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Sinistra Ecologia e Libert

Coordinamento regionale Veneto

TERRA NOSTRA
Contrastare il grande saccheggio del territorio veneto

La mia non una battaglia antimoderna ma un fatto di identit e di civilt. La marcia di autodistruzione del nostro favoloso mondo veneto ricco di arte e di memorie arrivata ad alterare la consistenza stessa della terra che ci sta sotto i piedi. I boschi, i cieli, la campagna sono stati la mia ispirazione poetica fin dallinfanzia. Ne ho sempre ricevuto una forza di bellezza e tranquillit. Ecco perch la distruzione del paesaggio per me un lutto terribile. Bisogna indignarsi e fermare lo scempio che vede ogni area verde rimasta come unarea da edificare. Andrea Zanzotto
da unintervista al quotidiano La Stampa del 10 ottobre 2011

Relazioni al Seminario di lavoro organizzato dal Coordinamento regionale Veneto di Sinistra Ecologia e Libert, sabato 22 ottobre 2011, presso la Sala Convegni dellArchivio di Stato di Rovigo
in copertina: Paesaggio delle colline asolane

Dino Facchini, Premessa 4 Valerio Calzolaio, Terra Nostra 5 Oscar Mancini, Il territorio come bene comune 7 Sergio Lironi, Paesaggio e consumo di territorio 17 Luca De Marco, Tasche piene e territorio bucato 27 Forum Beta-SEL, Una campagna in difesa del territorio 33

Premessa

Lo scorso 22 ottobre Sinistra Ecologia Libert ha organizzato a Rovigo un Convegno regionale, aperto ai movimenti e ai comitati ambientalisti, per discutere le linee guida da seguire contro lo spreco folle di territorio che le classi dirigenti venete continuano a perseguire e a favore di un nuovo sviluppo sostenibile ed eco compatibile. Liniziativa ha prodotto tra gli altri i materiali che presentiamo in questa nostra pubblicazione; non sono solo idee elaborate nella discussione, ma direttrici di mobilitazione e di lotta scaturite da un impegno di lunga lena tra la gente e culminate poi una settimana dopo il convegno in una partecipata manifestazione ad Adria contro linstallazione della centrale a carbone di Porto Tolle. Il Veneto sempre stata una delle regioni pi massacrate dal cemento e dalla speculazione edilizia, anche nella fase aurea del modello economico che proponeva e che sembrava senza fine; oggi la crisi sistemica della crescita del PIL ha colpito anche le nostre terre, ma i poteri forti che qui governano e la Lega Nord si illudono di rilanciare lo sviluppo secondo i vecchi meccanismi, perpetuando anche il consumo dissennato di territorio. Invece tra le poche certezze che si possono affermare, una sicuramente quella che nulla torner pi come prima, neppure nella nostra regione. Per uscire dalla crisi e dalla disoccupazione di massa che la caratterizza, sar necessario rinnovare radicalmente il modello produttivo e attuare una politica industriale che salvi il lavoro e la natura, cio le due fonti di ricchezza e di riproduzione che lattuale sistema sta inesorabilmente distruggendo. Dino Facchini Coordinatore regionale Sinistra Ecologia e Libert

TERRA NOSTRA
Valerio Calzolaio *

1. Il coordinamento regionale veneto di Sinistra Ecologia Libert ha promosso il 22 ottobre 2011 un importante convegno programmatico a Rovigo per contrastare il grande saccheggio del territorio. Partecipai e svolsi brevi conclusioni. Dati e argomenti hanno anticipato la campagna nazionale Terra Nostra lanciata un mese dopo da SEL a livello nazionale, per il riassetto idrogeologico, ladattamento, la messa in sicurezza, la cura del territorio italiano tutto. Questa grande opera pubblica si potrebbe fare ora, subito, con molta volont, una certa competente intelligenza, poca fatica dei legislatori e dei governanti. Era impossibile con il governo Berlusconi, con il governo degli scandali e dei condoni; forse impossibile con questo parlamento che ha la stessa maggioranza di eletti dal centrodestra di Berlusconi; comunque era possibile almeno dirlo da parte del nuovo governo di impegno nazionale. Non stato detto, hanno cominciato male. La pubblicazione degli atti del convegno di Rovigo consente ora di arricchire i materiali e gli obiettivi della campagna Terra nostra. 2. La grande opera si potrebbe fare a legislazione vigente! Nuove norme (aggiornate e forti dellesperienza) servono sempre. Un parlamento nuovo e pi rappresentativo dellattuale, magari anche un poco pi di sinistra, ecologista, libertario e forse (per non farci mancare niente!) un governo coeso (dopo le primarie) di centrosinistra potrebbero approvare il primo giorno, nella prima seduta e nel primo Consiglio dei Ministri, il primo quinquennio del piano decennale per la messa in sicurezza del territorio italiano, un piano straordinario di gesti e atti ordinari. Noi abbiamo detto che andrebbe accompagnato da una norma-ponte, una norma che vieti intanto nuove costruzioni in certe aree, una norma moratoria che blocchi anche i pessimi megaprogetti di cui si parla in Veneto. Comunque il piano ha tutte le premesse normative gi vigenti: la legge di ratifica della Convenzione Europea sul Paesaggio (2000), la legge sulla difesa del suolo (legge 183 del 1989), le norme della vecchia legge sulle risorse idriche (legge 36 del 1994) ancora inattuate (bilanci idrici di bacino, censimento di tutti gli emungimenti e dei pozzi, revisione delle concessioni in uso, ecc.). 3. Si potrebbe realizzare con una diversa destinazione di fondi esistenti! Fondi nuovi (spesi con circospezione ed efficiente austerit) servono sempre. Abbiamo cercato di
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quantificare in 40 miliardi di euro il totale necessario e abbiamo ipotizzato le voci di reperimento, non servono manovre aggiuntive. Forse una buona parte dei fondi potrebbero essere individuati semplicemente rimodulando delibere CIPE e fondi esistenti. Per le prime tre annualit basterebbe preparare una seria riunione interministeriale del CIPE che, dintesa con le regioni, riformuli le priorit della legge obiettivo, mettendo in testa i piani-stralcio predisposti dalle autorit di bacino per la messa in sicurezza. I cambiamenti climatici in corso non sono reversibili ed emergenze ci sarebbero state comunque (anche se meno frequenti e intense). La nostra idea di rinaturalizzazione d per scontato che ormai gli ecosistemi sono sempre anche umani. Dunque conviviamo! Gli umani sapienti con le altre specie, gli umani sapienti con i normali straordinari eventi di un ecosistema e del pianeta. E adattiamoci! ricordando che lItalia ancora non ha nemmeno il piano di adattamento ai cambiamenti climatici previsto dal negoziato climatico internazionale. 4. Si potrebbe fare, avviare coordinare completare, senza nuovi enti, comitati, istituzioni, anzi tagliandone o togliendone qualcuno! Oggi troppi enti, comitati, istituzioni, privati hanno poteri sullassetto dei bacini e sul corso dei fiumi. Su questo molto ho scritto e proposto in passato. Rinvio, taglio e tolgo anchio. Purtroppo lultima emergenza toglie dai riflettori e costringe a mettere in secondo piano quella immediatamente precedente e fa dimenticare quelle ancora precedenti (delle quali tante, purtroppo, in Veneto). Noi diciamo che, sotto ogni punto di vista, investire sul territorio non significa edificare! La diffusa cultura del cemento e il frequente mancato rispetto delle regole hanno fatto danni. Lindustria edilizia si pu salvare e rilanciare convertendo e riconvertendo, curando e ristrutturando, utilizzando altro dal cemento e dal carbone. La vita sociale e collettiva ha bisogno di edilizia come assistenza al bene comune suolo e manutenzione del territorio. E una moderna edilizia ha bisogno di partecipazione dei cittadini, di decentramento energetico, di consumi critici, del servizio civile regionale, delladozione dei fiumi, di intraprese agricole (le proposte di SEL su risorse idriche, energie rinnovabili, rifiuti, difesa del territorio). 5. SEL un partito giovane, raccoglie esperienze antiche e moderne, eredita elaborazioni collettive e individuali, tuttavia soprattutto un nuovo soggetto che guarda in avanti. Questo vale in tutti i campi. Come forum nazionale SEL beni comuni e territorio (forumselbeta.it) abbiamo gi elaborato vari documenti e svolto due assemblee nazionali, abbiamo un sito e una qualificata interlocuzione sul territorio, da oggi assumiamo come prioritaria la campagna Terra nostra, dateci una mano! * Coordinatore forum nazionale SEL beni comuni e territorio
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IL TERRITORIO COME BENE COMUNE


Relazione di

Oscar Mancini

I referendum di giugno, nonostante siano stati rapidamente archiviati dal dibattito politico e offuscati dalla crisi, hanno espresso con chiarezza il significato ormai socialmente condiviso del concetto di beni comuni, in questo caso dei fondamentali elementi di riproduzione della vita, lenergia e lacqua. Nel dibattito pubblico questo concetto si da tempo progressivamente esteso alla generalit dellambiente, al territorio, alla citt, al paesaggio, come alternativa strategica e reazione collettiva ai modelli sociali del neoliberismo, fondati sulla privatizzazione e la mercificazione generalizzata delle relazioni sociali e individuali. Noi intendiamo il territorio non come mera aggregazione di elementi diversi (gli elementi naturali, i beni culturali, le comunit che lo abitano ecc.) ma come sistema che pu essere compreso, difeso, trasformato unicamente se considerato nellinsieme dei suoi aspetti e degli elementi che lo compongono.(Salzano 2010). La nozione di territorio, infatti, non si limita soltanto a designare il suolo, il terreno, ma comprende anche le acque, il clima, il regime delle piogge, la flora, la fauna. Nel territorio non ci siamo solo noi, esso non il fondale inerte delle nostre attivit, ma un campo di forze in movimento, talora collegate in forma di sistema. Al territorio come habitat(Bevilacqua 2009) indirizzata lazione di numerosissimi comitati, associazioni e gruppi di cittadinanza attiva, in Italia e negli alti paesi europei. Una galassia che a volte ha la capacit unirsi e creare movimenti su scala nazionale come quello per lacqua bene comune e quello, pi giovane, per un altro modello energetico. Oppure movimenti su base territoriale come No Tav, No dal Molin, Liberiamo la Riviera e quello che sta nascendo qui nel Polesine attorno alla centrale di Porto Tolle dove gli elementi vitali di Empedocle- aria, acqua, terra e fuoco-energia - si connettono. Nella scena politica urbana dunque compare e si radica un nuovo soggetto: i comitati. Non un caso che essi sorgano e si sviluppino nella stagione della dissoluzione del partito di massa. Essi sono allo stesso tempo laltra faccia della crisi della politica e una nuova e interessante forma di partecipazione politica. Essi tendono ad autorappresentarsi sulla scena politica, attraverso un altro modo di fare politica, gelosi della propria autonomia ma non indifferenti al rapporto con i partiti e le istituzioni. Per dirla con Vendola, questo caleidoscopio di movimenti, di frammenti colorati pieni di energia, non ha ancora trovato la tela su cui connettersi. Perch, la mia risposta, siamo in presenza di una crisi della rappresentanza politica e anche di quella sociale. Una vertenzialit diffusa, ma orfana di una narrazione generale, fatica per a rompe7

