanto, dalla la mia bassa s
tatura, dovevo essere appena un cucciolo.
Mi diressi verso di loro perch in quella direzione si trovava una pozza d acqua a
bbastanza grande da soddisfare le necessit di tutti.
Appena uno del gruppo, che mi parve fosse una femmina, si accorse della mia pres
enza, punt lo sguardo dritto verso di me, con occhi minacciosi.
Vedendo che io procedevo nella loro direzione, usc dalla pozza e cominci a caricar
mi.
In realt, anche se piuttosto spedito, il suo passo era pi lento di quanto si possa
immaginare.
Io non capivo perch quell animale ce l avesse con me e rimasi fermo e stupito fin
ch non mi raggiunse.
Quando fu a pochi passi da me inizi un repertorio di lunghi urli rauchi che proha
hilmente avevano lo scopo di impaurirmi e farmi fuggire.
Indietreggiai quasi istintivamente e questo prohahilmente le fece pensare di ave
r ottenuto quello che voleva perch smise di urlare e torn sui suoi passi.
Io mi fermai e rimasi immobile a guardare il gruppo continuando a non capire, tu
tto mi sembrava molto strano.
La femmina si ferm e guard verso di me per assicurarsi che me ne fossi andato.
Al vedermi ancora l si infuri, e riprese a correre verso di me emettendo le solite
urla rauche. Si ferm davanti a me e con un possente colpo di coda mi percosse al
l altezza della spalla facendomi cadere malamente.
Cadendo andai a sbattere la testa con una violenza tale che persi conoscenza.
Quando mi ripresi sentii il sangue che mi scorreva sul muso e una grande dispera
zione nel petto.
"Mia madre mi ha abbandonato!" fu il pensiero che mi venne in mente.
Avevo la sensazione che non avrei avuto scampo se mia madre mi avesse abbandonat
o. Diressi lo sguardo terrorizzato verso la pozza ed in quel momento capii che,
per quel piccolo rettile la madre non era l animale che l aveva scacciato, bens l
a terra.
In realt mia madre era la terra, della quale anche la pozza era una parte e che e
lla mi donava con benevolenza.
Non mi sentivo scacciato dall animale ma dalla terra stessa.
Riaprii gli occhi che si erano bagnati dalla commozione per il povero cucciolo d
i dinosauro, era davvero solo ed abbandonato, ed a niente sarebbe valso trovare
un altra pozza d acqua, perch aveva ormai considerato di essere stato rifiutato d
a sua madre.
Infatti era la terra che aveva trovato alla nascita, ed era la terra che da semp
re lo sfamava e lo dissetava.
Mi venne in mente che da piccolo avevo provato la stessa sensazione.
Avevo circa sei anni, era una normale mattina domenicale, e camminavo lungo il c
orridoio dell appartamento dove vivevo, che portava alle camere da letto.
L appartamento era, per quegli anni, discretamente elegante, anche se la mohilia
era un miscuglio di eredit diverse piuttosto che il risultato di un arredamento
studiato.
Pezzi antichi originali spesso erano abbinati a mobili molto pi recenti e di qual
it scadente.
Quella mattina ero particolarmente felice perch sapevo che avrei potuto passare u
n po di tempo con mio padre, infatti mi avrebbe portato in macchina a fare il g
iro delle consegne, presso i suoi clienti, delle riparazioni fatte, durante la s
ettimana.
Avremmo consegnato orologi e sveglie a tutti quei clienti che per svariati motim
trovavano scomodo venire nel nostro negozio, che si trovava proprio in centro c

itt.
Per me era forse l unica occasione per essere in compagnia di mio padre, e inolt
re mi divertivo molto quando, con la macchina, si percorrevano chilometri in ape
rta campagna per arrivare in casolari sperduti.
Mi piaceva assaporare quella vita di campagna che sapeva ancora di antico in ogn
i cosa ed in ogni comportamento della gente.
Tutto ci che era rustico, in quei tempi, non si nascondeva n si valorizzava, ma se
mplicemente era un modo di vivere che manteneva ancora tutti quei valori che ogg
i abbiamo dimenticato.
La famiglia, le cose genuine, il lavoro ed un buon bicchiere di vino oggi posson
o apparire poca cosa ma allora davano una felicit ed una serenit che attualmente n
on riusciamo pi a trovare.
Ricordo in modo particolare l affetto e la cortesia con la quale venivamo accolt
i dai contadini che ci facevano sentire come a casa nostra.
E ricordo l aria di festa che si leggeva nei volti e anche nelle lasagne appena
fatte e messe ad asciugare.
Fu con la speranza di passare una mattina felice, che io mi avviavo verso la cam
era da letto dei miei genitori.
Ero davvero impaziente e quindi afferrai la maniglia e con tutta la forza che av
evo la ruotai fino a farla aprire.
Mi affacciai all ingresso della stanza, che era ancora nella penombra e, indi i
miei genitori nudi, che emdentemente imbarazzati , si coprirono immediatamente.
Dopo un attimo di smarrimento mio padre inizi ad urlare contro di me
"SI BUSSA PRIMA DI ENTRARE !!"
La violenza del suo grido era talmente forie ed improvvisa che indietreggiai imp
ietrito.
Come quando ero dinosauro rimasi, anche in quel momento, completamente bloccato
e sconcertato perch non riuscivo a capire perch mio padre si scagliava contro di m
e.
Come allora provai un profondo senso di disperazione e di abbandono, e come allo
ra sentii che mio padre mi avrebbe abbandonato e che questo mi avrebbe portato a
morte sicura.
Tutto questo causava in me un vuoto mentale totale.
Ero completamente paralizzato.
Nel ricordare quel triste episodio della mia infanzia le lacrime, che gi scorreva
no sulle mie guance, si fecero pi copiose.
Rimasi per un po a fissare i pomodori davanti a me senza alcun pensiero.
Il fresco tepore di quell angolo d orto sembrava cullarmi ed avevo la sensazione
che assieme alle lacrime, stesse asciugando anche le mie ferite.
Ogni sensazione negativa lentamente svaniva lasciando il posto ad un silenzio in
teriore che non conoscevo.
Era una pace indescrivibile, avevo solo la sensazione di essere sospeso in un lu
ogo senza tempo.
Il silenzio interiore venne rotto solo dal pensiero di non perdere quel momento
di estrema serenit.
Quel pensiero mi spinse a chiudere gli occhi quasi per catturare quella gioia.
Ma una volta chiusi gli occhi si dipan una nuova scena.
Non riuscii a collocare nella posizione temporale quella esperienza che per dovev
a sicuramente appartenere ad un altra esistenza.
Mi trovavo in un ampia radura, vicino a me c era un piccolo prato, dove l erba c
resceva incolta, mentre pi in l c erano dei faggi e delle betulle di varie dimensi
oni che formavano un piccolo bosco.
Ancora pi in l si scorgevano altri prati in fiore.
I colori predominanti erano il giallo ed il bianco.
La sensazione di possedere una grande saggezza faceva da sfondo ad una immensa p
ace ed a una immutabile serenit.
I pensieri si formavano in modo molto lento con una cadenza che non disturbava l
a quiete interiore.
Pensai che avevo visto ogni cosa nei miei ottanttotto anni di vita e sentivo che
potrei essere stato un buon maestro per ogni creatura.

Pensai che mi sarebbe piaciuto insegnare e dare la mia esperienza di pace ad alt
ri esseri.
In quel momento mi resi conto della mia immobilit che mi avrebbe impedito di comu
nicare.
Non soffrii per questo perch proprio l immobilit mi aveva permesso di sondare remo
ti segreti della vita.
Davo ormai la giusta importanza alle cose ed alle persone, e riuscivo a vedere o
ltre l evidenza.
Nulla di quello che vedevo o percepivo causava in me emozioni, anche il dolore,
che a volte provavo, non intaccava la gioia di vivere e la serenit.
Non chiedevo nulla ed accettavo tutto, e questo mio atteggiamento faceva s di non
avere n desideri n paure.
Conoscevo l esistenza di esseri di ogni forma e di ogni dimensione.
Sapevo gi allora che i pianeti e le galassie contenevano forme di vita, e sapevo
di essere stato anch io uno di loro.
Avevo anche grande considerazione dell essere supremo che gli umani chiamano Dio
.
Mentre questi pensieri e queste considerazioni prendevano forma nella mia mente
mi accorsi di non essere un essere un umano.
Mi concentrai per capire in quale forma vivente mi trovassi in quel ricordo ma r
iuscivo solo a vedere della nebbia che stava calando nella radura.
Ma dopo un po la risposta esplose con estrema meramglia.
Ero un albero!
Riaprii gli occhi ma la serenit non scomparve assieme alla scena che avevo visto,
anzi divenni ancora pi certo che noi siamo il risultato di tutte le nostre esper
ienze e che la serenit dell albero avrebbe alloggiato in me, in una parte remota
fmo alla fine dei tempi.
Cap. 16 II ricovero.
Passarono cos una decina di giorni, un po nella noia un po nella serena tranqui
llit. Alcuni pomeriggi, mia moglie e mia figlia lasciavano il piccolo appartament
o in citt , dove abitavamo, e venivano a farmi visita. Passavamo insieme il tempo
ed ero contagiato dalla illimitata gioia di vivere che mia moglie possedeva.
Quando parlava sembrava di sentire un ruscello, un suono che affascinante e avvi
ncente, che sembrava ripetersi ma che variava sempre e che ad ogni istante mi re
ndeva un po pi felice.
Mia figlia aveva ormai compiuto sei mesi e dava gi le prime soddisfazioni, le stu
pende risate e tutti quei piccoli gesti che mi divertivano tanto.
Quando, verso sera, se ne andavano mi ripromettevo di guarire velocemente per to
rnare a fare il padrone di casa, ma nello stesso tempo percepivo pi distintamente
la sensazione di sventura che aleggiava sopra dime.
Arriv finalmente il giorno della visita di controllo, che aspettavo con crescente
ansia.
Speravo che in quella occasione mi avrebbero finalmente dato spiegazioni del per
sistere dei dolori al braccio, che, negli ultimi giorni, si era gonfiato a dismi
sura.
Avrei potuto chiedere informazioni anche sulla mano destra, che non funzionava p
i molto bene ed aveva perso molta della sua sensibilit.
Erano le dieci di mattina del 20 agosto e stavo finalmente aspettando il respons
o della radiografia di controllo.
Ero nel corridoio del pronto soccorso dell ospedale centrale, mi ero sottoposto
ai raggi pochi minuti prima e per una insperata fortuna avevo trovato il medico
che poteva gi fornirmi l esito.
Si sentiva il sapore delle vacanze, anche in quel settore dell ospedale, vi era
infatti una scarsa affluenza di persone e tutti camminavano in modo rilassato.
I loro passi sembravano volermi dire che si trovavano l per caso e che sarebbero
andati via subito. Nei visi delle infermiere mi sembrava di leggere il pensiero;
<Ancora per poco e poi finalmente stacco. >
La leggera brezza che entrava dalle finestre aperte portava il messaggio e le im
magini di milioni di persone che stavano oziando al sole.
Anch io avevo un ardente desiderio di trascorrere qualche giorno in una stazione

balneare, ma presagivo che il mio destino sarebbe stato diverso.


