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Altre Terre: Viaggio alla scoperta di pianeti extrasolari
Altre Terre: Viaggio alla scoperta di pianeti extrasolari
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Altre Terre: Viaggio alla scoperta di pianeti extrasolari

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About this ebook

Qual è il futuro dell’uomo nell’universo? Siamo soli nel cosmo? Esistono altre Terre che l’umanità può colonizzare?

Queste sono solo alcune delle domande a cui Giovanni Covone, professore di astrofisica, cerca di dare risposta puntando lo sguardo in alto, verso il cielo e le stelle. Perché la storia della ricerca astronomica è antica quanto l’uomo stesso, dai primi, rudimentali eppure brillanti tentativi di studiare le stelle a occhio nudo, fino alle ultime missioni spaziali, svolte con l’ausilio di enormi, modernissimi telescopi.

Covone stesso è parte di questa millenaria corsa agli astri: nel gennaio del 2019, insieme a un’equipe della NASA, ha contribuito all’individuazione di TOI-700d, una possibile “nuova casa” per l’uomo. Un ipotetico gemello della Terra, seppure a distanza siderale. Ma una simile scoperta, insospettabilmente, ci insegna quanto il nostro pianeta sia unico: l’universo, nella sua vastità, concede panorami strabilianti – stelle che brillano a un’intensità più di cento volte superiore a quella del Sole, pianeti con oceani di lava, piogge di roccia fusa o ricoperti da spesse calotte ghiacciate – e gli strani mondi che troveremo, un giorno, saranno diversi da ciò che vediamo, persino da ciò che immaginiamo abitualmente.

Altre Terre, passando in rassegna scoperte astronomiche del passato e attualissime, ponendo nuove domande su ciò che esiste fuori dai confini della nostra conoscenza, è un libro che parla di noi, del rapporto tra la specie umana e il cosmo, e dell’incredibile spettacolo della natura.

LanguageItaliano
Release dateApr 14, 2023
ISBN9788830538979
Altre Terre: Viaggio alla scoperta di pianeti extrasolari
Author

Giovanni Covone

Giovanni Covone è nato a Trani nel 1969. È professore di astrofisica e cosmologia presso la Federico II di Napoli. Si interessa della ricerca di pianeti simili alla Terra, di astrobiologia e dello studio della materia oscura su scala cosmica. È titolare del corso di Fondamenti di Fisica e Cosmologia per gli studenti di Filosofia. “Altre Terre” è il suo primo libro.

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    Altre Terre - Giovanni Covone

    1

    CERCANDO UN’ALTRA TERRA

    Forse spetterà a loro, agli studiosi degli astri, dirci quanto non ci hanno detto, o ci hanno detto male, i profeti ed i filosofi: chi siamo, donde veniamo, dove andiamo.

    Primo Levi, Notizie dal cielo

    1. Domande

    Non conosco quasi nessuna delle persone che stanno leggendo questo libro, eppure sono convinto che un pensiero ci accomuna. Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, osservando il cielo in una notte limpida e buia si è chiesto: ci sono altri pianeti intorno ad almeno una di quelle stelle? E almeno uno di quei pianeti non potrebbe essere simile alla Terra? Non potrebbe ospitare esseri coscienti che stanno guardando il cielo in questo istante con occhi fatti in modo diverso, ma ponendosi le nostre stesse domande?

    Quando ancora non esistevano i cannocchiali, Giordano Bruno scriveva che la Terra è cielo alla Luna come la Luna è cielo a noi. Se altri osservatori abitassero il nostro satellite e gli altri pianeti, vedrebbero la Terra come un pianeta qualunque: un pensiero che ai tempi di Bruno era considerato un’eresia. Oggi, grazie alle fotografie della Terra dallo spazio, dalla Luna e dalla superficie di Marte, abbiamo la consapevolezza che anch’essa è un corpo celeste tra miliardi di altri, solo uno degli innumerevoli pianeti nella scena cosmica, e questo rende ancora più pressante la domanda sull’esistenza della vita altrove nell’Universo. La ricerca di pianeti simili alla Terra, che possano cioè offrire le condizioni adatte per l’emergere e lo sviluppo della vita, è il primo passo per rispondere a questa domanda.