re lo schermo dellegemonia Berlusconiana. Qui c dunque un vasto campo dazione per un partito- movimento come il nostro che dellecologia e del lavoro ha fatto la sua bandiera. 1. Leffetto congiunto della globalizzazione, della crisi economica e dei cambiamenti climatici (tre fenomeni interdipendenti) mette a rischio lumana convivenza. Stiamo entrando in unepoca di grandi sconvolgimenti : ambientali, economici, geopolitici. Possono aprire la strada a immani catastrofi, al moltiplicarsi delle guerre, allaffermarsi di regimi sempre pi autoritari, allaggravarsi delle condizioni di vita di miliardi di esseri umani, a vaste migrazioni internazionali forzate dai cambiamenti climatici come documenta il bel libro di Valerio Calzolaio, Ecoprofughi. Allorigine di questi processi vi quello che Luciano Gallino chiama il finanzcapitalismo: Una megamacchina che stata sviluppata nel corso degli ultimi decenni allo scopo di massimizzare e accumulare, sotto forma di capitale e insieme di potere, il valore estraibile sia dal maggior numero possibile di esseri umani, sia dagli ecosistemi. Una tirannide globale senza volto che trova il suo nemico sempre in mezzo ai poveri. La sua estensione planetaria e la sua penetrazione in tutti gli strati della societ ne fa qualcosa di assolutamente inedito: il denaro crea se stesso anzich valore duso e sposta immense quote di reddito dal lavoro e dagli investimenti produttivi alla rendita finanziaria. Una megamacchina che sta consumando un terzo delle risorse di un altro pianeta, ovvero sta distruggendo a un ritmo accelerato gli ecosistemi che sostengono la vita. Poich non abbiamo a disposizione un altro pianeta con il quale la civilt-mondo possa entrare in conflitto a livello planetario rischiamo la crescita non solo di conflitti inter-nazionali ma anche intra-nazionali per laccaparramento delle risorse. Arundaty Roy, ci racconta della guerra che il governo indiano ha intrapreso contro la sua stessa popolazione che vive nelle foreste, bruciando interi villaggi, per scacciarle dal proprio territorio al fine di consentire alle grandi corporation di accaparrarsi le risorse naturali. Anche per questa via passa la crescita del grande paese asiatico, che noi chiamiamo abitualmente la pi grande democrazia del mondo. Limportanza e la scarsit delle risorse naturali testimoniata anche dal fatto che ci sono paesi che per garantirsi lapprovvigionamento alimentare hanno acquistato allestero, nel solo 2008, 7,7 milioni di ettari di terreni agricoli: pi della met della superficie agricola coltivata in Italia. Terreni che noi consumiamo con implacabile voracit. 2. La prospettiva del consumo zero di suolo scritta in tanti documenti di piano. A Firenze come a Venezia. Salvo essere contraddetta dalle norme tecniche, quelle che pochi leggono. Persino la Regione Veneto,nella relazione al PTRC, scrive: Le dinamiche di sviluppo della societ veneta in questi ultimi anni hanno raggiunto, nel loro rapporto con la risorsa territoriale, soglie quantitative veramente elevate tali da non rendere pi desiderabile una prosecuzione di tali trend e da imporre di ripensare il futuro dellassetto
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insediativo. Si tratta per solo della bella confezione che racchiude un uovo vuoto per dirla con Edoardo Salzano. Infatti, scartata la confezione, il prodotto, ovvero le norme tecniche, del tutto inconsistente. Nel senso che si tratta di parole prive di efficacia prescrittiva e quindi utili per favorire la speculazione immobiliare. Daltra parte non poteva che essere cos se gi fin dal Prologo veniamo avvertiti non solo che il cosiddetto Piano contiene pochi, pochissimi vincoli, il minimo indispensabile ma anche che si tratta di una semplice cornice e trama di fondo nella quale inserire i piani darea (..) e di settore. Sono i cosiddetti progetti strategici che la Regione avoca a se esautorando gli Enti Locali. Il tutto ammantato con laccattivante linguaggio della sfida della qualit. Il disegno complessivo della Giunta Regionale per il territorio diventa chiaro via via che si procede alla lettura del PTRC e in particolare dellart. 38 delle norme. un sistema centrato sulla rete autostradale e sullutilizzazione intensiva delle aree circostanti i caselli. L devono addensarsi le attivit direzionali nuove da promuovere, la ricettivit alberghiera, i centri commerciali, tutti i centri dinteresse. Poco importa se non esiste alcuna seria dimostrazione dellesigenza di aumentare le sedi per tali attivit senza verificare la possibilit di ospitarle nelle strutture edilizie esistenti. Poco importa che con questa operazione si svuotino le citt e si condannino al deperimento i centri storici. Nascono cos le varie new town, da Veneto City a Tessera city a Motor city, alla cui realizzazione si piegano le infrastrutture con la previsione di spostare caselli autostradali, le stazioni del SFMR e persino la TAV, questultimo il caso di Tessera. 3. Contro questo piano si sviluppato un movimento che su scala veneta ha avuto il suo culmine nel 2009 con la presentazione di oltre 15.000 osservazioni. Un piano presentato con laccattivante slogan di Terzo Veneto: dopo quelli della pellagra e del miracolo economico finalmente un piano per la qualit, la bellezza, leccellenza. Attraverso un vasto lavoro di approfondimento dei contenuti del piano durato molti mesi siamo riusciti a disvelare il vero carattere delloperazione PTRC di Galan: Nientaltro che un lasciapassare a tutti i progetti di trasformazione territoriale presenti e futuri voluti dagli immobiliaristi. Un delirio di autostrade, bretelle, tunnel, camionabili; una costellazione di new city e il via libera allo svillettamento voluto dai comuni in cerca di oneri di urbanizzazione per coprire i buchi di bilancio.(P.Cacciari). Facendo interagire saperi esperti e saperi sociali un gruppo di urbanisti, di sindacalisti, di componenti i comitati e di esperti di altre discipline ha prodotto un articolato documento critico e propositivo dal programmatico titolo Per un altro Veneto presentato in decine dincontri e assemblee pubbliche. Un documento sottoscritto da oltre 120 associazioni, comitati, camere del lavoro che ha generato 14.021 (sul totale di 15.000) osservazioni diverse firmate da migliaia di cittadini. Una serie di affollate audizioni in Consiglio Regionale sono state loccasione per stringere alleanze con le associazioni degli agricoltori e dei commercianti in particolare.

Un accordo infine tra la rete dei comitati e delle associazioni con i partiti di opposizione e le controdeduzioni alle osservazioni che non sono riuscite a convincere neppure i consiglieri della maggioranza hanno spinto il PTRC su un binario morto. Quello che doveva essere il fiore allocchiello della Giunta Galan si appassito prima del tempo. Infatti il piano con la fine della legislatura e il ricorso alle elezioni decade. Ma gli immobiliaristi non demordono e ora tentano di realizzarlo pezzo per pezzo. Tante sono le emergenze. Oggi abbiamo scelto di parlare di quelle che dal nostro parziale osservatorio ci sembrano le prioritarie anche in relazione alle mobilitazioni territoriali che stanno generando: ci riferiamo, come sapete a Veneto City, a Tessera City, a Porto Tolle, ma lelenco potrebbe essere molto pi lungo (Motor City, IKEA a Casale sul Sile, inceneritore di C del Bue, Pedemontana etc). Sulla prima non aggiungo nulla a quanto gi detto pi diffusamente nel nostro incontro primaverile di Padova. Tratter la seconda e mi soffermer sulla terza. 4. Su Veneto City me la cavo dunque con qualche immagine: Siete mai stati a Gardaland? Se non avete unidea della dimensione del pi grande parco divertimenti del Nord Italia immaginate un colosso che si estende su 60 ha e avrete la percezione dellestensione di Veneto City, una enorme operazione immobiliare che canceller 600 mila mq di campagna veneta con oltre 2 milioni di mc di cemento e vetro per costruire una citt direzionale commerciale grande quanto 17 volte la fiera di Padova, di cui per nessuno ha ancora chiaro a cosa serve. Un mostro capace di attrarre, secondo gli stessi progettisti, 3.500 veicoli lora con punte di 7.000, un traffico veicolare di 70.000 veicoli al giorno. Esso parte di un pi generale progetto denominato bilanciere veneto di cui fa parte tra laltro la camionabile tra Marghera e Padova, progettata come strada chiusa a pedaggio - sarebbe pi corretto chiamarla autostrada - di fatto alternativa allidrovia, questultima richiesta anche dal comune di Padova dopo le recenti alluvioni. La Romea commerciale, unaltra autostrada che, come scrivono i comitati taglier su, dritta, attraverso i campi di Sambruson fino a sbucare, mostro rombante e inquinante a quattro corsie, tra le ville che si affacciano placide sul Naviglio Brenta fra Mira e Dolo. Nel frattempo si chiude il casello di Dolo con la conseguenza di congestionare ancor di pi la S.R. 11 che doveva invece diventare il corso principale della futura citt del Brenta auspicato dalla conferenza dei Sindaci negli anni novanta, dopo aver liberalizzato lautostrada come conseguenza della realizzazione del passante. 5. Tessera City ha una lunga storia. Risale al famigerato pugno nello stomaco del naufragato progetto EXPO 2000 di De Michelis che prevedeva di costruire proprio in quellarea, sotto il livello del mare, una nuova laguna, con annesse speculazioni immobiliari. Ecco quello che ho ritrovato tra le mie vecchie carte ingiallite: Una lieve e pacata collina vegetale alta 30 metri che nasconde un cratere profondo 130 in mezzo a una
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laguna artificiale nei pressi dellaeroporto di Tessera: nuvole artificiali prodotte con acqua fredda nebulizzata sui canali e sulle nuvole raggi laser proiettano figure a colori accompagnate da musica classica, giochi di luce subacquei, boulevard navigabili, palle di fuoco sospese sullacqua, isole artificiali con gemme trapunte e via vaneggiando. Ecco quando nasce la citt del loisir. Il progetto, questa volta senza annessa laguna, ricompare nel 2008 quando si conclude un accordo tra Cacciari, Galan, Marchi e il Casin, che progetta lo spostamento e il quadruplicamento dellarea originariamente urbanizzabile per stadio e casin: si prevede uno scambio tra le aree per attrezzature del Comune con aree agricole a est della bretella aeroportuale, nel frattempo acquisite da Marchi (per renderle edificabili bisogna prima variare il prg). Lambito lasciato libero tra queste aree e laeroporto, viene cos molto ampliato per consentire il raddoppio delle piste aeroportuali. Le nuove aree attribuite al Comune con lo scambio sono ubicate in una zona ad altissimo rischio idraulico (nella zona centrale risultano a 1,75 m sotto il livello medio del mare). Si predispongono le condizioni per arrivare allapprovazione di Tessera City, anche senza la procedura democratica e trasparente del normale strumento urbanistico comunale. La convinzione di aver gi ottenuto il risultato netta: solo tre giorni dopo il voto del consiglio comunale e la delibera regionale, La Nuova Venezia titola a tutta pagina: Le aree del Casin valorizzate di 140 milioni di euro. Il valore dei terreni agricoli per 400 mila metri quadrati divenuti edificabili aumenta di 20 volte, loperazione assesta in un battibalenoi conti della societ ( stiamo parlando solo del Casin, le aree della Save sono molte pi ampie!). Si evidenzia cos la realt e la dimensione delloperazione: una grandissima speculazione finanziaria e fondiaria. Con laiuto di noti e autorevoli urbanisti osservo che nelle cartografie del Pat proposto dalla giunta Orsoni, vi anche la drastica riduzione delle grandi aree destinate a bosco previste dal PRG e dal Palav vigente. inserito un tracciato della Tav che corre non lungo la linea ferroviaria per Trieste, bens lungo la fascia di gronda lagunare, oggetto di moltissime contestazioni da parte dello stesso Comune. Compare inoltre una indeterminata Linea di forza del trasporto lagunare, da Tessera verso Venezia: astutamente si evita di pronunciarsi apertamente sullo sciagurato progetto di sublagunare, pure gi presentato al Cipe. LAmbito Dese-Aeroporto (che comprende Tessera City) prevede un carico insediativo aggiuntivo superiore a due milioni di mc! Lassessore Micelli definisce lintervento come un nuovo asse strategico della citt, da Dese fino al Lido, alternativo allasse Venezia-Mestre-Marghera. Il progetto non legato ai fabbisogni di riqualificazione e sviluppo della citt ma volto a prefigurare un nuovo grande polo, in grado di attirare gli investimenti di grandi capitali internazionali. Per questo motivo, tutte le grandi infrastrutture pubbliche, dalla Tav alla linea di forza sublagunare, alla nuova linea di tram(che correrebbe inutilmente per molti km in aperta campagna) vengono realizzate non per soddisfare i