Un passo veloce che rimbombava nei corridoi quasi deserti ruppe quella piacevole
calma ed esplose vicino a me con un
"Non si muova per l amor di Dio!". Era una infermiera che si rivolgeva a me un p
o trafelata e preoccupata.
Io la guardai perplesso, sperando che mi desse delle precisazioni o quanto meno
mi spiegasse il motivo di quella sceneggiata. Ma prosegu chiedendomi;
"E venuto da solo o e stato accompagnato?"
"Sono venuto in bicicletta ..." stavo per spiegare che i medici mi avevano detto
che potevo fare qualsiasi movimento e che potevo gi considerarmi guarito, ma mi
interruppe dicendo:
"Il medico mi ha detto che lei non deve pi muoversi. Ora chiamo un letto con il q
uale una mia collega l accompagner nel reparto dove le spiegheranno tutto."
Se quell infermiera voleva allarmarmi c era riuscita in pieno: quel colpo di sce
na improvviso aveva scatenato una miriade di pensieri e di preoccupazioni che mi
rendevano confuso ed del tutto incapace di reagire.
Dopo pochi minuti arriv una lettiga spinta da un abile e forzuta infermiera ed in
un attimo mi trovai sdraiato nell ormai familiare reparto di ortopedia.
Mi aggrappai al grembiule dell infermiera per attirarne l attenzione e le chiesi
se poteva farmi sapere qualcosa o chiamare un medico che mi potesse fornire del
le spiegazioni.
"Non si preoccupi; verranno pi tardi e potr chiedere tutto quello che vuole, ma ad
esso stia calmo e riposi."
E davvero difficile rimanere calmo quando ti fanno capire che e successo qualc
osa di grave e non ti dicono niente. Ma non mi rimaneva che aspettare.
Un ulteriore motivo di preoccupazione e di agitazione si fece strada nei miei pe
nsieri;
<Nessuno dei miei parenti sa che mi hanno ricoverato!> pensai e avvertii il biso
gno di richiamare l infermiera che nel frattempo era uscita dalla stanza.
Allungai la mano alla ricerca del campanello ma dopo un po dovetti rinunciare a
lla ricerca;
"Mi scusi! Pu chiamare l infermiera? Io non riesco a trovare il campanello." Diss
i rivolgendomi al paziente del letto accanto.
Rimasi piacevolmente sorpreso che, alla mia richiesta, il signore del letto acca
nto scatt con evidente entusiasmo e sollecitudine.
Era un uomo di mezza et, media statura e grossa corporatura, il suo aspetto ed i
suoi modi erano rassicuranti, era uno di quegli uomini che sembrano essere padri
di professione.
Il suo viso rilassato e sereno mi fece pensare che doveva essere un ragioniere c
he lavorava in un ufficio statale o parastatale, nel quale lo stress non doveva
essere conosciuto.
Usc dalla stanza alla ricerca dell infermiera con la quale ricomparve dopo un po
.
"Mi dica, cosa c adesso?" mi chiese un po spazientita.
"Abbia pazienza! Non posso muovermi per telefonare e nessuno dei miei parenti sa
che sono stato ricoverato." non mi lasci finire che mi interruppe.
"Se voleva chiamare a casa non si preoccupi che ci abbiamo pensato noi! E adesso
arriveranno con il pigiamino .." disse in tono ironico e canzonatorio, uscendo
dalla stanza.
Il ragioniere, quasi volesse consolarmi si avvicin al mio letto presentandosi ed
intavolando una conversazione.
"Sono ormai dieci giorni che aspetto che mi operino alla gamba, ma continuano a
rimandare, perch ci sono sempre urgenze.
Ma io credo che siano tutte scuse perch in questo periodo non c personale a suffi
cienza. Comunque non capisco perch continuino a tenermi qui. Potrebbero lasciarmi
andare a casa e richiamarmi quando sono pronti."
Mi accorsi che la conversazione aveva l effetto di allentare la tensione e quind
i partecipai chiedendo;
"Di dov ?"
"Abito a Mestre. Avrei potuto andare al mio paese ma mia moglie conosce molto be

ne il primario di questo reparto per il quale nutre una fiducia illimitata. Cos m
i ha convinto a ricoverarmi qui.
C solo il piccolo particolare che il primario in questi giorni e in ferie e cos
devo aspettare luned perch qualcuno mi ascolti!"
Mi accorsi che il "ragioniere" apparteneva a quella categoria di chiacchieroni a
i quali basta il via per iniziare un monologo inarrestabile.
In situazioni normali una persona simile mi avrebbe infastidito ma in quel momen
to ringraziai Dio che mi aveva messo accanto al suo letto.
Dalla porta apparve il nonno con l espressione di comprensione e partecipazione
di quando affrontava una situazione difficile.
"Abbiamo avvertito tua moglie, verr appena esce dal lavoro."
Ed io gli chiesi:
"Ma i medici ti hanno detto qualcosa?"
"Sulle lastre di controllo hanno trovato qualcosa nelle vertebre ma aspettano il
vice primario per dire qualcosa di pi preciso."
"E quando viene questo vice primario?"
"Passa questa sera."
"E la mamma viene?" chiesi dispiaciuto per dover arrecare ancora disturbo ai mie
i familiari.
"Viene pi tardi perch sta preparando tutto quello che ti pu servire. Intanto io ti
ho portato le cose pi importanti: il pigiama ed un cambio. Se hai bisogno di qual
cosa d altro dimmelo che vedo di portartelo pi tardi"
Ed infatti alla sera, come previsto, venne il vice primario attorniato da tre me
dici e due infermiere.
La solennit delle visite in corsia, che davano lustro ed importanza ai medici, ed
il distacco che questi avevano nei confronti dei pazienti, mi erano ormai famil
iari. Rimasi, comunque, colpito nell osservare con quanta freddezza parlavano de
l mio caso e, noncuranti della mia presenza, sentenziavano le loro diagnosi medi
che.
Capii, tra i discorsi ed i termini strettamente specialistici, che avevo due ver
tebre rotte che probabilmente avrebbero resa necessaria un operazione.
Dopo aver discusso e confrontato opinioni diverse conclusero che ogni decisione
doveva essere posticipata a ulteriori esami, e che nel frattempo avrei dovuto ri
manere immobile, per evitare ulteriori conseguenze.
Tutto si era svolto come se io non fossi stato presente o meglio come se io non
fossi nemmeno esistito e loro stessero parlando di un caso ipotetico.
La scena avrebbe potuto divertirmi se non fosse stata in gioco la mia vita.
Esasperato volli intervenire ma un infermiera prontamente mi fece cenno di riman
ere zitto per non disturbare il convegno in atto.
Quando il gruppo si spost nel letto a fianco del mio, uno dei medici, il pi giovan
e e sicuramente il pi umano, mi si avvicin per fornire delle delucidazioni su quan
to era stato detto.
Mi conferm che due vertebre erano rotte, mi spieg in che modo e dove, inoltre mi s
pieg che le vertebre sono ossa che si saldano pi diffcilmente delle altre e che for
se avrebbero dovuto aiutare il corso della natura con un intervento.
Aveva un viso simpatico con due grandi baffi e folte sopracciglia, la pelle abbr
onzata ed un modo di fare particolarmente gentile.
Lo ringraziai di vero cuore, avrei voluto chiedergli se faceva servizio in quel
reparto oppure era solo di passaggio, ma interruppe la
conversazione con un affettuosa pacca sulla spalla rivolgendo lo sguardo al grup
po per poi raggiungerlo.
La considerazione che esistevano ancora dei buoni samaritani anche in una profes
sione snaturata come quella dei medici, attenu la collera che cominciava a cresce
re in me.
Avevano commesso un primo gravissimo errore nel non capire in tempo la gravit del
la frattura alle vertebre, ne avevano commesso un secondo altrettanto grave nel
non considerare i dolori che provavo ed infine ne avevano commesso un terzo nel
mandarmi a casa dicendomi di fare una vita normale.
Ed adesso, non solo non si scusavano della loro incompetenza, ma addirittura non
mi degnavano della minima considerazione.

Pensai che quando io commettevo un errore nel mio lavoro pagavo di persona. E pe
rch mai un medico non deve pagare quando un suo errore pu portare delle conseguenz
e irreparabili nella vita di un paziente?
Riuscii a calmarmi solo pensando che avrei fatto di tutto per fargli causa.
Passavano i giorni ed io vivevo solo di lunghe ed estenuanti attese fra un esame
e l altro, che mi provavano psicologicamente.
Non era il dolore che mi pesava ma affrontare l ignoto.
Nessuno mi dava spiegazioni precise.
Ad ogni esame mi accompagnavano infermieri che non sapevano o fingevano di non s
apere assolutamente nulla.
Allora una semplice TAC o un semplice encefalogramma diventavano per me fonte di
grande preoccupazione.
Fui esaminato nei modi pi svariati, mi furono iniettati liquidi di diversi tipi i
n ogni parte del corpo, senza che io potessi capire e sapere a cosa andavo incon
tro.
Finalmente arriv il giorno della grande decisione e mi ritrovai con il gruppo in
camice bianco al completo.
Dovetti subire un altra serie di termini incomprensibili e di opinioni contrasta
nti, ma una frase chiara e nitida arriv alle mie orecchie.
"Non detto che possiamo salvargli il braccio ...". Fu come se quelle parole mi a
vessero trafitto da parte a parte.
Per la prima volta realizzai la gravit della situazione.
Era ormai certo che mi avrebbero operato e che l operazione sarebbe stata molto
complicata e rischiosa.
L esito era incerto ma io avevo capito che anche la mia sopravvivenza era incert
a.
Quel medico si era lasciato scappare la sua incertezza ma ero convinto che non a
vesse detto tutto sui rischi.
Per quanto ignorante fossi stato nell anatomia del corpo umano, sapevo che tocca
re la spina dorsale era un po come giocare col fuoco e se a
questo si aggiungevano i possibili e non rari errori dei medici, si veniva a com
pletare un quadro davvero allarmante.
Sentii il corpo che tremava dalla paura ma nel medesimo momento vissi un fenomen
o particolare di dissociazione.
Fui consapevole di due parti distinte di me.
La prima, formata dal corpo, che aveva gi iniziato a tremare, con la mente che ma
ndava dei comandi che mi incitavano a preoccuparmi ed a spaventarmi mentre una s
econda parte osservava la prima rimanendo distaccata.
Mi resi conto, in quel preciso istante, che la conoscenza acquisita fino a quel
giorno, mi aveva dato la possibilit di fare una scelta.
Potevo preoccuparmi della mia sorte e rimanere paralizzato dalla paura della mor
te, che era diventata probabile, oppure rimanere al di sopra di ogni cosa in mod
o impeccabile.
Potevo scegliere di vivere miseramente oppure da guerriero.
Capii che la pi grande vittoria di un essere poter scegliere.
Decisi cos di seguire lo spirito del guerriero e rimasi per ore ad osservare il m
io corpo e la mia mente in una pace interiore fatta di forza e di determinazione
, di orgoglio e di conoscenza.
Quando poi le luci si spensero ed i rumori si attenuarono fui completamente tran
quillo e pensai che qualunque cosa fosse accaduta, sarebbe, comunque, rimasto in
me lo spirito dell antico guerriero.
Passarono altri giorni di attesa.
Dovevo passare nel reparto di neurochirurgia per poter essere operato ma inspieg
abilmente questo trasferimento non avveniva.
Decisi allora di passare da un ruolo di paziente a quello di una persona che di
pazienza non ne ha pi molta.
Cominciai a dimostrare insofferenza verso la situazione ed ad informarmi sul mot
ivo del ritardo.
Mi resi conto che il disservizio era principalmente dovuto a cattiva organizzazi
one: la mancanza di una carta o di una richiesta firmata, malintesi o ritardi ne

ll espletare una procedura facevano s che i tempi si allungassero.


Cos contattai un mio cugino medico, che conosceva bene le procedure ospedaliere,
e con il suo aiuto e con la collaborazione della suora caposala riuscii, finalme
nte, a farmi trasferire al nuovo reparto, dove avrei dovuto essere operato.
Giunsi in neurochirurgia alle undici di mattina del trenta agosto, e con mio gra
nde sollievo notai che l ambiente era molto diverso.
La prima cosa che mi colp, appena entrato, fu il luccichio delle piastrelle della
pavimentazione: erano incredibilmente pulite.
Tutto era pi moderno e pi funzionale del reparto dal quale provenivo.
Mi stupii vedendo l ordine presente.
Non una sedia o una bottiglia fuori posto sui comodini, completamente sgombri, d
ei pazienti.
Pensai che in quel reparto dovesse esserci un regolamento ferreo, ed infatti la
prima infermiera del reparto che si avvicin al mio letto, non perse tempo e mi sp
ieg subito tutte le regole imposte dal primario di neurochirurgia.
La massima pulizia e l ordine imposti erano accompagnati dal rigoroso rispetto d
egli orari delle visite.
Mi spieg che la gravit dei casi imponeva un modo di comportarsi diverso da quello
degli altri reparti; non avrei potuto accendere radio o registratori o fare alcu
n rumore molesto.
Mi adeguai alla nuova situazione con la rassegnazione di chi pronto a qualsiasi
cosa.
Mi guardai attorno e ci che vidi conferm la spiegazione dell infermiera.
Nella stanza c erano altri due letti occupati da due persone anziane che dovevan
o essere molto gravi.
Nel letto pi vicino l uomo dormiva pesantemente e mi parve strano che riuscisse a
russare nonostante tutti quei tubicini infilati nel naso.
Era fasciato con bende arrossate dal sangue e era attorniato da flebo di colori
diversi.
Al suo capezzale c era una donna che, dal viso affaticato, pensai avesse vegliat
o la notte precedente.
Pi in l, un altro uomo sulla sessantina, con delle flebo sul braccio, aveva gli oc
chi aperti che fissavano nel vuoto e non vi era nessuno ad assisterlo.
Dopo circa due ore passarono due medici per l abituale giro di corsia, e si soff
ermarono parecchio nel letto affianco al mio.
Spiegarono all anziana signora che avevano fatto il possibile per sciogliere l e
matoma che si era formato nel cervello e che nessun farmaco aveva dato il risult
ato sperato e pertanto temevano che l unica alternativa fosse quella di un opera
zione.
Avrebbero aspettato ancora una settimana e se non fosse migliorato sarebbero int
ervenuti.
Il secondo medico chiese alla signora:
"Lei, che lo ha seguito giorno e notte, sa dirmi se ha ripreso coscienza anche s
e solo per un attimo?"
"No sempre cos immobile!" e si port la mano sulla bocca come per bloccare la commo
zione.
Il primo medico, accortosi della sofferenza della signora, le mise una mano sull
a spalla ed in tono consolatorio le disse:
"Vedr che si rimette. Ha un fisico molto robusto.
Secondo me solo questione di tempo."
Passarono quindi attorno al mio letto ed il primo medico alzando la mia cartella
clinica ai piedi del letto spieg al secondo il riassunto del mio calvario.
Il secondo medico avvicinandosi a me mi diede una leggera botta sulle gambe e mi
disse in modo rassicurante :
"Adesso ti sistemiamo noi !"
Quel reparto mi sembrava tutto un altro mondo.
Medici pi gentili, disponibili ed alla mano, sebbene molto qualificati.
Nel momento in cui avrei potuto chiedere spiegazioni e consigli, non sapevo pi co
sa dire e rimasi in silenzio anche quando il primo medico disse che preferiva ri
fare alcuni esami e tutte le radiografie.

