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IL BENE COMUNE:
IL BENE ECOMUNE:
FORME DI GOVERNO
GERARCHIE SOCIALI
FORME DI NEL
GOVERNO
GERARCHIE SOCIALI
BASSOEMEDIOEVO
NEL BASSO MEDIOEVO
Atti del XLVIII Convegno storico internazionale
Todi,Convegno
9-12 ottobre
2011
Atti del XLVIII
storico
internazionale
Todi, 9-12 ottobre 2011
FONDAZ ION E
2012
ENRICO ARTIFONI
M. S. KEMPSHALL, The Common Good in late medieval political thought, Oxford, 1999,
pp. 1-25.
2
Q. SKINNER, Ambrogio Lorenzetti: the artist as political philosopher, in Proceedings of the
British Academy, 72 (1986), pp. 1-56; ID., Machiavellis Discorsi and the pre-humanist origins
of republican ideas, in Machiavelli and Republicanism, a cura di G. BOCK, Q. SKINNER, M. VIROLI, Cambridge, 1990, pp. 121-141, poi rielaborati con altri saggi in Q. SKINNER, Visions
of politics, II, Renaissance virtues, Cambridge, 2002 (una traduzione parziale del volume
Id., Virt rinascimentali, Bologna, 2006).
64
ENRICO ARTIFONI
ro intellettuale sulla nozione che ci interessa 3: alcune di queste fasi sono ben precedenti alla svolta rappresentata dallopera di Remigio de Girolami dallultimo decennio del secolo, risalgono anzi alla
met del Duecento.
Ma che cosa troviamo in questa preistoria duecentesca del bene
comune? Il richiamo al Girolami pu servire per istituire le giuste
differenze. Gi prima dei trattati de bono comuni, de bono pacis e de
iustitia, il sermone che Remigio indirizza nella prima met del
1295 ai Priori di Firenze, secondo di una serie di cinque sermoni,
unisce in modo perfetto il consiglio politico e unidea definita del
rapporto fra il tutto e le parti. I Priori sono esortati a quattro cose:
decidere secondo una provida deliberatio, condotta con scrupolo e
senza fretta; esprimersi in modo unanime in base a una comune e
concorde volont; badare che tutto sia fatto per il bene del comune
e non per il bene di famiglie, individui e gruppi, visto che chi
posto in carica per comune deve lavorare pro comuni bono; infine, portare a esecuzione quanto deliberato 4. Qui lidea del bene comune,
cio di un tutto che si istituisce come superiore alle parti che lo
compongono, chiaramente dispiegata con unattenzione particolare
alle condizioni istituzionali di svolgimento. Nella cultura pratica e
didattica dei governi comunali nei decenni precedenti non troviamo
accenti come questi. Troviamo invece un lavorio continuo su alcune
A. ZORZI, Bien Commun et conflits politiques dans lItalie communale, in De Bono Communi. The discourse and practice of the Common Good in the european city (13th-16th c.). Discours et
pratique du Bien Commun dans les villes dEurope (XIIIe au XVIe sicle), a cura di E. LECUPPREDESJARDINS, A.-L. VAN BRUAENE, Turnhout, 2010, pp. 267-290.
4
Il sermone si legge in G. SALVADORI, V. FEDERICI, I sermoni doccasione, le sequenze e i
ritmi di Remigio Girolami fiorentino, in Scritti vari di filologia [A Ernesto Monaci gli scolari,
MDCCCLXXVI-MDCCCCI], Roma 1901, p. 482, e in E. PANELLA, Nuova cronologia remigiana, in Archivum fratrum praedicatorum, 60 (1990), p. 189. Per la datazione cfr. SALVADORI, FEDERICI, I sermoni cit., p. 468 ( resta incerto se il discorso fu pronunciato nella prima
quindicina di febbraio, oppure tra il febbraio ed il luglio [1295] ), PANELLA, Nuova cronologia cit., p. 189 ( fine 1294-luglio 1295? ), S. GENTILI, Girolami, Remigio de, in Dizionario biografico degli Italiani, 56, Roma, 2001, p. 534 ( collocabile tra la fine del 1294 e
il luglio 1295 ). Al sermone attribuito particolare rilievo in J. K. HYDE, Contemporary
views on faction and civil strife in thirteenth- and fourteenth-century Italy, [1972], poi in ID.,
Literacy and its uses. Studies on late medieval Italy, a cura di D. WALEY, Manchester, 1993,
pp. 58-86, p. 64.
65
C. DIONISOTTI, Leonardo uomo di lettere, [1962], poi in ID., Appunti su arti e lettere, Milano, 1995, p. 31, gi richiamato, nella prima edizione, in C. FROVA, La scuola nella citt
tardomedievale: un impegno pedagogico e organizzativo, in Le citt in Italia e in Germania nel
Medioevo: cultura, istituzioni, vita religiosa, a cura di R. ELZE, G. FASOLI, Bologna, 1981, pp.
119-143, p. 132, nota 25.
6
P. F. GEHL, Preachers, teachers and translators: the social meaning of language study in
Trecento Tuscany, in Viator, 25 (1994), pp. 289-323, p. 298.
66
ENRICO ARTIFONI
insieme in un periodo non determinabile negli anni Sessanta-Settanta del secolo (Matteo scompare nel 1275) 7. Nel manoscritto di
Chicago le carte di ognuna delle arringhe sopravvissute recano una
profonda piega orizzontale che dimostra come i singoli testi, usati
separatamente in occasioni diverse, fossero stati ridotti con una piegatura a dimensioni di facile portabilit, per stare in una tasca oppure in una manica. Una bella conferma in vitro di quanto gi molti anni fa diceva Cesare Segre, quando ricordava quei parlamenti
che il nuovo podest si teneva in tasca per fare bella figura presentandosi ai suoi sudditi 8. Questa era la fruizione standard delle
raccolte di discorsi, che non sono dunque da considerare in una
prospettiva di monumentalit trattatistica, ma alla stregua di unattrezzatura pratica per il mestiere della politica.