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fabbisogni di mobilit della popolazione ma per rendere appetibile agli investimenti il nuovo grande polo urbano, valorizzandone le aree. Bene dunque ha fatto SEL Venezia a sottolineare che non si devono impegnare grandi interventi pubblici per favorire la valorizzazione finanziaria di un privato che si accaparrato grandissime aree agricole, anzich soddisfare la domanda reale di mobilit della popolazione. E assurdo dirottare enormi investimenti pubblici e privati verso nuove aree da urbanizzare a Tessera avendo disponibili le grandi aree gi infrastrutturate di Marghera, costate un secolo di investimenti, da riusare e molte attivit da rigenerare e riconvertire (incentivando le bonifiche). E su Marghera che occorre impegnare ogni risorsa ed energia per promuovere e incentivare nuove attivit ecocompatibili di grande qualit e competitivit. In sostanza una riconversione ecologica di Porto Marghera la nostra proposta alternativa. Mestre ha bisogno di interventi, soprattutto di riqualificare i vecchi centri di quartiere, creando, nuovi cuori urbani che diano vivibilit a situazioni degradate, senza costruire cubature eccessive, che risulterebbero senza servizi. Anche Venezia va riqualificata. Innanzi tutto tornando a bloccare integralmente (come era negli anni 90) i cambi duso degli appartamenti per non aumentare la pressione turistica (che invece va ridotta e regolamentata). Dopo ventanni di attesa, il Sistema ferroviario metropolitano regionale, che pu usare i quattro binari del ponte, deve finalmente collegare tutto lentroterra con la Stazione ferroviaria di Santa Lucia e, in questo caso, anche laeroporto. Non necessaria una nuova linea per lAlta Velocit,mentre possibile velocizzare e raddoppiare luso delle linee esistenti (per Udine e per Trieste) e potenziare da subito la linea esterna dei Bivi per il trasporto delle merci. Possiamo tornare a fare le scelte strategiche e i piani urbanistici non per lanciare grandi operazioni speculative, ma per risolvere le criticit, per soddisfare i bisogni prioritari e servire i cittadini, per valorizzare la citt nelle sue qualit fisiche e sociali, non per favorire la speculazione. Ecco la nostra proposta. 6. Porto Tolle. Dopo la grande vittoria referendaria contro il nucleare stenta ancora ad affermarsi la consapevolezza che unalternativa energetica fondata sul sole, le energie distribuite e lefficienza energetica passa oggi attraverso la riduzione del consumo delle fonti fossili e in primo luogo la sconfitta del carbone. Una grande occasione per rilanciare la nostra idea di modello energetico distribuito costituita dalla giornata di mobilitazione contro il carbone prevista per il 29 ottobre, con manifestazione nazionale a Adria, nel Delta del Po, e presidi negli altri siti deputati ad ospitare impianti a carbone. Il governo rinvia la conferenza energetica nazionale e contemporaneamente da il via libera, nei fatti, ad un piano energetico non scritto ma operante, un piano dettato dai colossi dellenergia, a partire da ENEL, fondato sulluso del peggior combustibile fossile, il carbone, che alimenta il surriscaldamento globale e inquina pesantemente i territori dove vengono realizzate le centrali. Eppure, con i recenti referendum oltre 26 milioni
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ditaliani hanno rivendicato il diritto a decidere del proprio futuro, un futuro in cui i cambiamenti climatici non raggiungano livelli distruttivi per lambiente, il benessere e la stessa specie umana, un futuro di vera sicurezza energetica e di buona e stabile occupazione. Incurante dellampio pronunciamento popolare, il governo Berlusconi lancia invece un piano carbone che, oltre a Porto Tolle, riguarda la riconversione di vecchie centrali come Vado Ligure, La Spezia, Rossano Calabro o addirittura la costruzione di nuove centrali come Saline Ioniche, con un livello dinvestimenti pubblici privati dellordine di 10 MDL di euro. Il Governo si muove quindi su una linea del tutto opposta a quella degli obblighi vincolanti che la UE assegna per il 2020 a ogni Paese membro, primo fra tutti la riduzione del 20% delle emissioni di CO2. Infatti gli investimenti sul carbone, oltre ad aggravare il bilancio italiano delle emissioni climalteranti, con pesanti conseguenze sulle bollette che dovranno pagare i cittadini, sottraggono risorse alle politiche di risparmio energetico e di realizzazione delle fonti rinnovabili. Un vero suicidio: economico, ambientale, occupazionale. A Porto Tolle, lENEL vuole anche con modifiche alle leggi e alle normali procedure, operate da una politica governativa e regionale compiacente riconvertire a carbone una centrale della potenza di 2000 MW, nel mezzo del parco del Delta del Po. La nuova legge regionale ad aziendam modifica quella che gi regola la presenza di centrali termoelettriche nel territorio del Parco del Delta del Po, nonostante la presenza del pi grande rigassificatore dEuropa, con una saldatura di interessi tra Regione Veneto e lazienda energetica per un progetto ambientalmente ed economicamente assurdo che vede la netta contrariet del Consiglio Regionale dellEmilia Romagna. La riconversione avverrebbe persino al di fuori di ogni logica energetica, poich lItalia ha una potenza istallata quasi doppia rispetto al picco della domanda, al punto che i produttori di energia elettrica lamentano che gli impianti vengono oggi usati per un terzo della loro potenzialit. Non solo: oggi le maggiori prospettive di nuovi posti di lavoro, nel mondo e in Italia, sono nei settori delle fonti rinnovabili e dellefficienza energetica, con numeri che in alcuni Paesi ormai superano lindustria tradizionale; al contrario, la centrale a carbone porrebbe a rischio loccupazione gi esistente, e quella futura, nellagricoltura, nel turismo e nella pesca. A causa delle 12 centrali italiane che bruciano carbone il nostro Paese rischia di pagare multe salate per non aver rispettato gli obbiettivi di Kyoto: il contatore del Kyoto club ci dice che ci stiamo avvicinando al miliardo di Euro. Con i nuovi impianti del Piano Carbone si determinerebbe il quadruplicamento delle emissioni in atmosfera dei gas serra. Il solo impianto di Porto Tolle emetterebbe in un solo anno 10 milioni di tonnellate di CO2 ( 4 volte le emissioni di Milano), 2.800 tonnellate di Azoto ( come 3,5 milioni di auto ), 3 milioni e 700 mila tonnellate di ossidi di zolfo ( pi di tutti i veicoli dItalia ) e senza contare il micidiale cocktail di inquinanti come lArsenico, il cromo, il Cadmio e il Mercurio.

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Il tutto in mezzo ad un parco, sito dimportanza comunitaria, considerato dallUNESCO ( per la parte emiliana ), Patrimonio dellUmanit quale eccezionale paesaggio culturale pianificato che conserva in modo notevole la sua forma originaria. Un territorio incantevole, uno straordinario esempio di biodiversit, un patrimonio naturalistico tutelato da due parchi, quello del Veneto (purtroppo a macchia di leopardo) e quello dellEmilia Romagna: un insieme di oltre 60 mila ettari di superficie che gli uccelli hanno eletto ad area di riproduzione. Un patrimonio nazionale ed europeo. Il tutto rubando acqua al Po il cui bilancio idrico in crisi e risente della risalita del cuneo salino che pregiudica la fertilit dei suoli e quindi le eccellenti potenzialit dellagricoltura. Il tutto in un parco dove migliaia di persone vivono di pesca e di miticoltura e dove grandi potrebbero essere le possibilit di un turismo ecocompatibile solo se si avesse lintelligenza di considerare il Delta Po la nostra Camargue. Il tutto in un territorio soggetto da decenni a rischi idrogeologici a causa della subsidenza e della crisi di apporto sedimentario fluviale nonch dal prevedibile aumento del livello marino. Il tutto infine nella Pianura Padana, una delle aree pi inquinate del Pianeta: la peggiore in Europa, la quarta del Mondo. Si afferma che il carbone una fonte di elettricit economica, ma si dimentica di dire che ogni dollaro speso in carbone ne causa due di danni, senza contare limpatto sul clima e le relative conseguenze. E quanto ci dice lultimo autorevole rapporto che ci giunge dagli Stati Uniti, pubblicato ad agosto sullAmerican Economic Review che valuta i danni allambiente e alla salute delle centrali USA in circa 53 MLD lanno. Il carbone dunque conveniente per Enel, ma scarica i costi sulla collettivit in termini di malattie respiratorie, incidenti nelle miniere, piogge acide, inquinamento di acque e di suoli, perdita di produttivit dei terreni agricoli e aggravamento dei cambiamenti climatici: se si calcolassero, anche solo dal punto di vista economico, tutte queste esternalit negative si scoprirebbe che il carbone non per nulla conveniente. Se si integra il nostro ragionamento sullenergia con quello sullacqua, sullatmosfera, sulla terra, sulla salute, allora si comprende lirrazionalit di bruciare il peggior combustibile fossile. La riconversione a carbone avverrebbe con una tecnologia di combustione che, pur spinta ai suoi migliori livelli, resta sempre assai pi inquinante di quella basata sul gas naturale, e dannosa per la salute; nel caso di Porto Tolle, i dati di rilevazione e le epidemiologie mostrano che linquinamento e i danni sanitari si estenderebbero per buona parte della Pianura Padana. Una centrale per produrre quellenergia elettrica di cui peraltro non abbiamo bisogno perch, come ho gi detto, la potenza installata quasi doppia rispetto alla domanda di punta. Infatti lofferta di energia elettrica passata dai 75 GW del 2000 ai 104 GW del 2010 con una forte crescita delle rinnovabili, mentre le richieste di punta attualmente sono pari a 57 GW. In sostanza abbiamo troppe centrali ed insieme una rete elettrica
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obsoleta ed inefficiente che nel 2008 ha perso per strada 20.000 GW. Dunque sarebbe necessario investire nelle reti e non sulle centrali. E sulle rinnovabili per sostituire le fonti fossili. Questi argomenti non sono stati tuttavia sufficienti a far scendere in campo il movimento Sindacale confederale a fianco del movimento ambientalista perch ENEL agita il ricatto occupazionale in unarea, tra le pi svantaggiate del Veneto, chiamata oggi a fare i conti con la crisi della Grimeca, dei cantieri Visentini e di tante altre aziende. Noi siamo consapevoli che la fase di transizione dalle fonti fossili non sar brevissima e che il movimento sindacale deve necessariamente tener conto di tutte le peculiarit ereditate dalla seconda rivoluzione industriale. Non ci sfugge che la gestione della trasformazione energetica e produttiva verso le energie alternative fa i conti con il non sempre facile superamento dellesistente. E tuttavia ci non esime nessuno dal considerare i fatti. La riconversione a carbone di Porto Tolle comporta a regime il salvataggio di soli 200 posti di lavoro, poco pi, poco meno. Seppure non va sottovalutato che in una fase di transizione di quattro anni, le opere necessarie alla riconversione dellimpianto richiederebbero una consistente manodopera aggiuntiva. Largomento viene ampiamente utilizzato da Enel e dalle forze politiche e istituzionali colonizzate da questa societ per allettare i lavoratori disoccupati e in Cassa Integrazione e le piccole imprese in crisi desiderose di partecipare agli appalti e subappalti. Si dimenticano per due questioni centrali. La centrale penalizzerebbe il lavoro esistente, migliaia di posti di lavoro nei settori della pesca, del turismo, dellagricoltura, anche a causa dei grandi traffici per il trasporto dei materiali, via mare, canali, lagune, fiume. In sostanza un colpo gravissimo al Parco del Delta del Po, attivo da anni nel lato emiliano, con notevoli benefici economico-occupazionali e invece mai realmente decollato nel lato Veneto, che rischia ora la sua definitiva cancellazione. Le alternative al carbone non solo esistono, ma produrrebbero un risultato occupazionale incomparabilmente superiore. Che cosa si potrebbe fare con i 2,5 miliardi di euro che lEnel disposta a spendere per la riconversione a carbone di Porto Tolle, utilizzandoli invece secondo gli indici di resa occupazionale e ambientale di quel piano Confindustria 2010/2020 che la Marcegalia tiene nel cassetto per non disturbare Enel? Secondo i calcoli di Massimo Scalia si potrebbe attivare unoccupazione 12 volte superiore! e ad una riduzione nelle emissioni di CO2 di 30 milioni di tonnellate!! Uno studio di Greenpeace, dimostra che, oltre ad evitare dimmettere nellatmosfera circa 12 milioni di tonnellate di CO2 e di altri inquinanti, si potrebbe in alternativa: A. per la fase di costruzione, in confronto ai circa 3.000 posti per soli 4 anni del carbone, in alternativa si potrebbero occupare 3.850 persone per 10 anni nelleolico onshore; 2.900 nel caso delleolico offshore; 3.070 nel FV. Ripeto per 10 anni non per soli quattro anni.

