Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Il Trapezista Comunista
Il Trapezista Comunista
Il Trapezista Comunista
Ebook523 pages6 hours

Il Trapezista Comunista

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

"Il Trapezista Comunista - Uno stravagante italiano in Nuova Zelanda" è un breve romanzo storico facente parte della collana di libri dell'autore chiamata "Racconti tra Italia e Nuova Zelanda". La base del libro è costituita dalla storia vera di una persona che, anche se nato in Francia, si sentiva italiana, lavorò in un circo italiano come trapezista ricevitore e girò il mondo per poi rimanere in Nuova Zelanda, dove si fece una famiglia, fino alla morte. Come nei suoi altri libri lo scrittore ha colto l'opportunità di narrare vari eventi della storia sia della Nuova Zelanda che dell'Italia, nonché presentare al lettore qualche paragone tra i due Paesi e, come sempre, estendere lo scritto con idee fiction, plausibili, collegate alla storia principale e comprese tra il risorgimento e la seconda guerra mondiale. La mente del lettore di questo romanzo storico verrà portata non solo nella Nuova Zelanda e nell'Italia, ma anche in altri luoghi del mondo come il Sud Africa, il Botswuana e Port Sudan (nell'attuale Sudan).

LanguageItaliano
Release dateApr 20, 2023
ISBN9798215437872
Il Trapezista Comunista

Read more from Giuseppe Gallina

Related to Il Trapezista Comunista

Related ebooks

Historical Fiction For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for Il Trapezista Comunista

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Il Trapezista Comunista - Giuseppe Gallina

    IL TRAPEZISTA COMUNISTA

    Uno Stravagante Italiano in Nuova Zelanda

    Prima Edizione 2023

    Giuseppe Gallina

    Smashwords Editors

    Copyright © 2023 Giuseppe Gallina

    All Rights Reserved - Tutti i diritti sono riservati

    Indice

    Frontespizio

    Licenza d’uso

    Giuseppe Gallina

    Dedica

    Ringraziamenti

    Gli altri libri dell’autore

    Prefazione

    Nota previa

    IL TRAPEZISTA COMUNISTA

    Titoli dei capitoli

    Citazione

    Note

    Licenza d’uso

    Questo ebook è concesso in uso per l’intrattenimento personale.

    Questo ebook non può essere rivenduto o ceduto ad altre persone.

    Se si desidera condividere questo ebook con un’altra persona, si deve acquistare una copia aggiuntiva per ogni destinatario.

    Se state leggendo questo ebook e non lo avete acquistato per il vostro unico utilizzo, siete pregati di acquistare la propria copia.

    Grazie per il rispetto al lavoro di questo autore.

    Giuseppe Gallina

    Giuseppa Gallina è nato a Lugo, a volte erroneamente chiamata Lugo di Romagna (in provincia di Ravenna, nella Romagna Nord-Occidentale, Italia), nel 1963.

    Durante gli studi universitari ha lavorato come perito agrario nel settore della zootecnia e, dopo avere conseguito la Laurea in Agraria presso l’Università di Bologna, ha continuato la sua opera nel settore zootecnico come consulente.

    Nel 1993 si è trasferito in Nuova Zelanda, un piccolo arcipelago insistente nell’Oceano Pacifico meridionale, dove tuttora vive e lavora ad Auckland, la città più grande del Paese situata nella parte settentrionale dell’Isola del Nord.

    Per molti anni ha professato, usando la lingua italiana, nei settori: turistico, come guida turistica; linguistico, come traduttore ed interprete; e didattico, come insegnante in corsi serali di italiano, di storia italiana moderna e contemporanea e di turismo in Italia.

    Successivamente ha lavorato per tre anni come support worker a sostegno di persone affette da moderato livello di schizofrenia, per poi decidere di ritornare docente conseguendo il diploma di insegnante di inglese come seconda lingua per studenti stranieri, professione che tuttora svolge.

    Oramai da decenni Giuseppe ama ferrasi sulla storia, principalmente, ma non esclusivamente, dell’Italia e della Nuova Zelanda, nonché, da qualche anno, ha iniziato a cimentarsi anche nello studio della storia dell’arte italiana. Ottiene tutte le sue conoscenze storiche sempre e solo studiando i dati pubblicati da quei ricercatori storici che, a loro volta, hanno studiato le prove documentali al riguardo di specifici fatti.

    A torto o a ragione si considera essere un serio scolaro di storia.

    Lo scrittore, che si autodefinisce il romagnolo in Nuova Zelanda, viene invitato a conferenze al riguardo della storia italiana, a volte legata a quella neozelandese, tenute in biblioteche, club privati e durante festival.

    Giuseppe può essere contattato al seguente indirizzo email: giuggiola@xtra.co.nz.

    L’autore dedica

    Il Trapezista Comunista

    a tutti coloro che, in buona fede,

    videro nel Marxismo la soluzione dei mali del mondo.

