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I MERIDIANI

FRANCO FORTINI SAGGI ED EPIGRAMMI


a cura e con un saggio introduttivo di Luca Lenzini e uno scritto di Rossana Rossanda

SOMMARIO Uno sperato tutto di ragione


di Rossana Rossanda

Le parole della promessa


di Luca Lenzini

Cronologia
a cura di Luca Lenzini

Nota alledizione LIBRI E RACCOLTE DAUTORE Verifica dei poteri I cani del Sinai Saggi italiani Lospite ingrato primo e secondo Breve secondo Novecento SCRITTI SCELTI 1938-1994 Notizie sui testi
a cura di Elisabetta Nencini

Bibliografia
a cura di Elisabetta Nencini

Indice dei nomi

UNO SPERATO TUTTO DI RAGIONE


di Rossana Rossanda

Un bel volto caparbio, occhi chiari e indagatori, sobrie le movenze, cappotto blu e taccuino di appunti sotto mano questa limmagine di Franco Fortini che resta nella mente. Siamo prima di tutto il nostro corpo, ed egli si teneva riservato, in guardia, nella sua bella persona, senza concedersi alcuna eccentricit. Non si finse metalmeccanico nei cortei operai n ragazzino fra gli studenti in corsa n un quidam de populo se lo fermava la polizia. Mai si lasci catturare da unestablishment e mai si travest da emarginato. Era stato povero, aveva tirato la vita e accumulato saperi con tenacia e diletto, sapeva di essere quel che era. Non si lasciava andare, le sue famose collere erano meditate, gli interventi brevi e mirati; non espose mai tormenti che non fossero della ragione. Salvo forse la pena dellinvecchiare: dimmi, tu conoscevi, vero, quanto sia indegna / questa vergogna di vecchiezza?. Ma si stenta a credere che il male che lo afferr nel 1993 ne abbia incrinato la disciplina. Aveva gi letto per s lepigrafe sulla tomba di Francis Bacon al Trinity College, e titolato con il verso che la chiude lultima raccolta di poesie Composita solvantur si scomponga tutto ci che composto. Aveva preso la parola sempre, per s e per gli altri, ma si appart per morire, evento da affrontare in solitudine transi hospes, nunc dimittis spegnendosi sotto lo sguardo amoroso di Ruth Leiser, che per tanti anni sera chinato accanto al suo sulla lirica tedesca. Nel declinare del secolo e dellesistenza gli era caduta addosso una stanchezza. Non smise di scontrarsi era un cavallo da combattimento, sapeva di essere considerato intrattabile e con quellironia che si permette soltanto a se stessi sera dipinto criniera al vento e narici frementi come i cavalli di legno delle giostre. E non cera osso che non gli dolesse al

dubitare degli esiti, non della verit, del suo pugnare il vero, la verit, la mia verit, le nostre, ricorrono nei suoi scritti in opposizione al nulla, il niente cui gli appariva trascinato il mondo. Sentiva la rovina, provava fastidio per la sordit altrui, gli pesava lisolamento tutti abbiamo bisogno di consenso ma non era disposto a transigere: la verit non agevole, passa attraverso dure verifiche. Allindirizzo dei molti che gli parvero sottrarsene scoccava crudeli epigrammi: eccovi l tranquilli e onorati, amici miei cari, potrei essere come voi, ma non lo sono perch sapevo la verit. Poi si pentiva dellarroganza, e tornava su quel che aveva scritto, nulla ritirando ma riordinando e ripubblicando nel contesto della storia non la sua, quella dei destini generali. Una volta per sempre, mai pi. Rompeva sperati dialoghi e imprese comuni imprese di ricerca, dunque politiche, dunque di ordine morale, dunque non negoziabili. Che politica ed etica non si potessero separare era un comando della sapienza ebraica e di quella cristiana, le assumeva tutte e due. Non c operare lecito se non mira a un pi di umanit, a che luomo, come scriveva ai posteri il suo amato Brecht, sia finalmente amico delluomo. Che la politica si riducesse alla lubrificazione del sistema del mercato non gli parve fatale, gli parve una gaglioffata. Cos restava perlopi in una solitudine orgogliosa e indolenzita. Dalla quale gettava sul mondo quel suo sguardo esigente, intollerante di mediazioni, per cui passava sempre da felici incontri a sanguinose rotture. Tutti avrebbero voluto Fortini ma nessuno alle sue condizioni. Neppure in morte stato consegnato con piet alla storia. Gli onori non sono mancati ma la scena, tutte le generazioni incluse, sembra sollevata dal non sentirsene continuamente sfidata e giudicata senza amenit. Fortini giace insepolto fuori delle mura. E si spiega: ha voluto essere una voce poetica di quella parte del secolo che aveva tentato lassalto al cielo dun