Riuscii a formulare una domanda solo prima che uscissero;


"Quando pensate di eseguire l intervento?"
"Non avere fretta ad andare sotto ai ferri, perch non detto che sia l unica soluz
ione."
Uscirono, lasciandomi la piacevole speranza che tutto potesse ancora risolversi
in modo semplice ed indolore e con la certezza di trovarmi in buone mani.
Ripresi cos a sottopormi ad una nuova serie di esami, ma con animo pi sereno.
Passarono altri quattro giorni, fmch venne un medico a spiegarmi il risultato fin
ale e le conclusioni degli specialisti.
Non c erano pi dubbi sulla necessit dell operazione ma non sapevano ancora come sa
rebbe stata effettuata.
"Ci sono due possibilit: la prima intervenire dalla parte posteriore del collo e
la seconda arrivare alle vertebre dal davanti. La decisione verr presa al momento
dell intervento." Mi comunic e continu dicendo:
"L intervento consister nel saldare assieme due vertebre cervicali.
C un altra cosa che devi sapere. Durante l operazione potrebbe rendersi necessar
io prelevare una parte di tessuto osseo dall osso sacro."
"Per cortesia mi dica subito che rischi ci sono." Chiesi preoccupato.
"Tutto sommato anche se si tratta di un intervento difficile, in questo reparto
ne facciamo di simili molto spesso con esiti eccezionali.
Io sono certo che potrai recuperare completamente il braccio e fare una vita nor
male.
Ti ho spiegato tutto perch, anche se noi la consideriamo l unica soluzione, la de
cisione spetta a te."
"Ok. Mi dica cosa devo fare."
"Devi firmare queste carte ed avere pazienza che arrivi il tuo turno." disse men
tre allungava dei fogli fssati su una cartella rigida. Io firmai e lo ringraziai.
Cap. 17 La responsabilit
Il giorno seguente, verso le cinque del pomeriggio, vennero due infermieri che,
con fare disinvolto e frettoloso, mi dissero;
"Si parte!" mentre sbloccavano le ruote del letto.
Prima di rendermi conto di quanto stava accadendo mi trovai in viaggio attravers
o i corridoi del reparto;
"Mi preparate per l operazione?" chiesi cercando di nascondere l apprensione che
provavo.
"No!" rispose il primo
"Vogliamo solo tagliarti i capelli con la sfumatura alta!"
continu il secondo.
"Di quelle che piacciono tanto ai ragazzi come te" riprese il primo.
Dovevo ammettere che il modo di fare allegro ed ironico degli infermieri, era ot
timo per sdrammatizzare, perch anche in quell occasione riusc a tranquillizzarmi.
Ero addirittura sereno quando mi lasciarono in attesa nella sala d aspetto di un
ambulatorio.
Ed ero ancora tranquillo quando mi trasferirono all interno dell ambulatorio ed
il medico inizi a spiegarmi l iter a cui mi avrebbero sottoposto.
Era un medico che non avevo ancora visto in corsia: era giovane, forse sulla tre
ntina, anche se un incipiente calvizie lo invecchiava un po .
Il viso era piacente e simpatico.
Mi spieg, con estrema gentilezza e precisione, che mi avrebbe messo in trazione.
Mi avrebbero trapanato l osso temporale ai due lati per poter inserire i perni,
che avrebbe permesso di mantenere in costante trazione tutto il corpo.
Mi rassicur in tutti i modi che questa era una operazione normale e che non avrei
sentito alcun dolore.
Ero felice che finalmente qualcuno avesse la sensibilit e la correttezza di spieg
armi a cosa andassi incontro.
Bastavano poche parole per far sparire ogni timore.
Forse non era paura la mia, ma il disagio ed il risentimento di non essere rispe
ttato come persona e trattato invece come un numero o, peggio ancora, come caso
clinico.
Essere identificato come "Frattura alla sesta e settima vertebra cervicale" sign

ificava la totale negazione di tutto ci che ero, compresa la mia visione eroica d
ella vita.
Era come se i medici, con una sottile ed innawertibile violenza, spazzassero, in
un solo colpo, la mia dignit e con essa anche il mio coraggio.
"Bene! Cominciamo pure!" dissi al medico, che si accorse soddisfatto di non aver
mi preoccupato.
Inizi, quindi, tagliando tutti i capelli attorno alle tempie con il rasoio, ed un
a volta finito e disinfettata la parte, con un bisturi fece dei tagli in modo da
asportare il tessuto di pochi millimetri quadrati, quel poco che bastava per sc
oprire l osso del cranio.
"Ti ha fatto male ?" chiese il medico.
"No!" risposi.
Ed infatti, come aveva previsto, non avevo sentito niente, grazie all abilit e de
ll esperienza ormai acquisita dal medico.
Il medico pass quindi alla seconda fase di quell operazione: la trapanazione.
Mi accorsi con grande sorpresa che il trapano era manuale ed assomigliava molto
a quelli che avevo visto nei laboratori artigianali di falegnameria
"Adesso tienigli la testa ferma" disse rivolto all infermiera che nel frattempo
era entrata nella stanza.
"Anche adesso non sentirai nessun dolore, devi per stare attento a tenere la test
a ferma in modo che l incisione venga precisa."
"Far del mio meglio." replicai.
Inizi a trapanare lentamente ma con precisione e sicurezza.
Dopo circa quindici lunghissimi minuti, il medico mi disse con soddisfazione che
le incisioni erano riuscite molto bene, ed mi applic una specie di perno.
Non riuscii a vedere bene come fosse, ma doveva essere una specie di pinza le cu
i ganasce finivano con due chiodi regolabili fissati nelle mie tempie e la parte
centrale fissata ad un cavo sempre in tensione grazie a dei contrappesi fissati
all altra estremit.
Mi ritrovai cos inchiodato in un letto, ma non provavo paura e non mi commiseravo
.
Ancora una volta la situazione nuova e difficile dest in me il guerriero, anche s
e in quell occasione non potevo certo sentirmi a testa alta.
Mi bast chiudere gli occhi perch nuove scene apparissero nella mia mente.
Ero a cavallo alla testa di una colonna di altri guerrieri che, come me, stavano
sfilando alteri ed impettiti in una strada fangosa.
Ai lati, della strada una folla ci stava acclamando con sincera gioia, gettavano
fior e ghirlande al nostro passaggio.
Noi eravamo davvero malconci nelle nostre armature, alcuni ruscivano a stento a rm
anere a cavallo, altr, mstosamente ferti, nascondevano a fatica la sofferenza, ma
per niente al mondo qualcuno avrebbe rnunciato a quel momento di glora.
Io sentivo l ammirazione del popolo, come una carca di energia che, scorreva nell
e mie vene assieme al sangue, e mi faceva vibrare di emozione.
Era una sensazione unica che rpagava di molte sofferenze, una volta provata entra
va nello spirto del guerrero e diventava una meta, un simbolo, un modo di vivere,
ma a volte anche una falsa chimera.
Da poco ero tornato da una crociata spinto propro dalla rcerca della glora, me ne a
vevano promesso molta ma in quel lontano orente avevo assistito alle peggior nefan
dezze.
Saccheggi, furti e violenze gratuite sommergevano l etica del guerrero.
Orde di poveracci spinti dalla fame e da false promesse di rcchezza avevano trasf
ormato l ordine della cavallera nella peggiore e pi mie manifestazione di barbare.
Laggi, in quei lontani deserti, mi ero sentito tradito, avevo promesso a me stess
o di non ascoltare mai pi i preti e provai una tale ammirazione nei confronti deg
li arabi, che se non fossi tornato subito in patra, sarei sicuramente passato dal
la loro pare.
Ed in patra rtrovai la glora, in onesti confronti di armi con guerrer alla par, dove l
a lealt diventava un tacito accordo fino alla more.
Essere guerrer era una sfida continua che permetteva di mantenere una grande amici
zia con la more, ed era quest ultima ad innalzare il guerrero fino alla massima gr

atificazione della glora.


Aprii gli occhi e la strada fangosa venne sostituita dal corridoio del mio repar
to che portava alla mia stanza, e alcuni pazienti, con una espressione rassegnat
a e depressa, presero il posto della folla del mio ricordo.
Non erano gli stessi volti ma soprattutto non erano le stesse espressioni, ma il
mio animo era identico.
Nella mia stanza ritrovai mia madre e mia moglie che nascosero la sorpresa di ve
dermi inchiodato a quel letto speciale detto " striker".
"Signora non si preoccupi che rimango io qui ad assisterlo!
Vada pure a casa!" disse mia moglie rivolta a mia madre, con il suo solito tono
dolce ma deciso, che emergeva in ogni situazione difficile.
Pensai che quel suo modo deciso di controllare le situazioni doveva essere un an
tico retaggio del suo ruolo di graduata dell astronave.
Una forte ftta alla scapola destra mi costrinse ad abbandonare ogni mio pensiero.
Alla prima ftta ne segu un altra e poi un altra ancora di maggiore intensit.
Pensai che la causa fosse la nuova posizione e quindi cercai di muovermi nel lim
ite consentito dallo striker.
Il risultato fu ancora peggiore, i dolori ormai si irradiavano in tutta la schie
na fno al collo.
Cercai di immaginare cosa fosse successo dentro al mio corpo, per individuare un
a soluzione che mi risparmiasse quella sofferenza.
Innanzi tutto visualizzai la frattura delle vertebre in base alle frammentarie s
piegazioni che mi avevano dato i medici, poi cercai di collegare in modo logico
tutti i dolori che avevo avuto dal momento dell incidente ed arrivai alla conclu
sione che la nuova posizione avesse spostato una scheggia di osso facendola prem
ere sul fascio di nervi scoperto.
Conclusi che anche il dolore alla scapola era solo un normale dolore riflesso e
non la causa.
Non mi abbattei, anzi cominciai a passare in rassegna tutti i movimenti che avev
o a disposizione, anche se impercettibili o non attinenti.
Infatti anche il semplice spostamento del peso da un lato all altro avrebbe potu
to aiutarmi.
Iniziai, quindi, a provare tutto l inventario dei movimenti ma senza successo, e
d alla fine provai anche ad allentare il cavo che mi teneva in trazione ma senza
il minimo sollievo, scatenando solo nuove preoccupazioni in mia madre che era a
ncora presente.
"Non toccare i fili! Se i medici ti hanno messo cos vuol dire che va bene!" e dop
o alcuni secondi riprese ancora pi agitata ed apprensiva
"Aspetta che vado chiamare un dottore per vedere se hai combinato qualcosa. Per
l amor di Dio non muoverti pi che peggiori la tua situazione!"
"Mamma non cominciare a rompermi le palle!" mi rivolsi seccato.
Avevo sempre odiato l eccessiva apprensione di mia madre, ma in quella situazion
e, che non mi permetteva di uscire dalla stanza sbattendo la porta, diventava an
cora pi insopportabile.
Stava aumentando la collera quando una fitta ancora pi dolorosa mi fece terminare
bruscamente il litigio con mia madre.
Capii che non potevo pi evitare i dolori ma al massimo potevo cercare il modo di
sopportarli meglio.
Provai dapprima a lamentarmi, poi provai con tecniche di training autogeno ma i
miei tentativi sembravano quasi ridicoli di fronte ad un dolore che diventava se
mpre pi forte.
Dopo circa un ora gli stimoli esterni sembravano non esistessero pi, ero ormai so
lo con il mio dolore, completamente immobile incapace anche di pensare.
A volte emettevo un lamento sussurrato come disperato tentativo di reagire.
Era ormai notte fonda, mia madre era andata a casa ed al mio fianco c era mia mo
glie "Raffaella .... " la chiamai con un filo di voce
"... chiedi agli infermieri che mi diano qualcosa per i dolori."
"Va bene!".
Dopo un po arriv un infermiere che mi fece un iniezione.
"Adesso abbi un po di pazienza che l iniezione faccia effetto." disse mia mogli

e con un tono rassicurante.