    Ringraziamenti

    L’autore è riconoscente a: George Dibley, un amico di Auckland, per il suo continuo ausilio nella ricerca dei dati storici; Mauro Bovoli, un amico di famiglia, per aver accettato di leggere criticamente lo scritto prima della sua pubblicazione; Paride Mainardi, vecchio amico di un suo vecchio amico lughese, per il suo sempre presente supporto su come migliorare l’utilizzo del computer.

    Gli altri libri dell’autore

    Intrigo Internazionale

    Tainui a Trieste

    Un Prete Protestante in Romagna?

    Una Campana Suona nel Sud!

    Senza l’Euro e Senza l’Inquinamento

    Friulistan

    (tutti i volumi sono facenti parte della collana intitolata Racconti tra Italia e Nuova Zelanda)

    Prefazione

    Tempo fa George Dibley disse all’autore di aver trovato alcune informazioni al riguardo di un trapezista italiano che lavorava per un circo e che si trasferì in Nuova Zelanda, e che lui aveva conosciuto una delle sue figlie (quella che si iscrisse al partito comunista neozelandese).

    La successiva e più approfondita ricerca storica effettuata dallo scrittore (come sempre il suo amico George trova le prime informazioni e lui le approfondisce) ha evidenziato i dati registrati dall’immigrazione che chiaramente provano che Pietro Dini esistette, lavorò per il Chiarini’s Royal Italian Circus, si trasferì in Nuova Zelanda nei primi anni del secolo scorso, si sposò, ebbe dei figli, visse prima a Dunedin e poi a Christchurch, ecc...

    Altre due fonti, non così importanti come la precedente ma che comunque hanno aiutato non poco l’autore ha stendere il testo del libro, sono: la registrazione di un’intervista che la figlia di Dini, colei descritta nel libro, diede ad una giornalista nel 2001, e ciò che George ricorda della medesima figlia del trapezista (come la foto di Stalin incorniciata ed appesa ad un muro del suo salotto).

    Il Trapezista Comunista è il settimo breve romanzo storico dello scrittore che, come i precedenti, è basato su fatti corroborati da prove documentali nei campi della geografia, dell’edilizia, della storia, dell’antropologia, della religione, dell’attività circense, della politica, della difesa, del sindacalismo, della zoologia, della flora e della fauna neozelandesi, ecc…, e persino, anche se in maniera estremamente semplice ed in misura alquanto succinta, della storia dell’arte italiana e della poesia.

    Come in tutti i suoi libri, anche nel presente scritto la parte romanzata è figlia dei sentimenti dello scrittore, ed è per questo che ogni volume viene di lunghezza diversa e copre una gamma di argomenti più o meno vasta.

    A torto o a ragione l’autore si autodefinisce un amatore della scrittura artigianale di brevi romanzi storici.

    Come sempre ha ampiamente e ragionevolmente romanzato l’evento storico descrivendo i successi circensi di Giuseppe Chiarini e le sue altre importanti attività, incluso quella di agente segreto; la vita, il lavoro nonché i viaggi di Pietro Dini, il principale soggetto del libro; l’esplorazione del Botswana e lo studio della sua fauna e dei suoi indigeni; due città sudafricane; il porto di Port Sudan; un italiano residente in Nuova Zelanda che combatte la prima guerra mondiale nel regio esercito italiano; ed anche lo harem del sultano a Istanbul.

    Sullo sfondo della storia romanzata si vedono, tra l’altro, alla luce del sole, lo sviluppo economico della Nuova Zelanda ma anche i suoi problemi; il sentimento di vicinanza con l’Inghilterra da parte della sua popolazione, ma, ad un certo punto, il desiderio di forgiare il proprio sentimento nazionale neozelandese; la causa comune delle devastazioni del risorgimento italiano e delle guerre maori; la vita di una parte della comunità italiana in quell’arcipelago nel Pacifico meridionale; le straordinarie bellezze storico-artistiche del Bel Paese e la sua infinita cultura; e la necessità dell’Italia di trovare risorse naturali ad essa accessibili.

    Questo breve romanzo storico coniuga avventura, guerra, emozioni, cultura, ecc..., e narra di alcuni avvenimenti storici che coinvolsero italiani e neozelandesi insieme, ciò allo scopo di rinvigorire quel tenue legame esistente tra l’Italia, il Paese natio dello scrittore, e la Nuova Zelanda, la sua nazione d’adozione.

    L’autore segnala la parte storica, realizzata studiando i dati forniti dai ricercatori storici, nelle note in calce, mentre il racconto è sostanzialmente, ma non solo, romanzato.

    Nota previa

    Gli eventuali lettori dei libri dello scrittore facenti parte della collana Racconti tra Italia e Nuova Zelanda, apprenderanno innumerevoli informazioni inerenti una vasta gamma di argomenti al riguardo di quel piccolo arcipelago localizzato nell’Oceano Pacifico meridionale, incluso gli usi ed i costui dei suoi abitanti, e per di più verranno a confrontarsi con eventi storici italiani presumibilmente non a tutti noti.

