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Le nostre prigioni
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Le nostre prigioni

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Sono i primi giorni di febbraio 2020. In Italia si comincia a parlare di una misteriosa malattia, molto contagiosa, proveniente dalla Cina. Il suo nome è "Coronavirus", ma pare non ci sia troppo da preoccuparsi. Le reazioni iniziali sono di tiepida noncuranza. Sembra che l'unica accortezza dovuta sia quella di evitare discriminazioni verso la comunità cinese. Il Paese non sa ancora che sta per cambiare un'epoca. Ci sarà un prima e un dopo Covid-19, proprio come c'è stato un prima e un dopo 11 settembre 2001. Ben presto il morbo cinese fagocita tutte le altre notizie e si trasforma in

un incubo. Gli italiani finiscono agli "arresti domiciliari", sia pure a intermittenza: prima con la scusa del lockdown, poi con quella delle zone rosse, quindi con le regole di distanziamento e di quarantena, infine con l'esilio dai luoghi di lavoro o di socialità per i reprobi riottosi al vaccino. Per due anni l'Italia viene letteralmente "sequestrata" non tanto dal virus in sé, quanto piuttosto dalla folle gestione governativa dell'emergenza e dalla isterica reazione dei media mainstream.Il Covid-19 si trasforma in un pretesto, o in un alibi, per introdurre limitazioni mai viste delle libertà costituzionali e (con l'arrivo dei primi vaccini) per dar vita alla più infame caccia al dissidente (ridefinito "no-vax") dai tempi del maccartismo. In quei primi giorni del febbraio 2020, Francesco Carraro (avvocato, scrittore e giornalista) inizia a tenere un diario. Quasi a ritmo settimanale, mette per iscritto le proprie impressioni di fronte al dipanarsi di una storia dai contorni prima ridicoli, poi tragici e infine angoscianti e grotteschi. Rimessi in ordine e riletti oggi, questi appunti ci restituiscono la dimensione dell'epopea pandemica colta "sul fatto", per così dire, giorno per giorno. Non, dunque, una retrospettiva ragionata e rielaborata ex post, con tutti i limiti e la "freddezza" di questo tipo di operazioni. Semmai, il vero e proprio resoconto a caldo di un cittadino che assiste, sgomento, alla genesi e allo sviluppo di un evento epocale. E che ci restituisce, con sguardo lucido e spietata ironia, ogni singola tappa di quella vera e propria discesa all'inferno che sono state le "nostre" prigioni ai tempi del Covid.
LanguageItaliano
Release dateMay 10, 2023
ISBN9791280657152
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    Le nostre prigioni - Francesco Carraro

    08.02.20 su Scenarieconomici.it

    Siamo agli esordi della pandemia e i politici italiani, soprattutto dell’area governativa, minimizzano a più non posso i rischi accusando di inutili allarmismi, o addirittura di razzismo, chi predica prudenza.

    Il virus dell’incoerenza

    Dev’esserci un virus in giro. Ma non parliamo di quello cinese, anche se ha a che fare con quello cinese. È, piuttosto, un virus italiano che ha prodotto i suoi nefasti effetti soprattutto sulla classe politica nostrana. Il subdolo agente contaminante attacca la logica e la coerenza e, quando è in vena, anche l’etica; così, en passant.

    Il virus agisce in modo simmetricamente inverso rispetto a quelli classici: non passa da un individuo a un altro, e quindi dagli individui ai gruppi, ma dai gruppi agli individui, dai partiti ai loro esponenti di punta e da questi alla manovalanza di base. Chi ne è colpito rinnega, in un lampo, secoli di sviluppo del pensiero razionale (e quindi la logica); dimentica, in un amen, il buon senso e il buon gusto della conformità tra pensiero e azione, tra azione e azione e tra pensiero e pensiero (e quindi la coerenza); ripudia, infine, la necessità di un bagaglio di valori propri, personali e meditati (e quindi l’etica).

