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Anna e le altre - Dietro le apparenze
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Anna e le altre - Dietro le apparenze
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Anna e le altre - Dietro le apparenze

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"Dietro le Apparenze"è il primo volume di una trilogia.
E' il mondo di quattro amiche che diventano grandi insieme. Anna, la protagonista narrante vi farà vivere il conflitto tra l'amore per la sua famiglia e la voglia di libertà, Samantha vi farà conoscere le pene dell'amore per qualcuno che non la merita, Alessandra vi condurrà nei luoghi bui dell'estenuante ricerca di un figlio e la bellissima Silvia vi ricorderà che non tutto ciò che luccica è oro.
A tormentare Anna, giornalista tenace e acuta, è un caso di cronaca nera: Roberta, donna mite sposata al noto architetto Luca Grassi, è accusata di uxoricidio. L'omicida, caduta in stato confusionale, spinge Anna alla ricerca della verità, indagando in quell'apparente matrimonio perfetto e in quel mondo di falsi sorrisi della borghesia arricchita. Accompagnata da Matteo, suo amico e collaboratore, ripercorrerà la vita della donna incriminata, scoprendo che tutto ciò che pareva risolto, in realtà cela profonde verità.
LanguageItaliano
Release dateMay 15, 2023
ISBN9791222407838
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    Book preview

    Anna e le altre - Dietro le apparenze - Marzia Astorino

    Prefazione

    Quella giornata sembrava non avere fine. Avevo chiamato mia madre per chiederle di recuperare i bambini a scuola e all'asilo, io non sapevo a che ora mi sarei liberata e con tutto quello che avevo in testa...

    E' Anna, la protagonista del romanzo di Marzia Astorino, che si mostra, fin da subito, in tutta la sua fragilità. La professione della giornalista di provincia (siamo a Lissone - Monza, uno dei satelliti di Milano, l'indiscussa capitale del nord Italia) le sta mezza stretta, vorrebbe realizzarsi, scalare la montagna della notorietà. Diventare qualcuno, per farla breve. Si occupa di cronaca locale la giovane donna, lo fa con passione, presa dalla ricerca della verità vuole porgere ai lettori la notizia, non si limita a stendere pezzi tirati via, no, a costo di rimetterci sonno, tempo, denaro e serenità familiare lei scava, indaga. Penetra, in una parola: ...A volte facevo trapelare il mio senso di giustizia, a volte lasciavo ai lettori la bontà di farlo perché quasi mai è tutto nero o tutto bianco... fa dire ad Anna, la Astorino. E accade che un mattino, pieno di piccole rogne come tanti altri, si veda affidare un caso rovente, di quelli che prevedono tatto e anche molta capacità di mediazione. Affiancata dall'amico e collega Matteo lei, Anna, impatta in uno strano omicidio. L'ambiente nel quale si è svolta la tragedia sta sull'altolocato, non gente qualunque, al contrario: lui, architetto e imprenditore, viene trovato cadavere nella cucina di casa, Roberta, la sua bellissima moglie, confessa immediatamente di essere l'artefice dell'omicidio.

    Insomma, la dinastia dell'opulenta famiglia Grassi è colpita a morte.

    Da questo incipit si diramerà poi tutta la sottilmente intensa trama del libro.

    Molte le vite intrecciate che si incontreranno, per sorte diretta o indiretta rispetto all'evento cardine, nel corso della lettura.

    La vicenda, in sé e per sé, potrebbe terminare laddove ebbe inizio. Un assassinio con omicida reo confesso poco avrebbe da giustificare la poi invece lunga narrazione; ma, per l'appunto, occorre frugare.

    Dietro le apparenze, ed anche oltre andrà a parare la nostra Anna.

    Poiché ogni azione prevede un costo, anche lei sarà costretta a saldare il proprio.

    Non le basterà più fingere e neppure continuare a inciampare fra i sogni e la realtà. La sua di realtà, quella che parrebbe avere in animo di mettere in discussione; rinnegare, persino.

