Declinazioni della voce "Amore"
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About this ebook
Alessandra Cortese (meglio conosciuta al suo paese in Ciociaria per la sua passione per le parrucche che per il suo talento narrativo) è approdata tardi alla scrittura, questa raccolta di racconti costituisce il suo esordio, all’età di
53 anni suonati. La sua vita ha infatti percorso – dal conseguimento della laurea in Scienze Politiche (forse non la più adatta a lei) in poi - un cammino
tortuoso; e così, chi avesse voluto, l’avrebbe vista traghettare senza pausa da un ufficio all’altro, da uno studio all’altro, fino ad approdare, chissà come, a una palestra. Ma tutto questo è acqua passata. Il presente vede la nostra esordiente sprofondare in una brutta depressione e immergersi, per contraltare, nella pratica e nello studio del Buddismo di Nichiren Daishonin, che spera le restituiscano, con la fede, serenità e qualcosa che somigli alla gioia.
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Declinazioni della voce "Amore" - Alessandra Cortese
Alessandra Cortese
DECLINAZIONI DELLA VOCE AMORE
© 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-7465-3
I edizione marzo 2023
Finito di stampare nel mese di marzo 2023
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
DECLINAZIONI DELLA VOCE AMORE
Dedico i racconti alle mie zie:
Maria Grazia Cortese,
che mi ha regalato diverse idee e spunti,
Laura Cortese, che mi ha, sin dalla prima riga
che ho scritto, incoraggiata con calore ad andare avanti,
convinta assertrice del mio talento.
Ringrazio
le mie cugine Francesca e Mariella
per il loro incrollabile sostegno;
e Floriana, Francesca Romana e Gabriele
per avermi fatto conoscere il Buddismo
di Nichiren Daishonin
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
CUORE NERO
Incontrò un uomo. Lo conobbe per caso, a cena in casa di amici comuni. Si lasciarono con un saluto cordiale e con la promessa di rivedersi.
Si rividero, in un bar. Bevvero un caffè insieme e si stabilì fra loro una peculiare intimità. Si facevano domande ardite, per due sconosciuti, ma le risposte erano franche e schiette. Già lei intuiva in lui forza e autorevolezza. Lui la irretiva in una strana malìa. Ne era turbata e quel turbamento la innervosiva. Così, tagliò presto la corda.
Non ci aveva pensato più, dopo. Non le piaceva che un uomo potesse suscitare in lei quelle emozioni, che considerava sgradevoli. Le sue relazioni sentimentali erano sempre leggere, senza turbamenti. Non lasciava le redini con tanta facilità. Aveva la sua vita, il suo lavoro, le sue passioni – la lettura, il cinema, il teatro, la musica -, ed una casa tutta per lei: il suo piccolo regno. Riconosceva che nella sua vita mancava un tocco di colore ma era, se si può esserlo, contenta… o forse si accontentava. Andava regolarmente in palestra, si teneva in forma e seguiva una dieta ben equilibrata. Così, dimostrava meno dei suoi quarant’anni.
Trascorse del tempo, e lei, divenuta superflua nell’ambito di una ristrutturazione aziendale, perse il lavoro. Scontata la delusione iniziale, non si perse d’animo e si mise a cercare altro, ma inutilmente. Cercò un lavoro qualsiasi, come cameriera, come gelataia, come receptionist in un albergo. Impieghi per i quali non aveva la competenza richiesta, le fu detto; o per i quali le venivano preferite persone più giovani. Constatò quanto fosse difficile rimettersi in gioco a quarant’anni.
Dovette ridimensionare le spese, per poter pagare l’affitto. Al cinema, a teatro, ai concerti andava sempre più raramente. Sempre più raramente si concedeva cene in ristoranti costosi. Ancora un anno, e le sue risorse, ormai ridotte quasi all’osso, non bastavano più. L’appartamento era diventato un lusso che non poteva più permettersi. Fu costretta a tornarsene da sua madre.
Non era mai stato facile il rapporto con lei. Fin dalla giovinezza era stato costellato di scontri feroci, che spesso scoppiavano per motivi sciocchi. Il ritornello era sempre lo stesso: la madre - una donna insoddisfatta e tirannica - le rimproverava ogni sua, sia pur piccola, mancanza, e - delusa nelle aspettative che aveva riposto in sua figlia - quella sorta di indolenza nella quale lei era scivolata dopo gli anni frenetici dell’università. Sembrava non aver fretta di rendersi autonoma, sembrava adagiarsi in quella condizione di dipendenza. Sembrava fuggire la realtà, sempre immersa nelle storie dei suoi libri, sempre sognante. Non che vivesse in casa da parassita: si dava parecchio da fare per aiutare sua madre, ed aveva pur avuto qualche impiego, sebbene temporaneo. Ma dal suo nido sembrava non volersi staccare.
Ad un certo punto, però, non ne poté più. Cominciò a soffocare in quel contesto sorvegliato. Fu allora che venne quell’opportunità di lavoro, l’opportunità della sua vita. La colse, non senza qualche titubanza. Quando, finalmente, si risolse a lasciare la casa materna, lo fece con mille esitazioni. Temeva per sua madre che sarebbe rimasta sola; temeva per sé, si chiedeva se il distacco, non solo fisico, dalla famiglia non rischiasse di affogarla in una pericolosa anarchia: niente controllo, niente radici, niente legami che la tenessero al riparo da quel che di oscuro e indefinito che sentiva agitarsi nel fondo della sua anima.
Ed invece fu capace, di lasciare la mano dei suoi per camminare diritta da sola. Il lavoro le diede non solo i mezzi per sostentarsi, ma anche quella necessaria disciplina che, dopo l’università, lei aveva stentato ad imporsi. Era come se, avendo le sue giornate trovato un centro di gravità, tutto vi ruotasse intorno secondo uno spontaneo ordine geometrico, solido e rassicurante. Tutto vi si incastrava, persino le sue