    Oggi viviamo in un’epoca storica fortunata, perché abbiamo scoperto i primi mondi intorno ad altre stelle e possiamo indagare i loro misteri. È un’era di scoperte attese da duemilacinquecento anni, da quando sulle sponde del Mediterraneo i primi filosofi astronomi compresero che le stelle non sono fori praticati in un tetto attraverso cui filtra la luce del mondo divino, ma altri soli, con forse altri pianeti.

    Grazie ai telescopi, da terra e dallo spazio, in pochi anni abbiamo scoperto migliaia di pianeti. Ma i nostri strumenti sono ancora così primitivi che li abbiamo individuati quasi tutti con tecniche indirette, attraverso le perturbazioni che provocano sul movimento delle loro stelle o sulla luce emessa da esse. Solo in alcuni casi siamo riusciti a osservarli direttamente, seguendo con pazienza piccoli punti luminosi in moto su orbite che durano centinaia di anni.

    Ma nessuno di essi è un’altra Terra. I primi pianeti scoperti negli anni Novanta erano mondi strani che nessuna teoria aveva previsto e nessuno scrittore aveva immaginato. In seguito ne abbiamo individuati altri che ci sembrano familiari, simili a Giove e Nettuno, altri ancora che non hanno analoghi nel Sistema solare; ma anche sistemi planetari che ruotano intorno a stelle diversissime dal Sole, e persino intorno a resti di stelle morte.

    Abbiamo compreso che, nel formare i pianeti, la Natura è creativa e generosa. Abbiamo esplorato solo una piccola regione della Galassia e siamo rimasti sorpresi dall’abbondanza e diversità di altri mondi: il nostro limitato censimento ha rivelato che l’Universo¹ contiene di gran lunga più pianeti che stelle. Forse nessuna stella nasce senza pianeti.

    Tuttavia, in questa ricchezza inattesa non abbiamo ancora trovato nessun pianeta davvero simile alla Terra o un mondo che possa ospitare la vita. Alcuni assomigliano per molti aspetti al nostro: dai dati disponibili possiamo dire che potrebbero essere fatti di roccia e ferro come il suolo su cui camminiamo. Ma ogni volta abbiamo riscontrato differenze cruciali. Alcuni orbitano troppo vicino alla loro stella, altri intorno a stelle molto diverse dal Sole, più fredde o pericolose, e quindi meno ospitali per la vita.

    La ricerca è difficile, non soltanto a causa delle limitate capacità dei nostri telescopi, ma anche perché non sappiamo bene cosa stiamo cercando e come dobbiamo cercare. Tutto quello che sappiamo sulla vita si basa sulla conoscenza della biosfera terrestre, l’unica che conosciamo. Allo stato attuale, dunque, non siamo in grado di dare una definizione universale della vita.

    Non sappiamo se le particolari caratteristiche della vita sulla Terra costituiscano una regola generale o un caso particolare. Ad esempio siamo certi che l’acqua allo stato liquido è fondamentale per tutti gli organismi viventi sulla Terra, ma non possiamo escludere che in ambienti cosmici diversi altre sostanze liquide possano sostituirne la mancanza. Sul nostro pianeta gli elementi chimici carbonio, ossigeno, idrogeno, azoto, fosforo e molti metalli sono ingredienti essenziali per la vita. Ma, in loro assenza, la vita potrebbe aver trovato soluzioni alternative. La ricerca della vita nel cosmo è un’impresa scientifica che si basa soprattutto sulla nostra ignoranza. Dobbiamo procedere con apertura mentale, ma anche con una dose di scetticismo, per evitare di ingannare noi stessi.²

    In questo momento dobbiamo ammettere di non sapere abbastanza per affermare in quali ambienti cosmici la vita potrebbe svilupparsi. Perché allora concentrarsi sulla ricerca di altre Terre?