    Però, adesso, passiamo agli esempi, che facciamo prima. La classe dirigente attuale ha lanciato l’allarme contro gli allarmismi: è un imperdonabile errore proporre quarantene nei confronti dei bambini di ritorno dalla Cina. Potrebbe scattare la caccia all’untore. Per dire, il Ministro dell’istruzione ha dichiarato: «Insomma, ai bambini dico: andare a scuola è un vostro diritto». E rispetto ai ragazzi di ritorno dalla Cina? «Monitoriamo, senza creare allarmismi». Monitorano, capite? Ma senza allarmismi.

    Il Governo attuale ha assunto una linea d’azione all’avanguardia rispetto all’approccio medievale, oscurantista, virus-fobico di alcuni governatori di regioni del centrodestra i quali vorrebbero una quarantena preventiva per gli scolari a rischio. Bene, parliamo della stessa classe dirigente che solo qualche anno fa redigeva una legge contemplante il divieto dell’ingresso alla scuola dell’obbligo per i ragazzi non ultra-vaccinati (poi ridotto ai bimbi degli asili nido e delle scuole materne), multe di migliaia di euro per le famiglie renitenti e financo il rischio di perdere la potestà genitoriale per i padri e le madri riottosi.

    Ergo, oggi, di fronte a un’emergenza epidemiologica mondiale conclamata (e certificata dall’OMS), prevale il diritto allo studio su ogni altro rischio epidemiologico. Ieri, dinanzi a una emergenza epidemiologica inventata, il diritto allo studio poteva andare a farsi fottere. C’è una tale sproporzione nelle reazioni ai due fenomeni, e una tale enorme discrepanza tra l’atteggiamento tenuto – sul piano della logica e della coerenza – dalla classe dirigente del paese, nel primo e nel secondo caso, da poter essere compresa solo ricorrendo a una spiegazione clinica: dev’esserci in giro un virus tremendo e incognito.

    Ce ne accorgiamo giusto dagli effetti: perché, appunto, saltano per aria la logica e la coerenza; ma anche i valori. In base a quale orizzonte etico si muovono i nostri rappresentanti? Cosa rende giustificabile tutto e il contrario di tutto su uno stesso tema a distanza di pochissimo tempo? Forse la domanda è oziosa perché, a certi livelli, non interessano i valori: valgono solo gli interessi. Una volta, di chi peccava di monumentali incongruenze si diceva che avesse la faccia come il culo. Ora, per colpa del virus, le due cose si fanno addirittura indistinguibili.

    09.02.20 su Scenarieconomici.it

    Muore, ucciso dal Coronavirus, il dottore Li Wenliang, il primo a lanciare l’allarme a fine 2019 per essere poi brutalmente e immediatamente oscurato. Dopo solo un paio di mesi, la macchina della censura cinese vira in senso opposto: guai a chi mette in discussione la gravità del morbo. La scusa delle fake news, come arma di controllo, farà presto proseliti anche in Occidente.

    Dall’ideologia delle fake news alla repressione del dissenso: la Cina è vicina

    È morto il dottore Li Wenliang; stroncato dal Coronavirus. Il che è una vera beffa del destino perché il medico cinese era stato il primo a lanciare l’allarme a fine 2019 ma, come usa dire, il suo grido era caduto nel vuoto. Uno degli aspetti inquietanti della vicenda è proprio il fatto che Wenliang avesse visto giusto. E, ciò nonostante, è stato trattato come se avesse visto sbagliato. Più precisamente, come se avesse veicolato una fake news. E invece aveva ragione. Così tanta ragione da essere ucciso dallo stesso virus che, secondo le autorità, egli aveva inventato.

    All’inizio della vicenda, mentre Wenliang provava a denunciare i rischi ai quattro venti, il Governo lo accusava di seminare vento per raccogliere tempesta. E, sempre il Governo, propalava la notizia falsa secondo cui la malattia era una polmonite qualunque. La chat del povero Li fu oscurata per aver disturbato gravemente l’ordine sociale. Ora, in Cina, il vento è cambiato. Proprio adesso che Wenliang è morto, si scopre che il virus scoperto da Wenliang è più vivo che mai. E allora la tremenda macchina repressiva si mette in moto nel senso contrario. L’Alta Corte di Heilongjiang ha previsto fino a quindici anni di carcere per chi diffonde voci sull’epidemia allo scopo di sovvertire l’ordine costituito.

