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Lettere dal mondo
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Lettere dal mondo

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L’autrice, Carola Buscemi, narra le sue esperienze come medico-sanitario nelle situazioni più estreme della vita. Una prima esperienza in India a Calcutta e la seconda in Africa a Soweto. Entrambe le vicende, riportate sotto forma di lettere intercorse con i suoi cari, ci mostrano la crudezza e l’orrore di un certo degrado esistenziale, ma anche la tenerezza e la compassione delle persone che ha incontrato. Svuotata di tutto e arricchita di conoscenza umana che valica i confini dell’anima.

Carola Buscemi è nata e cresciuta a Cuneo, si è laureata in Medicina e Chirurgia e specializzata in Pediatria nel 2018 a Genova. 
Fin da bambina la curiosità l’ha portata a viaggiare, a conoscere il mondo e immergersi nelle miriadi di popoli e culture diverse.  Medico per vocazione, si è tuffata nel settore umanitario ancora da studentessa alle prime armi: India, Kenya, Perù e Thailandia furono le prime forti esperienze sul campo. Una volta Pediatra corona finalmente il grande sogno di lavorare con i bambini e partire in missione con Medici Senza Frontiere ed Emergency. Nel 2018-2019 a Lesbo (Grecia), 2020 in Sierra Leone, 2021 in Sud Sudan e Uganda e recentemente in Sudan (2022). Da ogni missione torna diversa, intrisa di umanità, nuove consapevolezze e tanta voglia di partire subito per una nuova avventura. Tra una missione e l’altra, ama viaggiare, dedicarsi alla scrittura e praticare il surf.
LanguageItaliano
Release dateJan 31, 2023
ISBN9788830676374
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    Lettere dal mondo - Carola Buscemi

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il professore Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London Canino e le vite dei santi.

    Una Vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i quattro volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    "Tutti pensano ad accumulare oggetti e cose,

    dimenticando che lo scopo della vita è quello di

    accumulare emozioni, sorrisi, istanti felici...".

    Agostino Degas

    INTRODUZIONE

    Libro goliardico, a tratti autoironico, crudo e aspro allo stesso tempo. Una raccolta di lettere da due angoli del mondo: India e Kenya, una corrispondenza via posta elettronica destinata ai miei amici più cari per condividere con loro forti emozioni ed entusiasmanti esperienze.

    Erano le mie prime avventure all’estero, piene di impaccio, un po’ di ingenuità e qualche nota di inconsapevolezza. Una piattaforma di lancio per tutto ciò che poi sarà di me negli anni successivi.

    Decisi di scrivere questo libro per salvare questi meravigliosi ricordi e continuare a mantenerli in vita così per come erano. Per non dimenticare mai le emozioni provate e gli insegnamenti ricevuti.

    Nel testo intervengo come narratrice esterna in diverse occasioni, permettendo così al lettore di comprendere appieno situazioni ed avvenimenti esposti nelle mail, il quale testo è stato volutamente riportato tale e quale, senza venir modificato nei contenuti né, ahimè, nella forma.

    Qua e là lancio rapidi spunti di approfondimento facendo però attenzione a non rovinare troppo il tono sbarazzino di quest’opera.

    Tentata più volte di correggere almeno gli errori più blasfemi (vedi Strafilococco o le varie K e doppie KK usate al posto della ch, le abbreviazioni dp per dopo o nn per non… far rabbrividire), ho desistito per salvare quello stile, sicuramente un po’ infantile ma diretto e genuino. Un turbine di emozioni nel trascrivere (e successivamente rileggere) tutte quelle lettere dal mondo, risate infarcite di tenerezza ed occhi lucidi di nostalgia nel rivivere quei momenti.

    Vi auguro una buona lettura con tutto il mio cuore.

    Kaky

    INDIA

    (Calcutta)

    Volai in India nell’agosto del 2007, l’estate del mio secondo anno di università. Da studentessa in medicina alle prime armi, fu quella la mia prima vera esperienza all’estero; ancora inesperta, impacciata, poco pratica in tutto, brillavo però in entusiasmo e voglia di fare.

    Era una mite giornata primaverile a Genova; con la mia comitiva di amici andavamo di rado a seguire le lezioni all’università, preferivamo trascorrere il nostro tempo libero a zonzo, tra spensierate serate nei vicoli, lunghe nottate in discoteca, intere giornate trascorse in spiaggia a ridere e scherzare piuttosto che dedicare il nostro tempo allo studio. Avevamo il motorino, in genovese detto il papero, e ci sentivamo i padroni del mondo. Fu l’anno in cui collezionai ripetute ed umilianti bocciature agli esami: venni rimandata in biochimica, in neuroanatomia e persino in biologia.

    In quel caldo pomeriggio di maggio ci ritrovammo per puro caso mischiati tra il pubblico che affollava l’aula magna dell’università dove era in corso una conferenza. Su di una specie di palco laggiù in fondo all’aula, un minuscolo signore indiano affascinava la platea raccontando agli studenti di un ospedale da lui fondato a Calcutta, nella lontana India. Non usava il microfono, si agitava e sbraitava in un inglese dal palese accento asiatico.

    Le sue parole mi parvero al momento incomprensibili ma sul grande schermo alle sue spalle scorrevano immagini sorprendenti: il suo piccolo ospedale di periferia, i suoi pazienti, la gente che affollava le strade, gli ambulatori tra le campagne…

    Il dottor Sujit narrò la sua vita: aveva studiato in Belgio, laureandosi in medicina grazie all’aiuto economico di un generoso sponsor che si offrì di sostenere tutte le spese accademiche. Una volta specializzato in pediatria decise di far ritorno al suo Paese d’origine dove, partendo da zero e con le sue sole forze e la manodopera di qualche amico fidato, fondò

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