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Preseto por un sentero a desta dll sitadale gf tendon pee mano, adagios antiverono sulla iva cel fume, Sedettero su un prisina; Luisa guardava sopra il ponte, Pombra della sentinella, chit ws sente se prido?, pensava, ° a alton Maio — ise Mario diceva che Pacqua ay Maro dcees che Tacqus ete topic si parle e =a bone, an andome! Non mi ‘pate vero dlaveret in b i =N vero d'averci in berta ventinove- mila lize — disse lui. Luisa non sispose e Marlo ripe £65 Nentinoremil te! i inoltrarone nel boseo, Luis pele . Luisa pensava che quel: ‘ombra & Mario e Ja yede ancora, ancora Ki; i Hedi Je Staffondavano nel fango, batiovano su pictre, ie caviglie punte; ore la sabi (avulieFeote: ore Ia sbbia, oa Ia eta dar, ova Trovarono uno spiaszo ti parond uno spiazzo ricoperio dPerba, frammei 20 a pioppettc. Si sdraisrono, Luisa guarcd jl cielo Cerano nuvole, Chiase pli oochi = — Mario, la fabbrica ce Phai! — mormor’. vin |A Vigevano atriva la principessa, la sposa dal fid dal re, Andd anche a visitare la Sala Pelagatta ¢ quel che Mario contava a Luisa, doveva esscte vero sf. Bi Corriere di Vigevano port® le fotografie, ¢ il faccione di Mario o dalla parte di monsignore o dalla princi- pessa, cera sempre, = Lian che vegna gaeri jl re — diceva Mario — e yisiterd soltanto la Sala Calzature —. E dava seiale a mai piena aul dad’ di Liisa. — Pelagatta fa il purses si fu lisare patacche ¢ portafogli, bon bon, Va fare il cip: vegacé! —e dai un’altra sculati, di quelle che fan yenite il culo viola Tuisa aveva la faceia d’una mugnaga di don Giaco- bone. — Ma che ci hai? — Me gnenta, Mario, gnental I Pelagatta, mazito © moglie, ayevano annunciato tuna loro visita. Luisa si dette da fare pet fa’ bella f- gura. Mise Ie tapezzeric ai muri, che noa tengono; quarid il divano, ma le molle sotto si sentoro, sata suo una o Laltra. Copri le sedie. E i lettone, anche metterci sopra il trapuncone di queila, il bambolone da bambino ricco, resta che si vede sempre un po’, un po’ tanto. E poi la tramerze? Lontana mezzo metro dal sof fito, tarlata, Gli diedero una mano di bianco. a7 Accomodarono tutto ella meglio e si dicevano che stanno cos in via provvisoria, per il mument! | Pe- lagatra Jo sanno. Quando arriyarono gli venne Ia co- sternazione. ‘Tutte capitano al momento giusto. In conte c‘ereno gli uomini con Ia bonza. I Pelagatta finsero di niente. Luisa cavanti alla signara del socio si sentiva genata. Dava le mano bene, lei, col braccio faceva il sexpentone; parlava col doi, la erre mancatn, € poi cosf cleganre'cosi ben messa, Porta bene ali anni per via del far niente, L'unica pteoccupazione Pe i cane, il suo dispiasé ['8 tun quai coran. Al sua posto tutti, La Peligatta non aveva indosso un vestito hello come quello di Luisa. E Luisa pensava che quella stava bene anche vestita di stracci, menite lei vestita bene non fa figura Quel che la genava di pitt & che quelli parlano Pita: liang quel bel dei liber. Luisa ci provs ma lo parve che i due si divettivano, Guardava Mario parlace come niente fosso, che Ini & abitua teattare con gente dottore, mua il so? itn liano le pateva sionato, Quando se n’andarono tirarono sa il fato, Non han visto Ta stanza, Qualche settimana dopo pli ricambiatono Ia visita, Gli mostrarono stenza per stanza della villa, Una casa di lusso, sale tinelli camere e i spigion che fa belli guardarsi. Anche i servizi pli eprirono. Nel cesso avevano sin il lavaculo. Matio era entusiasta del studio con i quader di bel- Ie donne, bei biuten, e i libron dell’enciclopedia