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Archivio selezionato: Dottrina

Procedure concorsuali e societ nella prospettiva della riforma(*) Giur. comm. 2004, 02, 213 Sabino Fortunato SOMMARIO: 1. Le carenze del vigente sistema nella disciplina delle crisi societarie. - 2. A) Il presupposto soggettivo. Societ apparente e societ occulta. Societ commerciale, agricola, artigiana e industriale. Societ occasionale e societ "no profit". La cessazione dell'impresa sociale. - 3. B) Il presupposto oggettivo. C) Gli effetti sul patrimonio della societ e dei soci. Responsabilit illimitata e fallimento per estensione. Ipotesi anomale. Responsabilit e imputazione dell'attivit. - 4. D) Gli effetti sugli organi sociali. Procedure e scioglimento della societ. Le azioni di responsabilit. - 5. E) Attivit distinte sotto controllo comune. Gruppi e patrimoni destinati. - 6. Conclusione.

1. Le carenze del vigente sistema nella disciplina delle crisi societarie. - Osservava Gastone Cottino, alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, che "la disciplina fallimentare contrassegnata da un alto grado di personalizzazione. L'imprenditore cui essa si rivolge , di regola, l'imprenditore individuale, in diretta derivazione - si direbbe - dal mercante individuale"(1). E in effetti affermazione comune (vedi da ultimo Alessandro Nigro(2)) che la legge fallimentare del 1942 dedica scarne disposizioni alle procedure concorsuali delle societ e pi in generale dell'imprenditore "collettivo", cos determinando problemi di adeguamento della normativa pensata per l'imprenditore individuale o vere e proprie lacune da colmare con una attenta e non sempre felice integrazione interpretativa(3). A mio avviso la scarsa attenzione del legislatore del 1942 nella sede specifica delle procedure concorsuali alle peculiarit dell'imprenditore collettivo in buona parte conseguenza dei nodi irrisolti sul piano sostanziale in sede di teoria dell'impresa e di teoria societaria. Alla teoria dell'esecuzione concorsuale appartengono i temi degli effetti che la crisi e in particolare l'insolvenza pu determinare sul contratto e gli organi societari nonch sui patrimoni di societ e soci, temi che hanno formato oggetto, sia pure in maniera non esaustiva, della legge fallimentare del 1942. La successiva evoluzione delle istituzioni e dell'economia ha sollevato, ovviamente, ulteriori problemi, come quelli collegati alla crisi e insolvenza dei gruppi, in parte affrontati con leggi speciali (si pensi in particolare alle discipline dei gruppi bancari e finanziari nel T.U.L.B. e nel T.U.I.F. e dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi nella prima versione e nella seguente - d. lgs. n. 270 del 1999 - della legge Prodi), o come quelli che emergono dalla recente riforma societaria a proposito delle societ per azioni con patrimoni destinati ad uno specifico affare. In questa sede non possibile andare al di l di una ragionata enucleazione delle questioni principali che nell'ambito delle procedure concorsuali pone la forma collettiva dell'impresa, non senza evidenziare che i pi recenti progetti di riforma della materia si mostrano s pi consapevoli di tali questioni, ma non sembrano adottare linee sistematiche di intervento, limitandosi a disposizioni sparse sia pur significative. A voler identificare i principali nuclei tematici della crisi dell'imprenditore collettivo, possiamo raccoglierli intorno a cinque grandi aree: a) il presupposto soggettivo e b) il presupposto oggettivo di accesso alle procedure; c) gli effetti sui patrimoni della societ e dei soci e d) gli effetti sugli organi, con particolare riferimento alla responsabilit; e) il trattamento della crisi a fronte delle tecniche organizzatorie di attivit distinte ma sotto controllo comune, ora per il tramite di gruppi che esaltano l'autonomia dei soggetti giuridici ora per il tramite dei patrimoni destinati all'interno dell'unitario soggetto giuridico. 2. Il presupposto soggettivo. Societ apparente e societ occulta. Societ commerciale, agricola, artigiana e industriale. Societ occasionale e societ "no profit". La cessazione dell'impresa sociale. - A) Sotto il profilo del presupposto soggettivo noto che la vigente sistematica limita l'accesso alle procedure concorsuali all'imprenditore commerciale non piccolo con la conseguenza che la loro applicabilit alle societ (e pi in generale alle collettivit organizzate, fatta eccezione per gli enti pubblici) implica la presenza di quattro condizioni: a) che sussista innanzitutto la fattispecie societaria (o pi in generale associativa o di organizzazione collettiva); b) che questa identifichi un soggetto-impresa; c) che l'impresa sia qualificabile come "commerciale"; c) e che non sia qualificabile come "piccola". Tale articolato intreccio di condizioni ha sollevato una miriade di problemi nell'accesso alle procedure concorsuali che in parte ci derivano dalla teoria societaria e in parte dalla teoria dell'impresa. a. Si sono dovuti cos chiarire gli elementi costitutivi della fattispecie societaria, non tanto per definire i presupposti di applicabilit delle procedure alle societ di fatto e alle societ irregolari, per le quali si pone semmai il quesito dell'inizio e della fine dell'impresa collettiva, ma soprattutto per stabilire se le indicate

