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8 e un quarto: La storia irresistibile del telepanettone che perfino Fellini avrebbe voluto dirigere
8 e un quarto: La storia irresistibile del telepanettone che perfino Fellini avrebbe voluto dirigere
8 e un quarto: La storia irresistibile del telepanettone che perfino Fellini avrebbe voluto dirigere
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8 e un quarto: La storia irresistibile del telepanettone che perfino Fellini avrebbe voluto dirigere

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About this ebook

Cinecittà. Dopo il fiasco di una fiction impegnata, al regista Flavio Miraglia è concessa l’opportunità di rifarsi. Dovrà dirigere il telepanettone ’O Vesuvio ’nnammurato. Baci e camorra all’ombra del vulcano.
Per Miraglia e la sua troupe comincia la rincorsa al Telegatto: tra attori alle prime armi e primedonne raccomandate; produttori a caccia di marchette e senatori che s’improvvisano talent scout; grotteschi effetti speciali e aspirazioni neorealistiche, e una sola granitica certezza: la sceneggiatura firmata da Libero Magri.
LanguageItaliano
Release dateMay 15, 2023
ISBN9788832783490
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    8 e un quarto - Paquito Catanzaro

    logogufo

    Dieci

    La selezione di narrativa italiana di Homo Scrivens.

    Dieci volumi ogni anno, con le prime 50 copie numerate a mano.

    Homo Scrivens

    Direttore di collana: Aldo Putignano

    Editing: Aldo Putignano

    Revisione: Donatella De Tora

    Copertina: Ugo Ciaccio

    Autori: Paquito Catanzaro

    Titolo: Otto e un quarto

    La storia irresistibile del telepanettone che perfino Fellini avrebbe voluto dirigere

    ISBN 9788832783490

    I edizione Homo Scrivens, marzo 2019

    Edizione digitale, maggio 2023

    ©2016 Homo Scrivens s.r.l.

    via Santa Maria della Libera, 42

    80127 Napoli

    www.homoscrivens.it

    Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile del 1941, n. 633)

    Paquito Catanzaro

    Otto e un quarto

    La storia irresistibile del telepanettone che perfino Fellini avrebbe voluto dirigere

    logofrontespizio

    A Carla,

    cui avevo promesso una storia a lieto fine.

    1.

    Flavio Miraglia emise un sospiro profondo continuando a fissare l’orologio alla parete. La poltrona in similpelle sulla quale era seduto si era rivelata più scomoda del previsto: nonostante avesse portato il busto in avanti, accavallato le gambe e spostato il peso prima a destra poi nella direzione opposta, proprio non riusciva a trovare una posizione che lo soddisfacesse.

    Tutto quel movimento aveva attirato l’attenzione della segretaria che, più di una volta, gli aveva lanciato occhiate infastidite. Lo strusciare del corpo sul tessuto sintetico, infatti, generava un rumore alquanto molesto che, con frequenza, la deconcentrava dalla sua principale occupazione: scrivere un messaggio su WhatsApp al fidanzato. La giovane, imprecando silenziosamente, stava provando a chiedere scusa al partner, ammettendo di aver passato la serata in discoteca con le amiche e di essersi lasciata andare (mi sono lasciata andare aveva digitato e poi inviato, non ho fatto la zoccola come hai urlato tu davanti a tutti aveva poi aggiunto, cliccando di nuovo INVIA). Adesso stava tentando di spiegargli che tutto quello strusciarsi, quel dimenarsi alla maniera di una moderna baccante era stato fatto al solo scopo di non lasciare sola la sua migliore amica Margherita, appena tornata single e, quindi, desiderosa di darsi alla pazza gioia almeno per una sera.

    L’intento, già di per sé complicato (ricordava, la giovane, di essere diplomata in ragioneria e non laureata in lettere), era reso ancor più complicato dai rumori di fondo che le impedivano di concentrarsi.

    Maledetto imbecille disse tra sé la ragazza, rivolgendo all’uomo l’ennesima occhiataccia. Dannata poltrona col meteorismo imprecò tra sé l’uomo, scuotendo il capo.

    Un rumore assai simile ai precedenti, tuttavia d’intensità maggiore, catturò l’attenzione di entrambi. Flavio sollevò le mani come a voler discolparsi. La ragazza si guardò intorno, individuando la natura del suono: l’interfono si era appena illuminato. Pigiò il bottone e restò in ascolto.

