Mondi occulti
By Franco Enna
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Mondi occulti - Franco Enna
Mondi occulti
Immagine di copertina: Shutterstock
Copyright © 1956, 2023 Franco Enna and SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788728522929
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.
www.sagaegmont.com
Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.
PERSONAGGI
ANTEFATTO
(a)
Le cupole di Glaxor brillavano sotto i raggi incrociati del Sole Azzurro al tramonto e del Sole Rosso che sorgeva. Il cielo era piatto e sprovvisto di stelle, dotato di un suo colore inerte che abbagliava.
Laggiù, alla periferia della città, dove il monte Elem alzava le sue dodici creste bianche sul Lago Okka, l’aria si era fatta viola, con una sfumatura scarlatta dove l’acqua era più profonda.
Poi, gradatamente, il Sole Azzurro scomparve dietro le Torri dell’Educandato Generale, e le cupole della città s’infiammarono fino a raggiungere il colore del fuoco.
La folla era immobile e silenziosa alla base del Trapezio Stellare, la cui ombra gialla copriva gran parte della Piazza degli Orizzonti. Sulla piattaforma di metallo, Zeno, l’esecutore di Nove Tribunali, aspettava l’arrivo dei Giudici Alti e dei due condannati. Aveva proceduto all’ultimo attento controllo del razzo-cieco, ed ora osservava impassibile la folla raccolta alla base del Trapezio Stellare, duecento piedi sotto di lui.
Il corteo dei Giudici Alti sarebbe apparso tra pochi minuti all’angolo del Refettorio 103, a bordo del carro magnetico. Il lancio era fissato per le zero trenta — ora rossa — dopodiché gli abitanti di Glaxor sarebbero tornati al lavoro.
Il primo segnale dell’Arco d’Argento risuonò sulla Torre Maggiore dell’Educandato Generale. L’eco infranse per un istante il silenzio del cielo ignudo, passando come un invisibile proiettile sulle cupole della città. La folla restò ad ascoltare quel suono che ora rimbalzava sul lago dai costoni rocciosi del Monte Elem.
Erano le zero dieci.
Zeno pensò a Narjus e Hola. Tra poco quei due sarebbero stati lanciati al di là della zona di attrazione del pianeta Kranon, imbottigliati nel razzo-cieco e condannati a vagare nello spazio fino alla disintegrazione del bolide.
Quella era la fine che i Nove Tribunali riservavano agli adulteri. Una fine terribile, pensava Zeno, ma meritata. Narjus e Hola l’avevano accettata senza protestare, consapevoli di aver commesso uno dei più gravi delitti previsti dalle severe leggi dello Stato di Merial. Il codice di Leti Jorghe, infatti, poneva l’adulterio sullo stesso piano dei delitti contro la comunità e la specie, poiché tendeva a minare la base della famiglia.
Zeno conosceva entrambi i condannati al razzo-cieco.
Hola si era sposata circa due anni prima con Arw Miotos, segretario compartimentale del Pubblico Dominio di Glaxor, un uomo molto più vecchio di lei ma ancora piacente. Arw Miotos godeva della stima del popolo e delle autorità, ed era inflessibile in fatto di morale. Era stato il primo accusatore della moglie, allorché l’aveva trovata tra le braccia di Narjus Polika. Quest’ultimo frequentava l’università di Glaxor, ed era figlio del famoso Yulta Polika, inventore del trasporto magnetico dello spirito umano da un corpo all’altro. Era un giovane simpatico e intelligentissimo che da qualche tempo faceva parlare di sé per le sue azzardate teorie sulla reputazione del fluido vitale.
Hola Tyoner era nativa di Mozanon, sul triplice mare di Bula, e aveva la bellezza caratteristica delle donne del sud. Narjus l’aveva incontrata nel Refettorio 82 e se ne era innamorato alla prima occhiata. Quando aveva appreso che Hola frequentava lo stesso suo corso all’università di Glaxor e che era appena arrivata da Mozanon, si era offerto di farle da guida.
Si erano amati subito.