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B. per il funzionamento e la manutenzione degli impianti (occupazione a lungo termine) in confronto al carbone che occuperebbe solo circa 200 addetti, si occuperebbero 1.000 persone nel caso delleolico onshore, 750 con leolico offshore, 320 nel caso di investimento nel solare FV, 3.410 attraverso le biomasse. Dunque i posti di lavoro sono sempre maggiori per gli investimenti in fonti rinnovabili. A conferma della convenienza anche solo dal punto di vista occupazionale potrei continuare citando i rapporti del Politecnico di Milano, dellIRES CGIL, del Consiglio Nazionale degli ingegneri. Perch allora non si va in questa direzione? Una ragione la ricaviamo dalle dichiarazioni di Assoelettrica. La sfacciataggine di questi oligopolisti arrivata al punto di affermare che per ogni 1000 MW di energia rinnovabile che viene ottimizzata i produttori da fonti tradizionali perdono nel loro insieme 100 milioni di margini (Repubblica 8 ottobre 2011). Ne deriva che le nostre ragionevoli alternative non potranno affermarsi solo invocandole. Come scrive il nostro amico e compagno Mario Agostinelli: La costruzione di un modello di sviluppo sostenibile supportato dalla fonte solare richiede che si prenda coscienza del fatto che esso non pu essere conseguito per opera del mercato e tanto meno per via tecnica, bens per via politica. Certamente un diverso modello di sviluppo non pu prescindere dalle tecnologie e dalle conoscenze che ne rappresentano la base materiale; tuttavia esse non simpongono con la forza della necessit o della loro peculiarit o desiderabilit. Per abbandonare e sostituire un sistema energetico con le caratteristiche di quello odierno, occorrerebbe contemporaneamente individuare non solo unalternativa allattuale modello di produzione e di consumo e di controllo autoritario delle societ, ma anche sostenerla con grande convinzione politica, anche ricorrendo a imponenti ed estese lotte, che non possono prescindere da un impegno diretto del mondo del lavoro. Noi siamo qui oggi per fare la nostra parte.

Nella pagina di fronte: Paesaggio collinare tra Conegliano e Vittorio Veneto 16

PAESAGGIO E CONSUMO DI SUOLO NEL VENETO


Relazione di

Sergio Lironi

Distruzione del paesaggio e crisi di un modello insediativo Vi chi, prescindendo dagli aspetti estetici e paesaggistici ed evidenziandone soprattutto gli effetti economici e sociali, ha in anni passati decantato i caratteri fondamentalmente positivi del processo di dispersione insediativa, residenziale e produttiva, che ha caratterizzato le trasformazioni territoriali del Veneto negli ultimi decenni. La stretta integrazione tra un contesto rurale in fase di modernizzazione e gli insediamenti della piccola e media industria, peculiare del modello insediativo della nostra regione, fornendo spazi e manodopera a basso costo e consentendo una maggiore flessibilit produttiva rispetto alle grandi concentrazioni industriali del Nord-ovest, sarebbe risultata uno dei fattori determinanti per laffermarsi del tanto celebrato miracolo economico del Nordest. Un processo di crescita economica e di sfruttamento intensivo del territorio solo in parte spontaneo, promosso ed incentivato con appositi provvedimenti legislativi, da quelli relativi alle cosiddette aree depresse a quelli che hanno disciplinato ledificazione in aree agricole, e con piani e norme urbanistiche regionali e locali volutamente permissivi. Un processo di nebulizzazione insediativa che ha interessato soprattutto larea centrale del Veneto, comprendente tutta la provincia di Treviso ed