con insima ori, ¢ il lampaderi di gesin, tutto cristal cristallini che fa la vegia al sul A Laisa pieceva fa camera degli ospiti con le pol 48 trone verdi che si sprofonda dentro, E il tavolino di cristallo c il tappeto persiano, che strusarci il pede pate daver sotto una bella bestin A letto non si dissero: sta ben e conserveti Luise pensava che i Pelagatta glicl’han fatto posta per dire: ciappa li, toh, Ma se la faranto anche loro aca’, non c’® Cristo che tenga, ¢ pit bella che la sua, e Ti avrebhe invitati, In rivincita. Poi le veniva in mente o a sccivania coi cretti serati, o il cancello che scatta, o la tetrazza con Paltalena, noi una casa cost podiamo giusto insognatcela. ~ Fino a quando doverama star qui! ‘Mario disse che in attesa di faruela su, eta venuto delfidca di andare « star via. [n yallata San Martino nelle case dove sta padron Fertari c’ dae siti che aon son male, Luise and « yoderli. = Cost mi piace. Due stanze con piastrelle © gli usci a due ante col cristalle © ancora le porta. Fla tinghiera, Fla corte di geate come noi! Avevano preso mobili che yan ben, bei cumpagnd ¢ feccro amicizia col vicinato, Uscio uscio ci stava pa dron Fertati; e sopra ci stava padron Netto che fa- ceva andare ka giunteria, In corte Cova anche il guac- dolificio di padron Ferrari. E ei stavano operati, fa- miglic povere ma oneste. Alla Luisa non piaceva la sora Rosa, la moglie di padton Ferrari, Con quel suo fare di caporala fa In fascistona, Va no ben. Sta ca’ tua a gitstare le mutande; che politica e politica del hallo. E la donna del Netto, Ia Menchina, # la To- gnetta si cipan cecti mal di panza, mama come son pertegole! Ma a paragone che di [a! Passavano le sete su] balletoio a contarsela, Padron Festati che lo chie- mano il Tettavacche era malandato, Ha venduto la fabbtica proprio adesso, colpa del diahete. Ha pen- 9 sato che motto me morto il te, ¢ in quel di il mondo & cambiato da cost @ cost. E che il Tetuavacche il padrone non lo sapevs fate Prima da fa? un allare pare don Giacobone davanti al libro santo: poi? ¢ ma? e sc? La sora Rosa se- guitava ditgli — Gnulu d’un gaulu! La tua fabbtica vale milioni, haa trovato la ciulla! ‘Te Favevo det- 0 io. Neit ce Paveva su fare, che ni era dspoto com ptarglicla, Lui, la fabbrica, gli dava di pit, Beh! mondo @ bello perché & ee Cee IX. Sotto Netale Luisa dicewa che voleva blazarsela. ‘Mario le aveva fatto un pari che era un peceazo cam- minarci. Aveva fatto compere di bei rob, che 1a mat- tina metteva sul tayolo con tanti augari dal Bambino. Mario sicuro sarebbe stato contento, chiss® che fac- cia che fatd. Una festa da siuroni ~ Ti piace il presepio? — domend® Luisa. ~ Si! — Dai soddisfazione tu. Come succhiare ua chiodo! ~ Sti dané, mi spinre tanto per Pelagatte ma ce Li teniamo per noialtri, Me vori lustri la facia, Quasi quasi, averci un po’ di fegato si pud mettercisi da soli din per noi. Ne ho eroppo basta di quell somo |R Nin podi pi. Meglio soli in d'un cantisone che « socio in un fabbricone. Se ci avessi da comandare tutto mi, ra scarpe e soldi a sgiaverle. Devi tasei, Turd e mosca, Neanche pitt un‘osservazione ai gar- zoni: Vindispongo, dice. Han trava la seri bona: ba- sta che gli dico una parola che ciapan la sti di Pela- gatta. Sgaratemi la roba, fi gnéat, lavurf quando ve comoda. — C2 gid la fiovea! — disse Luise. = E per cost del tempo che ghe pensi: avere gli operati che disi mi, la clientela che disi mi, Ia ro- ba che mi pare. Quellalé 8 i posto degli impiastri, al’. x

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