Si pu andare pi avanti, perch molti segnali, anche in scritti
di pi alta qualit culturale, indicano addirittura una smontabilit
interna delle orazioni e una loro possibilit di ricomposizione secondo geometrie ed esigenze variabili. Il celebre Liber de regimine civitatum di Giovanni da Viterbo contiene molti discorsi per podest,
alcuni organizzati in vere e proprie suites, tra cui emergono la serie
di tre discorsi di un nuovo podest che si presenta nel luogo di governo e quella di tre discorsi podestarili di guerra. Ognuno di questi testi presenta vere e proprie istruzioni per luso e indica alternative possibili. Per fare un esempio, nel caso della prima contio nove
potestatis si suggeriscono due formule iniziali diverse e cinque possibilit alternative per la parte immediatamente successiva dellorazione (a seconda che si parli in una citt indipendente, o soggetta
allimperatore, o al papa, o alla citt di Roma, o in altra situazione
non specificata), e analogamente i blocchi principali dei due discorsi successivi sono inframmezzati di vel sic, per suggerire, anche qui,
varie soluzioni possibili 9. In altro luogo del Liber, i tre discorsi di
67
guerra si riferiscono a un conflitto con un nemico pi potente, oppure pari o di poco minore, oppure decisamente inferiore: alcune
porzioni sono comuni ai tre testi, altre sono specificamente idonee
alla situazione in oggetto, e per altre ancora si suggerisce di ricorrere alquanto liberamente a parti dei discorsi precedenti 10. Una simile pratica di trasporto e ricollocazione di blocchi non ignota neppure in certi testi predicatori, ma nelloratoria civile diventa pressoch una costante 11. La spiegazione tocca alcune caratteristiche for-
pp. 230-232. Riporto il cap. 45, il pi breve: Ego facio pregum domino potestati et
sue compangie et sue curie et sapienti consilio huius civitatis et militibus et peditibus,
magnis et minoribus, et toti bone genti congregate huic arengo, quod per vestrum honorem ego debeam audiri et intelligi; vel: quod ipse potestas per suum honorem et vos per
vestrum me debeatis audire et intelligere, sive vulgariter scilicet: intendere usque ad finem. Et dicat et incipiat postea sic: Ego clamo merc et facio prego allaltissimo deo
nostro singnore, et gloriosissime virgini Marie sue matri, et ad messere sancto Iohanni,
seu alii precipuo sancto illius civitatis, et omnibus sanctis suis, quod ipse, per suam sanctissimam misericordiam et pietatem, mihi permittat et concedat dire id quod sit suus
honor sanctissimus et suum placere, et honor domini potestatis et sue compangie, sit honor et gloria; et magnitudo et incrementum, pax, concordia et bonus status totius communis huius civitatis, et omnibus amicis huius communis grandis allegrana et grandis favor et magnum in omnibus incrementum. Vel sic, si civitas est subdita imperatori, post
deum et sanctos dicat primo: Quod sit honor domini nostri imperatoris et reliqua, ut
supra. Si vero subiaceat domino pape dicat: Quod sid honor domini pape et Romane ecclesie. Vel si subiacet Romane urbi, dicat: Quod sit honor domini senatoris et Romani
populi. Vel aliter potest dicere ibi, scilicet post pietatem: Kal mio dire sibi debeat esse
ad placere, seu sibi debeat placere in id quod sit suus honor sanctissimus et cet. Postea
sic potest incipere, vel sic incipiat (segue il cap. 46). Sullinteressante impasto linguistico, tipico di una traccia latina per un discorso in volgare, cfr. G. FOLENA, Parlamenti
podestarili di Giovanni da Viterbo, in Lingua nostra, 20 (1959), pp. 97-105. Sui rituali degli
ingressi podestarili si veda C. DARTMANN, Adventus ohne Stadtherr. Herrschereinzge in den
italienischen Stadtkommunen, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 86 (2006), pp. 64-94.
10
IOHANNIS VITERBIENSIS Liber cit., capp. 132-134, pp. 270-273.
11
Per la predicazione, a titolo desempio, si veda il seguente caso da Les sermons et la
visite pastorale de Federico Visconti archevque de Pise (1253-1277), dition critique par N.
BRIOU, I. LE MASNE DE CHERMONT avec la collaboration de P. BOURGAIN, M. INNOCENTI, Rome, 2001, 47, p. 703, predica per la festa di santAgostino, 28 agosto: Prosequeris hanc
distinctionem prout habetur in VI sermone, dominica quarta Adventus, qui incipit: Sic nos
existimet homo ut ministros Christi et prosequeris eam quasi usque in finem illius sermonis;
et etiam eadem habentur in sermone VII quem fecimus apud Sanctum Xistum in fraternitate cappellanorum qui incipit: Qui bene presunt presbiteri .
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ENRICO ARTIFONI
mali tipiche delleloquenza dei laici, prima fra tutte la sua derivazione dalle pratiche formulari dellars dictaminis, che funzionavano
come una specie di ordinatore mentale. un discorso tecnico, gi
svolto in altre occasioni, che ci portebbe lontano dal nostro argomento 12. Limitiamoci a prenderne in carico le conseguenze: occorre
esercitare uno sforzo di lettura che tenga ben presenti le concrete
condizioni duso di questi lacerti oratori, che non compongono di
solito dei trattati organici. Non unoccasione perduta in una prospettiva di storia del pensiero politico; al contrario, abbiamo cos la
possibilit di ricostruire una gran messe, non di trattati, ma di repertori di argomenti politici, i termini di una specie di parlato di
governo quotidianamente diffuso e rilanciato.