    A lei si uniranno, una dopo l'altra, tre vecchie amiche rinvenute dai perduti tempi del liceo e che, oggi, stanno a girovagare in vetrina sulle pagine di fb.

    Attraverseranno al suo fianco, fra alterne vicende, lo spazio che le separa, senza che loro ne abbiano matura contezza, dalla giovinezza, avendole ormai da un paio di abbondanti lustri traghettate nell'età adulta.

    Non è indolore crescere, neppure quando ogni cosa pare andare nella giusta direzione lo è.

    Anna imparerà, dal giallo colmo di incognite che dovrà dipanare nello svolgere la sua professione giornalistica, quanto sia difficile, talvolta, trovare la strada giusta, peculiare, la sola percorribile mantenendo intatta la propria identità.

    E sarà Roberta Grassi, nella sua disperazione di vedova e assassina, a consegnarle la chiave che potrà aprire la serratura della porta chiamata saggia empatia sentimentale.

    Le storie parallele degli altri personaggi femminili, saranno anch'esse influenzate dalla coscienza di quanto può essere terribile il volto mostrato dalla violenza privata, quella consumata nel grembo dei nuclei familiari.

    Quegli hortis clausus ove, troppo spesso, accade che germogli solo tragica desolazione.

    L'importanza dell'ambiziosa ricerca del bello diventa punto focale per l'autrice.

    Intendendo quindi necessario armonizzare le esistenze tutte, in specie quelle di chi troppo ha sofferto e avrebbe (quasi certamente) potuto sollevare la coltre malsana ben prima che questa lo soffocasse, Marzia Astorino, utilizzando un linguaggio sciolto e ben articolato, porta fuori i dolori soffocati al più nel silenzio prodotto da un'insulsa vergogna.

    Vergogna: l'amichevole nemica delle donne, ma anche degli uomini moderni, fratturati nell'anima eppure incapaci di chiedere aiuto.

    A lettura terminata resta il desiderio di non tacere mai più dinanzi a qualsivoglia atto di violenza.

    Verbale o di mano.

    Declinato in assenza di genere.

    Le vittime, come si sa, non possono raccontare.

    I sopravissuti - che siamo tutti noi - hanno l'onere di non dimenticare e, ancor meno, rimanere indifferenti.

    Buon viaggio, che la lettura abbia inizio.

    16 agosto 2016 - La Concaglia di San Benedetto (SP)

    Elisabetta Cozzani

    CAPITOLO I

    Dovevo ammetterlo almeno con me stessa, ero agitata. Ma com’era possibile dopo tutti quegli anni che un messaggio, due semplici righe scritte da un’amica avessero messo così in subbuglio la mia testolina? In fondo avevo una bella vita, un buon lavoro, due splendidi bambini. Insomma mi ero fatta strada, ero una giornalista di cronaca conosciuta nell’ambiente, mi assegnavano i pezzi migliori e il mio direttore mi stimava molto.

    Poi mi guardai di nuovo allo specchio e parlai con l’immagine riflessa. Ma chi volevo prendere in giro? Ero una persona normale, con una vita normale. Parliamoci chiaro, oggi chi vuole essere normale? Normale è uno sfigato, sentenziai simulando di sbattere la testa contro un muro.

    Chissà come stavano le altre, che vita avevano, com’erano diventate. Mi guardai di nuovo allo specchio e vidi il mio viso pulito, quasi mai truccato, colorito solo d’estate e con qualche lentiggine che spuntava al contatto col sole. Mi toccai i capelli corti, castani ramati. Il taglio asimmetrico era stato scelto dal mio fidato parrucchiere che mi aveva regalato una bella soluzione tra comodità e vezzo.

    Smisi di guardarmi e ripensai a quelle semplici parole, a quella preghiera di rivederci, dopo tutti quegli anni. Non avevo mai avuto problemi di autostima, eppure di fronte alla previsione di quell’incontro ero diventata la ragazzina insicura e senza difese che non ero mai stata. Forse era proprio questo il problema, il dovermi confrontare, dopo così tanti anni, con coloro che si aspettavano che diventassi qualcuno. O peggio ancora il dover ammettere con me stessa che non ero diventata chi volevo.