cambiamento del mondo, ha perduto ed ricaduta fra le maledizioni del Novecento e linizio dun millennio che non ne sopporta il ricordo. La necessit duna palingenesi non laveva ereditata da casa n dalla sonnolenta Firenze delladolescenza. Le letture del padre, un avvocato ebreo poco praticante come i pi che il Risorgimento aveva cessato di discriminare, oscillavano fra progressismo, spiritualismo e perfino esoterismo molti nostri padri frequentarono Michelet e Anatole France e i dintorni di Annie Besant o Rudolf Steiner. La madre, cattolica, leggeva i romanzi per signore che la chiesa metteva allindice, Luciano Zuccoli e Lucio DAmbra. Il ragazzo Franco si form da solo, come i pi, attraverso incontri fulminanti Jack London, Dostoevskij, Pirandello, Otto Weininger, poco a che vedere uno con laltro ma controcanto alla romanit spalmata dal regime. E poi i modernissimi, Joyce e Dblin e Malraux. Montale e la Firenze letteraria, lermetismo e le riviste come Solaria ebbero presto la meglio sugli studi di giurisprudenza cui lo avevano votato i suoi e colorarono i primi tentativi di versi. Ne discuteva con i coetanei, una squadra che avrebbe lasciato il segno sulle patrie lettere, guardando gli illustri entrare ed uscire dalle Giubbe Rosse e nei Littoriali che il fascismo offriva agli studenti irrequieti. Quando le leggi razziali gli tolsero la tessera del GUF e gli vietarono quellagone, Fortini si ribell, cerc inutilmente di essere riammesso, si sent escluso e in cerca duna appartenenza si precipit, rompendo con le tiepide fedi paterna e materna, verso un cristianesimo eroico facendosi battezzare presso la chiesa valdese. Aveva ventidue anni. Lanno dopo fu larresto del padre e la guerra, nel 1941 la chiamata alle armi e lalternanza delluniversit (ancora incerto fra letteratura e storia dellarte) con il servizio militare.

Fino all8 settembre, quando assieme ad altri dispersi avrebbe raggiunto la Svizzera, la quale accoglieva tutti ma in poco meno che campi di concentramento, proibendo questo e quello. Ma qui avrebbe incontrato il Partito socialista, che parl allanimo suo pi degli amici comunisti e azionisti di Firenze. Di qui tent unincursione nella resistenza della repubblica dellOssola gi in fase di ripiegamento fra audacie e timori, ritiri e ritorni. Qui, a Zurigo, incontrava Ruth Leiser. Il 1945 avrebbe chiuso questo apprendistato. Non diverso da quello di molti della generazione nata attorno al 1920, poco prima o poco dopo. Stesse letture, stessi interrogativi, stesse frequentazioni, stesso fastidio del fascismo, stesse incertezze a impegnarsi fino alloccupazione tedesca. Ma lessere stato mezzo ebreo, mezzo protestante, mezzo antifascista, mezzo resistente dovette arrovellarlo ed probabilmente allorigine della intolleranza che avrebbe maturato, verso se stesso e gli altri, per ogni scelta non fatta o rimandata. Dellebraismo e del protestantesimo gli rimase una idea severa e non conversevole di Dio, assieme a una percezione giansenista della colpa e del tragico, che raramente mise in parole: come le oscure rose del suo poema, custod un non detto delle cose ultime, non partecipabile col primo che passa.

Molto cambiano nei percorsi individuali una guerra mondiale, lo sterminio dun popolo, la crisi dun regime e la fine della primissima giovinezza. Nel 1945 lItalia era da rifare e pi delle macerie cont la passione del ricominciamento. A ventotto anni Franco aveva trovato la sua causa il socialismo, la sua vocazione , la letteratura e un grande amore Ruth Leiser. Fedele a tutti e tre, non avrebbe mai smesso di interrogare i primi due. Limpegno politico non si esercita da soli, il partito che si sceglie in gran parte gi dato, se ne determinati