    Quindi, ricapitolando, in origine abbiamo una notizia vera tacciata come falsa dalle pubbliche autorità. Abbiamo anche un cittadino censurato per aver detto la verità con l’accusa infamante di aver spacciato una menzogna. Poi la stessa notizia, bollata inizialmente come falsa, viene riconosciuta come vera. E l’onesto cittadino perseguitato viene riabilitato giusto in tempo per morire. Alla fine, risuona sinistro, in sottofondo, il tintinnar di manette pronte a scattare intorno ai polsi di chiunque osi diffondere voci. Cioè di chiunque ardisca parlare. È il pugno di ferro di cui solo una dittatura patentata, come quella degli eredi di Mao, può dar prova, direte. Non ne saremmo così sicuri.

    Il modo kafkiano di trattare, in Cina, il tema della verità dei fatti, del diritto di parola e della informazione libera ci riguarda assai da vicino. Perché esattamente lo stesso format, criminale e schizofrenico, sperimenteremo a breve, e sulla nostra pelle, nell’Europa libera. In effetti, ci siamo già dentro per metà. L’ideologia delle "fake, infatti, è un’arma letale e funziona non solo al di qua, ma anche al di là della Grande Muraglia. E le autorità democratiche" del vecchio continente si accingono a usarla senza ritegno, e senza pietà.

    Dobbiamo capire e ficcarci nella zucca, prima che sia troppo tardi, che la sua funzione non è quella buona, e sbandierata, di combattere le notizie false. È, piuttosto, quella cattiva, e sottaciuta, di censurare le opinioni fastidiose. Dopo di che, saranno il caso, e le mutevoli circostanze, a decidere se voi avete espresso una voce consona al coro oppure stonata. E, di regola, l’unico criterio dirimente non sarà la verità, ma la pericolosità (per il Sistema) di ciò che dite. Chiunque ha testa, intesa come cervello, rischierà in ogni momento la fine del povero Dottor Wenliang: la censura, nel migliore dei casi; il gabbio, o la morte, in tutti gli altri. Ma non per mano di un virus.

    22.02.20 su Scenarieconomici.it

    L’iniziale strategia morbida, nella reazione al Virus, fatta di involtini e di abbracci ai cinesi comincia a rivelarsi in tutta la sua stupefacente stupidità.

    Covid vs Pid (Povero Italiano Deficiente): la grande sfida

    Adesso che il Coronavirus siamo finalmente riusciti a importarlo in Italia, adesso che probabilmente il Covid-19 scorrazza libero e bello per le campagne padane e per i distretti industriali lombardi, si risveglia il buon senso latente della classe politica. Adesso che i buoi sono scappati dalla stalla e i virus sono usciti dalla Cina, le nostre massime autorità si accorgono che forse è meglio mettere in quarantena chi, dall’Impero Celeste, arriva o chi, dopo esserci occasionalmente andato, fa ritorno da noi. Adesso, sottolineo. Non prima. Prima era troppo presto.

    Prima hanno dovuto aspettare che la malattia mietesse qualche migliaio di vittime in un mese, che il Partito Comunista cinese mettesse in quarantena una provincia popolosa quanto l’Italia, che l’OMS paventasse una imminente pandemia mondiale. Ma prima non si poteva mica disporre quarantene, sapete. Prima c’era da mettere in sicurezza il PID, il Povero Italiano Deficiente. Il Povero Italiano Deficiente è un morbo dell’intelletto e della coscienza che, qui da noi, anziché essere combattuto e debellato, viene nutrito e coltivato.

    Esso prevede una precisa gerarchia di priorità da rispettare, quando si affronta una emergenza; si badi bene: qualsiasi emergenza, dal Coronavirus all’esodo dei migranti. Primo: non bisogna sembrare razzisti; secondo: non bisogna sembrare fascisti; terzo: non bisogna sembrare leghisti; quarto: bisogna essere deficienti; quinto: bisogna approntare misure razionali e di buon senso contro l’emergenza. Voi capite bene che il tempo per passare dal primo al quinto livello di guardia non è breve. E siccome l’unico step ragionevole è il quinto, ora che ci arriviamo son vuoti sia la stalla di buoi che i laboratori di virus.