    IL TRAPEZISTA COMUNISTA

    Uno Stravagante Italiano in Nuova Zelanda

    Titoli dei Capitoli

    Capitolo 01 Una Cocente Delusione

    Capitolo 02 Piemonte

    Capitolo 03 I Natali dell’Arte Occidentale

    Capitolo 04 Das Kapital

    Capitolo 05 Amore a Prima Vista

    Capitolo 06 Il Significato dell’Attività Circense

    Capitolo 07 Il Genio del Circo

    Capitolo 08 007 Senza Licenza d’Uccidere

    Capitolo 09 Collezione di Importanti Dati sul Pianeta Terra

    Capitolo 10 In Aotearoa Prima di Das Kapital

    Capitolo 11 Il Segreto di Ohakune

    Capitolo 12 Un Mondo in Miniatura

    Capitolo 13 Un’Invasione ed una Strage Bibliche

    Capitolo 14 Una Persona Nuova

    Capitolo 15 Un Lavoro da Sballo

    Capitolo 16 L’Anima del Circo

    Capitolo 17 Ad un Passo dal Cielo

    Capitolo 18 Una Mosca Bianca

    Capitolo 19 Ambasciatore Culturale

    Capitolo 20 Chiarini e la Mafia Americana

    Capitolo 21 La Lista della Sabbia

    Capitolo 22 James Bond all’Italiana

    Capitolo 23 L’Oriente nella Vecchia Europa

    Capitolo 24 Dove il Tempo Si È Fermato

    Capitolo 25 La Frontiera Esplosiva

    Capitolo 26 La Smania di Farsi Ricchi

    Capitolo 27 Garibaldi e Manzoni

    Capitolo 28 La Colonia e la Madrepatria

    Capitolo 29 Due Paesi a Confronto

    Capitolo 30 Costruire o Perire!

    Capitolo 31 Il Giardino dell’Eden con l’Inferno all’Interno

    Capitolo 32 Il Sindacalismo

    Capitolo 33 Il Luogo Natale del XX Secolo

    Capitolo 34 L’Ultimo Viaggio

    Capitolo 35 La Politica nel Tendone

    Capitolo 36 L’Uomo Giallo alla Ricerca del Metallo Giallo

    Capitolo 37 Gli Antenati

    Capitolo 38 Il Trattato di Waitangi

    Capitolo 39 Alla Fine del Mondo

    Capitolo 40 Le Cose Cambiano

    Capitolo 41 Attrazione Fatale

    Capitolo 42 Un Pesce Fuor d’Acqua

    Capitolo 43 La Soluzione dei Mali del Mondo

    Capitolo 44 Un Predicatore nel Deserto

    Capitolo 45 Pesce Pacifico

    Capitolo 46 Das Kapital Tra i Pescatori Italiani

    Capitolo 47 Bacche Rosse Velenose!

    Capitolo 48 Se Questa È Vita!

    Capitolo 49 Un Meraviglioso Sistema

    Capitolo 50 Un Paese di Latte

    Capitolo 51 La Prima Volta!

    Capitolo 52 L’impero di Lilliput

    Capitolo 53 La Belle Époque in Capo al Mondo

    Capitolo 54 Kiwi, Non P.O.M.E.!

    Capitolo 55 La Democrazia Prima di Tutto

    Capitolo 56 Gli Italiani e laBelle Époque

    Capitolo 57 Un Italiano all’Esposizione di Christchurch

    Capitolo 58 Il Fronte Interno

    Capitolo 59 Ritorno in Italia

    Capitolo 60 Il Campo Inglese a Faenza

    Capitolo 61 Il Bechuanaland

    Capitolo 62 Samuel O’Really Detto Sam

    Capitolo 63 I Due Eremiti

    Capitolo 64 Un Vero Mistero

    Capitolo 65 Una Teoria Rivoluzionaria nell’Africa Nera?

    Capitolo 66 Conoscere il Mondo, Conoscere la Vita

    Capitolo 67 Una Città Europea

    Capitolo 68 L’Americano!

    Capitolo 69 La Perla Bianca

    Capitolo 70 Dalle Stelle alle Stalle

    Capitolo 71 Il Leone del Deserto

    Capitolo 72 La Terra Promessa

    Capitolo 73 Un Neozelandese nel Bel Paese

    Capitolo 74 Il Comunista e la Guerra

    Capitolo 75 Le Sorprese Non Finiscono Mai

    Capitolo 76 Una Marea di Problemi

    Capitolo 77 La Quadratura del Cerchio

    Capitolo 78 Zio Beppe

    Capitolo 79 Alieni e Nemici Alieni

    Capitolo 80 Il Vizio di Essere Sé Stessi

    "L’invidia di certa gente

    è il prezzo da pagare

    per essere sé stessi"

    Autore sconosciuto

    1

    UNA COCENTE DELUSIONE

    Con la disastrosa sconfitta nella prima guerra d’indipendenza i sentimenti di libertà di un’importante, per quanto minuscala, componente del popolo della Penisola affogarono nel sangue versato dagli irredentisti, i quali già allora credevano nel risorgimento; molti di coloro che anelavano ad obbedire al medesimo governo dalle alpi al Mediterraneo meridionale persero la speranza che fare l’Italia fosse possibile e, mesti e delusi (si erano illusi troppo velocemente), abbandonarono lo Stivale¹.