pi che non si determini. Aderendo al Partito socialista Fortini si aspettava di essere caricato di impegni e chiamato a condividerne le scelte, ma trov non pi che linteresse dei partiti di sinistra per il compagno intellettuale, dal quale avere un riverbero di fama piuttosto che un contributo alla linea. Come uomo di lettere definizione che non avrebbe lasciato passare se non per approssimativa incrociando il Politecnico di Elio Vittorini pensava di avere un crogiolo nel quale filtrare gioiosamente il vecchio e fondere il nuovo, ma si sarebbe scontrato oltre che nella diffidenza di molta intellettualit altra, anche fiorentina, che poteva forse non pesargli nella diffidenza prima e poi contrariet del Partito comunista per un laboratorio tuttaltro che allineato. Non crediate che sono qui per suonare il piffero alla rivoluzione, avrebbe esclamato Vittorini, e da Botteghe Oscure gli sarebbe stato risposto: Va pure. Franco ne pat con pi furore essere socialista era per lui un modo di essere comunista, altrettanto e pi radicale, non cess di clamare che sempre di questo mondo aveva voluto la fine, lo sapevano bene i comunisti, ma non lo tolleravano perch era anche un pensatore politico e non soltanto, appunto, un uomo di lettere. Sul suo comunismo sarebbe tornato altre volte, in prosa e nei versi, che diventavano essi stessi materia di scontri, corrispondenze polemiche, proposte e attacchi. Il suo rapporto con la causa fu dunque tumultuoso e non perch chiedesse una sorta di statuto speciale che i partiti di sinistra davano senza troppa difficolt ai grandi e meno grandi intellettuali che accettavano di essere rispettati ornamenti, al pi consulenti del loro campo, e nelle scelte generali non mettevano troppo il naso , ma perch parlava da militante e dallinterno di quelle scelte generali. Un primo consuntivo dei suoi rapporti con comunisti e socialisti sta in Dieci inverni, uscito dopo la invasione di Budapest quando tutto il mondo comunista scosso. Non era il solo a tempestare nel

1956, nella brusca oscillazione fra le speranze del XX Congresso del PCUS (forse quel mondo si apriva?) e larrivo dei carri armati russi a Budapest il 4 novembre. LURSS si rivelava peggio di quel che gli aveva suggerito la critica socialista e laspra dissidenza interna degli anni Trenta della quale il libro pi diffuso in Europa era stato quello di Victor Serge. Ma nel 1956 Fortini fu tra i pochi che gridarono non tanto in nome della libert intellettuale repressa, ma in nome della rivoluzione del 1917 che sparando sugli operai della Csepel, la grande fabbrica di Budapest, tradiva le sue proprie ragioni. Io ero allora nel PCI e mi telegraf augurandomi una tremenda vendetta operaia. Restava nel Partito socialista, ma un anno dopo se ne sarebbe separato, chiudendo anche con lAvanti! cui collaborava tutte le settimane perch Nenni era andato a Pralognan e i socialisti stavano mutando sponda. Dunque o si stava con lURSS o si abbandonavano gli sfruttati? Fortini si sarebbe dibattuto in questa tenaglia. Questo il Leitmotiv di tutta la sua opera e rende impossibile distinguere una sfera del tutto interiore da quella del tutto civile. Quella contraddizione gli passa dentro. E avrebbe tentato di risolverla fin che pot nellaffermazione che no, i motivi e la forza del comunismo restavano anche se non avrebbero pi avuto alle spalle un grande paese, diventato una nazione potente e prepotente come le altre, n un grande partito diventato burocratico e inerte. Restavano in quanto restava un dominio economico politico inaccettabile. Franco non sera mai troppo impicciato del Capitale, il suo era il Marx degli scritti giovanili, quello dellalienazione, e il Lukcs di Storia e coscienza di classe. Al fondo dei quali stava la innaturalit delluomo a farsi merce come il Galy Gay di Bertolt Brecht. La ragione della rivolta, anzi della rivoluzione, era qui, e il fondamento del suo ethos. Pi la speranza: accorciando i passaggi, rest convinto che la migliore definizione del

comunismo fosse sempre quella marxiana, lorizzonte cui tendono le cose presenti e la fuse in uno dei suoi versi: I presupposti da cui moviamo non sono arbitrari. / La sola cosa che importa / il movimento reale che abolisce / lo stato di cose presente. Non so quanto della intollerabilit del capitalismo (sistema di rapporti fra uomini mediati da cose) gli venisse dalla esclusione percepita, e non solo come ebreo, nelladolescenza e poi nellesperienza di lavoro sotto padrone, anche il pi illuminato dei padroni. Con Adriano Olivetti a Ivrea, Franco lavor un paio danni: forse sono suoi gli slogan veloce e leggera vi accompagna nella vita e completa come una frase, leggera come una sillaba della Lettera 22, prodigiosa macchinetta sulla quale stese i suoi pensieri tutta la cultura italiana, dal dopoguerra fino al computer, la Olivetti era unimpresa di punta e assieme unutopia della convergenza capitale/lavoro nei rapporti di produzione e fra crescita industriale e bene comune. E anche unidea della citt a misura duomo: produzione di modelli, architettura, sociologia, psicologia, design, arte moderna qualcosa che somigliava al Bauhaus di Walter Gropius e al Movimento moderno di Le Corbusier, una microsociet interdisciplinare di uomini e donne, di sinistra e riformatori. Fortini vi trov o ritrov molte delle amicizie pi durature. Ma al primo acerbo conflitto con le maestranze stette dalla parte degli operai, non fu licenziato ma dovette lasciare quellutopia pedemontana, oggi del tutto spenta, per insegnare in una scuola secondaria a Milano. Rimase una collaborazione e lamicizia per Adriano Olivetti, ma si era consolidata la diffidenza per il riformismo.