    Un messaggio del mio capo che mi chiedeva di volare in ufficio mi riportò alla realtà e decisi di tornare sul pianeta Terra e di correre al lavoro.

    Erano le sette di mattina e, sentito del messaggio, mio marito Giorgio si era offerto di portare i bambini a scuola e all’asilo, novità che era piaciuta molto alle due pesti, e che mi aveva lasciata libera di potermi dedicare completamente al lavoro.

    La redazione era in fermento e io mi precipitai nell’ufficio del dottor Marini, un uomo sulla sessantina, con i capelli brizzolati e il fisico appesantito, per cui nutrivo una stima illimitata per la sua etica e per la carriera da giornalista d’assalto che aveva abbracciato fino a che l’età gliel’aveva consentito.

    Mi accolse subito nel suo studio con la solita sigaretta in mano, ormai non cercava più di nascondersi da nessuno, anche i muri sapevano che fumava.

    «Ragazza,» come mi chiamava sempre lui «oggi sarà una giornata impegnativa. Preparati per uscire.»

    Ancora non sapevo che il messaggio inaspettato che avevo ricevuto e l’evento di quella mattina avrebbero cambiato per sempre la mia vita.

    CAPITOLO II

    Accesi il navigatore per dirigermi sul luogo dell’incidente, era una storia forte per il nostro paese e il fatto che il capo mi avesse raccomandato discrezione non mi faceva presagire nulla di buono. Da brava giornalista non vedevo l’ora di essere lì, a contatto con la realtà, con i fatti, con le persone, toccando e insinuandomi nella vita di altri. Era come entrare in una bolla, violando il loro mondo, la loro intimità, i segreti delle loro case, delle loro stanze da letto, i segreti svelati o ancora celati. E io dovevo scoprire quanto più possibile per riportare la notizia, ma non gonfiata, umiliata, beffata, no; il mio compito era quello di capire chi erano i buoni e i cattivi e cosa aveva portato loro a esserlo. Davo giudizi? A volte facevo trapelare il mio senso di giustizia, a volte lasciavo ai lettori la facoltà di farlo perché quasi mai è tutto nero o tutto bianco.

    Ero rimasta scioccata quando Marini mi aveva rivelato quanto era accaduto, un omicidio in quella casa. Mi venne in mente che avevo parlato con quella donna solo una settimana prima, e ora questo. Com’era stato possibile, cosa era successo perché arrivasse a commettere un atto simile? In quel momento pensai che tutti noi, per i più disparati motivi, potremmo arrivare a compiere azioni violente, ma non me la sarei proprio aspettata da quella donna che più o meno doveva avere la mia età. Non la conoscevo benissimo, ma la sensazione che mi aveva trasmesso a pelle nelle occasioni in cui avevamo avuto modo di collaborare, era di gentilezza, competenza e dolcezza. Insomma tutto il contrario rispetto a quello che avrei potuto pensare di un ’assassina.

    Quando arrivai, il suono delle sirene delle ambulanze era ormai sopito, purtroppo non c’era necessità di correre in ospedale; davanti alla villetta c’era un’incredibile folla di gente, tra poliziotti, colleghi amici e non, fotografi e la solita folla di curiosi. Non avevo mai visto tanta gente, poi pensai che non avevo neanche mai assistito all’omicidio di un uomo così in vista.

    «Anna!» Un uomo con una grossa telecamera cercava di farsi strada tra la folla per raggiungermi. «Eccoti finalmente, ma dov’eri finita? Qui c’è un casino pazzesco!» disse lamentandosi e girandosi per mostrarmi ciò che evidentemente avevo visto anch’io. «Non ci si riesce nemmeno a muovere.»

    «Ho visto Teo.» risposi distrattamente al mio operatore e mio miglior amico mentre cercavo tra la folla una persona.

    «Ti aspettavo mezz’ora fa!» mi rimproverò. «Sei sempre puntuale, proprio oggi...» e lasciò in sospeso la frase capendo che non lo stavo ascoltando. «Pronto, mi caghi?»