    Così fecero anche Ermenegildo Dini e Clementina Paressi i genitori del nostro futuro trapezista.

    I due erano di Assisi, avevano sempre vissuto nel centro città e si conoscevano da bambini; Ermenegildo lavorava come cameriere in un ristorante del centro (Assisi ha sempre avuto un grande afflusso di pellegrini), mentre Clementina era una delle commesse in un negozio grande di abiti da uomo e da donna, anche questo situato nel centro cittadino. I due erano risorgimentali ma mai avrebbero voluto che il loro Papa fosse spogliato di tutto il suo potere temporale, per loro il vicario di Cristo rappresentava la sicurezza sulla Terra, e, tra tutto quello che era successo da quel fatidico 20 Marzo 1821², quando era iniziata l’insurrezione ad Alessandria (che diede origine ai moti piemontesi) durante la quale i reparti militari in rivolta avevano issato, sulla cittadella militare, il Tricolore, la prima volta che ciò accadeva in uno degli stati italiani dopo Napoleone, erano stati due i fatti, entrambi abortiti, che più li avevano colpiti:

    - Nel 1840 il Duca di Modena e Reggio Francesco V d’Austria-Este aveva scritto la Confederazione Italica, che si sarebbe dovuta estendere dal Principato di Monaco alla Sicilia e la cui costituzione avrebbe dovuto privilegiare la popolazione nella sua interezza, quindi non basandosi sul censo. Era una dichiarazione d’intenti che il duca fece circolare tra i capi dei vari stati italiani per chiarire se c’era sostegno politico per la formazione di un’unione tra gli stati, cosa che era sostenuta più o meno apertamente sia dal pontefice, che la chiamava Lega Italiana³, che dal clero⁴, composto da decine di migliaia di persone presenti ovunque nella Penisola.

    - L’omicidio di Pellegrino Rossi perpetrato il 15 Novembre 1848 da un mazziniano. Rossi aveva contribuito alla stesura della costituzione federale elvetica che era entra in vigore in quello stesso anno ed era stato invitato a Roma dal Papa per dare il suo apporto alla costituzione che Pio IX avrebbe voluto emanare.

    La frustrazione creata da questi fallimenti, dalla restaurazione post-napoleonica e dalla guerra persa⁵, nonché la fobia alimentata dalla convinzione che i piemontesi⁶ prima o poi marceranno su Roma per comandare sul nostro Papa e portarci via tutto (sono parole dei Dini), spinsero i genitori del futuro comunista a lasciare la terra natia.

    Così nel 1856 scelsero di trasferirsi a Bastia, il capoluogo della Corsica, in quanto gli abitanti dell’isola parlavano comunemente italiano, in città c’era lavoro, l’isola è vicina all’Italia e gli italiani consideravano la Corsica essere Italia più che Francia.

    2

    PIEMONTE

    L’issamento della bandiera tricolore ad Alessandria nel 1821 fu un evento di tale rilievo che il grandissimo poeta Giosuè Carducci nel 1898, quindi a quasi ottanta anni dall’avvenimento, scrisse, per la sua commemorazione, un’ode che intitolò Piemonte e che è compresa nella raccolta poetica Rime e Ritmi.

    L’autore desidera presentare al lettore l’intera poesia:

    Su le dentate scintillanti vette

    salta il camoscio, tuona la valanga

    da’ ghiacci immani rotolando per le

    selve croscianti:

    ma da i silenzi de l’effuso azzurro

    esce nel sole l’aquila, e distende

    in tarde ruote digradanti il nero

    volo solenne.

    Salve, Piemonte! A te con melodia

    mesta da lungi risonante, come

    gli epici canti del tuo popol bravo,

    scendono i fiumi.

    Scendono pieni, rapidi, gagliardi,

    come i tuoi cento battaglioni, e a valle

    cercan le deste a ragionar di gloria

    ville e cittadi:

    la vecchia Aosta di cesaree mura

    ammantellata, che nel varco alpino

    èleva sopra i barbari manieri

    l’arco d’Augusto:

    Ivrea la bella che le rosse torri

    specchia sognando a la cerulea Dora

    nel largo seno, fosca intorno è l’ombra

    di re Arduino:

    Biella tra ’I monte e il verdeggiar de’ piani

    lieta guardante l’ubere convalle,

    ch’armi ed aratri e a l’opera fumanti

    camini ostenta:

    Cuneo possente e pazïente, e al vago

    declivio il dolce Mondoví ridente,

    e l’esultante di castella e vigne

    suol d’Aleramo;

    e da Superga nel festante coro

    de le grandi Alpi la regal Torino

    incoronata di vittoria, ed Asti

    repubblicana.

