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Evaristo - Il Buono, rDucie, Il Cattivo (III)
Evaristo - Il Buono, rDucie, Il Cattivo (III)
Evaristo - Il Buono, rDucie, Il Cattivo (III)
Ebook116 pages1 hour

Evaristo - Il Buono, rDucie, Il Cattivo (III)

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About this ebook

Ma perché costruire un robottone gigante dentro il gazometro? È una follia. Gestione dei costi, permessi, procedure per appalti d'urgenza. Stavolta la sfida per il KMA è veramente grande, e come al solito i quattro micetti dovranno affrontare i propri fantasmi, il proprio passato, ma soprattutto Suor Paola, che nasconde un segreto più grande di tutti loro messi in fila.

LanguageItaliano
PublisherWalt Popester
Release dateMar 22, 2023
ISBN9798215926291
Evaristo - Il Buono, rDucie, Il Cattivo (III)
Author

Walt Popester

Classe 1985, Walt Popester ha navigato per anni in giro per il mondo, lasciando che le differenti culture, lingue, cucine, architetture e religioni contaminassero il suo modo di concepire l'esistenza e di scrivere. La saga Dark Fantasy ‘Dagger’ è il risultato di sette anni di ininterrotto lavoro, tra stedure ed editing continui, passati quasi interamente a cercare l’elemento esotico e il punto di rottura con la tradizione. Non ha gatti, non ha una coda da cavallo, ha un debole per l'Italia centrale e, quasi di conseguenza, pensa che una persona non dovrebbe avere più amici di quelli che può ospitare alla sua tavola.

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    Evaristo - Il Buono, rDucie, Il Cattivo (III) - Walt Popester

    Erfio Defedez era un bambino come tutti gli altri, almeno da quello che era possibile vedere dalla vita in su, ossia l’unica parte che i genitori inquadravano nei filmini caricati su InstaFans per macinare quattrini e visualizzazioni.

    Oh, amore, ma che stai facendooo? gnegnerò il papà, il celebre cantante Defedez.

    Il bambino, più biondo di un bimbonazista della Kinder, sorrise e mostrò le manine tutte impastate di colore. Poi una nota di tristezza attraversò i suoi occhietti e si rabbuiò.

    Defedez abbassò il telefono e si rivolse al figlio. Senti, piccolo figlio di put*ana. Ancora un minuto, poi torni nella cuccia fino a mezzogiorno, quando dobbiamo riprendere il pranzetto con te che ridi come un co*lione.

    Ma papaaaaa. Sono stancoooo.

    Don’t you papaaaaa me, avvertì Defedez con l’indice. Don’t! Come pensi che paghiamo quei vestitini di mer*a che ti metti, eh? Qua ci facciamo la celebrità da soli. Nessuno ce l’ha data, nessuno ce la toglierà!

    Ma papaaaaaa…

    Allora rivuoi il passato? La voce di Defedez si stava alzando. Allora rivuoi le case discografiche, i rifiuti con una lettera prestampata dopo mesi di attesa?! EH?! Vuoi rifinire in mano ai produttori, Erfio? Lo sai che vuol dire sopravvivere in questo mondo senza uno straccio di talento?

    Il bambino abbassò gli occhi.

    Il padre sbatté la mano sul tavolo. Produttori brava gente! urlò. Ti si ingroppano e poi non li vedi più! La tua generazione non saprà mai cosa significa. Due secondi e siete subito famosi, un secondo per i più bravi, cosa che non sei. Guarda tua sorella. Guarda che talento naturale a solo sei mesi, ha già otto miliardi di visualizzazioni. Persino in Congo, che neanche esiste più!

    Lo sooo, lamentò il bimbo, facendo riapparire le manine colorate. Facciamo video?

    Bravo. Risparmia la tua vita privata per le telecamere. Ancora un minuto e poi basta. E già che ci sei togliti la maglietta, così prendiamo anche quella fetta di mercato.

    Il bambino indossò nuovamente la maschera, come nonostante i rimproveri del padre aveva imparato a fare già a sei anni, e ricominciò a muovere le manine sporche di colore con il padre che lagnava: "Oooooh, ma sei un grande, amore", spontaneo quanto Manuela Arcuri in Carabinieri.

    Stavolta durò tutto molto poco. Nel filmino il bambino seguì le tacite indicazioni del padre, accettando senza protestare ciò che ancora non riusciva a capire, lasciandosi penetrare nel profondo della coscienza.

    Bravo. Defedez poggiò il telefono sul tavolo e afferrò le pesanti catene lì dove le aveva appoggiate, sopra uno sgabello fuori campo – le metteva lì perché temeva sempre che le catene del figlio finissero nell’inquadratura, e poi sai che casino, la gente sulla rete era un attimo che ti giudicava.