procedure siano invocabili nei riguardi della cd. societ apparente e della cd. societ occulta. E in queste due ultime ipotesi il problema della identificazione della fattispecie societaria stato sollevato, pi che in s, in via strumentale per derivarne la "estensione" del fallimento ai pretesi "soci" (apparenti od occulti). mia convinzione che in ambedue le ipotesi non ricorra alcuna fattispecie societaria e che tuttavia esse meritino un trattamento differenziato in caso di crisi dell'impresa. La cd. societ apparente pone l'esigenza di tutela dei terzi che hanno fatto affidamento appunto sull'apparenza e dunque sulla esteriorizzazione del vincolo societario pur inesistente fra i "soci apparenti" - tanto che alcuni invocano in materia i principi della simulazione negoziale -, esigenza che non sembra possibile soddisfare se non con la soggezione della societ apparente e dei soci apparenti (illimitatamente responsabili) alla procedura concorsuale. La cd. societ occulta, di contro, mantiene gi in tesi carattere tutto interno ai paciscenti e non evoca alcun affidamento di terzi. Non si comprende allora perch mai il conflitto fra creditori del prestanome e creditori dei soci di una societ mai esteriorizzata debba risolversi a vantaggio dei primi e a danno dei secondi, posto che i primi hanno negoziato esclusivamente con il prestanome e sapendo di fare affidamento sul patrimonio a questi riconducibile. Non ignoro il difforme orientamento di parte minoritaria della dottrina e della prevalente giurisprudenza (che per in molte altre circostanze valorizza - non so con quanta coerenza - il principio della spendita del nome). Ho l'impressione, tuttavia, che quell'orientamento si inscriva nella tendenza espansiva che nell'insolvenza muove i giudici ad allargare quanto pi possibile i mezzi di soddisfazione dei creditori dell'insolvente, spesso per un malinteso senso di giustizia sostanziale. Senso di giustizia sostanziale che non offre, a mio avviso, alcuna soddisfacente risposta al quesito tradizionale posto gi da Ascarelli in sede di teoria dell'imprenditore occulto in merito al conflitto di interessi fra le diverse categorie di creditori. L'area in oggetto non di agevole intervento in sede di riforma. Va segnalato che le proposte emerse in seno alla Commissione ministeriale, insediata nel dicembre 2001 e i cui lavori si sono chiusi nel luglio 2003, parlano di una applicazione degli istituti di allerta e prevenzione e delle procedure di composizione concordata della crisi e di liquidazione concorsuale all'imprenditore "collettivo", volendo con ci sottolineare che la disciplina delle crisi destinata non solo agli imprenditori individuali ma ad ogni collettivit organizzata (societ, associazione, consorzio, ma anche fondazione, etc.) che eserciti attivit d'impresa. Subordinano l'accesso dell'imprenditore (anche collettivo) alla procedura di composizione concordata della crisi (ma non la soggezione agli altri istituti e procedura) alla iscrizione nel registro delle imprese, ci che dovrebbe sollecitare societ di fatto e societ irregolari a regolarizzarsi ove vogliano fruire dei benefici di quella procedura. Difficile ipotizzare che ci si possa spingere ad una regolamentazione di societ apparente e di societ occulta; perlomeno i temi meriterebbero una specifica attenzione che in Commissione non v' stata. Forse si pu sperare in qualche approfondimento nella fase parlamentare e soprattutto nella fase di elaborazione del o dei decreti delegati. b. Pi agevole, invece, l'intervento riformatore quanto alle altre tre condizioni della vigente sistematica. Attualmente le procedure concorsuali non trovano applicazione a tutte le societ, anche se di "forma commerciale", poich necessario che abbiano anche "oggetto commerciale". Per altro verso i piccoli imprenditori, anche se commerciali, sono sottratti alle procedure concorsuali, ma - secondo l'art. 1, 2 comma, ult. parte l.f. - "in nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le societ commerciali". noto che la Corte Costituzionale ha fornito una interpretazione correttiva di quest'ultima norma, affermando che le "societ artigiane" (pur da valutare alla stregua dei requisiti ex art. 2083 c.c. piuttosto che esclusivamente in forza dei requisiti di cui alla legislazione speciale) non ricadono nella nozione di "societ commerciali" che non potrebbero in alcun caso reputarsi "piccolo imprenditore"; ma parimenti noto che la Corte ha poi escluso ogni disparit di trattamento nel ritenere sempre soggette alle procedure concorsuali le societ commerciali-industriali che pur dovessero rivestire i limiti dimensionali e qualitativi delle societ artigiane. La riforma pu troncare ogni dibattito in proposito, soprattutto con l'estendere le procedure concorsuali ad ogni "imprenditore" tout court, individuale o collettivo, commerciale o agricolo, artigiano o industriale, piccolo o non piccolo. Se si accoglie l'idea che il governo della crisi dell'impresa non pu e non deve di per s rivestire carattere sanzionatorio per l'imprenditore, ma deve essere concepito solo come lo strumento pi efficiente di superamento della crisi tramite ristrutturazioni o negoziati o comunque liquidazione satisfattiva dei creditori (e fatta salva ovviamente la punizione dei comportamenti illeciti), allora non v' spazio per superati privilegi ricollegabili alla "natura" o alle "dimensioni" dell'attivit. Quanto alla natura dell'attivit in particolare, ora che il novellato art. 2135 c.c. ha dilatato enormemente la nozione di agrariet, sia a titolo principale sia a titolo di connessione, e vi ha equiparato attivit di pesca e assimilate, ogni esclusione dallo statuto civilistico della commercialit e dalla disciplina delle crisi dell'impresa agricola e simili ingiustificata. E in questa direzione i progetti di riforma non operano distinzioni. c. Qualche considerazione va, invece, sviluppata sull'elemento dimensionale, ma senza che ad esso debba darsi rilievo qualitativo distinguendo fra imprenditore individuale e imprenditore collettivo, societ artigiana e societ industriale. Deve escludersi, in altre parole, che un diverso trattamento debba e possa giustificarsi in relazione alla forma individuale o collettiva dell'esercizio dell'attivit d'impresa e che, parimenti, una tale diversit possa e debba legittimarsi in relazione all'oggetto dell'attivit esercitata. Eliminata una intrinseca carica sanzionatoria delle procedure, ci che importa, lo si ribadisce, la ricerca