    Fiera di strage gotica e de l’ira

    di Federico, dal sonante fiume

    ella, o Piemonte, ti donava il carme

    novo d’Alfieri.

    Venne quel grande, come il grande augello

    Ond’ebbe nome, e a l’umile paese

    sopra volando, fulvo, irrequïeto,

    —Italia, Italia—

    egli gridava a’ dissueti orecchi,

    a i pigri cuori, a gli animi giacenti.

    —Italia, Italia—rispondeano l’urne

    d'Arquà e Ravenna:

    e sotto il volo scricchiolaron l’ossa

    sé ricercanti lungo il cimitero

    de la fatal penisola a vestirsi

    d’ira e di ferro.

    — Italia, Italia! — E il popolo de’ morti

    surse cantando a chiedere la guerra;

    e un re a la morte nel pallor del viso

    sacro e nel cuore

    trasse la spada. Oh anno de’ portenti,

    oh primavera de la patria, oh giorni,

    ultimi giorni del fiorente maggio,

    oh trionfante

    suon de la prima italica vittoria

    che mi percosse il cuor fanciullo! Ond’io,

    vate d’Italia a la stagion più bella,

    in grige chiome

    oggi ti canto, o re de’ miei verd’anni,

    re per tant’anni bestemmiato e pianto,

    che via passasti con la spada in pugno

    ed il cilicio

    al cristian petto, italo Amleto. Sotto

    il ferro e il fuoco del Piemonte, sotto

    di Cuneo ’I nerbo e l’impeto d’Aosta

    sparve il nemico.

    Languido il tuon de l’ultimo cannone

    dietro la fuga austrïaca moría:

    il re a cavallo discendeva contra

    il sol cadente:

    a gli accorrenti cavalieri in mezzo,

    di fumo e polve e di vittoria allegri,

    trasse, ed, un foglio dispiegato, disse

    resa Peschiera.

    Oh qual da i petti, memori de gli avi,

    alte ondeggiando le sabaude insegne,

    surse fremente un solo grido: Viva

    il re d’Italia!

    Arse di gloria, rossa nel tramonto.

    I’ampia distesa del lombardo piano;

    palpitò il lago di Virgilio, come

    velo di sposa

    che s’apre al bacio del promesso amore:

    pallido, dritto su l’arcione, immoto,

    gli occhi fissava il re: vedeva l’ombra

    del Trocadero.

    E lo aspettava la brumal Novara

    e a’ tristi errori mèta ultima Oporto.

    Oh sola e cheta in mezzo de’ castagni

    villa del Douro,

    che in faccia il grande Atlantico sonante

    a i lati ha il fiume fresco di camelie,

    e albergò ne la indifferente calma

    tanto dolore!

    Sfaceasi; e nel crepuscolo de i sensi

    tra le due vite al re davanti corse

    una miranda visïon: di Nizza

    il marinaro

    biondo che dal Gianicolo spronava

    contro l’oltraggio gallico: d’intorno

    splendeagli, fiamma di piropo al sole,

    I’italo sangue.

    Su gli occhi spenti scese al re una stilla,

    lenta errò l’ombra d’un sorriso. Allora

    venne da l’alto un vol di spirti, e cinse

    del re la morte.

    Innanzi a tutti, o nobile Piemonte,

    quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria

    diè a l’aure primo il tricolor, Santorre

    di Santarosa.

    E tutti insieme a Dio scortaron l’alma

    di Carl’Alberto. — Eccoti il re, Signore,

    che ne disperse, il re che ne percosse.

    Ora, o Signore,

    Anch’egli è morto, come noi morimmo,

    Dio, per l’Italia. Rendine la patria.

    A i morti, a i vivi, pe ’I fumante sangue

    da tutt’i campi,

    per il dolore che le regge agguaglia

    a le capanne, per la gloria, Dio,

    che fu ne gli anni, pe ’I martirio, Dio,

    che è ne l’ora,

    a quella polve eroïca fremente,

    a questa luce angelica esultante,

    rendi la patria, Dio; rendi l’Italia

    a gl’italiani.

    3

    I NATALI DELL’ARTE OCCIDENTALE

    Visto che i genitori del futuro trapezista comunista venivano da Assisi, l’autore pensa sia doveroso scrivere della travolgente ed impensabile evoluzione dell’arte italiana tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, anche se ciò significa divagare dall’argomento di questo volume, e, per fare ciò, è necessaria una piccola ricapitolazione.

    I Mosaici

    L’epoca dei favolosi mosaici, di matrice romana, si concluse nel periodo cosiddetto tardo-antico, durante il VI secolo (quello sucessivo alla caduta del Romanum Imperium Occidentis, Impero Romano d’Occidente, avvenuta nel Settembre del 476 d.C.).

    Nei secoli V e VI nell’Europa occidentale e nell’area del Mediterraneo esisteva una variegata pluralità di stili di arte mosaica e l’occhio esperto riesce a cogliere, tra gli stupendi mosaici di Ravenna, il principio di quella graduale mutazione che portò l’arte antica a trasformarsi in quella medioevale.