    Il bambino diligente chiuse gli anelli mezzi arrugginiti intorno alle caviglie, le gambe sporche e ricoperte dalle cicatrici da decubito lasciate dal ferro; forse iniziava a capire perché lo riprendevano solo dalla vita in su. Adesso giochi con meeee papaaaaaa?

    Ma vaf*an*ulo, rispose Defedez. Che senso avrebbe? Se non viene ripreso, non esiste. Un po’ come te.

    Il bambino abbassò il volto ma non pianse. Aveva imparato a essere coraggioso molto presto.

    Suonarono il campanello.

    Vai all’angolo adesso, mer*ina, e guai a te se piangi nuovamente perché hai fame. A nessuno piace un bambino grasso.

    Mamma Fregnetta quando torna?

    Defedez caricò un calcio, ma non lo sferrò. Il bambino corse verso la cuccia dove si cinse le ginocchia con le braccine colorate.

    Ti ho detto di chiamarla con nome e cognome!

    Mamma Fregnetta Mocia quando torna?

    Presto, cog*ione mio. Molto presto, non temere. Tanto glielo dico come ti sei comportato oggi. Vuoi finire in una scuola pubblica, eh? Vuoi azzuffarti nel fango in un cortile con i figli degli idraulici?

    Erfio scosse la testa.

    Bravo. Allora continua a recitare, sennò come la paghiamo la retta dell’American Sodom School?

    Suonarono nuovamente.

    E arrivo, caz*o! Sapete che non voglio essere interrotto quando lavoro, voi raider di mer*a che non sapete consegnare un riso basmati senza sale – e senza conservanti – in silenzio!

    Aprì la porta.

    Partì un fischio fuori campo fortissimo, a intensità fluttuante. Una musichetta da film giapponese si intensificò con i suoi squilli di tromba e tamburi, scemando d’un tratto per riportarlo allo sguardo davanti a lui: quello di un gatto con una katana fra le mani.

    AHH! urlò il gatto facendosi sotto.

    Defedez arretrò. Buon– Afferrò un vaso, che il micio infranse con la lama. E dai. E su– Defedez si mosse ancora indietro, difendendosi con il moncone del vaso. E ferm– Inciampò e finì a terra sotto i colpi del gatto. Ma ti vuoi ferm–

    AAHHHH! Il gatto mollò la katana e cercò di prendere a unghiate il cantant – ahahahahah scusate – la persona famosa.

    E VAF*AN*ULO! sbottò Defedez spingendolo indietro, prima di andarsi a nascondere dietro lo scatolone dei giocattoli del figlio; chiuso con un lucchetto a combinazione che solo mamma Fregnetta Mocia conosceva. È questo il meglio che sai fare, adesso? domandò.

    In tutta risposta, il ritratto della sua famiglia esplose in una pioggia di schegge.

    No, rispose il gatto. Mi hanno costretto a provare le armi giapponesi per una questione di contratto. Ma preferisco ancora i miei cari vecchi giocattolini.

    Defedez sorrise. Ti stavo aspettando, Evaristo.

    Evaristo ebbe un lampo. Con gli occhi più grandi del mondo?

    Defedez sentì probabilmente un brivido. Saltò fuori dal nascondiglio e iniziò a ballare e cantare: "Quante stelle ci girano intoooorno, se mi porti a ballareeeee! Labbra rosse coca colaaaa!"

    AH! Evaristo balzò fuori e sparò il raggio annichilitore contro Defedez, che in un lungo e sofferente Nnuoooooooo sparì dal mondo.

    La manina colorata del figlio fece ciao ciao.

    Evaristo avanzò verso le ceneri fumanti di Defedez, il suo indice ancora sul grilletto del fucile Fotticane X20. Au revoir, mediocre. Si voltò verso Erfio Defedez e lo raggiunse. Vieni qua, piccolino. È finita.

    Il bambino allungò le braccia e lasciò che il gatto lo prendesse da terra, portandolo fuori dove diversi agenti in divisa erano pronti per ogni evenienza. Avevano lasciato agire Evaristo da solo stavolta. Nessuno voleva ripetere quello che ormai tutti chiamavano l’incidente Aurora Ramazzotti.

    L’ispettore Bracho attendeva con le braccia incrociate davanti al petto, il suo inseparabile spolverino, i capelli corti e ricci, e il viso dalla pigmentazione scura.

    Il bambino, istintivamente, corse verso di lui e lo abbracciò.

    Che c’è, bambino? domandò Bracho. Ti ricordo qualcuno?

    Il bambino distolse gli occhi e una lacrima scese sul suo volto.

    Avanti, disse l’ispettore mettendolo a terra e dandogli un colpetto dietro la schiena. Fletti i muscoli e sparisci. Poi guardò il gatto. Grazie, Evaristo. Non avremmo potuto niente senza il tuo aiuto.

    Dovere, ispettore.

    "È già il quinto questo mese. Avresti

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