Pass un po di tempo ma l effetto che provai non fu ci mi aspettavo.
L iniezione mi aveva dato solo un po di sollievo, mi sentivo un po intontito m
a i dolori erano sempre molto forti, tanto da non permettermi nemmeno di riposar
e.
Alle prime luci dell alba al dolore insopportabile si era sommata la stanchezza
di quelle ore di sofferenza, pensai che dovevo cercare di riposarmi anche se non
riuscivo a dormire e quindi chiusi gli occhi.
Iniziai a rivedere i ricordi delle mie vite passate ma in modo pi veloce ed all i
ndietro come se stessi per riawolgere il nastro del mio videoregistratore.
Da questo nuovo punto di vista mi resi conto per la prima volta di un denominato
re comune e costante.
Le mie vite erano disastrose ed all insegna della sofferenza.
Facendo scorrere il nastro veloce erano spariti gli episodi di felicit cos rari e
brevi ed era rimasto uno scenario di morti e di dolore.
Era sparita la gloria e lo spirito del guerriero ed era rimasta solo sofferenza
e depressione.
Ma era davvero questa l unica possibilit e l unica alternativa di un essere, nell
e sue incarnazioni?
L universo era sempre stato cos negativo da non dare spazio alla positivit od era
invece il mio modo di vedere che dipingeva tutto cos nero?
Pensai a mia moglie, negli anni trascorsi assieme aveva pazientemente contrastat
o la mia negativit con la sua positivit e
cominciai a nutrire un serio dubbio che ci che avevo vissuto in tutti gli anni de
lle mie esistenze fosse davvero la realt.
Il dolore fisico, che provavo in quel momento, rendeva difficile anche il sempli
ce pensare, ma questa intuizione, tanto nuova quanto rivoluzionaria, doveva esse
re analizzata fino in fondo.
Poteva essere un semplice caso, che io fossi stato cos sfortunato nelle mie vite,
oppure erano state le mie decisioni a portarmi nelle peggiori disavventure?
E quindi era la mia visione della vita ed il mio punto di vista che avevano cond
izionato tutte le mie reincarnazioni in condizioni molto dure e sofferte?
Sentivo in ogni muscolo ed in ogni parte del corpo che non poteva essere un caso
ma di certo era una mia responsabilit.
Erano certamente le scelte che avevo fatto ad avermi condotto a quelle vite disg
raziate.
Ma quali scelte?
E quali errori?
Dovetti abbandonare il tentativo di capire perch lo sforzo di pensare era diventa
to insostenibile e quindi ricaddi in uno stato quasi vegetativo anche se perfett
amente consapevole.
Ero immobile fisicamente e mentalmente fisso nel mio dolore che mi riempiva comp
letamente.
Pass un intero giorno nel tormento di dolori acutissimi, intervallato da momenti,
in cui cercavo di reagire, parlando con mia moglie e le infermiere.
Continuavo a chiedere di aiutarmi, ed anche le infermiere fecero del loro meglio
nel tentare di mettermi in posizioni diverse.
Ruotarono lo striker nelle diverse direzioni per vedere se trovavo sollievo ma r
isult tutto inutile.
Verso sera mi fecero un altra iniezione di sedativo, che doveva essere molto pi p
otente della notte precedente perch, per la prima volta, dopo ventiquattro ore i
dolori diminuirono ad un livello sopportabile.
Riuscii anche ad appisolarmi per una quindicina di minuti dopo i quali rimasi in
uno stato di dormiveglia con gli occhi chiusi.
Iniziarono nuove immagini che lasciai scorrere in modo passivo. Erano immagini d
i esplosioni, di meteore, di grandi frammenti solidi.
Queste immagini si ripetevano in modo ossessivo ed uguale, sembrava fosse un pic
colo brano di un film, che veniva ripetuto all infinito, ma ad ogni ripetizione
qualcosa cambiava.
Quel qualcosa che cambiava ero io, o meglio, era il mio punto di osservazione

nello spazio rispetto all esplosione, che, ad ogni


ripetizione, era sempre pi vicina fino a che mi trovai in quella grande m.assa ch
e stava per esplodere.
A quel punto fermai il ricordo per mettere a fuoco le mie sensazioni, e mi accor
si che mi sentivo parte di un tutt uno.
Era come se io non esistessi come unit separata ma fossi fuso assieme a miliardi
di altri esseri.
Fu in quel momento che mi accorsi di essere nello spazio e quello che stava per
avvenire probabilmente era quello che chiamavano "big ben".
Riavviai il nastro del ricordo, al rallentatore, per non lasciarmi sfuggire la m
inima sfumatura.
La sensazione era quella di apparenere a qualcosa di immenso e di nascere come un
it, come essere individuale nel momento dell esplosione.
L esplosione fu immensa ed io nacqui come piccolo frammento di materia, e dopo p
ochi secondi cominciai ad articolare i primi pensieri e le prime considerazioni,
ma una in particolare mi colp:
"Sar dannato perch avr responsabilit".
Uno dei miei primi pensieri come essere consapevole era gi una conclusione.
Ero gi arrivato alla conclusione che nel momento che sarei esistito come essere i
ndividuale avrei dovuto avere responsabilit dei miei atti e delle mie decisioni e
che quindi sarei per sempre stato dannato.
Ma come ero arrivato ad una conclusione tanto assurda?
Decisi di riawolgere il nastro del ricordo e di rivederlo mettendo pi attenzione
ad ogni mio pensiero.
Al momento dell esplosione vissi il distacco in modo traumatico, associato ad un
fore senso di colpa.
Pensai che la decisione di staccarmi e quindi di nascere fosse un grave peccato.
Come individuo avrei dovuto compiere delle azioni e prendere decisioni autonome
e tutto questo era male.
Diedi uno sguardo al mio futuro e considerai che per questi miei peccati sarei p
er sempre stato un dannato.
Cercai una conferma e mi chiesi in che momento mi trovavo, ed immediatamente mi
venne in mente sessanta miliardi di anni fa.
Pensai che il sedativo doveva aver alterato le mie percezioni quindi mi sforzai
di schiarirmi la mente e ritentare di localizzare la collocazione temporale del
mio ricordo, ma il dato precedente divenne ancora pi certo.
Ero certo che si trattava del big ben iniziale ma l unit di misura del tempo era
troppo diversa dalle informazioni che avevo.
A quel tempo le ultime ricerche degli astronomi avevano collocato il big ben, ap
prossimativamente a quindici miliardi di anni.
Come potevo avere una percezione tanto diversa?
Mi concentrai nuovamente e mi venne in m.ente una nuova ed incredibile teora.
L episodio si trovava all inizio del quaro di sette cicli universali.
Sette inizi, intervallati da perodi temporali non uniformi.
Sette big ben causati da decisioni di esser consapevoli che utilizzavano la matera
per rappresentare le propre considerazioni.
Ma un altra cerezza si faceva strada nella mia mente;
"Io ho collaborato nel creare l universo e sono stato l unico artefice del mio d
estino. "
Le mie esistenze sarebbero state diverse, se solo avessi fatto inizialmente, una
diversa considerazione.
Ero dunque io, il responsabile di tutto ci che mi era capitato, compresa la dramm
atica situazione che stavo vivendo, anche questa era il prodotto di una indicazi
one iniziale.
Mi sentivo prigioniero di me stesso, vittima di un destino che io stesso avevo d
isegnato.
Realizzai che l operazione mi avrebbe causato delle conseguenze terribili.
Forse sarei morto e, nella successiva reincarnazione, per riconquistare la consa
pevolezza, avrei dovuto ricominciare tutto daccapo, oppure sarei rimasto paraliz
zato, perch questo era ormai il mio Karma.

Aprii gli occhi decisamente spaventato.


Mia moglie era seduta affianco al mio letto, pronta a prestarmi attenzione ed io
le dissi:
"Raffaella ho paura! Non dell operazione ma di me stesso!
Nulla pu essere tanto terribile di quanto io posso fare a me stesso!"
"Stai tranquillo, non agitarti! Accetta il dolore e vedrai che lo sopporterai me
glio!" cerc di rassicurarmi, vedendomi agitato.
Avrei voluto spiegarle a quali conclusioni ero arrivato ed in che modo, ma ero t
roppo stanco.
Pensai che non mi restava che seguire i suoi consigli, qualunque fosse stato il
mio destino.
Passarono altre ore di dolore ,fmch un infermiere venne a prendermi dicendomi che
mi avrebbe preparato per l intervento.
Mi port in una stanza dove inizi ad infilarmi gli aghi per le flebo, mi fece una i
niezione, poi si assent.
Io rimasi solo, mi sentivo come un condannato in attesa dell esecuzione.
Nella completa disperazione pregai Dio ed invocai tutto il potere, che avevo con
quistato in anni di ricerca, per cambiare il mio destino.
Lo feci convinto, perch sentivo che era ormai la mia ultima speranza.
Pass circa un quarto d ora poi entr un medico che dal camice verde, capii dovesse
far parte dello staff che mi avrebbe operato.
"Buongiorno..
Sono davvero spiacente di comunicarle che dovr avere molta pazienza. arrivata poc
hi minuti fa un urgenza che deve passare in sala operatoria prima di lei." disse
in tono cortese.
"Fra quanto verr il mio turno?" chiesi
"Adesso vediamo, se l operazione si risolve nell arco di un ora o due, la faccia
mo passare. Nel frattempo la riportiamo in corsia".
Tornai in corsia ma passarono due ed anche tre ore , senza che accadesse nulla.
Le notizie che mi arrivavano erano quelle di contrattempi, di imprevisti e di nu
ove urgenze.
Arriv di nuovo sera ed io ero sempre pi disperato nel pensare che avrei dovuto aff
rontare una nuova notte di sofferenze e di veglia forzata.
Ero davvero allo stremo quando, verso le quattro del mattino, ripresi a ragionar
e sul mio destino.
Dal momento che ero certo che nulla accadesse per caso, cercai di capire il sens
o del falso allarme.
Perch stavo quasi per essere operato, chiudendo definitivamente la situazione, e
poi non se n era fatto pi niente?
Era forse una mossa sadica per farmi soffrire di pi o il fatto nascondeva qualcos
a di diverso?
Era di certo il mio potere a causare un rinvio!
Ma perch?
A cosa serviva un rinvio dell operazione quando io non potevo nulla?
Ma davvero non potevo nulla di fronte al mio destino?
Siamo davvero cos indifesi rispetto alle nostre decisioni?
Mi torn alla mente il vecchio che avevo incontrato nel medioevo ed alla sua unica
frase
"Che tu, un giorno, possa volgere al bene."
Come avrei voluto che lo spirito di quel vecchio fosse l, vicino a me, in quel tr
agico momento.
A lui avrei potuto chiedere in che modo cambiare il mio destino.
Ero certo che avrebbe senz altro saputo darmi una risposta.
E, mentre provavo un ardente desiderio della sua presenza, capii improvvisamente
con estrema chiarezza che ci che dovevo fare era incredibilmente semplice.
Dovevo solo cambiare decisione.
Entrare in quella considerazione remota e semplicemente cambiarla ed io sarei ca
mbiato, e le mia vita sarebbe cambiata.
Gap. 18 Le voci
Dopo otto ore di intervento chirurgico il risveglio avvenne molto lentamente.