di adeguate soluzioni alla crisi. Ne consegue che l'elemento dimensionale - da riferirsi all'entit reddituale eo patrimoniale eo occupazionale dell'affare - pu tutt'al pi sollevare un problema di opportunit del ricorso alle dette procedure, in quanto per un verso queste appaiano strumento eccedentario rispetto alle esigenze di definizione della crisi di "piccole" realt economiche e per altro verso - considerata la relativamente alta numerosit delle situazioni che possono presentarsi - strumento che possa appesantire eccessivamente la funzionalit ed efficienza della "macchina" giudiziaria. Tuttavia il secondo argomento (cd. esigenza deflattiva) a me pare inconsistente, perch anzi la molteplicit di esecuzioni individuali, scoordinate e talvolta diffuse sul territorio e che costituiscono l'alternativa alle procedure concorsuali, sono in grado di pregiudicare in misura maggiore l'efficienza degli apparati giudiziari. Del resto questa esigenza sembra pi adeguatamente perseguibile da una disposizione che eviti l'apertura della procedura liquidatoria (e allora per ogni imprenditore) ove l'esposizione debitoria non superi soglie significative (in tal senso si muovono le proposte di riforma della Commissione ministeriale). Quanto alla opportunit di attivare la procedura concorsuale rispetto a piccole realt, la complessit dell'apparato attivabile con la procedura concorsuale pu essere semplificato e snellito. Se si pensa poi alla possibilit che l'accesso alle procedure consentirebbe un accordo negoziale con tutti i creditori o all'esito della procedura liquidatoria - il conseguimento del beneficio dell'esdebitazione, finiscono per venir meno tutti gli argomenti che si oppongono ad una generalizzata estensione della disciplina di crisi (pur con adattamenti) a tutti gli imprenditori e a prescindere dall'elemento dimensionale. Le proposte della Commissione ministeriale tengono conto di tali riflessioni, prevedendo (nel testo di maggioranza) l'accesso tanto alla procedura di composizione concordata di crisi quanto alla procedura di liquidazione concorsuale del piccolo imprenditore, individuale o collettivo, sia pure con "forme e modalit semplificate" che dovranno essere definite dal legislatore delegato e sia pure in presenza di un indebitamento minimo significativo. Nel testo di minoranza(4), peraltro, non si pongono limiti di accesso alla procedura di crisi (che si attiva sempre e solo su istanza del debitore), mentre il limite dell'indebitamento compare nella procedura di liquidazione. Per consentire comunque che anche i piccoli imprenditori esclusi da tali procedure possano fruire del beneficio della esdebitazione (unitamente agli insolventi civili), viene disciplinata al riguardo apposita esecuzione concorsuale attivabile su istanza dello stesso piccolo imprenditore. In realt probabilmente sfuggito che di una tale speciale procedura dovrebbero poter fruire anche gli altri imprenditori per i quali non trovi applicazione la procedura liquidatoria per difetto di esposizione debitoria significativa. d. V' poi da chiedersi se il riferimento alla qualit di imprenditore diventi criterio selettivo rispetto a fenomeni di societ o collettivit organizzate "senza impresa". Mi sembra difficile che in sede di riforma possano fornirsi risposte definitive ai classici temi delle "societ occasionali" e delle societ "no profit", quantomeno nel senso che l'odierna elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sembra sufficientemente sviluppata: l'occasionalit non esclude l'imprenditorialit quando l'unico affare complesso (ed solo allora - a me pare - che pu sorgere un reale problema di crisi dell'iniziativa); l'eterodestinazione del risultato - cui pure si sia teso con metodo economico - non contrasta con l'imprenditorialit. L'unico dubbio semmai sollevato dalle cd. societ di comodo, che prevedono statutariamente l'esercizio di impresa ma che limitano di fatto l'attivit al mero godimento di beni. Mi chiedo per se anche in queste ipotesi non debba prevalere - a tutela dei terzi - il principio dell'apparenza giuridica, peraltro statutariamente spesa. e. L'ultimo aspetto del presupposto soggettivo - legato alla teoria dell'impresa - quello dell'inizio e della fine dell'attivit che determina in capo al soggetto la qualifica imprenditoriale. In verit non mi sembra che meriti particolare attenzione la vicenda iniziale, che per le societ solleva la nota questione se esse acquistino la qualit di imprenditore con la semplice costituzione (o con l'iscrizione nel registro delle imprese) ovvero con l'esercizio effettivo dell'attivit economica programmata. Nell'ottica della crisi e dell'insolvenza, infatti, difficile ipotizzare che la questione abbia concreta rilevanza, posto che il mancato inizio effettivo dell'attivit, quantomeno inteso quale compimento di "atti di organizzazione", non in grado di sollevare problematiche di crisi dell'impresa. Pi rilevante invece il tema della cessazione dell'attivit societaria. I termini del recente dibattito sono ben noti, al pari degli ultimi interventi da parte della Corte costituzionale (e della Cassazione) sull'interpretazione degli artt. 10 e 11 l. fall., secondo cui anche alle societ (e agli ex soci) deve poter trovare applicazione il termine annuale oltre il quale non consentito accedere alle procedure concorsuali (per una proclamata esigenza di "stabilit e certezza delle situazioni giuridiche")(5), e secondo cui la decorrenza di tale termine da collegare alla "cancellazione della societ" dal registro delle imprese. In realt tale collegamento non sembra risolvere tutti i problemi, anche perch ci si chiede se non sia pi opportuno che il punto di riferimento debba essere pur sempre - e in maniera omogenea con l'imprenditore individuale - la cessazione dell'attivit piuttosto che il fatto esteriore della cancellazione dal registro delle imprese. In un primo momento, per esempio, in sede di Commissione ministeriale si era affermata una tesi anfibia, che per le societ registrate legava il termine (annuale) alla cancellazione della societ dal registro e per le societ non registrate collegava il termine (questa volta biennale) alla cessazione dell'attivit, dilatando il termine appunto per tener conto della maggiore difficolt dei terzi nell'accertare l'evento (non pubblicizzato) della cessazione. Il criterio direttivo prescelto nell'ultima versione delle proposte della Commissione ministeriale appare meno impegnativo, nel senso di elencare