Non era in Italia che trovava lelaborazione pi persuasiva della sua posizione. Paradossalmente i comunisti, e allinizio anche il PSI, stigmatizzavano i riformisti ma il loro program-

ma altro non era, anche se accompagnato da un acuto senso del conflitto contro quella che definivano la reazione premoderna del capitale italiano, e quindi da una forte soggettivit operaia (meglio, dei lavoratori, come si prefer dire nel dopoguerra). Fu del resto limmagine che ne conservarono gli avversari. Lalleanza antifascista prima e la guerra fredda poi interdicevano per ai comunisti di andare a fondo nellanalisi della societ e ancor pi a un progetto di rivolgimento. Ma Franco Fortini non era ingenuo n velleitario, quel che non perdonava era il venir meno, gi nei primi anni dopo il 1945, di una critica dellesistente nelle sue forme pi subdole per esempio nella meccanica dei consumi, che potevano apparire anche bisogni e diritti. Nel PCI e nel PSI la cultura come disvelamento degli apparati e delle ideologie del capitale passava in secondo piano rispetto a una cultura popolare, che era poi la versione italiana del realismo socialista venuto in auge nellURSS nel 1927, e si dava una veste pi presentabile agganciandosi alla tradizione che Gramsci aveva definito nazional-popolare il primo uso di Gramsci fu quello, anche se i Quaderni dal carcere avrebbero nutrito tuttaltre ricerche e pensieri. Fortini era messo allerta dallinclinazione radicale, anarchica o trockista, di una larga parte della intellettualit francese conosceva i surrealisti, aveva amato e tradotto luard (assai meno Aragon), i Jean Cassou e i Tristan Tzara, apprezzava Pierre Naville. Ma decisivi furono i tedeschi, forse introdotti da Ruth; primo Bertolt Brecht e poi quei veri e propri maestri del sospetto che erano i francofortesi come Theodor W. Adorno, e pi tardi Walter Benjamin. Nessuno come loro decostruiva allora non correva lespressione derridiana le seducenti immagini del capitale, citt, mode, gusto, e le sue teorie giustificative; questo smontaggio incantava Franco, anche lui traccheggiatore dei variopinti

imbrogli della mente. Nel 1954 era uscito in Italia Minima moralia di Adorno, e il resto sarebbe seguito nel decennio successivo fino allintervento fracassante di Marcuse, pi Luomo a una dimensione che Eros e civilt. Impossibile leggere le prose fortiniane senza riconoscervi pi che una affinit, accentuata dallincalzare: dunque facciamo, battiamoci contro. E del resto egli tenne sempre ferma, nel mare delle letture personali e professionali, una sua costellazione: dice di avere letto dal 1946 al 1956, anni decisivi, Gramsci, Jean-Paul Sartre, Gyrgy Lukcs, Lucien Goldmann (del quale tradusse Le dieu cache,), Brecht, Adorno e Benjamin. Poi Merleau-Ponty, Bloch e Auerbach, ma i primi restarono quelli fondamentali. E su questa traccia, dismessa la fiducia nel Partito socialista, tent dimettere assieme gruppi di lavoro e di ricerca con gli amici italiani, specie Roberto e Armando Guiducci e Luciano Amodio con i quali cominciava Discussioni, poi con Ragionamenti cui fece eco il francese Arguments di Roland Barthes e Edgar Morin. Batti ma ascolta era il motto che vi aveva messo in esergo, percuotimi ma stammi a sentire, rivolto alle opache sinistre. Anche Ragionamenti conobbe una crisi e fu la rottura con Roland Barthes quando questi rifiut di prender posizione su una repressione relativa ai fatti di Algeria. E come il solito trov insopportabile che a Fortini paresse ovvio pretenderla. In quella fine tempestosa degli anni Cinquanta sarebbe invece iniziato un tentativo di fare con Pasolini e Romano, Leonetti, Scalia, Roversi la seconda serie di Officina, della quale non sarebbero usciti pi di due numeri. Perch mai rapporto fu pi tormentoso di quello tra Franco e Pier Paolo, che avevano tutto di opposto come carattere e cultura e modo di intendere la politica tutti e due si volevano a sinistra e con un ruolo determinante salvo un bisogno sincero luno dellaltro. E una storia anche di solitudine e di affetti che si chiuder bruscamente ma che in Franco non avr