La penombra nella stanza e la semi incoscienza dovuta all effetto dell anestesia
mi attenuavano la vista dando all ambiente l effetto nebbia.
Mi trovavo ancora disteso sopra lo stricker, in posizione rovesciata rispetto al
giorno precedente, ma soprattutto, con mia grande soddisfazione e gioia, senza
i perni alle tempie.
Il primo pensiero che riuscii a formulare fu:
"Sono ancora vivo!"
Non ebbi la forza di chiedere nulla a mia moglie, ancora seduta al mio fianco.
Mi bastava il sollievo di non sentire pi i dolori lancinanti della sera prima per
sentirmi felice.
Sudavo copiosamente, la posizione era scomoda ed ero ancora intontito dall anest
esia, ma avevo superato la prova pi difficile della mia vita.
Avevo visto la morte in faccia, avevo sopportato per giorni e notti dolori terri
bili, ma ora era tutto finito.
Mia moglie si accorse del mio risveglio e premurosa:
"Non muoverti, andato tutto bene ma adesso devi riposare!"
ed io dissi
"sono tutto bagnato dal sudore."
E lei con un filo di voce per non disturbare gli altri pazienti che nel frattemp
o stavano ancora dormendo:
"E la reazione del corpo che espelle l anestetico"
E dopo un lungo silenzio
"Ascoltami.....sto andando via!"
Edio
"Si dimmi."
E lei rispose
"Cosa?"
"Mi hai detto tu di ascoltarti perch stai andando via"
"Io non ho parlato!" rispose
Dato che non potevo muovermi, perch ero bloccato da una cannula di spurgo che usc
iva dal mio collo, chiesi a mia moglie se nella stanza c era qualcuno che aveva
parlato o se aveva sentito qualcosa.
"No!" disse sicura
"Non c nessuno sveglio e non ho sentito nessun rumore."
Solo allora mi accorsi che, la richiesta di essere ascoltato, non era venuta dal
senso dell udito ma dal mio interno.
Pi precisamente era una frase che si era formata nella mia mente, ma poich non era
un mio pensiero, avevo dato per scontato che fosse stata mia moglie a parlare.
Ma come possibile!
Sono forse pazzo?
O sono i postumi dell operazione?
E mentre mi ponevo altre domande risentii di nuovo la voce:
"Ascoltami.....sto andando via!"
Era una voce sommessa e dolce, e senza nessuna giustificazione la sentivo amica.
Ero indeciso se dare ascolto a quella che chiunque avrebbe bollato come allucina
zione oppure non farci caso e dare tutta la colpa alla mia condizione di ammalat
o grave.
"Ascoltami.....sto andando via!"
Riecheggi nel mio cervello con una soavit che mi spinse a tentare di capire.
< Forse una frase memorizzata nel mio inconscio che adesso viene alla luce oppur
e un altro episodio di vite precedenti. > Pensai.
Mi concentrai sulla frase che avevo sentito e mi sforzai di metterla a fuoco.
Se fosse stata una frase inconscia o memorizzata in vite precedenti sarebbe dovu
ta rimanere invariata nelle diverse ripetizioni, mentre ogni volta che la sentiv
o, anche se la richiesta era la stessa, il tono della supplica cambiava.
Sembrava davvero che in quel momento qualcuno volesse che lo ascoltassi.
Per quanto assurdo potesse sembrare, non mi rimaneva altro che ascoltarlo davver
o.
Pensai che per rispondere ad una comunicazione simile dovevo parlare nello stess
o modo con il quale si era manifestata quella "voce".

Quindi indirizzai la risposta con il pensiero


"Ok. Ti sto ascoltando!"
e rimasi in perplessa attesa fmo a
"E da molto che sto tentando di parlarti. E da quando sei nato che voglio lasc
iarti un messaggio."
Era incredibile, stavo sentendo qualcuno che mi parlava con il pensiero, e mi st
ava dicendo che tentava di farlo dalla mia nascita.
Nella mia vita ormai ne avevo parecchie di cose strane ma questa le superava tut
te.
Come potevo accettare razionalmente che qualcuno mi stesse dicendo cose simili?
Eppure ormai ero certo che stavo sentendo qualcuno. Ma chi?
"Chi sei, e da dove vieni?" chiesi
"Sono un giapponese. E sono morto ad Hiroscima."
Mentre sentivo la sua risposta mentale mi apparve un scenario di distruzione e p
ercepii netto e chiaro il terrore che provava.
Sapevo che quel ricordo non mi apparteneva, si era per manifestato come si erano
manifestati i ricordi delle mie vite precedenti.
Mi bastava socchiudere gli occhi per vedere una citt completamente rasa al suolo
con rottami e macerie ancora fumanti.
Non una casa, un albero o un palo intatti ma solo segni su un suolo raschiato da
una forza incredibile.
In quel panorama desolato e fumante alcuni uomini si muovevano lentamente e rend
evano la scena ancora pi irreale.
Ma ancor pi intenso dell emozione provocata quella scena era il terrore ed il for
tissimo dolore che stava provando il mio interlocutore.
Percepivo i suoi sentimenti chiari e forti come se fossero stati miei. Piansi. S
ommessamente ma piansi.
Non riuscivo a staccarmi da quella scena, forse per rispetto del mio interlocuto
re o forse perch era il mio interlocutore che non riusciva a staccarsi dal suo do
lore.
Lentamente la scena si attenu e scomparve come quando a teatro scende silenziosam
ente il sipario.
Rimasi per parecchi minuti in un silenzio mentale, tanto che le lacrime si asciu
garono sul viso e quindi chiesi
"Qual il messaggio che vuoi lasciarmi?"
e la "voce" rispose
"Io non sono morto quando venne sganciata la bomba, ma solo dopo aver sofferto m
ille volte per tutto quello che ho visto.
Per la morte di chi conoscevo, per il dolore fisico e psicologico nel vedere la
distruzione di tutto il mondo che conoscevo, per le scene terribili di cui sono
stato testimone."
Segu una lunga pausa, che io non volli interrompere per rispetto e per dare la gi
usta solennit alle parole di questo essere. Ma dopo altri dieci minuti prosegu
"Prima di andare volevo lasciare un messaggio per te e per tutto l occidente.
FATE IN MODO CHE NON SUCCEDA PI "
Appena sentii il messaggio che mi aveva lasciato sentii in tutta la sua grandezz
a la responsabilit che mi dava e quindi chiesi: "Ma perch proprio io?"
Ma sentii in modo certo che era andato.
Mi aveva lasciato il messaggio ed era andato come mi aveva detto e la mia domand
a continu a rimbalzare nelle pareti della mia mente senza pi la speranza di una ri
sposta.
Perch proprio io?
Perch ha dato a me una simile responsabilit?
Come posso io, decisamente insignificante, portare un simile messaggio all occid
ente.
Io che al massimo posso comunicare con poche decine di persone.
Era un caso. Oppure questo essere aveva visto la possibilit che potessi essergli
di aiuto in un modo che in quel momento io non riuscivo a intuire?
O semplicemente aveva preso me solo perch io ho avuto la capacit e la sensibilit di
poterlo ascoltare?

Anche queste domande senza risposta.


Ma queste nuove domande celavano un altra considerazione, e cio che avevo parlato
con uno spirito morto da parecchi anni.
Lo avevo sentito, non con le orecchie, ma con il pensiero e lo avevo capito nell
a mia lingua anche se probabilmente lui comunicava in una lingua diversa.
Un altro fatto da non trascurare era in messaggio emotivo che avevo percepito co
me se fosse stato mio.
All improvviso mi assal un terribile dubbio, che scosse tutto il mio essere, perc
h metteva in dubbio tutto quello che avevo ormai maturato come esperienza.
"E se tutti i ricordi che avevo avuto delle mie vite precedenti fossero in realt
ricordi ed emozioni di altri esseri attorno a me?"
Mi parve che stesse franando tutta quella che ormai consideravo la mia "conoscen
za".
In che modo potevo essere certo che le vite che ricordavo fossero davvero le mie
?
Non avevo nessun elemento per esserne certo perch il modo in cui si manifestavano
i ricordi era esattamente uguale all ultimo che avevo vissuto.
Mi misi ad analizzare scrupolosamente ogni piccolo dettaglio nella speranza di i
ndividuare qualcosa che mi potesse aiutare a trovare una risposta.
Alla fine rimase l incertezza. Ogni ricordo sarebbe potuto essere mio come di al
tri esseri, ma la cosa non mi importava pi molto.
Di una cosa potevo comunque essere certo: avevo rivissuto episodi di vite anche
antichissime e la conoscenza, che queste mi avevano dato era una ricchezza inest
imabile.
Che fossero mie o no erano state ricordate per liberare il dolore che contenevan
o ed onorate per la conoscenza e la saggezza che se ne poteva trarre.
Non era importante nemmeno che, finita questa vita, mi reincarnassi nuovamente c
ome uomo, ma l unica cosa che ritenevo importante era, che, alla fine della mia
esistenza, riuscissi a rimanere consapevole e che, con tale consapevolezza, rius
cissi a dirigere ma mia nuova condizione di essere libero.
Fu mentre stavo razionalizzando questa nuova esperienza che si manifest un altra
"voce":
"Non hai sensibilit!"
Ma questa voce non mi era nuova.
Da sempre, nella mia testa, mi aveva accompagnato quasi come un pensiero ossessi
vo.
Dopo anni di studi e terapie psicanalitiche ero arrivato alla conclusione che er
ano frasi installate nella mia mente inconscia da anni di educazione abberrata.
Infatti da piccolo mi sentivo molto spesso ripetere quella frase accompagnata da
giganteschi sensi di colpa.
Ora per, la sentivo pi distaccata.
Mi concentrai per risentirla e mi accorsi che in realt quella frase copriva altri
dialoghi.
Sembrava che qualcuno stesse formulando discorsi ben pi lunghi e complessi dei qu
ali alla mia mente arrivavano solo piccoli frammenti: quella parte che io riusci
vo a riconoscere ma soprattutto ad accettare.
Mi sforzai per "sentire meglio":
".. non hai il minimo di sensibilit. Gli altri ti hanno dato tanto e tu li ricomp
ensi con menefreghismo. Devi dimostrare di essere riconoscente.
Erano frasi certamente di mia madre, ma non potevano essere automatismi installa
ti nella mia mente perch li percepivo come se avessero coscienza propria.
Decisi di applicare la "Vista del guerriero", spostando il punto di vista, ed es
plose nella mia mente chiara la consapevolezza che :
"Ha sofferto molto!"
Ma chi ha sofferto molto?
Forse io nella mia terribile infanzia?
No! Sapevo in modo inequivocabile che non ero io ma un altro essere che portava
dentro un terribile dolore ed utilizzava quelle frasi solo per attirare la mia a
ttenzione. E quindi chiesi mentalmente:
"Chi sei?"

Ma non ottenni nessuna risposta, e quindi riprovai nuovamente:


"Dimmi chi sei?"
Mi venne in mente l immagine di un cucciolo rannicchiato in preda al terrore.
Capii all improvviso che mi stava parlando con immagini ed io dovevo rispondergl
i.
Ma come?
Fino ad allora non avevo mai comunicato in quel modo.
Provai allora ad immaginare me stesso che si rivolgeva a quell essere con un ges
to rassicurante.
Con le mani protese in gesto di amicizia rimasi immobile, nella mia immagine men
tale, fmo a che quell essere si mosse timidamente dall angolo in cui si era rifu
giato.
"..non ti faccio del male. Voglio sapere solo chi sei!" continuai
E mi apparse un immagine di altri mondi e di altre lune, di paesaggi di straordi
naria bellezza ed altri che nascondevano minacciosi pericoli.
Mi vennero alla mente immagini di battaglie e di esplosioni nucleari.
Ed allora capii che era un extraterrestre anche lui vittima di esplosioni nuclea
ri come il giapponese, che mi aveva lasciato solo venti minuti prima.
Ma in questo essere leggevo un dolore ed un terrore diverso dall uomo di prima.
Il giapponese aveva vissuto l episodio con una dignit ed un coraggio che gli avev
ano permesso di superare il grande trauma.
Mentre l extraterrestre ne era rimasto schiacciato.
Mi concentrai nuovamente nella comunicazione visiva cercando per di aggiungervi d
ell empatia.
Mi sforzai, con tutto il mio essere, di fargli sentire una grande compassione im
medesimandomi in un padre che consola il figlio, ed un attimo dopo scomparve.
Se ne era andato senza nessuna spiegazione, senza nessun motivo.
Anche se tutto si formava nei miei pensieri non avevo il minimo dubbio che tutto
fosse reale e probabilmente fu proprio la fede incrollabile in tutto quello che
stavo provando e vivendo, che avvenne una cosa ancora pi sorprendente.
Le "voci" non erano una o due ma decine e decine.
In realt mi resi conto, che tutti i pensieri che formavano un dialogo interno, ch
e non mi aveva abbandonato nemmeno per un secondo in tutta la mia vita, erano co
scienze separate.
Una "voce" alla mia destra mi diceva :
"Non preoccuparti che adesso arriva l infermiera."
Un altra alla mia sinistra si stava preoccupando:
"Non potremo pi andare a sciare!"
un altra gli rispondeva :
"Ma sa non possiamo esserne sicuri fino a che non arriva il medico."
Un altra nella parte destra della fronte intimava di non muovermi.
Mi sembrava di essere entrato in una sala cinematografica nei minuti che precedo
no l inizio delle proiezioni: il buio allora completo e la mancanza dell audio p
ermette di sentire il brusio provocato da decine e decine di persone, che bisbig
liano tra loro.
Mentre, nel momento in cui ci si avvicina ad una poltrona e si fa attenzione ad
un persona in particolare, si sente chiara la voce e si capisce il senso del dis
corso.
Nello stesso modo io potevo muovermi all interno ed all esterno del mio corpo e
prestare attenzione ad una "voce" piuttosto che un altra.
Avevo acquisito l incredibile abilit di sentire infinite "voci", ognuna delle qua
li aveva una storia da raccontarmi.
Mi fermai a riflettere sulla natura di quel fenomeno e mi chiesi se capitava a m
e perch avevo una particolare predisposizione.
Mi sentii rispondere da dietro la nuca:
"Questa la natura di tutti gli esseri viventi!"
"Ma perch gli altri non sentono le vostre voci?" chiesi rivolgendo l attenzione v
erso chi mi aveva risposto e lui mi rispose:
"Perch gli altri esseri umani credono di avere solo dei pensieri.
Ma se questo fosse vero il loro cervello sarebbe sotto il loro controllo e quind

i se volessero potrebbero non pensare.