una parte consistente delle province di Venezia, Padova e Vicenza, dove la densit abitativa pi che doppia rispetto alla media regionale, mentre preoccupanti fenomeni di abbandono si sono manifestati in altre parti del territorio regionale. Numerose sono state le voci critiche - soprattutto di esponenti del mondo della cultura, di scrittori e poeti quali Eugenio Turri, Mario Rigoni Stern ed Andrea Zanzotto - nei confronti di questa incontenibile crescita esponenziale delle infrastrutture viarie e delle urbanizzazioni, una crescita del tutto indifferente alla storia, alla natura dei luoghi ed ai valori del paesaggio veneto, ma solo a partire dalla fine degli anni Novanta che anche nelle forze politiche e nelle classi dirigenti locali sembrata emergere la consapevolezza dellinsostenibilit non solo ambientale ma anche economica e sociale di questo modello di sviluppo. Ledilizia stata uno dei settori trainanti delleconomia veneta, ma anche in questo settore sempre pi dominanti sono oggi la rendita parassitaria ed i processi di finanziarizzazione: gli investimenti delle societ immobiliari, pi che rispondere ad un fabbisogno reale ed anzich puntare sullinnovazione progettuale, sembrano principalmente rispondere alle logiche della speculazione fondiaria, appropriandosi del differenziale di valore generato dai cambiamenti di destinazione duso consentiti dai piani urbanistici o dagli accordi di programma con le pubbliche amministrazioni. Operazioni immobiliari che attraggono grandi quantit di capitali, che diversamente potrebbero essere investiti in settori economici pi innovativi e competitivi. La dispersione insediativa e la conseguente congestione delle infrastrutture della mobilit generano costi crescenti per la collettivit (adeguamento delle reti viabilistiche, servizi, disinquinamento ambientale, danni alla salute, ...) e per le stesse industrie per lapprovvigionamento delle materie prime e la distribuzione e commercializzazione dei prodotti, in una fase storica in cui giustamente la Comunit europea ed il mercato tendono sempre pi a richiedere certificazioni di qualit e sostenibilit ecologica riferite non solo al prodotto bens anche a tutto il ciclo produttivo. Va infine sottolineato come la cementificazione dei suoli abbia in particolare riguardato i terreni pi fertili della pianura veneta, mentre la costruzione di sempre nuove strade, autostrade, superstrade, svincoli e tangenziali ha determinato una devastante frammentazione degli spazi destinati allagricoltura e quindi la crisi di un settore che potrebbe tornare ad essere vitale per la ripresa economica del nostro paese. La nuova legge urbanistica regionale e le trasformazioni in atto Anche la terra una risorsa limitata, un prezioso bene comune che non pu essere dilapidato e degradato con un indiscriminato sviluppo di attivit economiche del tutto incompatibili. Di questo sembrava essersi accorto agli inizi degli anni Duemila lo stesso Consiglio regionale veneto con lapprovazione della legge 11/2004 per il governo del territorio. La nuova legge urbanistica dichiara infatti di volersi ispirare ai principi dello
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sviluppo sostenibile, della partecipazione, della tutela del paesaggio e delle identit storico-culturali. Ma cos in realt avvenuto negli anni 2000 nel Veneto e come sono stati recepiti i principi dello sviluppo sostenibile nei piani territoriali ed urbanistici degli ultimi anni? Il primo effetto della legge, grazie alle proroghe concesse, fu la corsa dei Comuni alle Varianti di piano per aumentare le superfici e le volumetrie edificabili: nel solo 2005 vennero adottate e presentate alla Regione 1.276 Varianti generali o settoriali predisposte secondo la vecchia normativa (con un incremento del 220% rispetto alla media delle Varianti presentate negli anni precedenti) e di queste ben 241 su iniziativa dei privati (PIRUEA). Tra il 2002 ed il 2010 si sono realizzati oltre 164 milioni di mc di edifici commerciali, industriali e direzionali pur con una diffusa presenza in tutti i comuni di capannoni ed edifici abbandonati e da anni inutilmente offerti in vendita o in affitto. Tra il 2000 ed il 2010 si sono ultimate 367.354 nuove abitazioni per una volumetria complessiva di oltre 148 milioni di mc. Unofferta di edilizia abitativa teoricamente sufficiente (utilizzando lo standard ottimale indicato dalla Regione di 150 mc/abitante) per una popolazione di quasi un milione di abitanti: pi del doppio dellincremento effettivo di popolazione registrato negli anni 2000, pari a 429.274 abitanti (incremento in larga misura dovuto alla nuova immigrazione). La continua crescita della rendita fondiaria e gli enormi profitti derivanti dal cambiamento di destinazione duso dei terreni, trasformando ledilizia in un bene rifugio alternativo agli investimenti in borsa o nel settore industriale, hanno fatto s che si sia costruito troppo rispetto alla domanda, ma soprattutto che si sia costruito male, disperdendo le iniziative nel territorio e realizzando tipologie edilizie di lusso, certo non rispondenti alla domanda prevalentemente costituita da giovani, anziani, lavoratori precari e immigrati. La regione calcola che tra il 1983 ed il 2006 il suolo urbanizzato sia stato pari a 29.059 ettari, ma i dati relativi alla perdita di terreni agricoli sono enormemente superiori. Tra il 1982 ed il 2010 la superficie agraria totale (SAT) nel Veneto diminuita di 298.845 ettari, mentre la superficie agraria utilizzata (SAU) diminuita di 107.698 ettari. Ancor pi impressionante esaminare landamento della perdita annua di suolo agricolo. Se negli anni Ottanta si registrava annualmente una diminuzione di 72 milioni di mq allanno di SAT, negli anni Novanta la media salita a 97 milioni di mq/anno, per poi raddoppiarsi negli anni 2000 raggiungendo la cifra record di 182 milioni di mq/anno. Piani e programmi della Regione Questa la realt dei fatti. A fronte di tutto ci quali sono gli indirizzi e gli strumenti operativi posti in campo dal nuovo Piano Territoriale Regionale di Coordinamento? Una gran mole di documenti di analisi e di dichiarazioni di principio, a cui per non
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corrisponde alcuna prescrizione e norma cogente. La voluta genericit della normativa tecnica, la successiva adozione da parte della Regione dellimpropriamente detto Piano casa, con cui si legittimano ampliamenti edilizi e ricostruzioni di edifici al di fuori di ogni regola edilizia, e nel contempo lassenza di un progetto strategico per ledilizia residenziale pubblica, le nuove norme sulledilizia rurale, lesclusione nei Piani intercomunali (PATI) dei tematismi relativi allagricoltura ed alledilizia residenziale, incoraggiano di fatto la prosecuzione delle politiche di indiscriminata cementificazione del territorio. Per le zone produttive e commerciali il PTRC fornisce solo alcune generiche indicazioni di principio, che non hanno in alcun modo condizionato i PAT ed i PATI adottati dai Comuni negli anni successivi, con i quali si in generale confermata la volont di continuare a consentire il proliferare di detti insediamenti al di fuori di ogni schema razionale. Nei territori extraurbani vengono identificate quattro categorie di aree rurali, ma anche in questo caso non si individuano gli strumenti operativi per incentivarne la salvaguardia e la progressiva riconversione verso produzioni di qualit, ambientalmente sostenibili, e per tutelare e valorizzare il carattere identitario dei luoghi. Lunico settore in cui il PTRC fornisce precisi indirizzi dintervento quello relativo alla grande viabilit. Un diluvio di nuove infrastrutture stradali e autostradali, i cui svincoli offrono loccasione per immaginare, con ladozione di appositi progetti strategici regionali, nuovi mega centri commerciali e nuove polarit insediative extraurbane, in deroga ad ogni norma urbanistica e ad ogni limite sul consumo di suolo per un raggio di due chilometri attorno ai caselli. Secondo Paolo Feltrin, uno degli ideologi del piano, questi nuovi insediamenti extraurbani dovrebbero divenire i nuovi iconemi della citt diffusa, contenitori metropolitani nei quali far convivere ... grandi mall terziari, strutture sanitarie, auditorium, centri congressi, complessi commerciali e direzionali, aree produttive, centri logistici e simili. Una indicazione che sembra voler giustificare e nobilitare i molti progetti di cementificazione dei suoli agricoli promossi in questi anni da Regione e Comuni: da Veneto City tra Dolo e Mirano, a Tessera City nei pressi dellaeroporto di Venezia, a Motorcity nel veronese. Sempre secondo Feltrin, il Passante di Mestre ed il Grande Raccordo Anulare previsto a Padova (GRAP) dovrebbero offrire loccasione per nuove densificazioni urbane: il Passante di Mestre, in particolare, potrebbe essere interpretato come una nuova, pi ampia cinta muraria, il nuovo confine di una diversa citt con ambizioni di capitale regionale. Tra gli aspetti pi negativi del PTRC veneto va poi sottolineato il fatto che non gli stata attribuita valenza paesaggistica. Al piano stato allegato un Atlante ricognitivo degli ambiti di paesaggio, contenente valutazioni sulle caratteristiche ambientali, storico-culturali e paesaggistiche dei luoghi nonch suggerimenti ed orientamenti per i programmi dintervento, ma dette linee di indirizzo non si sono tradotte in norme di salvaguardia e prescrizioni cogenti per gli altri strumenti della pianificazione territoriale e urbanistica, cos come richiederebbe il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.
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Nuovi paradigmi di gestione delleconomia e del territorio E difficile immaginare che dalla crisi strutturale attraversata dal nostro paese e dal Veneto in particolare si possa uscire riproponendo politiche e strategie degli anni passati, ovvero un modello di crescita economica fondato su di un illimitato consumo di risorse ambientali ed energetiche, sulla distruzione dei beni comuni, sulla privatizzazione dei guadagni e sulla socializzazione delle perdite. Occorre progettare e lavorare per un diverso modello di gestione delleconomia e del territorio, prendendo coscienza del fatto che il suolo una risorsa finita, che i nuovi scenari delle relazioni internazionali - oltre che ragioni di equit sociale - ci impongono una drastica riduzione della nostra impronta ecologica, che le attivit manifatturiere per reggere la competitivit devono innescare processi di aggregazione e devono certificare lecosostenibilit del loro ciclo produttivo ed infine che la valorizzazione e la riqualificazione del paesaggio e delle risorse ambientali possono essere alla base di nuove attivit economiche autosostenibili. Ma concretamente per quali riforme legislative e per quali scenari di trasformazione territoriale dobbiamo batterci? Una riforma legislativa fondamentale dovrebbe, a mio avviso, riguardare il sistema fiscale. Criterio essenziale della riforma dovrebbe non solo essere quello della diminuzione delle diseguaglianze e della redistribuzione della ricchezza (condizione necessaria per ricreare una adeguata domanda interna e per superare lattuale crisi da sovrapproduzione), ma anche quello di far pagare alle imprese ed a chi opera nel territorio i costi ambientali con una tassazione crescente in relazione al consumo di suolo (ed in particolare dei suoli pi fertili), al consumo di energia proveniente da fonti non rinnovabili (carbon tax), allinquinamento indotto ed alle emissioni di gas climalteranti. Sempre a livello nazionale va rivendicata listituzione di un Osservatorio sul consumo di suolo e lapprovazione di una legge che ponga precisi limiti alle espansioni urbane, reintroducendo altres lobbligo di utilizzare gli oneri di urbanizzazione versati ai Comuni esclusivamente per servizi ed opere di riqualificazione ambientale, anzich per la spesa corrente degli enti locali. Normative tecniche regionali e comunali, che gi oggi nel Veneto prevedono un limite quantitativo alla trasformazione duso dei suoli agrari utilizzati (SAU), dovrebbero estendere tale limite a tutte le superfici agrarie (SAT) e dovrebbero imporre che per il rispetto di tale limite si proceda alla revisione ed al ridimensionamento delle previsioni espansive gi inserite nei PRG vigenti (mentre nellinterpretazione corrente il limite SAU viene utilizzato solo per le nuove espansioni previste dai PAT e dai PATI aggiuntive rispetto a quelle dei PRG). Va inoltre cancellata la norma che consente di derogare in toto dallapplicazione di detti limiti nel caso di progetti speciali di interesse regionale, quali quelli relativi alle aree limitrofe ai caselli autostradali per un raggio di due chilometri.
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La pianificazione territoriale ed urbanistica incide profondamente sul livello dei consumi energetici e sul livello delle emissioni climalteranti e deve quindi confrontarsi con gli impegni assunti dal nostro paese a livello di comunit europea su questo fronte (il famoso 20-20-20 programmato per il 2020). La Valutazione Ambientale Strategica (VAS) che accompagna i diversi piani dovrebbe quindi obbligatoriamente contenere un bilancio delle emissioni conseguenti allattuazione del piano (nuove strade, incremento del traffico veicolare, nuovi insediamenti, ...) e precise prescrizioni per lattuazione delle misure tendenti a contrastare dette emissioni (rete dei trasporti collettivi, forestazione, agricoltura biologica, norme per ledilizia ecosostenibile, ...). E significativo che nei casi in cui - su sollecitazione delle organizzazioni ambientaliste - detto calcolo stato effettuato i numeri hanno clamorosamente smentito le dichiarazioni di sostenibilit di norma contenute in tutte le relazioni di piano: nel caso del PATI dellarea metropolitana Padova ad esempio risultato che nel prossimo decennio lincremento del traffico favorito dalle nuove strutture viabilistiche produrr un aumento del 40% delle emissioni di gas climalteranti ed un aumento del 19% delle polveri sottili, mentre un ulteriore aumento del 23% delle emissioni sar causato dai nuovi insediamenti commerciali e produttivi previsti diffusamente in tutti i comuni. Va infine richiesto che le norme tecniche dei PAT e dei PATI impongano per tutti i Piani urbanistici attuativi relativi ad insediamenti produttivi e commerciali, cos come per le nuove infrastrutture viarie, il calcolo delle emissioni climalteranti prodotte e lobbligo di misure mitigative e compensative (riduzione dei consumi energetici ed utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, sistemazione a verde degli spazi aperti e delle coperture, versamento alle casse comunali di contributi economici vincolati allimplementazione delle reti ecologiche, ...) da porre a carico dei soggetti attuatori. Pianificazione darea vasta e modelli insediativi Alla rivendicazione delle riforme legislative e normative indicate va affiancata una pi generale battaglia culturale per modificare i contenuti dei piani ed i modelli insediativi oggi prevalenti. Gli aspetti paesaggistici e le problematiche ambientali, connesse alla chiusura dei fondamentali cicli ecologici, ai flussi di materie prime e di energia, allapprovvigionamento alimentare, alla gestione dei rifiuti, alla messa in sicurezza del territorio, allorganizzazione dei trasporti collettivi, alla formazione delle infrastrutture verdi, richiedono un disegno unitario del territorio a scala regionale ed una pianificazione daria vasta, superando il particolarismo ed il localismo che per molti aspetti contraddistinguono la societ veneta. Molto schematicamente riteniamo che alcuni punti fermi di questo disegno unitario debbano essere: 1. Ladozione di un modello di riaggregazione policentrica degli insediamenti produttivi e residenziali, fondato sulla riqualificazione urbana, la bonifica e la rigenerazio22