    Lo guardai, seria e ferma. «Stai zitto un attimo e seguimi.» Lo trascinai per un braccio verso l’uomo che cercavo.

    «La fai semplice tu,» disse lamentandosi «non hai mica dietro una zavorra come questa.» E mi indicò tutta l’attrezzatura professionale. «Stiamo parlando di almeno tre chili di roba, tesoro mio.» Continuai a non cagarlo, come diceva lui, facendomi largo e schiacciando piedi fino a che non arrivai alla meta. Mi fermai e Matteo mi finì contro.

    «Ah, eccoti.» rispose Carlo, tenente dei Carabinieri, guardandomi. «Mi chiedevo quando saresti arrivata.»

    Cos’è oggi? È la giornata sgridiamo Anna?

    «Sono dovuta prima passare in redazione, Marini voleva parlarmi prima di farmi venire qui.» gli risposi per giustificarmi, un po’ seccata dal doverlo fare. «Cos’è successo?»

    «Una cosa da non credere, Grassi è morto, sono entrato prima, ora c’è la Scientifica, per ora non fanno sapere nulla.» Mi sembrava sincero.

    «C’è il Comandante?» chiesi quasi di sfuggita, cercando di mostrare indifferenza.

    «Sì, Anna, ma non ti dirà nulla neanche lui.» rispose conoscendomi bene.

    «Cosa aspettate a rilasciare qualche dichiarazione?» chiesi nervosamente.

    «Hai ascoltato quello che ti ho detto? C’è dentro la Scientifica, ma pare chiaro che sia stata la moglie a ucciderlo, ha chiamato stamattina il 113 e ha confessato, comunque non rilasceranno dichiarazioni per ora.» Poi si avvicinò al mio viso, molto, troppo. «Neanche a te.» disse piano, ma scandendo le parole.

    «Lo vedremo...» dissi sfidandolo con lo sguardo. Gli voltai le spalle e cercai di nuovo tra la folla.

    «Anna, non metterti nei casini, aspetta.» bofonchiò preoccupato il mio operatore che mi seguì ugualmente col suo fardello.

    Dovevo saperne di più, qualcuno mi doveva dire qualcosa. Non vedevo quasi la gente, spostavo chiunque mi si parasse davanti e poco dopo mi ritrovai davanti al cancelletto della villa.

    Non sapevo molto di quell’uomo, a parte che era un architetto e un imprenditore edile dalla bellezza e dalla magnificenza inenarrabili. La costruzione era recente e si trovava in una zona esterna del paese, circondata dal verde di un prato all’inglese che, dal poco che potevo scorgere, non avrei potuto definire giardino, ma piuttosto un parco. La casa aveva una linea esterna pulita e alternava parti di intonaco bianco a parti in muratura, si sviluppava su due soli piani, ma ogni piano doveva essere almeno di trecento metri quadrati, e doveva esserci anche una taverna perché intravedevo delle finestrelle nella zona sottostante il portico, in discesa verso la rampa dei box. Potevo vedere chiaramente il soggiorno dalla bellissima vetrata con vista su giardino con un divano angolare color porpora grande quanto tutto il mio soggiorno. Alle spalle del divano una scala bianca in cemento che conduceva al piano superiore. La vetrata proseguiva sul lato sinistro con un bovindo con finestrelle arredate con tende bianche fermate al centro a creare uno sbuffo, sulla parte destra un’immensa porta finestra che dava sul portico dietro la quale immaginai ci fosse la cucina. Sulla loggia, elevata rispetto al giardino da tre gradini in porfido, un set da giardino in midollino marrone formato da divano e due sedie, un ombrellone chiuso a braccio in tessuto bianco a proteggere dal sole. Il piano superiore era completamente ricoperto dal tetto spiovente, dal quale spuntava un balcone che doveva essere della camera padronale. Non riuscii a vedere altro, a parte in lontananza, sul retro della casa, una piscina a forma di fagiolo.