    Così, una classe dirigente gravemente afflitta da PID, ha sprecato i quasi due mesi trascorsi dall’inizio dell’allarme mondiale per farsi foto opportunity (con cinesi presi a caso) contro il virus della paura fascioleghista oppure per dileggiare i governatori delle regioni del nord rei di aver proposto quarantene preventive agli alunni a rischio. Adesso ci confrontiamo con l’inevitabile (e prevedibilissima) possibilità di un dilagare dell’epidemia anche da noi. Ma la nostra classe politica è sollevata per aver pagato la propria tassa ai deliri del politicamente corretto.

    Ora – acquietata l’ottusa coscienza del Povero Italiano Deficiente che è in loro – sono finalmente approdati al livello cinque della scala di reazione. E reagiscono: in un modo razionale (cioè con quarantene e cinture sanitarie), ma irrimediabilmente tardivo. Però ci hanno messo in sicurezza contro quella che – a dir loro – è la sola peste bubbonica del nuovo millennio: il razzismo fascioleghista. Questi non temono tanto che noi si muoia (di Covid) ma che noi si muoia fascisti, razzisti, leghisti. A volte un italiano populista dovrebbe chiedersi: ma chi diavolo me lo fa fare di lottare per la sovranità di un paese dove l’epidemia di PID ha già contagiato milioni di persone?

    23.02.20 su Scenarieconomici.it

    Il Governatore PD della Toscana accusa chi propone quarantene per gli arrivi dalla Cina di «scatenare i fascioleghisti».

    Sardine tranquille: non si trasmette ai pesci

    Sta succedendo qualcosa di curioso e inatteso nell’area democratica. Ed è un formidabile cortocircuito tra la Scienza, da un lato, e la Bontà, dall’altro. La sinistra democratica italiana, come noto, non ha bisogno di idee, valori, programmi: tutta roba vecchia e fascista. Si regge, piuttosto, su due comandamenti. Due. Il primo è la venerazione indiscussa per il dogma scientista; il secondo è la priorità assoluta per il politicamente corretto. Quest’ultimo, a sua volta, si traduce nella subordinazione supina a un generico pastone fatto di accoglienza, solidarietà, antifascismo.

    Il primo comandamento evita ai democratici la fatica di ragionare con la propria testa. Per qualsiasi faccenda, non serve far lavorare il cervello perché deputati a far lavorare il cervello sono solo i competenti. Quindi, su ogni problema – dalla salvezza del pianeta alla ricetta per il mascarpone – il democratico nostrano interpella gli scienziati. Allo stesso modo in cui, nell’antica Roma, si interrogavano gli aruspici o gli auguri prima di intraprendere una guerra o una battaglia o altra impresa degna di nota. Il secondo comandamento supplisce quando il primo è impraticabile.

    Se non c’è uno scienziato a portata di mano, o almeno a tiro di schioppo, da poter consultare, allora il democratico nostrano scala una marcia: passa dalla modalità robot alla modalità samaritano. In mancanza di diktat scientifici, egli sgrana la litania dei diktat solidali: bisogna essere sempre (e a prescindere) tolleranti, elastici, aperti, perdonisti, comprensivi; in una parola: buoni. Anche a costo di rinunciare ai diritti, interessi, valori della propria comunità territoriale di riferimento. Adesso, però, è successo l’impensabile. Il primo comandamento è andato in corto scontrandosi con il secondo.