una serie di referenti (morte, cancellazione, perdita della responsabilit illimitata, cessazione effettiva dell'attivit, perdita dell'indebitamento qualificato) di cui il legislatore delegato dovr tener conto nel definire il o i limiti temporali di apertura delle procedure, "contemperando la tutela della certezza delle situazioni giuridiche con la conoscenza effettiva dei presupposti della dichiarazione e della estensione". Si dovrebbero, poi, coordinare tali previsioni con la possibilit di accedere alla speciale esecuzione concorsuale con finalit esdebitatorie. 3. B) Il presupposto oggettivo. C) Gli effetti sul patrimonio della societ e dei soci. Responsabilit illimitata e fallimento per estensione. Ipotesi anomale. Responsabilit e imputazione dell'attivit. - B) L'accertamento del presupposto oggettivo delle procedure concorsuali non pone specificit di rilievo con riguardo alle societ (segnalo che in Germania assume rilevanza autonoma lo "sbilancio patrimoniale" come presupposto di apertura della procedura per le persone giuridiche, ma non credo che nel nostro ordinamento ci possa condurre ad una frantumazione del presupposto oggettivo della procedura liquidatoria). Credo che esistano, peraltro, soluzioni ormai consolidate su alcuni aspetti, come la valutazione dell'insolvenza della societ indipendentemente dalla solvenza o meno dei soci pur illimitatamente responsabili, il significato del "bilancio d'esercizio" come indice di esteriorizzazione dell'insolvenza, la necessit di valutare autonomamente nei gruppi l'insolvenza di ogni societ che ne faccia parte. C) Val la pena, invece, soffermarsi sul tema degli effetti delle procedure sul patrimonio della societ e dei soci. Il vigente art. 147 l. fall. disciplina tanto il fallimento automatico dei "soci illimitatamente responsabili" di societ con soci illimitatamente responsabili contestualmente dichiarata fallita; quanto il fallimento per estensione di altri soci illimitatamente responsabili di cui risulti successivamente l'esistenza. dubbio il fondamento teorico di tale fallimento automatico o per estensione (che peraltro esclude una autonoma valutazione di insolvenza del socio): imprenditore indiretto o eccezionale coinvolgimento del socio quale garante sussidiario delle obbligazioni societarie? Di fronte a questa incertezza dommatica, la giurisprudenza ha finito per accogliere una tesi espansiva, coinvolgendo nel fallimento automatico o per estensione non solo i soci illimitatamente responsabili delle societ di persone ma anche soci che, inizialmente o successivamente a responsabilit limitata, si siano poi ritrovati ad assumere responsabilit illimitata. Queste ipotesi anomale sono state identificate ora nella situazione del socio accomandante ingeritosi nella gestione o risultante dalla ragione sociale; ora del socio di societ personale "incorporata" o "fusa" con societ di capitali, successivamente dichiarata fallita (la stessa conseguenza si predica per la "scissione eterogenea"); ora del socio di societ personale "trasformatasi" in societ di capitali; o ancora del socio receduto, escluso o defunto o che abbia ceduto la propria quota. In termini ben pi contrastati si giunge ad affermare l'estensione di fallimento al socio unico di societ per azioni o anche di societ a responsabilit limitata nei casi di perdita del beneficio; o ancora - e con tesi che a me pare davvero estrema - al socio responsabile per gli atti compiuti prima dell'iscrizione della societ di capitali nel registro delle imprese (art. 2331 c.c.); o del socio-amministratore illimitatamente responsabile per le operazioni intraprese dopo il verificarsi di una causa di scioglimento ex art. 2449 c.c.; sino al caso del socio tiranno ovvero che si servito della societ come "cosa propria". A me pare, francamente, che le indicate fattispecie siano molto diversificate fra di loro. Nel primo gruppo siamo di fronte ad una societ di persone con soci illimitatamente responsabili, soci che poi si ritrovano a godere di responsabilit limitata per effetto di fusione, incorporazione, trasformazione o cessazione della qualit (morte, esclusione, recesso, cessione): si tratter allora di decidere entro quali limiti temporali potr invocarsi la responsabilit illimitata preesistente, similmente a quanto accade per la cessazione della qualit di imprenditore o per la cancellazione della societ. Ben diversa la situazione in cui versa il socio unico di societ di capitali o il socio di una societ non ancora iscritta o il socio-amministratore che abbia proseguito l'attivit nonostante lo scioglimento o il socio tiranno. Nelle proposte della Commissione ministeriale di riforma si continua nel solco tradizionale ad estendere la procedura liquidatoria anche ai soci illimitatamente responsabili (senza che tuttavia si chiarisca se solo a quelli istituzionalmente tali o anche a quelli che nelle societ di capitali "perdono" il beneficio della responsabilit limitata: questione che a mio avviso dovr essere definita in sede di legislazione delegata); senonch il testo di maggioranza aggiunge anche altre due figure dai contorni inquietanti: il "socio o terzo tiranno" ("chi, ancorch socio limitatamente responsabile, ha fraudolentemente disposto della societ insolvente come di cosa propria") e il "gestore (di diritto o di fatto) determinatore d'insolvenza" ("chi, ancorch socio limitatamente responsabile,... nell'interesse proprio o di terzi, (ha) dolosamente attuato una gestione idonea a determinare l'insolvenza"). In realt su queste due figure in Commissione si acceso un vivace dibattito, tanto che nel testo di minoranza di esse non v' traccia alcuna. L'ipotesi maggioritaria vorrebbe "sanzionare" con la liquidazione concorsuale tanto il comportamento di chi abbia "abusato della personalit giuridica" quanto di chi abbia "dolosamente determinato l'insolvenza" dell'impresa, facendone conseguire la "responsabilit per tutte le obbligazioni sorte nel periodo". Ma a parte i contorni poco chiari delle figure cos delineate e delle conseguenze che se ne vorrebbero trarre (obbligazioni sorte in quale periodo? per l'unico azionista o quotista v' l'accertamento legato alla titolarit delle partecipazioni sociali, ma nel nostro caso a quando far risalire l'abuso o la dolosa