    Mi rammaricai al pensiero che quella reggia non doveva essere stata il castello che quella coppia doveva aver sognato.

    Matteo era senza parole, continuava a fissare la casa senza dire nulla.

    «Teo, ci sei? Conviene cominciare a fare qualche ripresa, almeno avremo del materiale appena riusciremo a saperne qualcosa.»

    «Sì, scusa...» mi rispose preparandosi. «È che è davvero meravigliosa.»

    «Sono d’accordo con te, ma come vedi i soldi non fanno la felicità.» commentai amaramente.

    «Dici che non sono mai stati felici in un posto da favola come questo?» mi chiese preparando la macchina.

    «Spero per loro di sì.»

    La folla di curiosi era sempre più numerosa alle nostre spalle e, nonostante i numerosi tentativi dei poliziotti per disperderla, la gente rimaneva lì, cercando anche di insinuarsi per vedere meglio lo spettacolo. Non ho mai capito perché i luoghi degli omicidi richiamino così tante persone, il gusto del macabro le attira come la luce attira le falene.

    Sentivo in sottofondo i loro commenti: «Era un uomo così bravo, ha fatto tanto per il paese e guarda quella lì cosa gli ha fatto.» «Io lo conoscevo da piccolo, sempre stato un bravo bambino.» «E lei invece, io conoscevo una sua zia, era disturbata.» «Lui gli ha dato così tanto e lei guarda come l’ha ripagato.» E via su questa scia delirante.

    Mi morsicai la lingua per non girarmi a rispondere a quel gruppo di ignoranti che sicuramente non conoscevano né zie, né loro da piccoli, né ci avevano mai parlato. Quello che succede veramente nella propria casa: lo sa solo chi ci vive. Era facile sputare sentenze, vedere quell’abitazione stratosferica e non riuscire a credere che quei due non fossero felici. Eppure evidentemente era proprio così.

    C’erano poliziotti e carabinieri anche tutto intorno e dentro la casa, la Scientifica doveva essere dentro, come mi aveva detto Carlo. A un tratto vidi uscire il capitano dei Carabinieri dall’abitazione, tirai Matteo e accesi il mio fedele registratore puntandolo verso l’uomo.

    «Capitano!» gli urlai mettendogli davanti al naso il mio arnese, spinta dalla ressa.

    Si girò nervoso. «Anna, adesso non posso rilasciare dichiarazioni.»

    Nel giro di due secondi, almeno dieci giornalisti si avventarono su di lui circondandolo, ma l’unica cosa che fece fu scansarli chiedendo non troppo con le buone di farlo passare.

    Guardai Matteo e lui capì immediatamente. Uscimmo velocemente dalla folla e volammo in macchina verso la centrale, dove trovammo altri giornalisti. Girammo sul retro della caserma e chiesi a uno degli appuntati, che conoscevo ormai abbastanza bene, di farmi entrare. Lui, estremamente dispiaciuto mi fece segno di non potermi accontentare, per farmi capire meglio mimò di tagliarsi la gola e capii che sarebbe andato nei guai seri se mi avesse accontentata. Lo implorai ugualmente, ma lui sempre più mortificato mi fece segno di no con la testa. Persi completamente le speranze quando vidi sbucare il Capitano che mi fissava truce per poi alzare gli occhi al cielo. Misi le mani in segno di preghiera e lui, forse per levarmi dalle scatole, forse perché sapeva che non me ne sarei andata, aprì la finestrella che dava sul cortile e mi chiese cosa volevo.

    «Anna, le ho già detto che non posso rilasciare dichiarazioni, a nessuno. Anche se è capitato da noi, è un affare che stanno seguendo dall’alto. Devo prima coordinarmi con i miei superiori.»

    Il mio sguardo non nascose la delusione.

    «Dovete dirci qualcosa, per dovere di cronaca.» dissi a bassa voce dal pertugio, come una ladra che si intrufola. «Almeno mi dica quando la rilascerete, questa benedetta dichiarazione. Lissone è un paese, non siamo abituati a qualsiasi tipo di atti violenti, e quella donna...» Cercai di capire la sua reazione. «È stata picchiata dal marito? Perché l’ha ucciso? Aveva segni di violenza?» Le domande mi uscirono a raffica senza un ordine preciso. Matteo ci ascoltava impaziente quanto me.