Ci detto, fermiamoci appunto sulle arringhe di Matteo dei Libri, raccolta che ebbe una certa fortuna, tant vero che ne derivano
almeno altre due opere, il Flore di parlare di Giovanni da Vignano e
le Dicerie di Filippo Ceffi 13. E notiamo in primo luogo uno spostamento esplicito della raccolta, che sta, ripetiamo, tra gli anni Sessanta e i Settanta, verso la dimensione pubblica: si tratta per lo pi
di orazioni per podest, consiglieri comunali, ambasciatori e capitani del popolo; e quando i parlatori non sono ufficiali pubblici, il
contenuto dellorazione tocca da vicino questioni di rilevanza collettiva, come discordie familiari e vendette. Le orazioni di tipo privato
12
Si veda, da ultimo, E. ARTIFONI, Loratoria politica comunale e i laici rudes et modice literati, in Zwischen Pragmatik und Performanz: Dimensionen mittelalterlicher Schriftkultur, a cura di C. DARTMANN, T. SCHARFF, C. F. WEBER, Turnhout, 2011, pp. 237-262 (con bibliografia precedente); rimane fondamentale P. VON MOOS, L ars arengandi italienne du XIIIe
sicle. Une cole de la communication, [1993], in ID., Entre histoire et littrature. Communication
et culture au moyen ge, Firenze, 2005, pp. 389-415. Utile ora in generale la raccolta di studi Cum verbis ut Italici solent ornatissimis. Funktionen der Beredsamkeit im kommunalen Italien/Funzioni delleloquenza nellItalia comunale, a cura di F. HARTMANN, Gttingen, 2011.
13
E. VINCENTI, Matteo dei Libri e loratoria pubblica e privata nel 200, in Archivio glottologico italiano, 54 (1969), pp. 227-237. Il caso di Matteo stato toccato anche in interventi
pi recenti, come SKINNER, Ambrogio Lorenzetti cit. e Machiavellis Discorsi cit., VON MOOS,
L ars arengandi italienne cit., pp. 407-409, V. COX, Ciceronian rhetoric in Italy, 1260-1350,
in Rhetorica, 17 (1999), pp. 239-288, pp. 256-257, e S. J. MILNER, Communication, consensus
and conflict: rhetorical precepts, the ars concionandi, and social ordering in late medieval Italy, in
The Rhetoric of Cicero in its medieval and early Renaissance commentary tradition, a cura di V.
COX, J. O. WARD, Leiden, 2006, pp. 365-408, pp. 380-384.
69
o intrafamiliare che ancora comparivano, per esempio, nei Parlamenti ed epistole di Guido Faba, degli anni Quaranta, cedono il passo a
una risoluzione integrale del parlare nel parlare politico 14. Notiamo
in secondo luogo che, per la prima volta a mia conoscenza nei modelli oratori, il capitano del popolo assunto nel novero degli
oratori ufficiali, come a registrare la nuova geografia dei poteri urbani tipica della seconda met del secolo (a Bologna, patria di Matteo, la comparsa di un capitano del popolo del 1255). E infine
rileviamo che su sessantasei discorsi ben ventidue hanno a che fare
in senso lato con la divisione delle citt in partes, il perseguimento
dei responsabili di crimini di sangue, la discussione sulla giustizia
da esercitare nei confronti di chi ha compiuto delitti faziosi, la concessione di poteri al podest per la repressione delle discordie: la
condizione delle citt che vi contemplata come consueta una
condizione di divisione 15. Soprattutto intorno a questo stato di cose si articola il linguaggio di Matteo, organizzandosi, nella discontinuit tipica di una raccolta di brani, in due insiemi contrapposti.
Da un lato prende forma una sequenza positiva piuttosto usuale. Il fine del governo del rettore il buono stato della citt, bon
stato, bonu reposo, la nostra tranquilitate e bene , oppure lo nostro stato no se posse minuir de niente, ma sempre crescere e montare de ben in meglio , oppure kel bon stato nostro e pacifico
acresca sempre de ben in meglo , o ancora, nel discorso di congedo
di un podest: E voglio ke saati, signori, una cosa, ke tuto meo
pensero e tuta mia fede stato in dicere et in fare tuto quello ke
sia grandea, honori, bon stato e bon reposo de questo communo 16. Il traguardo del buono stato pu essere raggiunto attraverso
la pace e la concordia, perch vedemo ad oclo que la concordia et
lunitate acrese et avana tuti beni . Condizione di pace e concordia la giustizia: per quello ke ascuno homo k debitore a la
raxone ama iustitia, quel kama iustitia ama constante e perpetua
14
Unica eccezione esplicita larringa 48 (MATTEO DEI LIBRI, Arringhe cit., p. 137-141),
discorso di uno scolaro alla sua famiglia e ai suoi amici.
15
Ibid., arringhe 4, 5, 6, 11, 12, 14, 22, 23, 24, 42, 43, 44, 45, 47, 50, 51, 53, 54,
55, 56, 58, 59. Su quanto segue cfr. anche ZORZI, Bien Commun cit., pp. 275-277.
16
MATTEO DEI LIBRI, Arringhe cit., 2, p. 8; 5, pp. 18-19; 50, p. 147; 33, p. 99.
70
ENRICO ARTIFONI
voluntate de dare soa raxone a ascuno; e ki ama soa raxone a ascuno, ama tranquilitate e reposo, per le qual cose le terre montano
in grand grandea . In sintesi, giustizia ispira pace e concordia,
che a loro volta generano buono stato e prosperit 17.