    Il Classicismo e l’Idealismo

    L’invasione bizantina dell’Italia accaduta durante il VI secolo diede inizio ad una trasformazione epocale dell’arte della Penisola che abbandonò, in gran parte, il principio del naturalismo (anche chiamato realismo), cioè la rappresentazione delle cose così come sono, tipico dell’arte classica (quell’arte che si era formata nell’antica Grecia), per abbracciare l’idealismo di stampo bizantino, cioè la rappresentazione delle cose come si vorrebbe che fossero, quindi abbellendole.

    La nuova arte bizantina però non estinse l’arte calssica, la quale continuò a manifestarsi fino a circa il IX secolo.

    Lo Slittamento ed il Linguaggio Figurato Romanzo

    Durante i primi secoli post-romani la gente comune (nelle piazze, lungo le strade, nelle osterie, nei mercati, nei porti, ecc...) parlava un latino⁸ oggi definito volgare, che variava a seconda degli stati dell’attuale Europa occidentale che avevano fatto parte dell’impero romano (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, ecc...) e che condusse alla formazione delle lingue romanze (ladino, inglese, fiammingo, vallone, tedesco, ecc...)⁹.

    Un processo simile avvenne, durante lo stesso periodo, nell’arte figurativa, che spinse l’arte classica a slittare verso forme artistiche semplificate, se non proprio brutalizzate, anch’esse da noi denominate romanze ed il cui compito era quello di convogliare un messaggio piuttosto che rappresentare una realtà.

    Si venne così a formare l’arte barbarica.

    L’Arte Barbarica

    L’inserimento di tribù barbare (vari gruppi antropologici goti, gli unni, ecc...) entro il limes (il confine imperiale) non portò solo ad innumerevoli devastazioni, ma spinse anche quella gente: a volersi romanizzare¹⁰, entrando a fare parte non solo dell’esercito ma anche dell’enorme apparato burocratico imperiale; a cristianizzarsi, anche se più d’uno di loro divenne eretico; e persino a tentare di adottare il diritto romano. Quindi quei non romani, questo è il significato dell’aggettivo latino barbarus, non furono solamente dediti alla guerra, alla devastazione ed alle faide intra-tribali¹¹, ma riuscirono anche ad andare oltre.

    I nuovi padroni della parte occidentale del Vecchio Continente elaborarono nuove forme espressive che iniziarono a manifestarsi dopo la caduta di Roma e che si basavano sui modelli artistici più semplici e provinciali del tardo impero, quindi più vicini a quella sensibilità barbara determinata dal tentativo e dal desiderio di romanizzarsi, e che esprimevano concetti in maniera elementare in quanto dovevano essere chiari subito a tutti.

    Un esempio di ciò è costituito dalla cosiddetta Lastra di Agilulfo (conservata al Museo Nazionale del Bargello a Firenze e che lo scrittore ha avuto la fortuna di potere vedere), un re longobardo, quindi barbaro, che regnò sull’Italia tra il 590 ed il 610. Quell’artefatto ha una enorme importanza storico-artistica, sia per il periodo nel quale fu prodotta che per ciò che rappresenta: una produzione artistica di dimensioni molto piccole, estremamente semplice nonché un po’ rozza, ma che presenta re Agilulfo quasi come fosse un imperatore romano e non come un re barbaro.

    È quindi vero che l’arte barbarica costituì il punto più basso della qualità manufatturiera degli oggetti artistici, ma è altrettanto vero che quelle persone (che i romani avevano descritto come pelose e puzzolenti) si fecero carico di contrastare il declino del linguaggio figurativo, rendendogli così nuova vita.

    Il millennio medioevale è stereotipizzato troppo frettolosamente nei secoli bui, definizione che può calzare per l’alto medioevo, con il settimo secolo considerato essere il più buio fra tutti, mentre il basso medioevo fu ricco di luci ed anzi annoverò perfino alcune brillanti stelle.

    Durante i secoli XIII e XIV, testimoni, tra l’altro, della trasformazione dei comuni in signorie, nacquero sia il linguaggio figurativo occidentale, forgiato prima da Cimabue e poi da Giotto, che l’idioma italiano, maneggiato prima da Dante Alighieri e poi da Francesco Petrarca.

    Quei due secoli medioevali costituiscono ancora oggi il periodo più creativo della civiltà italiana.

    L’intellettualità Romanica

    Col passaggio dal feudalesimo alle città-stato l’arte si annidò negli agglomerati urbani circondati e circoscritti dalle mura di cinta, all’interno delle quali attecchirono sia una voglia di fare mai vista prima che uno sfrenato desiderio di ricostruire; inoltre si verificò un’esplosione demografica¹². Nei secoli XII e XIII, durante i quali vissero i comuni, i loro abitanti reimpararono i saperi ed i mestieri dell’antichit๳ e forgiarono una fervente e vibrante società civile, la quale diede vita a ben quattro diverse rivoluzioni:

    - Politica, che introdusse la libertà.

