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Travel Security Management: La sicurezza del lavoratore all’estero e la responsabilità del datore di lavoro
Travel Security Management: La sicurezza del lavoratore all’estero e la responsabilità del datore di lavoro
Travel Security Management: La sicurezza del lavoratore all’estero e la responsabilità del datore di lavoro
Ebook167 pages2 hours

Travel Security Management: La sicurezza del lavoratore all’estero e la responsabilità del datore di lavoro

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La tutela della salute e della sicurezza di chi opera in territori ad alto rischio, in territori di crisi e di conflitto caratterizzati dalla presenza di gruppi terroristici e di una criminalità diffusa e aggressiva, diventa un'esigenza imperante, soprattutto considerando i sempre più numerosi episodi che hanno visto vittime i lavoratori italiani espatriati, in distacco o in missione. Le aziende hanno la necessità di allargare i propri mercati e di internazionalizzarsi, cosicché devono inviare di sovente lavoratori all'estero e gestire la loro salute e la loro sicurezza, trovandosi obbligate ad ottemperare a una maggiore tutela dei propri lavoratori anche e soprattutto in ambito di Security. Il duty of care, ovvero dovere di diligenza, a carico del datore di lavoro ha lo scopo di migliorare notevolmente il modo in cui i dipendenti si auto-rapportano con l'azienda stessa, il supporto di un professionista esterno può essere per l'Impresa la soluzione ottimale per ottimizzare costi ed efficienza dei protocolli dovuti.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 8, 2023
ISBN9791221468052
Travel Security Management: La sicurezza del lavoratore all’estero e la responsabilità del datore di lavoro

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    Travel Security Management - Mario Carotenuto

    1

    1 LE FONTI NORMATIVE A TUTELA DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA DEI LUOGHI DI LAVORO

    1 a) Le principali fonti internazionali

    La Convenzione n. 190/2019 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro¹ si applica alla violenza e alle molestie nel mondo del lavoro che si verifichino in occasione di lavoro, in connessione con il lavoro o che scaturiscano dal lavoro, compresi gli spostamenti per recarsi al lavoro e per il rientro dal lavoro (art. 3). La Convenzione definisce violenza e molestie l’insieme di comportamenti, pratiche o minacce che mirano a provocare o sono suscettibili di provocare danni fisici, psicologici, sessuali o economici. Essa richiede agli Stati membri di adoperarsi per assicurare la tolleranza zero nel mondo del lavoro. È previsto che ciascun Stato membro si debba impegnare ad adottare leggi, regolamenti e politiche idonei a garantire il diritto alla parità e alla non discriminazione in materia di impiego e professione per i lavoratori e per altri soggetti appartenenti a uno o più gruppi vulnerabili o a gruppi in situazioni di vulnerabilità che risultino sproporzionatamente colpiti da violenza e molestie nel mondo del lavoro.

    La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000) sancisce che

    «ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose» (art.

    31, para. 1). Il paragrafo si basa sulla direttiva 89/391/CEE del Consiglio concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro². La direttiva stabilisce, altresì, che il datore di lavoro è obbligato a garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi con il lavoro. Qualora poi un datore di lavoro ricorra a competenze (persone o servizi) esterne all’impresa e/o allo stabilimento, egli non è per questo liberato dalle proprie responsabilità in materia (art. 5).

    La normativa e le politiche europee in materia di salute e sicurezza sul lavoro sono diverse, sebbene in Europa non esista ancora una legislazione specifica sui rischi psicosociali. Da menzionare è l’Accordo Quadro Europeo sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro causate da terzi (2007), che regolamenta la prevenzione e la gestione delle molestie e della violenza nei luoghi di lavoro e sancisce il dovere dei datori di lavoro di adottare una politica di tolleranza zero nei confronti della violenza, promuovendo procedure per prevenire e gestire i casi di molestie e di violenza.

    1 b) Le fonti nazionali

    La Carta costituzionale italiana (1948) tutela la salute sia come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, sia come limite al libero esercizio dell’iniziativa economica privata, i cui fondamenti sono definiti dagli artt. 32 e 41. Recita infatti il primo articolo che «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività [...]», mentre il secondo che «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana [...]». L’art. 32 in combinato disposto con l’art. 41, obbliga quindi lo Stato a promuovere idonee iniziative e ad adottare specifici comportamenti al fine di migliorare la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Nella «gerarchia dei valori fondamentali, la dignità e la salute del lavoratore sono anteposti al profitto, dovendo, dunque, l’azienda identificare tutte le regole cautelari suggerite dal rischio effettivo o potenziale, senza arrestarsi al semplice rispetto delle disposizioni vigenti»³.

    Il Codice Civile all’art. 2087 (Tutela delle condizioni di lavoro), norma cardine in materia di sicurezza sul lavoro, recita che «L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».

    L’art. 2087 c.c. ha un contenuto precettivo: «il datore di lavoro, nell’esercizio dell’attività d’impresa, ossia nell’esercizio dell’attività di produzione o di scambio di beni e servizi, deve tutelare il prestatore di lavoro tanto in relazione alla sua integrità fisica quanto alla sua personalità morale, predisponendo tutte le misure, i mezzi e gli accorgimenti idonei ad evitare il verificarsi di eventi pregiudizievoli. I criteri in base ai quali tali misure si rendono necessarie sono: la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica»⁴.

    Da quanto sopra, si può quindi affermare che il legislatore intende «anticipare e colmare positivamente ogni situazione di rischio»⁵. Nell’attività professionale il datore di lavoro deve pertanto porre una particolare diligenza nell’adottare tutte le misure necessarie a tutelare i lavoratori in Italia e all’estero. Si può chiaramente affermare che «l’imprenditore risulta quindi garante in senso lato dell’integrità fisica dei prestatori di lavoro»⁶.

    Il datore di lavoro è quindi soggetto a un obbligo preciso e puntuale: tenersi aggiornato; acquisire le esperienze di aziende similari; individuare caso per caso, secondo le particolarità del lavoro, le esperienze e la tecnica, le misure da adottare in concreto; così da garantire al lavoratore una protezione che inglobi misure non estemporanee, bensì sperimentate e soprattutto individuabili senza incertezze, perché acquisite in quel determinato ambiente o settore.

    La genericità dell’obbligo di sicurezza disposto dall’art. 2087 c.c. ha presto evidenziato la necessità di integrare il quadro normativo con disposizioni più specifiche e più tecniche. Cosicché, a seguito della Legge n. 51/1955 (Delega al Potere esecutivo ad emanare norme generali e speciali in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro) furono emanati diversi provvedimenti di carattere generale e speciale negli anni 1955 e 1956.

    Solo con il Decreto Legislativo n. 626/1994 (e successive modificazioni e integrazioni), che recepiva ben 18 direttive comunitarie (vincolanti per uno Stato membro), fu introdotta la logica dell’anticipazione dei rischi e della prevenzione degli infortuni che diede una forma organica alla materia. Recitava infatti l’art. 4 (Obblighi del datore di lavoro) che «Il datore di lavoro è tenuto all’osservanza delle misure generali di tutela previste dall’art. 3 e, in relazione alla natura dell’attività dell’azienda ovvero dell’unita’’ produttiva, deve valutare, nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti i gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari [...]». Il legislatore non definiva quindi in modo preciso quali fossero i rischi che il datore di lavoro avrebbe dovuto valutare, cosicché, per quanto concerne il rischio criminoso, ci vollero diverse importanti sentenze dell’Autorità

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