determinazione dell'insolvenza?), non convincono i fondamenti dommatici e le applicazioni pratiche delle fattispecie. Problemi di "responsabilit" per l'attivit d'impresa vengono qui affrontati con gli impropri strumenti della "imputazione di attivit", secondo una linea che appare in controtendenza alla stessa recente riforma delle societ ed anzi con la relativa disciplina incompatibile. La tesi di maggioranza ripropone in realt una concezione sanzionatoria delle procedure concorsuali che si vorrebbe definitivamente espungere dalla riforma (salve le responsabilit civili e penali). Non tien conto dell'esteso "favor" legislativo per la limitazione di responsabilit, considerato che con la riforma societaria del 2003 sono consentite tanto le srl unipersonali quanto le spa unipersonali e che il mancato rispetto delle norme che legittimano il beneficio della limitazione di responsabilit gi comporta la responsabilit illimitata per l'unico socio. La conseguenza che se ne deve trarre sul piano dei principi chiara: il nostro ordinamento sceglie un criterio formale e non economico-sostanziale per l'imputazione dell'attivit, per l'attribuzione della titolarit dell'impresa e dunque della qualifica di imprenditore. Non v' spazio per l'imprenditore indiretto e tantomeno per il gestore (anche nell'interesse altrui) cui possa estendersi l'imputazione di attivit altrui. Per comportamenti siffatti il nostro ordinamento sceglie la strada della "responsabilit" e non quella dell'imputazione di attivit. Ne riprova non solo la disciplina delle societ unipersonali, ma anche quella di gruppo per la "direzione e coordinamento di societ": l'abuso di direzione e coordinamento, e cio l'esercizio dei relativi poteri "nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle societ medesime" comporta il risarcimento danni anche a carico di chi "abbia comunque preso parte al fatto lesivo". Come distinguere gli abusi di personalit giuridica o gli abusi gestori dalle violazioni di cui qui si parla? E perch mai poi la direzione compiuta in violazione delle regole di corretta gestione dell'altrui societ dovrebbe sfuggire alla "sanzione" della liquidazione concorsuale? Ma addirittura perch la direzione pur corretta o l'unipersonalit pur regolare non dovrebbero comportare "imputazione di attivit" agli effettivi "dmini" dell'affare? D'altro canto il nuovo art. 2497 c.c. dispone che in caso di procedure concorsuali di "societ soggetta ad altrui direzione e coordinamento l'azione spettante ai creditori di questa esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario". Quanto poi alla prosecuzione di attivit gestoria nonostante il verificarsi della causa di scioglimento, il novellato art. 2486 c.c. ha chiaramente disciplinato la responsabilit degli amministratori come responsabilit per danni "arrecati alla societ, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, per atti od omissioni compiuti" in violazione del divieto. Da ultimo si deve evidenziare che il giudizio camerale per la dichiarazione di insolvenza ha un carattere necessariamente sommario e urgente che mal si concilia con i complessi accertamenti di responsabilit cui dovrebbe conseguire l'estensione della procedura concorsuale nelle due fattispecie in parola. Non si tratta, insomma, di invocare la tecnica dell'imputazione dell'attivit, come tendono ad accreditare coloro che utilizzano il principio dell'abuso della personalit giuridica, n la tecnica della responsabilit per garanzia sussidiaria, come si afferma autorevolmente da parte di altri autori, ma di compiere l'accertamento di precise responsabilit risarcitorie in capo a soggetti che hanno violato norme di condotta determinando danni a terzi. E d'altro canto non va trascurata la proposta che di recente stata avanzata da Alessandro Nigro, sulla scia della soluzione adottata nell'Insovenzordnung tedesca e proposta nel progetto di riforma spagnolo, che vorrebbe affidata agli organi della procedura liquidatoria (curatore o amministratore giudiziale) l'azione spettante ai creditori sociali verso i soci illimitatamente responsabili, quale "mezzo tecnico" alternativo per far valere la garanzia sussidiaria dei soci medesimi rispetto alla tecnica del fallimento per estensione ritenuta "esuberante" rispetto ai fini. 4. D) Gli effetti sugli organi sociali. Procedure e scioglimento della societ. Le azioni di responsabilit. - D) Altro punto delicato quello degli effetti dell'insolvenza sugli organi societari. Il fallimento , nel vigente sistema, causa di scioglimento della societ di capitali (art. 2448, 2 comma, c.c.), ma la recente riforma societaria non fa pi espressa menzione di questa specifica causa, che invece permane come tale con riferimento alle societ di persone (artt. 2308 e 2323 c.c.). Si al riguardo evidenziato nei primi commenti che "la disparit di trattamento" "del tutto ingiustificata e forse estranea alla legge delega", ma che nel contempo la "soluzione non appare censurabile" tanto pi che sembra in linea con l'evoluzione delle procedure concorsuali, come testimonia la disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in cui la dichiarazione di insolvenza non produce automaticamente lo scioglimento della societ e ove, anzi, si postula una continuazione dell'impresa(6). Ora certo che il permanere degli organi, nonostante l'apertura di una procedura concorsuale di tipo liquidatorio, dovrebbe porre l'esigenza agli amministratori (ove gi non vi siano liquidatori) di convocare l'assemblea per verificare se una causa di scioglimento si comunque determinata. I progetti attuali di riforma non si pongono affatto il problema, ma credo che la questione meriti di essere affrontata quantomeno in sede di legislazione delegata. Di contro la proposta di riforma nel testo di maggioranza della Commissione ministeriale si diffonde fin troppo sul tema delle "azioni di responsabilit" a carico dei componenti degli organi sociali. noto che l'art. 2394-bis c.c. introdotto dalla riforma societaria, rubricato "Azioni di responsabilit nelle procedure concorsuali", dispone che "in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria le azioni di responsabilit previste dai precedenti articoli spettano al curatore del fallimento, al commissario liquidatore e al commissario straordinario"; e che il successivo art.