    Sappiamo che la Terra ha offerto una chance alla vita, quindi è naturale cercare in primo luogo pianeti che abbiano caratteristiche simili a essa. Se dovessimo scoprire anche un solo mondo simile al nostro, oppure se riuscissimo a dimostrare che non esistono altre Terre in tutta la Galassia, questa consapevolezza sarebbe un importante progresso per la comprensione del fenomeno vita e per tutta la nostra cultura. Da questo punto di vista individuare pianeti simili alla Terra ci permetterebbe di ampliare i nostri orizzonti e soprattutto di capire meglio come cercare e cosa cercare esplorando altri ambienti cosmici diversissimi dal nostro.

    C’è un’altra ragione per cercare in primo luogo le Terre: noi siamo capaci di riconoscere solo quello che già conosciamo. Se cercassimo la vita in ambienti veramente alieni, forse non saremmo in grado neppure di riconoscerla. Se puntiamo a mondi simili al nostro, invece, è più probabile che saremo in grado di interpretare correttamente le nostre osservazioni e le tracce di ipotetici organismi viventi. Dobbiamo bilanciare la necessità di cercare cose che potremmo riconoscere – veri e propri analoghi della Terra – con ciò che la natura offre effettivamente, muovendoci sulla linea sottile tra grandi aspettative e incredibili realtà.

    2. Il Santo Graal dell’astrofisica

    Immaginiamo che un osservatore alieno si avvicini al Sole: noterebbe subito la differenza tra la Terra e gli altri pianeti. Provenendo dalle stelle, incontrerebbe prima una fascia di piccoli corpi ghiacciati – alcuni sferici come Plutone – ma per la gran parte di forma irregolare. Questa regione è l’estrema periferia del nostro sistema planetario, oltre trenta volte la distanza della Terra dal Sole. Qui il Sole è l’astro più luminoso del firmamento, ma la temperatura è così bassa che i corpi celesti sono coperti da strati di metano ghiacciato.

    Puntando il Sole, l’esploratore alieno incontrerebbe quattro pianeti giganti. Prima Nettuno e Urano, composti da ghiacci di acqua, metano e ammoniaca sedimentati intorno a un piccolo nucleo roccioso. Poi i due giganti di idrogeno ed elio, Saturno e Giove; quest’ultimo è il corpo celeste più grande e massivo in orbita intorno al Sole.

    Continuando il viaggio attraverso le regioni interne del sistema, il panorama planetario gli apparirebbe diverso. Il Sole comincia a far sentire il suo calore: a circa tre Unità Astronomiche,³ l’alieno supererebbe la cosiddetta linea della neve. Come la linea che separa le cime innevate delle montagne dalle pendici, la linea della neve separa la regione di spazio cosmico dove i granelli di polvere si ricoprono di ghiaccio dalla regione interna e più calda, dove la polvere rimane nuda.

    Lasciatasi alle spalle Giove, la nave aliena attraverserebbe una nuova regione affollata di piccoli corpi rocciosi di forma irregolare, gli asteroidi. Considerando quelli con diametro maggiore di dieci metri, ce ne sono oltre 150 milioni. Solo circa duecento tra questi sono più grandi di cento chilometri e solo Cerere ha forma sferica. Nel loro insieme, queste rocce vaganti hanno l’aria di un cantiere abbandonato, dove non è stata terminata la costruzione di un pianeta. La loro densità nello spazio non è elevata, il nostro alieno potrebbe tranquillamente attraversare la fascia senza rischiare collisioni.

    La fascia degli asteroidi separa la regione dei pianeti giganti gassosi da pianeti fatti di roccia e ferro, avvolti da sottili strati di gas a formare una tenue atmosfera: Marte, Terra, Venere e il piccolo Mercurio. Terra e Venere da lontano sembrano gemelli: hanno le stesse dimensioni, la stessa massa ed entrambi sono dotati di un’atmosfera.