Solo più tardi, Hola aveva confessato a Narjus di essere la moglie del nuovo segretario compartimentale del Pubblico Dominio. Non gliene aveva parlato prima per paura di perderlo…
Dalla Torre Maggiore dell’Educandato Generale si udì il secondo segnale dell’Arco d’Argento. Subito dopo all’angolo del Refettorio 103 apparve il telone giallo del carro magnetico dei Giudici Alti.
La folla si aprì in due, in silenzio.
I membri dei Nove Tribunali seguivano a piedi il carro magnetico, rigidi e impettiti.
Nella quinta fila Zeno scorse Yulta Polika, il padre di Narjus. Lo scienziato si trovava tra i rappresentanti del Quinto Tribunale e la propria moglie. Appariva tranquillo ma faceva di tutto per non alzare lo sguardo su chi lo circondava.
Arw Miotos era a bordo del carro magnetico, e Zeno non poteva vedere né lui né i condannati a causa del telone.
Poche diecine di metri separavano il corteo dalla portiera dell’ascensore che portava sulla piattaforma del Trapezio Stellare, quando si udì il terzo segnale dell’Arco d’Argento.
Zeno guardò il razzo-cieco, e una grande tristezza gli scese nel petto. Era un peccato che un’astronave così bella e perfetta fosse destinata a essere distrutta dal tempo o da qualche collisione accidentale. Il razzo-cieco, infatti, era dotato dei più moderni congegni sperimentati dalla scienza negli ultimi sette millenni di investigazione siderale. Il rivestimento esterno era in metallo candido Belsom, ultimo ritrovato delle Officine Cattersie, lo stesso che aveva protetto i bolidi che si erano avventurati nella esplosione del pianeta Irkozan e delle sue ventotto lune. Per poter essere un’astronave come le altre, al bolide mancava soltanto il combustibile.
Il razzo-cieco, così chiamato perché sarebbe stato il caso a deciderne la fine, sarebbe stato spinto fuori della zona di attrazione del pianeta Kranon dalla necessaria propulsione e quindi avrebbe vagato nello spazio per forza d’inerzia. La zona di attrazione del primo corpo celeste in cui si fosse imbattuto, lo avrebbe costretto ad atterrare, o a precipitare, qualora le persone che si trovavano a bordo non avessero saputo manovrare opportunamente il getto del campo magnetico, unico freno dell’apparecchio. Ma anche in caso di atterraggio normale, i due adulteri si sarebbero trovati esiliati in un mondo sconosciuto, costretti ad affrontare nuove condizioni di vita, ammesso che queste non fossero state letali per i loro organismi. Comunque, non avrebbero avuto la possibilità di riprendere il viaggio nell’infinito.
Zeno ricordava che trentacinque anni prima altri due adulteri, Meyra e Tolko, si erano fracassati con il loro razzo-cicco contro le rocce molli del pianeta Steos. Così, almeno, avevano assicurato due astronomi dell’osservatorio di Glaxor che avevano seguito le fasi del viaggio mediante il telescopio…
Il telone del carro magnetico che veniva abbassato richiamò ai suoi doveri l’esecutore dei Nove Tribunali. Ora Zeno poteva vedere Narjus e Hola seduti sulle panche di metallo dei condannati, nel carro. Alle loro spalle, più afflitto che soddisfatto, si trovava Arw Miotos, il marito tradito.
Il corteo si fermò alla base della torre del Trapezio Stellare. Un agente dei Nove Tribunali aiutò Hola a scendere dal carro magnetico. Narjus scese per suo conto, mentre un secondo agente porgeva il braccio a Arw Miotos.
Nessuno parlava.
Zeno guardò l’orologio solare dell’Educandato Generale. Mancavano otto minuti all’ora prevista per il lancio del bolide. Sporgendosi dal parapetto, vide che Yulta Polika stava battendo due volte la destra sul petto del figlio in segno di saluto. Lo scienziato fece altrettanto con la ragazza.
Altra gente salutò i due condannati, compreso Arw Miotos: appariva commosso, quando la sua destra scese sul petto di Hola e su quello di Narjus. Infine i due adulteri furono introdotti nell’ascensore del Trapezio Stellare. I tre Giudici Alti li seguirono.