2395 mantiene al singolo socio o al singolo terzo l'esercizio in generale dell'azione individuale, cos evidenziando che le azioni attribuite al curatore o assimilati sono quelle sociali (anche di minoranza) e quella dei creditori sociali. Il sistema sembra completo. Si osserva che nella srl non pi disciplinata l'azione dei creditori sociali e che quindi la disciplina tutt'altro che completa. Ma si dovrebbe allora sostenere che l'art. 2394-bis riguarda la sola spa, per cui anche l'azione sociale resterebbe scoperta nella disciplina della srl cos come di ogni altra societ o di ogni altro imprenditore insolvente. Ma che al curatore spetti far valere azioni di reintegrazione del patrimonio sociale a carico di chi ha compiuto atti od omissioni dannose per quel patrimonio discende di per s dai principi che attribuiscono al curatore ogni azione patrimoniale gi spettante all'imprenditore e difficilmente si contrasterebbe una applicazione quantomeno analogica dell'art. 2394-bis a tutte le altre societ ( e cos anche in caso di srl per l'esercizio dell'azione a carico dei "soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la societ...": art 2476, penult. co., c.c. nuova formulazione). Il sistema completo! Del resto in caso di abuso della direzione e coordinamento di societ si pure ricordato l'art. 2497, 4 comma, c.c. che legittima il curatore (e assimilati) all'azione che spetterebbe ai creditori. Quanto alle cooperative, infine, va ricordato che potrebbero rendersi applicabili differenziati regimi di responsabilit, essendo normalmente applicabile la disciplina della spa, ma potendo lo statuto per le cooperative di minori dimensioni richiamare la disciplina della srl (art. 2519 c.c. n.f.). Forse norme di coordinamento si possono rendere opportune, ma non credo utile un intervento pi radicale. Il testo di maggioranza elaborato dalla Commissione ministeriale ritiene invece di dover dettare norme specifiche in argomento, che vanno in realt ben oltre il segno di un chiarimento sulla tradizionale legittimazione del curatore. E infatti: 1) al curatore si attribuisce l'esclusiva legittimazione ad esperire tutte le azioni di responsabilit a carico degli organi di gestione e di controllo di societ e imprenditori collettivi per condotte di "pregiudizio ai creditori e all'imprenditore" (e sin qui nulla quaestio), con la sola eccezione delle azioni spettanti ai singoli soci nell'interesse proprio (id est: azione individuale) e ai terzi "in quanto non creditori". E qui, con riferimento all'ultimo inciso, mi sembra che si vada ben oltre il segno: non si vede perch, se il danno ricade esclusivamente nell'economia individuale del terzo, che pure si avvantaggia in quanto creditore sociale dei riparti del patrimonio sociale eventualmente reintegrato da amministratori e controllori responsabili per il danno arrecato a quel patrimonio, egli non possa perseguire autonomamente amministratori e controllori responsabili del danno direttamente arrecato al suo specifico patrimonio. L'unica cosa che ne dovr conseguire, secondo i principi, che non potr esser risarcito due volte dello stesso danno: ma perch dovrebbe subire l'espropriazione della garanzia aggiuntiva derivante dalla diretta responsabilit degli organi nei suoi confronti? 2) Si introduce una inefficacia degli atti gratuiti e una revocatoria degli atti anomali compiuti dai soggetti attinti dall'azione di responsabilit nei sei mesi anteriori del tutto speciali e automatiche, con onere della prova liberatoria a carico del terzo diretta ad escludere la conoscenza del rapporto che legava soggetto insolvente e amministratore o controllore ovvero dello stato di insolvenza dell'imprenditore collettivo. Qualche sospetto di legittimit costituzionale viene avanzato da chi ritiene che in tal modo si fa carico al terzo di un accertamento nei confronti di un soggetto che di per s non riveste la qualit di imprenditore. 3) Infine si legittima il curatore, in caso di annullamento del piano omologato in sede di composizione concordata della crisi, ad agire per responsabilit nell'interesse dei creditori danneggiati dalla impossibilit di agire con le azioni revocatorie a carico di creditori e terzi che abbiano con frode contribuito alla formazione dei consensi necessari o comunque a far omologare il piano. Ma anche in questa ipotesi forse pi corretto lasciar operare il generale rimedio risarcitorio, piuttosto che dettare una disciplina che potrebbe restringere addirittura l'operativit del rimedio ( richiesta la frode), ove sia possibile individuare - secondo i principi - un illecito causativo di danno nella formazione del piano omologato. 5. E) Attivit distinte sotto controllo comune. Gruppi e patrimoni destinati. - E) Non meno significative sono, da ultimo, le problematiche sollevate dalle tecniche organizzatorie di attivit distinte ma sotto controllo comune, che possiamo ricondurre per un verso al fenomeno dei "gruppi" e per altro verso a quello - per buona parte inedito - della "societ con patrimonio destinato allo specifico affare". a. Si osservato che in materia di disciplina della crisi dei gruppi il nostro ordinamento "in una situazione di molto minore 'arretratezza"' rispetto ad altri ordinamenti, in quanto la presenza della legge Prodi offre un modello interessante da seguire, pur se meritevole di adeguamenti, affinamenti e completamenti(7). La disciplina concernente la crisi e l'insolvenza dei gruppi deve infatti tendere a garantire il coordinamento tra procedure concorsuali promosse nei confronti di pi imprese facenti parti del medesimo gruppo, sul presupposto che attraverso il predetto coordinamento sia possibile ottenere il miglior perseguimento delle finalit delle procedure medesime e la migliore tutela dei creditori. Ne consegue da un lato l'accoglimento del principio, pi volte ribadito in giurisprudenza, dell'autonoma valutazione dell'insolvenza in capo a ciascuna societ del gruppo, ma dall'altro lato l'esigenza di individuare criteri rilevanti per la definizione del gruppo stesso e dell'area delle societ di cui operare il coordinamento. Le proposte elaborate dalla Commissione ministeriale si muovono in tale ottica. L'individuazione delle regole del coordinamento tra procedure (di crisi o di insolvenza) viene rimessa al legislatore delegato,