    Ma anche da qualche milione di chilometri di distanza, la differenza tra i due mondi è evidente. L’atmosfera della Terra appare trasparente agli occhi alieni, se questi sono sensibili alla stessa luce di noi umani, svelando le vaste distese di acqua liquida. La Terra però non è l’unico pianeta con acqua liquida: prima di giungere nei pressi del nostro pianeta, il viaggiatore alieno avrà individuato l’acqua ghiacciata osservando Europa, Encelado e altri satelliti dei pianeti giganti che nascondono oceani sotterranei di acqua liquida, dove la luce non è mai penetrata dall’origine dei tempi. Solo la Terra, dunque, ha acqua allo stato liquido sulla sua superficie, grazie all’azione dei raggi del Sole.

    Venere è coperta da uno strato esterno di nubi di anidride solforosa con goccioline di acido solforico, che non ci permettono di vederne la superficie. Più a bassa quota, l’atmosfera è composta quasi del tutto da anidride carbonica, con un effetto serra che porta la temperatura al suolo intorno ai 475 oC. Se l’alieno ragionasse in maniera simile a noi, non cercherebbe indizi di esseri viventi in quell’inferno.

    Invece, avvicinandosi alla Terra, noterebbe le tracce di vita ancora prima di entrare in orbita. L’abbondanza di ossigeno molecolare nell’atmosfera e i colori delle foreste indicano che c’è vita capace di usare l’energia del Sole per produrre cibo per se stessa e forse per altri organismi. In nessun altro luogo del Sistema solare e dell’Universo conosciuto i segnali di vita sono così evidenti prima di scendere al suolo.

    Ci sono altre caratteristiche che rendono la Terra unica nel Sistema solare: ha un campo magnetico, la sua superficie è geologicamente attiva e ha un satellite naturale di grandi dimensioni. Nessuno degli altri tre pianeti rocciosi possiede tutte e tre queste caratteristiche.⁴ Come vedremo, queste peculiarità della Terra hanno contribuito a formare un ambiente ospitale per la vita per miliardi di anni. Nel loro passato e per un breve momento anche Marte e Venere sono stati abitabili, ma solo la Terra ha mantenuto condizioni adatte alla vita per tutta la sua storia.

    E se la Terra fosse unica anche nella Galassia? Se nessuna delle stelle che osserviamo in cielo ospitasse un altro pianeta roccioso, con un’atmosfera protettiva, alla giusta distanza dalla sua stella – in una parola, abitabile?

    Nel momento in cui scrivo sono stati scoperti più di cinquemila pianeti intorno ad altre stelle. Molti sono rocciosi, alcuni anche più piccoli della Terra, ma nessuno di essi può essere considerato un gemello del nostro.

    Forse il motivo è semplice: trovare un pianeta piccolo come la Terra è arduo. Se invece di viaggiare nel Sistema solare, l’astronomo alieno osservasse il Sole dalla stella più vicina (Proxima Centauri) usando la nostra attuale tecnologia, non riuscirebbe a catturare un’immagine della Terra. Da laggiù il pianeta sarebbe un punto di luce troppo debole e troppo vicino al Sole, dieci miliardi di volte meno luminoso. L’astronomo di Proxima Centauri potrebbe allora osservare i movimenti del Sole alla ricerca di una perturbazione dovuta a un piccolo pianeta che le ruota intorno, ma occorrono osservazioni pazienti per diversi anni. Questa tecnica di ricerca indiretta, come altre che vedremo più avanti, potrebbe permetterci di scoprire nei prossimi anni piccoli pianeti rocciosi intorno a stelle vicine, alla giusta distanza per avere acqua liquida sulla superficie. Il passo successivo per stabilire se si tratta di un mondo ospitale per la vita così come la conosciamo, poi, sarà cercare tracce di un’atmosfera protettiva. Solo lo studio dell’atmosfera ci potrebbe far capire se si tratta di un corpo simile alla Terra o simile a Venere.