mai fine, tanto che lultimo suo lavoro un ripercorrere scrupoloso e tormentato il rapporto con Pasolini Attraverso Pasolini che rifa una intera storia, con collera e dolore. Ma con i primissimi anni Sessanta Franco non si sente pi lintellettuale solitario che suggerivano le sinistre ufficiali il popolo non capiva. Bisognava essere ciechi, si accorgeva perfino con qualche allegria, per non vedere che nel volgere degli anni dai Cinquanta ai Sessanta stavano erompendo lotte e soggetti senza, anzi contro i partiti, come geyser da una terra in ebollizione. Erano grossi frammenti di classe operaia e una intellettualit giovane, proveniente o no dalle sinistre, pi spesso dal sindacato, molto colta. Nel 1957 le Tesi sul controllo operaio, poi quelle sul partito di classe, nel 1961 i Quaderni rossi di Raniero Panzieri e nel 1962 le lotte di fabbrica e strada a Torino lotte non per avere ma per essere, conflitti identificanti e non addomesticabili. La societ si spaccava per faglie interne, finalmente per classi. Il paese parve percorso da unondata senza precedenti. Furono gli anni felici di Franco fino allesplosione del 1968 che affianc con pudore e emozione. Uscirono i Quaderni piacentini, vi scrisse, incontrava nuovi amici, sodali.

Con un problema in pi che si apr nel 1967 e la guerra dei Sei Giorni. Era ebreo dire mezzo ebreo fuori da un contesto fascista non ha senso. Sino ad allora il comune antifascismo aveva identificato gli ebrei con la sinistra, adesso li divideva sulla Palestina. E lidentit ebraica assumeva una assolutezza con lesser venute alla luce, assieme al rifiuto arabo di Israele, le dimensioni della Shoah. Auschwitz come orrore assoluto, tale da far dubitare fin di un Dio che lo aveva permesso, suggeriva una primariet dellessere ebreo che la generazione dei sopravvissuti non aveva sentito con la stessa violenza simbolica. Cosa che le fu imputata. A lui poi veniva rinfacciato di

aver assunto il cognome della madre al posto del paterno Lattes, come se allebraicit avesse voluto sfuggire. Rispose con veemenza nei Cani del Sinai: no, essere ebreo non consentiva lingiustizia esercitata sui palestinesi, al contrario la interdiceva. Era unidea alta, forse eccessiva, dellebraismo come popolo di giusti, prima giusti che popolo. Molti anni pi tardi, recatosi con Ruth a Gerusalemme, avrebbe scritto pagine di sgomento e malinconia. Intanto in Italia sperimentava qualcosa di simile alla speranza provata alla fine della guerra. Era ben diverso aver le idee chiare sulla natura proteiforme del capitale e la sua infinita capacit di travestimento, denunciandolo con le armi della critica, dallassistere al nascere della rivolta giovanile e operaia, una rivolta antisistema, che del sistema rifiutava radici, fini e misure, e pareva maturare dovunque nel mondo. Malgrado le due superpotenze, in tensione tra loro ma ambedue ostili verso una sinistra che usciva da controllabili sentieri. LOccidente si apriva come una melagrana, e non pi per disperazione; era la societ affluente che i giovani negavano, e con loro gli operai delle roccaforti industriali. Addio al progressismo. Su questo, che non amava chiamare movimento dei movimenti che si accendono e spengono il sistema non si cura Fortini punta molto. Non si atteggia a leader, per un momento anzi sventola con ironia la disposizione a far la mosca cocchiera, espressione crudele di Togliatti, nulla rivendicando del suo passato e mettendosi al servizio di quellonda. Dalla quale era ridimensionato e assorbito il mandato dellintellettuale, gi crudamente esaminato in Verifica dei poteri, nel capovolgimento delle categorie, delle analisi e dei fini. Perfino la contesa con i comunisti perdeva di peso, perch il 1968 stava seppellendone legemonia. In quel no giovanile Fortini, e non il solo, vede il frutto della lunga crisi delle forme borghesi. Ma non un ragazzo