    «Marika» disse una voce maschile con tono pacato ma deciso «faccia accomodare Miraglia».

    «Va bene, dottore» rispose la giovane con voce delicata, accennando un sorriso. Sollevando lo sguardo verso il suo interlocutore, cambiò espressione e gli comunicò con tono freddo: «Può entrare».

    L’uomo si alzò e, allertato dal repentino cambio d’umore della ragazza, si avviò verso la porta. Rivolse appena un ultimo sguardo alla segretaria che, intanto, aveva ripreso a scrivere.

    Entrato nell’ufficio del produttore Claudio Maria Brambati, Flavio Miraglia si guardò intorno: due enormi librerie, una vetrata con vista sul parco e la scrivania in mogano sulla quale campeggiava una foto incorniciata che ritraeva un giovanissimo Brambati al fianco di Alberto Sordi. Nonostante conoscesse bene quello spazio avvertì un senso di spaesamento. Per la prima volta, infatti, l’invito a presentarsi al cospetto di Brambati non era arrivato attraverso un informale sms dello stesso produttore ma tramite una mail inviata dalla segretaria di produzione.

    Da: segreteria@nbas.it

    A: Flavio Miraglia

    Oggetto: Colloquio direttore

    Gentile Miraglia, il dottor Brambati desidera incontrarla presso il suo ufficio…

    seguivano giorno e orario dell’appuntamento e la richiesta di dare una conferma. Tutta quella formalità non spaventò il regista, tuttavia insinuò in lui il dubbio che la Non badiamo a spese – questo l’assurdo nome che Brambati aveva dato alla sua casa di produzione – avesse subito un periodo di flessione e che a lui sarebbe toccato l’ingrato compito di comunicare alle maestranze tagli agli stipendi o, peggio, al personale.

    «Si accomodi» disse il produttore, con un sorriso che Miraglia trovò rassicurante. I capelli tirati all’indietro, il vestito gessato, gli occhiali specchiati poggiati sulla scrivania, Brambati sembrava appena uscito da un gangster movie da lui stesso prodotto. Aveva pure indicato, con un gesto della mano, due poltrone identiche a quelle sistemate nell’anticamera. Con espressione sconsolata, vi poggiò appena le terga e si preparò a restare immobile per tutta la durata del colloquio.

    Il produttore lo squadrò rimanendo sorpreso da quella postura rigida ma, visto che il tempo era denaro e che il denaro proveniva dalle sue tasche, arrivò subito al dunque: «Da quanto tempo lavora per noi, Miraglia?» chiese afferrando un pacchetto di sigarette e sfilandone una.

    «Otto anni, dottore» rispose l’uomo assicurandosi di non oscillare né di lasciarsi andare a qualsiasi altro movimento.

    Brambati annuì, accendendo una Dunhill rossa. «Quanti progetti le abbiamo affidato in questo periodo?» domandò dopo aver sbuffato via una sottilissima nuvola di fumo.

    «Ho perso il conto, dottore» rispose l’uomo sorridendo. «Spot televisivi» prese a elencare, portando il conto con le dita, «serie tv, quiz, qualche pellicola cinematografica per ragazzi, una commedia sentimentale e» si fermò volutamente cercando di catturare l’attenzione del suo interlocutore «una fiction in cinque puntate».

    «Già» disse Brambati. «La fiction in cinque puntate».

    Miraglia avvertì una leggera nota di sarcasmo nel tono del suo interlocutore. Un velo che oscurò i suoi pensieri, prima che il produttore riprendesse a parlare. «Ti tengo sulla coscienza, mi pare fosse questo il titolo?» chiese aspirando un altro tiro dalla Dunhill.

    «In tutta coscienza» lo corresse bonariamente il regista. «Ricorda, dottor Brambati? È una citazione di Italo Svevo».

    «Italo Svevo» ripeté il produttore, annuendo. La sua espressione era decisamente cambiata. Qualcosa di assai simile a un broncio era comparso sul suo viso. «Ricordo» disse, la voce più bassa di un’ottava «che pronunciò quel nome, Italo Svevo, pure quando mi presentò il progetto. Una riscrittura de La coscienza di Zeno» diede enfasi a quel nome, accentuando il sarcasmo. «Disse proprio così, non è vero?»

    Miraglia si limitò ad annuire imbarazzato.

    «E quando le chiesi: Miraglia è sicuro di questo progetto, cosa mi rispose?»

