A tavola con Marco Polo: La cucina sulla Via della Seta
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Uno di questi è la Via della Seta, il lungo tracciato che per secoli ha attraversato universi culturali segnando la strada alle carovane, alle merci e alle culture. Marco Polo ne fu uno dei protagonisti: a lui dobbiamo le rivelazioni del Milione e il racconto di popoli e tradizioni sconosciute. Molte di queste, lungo quel percorso che portò Marco alla corte del Gran Khan, persistono nelle fisionomie dei popoli, nelle loro lingue e – soprattutto – nella loro cucina. Benvenuti in questo viaggio gastronomico sulle tavole del Milione!
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Book preview
A tavola con Marco Polo - Carla Diamanti
Introduzione
Mi incanto, ogni volta.
Ogni volta che illustro agli studenti il percorso della Via della Seta, di come quel tracciato, che ancora oggi fa sognare ciascuno di noi, sia stato molto più di un percorso carovaniero. Piuttosto, era un mondo. O il sentiero sul quale si incontravano mondi diversi, perché la Via della Seta in realtà era un insieme di strade che convergevano da luoghi distanti verso le città in cui approdavano merci e spezie dopo aver attraversato deserti, mari e montagne.
Chissà come deve essere parso quell’universo di genti, lingue e colori a un ragazzo diciassettenne che i resoconti storici dipingono come curioso, sempre a caccia di stimoli e di idee. Con gli occhi che gli brillavano mentre, fin da piccolo, si aggirava per i banchi del mercato di Venezia, nutrendosi di profumi e di immagini di merci che non conosceva.
Possedeva già quella che oggi è una delle caratteristiche fondamentali di ogni viaggiatore: la curiosità. E se non fu quella a spingerlo per la prima volta lungo una rotta lunghissima, carica di ignoto e di promesse, fu certamente quella a fargli guardare luoghi e popoli con occhi che nessuno aveva avuto fino a quel momento.
Davanti a Marco, diretto alla corte del Gran Khan insieme a suo padre e a suo zio, si sarebbero srotolati
anni di città fantastiche, di avventure, pericoli, storie e incontri inimmaginabili come quello con la cosiddetta setta degli Assassini. I suoi occhi avrebbero visto la raffinatezza e la crudeltà di civiltà sconosciute, le sue mani avrebbero toccato per la prima volta la carta moneta, le sue papille avrebbero scoperto gusti imprevedibili.
Quante volte avrà sentito nostalgia di casa? Cosa avrà provato al ritorno, quando la sua città gli sarà parsa così diversa e così piccola in confronto alle vastità delle regioni attraversate?
A molte domande non abbiamo risposta. Però il suo viaggio ce ne ha fornite numerose altre, grazie alle testimonianze che ci ha procurato sulla vita attorno a quelle strade di commerci. Ma avremmo avuto lo stesso risultato senza la sventura della sua prigionia e l’ulteriore incontro con qualcuno di diverso, come fu con Rustichello da Pisa?
Metafora della rinascita che segue a un’avversità, il Milione è divenuto il viatico per scoprire luoghi entrati nel mito e oggi diventati percorsi di viaggio. Non solo: questo resoconto, che assomiglia a un trattato storico-geografico, amplia i confini e rivoluziona gli stereotipi. Per esempio, quelli sull’idea che i mongoli fossero solo dei nomadi e che invece nel racconto di Marco appaiono come membri di una società, non solo stabile e stanziale, ma anche evoluta e paragonabile ad alcune di quelle europee. Certamente furono dominatori di una gran parte del mondo conosciuto all’epoca. E governatori di un impero vastissimo, tra i più vasti della storia, ed eterogeneo, fatto di tribù nomadi e popoli stanziali.
All’inizio del secolo scorso, Luigi Foscolo Benedetto, sottolineando il carattere divulgativo e l’eccezionalità del Milione affermò che «Marco si rivolge a tutti quelli che vogliono sapere: sapere quello che c’è al di là delle frontiere della vecchia Europa. Non mette il suo libro sotto il segno dell’utile, ma sotto il segno della conoscenza».
Perché il Milione non ha avuto vita facile, né una sola edizione. La prima, quella manoscritta da Rustichello nel 1298 nelle carceri genovesi di San Giorgio e identificata come Divisament dou monde, andò perduta. Le edizioni successive, frutto delle trascrizioni e – probabilmente – delle alterazioni, trovarono soprattutto posto all’interno di raccolte come quella del Le Livre des merveilles, conservato nella Biblioteca Nazionale di Francia e composto fra il 1404 e il 1417 con diversi testi di vari autori, fra cui lo stesso Marco Polo.
Solo nel 1928 il Milione trovò la fisionomia che gli conosciamo: Luigi Foscolo Benedetto partì dal Livre des merveilles e pubblicò l’edizione critica che oggi possiamo facilmente leggere e che conosciamo come Il Milione.
Ma quale fu il contenuto reale narrato da Marco? E dove invece intervenne Rustichello, che redigeva nella lingua franco-veneta in uso tra il XIII e il XV secolo fra le Alpi e il Po? Dove finisce il resoconto del mercante e dove comincia la fantasia del romanziere? E che ruolo ebbero le sfumature degli adattamenti nella successiva lingua franca dei Crociati?
Neppure il titolo fu scevro di controversie e dibattiti: secondo alcuni risuonava del soprannome di Emilioni
, dato ai Polo dai loro concittadini; secondo altri, invece, delle ricchezze possedute e raccontate dal viaggiatore. Tra questi ultimi, Giovanni Battista Ramusio, autore nella