fra i ragazzi, se qualcosa pu fare gettare nel crogiolo quel che sa, anche se ha un sapore amarognolo. Non si fida infatti della spontaneit, di una sua totale innocenza e sapienza, dubita dellinforme che essa lusinga. Il 1968 disfa tutto, e questo un bene, ma ha unidea semplificante di quel che vuole e una indifferenza pericolosa ai saperi. I quali hanno in s anche una maturazione critica della quale ingenuo credere di poter fare a meno. Provocatorio, Fortini ammonisce che nel rifiuto di una qualsiasi autorit, anche prodotta nel proprio seno, c un verme: il rifiuto dun progetto da darsi per timore di dividersi o di definirsi. E cos critica la volont, anzi velleit, di darsi un linguaggio del tutto nascente. Nello scrivere chiaro va controcorrente: contro lillusione che si possa, almeno da noi in Occidente, non discernere la tradizione dal segno di classe che porta, e qui Lukcs gli d tutti gli argomenti, fin troppi, e contro il sogno avanguardistico di inventare una lingua nuova, che ha rotto ogni legame con la borghesia. Lui, Fortini user la grande lingua borghese, e non solo perch bisogna farsi capire e solo cos si ha diritto di pretendere di essere capiti, ma anche perch una lingua nuova, come stata tentata da qualche avanguardia e dal surrealismo, simile al balbetto. E infine c ordine e ordine: quando gli chiedono di firmare a favore dellassoluzione di un giovane parricida, si nega; per quanto feroce possa essere stato il padre, ci sono interdizioni che non si possono infrangere, che attengono a un livello sapienziale. Fortini non lo dir esplicitamente ma qualche cenno di ostilit verso il femminismo non casuale; conosce la condizione iniqua riservata alle donne (il suo saggio su Paolina Leopardi bellissimo) ma su una sorta di naturale divisione dei ruoli, come sulla figura del padre, qualcosa di profondamente radicato lo trattiene. E non finge mai un ascolto accattivante. Preferisce tacere ed esser messo da parte, come presto avviene con la nuova si-

nistra dei gruppi, che con gli intellettuali ha un rapporto di mero utilizzo, non diverso dalla sinistra storica (quelle merde di intellettuali). Cos neanche il momento di massima identificazione con una spinta politica gli d una appartenenza. E siccome la sinistra storica detesta un po sornionamente il 1968, rester isolato sui due versanti. Quando Pasolini apostrofa gli studenti romani che a valle Giulia pestano i poliziotti, come figli di ricchi che possono permettersi di picchiare quei figli di poveri che sono i celerini, Fortini sgomento. Un settimanale balza sulla succosa vicenda, egli supplica di non prestarsi a un operazione strumentale al PCI, Pasolini non gli bada ed unaltra rottura. Ma non come le altre, e non solo perch stavolta per sempre, non si vedranno mai pi. Ma perch nessun poeta italiano lo ha pi incantato di Pasolini, da nessuno si sentiva pi distante nel giudizio sul che fare, sulla vita, sulla politica, nessuno avrebbe altrettanto voluto convincere del suo errore. Convincerlo significava esserne accettato. Sette anni dopo, nel 1975, Pasolini veniva ucciso a Ostia, e in Franco furono grandi il dolore quanto lamarezza di essersi perduti e non poterlo persuadere mai pi. Perch Pasolini aveva torto, lo penser sino alla fine. Quali che fossero i limiti del 1968, esso la rivoluzione dei nostri tempi, o almeno il suo abbozzo. La felice stagione non dura a lungo. La sinistra istituzionale toglie a studenti e operai aria e acqua, ne incamera i voti ma per ristabilire un ordine. una sconfitta della quale Fortini non vede rimedio. Non lo vede nel movimento del 1977, del quale tace quando non dubita. Non lo persuadono n la prima Autonomia operaia n pi tardi lassai pi elaborato Luogo comune. E soprattutto lo turbano ripetizioni e derive. O voi quasi gli stessi! / O sempre troppo figli! / Passate oltre voi stessi / o finir/ la tragedia in sbadigli. Non fin in sbadigli, fin in sangue. Nel 1993 avrebbe scritto: Hanno portato le tempie / al colpo di martello / la vena allago / la mente al niente. [...]

Compagni. // Non andate cos. // Ma voi senza parlare/ mi rispondete: Non ricordi/ quel ragazzo sfregiato / la sera dellundici marzo 1971/ che correva gridando / Cercate di capire / questa sera ci ammazzano / cercate di / capire! // La gente alle finestre / applaudiva la polizia / e urlava: Ammazzateli tutti! // Non ti ricordi?" // S, mi ricordo. una poesia malinconica, non intende cavarsela facendo a due pi due fa quattro con la storia. A breve ma nel breve sta quel che verosimilmente gli resta di vita la storia va in tuttaltro verso da quello sperato. E anche la generazione che si voleva rivoluzionaria dimentica il suo sussulto, se ne ritrae, partecipa alla sua damnatio memoriae. Sono diventate indecifrabili le nostre ragioni. Nostre, di chi? Fra chi Franco si colloca? Ai giovani che verranno chiede di piegarsi su di esse come su una lingua straniera: Vi chiedo / di prendere in considerazione / non la fatica subita / ma le mie proposte / di ampiezza o dira / e anche di quella incertezza che utile. / Della mia pronuncia / i suoni sordi e i chiari / non separateli.... Lomologazione consumistica avvenuta e lindividualismo che essa lusinga depotenzia bisogni e possibilit della persona come gi sapevano Benjamin e Adorno. A un postmoderno che predica la fine del senso non d molta attenzione, tanto la riduzione di ogni progetto a mera narrazione gli appare strumentale allordine esistente. Piuttosto pensa che dichiarare una sconfitta significa anche chiedersi se non se ne porti qualche responsabilit. Ma difficile farlo mentre chi non si pente subisce un processo, formale o no, o neppur si rende conto che di sconfitta si tratta. Almeno per ora. Ostinato, Franco pensa che lopacit destinata a cadere. Perch c un limite oltre il quale nessuno arretrer, pena perdere il poco che gli resta. la sua cocciuta speranza, uno sperato tutto di ragione che nessuno pu eludere. E lo costringe anche a qualche conto con se stesso. Quando gli accade di discutere nel carcere di San Vittore con alcuni brigatisti disso-