    «Crede che non lo sappia? Io quella famiglia la conoscevo, quella d-o-n-n-a la conoscevo, o almeno credevo.» disse amaramente. «Le prometto che saprete per tempo quando ci sarà la conferenza stampa.» E mi congedò chiudendo la finestra.

    Mi voltai dal mio operatore: «Torniamo in ufficio, Marini sarà furioso.

    CAPITOLO III

    «Quindi non sapete neanche quando rilasceranno qualche dichiarazione?» Marini era in piedi e girava nervosamente per la sua stanza.

    Io e Matteo gli avevamo spiegato quanto era accaduto.

    «Se vuole, nel frattempo possiamo andare a intervistare la famiglia di lui o qualcuno della sua impresa...» propose Matteo.

    «Ho già provato a chiamare, come sapete li conosco piuttosto bene, ma per ora non rilasciano interviste e sono barricati in casa. Stesse disposizioni per il personale di servizio e gli uomini della società edile dei Grassi.»

    «Cosa crede che sia successo?» gli chiesi cercando di capire cosa ne pensava veramente.

    «Non lo so, erano una bella coppia, una coppia felice.» ripeté amaramente.

    Non mi sembravano parole sue, mi sembravano superficiali pronunciate dalla sua bocca. «Non sa se avevano dei problemi?» osai chiedere.

    «Tutte le coppie hanno dei problemi, ragazza, ma non si ammazzano.» commentò infastidito.

    «Senta,» continuai senza mollare il colpo, avvicinandomi alla scrivania «io l’ho conosciuta quella donna e tutto mi è sembrata fuorché un’assassina.»

    La mia frase sottintendeva che quel ragazzo che lui tanto decantava non doveva essere proprio lo stinco di santo che tutti pensavano.

    «A cosa vuoi arrivare?» mi chiese appoggiando le mani sulla scrivania.

    «Alle solite cose...» dissi semplicemente.

    «No, no, non era proprio il tipo.» rispose lui dissentendo categoricamente.

    «Perché, c’è un tipo?» chiesi sgomenta. «Quante volte abbiamo assistito a casi in cui il colpevole era la persona più insospettabile di questo mondo?»

    «La stessa cosa allora potremmo dire di lei, che peraltro l’ha ucciso.» mi disse rivoltandomi la frittata.

    «Lo conosceva così bene da mettere la mano sul fuoco sul fatto che non picchiasse la moglie o le facesse altro?»

    «E tu conoscevi così bene quella donna da asserire con certezza assoluta che l’ha ucciso perché la picchiava?»

    In questo modo non saremmo andati da nessuna parte, sapevamo troppo poco ed eravamo pieni di preconcetti.

    Poi continuò attaccando la donna. «Qualcuno l’ha mai vista con lividi o ecchimosi? È mai finita in ospedale? L’ha mai denunciato?» Notai che si stava alterando.

    «Non mi risulta, ma indagheremo.» risposi senza mollare.

    «Anna, non puoi accusare qualcuno e rovinare la sua reputazione perché in questi ultimi periodi le cronache sono piene di femminicidi.» mi rimproverò.

    Non risposi.

    «Neanch’io mi sarei mai aspettato una cosa simile da Roberta Grassi, ma l’ha fatto, ha ucciso il marito.» ribadì alzando la voce.

    «E qualsiasi cosa scriverai sul tuo articolo porterà i lettori a pensare una cosa o l’altra, l’ago della bilancia lo muoviamo noi. Quella famiglia sta già soffrendo abbastanza per il grave lutto, senza bisogno che infanghiamo il loro nome senza uno straccio di prova.» Era fermo nel volermi far capire quello che avrei dovuto scrivere nel mio maledetto articolo.