    Probabilmente, quindi, non abbiamo ancora trovato pianeti simili al nostro perché è difficile individuarne. Oppure, c’è un’alternativa, le Terre sono rare perché è rara la combinazione di fattori che permettono la vita.

    Dal poco che sappiamo della vita, essa potrebbe anche emergere in condizioni molto diverse da quelle terrestri, su pianeti o lune apparentemente più ostili. Ma in qualunque ambiente, l’evoluzione della vita verso forme complesse ha bisogno di tempo e quindi di condizioni (qualunque esse siano) che rimangano stabili per almeno centinaia di milioni di anni.

    Il Sole ha garantito questa stabilità per oltre quattro miliardi di anni. La sua luminosità è variata nel corso del tempo ma in modo molto graduale, così da permettere all’ecosistema terrestre di adeguarsi. Inoltre, da ciò che sappiamo, il Sole non ha mai manifestato esplosioni improvvise di energia tali da mettere in pericolo la vita sulla Terra. Molte stelle, invece, hanno improvvisi aumenti di luminosità che noi fortunatamente osserviamo a distanza di sicurezza. La lunga e quieta esistenza del Sole non è affatto una caratteristica scontata. Molte delle stelle più luminose che vediamo in cielo non permetterebbero l’evoluzione della vita complessa, semplicemente perché vivono troppo poco consumando in pochi milioni di anni la propria riserva d’idrogeno. Altre stelle, meno luminose e più longeve, sono invece inquiete e pericolose. È chiaro quindi che non è sufficiente cercare un pianeta simile alla Terra: è necessario che esso orbiti intorno a una stella che sia abbastanza simile al Sole.

    L’assenza di risultati e l’insieme delle caratteristiche necessarie all’emergere della vita ci costringono a considerare, malgrado l’abbondanza di pianeti simili alla Terra, che esopianeti di tipo terrestre non solo sono difficili da trovare, ma anche rari. La storia della ricerca di altri mondi, però, ci ha riservato così tante sorprese, smentendo le nostre previsioni così tante volte, che non possiamo escludere la possibilità che da qualche parte, nell’Universo, ne esistano moltissimi.

    Una seconda Terra nella Galassia è il Santo Graal dell’astrofisica moderna. Come i cavalieri della Tavola Rotonda, gli astronomi sono alla ricerca di un tesoro cosmico della cui esistenza sono sicuri, ma che continua ancora a eludere i loro sforzi. Come per la più grande impresa del Medioevo, la scoperta di un pianeta gemello rivoluzionerebbe la nostra cultura. Dietro l’analogia ci sono però grandi differenze. La ricerca dei pianeti non è un’impresa di pochi cavalieri, ma lo sforzo collettivo di migliaia di ricercatori in tutto il globo: astronomi e fisici, ma anche ingegneri capaci di costruire strumenti sempre più potenti, informatici in grado di analizzare nel modo più efficace la grande quantità di dati che stiamo raccogliendo, e biologi e chimici che possano interpretarli e confrontarli con quello che conosciamo qui sulla Terra. Non è un’avventura basata su racconti mitici e indizi misteriosi. È una ricerca scientifica, parte dello sforzo più nobile della specie umana: capire il mondo in cui siamo, scoprire da dove veniamo e quale ruolo occupiamo nell’ordine delle cose.

    Questa ricerca iniziò quando nell’antica Grecia alcuni filosofi misero in dubbio la forma piatta della Terra e la sua unicità nel cosmo. La storia di questa ricerca si incrociò con la mia, in un piccolo studio del Dipartimento di Scienze Fisiche di Napoli, alla fine degli anni Novanta. Aspettavo che il professore Ruggiero de Ritis mi ricevesse per discutere l’argomento della mia tesi in cosmologia quantistica. In quegli anni, le osservazioni astronomiche stavano svelando l’esistenza di una nuova misteriosa fonte di energia che causava l’espansione accelerata dell’Universo, e c’era molto lavoro affascinante da fare in quel campo. Seduto tra una scrivania troppo affollata da libri e articoli e una lavagna densa di calcoli, ascoltavo la sorprendente idea che il professore aveva in serbo per me.