ciati, dice che non si pu mettere in causa una legalit repubblicana della quale lui stesso non ha mai taciuto n ipocrisie n limiti. O quando accenna, sempre negli ultimi versi, al soldato sovietico che nel novembre del 1941 sulla Volokolamkaja Chausse: Non possiamo pi ci disse ritirarci. Abbiamo Mosca alle spalle. Linamata anzi detestata Mosca, quellossimoro che era lo stato operaio il ritorno della mente alla difesa di Mosca rinvia, pi che alla gravit del presente, allo scoglio del secolo, alla contraddizione fra spinta rivoluzionaria e un riformismo che si muove solo quando il nemico gi alle porte. Ma allora si muove. Disperante ma da non dimenticare. Quel che gli pare acquisito delle rivoluzioni avvenute soltanto il tentativo della Cina, del quale Edoarda Masi, anima forte e tragica, gli ha fornito le chiavi assoluta diversit, condizione di un assoluto altro cui, malgrado o forse a cagione delle traversie e sconfitte, restare fedeli. Era anche la Cina del suo Brecht, scenario di rapporti inequivocabili fra potere e fare.

A stagione delle milizie concluse si infittisce il lavoro sulla critica letteraria, accanto a una presenza sui giornali la scrittura il suo mestiere e la usa con astuzia da colomba in modo diverso a seconda degli interlocutori e allinsegnamento allUniversit di Siena. La riflessione sulla letteratura, come il far versi, non laveva mai interrotta. Ma se la pratica politica gli ha dato la certezza del legame fra lio e i destini generali, e assieme della non riducibilit delluno agli altri, la pratica critica e il fare poesia lo hanno messo di fronte a un pi problematico scarto fra incompiutezza del vissuto e compiutezza dellopera. Perch questa, se , armonia. fruizione finalmente pacificata. risoluzione del conflitto, unicona della sua fine. quello che sarebbe il comunismo. O no?

il tema sul quale pi scava negli anni Ottanta. Recupera materiali passati, mettendoli in risonanza uno con laltro, ne aggiunge di nuovi. Che cosa la letteratura, si chiede nel 1978, quando sono cadute tutte le definizioni che la modernit le aveva dato, e qualsiasi mandato demiurgico venuto a cessare? Perch bisogna pur dirlo che sullandamento del mondo la poesia non ha mai contato nulla se c un intellettuale prepotente che per nulla concede a un ruolo eccellente dellintellettuale, questo Fortini. Nessuno, o ben pochi, ha rifiutato come lui di stare ai dettami duna propriet o dun partito o duna moda, ha fin sospettato gli altri di troppo concedervi (sei un malfidato, protestava Pasolini) e nessuno come lui ha definito il fare letteratura in s come opus servile in senso ultimo. E tuttavia lo rode quella che un tempo era definita lautonomia del giudizio estetico, perch certo lopera poetica, se , conclusa. Questo, che il terreno per dir cos di sua competenza professionale, vangato e rivangato. Lui poeta, lui professore, lui militante, lui Franco Lattes Fortini sono una sola persona. E non si concede di dividersi. Bisognerebbe leggere assieme gli interventi politici, i saggi critici e i versi (non sono un prosatore). Ma lessere uno non significa essere scevro di scarti. Il solo peccato mortale soddisfarsi della propria duplicit: quel che pi ha rimproverato a Pasolini non latteggiarsi a sovversivo mentre svolge quel ruolo conservatore che lo rende accetto alla borghesia e al Partito comunista, ma il riposarsi sulla propria ambiguit, metterla in forma, compiacersi della devastazione, adularsi nellimmaturit. E farne poesia. Perch un grande poeta, il Pasolini che gli strappa lesclamazione pi calorosa. Del fare poetico Fortini conosce i meccanismi, sa che cosa ne sono le strutture, ne conosce gli stilemi, si diletta a sperimentarli. Ma soltanto per breve tempo ha creduto di poter acquietarsi nel formalismo Jakobson e poi,