    Continuò inarrestabile: «Anzi, di lui sappiamo che era una persona molto generosa, che aiutava il prossimo, e non solo con denaro, ma anche facendo del volontariato, di lei cosa sappiamo? Magari aveva un amante e lui l’ha scoperta, così si è liberata goffamente del marito, magari hanno avuto una lite per soldi. Tutto può essere.»

    Non riuscii a trattenermi. «Per poi chiamare la Polizia e autodenunciarsi? Non mi sembra molto furbo.» commentai.

    «Ah, no? Sai quanto sconto di pena hai se sei reo confesso?» sbottò.

    Mi misi le mani sulla fronte in segno di resa, era evidente che tifavamo per le squadre opposte. Continuavo a credere che la signora Grassi non avesse potuto ordire l’omicidio del marito, non mi sembrava proprio il tipo, ma non potevo continuare quel botta e risposta, quindi, per chiudere la questione gli chiesi cosa voleva che facessimo. Volevo uscire da quella stanza, ero snervata e furiosa.

    «Per ora tenetevi aggiornati costantemente con i Carabinieri e aspettiamo questa dannata dichiarazione, poi vedremo il da farsi.»

    «Ok.» risposi sconfitta.

    Ci congedammo e mi richiamò indietro. «Anna, in ogni caso il tuo articolo sarà generico, ti atterrai ai fatti senza lasciar intendere nient’altro. Ci siamo capiti?» Aspettò una mia conferma, che dovette arrivare per forza. «Se sarà il caso, usciremo con un approfondimento nei prossimi giorni.» sentenziò prima di lasciarmi andare.

    Quella dannata giornata mi sembrava partita male. Andai verso la mia scrivania dove mi aspettava Monica, la collega più odiosa della redazione.

    «Oh, oh, l’abbiamo sentito urlare fino a qui, l’avevo detto a Marini che avrebbe dovuto assegnarlo a me questo articolo. Comunque se non sei in grado di scriverlo, fammelo sapere, io sono disponibile a seguire le direttive.»

    Non feci in tempo a risponderle che Matteo ci pensò al posto mio. «Fuori dalle palle, strega!»

    «Oh guarda, il prode salvatore gay, siete proprio una bella coppia.» rise sarcastica allontanandosi.

    «Lasciala perdere.» mi disse Teo sorridendomi.

    «Ti rode, vero?» dissi alzandomi per farmi sentire.

    «Cosa?» chiese Monica girandosi con una grinta che se avesse potuto prendere vita, sarebbe stato un mostro abominevole.

    «Oh, niente, cara Monica, solo...» dissi lasciando una pausa a effetto. «Forse che tutti i servizi più importanti vengano assegnati alla strana coppia.» Nessuno poteva permettersi di offenderci, tantomeno in quel giorno in cui sputavo veleno.

    «Stronza!» si lasciò scappare a denti stretti.

    «Guarda che ti abbiamo sentita tutti.» dissi indifferente con un sorriso beffardo disegnato sul mio bel visino da schiaffi.

    «È solo perché Marini...»

    Non riuscì a finire la frase che il grande capo uscì dal suo ufficio con i nervi a fior di pelle. «Che cosa succede qui?» sbraitò furente.

    Silenzio assoluto.

    Squadrò tutta la redazione, nessuno escluso. «Non avete niente da fare? Dobbiamo far uscire un giornale.»

    Tutti si rimisero a lavorare a testa bassa, guardando il proprio PC e schiacciando tasti, magari alla rinfusa, pur di far vedere che stavano lavorando.

    Generalmente in redazione il clima era sereno, ma in qualsiasi posto di lavoro c’è qualche mela marcia che mette zizzania, e Monica era la nostra. Ce l’aveva con me da sempre, non ci eravamo mai prese, forse perché appena arrivata Marini mi aveva affidato casi importanti che secondo lei le spettavano per anzianità. Lui invece asseriva, come le aveva detto più di una volta, che il mio modo di scrivere era fresco, pulito, diretto e che portava una ventata di novità e giovinezza in redazione. Non le aveva fatto per niente piacere sentire quelle parole,

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