Dalla parte negativa della vita civile, e con una rilevanza nettamente superiore nelle orazioni, alligna per la contrapposizione, la
contrastanza, che secondo lo schema genealogico gi visto adduce alla decadenza e al guasto della terra: contrastana, la quale
genera inimistate, e la inimistate genera batagle, le quale disogliano lege et abassa et guasta la terra . In uno dei pochi luoghi che
sembrano tradire una certa commozione, Matteo mette in bocca a
un capitano del popolo uninvettiva contro i furori cittadini, che
traduce nelloratoria una certa indubbia conoscenza del panorama
politico: Pensative de Florencia, de Sena, commo son gite per la
guerra dentru. Pensative de Milano, ke fo la maior terra de Lombardia, de molte altre terra de quella contrata, kenno quasi a niente de quello kerano. Pensative de Rimino, comm cono per lodio
dentro, e de multe terre de quella contrata 18. Posto il conflitto
come protagonista, il percorso ideale che abbiamo visto prima, da
giustizia a pace a prosperit, perde ogni carattere unanimistico e le
sue tappe diventano concretamente un durissimo esercizio di giustizia contro le partes, unimposizione armata della pace, e una prosperit o buono stato che si costruisce a partire dalla liquidazione dei
nemici dellordine.
In questa direzione abbiamo solo limbarazzo della scelta. Il discorso di presentazione di un podest al consiglio appena insediato
promette di punire arditamente li mafactori, e non guardando a
gentilea, n a ricchea, n che lo malfactore sia parente overo
amico , e continua minaccioso: Et per pregho ciascuno che bene
faccia et bene dica, et che si guardi del contrario . Poco prima un
17
Ibid., 5, p. 18; 10, p. 34. Sui diversi aspetti della parola di pace nelloratoria comunale, laica e religiosa, cfr. R. M. DESS, Pratiche della parola di pace nella storia dellItalia
urbana, in Pace e guerra nel basso medioevo, Spoleto, 2004 (Atti dei convegni del Centro italiano di studi sul basso Medioevo - Accademia Tudertina e del Centro di studi sulla spiritualit medievale, 40), pp. 271-312.
18
MATTEO DEI LIBRI, Arringhe cit., 10, p. 35; 50, p. 147.
71
altro modello propone unorazione podestarile di richiesta al consiglio di maggiori poteri per una migliore salvaguardia dellordine:
E quella cosa, signori, per la quale le citate e le terre pl acresce
et avana questa, ke li malifitii se punisca. E se non se puniseno,
guardati et vedeti quanto si alargerebo le mane a li malfaturi e
quanto creserebbe lo male. E molte terre vedete keno gite a male,
perk li malifici non nno puniti . Che qui, come prima, i malfattori siano i cospiratori politici provato dallammonimento finale
ai consiglieri: prendete la decisione che vi pare migliore, perch
quelli che hanno un cuore colpevole, nel caso che qualcuno di loro
sia tra di voi, debbano infine sputare il loro veleno ( Conseliarite
quello, sa Deo place, ke ser le megle de voi, e perk quilli knno
reo core, salcun tra voi, dibia sputare via omne tosego et omne
reo ) 19. Siamo di fronte a unautorit comunale che si presenta secondo un volto eminentemente coercitivo. A questo volto i discorsi
proposti per i capitani del popolo aggiungono un tratto di inesorabilit, come nella straordinaria arringa 50 (straordinaria perch richiama una concretissima situazione istituzionale), un discorso in
cui un capitano del popolo richiama energicamente un podest ad
essere durissimo con le parti e, come abbiamo gi visto, descrive la
rovina delle citt che hanno lasciato mano libera alle fazioni. Aggiungo adesso che una citt per si distingue dal panorama, Bologna, in cui il popolo ha saputo frenare le congiure, ricavandone
prosperit: Pensati del gran stato in lo qual Bologna, per la
gran constana e la gran fermea in la qual ella stata, per lonorevole povolo de quella citate, la quale maior terra dItalia, per
quello ke, salcuno romore nascen quella terra, incontinenti vivamente se li fa denati e fa quello che viaamente se tol via 20.
Anche se non siamo informati con certezza sulla posizione politica personale di Matteo, di cui, oltre a queste arringhe, ci sono
19
Ibid., 35, pp. 104-105; 22, p. 69; 22, p. 70. Siamo in quella zona di discorsi politici aggressivi e ispirati a una logica di esclusione rilevata per lultimo quarto del Duecento e per il primo Trecento da P. CAMMAROSANO, lites sociales et institutions politiques des
villes libres en Italie de la fin du XIIe au dbut du XIVe sicle, in Les lites urbaines au moyen
ge. XXIXe Congrs de la S.H.M.E.S. (Rome, mai 1996), Paris, 1997, pp. 193-200, p. 196,
che non a caso cita come esempio Filippo Ceffi, appunto derivato da Matteo dei Libri.
20
MATTEO DEI LIBRI, Arringhe cit., 50, p. 147-148.
72
ENRICO ARTIFONI
21
P. O. KRISTELLER, Matteo de Libri, Bolognese notary of the thirteenth century, and his artes
dictaminis, in Miscellanea Giovanni Galbiati, II, Milano, 1951, pp. 283-320; le informazioni essenziali sono in G. TAMBA, Libri, Matteo, in Dizionario biografico degli Italiani, 65, Roma, 2005, pp. 64-65.
22
E. VINCENTI, Sentenze e spirito sentenzioso in Matteo e Per un repertorio delle sentenze, in
MATTEO DEI LIBRI, Arringhe cit., pp. CVIII-CXV, pp. CXXX-CLXIII.