ne con nuove funzioni delle aree industriali dismesse (basti pensare a Porto Marghera ed alla miriade di siti industriali disseminati nella pianura veneta) ed il recupero edilizio dei centri esistenti, da collegarsi con una efficiente rete di trasporti collettivi (SFMR e metropolitane di superficie). Individuate le polarit del sistema, nelle quali concentrate i servizi e le attivit essenziali atte a garantire una pluralit di funzioni ed uno standard elevato di qualit urbana (effetto citt), nessuna nuova espansione dovr essere consentita se prima non verranno effettuate una realistica quantificazione del fabbisogno ed una attenta ricognizione degli spazi e degli immobili abbandonati o sottoutilizzati. 2. La ricostruzione dei margini urbani, con la formazione di estese cinture verdi costituite da aree di valore naturalistico e da parchi agricoli multifunzionali. In molte nazioni europee questa la soluzione adottata per porre un limite allespansione urbana. Non un vincolo passivo facilmente aggirabile con ladozione di nuove varianti urbanistiche, bens un vincolo attivo generato dalla costruzione e gestione di progetti finalizzati alla valorizzazione delle attivit agricole periurbane (orticoltura, prodotti tipici, prodotti biologici e di qualit, ...) in stretta connessione con attivit integrative quali lagriturismo e le fattorie didattiche e con nuove forme di commercializzazione (agricoltura a chilometro zero, mercati rionali, mense scolastiche ed aziendali, ...). 3. Il potenziamento e la valorizzazione delle infrastrutture verdi e della biodiversit, ovvero dei parchi e delle riserve naturali, delle reti ecologiche e dei corsi dacqua, a cui va affiancato un pi generale progetto di riconversione ecologica delle pratiche agricole, che attualmente troppo spesso si caratterizza per una tendenza allindustrializzazione ed alla monocoltura con effetti devastanti per il paesaggio e per lambiente (inquinamento dei suoli e delle falde, eliminazione di siepi e zone alberate, riduzione della fertilit naturale, ecc.). Daltra parte il tema dei fiumi e dei bacini idrografici, in una regione quale quella veneta, oltre ad essere strettamente connesso alle problematiche delle reti ecologiche, risulta fondamentale per la messa in sicurezza del territorio. Da troppo tempo ormai carente una seria azione di governo su questo fronte e con sempre pi frequenza si verificano eventi alluvionali di disastrosa entit. 4. Gli investimenti per la messa in sicurezza del territorio (tra i quali dovrebbero essere inserite opere strategiche quali lidrovia Padova-Mare) potrebbero avere importanti riflessi per la ripresa economica e loccupazione soprattutto se riguarderanno non solo la realizzazione di opere ingegneristiche, ma anche la promozione di programmi di pi ampio respiro di riqualificazione ambientale, di salvaguardia e valorizzazione delle aree con valenza naturalistica e di trasformazione delle colture agricole. Lagricoltura, dopo decenni nei quali nel nostro paese stata considerata quasi unattivit residuale, sta tornando oggi di attualit quale potenziale settore strategico per leconomia nazionale. Un ritorno alla coltivazione dei campi che deve significare anche superamento dellagricoltura industriale, che con i suoi pesticidi e fertilizzanti derivati dal petrolio - come sostiene Carlo Petrini - una dichiarazione di guerra alla terra. Una nuova agricoltura che si basi sulla biodiversit e che faccia parte integrante di una

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rete di economie locali, saltando la maggior parte delle intermediazioni distributive. Unagricoltura che, fondandosi su unalleanza tra uomo e natura, sia in grado di ridar vita a paesaggi di elevato valore estetico. Piano paesaggistico, programmi di settore e nuove economie Quelli qui richiamati, ovviamente, sono solo alcuni auspicabili indirizzi di fondo per il superamento delle logiche del laissez faire e di uno sviluppo economico oggi unicamente regolato dalle logiche del mercato. Indirizzi finalizzati allattivazione di reali politiche di governo del territorio in grado di integrare la pianificazione urbanistica e le scelte localizzative con i programmi di settore riguardanti il sostegno allo sviluppo agricolo, alle attivit produttive e alloccupazione, il risparmio e lapprovvigionamento energetico, i trasporti e la mobilit delle persone, la gestione dei parchi e delle riserve naturali, la valorizzazione del patrimonio storico-culturale, le incentivazioni al turismo ecosostenibile, la riqualificazione urbana, ledilizia sociale e la bioarchitettura, i provvedimenti antinquinamento e per la riduzione delle emissioni climalteranti, la gestione dei rifiuti... Su molti di questi fronti forze politiche di sinistra e associazioni ambientaliste hanno sviluppato in questi anni importanti battaglie, coinvolgendo cittadini ed opinione pubblica ed ottenendo talvolta qualche significativo successo. Ci che forse per sino ad oggi mancato la costruzione di una visione dinsieme in grado di connettere rivendicazioni ed obiettivi settoriali in un coerente disegno strategico, un disegno che va costruito con la partecipazione diretta dei cittadini. Per quanto possa apparire uno strumento di pianificazione riservato a specialisti ed addetti ai lavori, ritengo che unutile occasione per lavorare in questa direzione pu attualmente esserci fornita dallelaborazione del Piano paesaggistico regionale, che come in altri contesti si dimostrato - pu divenire, se correttamente impostato, un efficace strumento di indirizzo per pi generali politiche di riconversione delle economie locali secondo criteri di sostenibilit ambientale ed equit sociale. Ho gi in precedenza osservato come, contrariamente a quanto avvenuto in altre regioni ed invertendo le priorit, la Regione Veneto abbia in prima istanza adottato nel febbraio 2009 un Piano territoriale Regionale di Coordinamento privo di prescrizioni e norme cogenti, rinviando ad una fase successiva ladozione del Piano Paesaggistico, che, secondo quanto previsto dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio e dalla Convenzione Europea del Paesaggio, deve definire regole certe, parametri vincolanti, metodologie di salvaguardia e criteri di gestione non solo dei beni paesaggistici gi riconosciuti e vincolati, ma anche per la riqualificazione degli insediamenti urbani degradati e per la cura dei contesti agricoli. Indirizzi e prescrizioni che il Codice precisa debbano risultare vincolanti ed immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi dei piani territoriali ed urbanistici e dei programmi di settore. Sono passati pi di due anni dalla sottoscrizione del Protocollo dintesa tra Regione
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e Ministero per i Beni e le Attivit Culturali (15 luglio 2009) finalizzato alla redazione del Piano paesaggistico, ma gli studi relativi sono ancora in alto mare. Lapposito Comitato Tecnico, a cui partecipano funzionari della Regione e del Ministero, si riunito saltuariamente con cadenza trimestrale, mentre i gruppi di lavoro attivati dalla Direzione regionale del MiBAC e dalle Soprintendenze, a quanto si potuto sapere nei pochi incontri pubblici organizzati o dalla lettura delle scarne notizie riportate nel sito web della Regione, si sono quasi esclusivamente occupati del censimento e della mappatura dei vincoli paesaggistici esistenti e della delimitazione e rappresentazione dei beni indicati dallarticolo 142 del Codice (parchi e riserve naturali, montagne, litorali, corsi dacqua, boschi, zone dinteresse archeologico, ...). Quasi nulla si daltra parte fatto per una reale costruzione sociale del piano, in evidente contrasto con quanto indicato dalla Convenzione Europea che, estendendo il concetto di paesaggio a tutte le parti del territorio cos come percepite dalle popolazioni, esplicitamente richiede lattivazione di procedure di partecipazione degli abitanti nelle definizione e nella realizzazione delle politiche paesaggistiche. Un obbligo ribadito anche dal Codice dei Beni Culturali. Come coniugare il paesaggio ad un modello di sviluppo autosostenibile Occorre dunque rivendicare un radicale cambiamento degli indirizzi e delle modalit di lavoro sin qui seguiti dalla Regione Veneto nellelaborazione del Piano paesaggistico, cos come una decisa accelerazione dei tempi per impedire che nel frattempo si continui nella sistematica devastazione del territorio che per molti decenni ha caratterizzato il nostro modello di sviluppo. Un positivo esempio di un diverso modo di procedere ci viene dalla Regione Puglia. In questo caso la volont dichiarata della Giunta regionale stata quella di assumere ... la tutela, messa in valore e riqualificazione del paesaggio come condizione per promuovere uno sviluppo autosostenibile e durevole, in antitesi con la consueta integrazione ex post dei valori paesaggistici nel governo del territorio. Dunque un Piano paesaggistico che assume anche una valenza urbanistico-territoriale (e non viceversa): un piano a cui ogni altra pianificazione deve essere subordinata. Il Piano paesaggistico della Puglia delinea quindi alcuni scenari strategici, essenziali non solo per salvaguardare il paesaggio, ma anche per avviare una ripresa economica secondo modelli alternativi (sistemi produttivi a base locale) a quelli del passato. Tra questi: la definizione di un nuovo patto tra citt e campagna, finalizzato ad elevare la qualit del vivere e dellabitare sia nei contesti urbani che nei territori agricoli; la costruzione di una rete ecologica quale sistema di invarianti ambientali; la valorizzazione integrata dei paesaggi costieri (waterfront urbani, sistemi dunali, zone umide, agricoltura) e dei beni culturali e paesaggistici delle zone interne (organizzati in sistemi territoriali) con la promozione di un turismo eco-sostenibile e con progetti di ospitalit diffusa; la formazione di un sistema infrastrutturale per la mobilit dolce, fondata sui
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trasporti collettivi terrestri e marittimi e la realizzazione di una fitta rete di percorsi ciclo-pedonali. Uno degli aspetti pi interessanti riguarda riguarda poi le modalit seguite per la costruzione del piano ed il ruolo fondamentale attribuito alla partecipazione dei cittadini e dei portatori di interesse. I principali strumenti di partecipazione sono state le Conferenze darea, lelaborazione delle Mappe di comunit e lattivazione di un sito web interattivo, nonch la previsione di processi innovativi di governance quali i Contratti di fiume, i Progetti integrati di paesaggio e gli accordi di programma. Gi in fase di costruzione del quadro conoscitivo si promossa la formazione via internet di un Atlante delle segnalazioni, raccogliendo le segnalazioni di abitanti ed associazioni (con relative dettagliate schede descrittive) in relazione a quattro tematiche: beni paesaggistici ritenuti meritevoli di tutela; offese al paesaggio; buone pratiche paesaggistiche (in relazione in particolare alla gestione delle attivit agricole e delle risorse naturalistiche ed ambientali, allofferta agrituristica, alla riqualificazione urbana ed allinserimento ambientale di nuove infrastrutture); cattive pratiche paesaggistiche. In diversi contesti territoriali, con listituzione di appositi laboratori di progettazione partecipata, sono state costruite le cosiddette Mappe di comunit finalizzate a promuovere il ruolo degli abitanti nella rappresentazione del proprio territorio, degli spazi maggiormente vissuti, delle tradizioni e dei valori paesaggistici e culturali socialmente riconosciuti. Mappe realizzate dagli abitanti con laiuto di facilitatori, artisti e storici locali e che sono alla base dellindividuazione degli obiettivi di qualit paesaggistica, di valorizzazione dei beni culturali e naturali e di costruzione degli scenari di trasformazione. Un ultimo accenno merita il tema dei Contratti di fiume, non vi dubbio infatti che gli interventi finalizzati alla sicurezza idraulica ed alla riqualificazione funzionale ed ambientale dei bacini idrografici possono svolgere un ruolo essenziale per la realizzazione di pi generali progetti di riequilibrio degli assetti territoriali e di salvaguardia e/o formazione di nuovi paesaggi. I Contratti di fiume, proposti gi nel 2000 dal World Water Forum, prevedono forme di accordo tra pubbliche amministrazioni, associazioni ambientaliste e di categoria, nonch soggetti privati direttamente interessati, che permettano di adottare un sistema di regole in cui i criteri di pubblica utilit, rendimento economico, valore sociale, sostenibilit ambientale intervengono in modo paritario nella ricerca di soluzioni efficaci per la riqualificazione di un bacino fluviale. Forme di accordo in grado di stimolare la progettualit territoriale dal basso, coinvolgendo le comunit nella valorizzazione del proprio territorio.