    - Economica, caratterizzata da una nuova cultura del lavoro, sia come genio imprenditoriale che come etica delle maestranze, che creò un cospicuo, fiorente e facoltoso ceto medio, nonché una classe capitalista di mercanti internazionali¹⁴.

    - Religiosa, con il ritorno al comportamento evangelico di una parte del clero la cui via venne mostrata da San Francesco.

    - Artistica, che avvenne alla fine del periodo delle città-stato, quando si stavano lentamente formando le signorie, con la nascita dell’arte occidentale separata ed indipendente da quella bizantina. Quest’ultima fu l’unica delle quattro rivoluzioni che si verificò in una sola città durante l’epoca comunale.

    Inoltre un comune padano introdusse un nuovo principio giurisprudenziale veramente avveniristico:

    - L’abolizione della schiavitù a Bologna a metà Duecento, che non costituì una rivoluzione in quanto non venne recepita da altri stati e fu dimenticata col passare del tempo, ma che introdusse un principio giuridico prima mai esistito e che anticipò i tempi di cinque secoli: La legge è uguale per tutti.

    A quel tempo le due discipline che costituivano la motrice dell’intero mondo della lingua figurata (pittura, oreficeria, ricamo, tessitura, miniatura, ecc...) erano la scultura e l’architettura che presero il nome di romaniche. Questa peculiare denominazione viene attinta sia dalle scelte degli architetti e degli scultori di quell’epoca, i quali recuperarono i modelli architettonici romani, possenti, maestosi e con poche decorazioni, che dal fatto che si sviluppò tra le culture romanze.

    L’iconografia della scultura romanica mostra, comunemente, scene laiche, come: il lavoro dei contadini nei campi durante i mesi dell’anno (l’aratura, la semina, la vendemmia, l’aggiustamento degli attrezzi, ecc...) ed il lavoro dei muratori in un cantiere edile (la deposizione dei mattoni, l’uso del cemento, il controllo col filo a piombo che gli angoli siano retti ed i muri siano verticali, e via discorrendo); e scene religiose, a prova della profonda cristianità di quella gente, come: i simboli del giudizio universale, spesso visibili sui capitelli delle colonne dei chiostri romanici (la discesa del pantocratore sulla Terra, la resurrezione dei morti, ecc...) e la vita di Nostro Signore (la natività, il battesimo, la moltiplicazione dei pani e dei pesci, e tanto altro).

    Le città, arricchite dai fiorenti commerci d’oltralpe e dal comportamento refrattario dei loro abitanti verso gli investimenti pubblici¹⁵ (i comuni erano dominati dal capitalismo e dall’economia di mercato, inoltre erano inseriti in un mondo globalizzato), gareggiavano tra di loro per erigere costruzioni sempre piú alte ed elaborate, come le torri, che in una città medioevale di epoca romanica marcavano l’orgoglio delle famiglie proprietarie ma anche la loro capacità di difendersi rimanendo all’interno della torre; e le chiese¹⁶, che venivano progettate in maniera molto più articolata (cioè con la sagrestia, la parte per il pubblico, la casa del parroco ed altri edifici annessi) rispetto ai precedenti luoghi di culto feudali (usualmente costituiti da una semplicissima costruzione con una sola stanza ed un basso campanile).

    Erano all’opera architetti ed artisti che si rifacevano allo stesso stile romanico ma che avevano anche tendenze diverse, cioé erano allo stesso tempo simili ma differenti; l’arte quindi incominciava ad articolarsi e, di conseguenza, diveniva più complessa.

    Con l’architettuta romanica, così come con la scultura romanica, incominciò la reintroduzione del concetto del naturalismo, accompagnato da un nuovo approccio che artisti e committenti ebbero verso il linguaggio figurato, prima mai esistito: l’elogio dell’autore; che per la prima volta ebbe luogo nella cattedrale di Modena¹⁷ (in Emilia-Romagna), eretta tra il XII ed il XIII secolo (quindi in piena età comunale).

    Sui suoi muri esterni insistono delle iscrizioni che inneggiano a Lanfranco, il principale architetto, ed a Viligelmo, il principale scultore, trasformando così i due protagonisti in veri e propri intellettuali.

    I tecnici incominciavano a meritarsi l’apprezzamento del pubblico e quindi non erano più relegati nell’anonimato.

    Sia nella struttura che nelle sculture della cattedrale di Modena, non c’è spazio per la decorazione fine a se stessa, ma c’è solo l’essenziale, che però ha la capacità di trasmettere allo spettatore un inequivocabile senso di potenza.

    Mentre Lanfranco recuperò l’architettura dell’Urbe e delle grandi città imperiali¹⁸ (Napoli, Alessandria d’Egitto, Milano, Londra, Adrianopoli, Cartagine, Efeso, Smirne, ecc...), Viligelmo recuperò la scultura romana provinciale, quella più semplice; ma entrambi riuscirono a divenire ugualmente moderni.