73
I versi piacciono, sono messi per iscritto e cominciano a circolare sine fraude , senza malizia, dice il cronista, tant vero che li
23
Per quanto segue si veda ROLANDINO, Vita e morte di Ezzelino da Romano (Cronaca), a
cura di F. FIORESE, l. VI, cap. 4 e sgg., Milano, 2004, p. 276 sgg., con utile annotazione,
senza trascurare il commento in ROLANDINI PATAVINI Cronica in factis et circa facta Marchie
Trivixane, a cura di A. BONARDI, Citt di Castello, 1905-1908 (R.I.S., n.s., 8/1), p. 89 sgg.
Il Liber regiminum Padue (in ROLANDINI PATAVINI Chronica cit., p. 319) colloca linizio della
podesteria padovana di Ansedisio Guidotti, e i fatti conseguenti, nel 1250. Al brano rolandiniano ha dato rilievo di recente L. TANZINI, Dai comuni agli stati territoriali. LItalia
delle citt tra XIII e XV secolo, Parma, 2010, pp. 95-97.
24
ROLANDINO, Vita e morte cit., p. 279: Accipitrem, milvi pulsurum bella, collunbe/Accipiunt regem; rex magis hoste nocet./Incipiunt de rege queri, quia sanius esset /
milvi bella pati, quam sine marte mori .
74
ENRICO ARTIFONI
ascolta con diletto anche il giudice del podest. Ma alla fine, quando qualcuno li riporta ad Ansedisio, anche qui secondo il cronista
sine fraude , sono interpretati come unallusione politica esplicita: il podest fa incarcerare il suo stesso giudice e i cittadini coinvolti nella vicenda, una dozzina ( notarios et populares, qui ad audiendos versus steterant, et iudices quosdam etiam ). Pochi giorni
dopo arriva in citt Ezzelino da Romano, il quale in un furibondo
discorso denuncia dietro lepisodio una congiura dei Dalesmanini e
proclama di non essere affatto lo sparviero che divora le colombe,
bens il sollecito padre di famiglia deciso a ripulire la casa da scorpioni, rospi e serpi. La conclusione tragica, perch dapprima il
giudice del podest e poco dopo alcuni di quelli che Rolandino
chiama ormai illi de versibus, quasi tutti notai e giudici, sono alla fine decapitati 25. Rimando il commento e passo ad Asti, 1310. Il
cronista e mercante di spezie Guglielmo Ventura, a lungo militante
della societ popolare di Asti, inserisce a quellanno nella sua cronaca (il Memoriale de gestis civium Astensium) un capitolo di disposizioni
testamentarie riservate ai figli 26. Prima ancora dei beni materiali,
Guglielmo vuole trasmettere un patrimonio morale di insegnamenti, in un capitolo molto lungo che non si pu esaminare nei dettagli. Sintetizzando, al primo posto stanno il timore di Dio e il precetto di onorare la madre. Fa subito seguito la raccomandazione di
obbedire al comune, mostrandosi fedeli ad esso e pronti a prendere
le armi contro i nemici della citt, come sta scritto in Catone ( ut
in Catone scriptum est: Pugna pro patria ). I fratelli si amino fra
loro, coltivino le amicizie oneste e facciano molta elemosina. Curino
la loro cultura: leggano il pi spesso possibile i testi sacri, lascino
da parte le favole scritte nei libri che chiamano romanzi, che io, dice Guglielmo, ho sempre odiato ( fabulas scriptas in libris qui ro-
25
75
mani vocantur, vitare debeant, quae semper odio habui ), e leggano attentamente Catone finch potranno, quel Catone che in una
sentenza esorta a non smettere di imparare: discere ne cesses, cura
sapientia crescit .
Qualche osservazione indispensabile. Il liber Ysopus a cui allude
Rolandino una silloge di sessanta favole in distici elegiaci, in realt di derivazione fedriana, in passato attribuita senza troppo fondamento da Hervieux a Gualtiero Anglico, che lavrebbe composta
verso il 1175. La favola citata da Rolandino fa effettivamente parte
di questa silloge, con il titolo De accipitre et columbis, e i versi sono
riportati testualmente 27. In quanto allepisodio in s, accolto in
una versione abbreviata anche nel Liber regiminum Padue, che daltra
parte riporta pi ampiamente la citazione esopica. Semmai lascia
perplessi nella versione di Rolandino laffermazione iterata che quei
versi su uno sparviero che divora le colombe fossero stati recitati, e
proprio nel palazzo del podest, davvero senza alcuna malizia. Nessun problema per il brano di Guglielmo Ventura, perch le favole
dei romanzi sono evidentemente la materia cavalleresca, a cui il cronista contrappone come modello etico e di cultura, due volte citato
ma presente nel passo al di l delle citazioni esplicite, i notissimi
Disticha Catonis, un manuale in versi di moralit urbana risalente al
III secolo che ebbe per tutto il medioevo, come ben noto, una
fortuna ininterrotta 28.
27
Si pu leggere, oltre che in tutte le raccolte degli auctores octo (per le ragioni dette
pi avanti nel testo), in L. HERVIEUX, Les fabulistes latins depuis le sicle dAuguste jusqu la
fin du moyen ge, II, Paris, 1884, p. 395 e, meglio, in appendice a Lyoner Yzopet. Altfranzsische bersetzung des XIII. Jahrhunderts [...] mit dem kritischen Text des lateinischen Originals
(sog. Anonymus Neveleti), a cura di W. FOERSTER, Heilbronn, 1882, p. 108 (in entrambe le
edizioni il testo 22). SullEsopo in distici si trovano schede precise, con bibliografia, in
Esopo toscano dei mercanti e dei frati predicatori, a cura di V. BRANCA, Venezia, 1989, pp. 4649 e in J. MANN, La favolistica, in Lo spazio letterario del Medioevo. 1. Il Medioevo latino, I/2,
Roma, 1993, pp. 171-195, pp. 181-182.