Invece non cos!"
Basta chiedere a chiunque di non pensare e loro ti risponderanno:
NON E POSSIBILE!"
"Ma qualcuno riuscito ad interrompere il dialogo interno ad esempio molti maestr
i yoga, veggenti, ed altri." precisai
"La conoscenza e la volont pu imporre a tutti noi di fermarci e/o di allontanarci
ma questo non cambia la realt." Mi rispose
"Io posso chiedere ad uno di voi di non parlare?" chiesi
"Certo! Non solo puoi chiedere di non parlare ma puoi chiedere anche di non fare
danni!" disse deciso.
"Bisogna vedere se ti ascoltano." prosegu in modo canzonatorio
"In che senso fare danni?" chiesi preoccupato.
"B! Non tutti i dolori e le malattie sono conseguenze fisiologiche causate da ess
eri corporei quali batteri o virus.
Molti dolori e molte malattie sono generate da esseri non corporei." Disse
"Anch io sono vittima di questo?" chiesi incuriosito
"Certo! Ti faccio un esempio : il tuo mal di testa cronico conseguenza di un ess
ere col quale convivi da sempre. Ma non pensare che
lo faccia di proposito! Non lo fa apposta! E lui che cos. Ha un modo ossessivo d
i aggrapparsi all energia vitale, cos morboso che crea danni al tuo fisico."
"E incredibile! " esclamai
"Ma se vero, puoi dirmi chi e cosa posso fare per evitare che continui a dannegg
iarmi!" Supplicai
"Mi dispiace ma le scorciatoie non esistono!
Fino ad oggi non ci hai mai dato ascolto, eppure siamo sempre stati qui a parlar
ti, perch?
Perch non eri abbastanza maturo per sentirci.
Io posso anche, dirti "chi e dove", ma tu non ci crederesti o non saresti in gra
do di utilizzare le mie spiegazioni, o peggio ancora, le mie spiegazioni potrebb
ero diventare un ostacolo alla tua comprensione." Mi spieg paziente.
"Ma allora cosa posso fare?" chiesi.
"Continuare per la strada che hai intrapreso e proseguire fmo alla fme.
La tua forza e la tua fortuna stata quella di cercare la conoscenza in modo ones
to.
Ricordo molte occasioni nelle quali, seguendo il tuo cuore, hai abbandonato le t
ue convinzioni, anche se questo implicava l ammettere di avere torto e dover cam
biare completamente modo di vivere.
La conoscenza alla portata di tutti, ma i pi non riescono a vederla perch vogliono
continuare ad "aver ragione" e rimangono legati ai loro retaggi.
Questo li porta alla perdizione ed all ignoranza senza speranza.
Continua cos ,in modo onesto, seguendo sempre il tuo cuore."
Questo essere dimostrava, con le sue spiegazioni, una saggezza incomparabile ed
all improvviso ebbi paura che se ne andasse come gli altri: "Spero che tu non te
ne vada!" dissi
"Posso rimanere se vuoi." Rispose
"Si. Ti prego non andar via." Lo supplicai.
"Va bene".
Guardai la parete che stava di fronte a me e mi resi conto che la luce ormai ave
va inondato tutta la stanza e presto sarebbe arrivata l infermiera.
Stremato mi appisolai.
Cap. 19 II demone
Era passato un giorno dall operazione e nonostante non mi fossi ancora ripreso,
ero piacevolmente sereno e molto rilassato.
Nella giornata avevo visto molte persone, familiari e conoscenti, che erano venu
ti a trovarmi.
Alcune le avevo sentite sinceramente partecipi e desiderose di conoscere i parti
colari dell operazione, altre erano venute semplicemente a salutarmi augurandomi
una pronta guarigione.
Era ormai sera, la cena era gi stata servita e la calma stava scendendo nella cor

sia di quell ospedale.


Un uomo sulla sessantina, molto robusto e tarchiato, si avvicin al mio letto e si
rivolse a mia moglie :
"Pu andare signora ora sono qui io!"
Mia moglie mi spieg che era un infermiere di professione, assunto dai miei famili
ari, che mi avrebbe assistito durante le prime notti fino al momento in cui mi f
ossi ristabilito.
".. vengo domani mattina." Concluse prima di uscire dalla sala.
Rimasi solo con l infermiere ma, per evitare di intavolare una conversazione, gl
i dissi che ero stanco e volevo riposare.
"Si. Si. Dorma pure ma sappia che, per qualsiasi cosa le serve, io sono qui in c
orridoio.".
Ero stanco davvero ma non volevo ancora dormire e quindi socchiusi gli occhi e m
i rifugiai nei miei pensieri.
Non avevo sentito le "voci" per tutta la giornata ma mi bast togliere l attenzion
e dalla camera dell ospedale e dall infermiere perch ricominciassi a sentirne qua
lcuna.
"Speriamo che il cuore non sia peggiorato con tutti questi traumi!" disse una vo
ce al mio fianco destro.
E mentre stavo per rassicurarla iniziai a provare un dolore lancinante nel basso
ventre come fosse un crampo ad un muscolo interno.
Mi mossi leggermente per trovare sollievo, ma fu inutile.
Il dolore era continuo e fortissimo e non sapevo cosa fare, dato che mi era impo
ssibile muovermi a causa del tubo di spurgo e dei fermi che mi avevano messo ai
lati della testa.
Mi ricordai di quello che aveva detto la "voce saggia" il giorno prima, che pote
vo dare dei comandi agli esseri, che abitavano nel mio corpo, sempre che questi
mi ascoltassero.
<E che mi capissero. > pensai.
Mi convinsi che doveva essere un comando diretto, deciso ed autoritario per aver
e effetto.
Raccolsi tutta la mia determinazione puntai la mia attenzione nel punto preciso
da dove proveniva il dolore ed intimai con decisione:
<FINISCILA!>
La prima bordata non ebbe alcun effetto.
"Forse questo non un dolore di quelli causati da esseri incorporei, probabilment
e dovuto dalla mia particolare posizione " pensai
D altro canto non avevo alternativa, o rimanevo con il mio dolore lancinante o t
entavo un azione, che chiunque avrebbe ritenuto ridicola.
<FINISCILA!> ripetei
<FINISCILA!> continuai sempre pi deciso
Ma al terzo comando il dolore diminuii ed al quarto svan quasi per incanto.
Tirai un sospiro di sollievo e mi sentii particolarmente soddisfatto.
Avevo fatto la mia prima magia.
Avevo fatto sparire un dolore che mi dava parecchio fastidio, anche se sapevo ch
e in realt avevo solo dato ordine ad un essere incorporeo di fermarsi.
Ma per me era stato un successo strepitoso.
Mi venne la curiosit di sapere come fossero questi esseri, se possedessero un cor
po astrale oppure fossero pura consapevolezza.
A quel punto sapevo che mi sarebbe bastato chiedere ed avrei avuto tutte le risp
oste dalle "voci".
Sarebbero state risposte che avrei accettato razionalmente mentre io ero morso d
alla curiosit di vedere quegli esseri.
Proprio come S. Tommaso.
Fino ad allora tutto era avvenuto nella mia mente, ma senza utilizzare la vista.
Avevo dovuto credere senza vedere ed in quel momento volli fare un nuovo passo n
ella conoscenza ed utilizzai la "vista del guerriero" .
Portai il mio punto di vista all interno del corpo e disegnai dapprima una spira
le discendente fmo al centro del mio corpo e poi una aspirale ascendente verso l
esterno.

Vidi una sequenza rapidissima di immagini di esseri incorporei dalle forme pi str
ane, umanoidi, animali, punti luminosi.
Vedevo immagini di esseri, dentro e fuori il mio corpo, tutti in comunicazione c
on me.
Ebbi la netta sensazione che, tutte quelle immagini che stavo vedendo, non fosse
ro immagini reali ma l idea che, gli esseri incorporei avevano di se stessi.
Nel momento in cui entravo in comunicazione con uno di loro condividevo l idea c
he aveva di se stesso e quindi vedevo ci che lui credeva di essere.
Fu una grande scoperta arrivare a capire che gli esseri incorporei, siano essi u
mani morti o esseri mai venuti in vita, non hanno nessuna forma ma solo un immag
ine.
E la nostra e la loro incapacit di comprendere la pura consapevolezza, che ci fa
cadere nell inganno.
La mia attenzione vag fmo a quando si sofferm in una forma che sembrava una piccol
a nuvola che si muoveva in senso circolare ad una velocit tale che sembrava un vo
rtice.
La nuvola si trovava fuori dal mio corpo alla mia sinistra a circa un metro all
altezza della mia fronte.
Nel momento in cui spostai l attenzione al centro di quel vortice, la nuvola cam
bi colore diventando pi scura ed opaca, il movimento circolare divenne pi ampio e t
utta la nuvola si spost davanti alla mia fronte.
"Chi sei?" chiesi
La risposta non si manifest come pensiero ma come consapevolezza di tutto il mio
corpo.
"Sono un demone!" disse, e nello stesso momento che la consapevolezza divenne co
sciente, il corpo inizi a tremare e la nuvola si ferm assumendo la forma inequivoc
abile di un demone.
Non capii se fu la paura a stringermi forte il collo da non riuscire a respirare
o se fu davvero quello che vidi :
Il demone aveva allungato le mani fmo al mio collo ed aveva iniziato a stringerm
i con l intento di strozzarmi.
Nonostante la paura fosse diventata panico, mi ricordai che gli esseri incorpore
i non possono arrecare nessun danno fisico a meno che non lo facciamo noi con la
nostra paura.
Fu allora che riuscii a riprendere il controllo ed osservai, il corpo sotto la p
resa del demone, con distacco.
"VAI VIA!" urlai mentalmente
La stretta continuava inesorabilmente ed io sempre pi deciso a non soccombere, mi
ricordai con quanta determinazione ero riuscito a fermare l altro essere incorp
oreo, e quindi ripetei :
"VAIVIAAAAAA!!!"
Di certo con quell essere tutta la mia forza non poteva bastare ma continuai a r
ipetere il comando fmo a che una "voce" alla mia destra mi diede un consiglio ch
e seguii prontamente:
"Rimani fermo !"
Nella mia mente mi immaginai immobile come un adulto di fronte a piccoli pugni d
i un bambino, con la stessa comprensione e pazienza, ed all improvviso, ebbi la
sensazione di aver cambiato livello.
Fu come se un ascensore mi avesse portato ad un piano superiore e di colpo tutto
quello che vedevo nel piano inferiore fosse scomparso dalla mia vista.
La sensazione era quella di essere passato, nel giro di una frazione di secondo,
da una posizione di netta inferiorit, dovuta alla paura, ad una posizione di sup
eriorit determinata da una sicurezza ed una fermezza senza limiti.
Mi sentivo come una sfinge immobile e possente.
Il demone non c era pi, tirai un forte sospiro ed aprii gli occhi.
Di fronte a me l infermiere che mi scrutava con trepidazione.
"Ha dolori ?" mi chiese
"Si!" risposi, per giustificare le strane espressioni che dovevo aver fatto negl
i ultimi minuti.
"Ma adesso sono diminuiti. .. provo a dormire" continuai, e chiusi nuovamente gl