Zeno si staccò dal parapetto e si avvicinò in fretta alla portiera dell’ascensore. Due secondi dopo quella si apriva sotto la spinta di uno degli agenti.
Narjus e Hola uscirono a loro volta sulla lucida piattaforma di lancio, seguiti dai giudici. Il cielo rosso e piatto sembrava bassissimo sulle loro teste. Il Sole Rosso avanzava lentamente verso lo zenit.
Narjus e Hola guardarono il razzo-cieco. Il metallo candido di Belsom scintillava sinistramente sotto i raggi scarlatti del sole, assumendo una tinta di latte insanguito.
Il bolide aveva una lunghezza di circa cinquanta metri, una circonferenza al centro di sedici metri e, alle due estremità, di due metri e mezzo. Lungo i fianchi si aprivano cinque oblò; altri due, più grandi, si trovavano in ciascuna delle due estremità.
Hola ebbe un fremito nella bella gola, e i suoi occhi si volsero a guardare la città: Narjus le strinse una mano in silenzio. Insieme osservarono le magnifiche cupole di Glaxor, le acque torbide del Lago Okka, le dodici creste bianche del Monte Elem…
Glaxor li scacciava.
Mai più avrebbero visto il sorgere del Sole Azzurro sulla loro città di metallo; mai più sarebbero andati sulle romantiche rive del lago Okka ad aspettare l’incrocio dei due Soli; mai più avrebbero udito le grida festose dei compagni d’università, gli echi sibilanti dell’Arco d’Argento…
Ora l’ignoto li aspettava.
Forse la fine!
Quel forse costituiva la loro più terribile condanna.
Però sarebbero stati insieme, loro due soli, Hola e Narjus…
Zeno andò ad aprire il portello del razzo-cieco, poi si volse ai due condannati dicendo: « È l’ora! ».
Hola e Narjus si riscossero.
Entrambi si inchinarono davanti ai tre Giudici Alti, poi si mossero alla volta del bolide. Dalla Torre Maggiore dell’Educandato Generale arrivarono, uno dopo l’altro gli ultimi sette rintocchi dell’Arco d’Argento.
Zeno salutò i due condannati battendo due volte la destra sul loro petto. Poi li aiutò a entrare nel razzo, prima la donna, dopo l’uomo. Narjus si voltò per fargli segno di chiudere. Zeno annuì. Ancora due volte, da lontano, la destra di lui si mosse leggermente in avanti in segno di saluto.
Il portello si richiuse con uno scatto secco. Zeno si avvicinò al quadro di comando e abbassò una leva.
Un fremito cominciò a percorrere la torre del Trapezio Stellare fino alla base, intanto che un sibilo altissimo rompeva l’aria.
Quando la lancetta dell’indicatore raggiunse il nove, Zeno abbassò un’altra leva.
Si udì, allora, un boato, e il bolide scattò verso l’alto ruggendo.
Tre minuti dopo era scomparso nella luce sanguigna del cielo.
(b)
Lo prese una sensazione di sconforto. Con le mani avvinghiate all’orlo dell’oblò, osservava intensamente gli astri innumerevoli che punteggiavano il vuoto. Nulla gli dava la prova del movimento, se non il vibratore Scax e tachimetro confusi tra gli altri cento strumenti del tavolo di comando. Il calcolatore della distanza-luce in anni Kranon non aveva nessun significato per lui, né poteva averne per Hola. Anche se il loro viaggio si fosse protratto senza interruzione per cento anni, sarebbe stato come se non si fossero mai mossi dal punto di partenza.
Dove si sarebbero fermati?
Quando?
Non era in grado di fare nessuna ipotesi in quel senso. Il loro futuro era nelle mani del caso. Non si sentiva di fare rimproveri a nessuno, nemmeno a Hola, o a se stesso, neppure ai Nove Tribunali di Glaxor. Ormai era inutile recriminare. Il loro pianeta si era perduto nella ererna notte siderale, ed ogni istante di più si allontanava