    3. Il pluralismo

    «In verità, i mondi sono infiniti, tanto quelli simili a questo quanto quelli dissimili. […] Non c’è nulla che possa costituire impedimento alla infinità dei mondi. […] Le specie viventi, le piante e tutte le altre cose visibili potrebbero esistere in alcuni mondi e non in altri.»

    Duemilatrecento anni fa il filosofo greco Epicuro scriveva queste parole all’amico Erodoto, in una lunga lettera. È il testo più antico giunto fino a noi in cui sia esposta in modo chiaro la dottrina del pluralismo, ossia la concezione secondo cui esistono innumerevoli mondi nel cosmo, forse anch’essi abitati. Epicuro insegnava che il cosmo è infinito e i mondi sono infiniti. Affermava che non c’è nessun motivo di aspettarsi che gli infiniti mondi siano come il nostro o come quelli che conosciamo da vicino.

    L’esistenza di infiniti mondi era stata proposta per la prima volta da Democrito oltre un secolo prima di Epicuro. Secondo la dottrina di Democrito, la materia è costituita di particelle indivisibili ed eterne, gli atomi, che obbediscono a leggi universali, non ai capricci di una divinità. Lo spazio è infinito e altrove gli atomi si possono combinare in infinite possibilità, formando anche altri mondi: il caso e la necessità, ossia le leggi della Natura, determinano la nascita e il destino di tutte le cose esistenti. Degli scritti di Democrito non resta quasi nulla, ma un suo allievo, Metrodoro di Chio, scrisse che un universo infinito deve essere popolato da infiniti mondi, perché «sarebbe assurdo che un’unica spiga cresca in un grande campo e un unico mondo nello spazio infinito».

    Secondo i filosofi atomisti, come tutte le cose costituite da atomi, questi mondi nascono e muoiono e dalla loro morte si generano altri mondi. Da questo punto di vista, mondi ed esseri umani condividono lo stesso destino. Solo la materia è indistruttibile ed eterna e, dopo la nostra scomparsa, parteciperà alla formazione di altri esseri viventi e altri mondi. Naturalmente non possiamo identificare i mondi descritti da Epicuro con i pianeti extrasolari che stiamo scoprendo oggi. Secondo gli atomisti ogni mondo aveva il suo sole, i suoi pianeti, le sue stelle e le sue forme di vita. Questa è una differenza importante tra la moderna concezione astronomica dei pianeti extrasolari e la visione di Epicuro; tuttavia gli astronomi di oggi usano gli stessi argomenti da lui proposti oltre due millenni fa per sostenere la possibilità di altri luoghi abitati nel cosmo. Non sappiamo se l’Universo sia infinito, ma sappiamo che certamente si estende ben oltre le nostre capacità di osservazione. Ovunque galassie, stelle e pianeti sono formati dalla stessa materia che segue le stesse leggi fondamentali presenti sul nostro pianeta. In questo scenario, è difficile pensare che la vita sulla Terra sia un caso unico, capitato qui una sola volta nella storia dell’universo, come la vincita a una lotteria che non si terrà mai più.

    Un secolo dopo, Aristotele respinse il vuoto infinito degli atomisti e i loro numerosi universi. Secondo la sua dottrina esiste un solo universo e la Terra è al suo centro, immobile: i pianeti, il Sole e le stelle le girano intorno.

