Quel profumo era casa mia
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Introdotti spesso dalla danza speculare dell’anafora, in questi versi emerge la sentita nostalgia di un amore perduto che riaffiora come un profumo inebriante; un amore che è metafora del bianco e del nero perché spegne i colori e rende incompleta la tela che dovrebbe manifestarlo. Talvolta plasma l’altro con il proprio egoismo e si allontana scavando la voragine del senso di abbandono.
Ma è risaputo che questo sentimento è ricco di contraddizioni, un intreccio simbiotico di amore e odio. È una fusione che porta a sconfinare nell’altro valicando ogni limite, perdendosi nell’amato fino a fare, della sua essenza, la propria.
Beatrice Pizzuti nasce a Marino, in provincia di Roma, il 10 ottobre del 1998.
Sin da piccola, appassionata di storia, arte e letteratura, è una divoratrice seriale di libri.
Segretaria di giorno e studentessa di giurisprudenza di sera, cerca costantemente di ritagliarsi un piccolo spazio per sé stessa attraverso la scrittura.
Quel profumo era casa mia (Le cose che non ti ho mai detto) è il suo primo libro, nato come un diario di sfogo, trasformatosi poi in un dialogo fra lei e il lettore.
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Quel profumo era casa mia - Beatrice Pizzuti
Prefazione di Marina Sarracino
«Mi basta sentirti per dieci minuti
che il mio umore si trasforma
radicalmente.
Come se fossi la mia medicina
in questo mondo tossico;
la mia dose giornaliera
di calma e felicità.»
È l’Amore che domina come protagonista indiscusso la poetica di Beatrice Pizzuti. Inquadrato dalle sue prospettive più sfaccettate, vissuto sempre con grande intensità, questo sentimento è custodito nell’abbraccio di versi avvolgenti come intimi racconti che trasmettono emozioni profonde e universali.
Introdotti spesso dalla danza speculare dell’anafora, in questi versi emerge la sentita nostalgia di un amore perduto che riaffiora come un profumo inebriante; un amore che è metafora del bianco e del nero perché spegne i colori e rende incompleta la tela che dovrebbe manifestarlo. Talvolta plasma l’altro con il proprio egoismo e si allontana scavando la voragine del senso di abbandono.
Ma è risaputo che questo sentimento è ricco di contraddizioni, un intreccio simbiotico di amore e odio. È una fusione che porta a sconfinare nell’altro valicando ogni limite, perdendosi nell’amato fino a fare, della sua essenza, la propria.
L’amore s’imprime per sempre oltre la pelle, come un tatuaggio, ma diventa come fumo quando gli sforzi per solidificarlo sono vani. Può costruire gabbie nelle quali ci si rinchiude, e si ha paura a liberarsi. Può assumere le sembianze di una fiaba, ma poi rivelare che l’orco è proprio il coprotagonista e che tocca lottare contro le sofferenze che procura come una vera eroina.
È magico il ricordo dell’amore quando sboccia, e inevitabilmente induce a chiedersi se il tempo – un tempo maggiore – avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi. L’amore può rincuorare o confondere come un sogno.
Ho provato tante volte a dire basta.
A cercare di andare avanti, senza che il tuo fantasma mi seguisse passo dopo passo.
Ma ogni volta che ci provavo, che mi impegnavo davvero, tu mi riportavi di nuovo giù nella tua rete.
E nonostante io provassi a uscirne, il tuo potere era talmente forte da portarmi ancora più giù.
Alla fine ho realizzato che, per riuscire davvero a essere libera dalla tua presa, dovevo sprofondare negli abissi. Sperando che la rete si rompesse, per tornare in superficie.
Per tornare a respirare.
Per tornare a vivere.
A vivere per me.
(Vivere per me)
Alcuni dei componimenti di Beatrice Pizzuti sono autentiche dediche, come quella rivolta all’amica più cara o ai suoi genitori e ad altri affetti.
L’autrice torna poi a riconsiderare il potere del tempo, così mutevole ma forse riafferrabile. Ricorda l’epoca in cui la genuinità dell’amore faceva credere che il solo specchiarsi negli occhi dell’amato, lasciando sparire i contorni, avesse un immenso valore. Sono tante la metafore a