28
B. MUNK OLSEN, I classici nel canone scolastico altomedievale, Spoleto, 1991, pp. 59-63.
Su alcune ragioni dellenorme fortuna dellopera cfr. R. HAZELTON, The christianization of
Cato: The Disticha Catonis in the light of late mediaeval commentaries, in Mediaeval Studies,
19 (1957), pp. 157-173. Per i volgarizzamenti utile P. ROOS, Sentenza e proverbio nellantichit e i Distici di Catone, Brescia, 1984. Molto sui Disticha si trova ora in Tradition des
proverbes et des exempla dans lOccident mdival, a cura di H. O. BIZZARRI, M. ROHDE, Berlin,
76
ENRICO ARTIFONI
Sul perch si dia per scontato che un membro del ceto dirigente padovano potesse normalmente citare le favole di Esopo e perch
un mercante astigiano facesse della saggezza di Catone il perno di
un lascito morale e la filigrana di un lungo capitolo, in altre parole
perch questi materiali siano considerati tanto vulgati da non richiedere alcuna spiegazione, la risposta la pi semplice possibile
ma ha qualche conseguenza: i protagonisti ci avevano studiato sopra
imparando il latino. Tanto lEsopo quanto, ancora di pi, il Catone,
erano una parte fissa di quellinsieme di testi su cui si conduceva
lalfabetizzazione latina, come ancora ricordava a fine Trecento il
predicatore Giovanni Dominici, lodando gli antichi sistemi educativi contro la pedagogia umanistica:
Intendo i nostri antichi viddono lume dottrinando la puerizia, e i moderni fatti
son ciechi, fuor della fede crescendo lor figliuoli. La prima cosa insegnavano era
il saltero e dottrina sacra; e se gli mandavano pi oltre, avevano moralit di Catone, finzioni dEsopo, dottrina di Boezio, buona scienzia di Prospero tratta di
santo Agostino, e filosofia d Eva columba, o Tres leo naturas, con un poco di poetizzata Scrittura santa nello Aethiopum terras; con simili libri studiavano, de quali
nullo insegnava mal fare 29.
I rimandi non trasparenti vanno agli epigrammi di Prospero dAquitania e ad alcune opere indicate con lincipit: il Dittochaeon o Tituli
historiarum di Prudenzio (Eva columba), il Physiologus in versi (Tres leo
naturas), legloga di Teodulo (Aethiopum terras). Si richiama spesso su
questi temi il canone degli auctores octo, anche se di recente si insistito sul fatto che esso appare piuttosto una sistematizzazione posteriore
intervenuta con le prime edizioni a stampa 30. Limitiamoci perci a in-
77
con bibliografia precedente, in FROVA, La scuola cit., pp. 128-130; P. F. GEHL, A moral art.
Grammar, society and culture in Trecento Florence, Ithaca, 1993, p. 13, parla degli auctores octo
come di a marketing come-on by french printers of the fifteenth century .
31
Anche sulla base di FROVA, La scuola cit., pp. 129-130.
32
P. F. GRENDLER, La scuola nel Rinascimento italiano, [1989], Roma-Bari, 1991, pp.
215-217; GEHL, A moral art cit., pp. 107-134 (capitolo dedicato a fruizione e fortuna dei
Disticha e dellEsopo); R. BLACK, Humanism and education in medieval and renaissance Italy,
Cambridge, 2001.
33
GEHL, A moral art cit., pp. 116-120, sulle forme di interiorizzazione mmemonica del
testo (con richiamo a M. CARRUTHERS, The Book of Memory. A study of memory in medieval
culture, Cambridge, 1990).
78
ENRICO ARTIFONI
34
Cito secondo Disticha Catonis, a cura di M. BOAS, H. J. BOTSCHUYVER, Amsterdam,
1952, indicando fra parentesi tonde libro dellopera, numero della sentenza, numero di
pagina.
35
Basta ricordare il libro che ha indicato una nuova direzione di studio: C. CASAGRANDE, S. VECCHIO, I peccati della lingua. Disciplina ed etica della parola nella cultura medievale,
Roma, 1987.
79
36
Disticha Catonis cit., III, 13, p. 168: Multorum disce exemplo quae facta sequaris,/quae fugias, vita est nobis aliena magistra ; IV, 19, p. 215: Disce aliquid, nam,
cum subito fortuna recessit,/ars remanet vitamque hominis non deserit unquam ; IV, 23,
p. 219: Disce sed a doctis, indoctos ipse doceto:/propaganda etenim est rerum doctrina
bonarum ; IV, 27, p. 227: Discere ne cessa, cura sapientia crescat:/rara datur longo
prudentia temporis usu .
37
Ibid., III, 1, p. 152: Instrue praeceptis animum, ne discere cessa;/nam sine doctrina vita est quasi mortis imago ; IV, 21, p. 217: Exerce studium, quamvis perceperis
artem:/ut cura ingenium, sic et manus adiuvat usum .
38
Si veda E. ARTIFONI, Prudenza del consigliare. Leducazione del cittadino nel Liber consolationis et consilii di Albertano da Brescia (1246), in Consilium. Teorie e pratiche del consigliare nella cultura medievale, a cura di C. CASAGRANDE, C. CRISCIANI, S. VECCHIO, Firenze,
2004, pp. 195-216, e ID., Tra etica e professionalit politica: la riflessione sulle forme di vita in
alcuni intellettuali pragmatici del Duecento italiano, in Vie active et vie contemplative au moyen
ge et au seuil de la Renaissance, a cura di C. TROTTMANN, Rome, 2009, pp. 403-423. Lallusione va a GIOVANNI VILLANI, Nuova cronica, l. IX, cap. 10, II, a cura di G. PORTA, Parma,
1991, pp. 27-28.
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39
Disticha Catonis cit., 23, p. 19 ( una delle sententiae breves anteposte allopera).
P. COSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, I, Dalla civilt comunale al Settecento, Roma-Bari, 1999, p. 22.
41
Probabilmente con la mediazione del volgarizzamento della Summa eseguito da Taddeo Alderotti, come ritiene Sonia Gentili riprendendo una posizione di Concetto Marchesi:
S. GENTILI, Luomo aristotelico alle origini della letteratura italiana, Roma, 2005, pp. 41-49.
40
81
42
Il pi ampio contributo recente sulla fisionomia intellettuale di Brunetto E. FENZI,
Brunetto Latini, ovvero il fondamento politico dellarte della parola e il potere dellintellettuale, in
A scuola con ser Brunetto. Indagini sulla ricezione di Brunetto Latini dal medioevo al Rinascimento. Atti del Convegno internazionale di studi, Universit di Basilea, 8-10 giugno 2006, a cura di
I. MAFFIA SCARIATI, Firenze, 2008, pp. 323-369.
82
ENRICO ARTIFONI
ra giovanile di Cicerone che ebbe una fortuna costante nel medioevo in quanto usata come introduzione a qualunque insegnamento
retorico. Alla sua traduzione Brunetto aggiunge un commento che
firma come lo sponitore , un commento molto pi ampio del testo tradotto e presentato come un lavoro non servile ma come un
vero e proprio contributo originale, tanto da spingerlo nel proemio
a dichiarare linsieme dellopera come il frutto di un doppio autore:
Marco Tulio Cicero, il pi sapientissimo de Romani e Brunetto Latino cittadino di Firenze 43. Il de inventione contiene nelle
pagine iniziali un racconto sullorigine di retorica che in realt
anche una narrazione sullorigine delle comunit umane, di cui cito
linizio nella traduzione di Brunetto:
Acci che fue un tempo che in tutte parti isvagavano gli uomini per li campi in
guisa di bestie e conduceano lor vita in modo di fiere, e facea ciascuno quasi tutte cose per forza di corpo e non per ragione danimo; et ancora in quello tempo
la divina religione n umano officio non erano avuti in reverenzia. Neuno uomo
avea veduto legittimo managio, nessuno avea connosciuti certi figliuoli, n aveano pensato che utilitade fosse mantenere ragione et agguallianza 44.
43
BRUNETTO Latini, La rettorica, testo critico di F. MAGGINI, prefazione di C. SEGRE, Firenze, 1968, p. 6: L autore di questa opera doppio: uno che di tutti i detti de filosofi
che fuoro davanti lui e dalla viva fonte del suo ingegno fece suo libro di rettorica, ci fue
Marco Tulio Cicero, il pi sapientissimo de Romani. Il secondo Brunetto Latino cittadino di Firenze, il quale mise tutto suo studio e suo intendimento ad isponere e chiarire ci
che Tulio avea detto; et esso quella persona cui questo libro appella sponitore, cio ched
ispone e fae intendere, per lo suo propio detto e de filosofi e maestri che sono passati, il
libro di Tulio, e tanto pi quanto allarte bisogna di quel che fue intralasciato nel libro di
Tulio, s come il buono intenditore potre intendere avanti . Sulla rilevanza del doppio
autore cfr. G. BALDASSARRI, Prologo e Accessus ad auctores nella Rettorica di B. Latini, in
Studi e problemi di critica testuale, 12 (1976), pp. 102-116.
44
LATINI, La rettorica cit., p. 17.
45
Ibid., p. 21.
83
46
Ibid., pp. 31-32. Riscontri del racconto ciceroniano-brunettiano nella Cronica di Dino Compagni sono ora forniti in D. CAPPI, Dino Compagni tra Cicerone e Corso Donati: i pericoli della parola politica, in Studi medievali, s. III, 50 (2009), pp. 605-671.
47
C. J. NEDERMAN, Nature, sin and the origins of society: the ciceronian tradition in medieval
political thought, [1988] e ID., The union of wisdom and eloquence before the Renaissance: the Ciceronian orator in medieval thought, [1992], poi entrambi in ID., Medieval aristotelianism and
its limits. Classical traditions in moral and political philosophy, 12th-15th century, Aldershot,
1997, saggi XI e XII; M. S. KEMPSHALL, De re publica 1.39 in medieval and Renaissance political thought, in Ciceros Republic, a cura di J. G. F. POWELL, J. A. NORTH, London, 2001,
pp. 99-135; V. SYROS, Founders and kings versus orators: medieval and early modern views on the
origins of social life, in Viator, 42 (2011), pp. 383-408 (molto utile per il tema che si sta
trattando qui).
48
NEDERMAN, The union of wisdom and eloquence cit.
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precedente 49. Ma questa fonte fatta propria e rilanciata da Brunetto dentro un discorso ben pi ampio e attuale, un discorso, vedremo ora, che trova anche qualche altro testimone, dando luogo a
una specie di aria di famiglia fra testi diversi.
Durante gli anni dellesilio di Brunetto, tra la fine del 1262 e
linizio del 1263, Guittone dArezzo, nella scia del turbamento ancora vivo per la disfatta di Montaperti, scriveva unepistola famosa
ai Fiorentini (Infatuati miseri Fiorentini) 50. Lepistola, la XIV della
raccolta, presenta complessi rapporti tematici e testuali con le tre
canzoni guittoniane Gente noiosa e villana, Ahi lasso, or stagion de
doler tanto e O dolce terra aretina, canzoni da inserire a loro volta fra
altri esempi di poesia politica toscana degli anni Cinquanta e Sessanta 51, ma trova una sua specificit, notata da tutti, sia nella sua
altissima temperatura retorica sia in una delle principali architetture che la sorreggono ( 4-9), fondata, spiega Margueron, su un
doppio sillogismo che si intreccia ripetutamente: la ragione distingue luomo dalle bestie, i Fiorentini hanno perso il senno per i loro
dissidi e dunque non sono uomini ma fiere; la citt in s un luogo di giustizia e di pace, Firenze ridotta a una spelonca di ladri,
dunque non pi una citt, ma un selvaggio paese alpestre 52. E allora: Unde vedete voi se vostra terra cit, e se voi citadini omini siete . Il seguito, che si snoda per sette pagine nelledizione a
stampa e non si pu ovviamente analizzare per intero, in parte
una potente verbalizzazione di questo nucleo di pensiero:
E dovete savere che non cit fa gi palagi n rughe belle, n omo persona bella
n drappi ricchi; ma legge naturale, ordinata giustizia e pace e gaudio intendo
che fa cit, e omo ragione e sapienza e costumi onesti e retti bene. O che non
49
G. C. ALESSIO, Brunetto Latini e Cicerone (e i dettatori), in Italia medioevale e umanistica,
22 (1979), pp. 123-169.