fermo restando che, quando la dichiarazione di insolvenza o di accesso alla procedura di composizione concordata della crisi coinvolge anche il soggetto che esercita l'attivit di direzione e coordinamento del gruppo, la competenza spetta - sulla falsariga di quanto previsto per la procedura di amministrazione straordinaria - al tribunale del capoluogo di provincia ove ha sede il predetto soggetto e che a tutte le procedure in corso devono essere preposti gli stessi organi gestori e di controllo, con possibilit di disporre anche l'integrazione del consiglio dei creditori, nel rispetto comunque dell'autonomia delle masse attive e passive. Quanto alla definizione del "gruppo" si rinvia alla nozione contenuta nella disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese di cui all'art. 80, lett. b) d. lgs. n. 270 del 1999, applicabile anche a soggetti non societari. La nozione di gruppo risulta in tal modo riferibile non solo a compagini societarie, ma anche ad imprese individuali; i criteri dettati dalla menzionata lett. b) dell'art. 80 consentono inoltre di operare il coordinamento tra procedure (di crisi e di insolvenza) non solo in presenza di forme di controllo c.d. "verticali", ma anche nei rapporti (di gruppo) "orizzontali". Maggioranza e minoranza della Commissione ministeriale si sono, invece, ritrovate, su posizioni difformi quanto alla disciplina delle azioni di responsabilit in materia di gruppo insolvente. L'opzione di minoranza, in particolare, parte dalla constatazione che la responsabilit dell'impresa capogruppo e dei relativi organi di amministrazione e controllo - per abuso di direzione unitaria e per abuso di personalit giuridica - oggi regolata dagli artt. 2497 e ss. del codice civile, recentemente modificati in occasione della riforma del diritto societario. La disciplina codicistica sembra delineata in modo da offrire adeguate soluzioni alle istanze di tutela delle ragioni dei soci di minoranza e dei creditori sociali, sancendo non solo la responsabilit (extracontrattuale) della societ o dell'ente che esercita l'attivit di direzione e coordinamento - nei confronti dei soci per il pregiudizio arrecato alla redditivit ed al valore della partecipazione sociale e nei confronti dei creditori per la lesione cagionata alla integrit del patrimonio della societ (art. 2497, 1 comma) - ma estendendo la stessa anche a chiunque abbia comunque preso parte all'evento lesivo (art. 2497, 2 comma), consentendo cos di coinvolgere nella vicenda giudiziaria anche gli amministratori e gli organi di controllo che abbiano tenuto un comportamento abusivo. D'altro canto l'art. 2497, ult. comma, dispone espressamente che "nel caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria di societ soggetta ad altrui direzione e coordinamento, l'azione spettante ai creditori di questa esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario", azione - si badi bene - che azione dei creditori sociali collettivamente considerati "per la lesione cagionata all'integrit del patrimonio della societ" e che pu avere il medesimo contenuto dell'azione spettante al curatore (e simili) a tutela delle ragioni della stessa societ. Con la conseguenza che quella previsione ha il solo effetto di concentrare in capo al curatore un'azione che questi avrebbe comunque potuto esercitare "per la societ" e che esercita anche "per i creditori sociali". Non si comprende allora l'insistenza del testo di maggioranza della Commissione ministeriale che vorrebbe una disciplina "anche in deroga al codice civile" sulla "responsabilit del soggetto cui fa capo l'attivit di direzione e coordinamento, nonch dei suoi amministratori ed organi di controllo, per abuso di direzione unitaria e per abuso della personalit giuridica delle societ appartenenti al gruppo", peraltro richiamandosi alle discipline dell'art. 90 legge Prodi-bis e dell'art. 2497 c.c. Il tema meriterebbe adeguato approfondimento per evitare regolamentazioni forse un po' troppo frettolose. b. Fra le innovazioni pi problematiche della riforma societaria, v' anche quella della spa con patrimoni destinati ad uno specifico affare, nella duplice versione della cd. separazione patrimoniale in senso stretto e della separazione finanziaria(8). Gli artt. 2447-bis e ss. c.c. n.f. non prevedono alcuna regolamentazione specifica per l'insolvenza del "patrimonio destinato" nell'ambito del medesimo unitario soggetto societario, limitandosi a stabilire che quando " divenuto impossibile l'affare" si redige un rendiconto finale e "nel caso in cui non siano state integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte per lo svolgimento dello specifico affare cui era destinato il patrimonio, i relativi creditori possono chiederne la liquidazione mediante lettera raccomandata da inviare alla societ entro tre mesi dal deposito di cui al comma precedente" (e cio dal deposito presso l'ufficio del registro delle imprese del rendiconto finale). "Si applicano in tal caso, in quanto compatibili, - prosegue la norma - le disposizioni sulla liquidazione della societ" (art. 2447-novies). Ora, una tale disciplina apparsa incompiuta soprattutto nel caso di insolvenza tanto della societ, quanto del solo singolo patrimonio destinato. Di qui la proposta della Commissione ministeriale di regolare le due ipotesi di insolvenza: dei patrimoni destinati, a cui si applicher la procedura di liquidazione concorsuale nonostante la mancanza di un "soggetto insolvente"; e della societ con patrimoni destinati, con attribuzione al curatore o ad altro soggetto designato dal Giudice delegato della gestione o liquidazione del patrimonio destinato. A ci stata aggiunta una disciplina ulteriore per i casi di violazione della separatezza tra patrimoni, che prevede la responsabilit illimitata della societ e il concorso dei creditori insoddisfatti dei predetti patrimoni con i creditori sociali. 6. L'esame delle proposte di riforma in sede di Commissione ministeriale con particolare riferimento alla crisi delle societ o, pi in generale, dell'imprenditore collettivo conferma che sussiste in esse una maggiore consapevolezza della peculiarit e rilevanza del tema ma che, nel contempo, per un verso mancata una visione organica della materia e per altro verso si sono manifestate divergenze di non poco momento su alcuni profili di disciplina.