i occhi.
Nel silenzio della stanza d ospedale mi rituffai nei miei pensieri ed in partico
lare cercai di riordinare le idee su quello che era appena accaduto.
Erano molti i sentimenti che si accavallavano nella mia mente ma su tutti predom
inava l irritazione di dover ammettere che la religione cristiana aveva ragione.
Aveva ragione sull esistenza dei demoni e sulla loro natura, infatti avevo perce
pito quell essere come maligno.
Ma cosa aveva da spartire con me un simile essere?
Era venuto da me perch mi ero allontanato dalla chiesa cristiana o quell incontro
era un evento normale?
Domande che facevo a me stesso senza la speranza di avere una risposta ma questa
arriv da una "voce" alla mia sinistra,
"E un incontro che poteva e doveva avvenire. Ci sono molti esseri di classe sup
eriore alcuni positivi altri negativi."
"Ma come doveva avvenire?" chiesi mentalmente
"Certo! Nella crescita spirituale un appuntamento quasi obbligato l incontro con
un demone! Poteva capitarti anche di peggio! Quello era un demonietto da quattr
o soldi." Mi spieg in tono ironico
"Ma mi ha attaccato! Poteva anche farmi morire dalla paura!"
"Certo potevi morire ma questo non successo. In realt tu hai superato la paura ed
hai imparato a confrontarti con i demoni. Adesso potrebbe venire a visitarti an
che il demone pi potente ma tu sapresti stargli di fronte."
In realt era avvenuto un cambiamento in me, che mi aveva permesso di superare in
modo positivo quell incontro, ma non riuscivo ancora a capire esattamente cosa f
osse successo.
C era qualcosa che mi sfuggiva e la "voce" captando la mia necessit mi forn pronta
mente la spiegazione che cercavo,
"Hai capito che i demoni si possono vincere con la purezza di spirito! Hai capit
o che con loro non ci si difende n tantomeno si attacca. "
Quella risposta ebbe l effetto di una illuminazione ed improvvisamente tutto mi
parve chiaro.
Quella che credevo immobilit in realt era stata la completa mancanza di passioni.
Per un lunghissimo attimo non avevo provato n rabbia n odio, non avevo provato a d
ifendermi n mi ero lamentato.
Sentendo di certo tutti i miei pensieri la "voce" prosegu
"E stato solo un attimo, ma questo ti ha permesso di capire la via e di certo t
e ne ricorderai al momento giusto. La purezza di spirito un arma potente!"
Spinto da quest ultima affermazione mi concentrai nuovamente in quei pochi secon
di, in cui avevo vissuto "la purezza di spirito" quasi per memorizzarla in modo
preciso, ed ebbi la certezza che era davvero la fonte di una grande forza.
Una forza che andava oltre ogni aspetto razionale e cognitivo, impalpabile ed in
afferrabile ma reale.
Quel genere di forza che si intuisce nei grandi maestri orientali ma non si ries
ce mai a definire.
Spossato ma soddisfatto ero quasi sul punto di addormentarmi quando con l ultimo
residuo energia chiesi alla "voce",
"Ma perch il demone si tanto arrabbiato?"
"L hai fatto arrabbiare con la tua inettitudine ed imprecisione! Con la tua manc
anza di comunicazione! Quando si comunica con qualcuno si deve completare la com
unicazione con decisione ed intenzione, mentre tu stavi toccando decine di aree
senza inviare un messaggio chiaro!"
Una simile spiegazione mi fece sobbalzare, facendo svanire quel torpore che anti
cipava il sonno.
"Ma che cavolo di discorso ?" chiesi mentalmente
"Il demone come qualunque altro essere esige una perfetta intenzione nella comun
icazione! Mentre tu ti eri comportato come quel tizio che mentre parla con una p
ersona ne guarda un altra."
"Si arrabbiato perch non ho comunicato bene con lui?" chiesi mentalmente.
"Certo! Un altro essere in quella situazione si sarebbe lamentato od avrebbe pro
testato mentre il demone si incazzato!"

Cap. 20 Frammento d estasi


Quindici giorni dopo l operazione mi trovavo seduto su una carrozzella, sotto un
viale alberato dell ospedale.
Mi stavo godendo gli ultimi tepori di un settembre che andava a morire.
Le prime foglie ingiallite si staccavano dagli alberi e con vistose acrobazie sa
lutavano l estate, il sole rispondeva con un tramonto infuocato.
Osservavo il viale affollato di gente: un infermiera grassoccia camminava di fre
tta ed i suoi passi mettevano in risalto le sue forme, che sembravano dovessero
scoppiare a momenti, un uomo sulla cinquantina alto e magro procedeva incerto le
ggendo delle indicazioni su di un foglio che teneva stretto in mano, una vecchia
signora camminava lentamente e con circospezione nella sua vestaglia linda e sb
iadita.
Mentre osservavo la scena un merlo mi interruppe bruscamente volando a poco pi di
un metro ed atterrandomi proprio di fronte.
Era nero ed incredibilmente grasso per la sua razza, inclin la testa fissandomi c
on un occhio.
"Ciao merlo!" dissi ad alta voce incurante di ci che avrebbero pensato di me i pa
ssanti.
Il merlo dopo un attimo di incertezza, fece uno scatto velocissimo con la testa
e inizi a fissarmi con l altro occhio.
"Amico mio, sapessi quante cose potrei raccontarti. .. Ma forse anche tu ne avra
i da raccontare.
Chiss quante vite avrai vissuto e quante cose avrai visto.
Forse hai deciso di vivere da merlo perch gli umani si complicano la vita inutilm
ente, mentre tu ti accontenti di cose semplici. Poche briciole al giorno ed una
merla in primavera.
Oppure dovevi vivere come un uccello perch solo cos potevi capire la vita.
Ma forse anche tu, nel profondo del tuo essere sai, che tutto ci che sei e tutto
ci che fai solo una tua decisione."
Il merlo sembrava dimostrare un visibile interesse a quello che dicevo, fissando
mi con i suoi occhi, luccicanti.
Sentii il desiderio di imitarlo nei movimenti ma le bende ed il collare che mi i
mponeva l immobilit del collo, me lo impedivano.
Il desiderio si faceva grande ed io iniziai ad imitarlo con gli occhi mantenendo
immobile la testa.
Iniziai dapprima con rapidi scatti degli occhi intervallati da intensi sguardi,
poi aumentai gli scatti senza posare l attenzione su niente in particolare.
Quell esercizio mi diede subito un grande sollievo dalla tensione che avevo, div
entata ormai cronica in ogni muscolo.
Sentivo che gradatamente mi rilassavo e contemporaneamente un grande piacere sco
rreva in me come un fresco e piacevole ruscello di montagna.
Aumentava la percezione del mondo attorno e dentro di me mentre la felicit si tra
sformava in eccitazione che mi faceva vibrare fmo al profondo del mio essere.
Mi sentivo talmente pieno, da non riuscire a pensare, avevo solo un grande desid
erio di volare.
Il merlo fece due balzi prima di spiccare il volo, mentre io percepii una forza
che mi attirava e dopo un attimo sentii che lo stavo seguendo.
Stavo vivendo un fenomeno di sdoppiamento di percezione, come in passato, ma mol
to pi intenso.
La gioia che provavo era cos immensa che non sentivo pi la necessit di legarmi al c
orpo.
Stavo volando con il merlo e questo mi riempiva a tal punto che non desideravo n
ient altro, avrei volato per il resto dell eternit.
Ero certo che non era stata la tecnica usata ad innescare questo fenomeno, ma pi
uttosto l aver ormai raggiunto il coraggio necessario per compiere un simile vol
o.
In realt ogni tecnica serve solo a quello: infondere coraggio.
Coraggio per tentare quello che, potenzialmente, si gi in grado di fare.
All improvviso mi ricordai di un sogno che avevo fatto molto tempo prima.
Stavo dormendo, quando accortomi che galleggiavo nell aria, iniziai a muovere le

braccia come quando si nuota con lo stile a rana.


Osservai con piacere che stavo prendendo quota ed allora urlai alle persone, che
vedevo ancora al suolo, di seguirmi e di alzarsi in volo perch volare era hellis
simo!
Nessuna di quelle persone fece alcun cenno, tranne una che mi url:
"E impossibile volare! E troppo pericoloso!"
Ad un tratto il merlo, dopo una rapida salita, vir e discese per planare su di un
prato. Fu in quel momento che percepii la differenza tra me ed il merlo.
Non era la condizione fisica, n l intelligenza, n tantomeno la consapevolezza, ma
gli scopi che avevamo deciso di raggiungere che ci stavano conducendo a mete div
erse.
Fu cos che sentii che io non sarei atterrato in quel prato verde.
Non quella volta!
Allora volai pi alto, poi ancora pi in alto ed ancora pi in alto.
Non so se ci che mi spingeva verso cieli pi alti fosse l incredibile gioia che mi
pervadeva o il desiderio di abbracciare il mondo intero, oppure un modo per rapp
resentare che io miravo ben oltre tutto ci che di materiale mi circondava.
E mentre mi libravo in volo verso altezze inimmaginabili l eccitazione esplose i
n una profonda commozione.
Dai miei occhi sgorgavano lagrime immaginarie che si perdevano nel vento, e sent
ivo che dal mio petto si apriva un profondo amore.
Sentivo di amare i fiumi, i monti, le dolci colline.
Amavo gli uccelli, gli insetti, i pesci e tutti gli animali.
Amavo le case le automobili e gli uomini.
Amavo i miei nemici ed i miei amici.
Amavo ci che ero e ci che sarei stato.
Amavo i tanti errori fatti e le giuste scelte.
Amavo il potere ed il mio destino.
Amavo tutte le "voci" che mi circondavano.
Volli volare ancora pi in alto perch sentivo che la conoscenza era vicina, che sta
vo per cogliere l essenza dell essere, che stavo per capire cosa sta pi in l della
vita stessa, ma un raggio di luce mi colp.
Era stato cos improvviso ed inaspettato da farmi sobbalzare sulla sedia.
Come il fulmine che colpisce i punti pi alti e con incredibile violenza si scaric
a sul suolo bruciando tutto ci che passa, cos quel raggi di luce colp il "mio punto
di vista sdoppiato" e si scaric sul mio corpo facendomi provare una sensazione vi
olentissima anche se non dolorosa.
Nonostante fossi frastornato, non volli perdere nemmeno un frammento di quello c
he mi stava accadendo, quindi cercai di capire di cosa si trattasse.
Mi aspettavo che affiorassero nuovi ricordi di vite passate, ma riuscivo a perce
pire solo un indefinibile piacere, come quando, dopo una giornata faticosa, ci s
i abbandona in un piacevole riposo.
Era una serenit che mi innalzava e mi immergeva nella luce.
Ero luce.
Sentivo che l energia irrorava il mio corpo e la mia mente non riusciva a formul
are nemmeno un pensiero perch le nuove sensazioni la riempivano.
La mia attenzione si diresse verso questa grandiosa emozione di felicit e dalla l
uce prese forma una risposta a una domanda non posta.
Dapprima confusa poi sempre pi chiara.
"Ci che siamo solo quello che pensiamo di essere."
Questa risposta era accompagnata da una visione che si sovrapponeva a tutto ci ch
e guardavo.
Vedevo un uomo che procedeva verso me con un passo molto lento.
Distinguevo a malapena i contorni dato che l immagine avanzava controluce.
Mi sforzavo di capire chi potesse essere dal profilo dai capelli e dai vestiti.
Quella figura aveva qualcosa di familiare, tanto che mi richiamava alla mente de
cine e decine di ricordi ma senza che nessuno di questi fosse messo in risalto.
Dopo attimi lunghissimi mi accorsi che nonostante camminasse verso di me in real
t la figura rimaneva sempre alla stessa distanza e, al contrario, il suo passo se
mbrava calpestare il mio petto.