    In particolare, Aristotele affermava che cielo e Terra sono diversi perché fatti di materia differente e soggetti a leggi proprie. Il mondo terrestre è plasmato da quattro elementi (fuoco, aria, terra, acqua) e ogni cosa subisce la legge del tempo, nasce e muore. Al di sopra, oltre l’orbita della Luna, si estende il mondo celeste, perfetto, incorruttibile, eterno. I corpi celesti sono fatti di una sostanza diversa, l’etere, assente nel mondo sublunare. Al confine estremo, c‘è la sfera cristallina delle stelle fisse che chiude tutto lo spazio. Dietro la sfera di cristallo, il nulla: né luogo, né vuoto. «Questo cielo è uno, e solo, e perfetto» scriveva Aristotele.

    Nel periodo ellenistico, tra il III e il II secolo avanti Cristo, gli astronomi greci superarono la divisione di Aristotele tra Terra e cielo. Aristarco ipotizzò che il Sole fosse al centro del Sistema solare per spiegare i movimenti osservati dei pianeti.

    L’ipotesi di Aristarco aveva una conseguenza molto importante. Se la Terra gira intorno al Sole, allora in diversi momenti dell’anno dovremmo vedere le stelle da punti di vista differenti, quindi dovremmo vedere le stelle più vicine muoversi rispetto alle stelle più lontane, proprio come dal finestrino del treno vediamo gli alberi e le case muoversi rispetto allo sfondo delle colline. Questo fenomeno si chiama parallasse (vedi Figura 1.1), ma siccome non è osservabile a occhio nudo, vuol dire che le stelle sono lontanissime, distribuite in uno spazio immenso.

    Figura 1.1. La parallasse come descritto in didascalia.

    Figura 1.1. La parallasse. Nel suo giro intorno al Sole, la Terra si trova nella posizione A e poi nella posizione B. Dalle due posizioni diverse, vedrà la stella vicina proiettarsi in posizioni diverse sullo sfondo delle stelle lontane (A’ e B’).

    Purtroppo dei libri di Aristarco (e di tutte le opere astronomiche del periodo ellenistico) non è rimasto quasi nulla: sono stati distrutti negli incendi della biblioteca di Alessandria d’Egitto oppure dimenticati. Ci rimane solo la testimonianza di un suo lettore, Archimede, che scrive: «secondo Aristarco l’universo è molte volte più grande» rispetto a quanto considerato fino ad allora.

    La prima rivoluzione scientifica fu perduta.⁵ Il modello cosmologico di Aristotele fu sviluppato da Claudio Tolomeo e divenne il modello di riferimento per mille e cinquecento anni. Per secoli, astronomi e filosofi insegnarono che c’è una sola Terra con un solo cielo e che il limite estremo dell’universo è la sfera cristallina delle stelle fisse. L’universo che Dante descrive nella Divina Commedia è basato sugli insegnamenti di Aristotele. La teologia cattolica adattò la cosmologia aristotelica alle sue proprie esigenze e il pluralismo venne quasi completamente dimenticato per secoli, perché apertamente in contraddizione con gli insegnamenti della Chiesa.

    Nel 1543 Copernico pubblicò il libro che inaugura l’epoca moderna: nel De revolutionibus,⁶ per la prima volta dopo l’intuizione di Aristarco, il Sole è posto al centro del sistema dei pianeti e al centro dell’Universo. Pur compiendo una rivoluzione, Copernico non osò rimuovere la sfera immobile delle stelle fisse che racchiude tutta la creazione. È Giordano Bruno il primo filosofo ad affermare che non esiste nessuna sfera cristallina che limita l’Universo, dicendo chiaramente che le stelle non sono punti luminosi su una sfera di cristallo, ma altri Soli. Bruno è copernicano, ma va oltre Copernico perché parla di infiniti mondi in un universo infinito, addirittura di infiniti mondi abitati:⁷ «Uno lo spacio immenso in cui sono innumerabili ed infiniti globi, come vi è questo in cui vivemo e vegetamo noi. In esso sono infiniti mondi simili a questo, e non differenti in genere da questo».

    Nell’universo infinito, la piccola Terra «non è al centro, se non in base a quel ragionamento per cui si possono

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