letto in ritardo, Bachtin. Se ne presto ritratto: se lopera totale nelle sue relazioni interne, non leggibile soltanto in esse. Una poesia non solo quel che dice e come lo dice, la sua musica o le sue dissonanze, che peraltro hanno a loro volta una storia. Lopera in parole luogo di proiezioni individuali e collettive. fruizione, piacere, ma anche reperto sociologico, riflesso di funzioni sociali pi o meno consapevoli. Pasolini tutti e due, oltranzista nel suo doppio volto e Fortini non se ne rassegna. Non sembra esserci nei suoi scritti un approdo teorico definitivo, anche se non mancano le asseverazioni. Il fascino di Fortini critico, e non solo quello dei saggi italiani, ma anche dei suoi silenzi e delle sue idiosincrasie - argomentate come il fastidio per Gadda e non argomentate come quello per Kafka sta nel passare ininterrotto fra un piano e laltro. Non nasconde affatto che lamore per il Tasso si accompagna al disamore per lAriosto, perch nel primo c la sofferenza della persona e del tempo e nel secondo un elegantissimo divagare rispetto a tutti e due, critica contenutistica se ce n una. Pi complicato il fascino che esercita su di lui Manzoni, inseguito con diletto nelle strutture formali nello stesso tempo in cui vi scorge un ritrarsi dalle precedenti scelte civili. Nellanalisi duna poesia poco frequentata di Leopardi lega invece quella che giudica una incompiutezza alla debolezza del pensato, che poi la riflessione sulla fragilit della vita che in Aspasia raggiunge una perfezione che sembra il frutto di una pi profonda implicazione del pensiero e dellemozione. E cos nellelogio allultima Morante, quella di Aracoeli, Fortini ne collega la forza alla fine della bianca beatitudine della Storia. Mentre si dice persuaso della grandezza di Montale quando i versi ne rivelano la verit di piccolo borghese che si crede grande. E tuttavia impossibile ridurre Fortini a contenutista, epigono raffinato del realismo. La messa in forma e il pensato lo

fanno egualmente e contraddittoriamente soffrire e gioire. Come possibile? Come sopportabile? Questo quel che non perdona a Pasolini. Aveva avuto a che fare con maestri come Noventa, e con fratelli come Zanzotto e Sereni con i quali il rapporto era univoco. Anche le distanze erano facili da segnare quando univoche stima ma affinit zero con Calvino, che senzaltro annovera fra gli scaltri, per lammirevole fuga nellirrealt. Pasolini invece gli getta davanti fin troppa realt, materica, lacerata, e sfugge alla domanda: ma questa la realt sovversiva che pretendi? Non lo . Fortini scrive lunghissime lettere (e ottiene magrissime risposte: non sono un epistolografo, perch insisti, perch pretendi, che cosa vuoi, sei insopportabile) per spiegargli che altra cosa il povero e altra il proletario, altra il sottoproletariato e altra il proletariato. E Pasolini a ribattergli che lui almeno frequenta i sottoproletari, dei quali piena lItalia da Roma in gi, mentre Fortini vagheggia un proletariato libresco standosene a casa. Sarebbe una lite banale se Fortini non fosse affascinato da poesie come Il pianto della scavatrice, colpito nel profondo. facile demolire Pasolini, pensa e scrive con furore, quando fa i film dei quali riconosce soltanto Accattone mentre imperversa contro II Vangelo secondo Matteo e Medea, ennesima fuga nella contemplazione dellarcaico. E poi i film rivelano una partecipazione alla perfida industria culturale. Ma i versi? Pasolini poeta malgrado quel che mette in versi? Sfavillante ma innocuo, sontuoso ma come una rovina. I conti non tornano, perch innocuo ma sfavillante, una rovina ma sontuosa. Non torneranno mai. Attraverso Pasolini il suo ultimo libro, meticoloso come una requisitoria o unarringa della difesa.

Non si pu dire di Fortini che visse con distrazione, come Brecht scrisse di s. Per questo inattuale. Chi vuole esporsi?

Meglio non esporsi. Al non cercare un senso, egli non si rassegn mai. N lo perdon neanche a se stesso. Chi gli ha dato del narcisista, al di l di quella custodia di s senza la quale non si vive, gli ha attribuito a torto una soddisfazione di s mentre era permanente il bisogno di verifica, di capire e capirsi, senza indulgenze e masochismi, per nulla incline alle belle sofferenze, alle crudelt squisite, allincanto dei propri abissi. stato uno in cerca di giustizia, e non sub specie aeternitatis, ma nel concreto e presente, dove si tratta di muoversi quando ancora hai un dubbio. Aggressivo e bisognoso, sbagliando e pagandone il prezzo, e lasciando sempre un aculeo. Rossana Rossanda

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