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TASCHE PIENE E TERRITORIO BUCATO


Nei buchi delle cave prolifera la rendita fondiaria e precipita la pianificazione pubblica Relazione di Luca De Marco

Quando si parla di consumo del territorio siamo soliti riferirci alla continua ed eccessiva espansione cementizia sugli spazi ancora liberi. Ma c un modo di consumare il territorio ancora pi sciocco e altrettanto definitivo, che quello di farlo sparire, vendendolo dopo aver scavato. il tema delle cave. Il Veneto la Regione che il maggior numero di cave attive in Italia. La provincia di Treviso in primis, quella che ha fornito negli ultimi anni quasi il 60% della ghiaia estratta in regione. Ma tocca anche il veronese, il vicentino e le altre province. In Italia la regolamentazione delle attivit di cava particolarmente carente. Bisogna risalire al Regno dItalia per trovare una normativa nazionale in materia (Regio Decreto 1443 del 1927). La legge sulla materia e stata poi dalla Repubblica affidata alle Regioni (DPR 616/78). E in questo quadro il Veneto ha un primato negativo. infatti lunica tra le regioni del centro nord che non dotata di un piano regionale di escavazione. Tra le regioni del sud (isole escluse) c invece il primato positivo della Puglia che lunica ad averlo. Il piano per le attivit di cava (PRAC) doveva esser fatto secondo quanto previsto dalla legge regionale sulle attivit di escavazione, che risale al 1982 (L.R. 44). Sono passati ben tre decenni e ancora il PRAC non ha visto la luce. Secondo la legge dell82 le autorizzazioni a scavare le concede la provincia, per solo dopo lapprovazione del PRAC. Dunque vige da trentanni in Veneto un regime transitorio nel quale le autorizzazioni vengono date dalla Regione senza alcuna pianificazione, attenendosi al solo criterio fissato dalla legge: non scavabile pi del 3% in caso di sabbie e ghiaie, e del 5% in caso di argille, rispetto alla superficie agricola dei comuni identificati come scavabili. Nelle altre regioni lautorizzazione a cavare viene data perlopi dal comune, oppure dalla provincia. noto come la lobbie dei cavatori sia particolarmente attiva e influente, e come il meccanismo autorizzativo in mano alla Regione si sia prestato a pesanti ombre di illegalit. Il capo dellufficio geologia della Regione, Michele Ginevra, venne arrestato nel 2002 con 17.000 euro in tasca in un ristorante di Pieve di Soligo, ospite di un cavatore. Disse che si trattava di una delle tante, cospicue gratifiche che da un decennio riceveva da alcuni cavatori per agevolare le autorizzazioni. Il processo inizi solo anni dopo, quando il funzionario era gi deceduto, ma restavano i verbali della confessione. In primo grado gli imputati furono condannati a parecchi anni di reclusione e a pene
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pecuniarie, nel 2010 furono invece assolti in appello. In ogni caso, la vicenda dimostra come la centralizzazione regionale ben si presti a creare zone di opacit nellattivit amministrativa. dunque urgente che si approvi il PRAC, e di conseguenza il potere di autorizzazione passi alle province, pi vicine ai comuni e con apparati amministrativi molto pi ridotti e pi facilmente controllabili. In Consiglio Regionale ci fu un tentativo di coinvolgere le province nelle autorizzazioni. Nella finanziaria del 2004 si stabil che il parere della Provincia diventasse da consultivo a vincolante. Il meccanismo stato per aggirato attraverso la valutazione di impatto ambientale, di competenza regionale, e dunque di fatto resta tutto in capo alla Regione tranne qualche ampliamento. Lescavazione al centro della rendita fondiaria La questione delle cave non solo un capitolo a se stante del consumo di territorio ma, perlomeno in provincia di Treviso, si andata intrecciando con tuti gli aspetti del saccheggio del Veneto. Per citare casi concreti, anni fa nel comune di Nervesa della Battaglia viene avanzata la proposta di un PIRUEA su unarea, quella della frazione di Bidasio, martoriata dalle cave. La trovata geniale quella di proporre come riqualificazione ambientale la creazione di un laghetto naturalistico, da realizzare attraverso la escavazione del terreno agricolo contiguo alle cave in essere: in pratica, una estensione del 25% delle cave presenti nellarea. La furbata viene bocciata sia dal Tar che dal Consiglio di Stato. Oggi i PIRUEA sono stati archiviati, ma sussistono altri meccanismi derogatori. Uno di questi laccordo di programma ex art. 32 della legge 35/2001. Si tratta di un accordo, sia urbanistico che di altro tipo, che per finalit di interesse pubblico consente di derogare a tutto quanto e diventa operativo con un decreto del presidente della Regione. In questo modo a Colle Umberto si tenta di recuperare un altro PIRUEA bocciato da TAR e Consiglio di Stato, per consentire la costruzione di un centro commerciale dove un tempo sorgeva una scuola superiore per lagricoltura. In questo modo Ikea vuole far passare la trasformazione di unarea agricola di 400.000 mq nel comune di Casale sul Sile da agricola a edificabile, per la creazione di un enorme polo commerciale dove il negozio Ikea sarebbe solo una parte dellintervento. Ed sempre attraverso un accordo di programma che a Vedelago i cavatori propongono una operazione gigantesca nella frazione di Barcon: aggiungere un casello alla costruenda Pedemontana, che sia di servizio alle cave della Zona (Vedelago il comune dal quale pi si estrae in Provincia di Treviso), con la viabilit di collegamento alle cave, e in cambio trasformare quasi 90 ettari (893.023 mq, 125 campi di calcio) di area agricola in area industriale e commerciale. Una parte del terreno agricolo verrebbe utilizzata per insediarvi uno stabilimento per la produzione del latte, per la macellazione e la lavorazione dei derivati, e accanto una specie di enorme supermercato per prodotti a km zero. Unaltra parte verrebbe occupato da una cartiera, che si svilupperebbe su due
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piani, uno dei quali interrato, e per far questo, ovviamente, bisogna scavare. Lestratto calcolato poco meno di 2 milioni di metri cubi, praticamente una cava. Anche a Santa Lucia di Piave sullA27, tra Conegliano e Treviso, si vuol fare un nuovo casello utile ai cavatori. Lo svincolo e la nuova viabilit cancellerebbe vigneti di pregio, alcuni con limpianto a belussera. Il casello sarebbe collocato in una zona densamente popolata di cave, alle quali offrirebbe un ingresso quasi diretto in autostrada. Allora, ricapitolando: in una sostanziale deregulation, la questione dellescavazione si infila nei meccanismi dellurbanistica concordata, si intreccia con la questione delle infrastrutture, con un certo tipo di agricoltura intensiva, con lassetto idrogeologico. Come una sorta di moltiplicatore del danno al territorio, un sistema semplice e veloce di incamerare denaro. uno degli aspetti della rendita fondiaria. Quella che una politica di sinistra deve puntare a ridimensionare perch drena risorse al circuito produttivo e concentra la ricchezza dove gi c, alimentando lingiustizia sociale. I Prac peggiorativi, la legge inesistente e la Regione assente Il PRAC, previsto dalla legge del 1982, viene adottato dalla Giunta Regionale nellottobre del 2003 e comunicato agli Enti Locali per la raccolta delle osservazioni. Il piano prevede un fabbisogno di materiale da cava esagerato, 17.250.000 metri cubi di sabbia e ghiaia, dei quali il 50% da estrarre in provincia di Treviso, il 30% in provincia di Verona, il 17% a Vicenza e il 3% a Padova. La proposta incontra un mare di contrariet. Il piano prevede di scavare oltre i limiti del 3 e del 5% fissati dalla legge vigente. A Paese, dove insistono ben 29 cave, si amplia la possibilit di scavare. A Montebelluna, dove si gi superato il 3% del territorio agricolo, si potrebbe ora raggiungere l8%. Quindi, assieme al PRAC viene presentato dalla Giunta Galan un disegno di legge per modificare la legge sullescavazione. In pratica, il PRAC presentato non si fonda sulla legge vigente ma sulla nuova legge ancora da approvare. Oltre a confermare gli ambiti estrattivi gi in essere, il piano aggiunge altre aree come scavabili. il caso della zona del Borgo Malanotte, a Vazzola. Unarea di pregio naturalistico e agricolo per la coltivazione del raboso, unico vitigno autoctono trevigiano, e di valore storico culturale per la conservazione dellantico borgo rurale. Nel 2008 un privato, che possiede i terreni in quellarea e che il presidente dei cavatori di Confindustria, offre al Comune e al Consorzio di Bonifica Piave di costruire delle casse di espansione, su unarea di 50 ettari, per la laminazione delle piene del Piave e come serbatoio per lirrigazione. A giugno questo imprenditore invia una lettera agli enti interessati per sostenere il proprio progetto, ventilando la chiusura delle propria aziende e la conseguente perdita di occupazione se non arriver la luce verde dalle istituzioni. Il Consiglio Comunale, con qualche difficolt dentro la maggioranza leghista, esprime un voto contrario. La palla passa alla Regione. Tornando al PRAC, nel 2008 la giunta adotta un nuovo piano modificato: il nuovo fabbisogno stimato scende a 13.650 metri cubi, dei quali la met in capo alla provincia
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trevigiana. Neanche questo arriver mai allapprovazione, che spetta al Consiglio Regionale. Abbiamo visto come la Regione utilizzi il regime transitorio per non cedere potere alle province. Nellurbanistica, questo meccanismo le ha consentito di tirare avanti 25 anni, e di avviare solo nel 2011 il trasferimento delle competenze alle province. E sarebbe superfluo qui ricordare come la gestione dellurbanistica da parte regionale abbia consentito la ipertrofia costruttiva e la offesa continua al territorio e al paesaggio veneto che ormai oggetto diffuso di una nuova consapevolezza. Basti dire che il Documento Programmatico Preliminare della prima Giunta Regionale, nel 1972 si esprimeva con preoccupazione: Di fronte alla massiccia occupazione territoriale da parte degli insediamenti (occupazione che procede con un ritmo che in pianura entro pochi decenni potrebbe partire ad un integrale ed irrazionale consumo del territorio) questa azione di salvaguardia dovr tendere al recupero ed alla riutilizzazione, sempre con forme e modi appropriati, del patrimonio di edifici e di manufatti attualmente esistente. Questa consapevolezza non pare aver evitato le conseguenze peggiori gi preconizzate allora. Del resto, gi 10 anni prima il poeta Andrea Zanzotto, in un articolo per la rivista della Provincia di Treviso del 62, indicava le conseguenze dello sviluppo caotico di quegli anni nella proliferazione casuale e mostruosa delle citt, nella devastazione della campagna che sta coprendosi di un caotico e sfilacciato tessuto urbano, nello sfregio, infine, del paesaggio, che si sta perpetrando in tutto il paese. E concludeva: Bisogna capire che salvare il paesaggio della propria terra salvarne lanima e quella di chi labita. Allora bisogner, prima o poi, fare un bilancio del regionalismo italiano, e di quello Veneto in particolare, e lo stato in cui versa il territorio rappresenta una cartina di tornasole di quanto la dimensione regionale abbia saputo dimostrarsi adeguata alla pianificazione e alla programmazione di uno sviluppo ordinato e sostenibile. Si avverte dunque con forza lesigenza di una legge quadro nazionale sulle cave, che ponga dei binari precisi ad una attivit particolarmente impattante sul territorio, e che ponga in connessione lattivit estrattiva con le esigenze di pianificazione territoriale, e di salvaguardia ambientale e paesaggistica. Che introduca standard minimi riguardo alle aree da sottrarre alla escavazione e alla regolamentazione sul recupero delle aree e sulle compensazioni ambientali. SEL dovrebbe farne uno dei punti della propria piattaforma programmatica. Sanzioni e controlli Lazione di controllo e di sanzione, per quello strano combinato legislativo che si ricordava sopra, in capo alle province, che versano poi alla Regione lincasso delle sanzioni. La Provincia di Treviso ha avviato una campagna di controllo delle escavazioni sotto falda, attraverso un innovativo sistema di ecoscandaglio delle cave in falda. Si cos accertato un volume di 358.000 mc di materiale scavato in pi rispetto a quanto auto30