50
GUITTONE DAREZZO, Lettere, XIV, a cura di C. MARGUERON, Bologna, 1990, pp. 155162, con commento a pp. 163-179.
51
E. PASQUINI, Intersezioni fra prosa e poesia nelle Lettere di Guittone, in Guittone dArezzo
nel settimo centenario della morte, a cura di M. PICONE, Firenze, 1995, pp. 177-217, pp. 195199; F. BRUNI, La citt divisa. Le parti e il bene comune da Dante a Guicciardini, Bologna,
2003, pp. 81-86.
52
Ho parafrasato qui il commento di Margueron in GUITTONE DAREZZO, Lettere cit., p. 165.
85
pi sembrasse vostra terra deserto, che cit sembra, e voi dragoni e orsi che citadini! Certo, s come voi no rimaso che membra e fazione d omo, ch tutto laltro bestiale, ragion fallita, no a vostra terra che figura di cit e casa, giustizia
vietata e pace; ch, come da omo a bestia no gi che ragione e sapienza, non da
cit a bosco che giustizia e pace 53.
E pi avanti:
Unde onni abitaculo domo pacifico esser vorria; ma pur cit dico che specialissimo loco o gaudio e pace trovare sempre si dea e ove dea refuggire chi gaudio e
pace chiere; e s loco a guerra reputato alcuno, no cit, ma alpi, ove alpestri e
selvaggi se sogliano trovare omini come fere. Ma a la gran mattezza dei citadini
alpe son cit fatte, e cit alpe, e citadini alpestri in guerra tribulando, e alpestri
citadini gaudendo in pace 54.
Piacerebbe citare a lungo da questo testo, trattando anche di altri aspetti della lettera, dal mito di Roma alla sofferenza degli esiliati, ma il punto il cuore politico di questa riflessione. Pur essendo sufficientemente provata la conoscenza da parte di Guittone della Summa Alexandrinorum, il gi citato compendio di temi aristotelici 55, la lettera XIV ai Fiorentini ne riporta in realt una traccia assai tenue e poco significativa 56. Assai pi importanti sono le analogie, segnalate da Margueron, con luoghi brunettiani sul medesimo
argomento, tra cui quelli che abbiamo esaminato dalla Rettorica,
luoghi non considerabili certo come fonti ma appunto come passi
paralleli. Credo si possa andare pi avanti e pensare senza troppe
difficolt anche a una risonanza nel testo guittoniano del grande
mito iniziale del de inventione, lettura scontata in un poeta della caratura retorica di Guittone, e soprattutto della sua parte negativa,
53
86
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57
Utile materiale sul tema della feritas nella poesia duecentesca in F. MAZZONI, Tematiche politiche fra Guittone e Dante, in Guittone dArezzo cit., pp. 351-383. Altra analogia (concettuale) fra la lettera XIV guittoniana e la Rettorica brunettiana segnalata in C. LE LAY,
Le dsastre de Montaperti chez Guittone dArezzo, in Arzan, 11 (2005), pp. 17-45, p. 24 (numero dedicato a La posie politique dans lItalie mdivale, a cura di A. Fontes Baratto, M.
Marietti, C. Perrus).
58
RESTORO DAREZZO, La composizione del mondo, a cura di A. MORINO, Parma, 1997, II,
1, 2, p. 79, e cfr. p. XV dellintroduzione del curatore.
59
H. D. AUSTIN, Accredited citations in Ristoro dArezzos Composizione del mondo, in Studi medievali, 4 (1912-1913), pp. 335-382, pp. 376-377 per un quadro riassuntivo che cita
anche alcune altre possibili fonti (tra cui Zahel) di incidenza nettamente minore.
87
zione che si direbbe diffusa, nella seconda met del Duecento, intorno ai momenti aurorali della storia umana, uninterrogazione alla
quale si poteva rispondere secondo percorsi svariati e non aristotelicamente rassicuranti.
Trattando degli uomini posti sotto linfluenza di Saturno, cio i
lavoratori della terra, Restoro li descrive cos (riduco al minimo le
citazioni di un brano molto lungo):
E questa gente saturnina, per cascione del lavorio de la terra e per cascione chelli
sacompagnano e participano e usano colle bestie, so gente che se descreciano poco da le bestie, e per rascione so gente menscipia e bestiale e senza senno [...]; e
per lo poco senno so envediosi e occidonse e tolle luno a laltro, e fanose male
aseme, e so ignari e non cognoscono iustizia n rascione e so senza lege 60.
Ancora una volta, per strade tortuose, si riaffaccia lidea inquietante di unalba selvaggia del genere umano, una stirpe feroce da
trasformare con leggi e istituzioni e da portare verso la storia civile,
al di l della sua stessa originaria natura.
60
RESTORO DAREZZO, La composizione del mondo cit., II, 2, 1-II, 2, 2, pp. 115-122.