    È successo quando Roberto Burioni, uno dei campioni assoluti del Pantheon scientifico dei democratici, ha suggerito a Enrico Rossi, Governatore della Toscana una cosa ovvia. Una cosa – badate bene – per la quale non serviva uno scienziato, bastava una casalinga di Voghera con la passione per il mascarpone. E cioè: mettere in quarantena, senza se e senza ma, chi torna dalla Cina. A questo punto, l’emisfero con mille sfumature di grigio (spento) dei democratici è in tilt. Burioni è uno scienziato, e dà un suggerimento, e dunque bisognerebbe obbedirgli; non tanto perché sia un suggerimento intelligente (l’intelligenza è una variabile irrilevante nel manuale di sopravvivenza della sinistra democratica italiana) quanto piuttosto perché viene, appunto, da uno scienziato.

    Epperò, nel contempo, c’è il secondo comandamento dei Mosè progressisti che spinge in senso contrario: la Bontà dove la mettiamo? E così, il Governatore della Toscana ha trovato l’ardire di opporsi a Burioni, accusandolo di scatenare i fascioleghisti. Ordinate i popcorn e godetevi lo show. Intanto abbiamo imparato una cosa: nell’universo democratico, c’è un valore che viene persino prima della Scienza (e della salute pubblica, par di capire): ed è la Bontà. A questo punto, attendiamo l’irrinunciabile contributo delle sardine. Le quali pare abbiano solo due certezze in proposito. Primo: il Covid 19 è un virus sovranista come dimostra il suo nome (Corona), simbolo supremo di sovranità. Secondo: niente paura, non si trasmette ai pesci.

    29.02.20 su Scenarieconomici.it

    Cominciano le prime avvisaglie di quello che diventerà un vero e proprio must dell’epopea vaccinale: l’idolatria per la cosiddetta Scienza che ci salverà dal virus e da ogni male, proprio come la Fede nelle teocrazie medioevali.

    La scienza ci salverà, ma chi ci salverà dalla scienza?

    Abbiamo appreso, con grata commozione, del nuovo libro del Professor Burioni il cui titolo suona così: Virus, la grande sfida – dal coronavirus alla peste: come la scienza può salvare l’umanità. È più forte di me, sapete. Quando qualcuno mi annuncia la salvezza, non riesco a trattenere le lacrime. Mi succedeva fin da piccolo se davano in tv qualche episodio di Superman o dei Magnifici 4 e, immancabilmente, il mondo veniva salvato (da Superman o dai Magnifici 4, è sottinteso) prosciugandomi le ghiandole oculari.

    Poi ho cominciato ad appassionarmi a western e fantascienza, e giù a piangere di gioia nel vedere la nuova frontiera soccorsa dai soldati blu contro gli infidi pellerossa, o la terra salvata dai marines contro i subdoli marziani. Poca roba, eh: pellerossa e marziani al Coronavirus gli fanno una pippa, si sa. Ma poi, in effetti, la salvezza arrivava spesso proprio da scienziati che a volte, addirittura, si immolavano per l’umanità. Tu perdevi qualche scienziato, ma ti veniva risparmiata la vita. Da metterci la firma, anche adesso.

    Comunque, lo confesso, ho pianto allora, di infantile entusiasmo, e piango ora, di matura gratitudine, nell’apprendere che la Scienza ci salverà. Però, però. Però confesso anche un dubbio malandrino: esaurite le lacrime, mi ha colto una virale inquietudine e un diavoletto ha suggerito il nome di un bel po’ di scienziati i quali, fossero vivi, avrebbero avuto di che obbiettare sulla scienza che ci salverà, eccetera eccetera. Parlo degli innumerevoli dottor Stranamore responsabili di milioni di scientifiche nefandezze.

    Tipo, così a caso, il creatore del Talidomide, gli ideatori della bomba atomica, i brevettatori di apparecchi con radiazioni ionizzanti, l’inventore della dinamite; il quale ultimo si chiamava Alfred Nobel e – giusto per farsi perdonare la propria letale trovata – istituì il Premio che porta il suo nome. Tutti costoro erano scienziati, anzi grandissimi scienziati. E ciascuno di essi ha dato il suo piccolo o grande contributo a guerre, omicidi, malattie, devastazioni, mutilazioni e quant’altro di peggio possa venirvi in mente. Significa che la scienza è cattiva? Giammai. Ma significa, senz’altro, che Scienza non fa rima con Bene, e tantomeno con Salvezza.