rizzato. Solo una parte stato sanzionato, perch in caso di infrazioni avvenute pi di 5 anni prima non si pu procedere, e il pi delle volte non vi la possibilit di datare esattamente labuso. Limporto delle sanzioni sar comunque inferiore, per il cavatore, di quanto ricavato dalla vendita del materiale estratto in pi. La legge regionale stabilisce infatti che ai fini del calcolo della sanzione sia la Camera di Commercio provinciale a fissare un valore di mercato per la ghiaia estratta. Questo valore non viene aggiornato da anni, e dunque si ha un valore sanzionatorio di 6,36 a mc, che viene ridotto ad un terzo per la ditta che provvede al pagamento entro i termini senza far ricorso. Quindi le sanzioni della Provincia non hanno alcun potere deterrente: il cavatore ci guadagna comunque anche se viene beccato e sanzionato. Appare dunque urgente portare le sanzioni a un multiplo del prezzo commerciale stabilito dal listino camerale. Nel disegno di legge della Giunta Galan si prevedeva di aumentare la sanzione di tre volte. Ma poich esiste la riduzione di un terzo ai sensi della normativa nazionale, anche questo aumento sarebbe insufficiente a dare un valore deterrente. Bisognerebbe prevedere un aumento di almeno 6 volte il valore della Camera di Commercio. Indennizzi Ai sensi della legge regionale, i cavatori versano ai comuni dove scavano un contributo di indennizzo. Attualmente il contributo di 0,62 euro (1.200 Lire) a metro cubo in Veneto. In alcune regioni dItalia stato elevato a 2,00 euro. In Lombardia questo contributo spetta anche alle province per il 15%. In Emilia Romagna sono ripartiti tra Comune, Provincia e Regione. A noi pare corretto che, viste le ripercussioni che le attivit estrattive hanno sul territorio, vi sia un indennizzo anche alla Provincia, competente sia sulle infrastrutture di carattere provinciale, sia sullattivit di controllo dellattivit di cava. Un contributo aggiuntivo e non sostitutivo di quello comunale. I margini di guadagno dellattivit estrattiva, pur nella congiuntura economica sfavorevole, sono comunque tali da consentire aumenti significativi del contributo. Secondo i dati di Legambiente, in Veneto i canoni pagati dai cavatori corrispondono al 4,9% del prezzo di vendita: 4.362.591 Euro di canoni a fronte di un prezzo di vendita di 87.955.462 Euro. Tuttaltro che una tariffa insostenibile, dunque. Nella nuova legislazione si dovrebbe prevedere un contributo, indicizzato e non fisso, che ci avvicini ai 2 Euro. Il Consiglio Regionale dellEmilia Romagna ha approvato a marzo di questanno una risoluzione a del Gruppo SEL-Verdi che impegna la Giunta a portare il costo da 0,57 Euro al metro cubo a 2,00 Euro. Conclusioni Lattivit di escavazione uno degli elementi del consumo del territorio, tra i pi impattanti per la rilevanza del danno e la sua connessione con laspetto urbanistico e infrastrutturale e con laspetto strettamente ambientale della salvaguardia del territo31

rio. Lescavazione costituisce inoltre il meccanismo principale di approvvigionamento della materia prima per la cementificazione del territorio, e sta dunque a monte del diluvio cementizio che deve essere oggi uno degli obbiettivi di un attacco critico verso un modello di sviluppo vorace da superare e riconvertire. Per citare Edgar Morin: Occorre reinventare questo concetto di sviluppo, la cui applicazione ovunque nel mondo distrugge le solidariet tradizionali, fa dilagare la corruzione e legocentrismo. Bisogna che il concetto di sviluppo subisca una metamorfosi in quello di fioritura. Lintero settore abbisogna dunque di un quadro normativo adeguato alla contemporaneit, e che crei un minimo di omogeneit sul territorio nazionale. Le Regioni lasciate a se stesse si sono dimostrate infatti largamente supine ai desiderata dei cavatori, non solo al Sud ma anche in una Regione come il Veneto, dove i cavatori costituiscono comunque una delle pi potenti lobbies, i cui interessi sono stati messi alla pari, e spesso privilegiati, rispetto agli interessi delle comunit e del territorio. Per invertire la tendenza la Regione dovrebbe emanare regole certe e pianificare lattivit di cava in base ai fabbisogni realistici, tenendo conto dei volumi da scavare gi autorizzati e della quota di recupero e riciclo degli inerti, che dovr essere via via crescente e incentivata, anche attraverso la prescrizione nei capitolati di opere pubbliche di utilizzare quote di materiale riciclato. Tenendo nel computo anche le escavazioni in alveo, che passano per regimazione idraulica ma che comportano la vendita di inerti e dunque vanno a ridurre il fabbisogno. Dovrebbe poi aumentare il costo del materiale per chi lo scava e lo vende, elevando gli indennizzi e ripartednoli tra i diversi enti. E rendere efficaci e deterrenti le sanzioni per chi scava oltre lautorizzato, superando un meccanismo che allo stato attuale premiante per chi sgarra e non per chi rispetta le regole. La questione dellescavazione si intreccia con gli altri malanni del territorio veneto: la mancanza di una seria programmazione degli interventi per la difesa idrogeologica del territorio, che lascia spazio allattivismo interessato dei cavatori, la mancanza di una pianificazione seria e vincolante sullurbanizzazione del territorio, che lascia spazio a meccanismi derogatori volti a produrre enormi colate di calcestruzzo, la programmazione confusa delle opere viarie e infrastrutturali. Si propone dunque di considerare la questione allinterno del pi generale quadro del conflitto in atto contro il territorio e contro lambiente. La crisi la si vuol far pagare nei suoi costi sociali ai ceti popolari, e ci si vuole pure aggiungere il costo ambientale di un assalto al territorio e allambiente giustificato sotto la falsa insegna delle esigenze occupazionali e lavoristiche. La rendita fondiaria va a braccetto con la speculazione finanziaria, per depauperare il paese e i suoi abitanti e arricchire i sodali della cricca globale. Sinistra Ecologia Libert nata anche per superare, gi dalla traccia programmatica della sua denominazione, le contrapposizioni esclusive tra le ragioni dellambiente, del lavoro e dei diritti, e per includerle in una proposta di modernit nuova, allaltezza del nuovo secolo.
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Sinistra Ecologia Libert SEL promuove una campagna in difesa del territorio e del suolo

TERRA NOSTRA
Riassetto idrogeologico, adattamento, messa in sicurezza e cura del territorio sono la prima urgente grande opera pubblica di cui ha bisogno lItalia

Le risorse finanziarie necessarie a promuovere il riassetto idrogeologico, ladattamento, la messa in sicurezza e la cura del territorio italiano si aggirano sui 40 miliardi di euro, mentre quelle realmente investite negli ultimi 20 anni sono state appena 400 milioni di euro. Per indennizzi, ricostruzioni e riparazione dei danni a posteriori si sono spesi (male e, molto spesso, per ricostruire negli stessi luoghi interessati da inondazioni e frane) 52 miliardi di euro in cinquantanni; se sommiamo gli indennizzi post terremoti, la cifra arriva a 213 miliardi di euro. Lassenza di qualsiasi riferimento ai temi della qualit dello sviluppo e alla sostenibilit ambientale nel recente discorso di insediamento del Presidente del Consiglio ci ha delusi e ci preoccupa perch sono migliaia i cittadini italiani in lotta da mesi con il fango. Tra economia ed ecologia vi sono molti pi legami di quelli che tanti economisti assai poco innovatori e riformatori riescono a vedere: un territorio sicuro per i cittadini e per le attivit produttive la condizione prima di qualsiasi sviluppo possibile, un paesaggio di qualit la ricchezza fondamentale dellItalia. Non possiamo pi sprecare soldi e natura, non vogliamo perdere altre vite umane. Va colto appieno laggravamento dellintreccio fatale tra cambiamento climatico e scarsa cura del territorio. Gli eventi estremi (periodi di siccit alternati a piogge violente che arrivano fino al 18-25% in pi di intensit) rendono ancora pi a rischio un territorio gi fragile, con il 47% del territorio colpito dal dissesto. Dal 1998 (tragedia di Sarno) al 2007, secondo statistiche ufficiali, ci sono state un centinaio di vittime e 7,5 miliardi di danni cui vanno aggiunti quelle degli ultimi 4 anni. In Italia limpermeabilizzazione sottrae allagricoltura e alla vita di altre specie porzioni sempre crescenti di terreno, limita e impedisce linfiltrazione delle acque e la funzione di ritenzione, aumenta le possibilit di repentini eventi di piena. Oltre il 6% del territorio nazionale impermeabilizzato e, nellultimo decennio, vi stato un consumo medio di
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suolo di circa 36.500 ettari lanno, ossia 100 ha ogni giorno, un ritmo doppio rispetto al decennio precedente. Il processo evidente nelle grandi citt: ad esempio, a Roma lespansione dellarea urbana ha portato a una crescita del suolo impermeabilizzato dal 4% nel periodo 1994-2000 al 7% nel periodo 2000-2006. Il consumo e limpermeabilizzazione del suolo sono tra le principali cause delle morti e delle devastazioni che gli eventi meteorologici estremi causano sul territorio italiano (anche quando non sono estremi). Con circa 45 milioni di tonnellate di cemento prodotto nel 2008, il nostro Paese al quarto posto nel mondo per rapporto tra cemento prodotto e superficie territoriale e al quinto posto per rapporto tra cemento prodotto e numero di abitanti. Lo sviluppo edilizio e infrastrutturale dovrebbe seguire il principio di evitare, limitare e compensare limpermeabilizzazione dei suoli. Regolamenti stringenti, sul modello di quelli gi esistenti in altri Paesi UE, possono ridurre gradualmente il consumo di suolo, entro una specifica scadenza temporale, fino ad avere zero consumo ulteriore di suolo. Da subito, possono anche essere avviate specifiche politiche per la protezione dei paesaggi, dei suoli agricoli e degli ecosistemi ad alto valore naturalistico, per evitarne consumo e impermeabilizzazione, diffondendo le migliore tecniche disponibili. La protezione e la cura del territorio sono una vera riforma e una grande opera. La proponiamo alle forze sociali, politiche, economiche e al Governo e ne facciamo da oggi un impegno costante del lavoro politico di SEL, innanzitutto attraverso una campagna di discussione e consultazione che svilupperemo nazionalmente e in tutte le regioni e negli Enti Locali dove siamo presenti, anche attraverso proposte precise ed iniziative istituzionali. (novembre 2011)

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Sinistra Ecologia e Libert


Coordinamento regionale Veneto

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