    La Leggerezza dell’Architettura Gotica Internazionale

    Durante la seconda metà del XIII secolo prese piede anche un altro stile architettonico, il gotico, che si divise in gotico internazionale e gotico italiano, ed i due stili dominarono l’architettura dei due secoli successivi (ciò avvenne anche in altre discipline artistiche legate all’architettura gotica come quella del vetro policromo).

    Questo nuovo tipo di architettura fu abbracciata da quegli ingegneri che volevano smarcarsi dalle regole del romanico, per creare qualcosa di nuovo ed opposto ad esso, e si trovarono così davanti alla necessità di dovere scaricare i pesi delle possenti costruzioni romaniche, quasi come volessero liberarsi dalla forza di gravità. L’architettura gotica, sia quella internazionale che quella italiana, venne così a costituire un vero e proprio laboratorio scientifico nel quale si ottennero delle scoperte matematiche e tecnologiche importantissime, che a loro volta portarono allo sviluppo di grandi competenze ingegneristiche, di studi specialistici e di qualificazione delle maestranze.

    La scoperta del gotico lanciò la sfida di far diventare leggero quello che era pesante.

    Il vocabolo gotico era nato con un’accezione negativa in quanto relativa ai popoli del Nord, considerati barbari e quindi non classici, ma con l’architettura gotica l’Europa si vestì di una candida veste di cattedrali (da Milano, uno dei pochi esempi di gotico internazionale in Italia, a Siviglia, da Bruges a Parigi, da Colonia a Magonza, dappertutto¹⁹), per la cui erezione vennero investite somme colossali, in quanto le cattedrali erano costruite per raccogliere l’identità comunale e per rivaleggiare con le altre città, quindi costituivano una manifestazione di orgoglio civico prima che di fervore religioso.

    La cattedrale divenne così la connotazione distintiva del gotico, sia internazionale che italiano, frutto di quella civiltà urbana nella quale gli architetti svilupparono nuovi stilemi, puntando, soprattutto, verso l’ascensionalità. Le strutture gotiche internazionali sono vertiginosamente alte, caratteristica che condusse all’utilizzo degli archi a sesto acuto (al posto degli archi a tutto sesto, che sono un segno stilistico distintivo dell’architettura romanica) nonché degli archi rampanti.

    Il gotico internazionale presenta anche numerose decorazioni, cratteristica che costituisce un altro elemento distintivo dal romanico, e che lo portò ad assumere il nome di gotico fiorito.

    L’espressività della Scultura Gotica Italiana

    Il gotico italiano si distinse da quello internazionale principalmente per due elementi:

    - Un numero più limitato di decorazioni.

    Ciò riguarda soprattutto quelle decorazioni poco visibili ad occhio nudo dal livello del suolo, come che gli artisti che vi applicarono il loro estro avessero voluto dare allo spettatore la sola possibilità di intravedere i loro capolavori, per burlarli incuriosendoli.

    - La ricerca della maestosità delle cattedrali coi campanili, che chiamano i fedeli a raccolta nella casa di Dio; non con le guglie le quali, puntando verso l’immensità del cielo, sembra vogliano raggiungere il pantocratore.

    Una delle chiavi di lettura di questa evidente differenza architettonica potrebbe risiedere in quel valore emotivo che, secoli dopo durante il Cinquecento, portò alla netta divisione religiosa tra cattolicesimo e protestantesimo: da una parte, la raccolta del gregge nell’ovile, dove tra i credenti e Dio c’è il filtro del sacerdote estrinsecato dalla confessione dei peccati; dall’altra parte, la possibilità che ogni cristiano ha di avere libera comunicazione con Nostro Signore, coadiuvato dal solo ausilio, non dal filtro, del ministro di Dio.

    Il gotico italiano differisce da quello internazionale anche nella scultura.

    Mentre le statue del gotico internazionale tendono ad essere strutture rigide, a volte persino facenti parte di colonne di sostegno di altri elementi architettonici, quelle del gotico italiano sono smarcate dal resto della costruzione e sembra persino che prendano vita, come se avvertissero delle emozioni.

    Nella cattedrale di Siena (in Toscana), in parte costruita durante la seconda metà del Duecento ed alla quale i due grandissimi scultori Nicola e Giovanni Pisano (padre e figlio) applicarono il loro genio, le statue sono protagoniste di un’affabulazione carica di pathos, che sembra persino prendere vita in una scena emozionante, nella quale queste strutture marmoree, assumendo sembianze apparentemente antropomorfe, sembrano comunicare con i loro spettatori, i quali rimangono attoniti da quell’inimmaginabile spettacolo.

    Il Miracolo di Assisi

    Con questo titolo volutamente fuorviante l’autore vuole evidenziare che tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, nella città natale di San Francesco, e precisamente nel cantiere del complesso basilicale francescano, in costruzione per ricordare ed onorare la straordinaria opera religiosa

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1