    «Mi serviranno attori importanti» affermò il regista. Sentì la bocca seccarsi. Una duna del deserto nella quale si inserì Brambati.

    «Costumi d’epoca, scenari ricercati, assistenti, tecnici» aggiunse il produttore, ricordando ogni singola voce di spesa. Calò la mano sulla scrivania e concluse «regia di Flavio Miraglia, che si occuperà pure del soggetto e della sceneggiatura. Stia tranquillo, sarà un successone».

    Schiacciò quel che rimaneva della sigaretta nel posacenere davanti a sé. Miraglia pigolò un poco convinto: «Il prodotto è stato molto apprezzato. Abbiamo ottenuto ottime critiche sui giornali».

    «Giornali coi quali ci potremmo pulire il culo» rispose secco Brambati. Le vene del collo si gonfiarono mentre, dilatando gli occhi, riprese: «Sa quanto mi è costato il suo progetto culturalmente impegnato? Cinque milioni di euro» concluse pronunciando a denti stretti la cifra.

    «In fondo la produzione si chiama Non badiamo a spese» ribatté con un sorriso tirato Miraglia.

    «Cinque milioni di euro» ripeté Brambati, incurante del commento, «investiti nella sua maledetta fiction intellettuale che ha registrato ascolti bassissimi. Siamo arrivati a stento al 7% di share. Durante la terza puntata» sollevò l’indice e lo puntò, con fare accusatorio, contro il regista, «abbiamo fatto meno ascolti di una partita».

    «Sa meglio di me» provò a giustificarsi Miraglia, «che quando gioca la nazionale non c’è evento televisivo che tenga».

    «Era Benevento-Spal di Coppa Italia» tuonò Brambati, in preda all’ira. Miraglia arretrò sulla poltrona generando quell’imbarazzante rumore con cui prima aveva tormentato la segretaria.

    Sudò freddo il regista. Immaginò il proprio futuro lontano dalla televisione. Avrebbe dovuto riciclarsi in teatro, dirigere videoclip di band emergenti o, peggio ancora, avrebbe diretto soltanto cortometraggi senza budget e senza visibilità.

    Brambati sospirò rumorosamente dopodiché, in silenzio, afferrò una cartellina dal tavolo e l’aprì leggendone rapidamente il contenuto.

    «Nonostante il danno economico e di immagine che ha causato a questa produzione» disse tornando a guardare il suo interlocutore «ho deciso di concederle un’ultima chance».

    «Dice sul serio?» chiese Miraglia con tono speranzoso.

    «Dico sul serio» rispose secco l’uomo. «Ho tra le mani» proseguì sventolando la cartellina «un soggetto. Nulla di eccezionale, sia ben chiaro. Anzi piuttosto mediocre ma» aggiunse scandendo «spendibile. Amore e malavita alla base della storia. Argomenti che lei, ne sono convinto, saprebbe trattare bene». Miraglia sorrise per quell’inaspettato complimento, salvo poi tornare serissimo dopo l’occhiata severa del produttore.

    «Baci, abbracci e sparatorie» riassunse rapidamente Brambati che, dopo una rapida occhiata ai fogli dattiloscritti, riprese: «Insomma, un dramma sentimentale che terrà incollati alla poltrona milioni di spettatori. Milioni». Ripeté quel numero affinché al regista fosse chiaro il traguardo minimo da raggiungere. «La storia procederà tra sogni sentimentali e la dura realtà della camorra. In più» si fermò Brambati, osservando un punto indefinito fuori dalla finestra.

    «In più?» chiese Miraglia, in chiara difficoltà nel comprendere quel ragionamento.

    «Una novità» riprese il produttore. «Rappresentata da un elemento finora mai adoperato in questi contesti: l’umorismo».

    «L’umorismo?» chiese Miraglia, ancor più disorientato.

    «Sì» disse con entusiasmo l’imprenditore. «Con questo progetto daremo credito al motto: Una risata vi seppellirà».

    «E quindi?» ormai il regista si esprimeva solo attraverso quesiti.

    «E quindi, caro Miraglia, le sto offrendo la più grande opportunità per farsi perdonare e per cancellare dal proprio curriculum la macchia di Ti tengo sulla coscienza».

    Il regista avrebbe voluto correggere Brambati, ricordandogli il titolo esatto dello sceneggiato. Tuttavia si limitò a chiedergli: «In che modo, dottore?»

    «Dirigendo»

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