Va anche sottolineato che siamo pur sempre di fronte a proposte di un disegno di legge delega, bench concepito a maglie strette. ora affidato al potere politico il compito di definire le scelte fondamentali, che in sede tecnica hanno avuto una istruttoria sufficientemente adeguata. N va trascurata la circostanza che molti principi dovranno trovare nella fase di elaborazione dei decreti delegati una traduzione pi puntuale, anche quale occasione ulteriore per sciogliere nodi non definitivamente risolti nelle proposte di legge delega.

NOTE (*) Il lavoro destinato agli Studi in onore di Federico Martorano. Trattasi di Relazione tenuta al Convengo organizzato dal S.I.S.CO. in Milano il 16 novembre 2002 su "Novit nelle proposte di riforma delle procedure concorsuali", aggiornata con i pi recenti sviluppi dei lavori della Commissione ministeriale, insediata nel dicembre 2001 per l'elaborazione di una proposta di disegno di legge delega in materia (1) Cos in Diritto commerciale, II, Padova, CEDAM, 1978, 616 (2) Procedure concorsuali e societ in Italia e in Europa, in Dir. Banca e merc. fin., 2003, I, 3 ss (3) L'art. 1, 2 comma, l. fall. sancisce il principio secondo cui "in nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le societ commerciali", principio peraltro reinterpretato in sede di giurisprudenza della Corte Costituzionale e dei giudici di merito e legittimit con esiti non del tutto soddisfacenti sul piano del principio di eguaglianza. L'art. 161, ult. co., in tema di concordato preventivo, poi richiamato dall'art. 187 in tema di amministrazione controllata, ripropone quanto gi stabilito per il concordato fallimentare dall'art. 152: proposta di concordato e istanza di amministrazione controllata devono essere approvate nelle societ di persone dalla maggioranza assoluta di capitale e nelle societ di capitali e cooperative dall'assemblea straordinaria (salva la facolt di delega dei relativi poteri agli amministratori). Il nucleo pi corposo di regole dettato dagli artt. 146-154 in tema di: "fallimento delle societ", relativamente agli effetti a carico di amministratori, sindaci, liquidatori e direttori generali; estensione a carico dei soci a responsabilit illimitata; relazione tra fallimento della societ e i soci ed effetti a carico dei soci a responsabilit limitata nell'ambito delle cooperative; concordato fallimentare (4) Come si avverte nel corso della presente relazione, la Commissione ministeriale per la riforma delle procedure concorsuali ha ultimato i propri lavori elaborando due testi di proposta di legge delega: un testo di maggioranza e un testo di minoranza. Di qui i riferimenti ora all'uno ora all'altro (5) Sul tema cfr. da ultimo un esauriente saggio di F. BELVISO, Cancellazione della societ e tutela dei creditori dopo la dichiarazione di incostituzionalit dell'art. 10 l. fall., di prossima pubblicazione in questa Rivista (6) PACIELLO, Commento sub art. 2484, in SANDULLI-SANTORO (a cura di), La riforma delle societ, 3, Torino, Giappichelli, 2003, 232 ss. Giudizio opposto si legge (pur senza riferimento alla riforma societaria) in NIGRO, Procedure concorsuali e societ, (nt. 2), 4 ss., secondo il quale "l'effetto dissolutivo o meno del contratto (o rapporto) sociale derivante dall'apertura di una procedura concorsuale non dipende affatto dalle finalit della procedura stessa, ma dalla sua incidenza sulla possibilit per la societ di perseguire l'oggetto sociale", possibilit che vien meno tutte le volte in cui si verifica lo "spossessamento" (7) Cos in particolare NIGRO, Procedure concorsuali e societ, (nt. 2), 12 s (8) Sul punto mi permetto di rinviare al mio lavoro sui Patrimoni destinati ad uno specifico affare, di prossima pubblicazione negli Atti del Convegno Abi, "Le banche e la riforma del diritto societario", tenutosi in Roma il 4 giugno 2003 Utente: FORTUNATO SABINO Tutti i diritti riservati - copyright 2012 - Dott. A. Giuffr Editore S.p.A.

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