Ad ogni passo sentivo la pressione che esercitava sul mio torace e sul mio cuore
, sempre pi forte.
"Forse e la fine" pensai.
"Forse queste sono le immagini che accompagnano la morte" e non potei fare a men
o di pensare che mio padre e mio nonno paterno erano morti di infarto, ed anch i
o soffrivo, fm dall infanzia, di stenosi ad una valvola cardiaca.
Ma la preoccupazione non mi distolse dall immagine e dal percepire ogni sensazio
ne. Non avevo pi paura della morte, ben pi grave sarebbe stato non capire cosa sta
va accadendo.
Chi era quell uomo?
Ed in che modo era cos legato a me?
Si trattava forse di una persona che avevo conosciuto ed amato in una vita prece
dente ?
Oppure un ricordo pi recente?
Pensai che forse era mio padre la cui perdita mi rpovocava ancora un forte dolor
e.
Era morto quando io avevo io anni, l amavo profondamente anche se in realt non l
avevo mai conosciuto davvero.
La mia era una venerazione verso una persona distante, tanto eccezionale quanto
irraggiungibile.
Diviso tra gli impegni del lavoro e l hobby del canto divideva raramente il suo
tempo con la famiglia, lasciando in me un vuoto che, dopo quasi vent anni dalla
sua scomparsa, non si era ancora colmato.
Mi concentrai sulla figura che si ergeva innanzi a me, ma la sensazione era quel
la di qualcuno di molto pi familiare, tanto legato a me come nessun genitore in t
utte le mie vite era stato mai, come nessuna donna che avessi avuto o che avessi
sognato di avere.
Era forse Dio, che mi appariva grazie forse al mio atteggiamento di abbandono ch
e provavo in quel momento?
Era abbastanza improbabile dato che mi ispirava un sentimento di profonda compas
sione.
No!
Niente di tutto questo !
Ed allora chi era ?
Cercai di non perdere la lucidit mentale ed iniziai a ragionare sul fenomeno.
Era di certo un allucinazione dovuta alla mia situazione psicologica molto prova
ta.
Un modo per difendermi dalla paura dei misteri che cercavo di sondare ma sopratt
utto un ottimo sistema per colmare la solitudine che mi separava, quasi irrimedi
abilmente, dai miei simili.
Si doveva essere proprio cos!
Un immagine da me creata.
Una simile conclusione ebbe un spettacolare effetto calmante su tutto il mio cor
po che stava vibrando dalla tensione.
Ma fu proprio quando i miei arti si stavano adagiando rilassati sulla sedia, che
un fulmineo pensiero balen nella mia mente.
Ero io!
Quella figura incerta, ma nello stesso tempo cos chiara e imponente, che si ostin
ava a nascondermi la luce, ero io stesso.
Ma non l io corporeo di una qualche vita, ma quella parte di me stesso che ha pr
eso forma lungo tutte le mie vite.
La somma di tutti i pensieri, le considerazioni, le decisioni e le sofferenze.
Ero certo di aver rappresentato con l immagine di una persona, tutto ci che avevo
accumulato nelle mie vite.
E fu in quel momento che compresi la profonda verit che noi siamo effettivamente
quello che pensiamo di essere, ma possiamo anche abbandonare tutto il nostro ego
accumulato in miliardi di anni con la velocit di un battito d ali.
La comprensione non fu solo razionale o solo corporea ma riguard tutto il mio ess
ere.
Come goccia dopo goccia si forma una stalattite, io avevo formato una intera ide

ntit capace di impedirmi di arrivare alla completa realizzazione.


"Ma perch cos diffcile abbandonare il proprio ego, se basta un solo secondo per far
lo?" chiesi mentalmente e la "voce" alla mia sinistra rispose:
"Ma perch tua fglia non pu laurearsi quest anno?" in tono canzonatorio.
Proprio quando mi sentivo ad un passo dalla completa realizzazione mi ritrovavo
nuovamente a terra.
Avrei dovuto riprendere a crescere passo dopo passo in una appassionata e coragg
iosa ricerca ma con condizioni leggermente mutate.
Sapevo con chiarezza e sicurezza che, per arrivare ad uno stadio superiore dell
essere, per arrivare al coraggio di abbandonare l ego, avrei dovuto smontare pez
zo dopo pezzo tutto ci che avevo costruito in tutte le mie esistenze e in quelle
delle "voci", perch solo in quel modo avrei potuto fnalmente vedere la luce.
Quella sicurezza era il mio premio.
Ma come affrontare quell opera davvero infnita?
L entusiasmo ed il coraggio non mi mancavano, ma per andare a ritroso in tutte l
e vite, mie e delle "voci", sarebbero occorsi secoli e secoli.
Pensai che la soluzione era molto semplice.
Se io avessi rivissuto il mio passato, non in ordine temporale, ma in ordine di
importanza, avrei potuto procedere molto pi speditamente.
Avevo per bisogno di fare il punto della situazione su tutto quello che avevo gi r
ealizzato.
Fu in quel momento che, per la prima volta, pensai di scrivere un libro.
Cap. 21 Conclusione
Venti giorni dopo, tornai a casa, rassicurato dai medici e sicuro in cuor mio ch
e avevo ormai scampato ogni pericolo.
Le ferite dell operazione si erano ormai rimarginate ed io pensavo soltanto a to
rnare ai miei impegni ed al mio lavoro.
Tornai, infatti.
Tornai alla vita normale molto prima di ogni ottimistica previsione, anche se al
l inizio ebbi qualche difficolt, dovuta al collare rigido che potevo togliere sol
o quando dormivo.
Con il ritorno al lavoro c era anche una grossa novit: io ed il mio socio avevamo
preso un nuovo ufficio, pi grande ed elegante, saremmo partiti con nuove iniziat
ive e con rinnovato entusiasmo.
Fu cos un ritorno euforico e per un certo periodo pensai esclusivamente a rilanci
are la mia attivit.
Nella nuova societ facemmo entrare un terzo socio, che ci permise di acquisire nu
ovi clienti e iniziare nuovi progetti.
Tutto sembrava andare per il meglio, ma c era qualcosa in me che non funzionava.
Mentre lavoravo o mi trovavo in compagnia di altre persone avevo come delle paus
e, degli attimi in cui mi fermavo con la sensazione che mi mancasse qualcosa, er
ano attimi nei quali rimanevo come incantato.
Non era angoscia ma piuttosto la sensazione di un appuntamento mancato, di un im
pegno preso che non avevo rispettato.
Una domenica, mentre passeggiavo lungo l argine di un fiume, in compagnia della
mia famiglia, cercai di mettere a fuoco il perch di quelle sensazioni ricorrenti.
L aria frizzante che diventava a momenti quasi pungente era ideale per la medita
zione, sembrava avesse la capacit di farmi mantenere l attenzione viva su ogni co
sa .
Era una giornata molto luminosa ed anche se era l inizio di dicembre i giorni gr
igi e freddi sembravano lontanissimi.
Tornai a chiedermi il perch di quelle sensazioni che arrivavano a distrarmi anche
nei lavori pi impegnativi.
Le esperienze dell incidente e dell operazione si erano ormai dissolte e con ess
e si era attenuata anche la sete di conoscenza che mi aveva accompagnato in quel
periodo.
La foga di gettarmi nella vita e riprendere gli impegni di tutti i giorni aveva
annullato e sbiadito la ricerca del potere e dell impeccabilit.
Pensavo che un uomo di oltre trent anni doveva cominciare ad avere i piedi per t
erra.

Si vero!
Avevo avuto una vita molto movimentata e mi era stato permesso di arrivare a con
oscere ci che altri non avrebbero mai immaginato, ma mia figlia stava ormai cresc
endo ed io dovevo prendermi tutta la responsabilit di un padre di famiglia.
Mi voltai ad ammirare il viso dolce di mia figlia con tutto l amore che provavo
per lei, ma appena incrociai il suo sguardo rimasi colpito dalla sua espressione
.
Non seppi se era la prima volta che lei faceva una simile espressione oppure ero
io che non l avevo mai notata.
Anche se non aveva ancora compiuto un anno aveva uno sguardo deciso ed attento c
ome solo una persona adulta avrebbe potuto avere.
Lessi nel suo viso una concentrazione tale che mi lasci senza fiato.
Nulla che rendesse meno bello ed amabile quel visino roseo e paffutello ma un ev
idente carattere ferreo e deciso che avrebbe reso mia figlia sicuramente indipen
dente.
In quel momento ebbi chiara la sensazione che mia figlia era molto pi evoluta di
me e di mia moglie, non riuscii ad immaginare quale potesse essere stata la sua
vita precedente ma di certo partiva gi avvantaggiata rispetto a noi.
Un forte battere di ali mi distrasse, e quando mi voltai vidi che un intero grup
po di anatre selvatiche stava planando vicino alla riva dove noi ci trovavamo.
Erano stupende! Tutto il loro corpo era ricco di giochi colorati che solo il pen
nello di un grande artista avrebbe saputo riprodurre.
La bellezza e l eleganza di quegli uccelli mi provocarono un tuffo al cuore.
Una di loro, la pi altera del gruppo, si volse verso di me con un espressione di
superiorit che riusc a farmi sentire imbarazzato.
Sembrava mi volesse far capire che avevo un compito.
Era umiliante farselo ricordare da un anitra ma era proprio cos!
Io avevo preso un preciso impegno di utilizzare il grande dono della vita nel ri
cercare la "conoscenza".
Mi resi conto che, ancora una volta, stavo cercando di eludere il mio destino.
Le responsabilit della famiglia e la necessit di sollevare la mia azienda erano so
lo delle scuse per abbandonare la via faticosa della conoscenza, nessuno avrebbe
sofferto se avessi seguito la mia via.
Negli ultimi due mesi avevo cercato di non pensare pi alle mie esperienze paranor
mali ed alla mia ricerca verso l ignoto, ma avevo fallito.
A nulla sarebbe valso cercare di fuggire o dimenticare perch il destino mi avrebb
e ripreso, in un modo o nell altro.
Non riuscivo a capire quanto un "destino gi scritto" piuttosto che "una decisione
presa da me" causassero gli eventi, ma di una cosa ormai ero sicuro: c era una
forza che guidava la mia vita ed io potevo e dovevo conquistare la grande libert
di seguirla.
Dovevo proseguire lungo la strada della ricerca.
Mesi prima avevo pensato di scrivere un libro e quella decisione doveva essere r
ispettata.
Decisi allora che appena avessi avuto un po di tempo avrei provato a scrivere.
Passarono due settimane prima di trovare un po di tempo per mettermi a scrivere
.
Preparai il mio computer e cominciai ad organizzare le idee sugli argomenti che
avrei trattato; avrei iniziato dalla mia famiglia e dalla scuola.
Accesi il computer ed aprii un programma di scrittura ma dopo la prima frase mi
fermai.
Mi sentivo davvero stupido. Mi parve che scrivere fosse per me quasi patetico.
Ma chi mi avrebbe costretto a continuare?
<Ma una follia! > pensai tra me e me.
<Non potr mai scrivere un libro! E troppo difficile per me!
Non riesco nemmeno a scrivere una lettera! >
Infatti, scrivere era sempre stato per me la cosa pi difficile da fare.
Anche a scuola, se mi impegnavo, potevo eccellere in matematica oppure in scienz
e, ero certo che sarei potuto diventare bravo anche in aggiustaggio ma nella lin
gua italiana MAI!

Come avrei potuto scrivere un intero libro?


Pensai che se davvero c un destino, questa volta si era sbagliato.
Sentimenti di inadeguatezza e di rabbia si alimentavano a vicenda fino ad esplod
ere in un gesto di stizza. Presi il cappotto, aprii la porta ed uscii.
Camminai a lungo e mentre guardavo gli addobbi di Natale la collera mi pass.
La gente passava accanto a me; chi frenetico con i pacchi in mano, chi assorto n
ei suoi pensieri, chi in compagnia parlando e ridendo.
Mentre il giorno si spegneva, le luci del Natale diventavano pi scintillanti invi
tando tutti alla gioia.
Vedere tutto quel movimento mi aveva dato serenit ma nello stesso tempo un senso
di distacco.
Sentivo che in tutta quella folla non c era una sola persona con la quale avrei
potuto condividere la mia via e le mie esperienze.
Ebbi la sensazione di vedere un film, nel quale tutte le persone che mi camminav
ano attorno erano solo immagini.
Mi fermai con la certezza che, se avessi rivolto la parola ad una di loro non mi
avrebbero n sentito n visto perch appartenevano ad un altro tempo ed ad un altro l
uogo.
Mi pervase un grande senso di solitudine che dur un attimo grande come l eternit,
finch sentii una presenza dietro di me.
Mi voltai di scatto e ci che vidi mi fece trasalire.
Era PAIA!
Il ragazzo alto magro e con quella strana chioma che aveva ispirato il suo sopra
nnome.
Era proprio il compagno di scuola che avrei dovuto descrivere nel mio libro.
Gli anni non lo avevano nemmeno sfiorato, non era cambiato per nulla.
Cercai di vincere l emozione che mi stringeva la gola e mi sforzai di articolare
un,
"Ciao! Come va?".
Mi vergognai subito del tono superficiale che aveva assunto la mia voce, ma era
l unico suono che ero riuscito ad emettere.
Avrei voluto abbracciarlo, stringergli le mani ed invitarlo a bere mentre ci rac
contavamo dei tempi di scuola e di ci che avevamo fatto nella vita.
Ma rimanemmo in silenzio, uno di fronte all altro con un muro di imbarazzo che n
essuno dei due riusciva ad abbattere.
Ero emozionato e felice nello stesso tempo, ma quello che mi impediva di parlare
doveva essere una forza pi grande di me.
La scena divenne ancora pi incredibile quando lui pos una mano sopra la mia testa
con un atteggiamento paternalistico.
I miei sentimenti irrompevano incontrollati nel mio petto e quando, un attimo do
po, alz la mano in segno di saluto ero nella pi completa confusione.
Fu nel momento in cui la sua chioma affond nella folla che compresi di aver vissu
to una scena di potere, e senza pi pensare mi diressi verso casa e senza pi dubbi
pensai :
< Scriver il libro ! >
Nella vita ci sono momenti magici,
nei quali, segni di potere ti indicano una via per te impossibile,
eppure il segreto sta, nel percorrerla fmo in fondo.
Con fede.

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