    Se dalla scienza può venirci qualche speranza di salvarci (qualunque cosa intendano gli attuali scienziati missionari della salvezza universale), dalla stessa scienza possono scaturire anche innumerevoli motivi di disperazione. Dobbiamo ribellarci a tutti i costi, e con ogni mezzo, all’equazione mediatica: Superscience = Superman. Per riuscirci, basterebbe rispolverare uno dei più grandi filosofi (epistemologi) di fine Novecento, Paul Feyerabend. Ma Feyerabend – molti nostri scienziati – pensano sia un centravanti del Manchester City.

    In realtà, costui è l’autore di questo immortale epigramma che andrebbe scolpito, a lettere d’oro, sul frontespizio di tutti i secolari templi scientisti: «I moderni dottori scientifici sono come dittatori fascisti che impongono le loro idee di salute e di malattia con il pretesto di una terapia che, nella maggior parte dei casi, è un esercizio di futilità». La morale, alla fine, è semplicissima: se la scienza ha la pretesa di salvarci, chi ci salverà dalla scienza e dagli scienziati? Solo la politica, la democrazia, il diritto e la morale. Tutte materie che, per troppi scienziati, valgono quanto l’ora di ginnastica o di religione. Ma forse hanno ragione loro: non sono abbastanza scientifiche.

    07.03.20 su Scenarieconomici.it

    La magistratura si è segnalata, quasi sempre, durante l’epopea pandemica come uno strenuo baluardo dell’approccio rigorista e della legittimità di misure palesemente incostituzionali. Eppure, quando già si parlava di epidemia conclamata, l’aria nelle aule dei palazzi di giustizia era, letteralmente, irrespirabile.

    Io, avvocato, ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare

    Io avvocato, ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare. Ne sono successe, negli ultimi giorni, di tali e di tante da far impallidire persino le navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, o i raggi B balenanti nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. Per dire, ho visto – nel pieno di una crisi sanitaria conclamata – un Ministro della Giustizia concentrarsi sul problema della prescrizione. E ho visto, nell’angusto corridoio-cunicolo (privo di finestre) di una Corte d’Appello, decine di avvocati ammassati in attesa di poter accedere all’aula di udienza mentre un cancelliere con mascherina, all’interno, li attendeva al varco.

    E ho visto colleghi accampati come profughi dolenti sulle scale di accesso al corridoio nel tentativo di proteggersi, più che dal virus, da chi non trovava tempo né voglia di proteggerli dal virus. Ho visto disposizioni surreali affisse fuori dalle medesime aule, tipo lo scaglionamento delle udienze a blocchi di venti a distanza di mezz’ora. E poi ho visto, finalmente, l’Organismo congressuale dell’avvocatura proclamare l’astensione dalle udienze per due settimane.

    Ma ho anche visto la reazione gagliarda della magistratura: guai a chi arretra! O udienze o morte! Anzi: o Firenze, o morte! Ho, infatti, visto la delibera del Tribunale di Firenze dove si legge che la decisione della classe forense «non appare costituire un motivo legittimante gli avvocati a disertare le udienze» giacché non spetta agli avvocati decidere se «sussistano gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori». Il tutto mentre il Paese è diviso in zone rosse e gialle, le scuole e le università sono sospese, gli scienziati raccomandano di evitare i contatti stretti e prolungati.

    Ma ho visto, anzi ho capito, che c’è evidentemente chi non vede, o non capisce, le notizie dei notiziari. E ho altresì visto, e ho capito, che Firenze ha recepito solo il soprastante indirizzo dei Presidenti di Corte d’Appello i quali, riunitisi in videoconferenza (a prova di virus), hanno deliberato di negare agli avvocati il diritto di astenersi dalle udienze e di non considerare legittimo il loro impedimento. Ma poi ho visto, ho letto, che innumerevoli uffici giudiziari – in attesa che il Governo occupasse il posto vacante al Ministero della Giustizia – hanno deciso autonomamente di bloccare i processi per un mese.

    E ho visto, e ho saputo, del moltiplicarsi di separate iniziative di giudici

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