I Socratici Minori
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Book preview
I Socratici Minori - Mirco Mariucci
Quarta di copertina
All’interno di quest’opera l’autore espone, in modo chiaro e sistematico, il pensiero dei cosiddetti socratici minori (scuola megarica: Euclide di Megara, Eubulide di Mileto, Diodoro Crono e Stilpone di Megara; corrente cinica: Antistene di Atene e Diogene di Sinope; scuola cirenaica: Aristippo di Cirene, Arete di Cirene, Aristippo il Giovane, Teodoro l'Ateo, Egesia di Cirene e Anniceride di Cirene).
La Scuola Megarica
«Euclide di Megara, discepolo di Socrate, dal quale megarici sono chiamati i suoi discepoli, i quali affermano che il bene è unico e sempre simile a se stesso». Cicerone, Academica
Se un uomo dice: «Io sto mentendo!», mente o dice il vero? Eubulide
«Ci sono alcuni i quali, come i Megarici, dicono che solo quando una cosa è in atto può essere, mentre quando non è in atto non può neppure essere. Per esempio, chi non sta costruendo non può costruire, ma è un costruttore solo quando sta costruendo». Aristotele, Metafisica
Quando Demetrio I Poliorcete, conquistata Megara, chiese al filosofo Stilpone se avesse perso qualcosa, egli rispose: «Nulla, ho tutto con me!». Seneca, Epistulae Morales
Euclide di Megara
1_Euclide_MegaraEuclide di Megara: filosofo socratico greco antico fondatore della scuola megarica.
L’Antica Grecia diede i natali a tre personaggi omonimi, la cui importanza ha fatto sì che il loro nome, ovvero Euclide (in greco antico Εὐκλείδης, Eukléidēs), giungesse fino ai giorni nostri rispettivamente custodito nei libri di storia, matematica e filosofia.
Il primo di questa curiosa terna fu un arconte ateniese che visse verso la fine del V secolo a.C. e salì al potere dal 403 al 402 a.C..
Durante il suo arcontato, Euclide contribuì alla restaurazione della pace e della democrazia, avviando la ricostruzione di Atene, che aveva subito i danni dovuti ad una guerra civile.
Di lui si dice che fosse incorruttibile e di tutt’altra pasta rispetto a quella dei Trenta Tiranni che lo precedettero.
Egli è principalmente ricordato per aver decretato l’adozione, per gli ateniesi, della variante ionica dell’alfabeto greco che, nei decenni successivi, si diffuse ampiamente tra le popolazioni della Grecia antica.
Il secondo Euclide, facente parte della suddetta terna di omonimi, è il più noto: si tratta del grande matematico, da molti reputato come il più importante della storia antica, che operò in Alessandria tra il 320 e il 270 a. C..
Il suo merito principale consiste nell’aver ampliato ed organizzato in modo sistematico la conoscenza matematica dell’epoca, adottando una rigorosa impostazione basata su assiomi, proposizioni e dimostrazioni.
La sua magnum opus, gli Elementi (in greco antico Στοιχεῖα, Stoichêia), è formata da tredici volumi: i primi sei riguardano la geometria piana, i successivi quattro i rapporti tra grandezze ed i restanti la geometria solida.
Il poderoso impatto di quest’opera sulla cultura occidentale è testimoniato dall’elevato numero di sue edizioni, superato in quantità soltanto dalla Bibbia.
Proclo racconta che, un giorno, Tolomeo chiese ad Euclide se non ci fosse una via più breve degli Elementi per apprendere la geometria; ma egli gli rispose che la geometria non ammette vie fatte apposta per i re!
Il terzo dei tre omonimi, di cui ci occuperemo in modo più approfondito, è Euclide di Megara (435 a.C. circa - 365 a.C. circa).
Le notizie relative alla sua vita sono scarse e le sue opere sono andate perdute. Non di rado, editori e traduttori medioevali lo confusero con il celebre matematico a cui abbiamo or ora accennato.
Egli era un vero filosofo di stampo socratico, il cui pensiero risentiva anche della corrente eleatica, della quale Parmenide fu il maggiore esponente.
È noto che Euclide fosse sia allievo di Zenone, a sua volta discepolo di Parmenide, che di Socrate. Ciò spiega i tratti fondamentali di quella che, in seguito, diverrà la sua corrente filosofica.
Fintanto che Socrate era in vita, Euclide seguì le sue lezioni recandosi di persona ad Atene, correndo dei grandi pericoli.
In quei tempi, infatti, a causa di un decreto, gli ateniesi non esitavano a catturare e condannare a morte i megaresi che s’introducevano nella loro città; ma Euclide continuò lo stesso a recarsi ad Atene con regolarità, valcando il confine, di notte, travestendosi da donna!
Dopo che Socrate fu condannato a morte nel 399 a.C., il filosofo di Megara si ristabilì nella sua città natale, cercando di dar seguito agli insegnamenti dei suoi maestri.
È in questo periodo che Euclide sviluppò la propria corrente filosofica, fondando la scuola megarica.
In estrema sintesi, si può dire che il tratto caratteristico della sua filosofia risieda nell’aver realizzato una sorta di sincretismo sinergico tra l’etica socratica e l’ontologia eleatica.
Socrate riteneva che esistesse soltanto un bene, la conoscenza, e soltanto un male, l’ignoranza. E che il bene esercitasse una forza attrattiva irrefrenabile nei confronti dell’essere umano.
Pertanto chi compie il male non lo fa perché è cattivo, ma a causa della sua ignoranza rispetto a cosa sia il bene.
Parmenide, utilizzando esclusivamente la ragione, riteneva di aver colto la vera natura dell’essere.
A suo avviso, i mutamenti e la molteplicità del mondo fisico sarebbero pure illusioni dei sensi, in quanto, in verità, esisterebbe un’unica realtà: immutabile, immobile, eterna, ingenerata, immortale, finita (nel senso di compiuta) ed omogenea.
Euclide, dal canto suo, non si limitava a sostenere socraticamente che il bene fosse uno solo, sebbene gli esseri umani lo chiamassero con molti nomi differenti (a volte saggezza, altre volte dio, altre volte ancora intelletto... e così via), ma lo caratterizzò attribuendogli le qualità dell’essere parmenideo.
In questo modo egli affermò il valore ontologico, e non soltanto puramente morale, del bene socratico.
Si può quindi sostenere che, per Euclide, il Bene è l’Essere: è questa l’identità fondamentale della scuola megarica.
Degli eleati Euclide adottò anche il metodo, ispirandosi, in particolar modo, a Zenone di Elea: egli era un razionalista che prestava fede alla ragione e, al celebre dialogo socratico, preferiva una dialettica con tratti eristici, volta alla confutazione delle posizioni degli avversari e alla persuasione degli interlocutori.
A tal fine Euclide ricorreva alla reductio ad absurdum (locuzione latina traducibile come riduzione all’assurdo), una tecnica argomentativa che non attacca le premesse, bensì le conclusioni, assumendo temporaneamente come vera la tesi da confutare, al fine di derivare, con dei passaggi logico-razionali, una contraddizione.
Se ciò accade, e le inferenze sono valide, non si può far altro che concludere che la tesi assunta come vera per assurdo, in realtà, sia falsa, giacché la logica c’insegna che, mediante un’argomentazione corretta, il vero non può implicare il falso.
Di conseguenza, se il Bene è uno, e coincide con l’Essere, che è la vera realtà, Euclide non poteva far altro che negare la realtà delle cose contrarie al bene, sostenendo che esse non sono
.
E siccome Socrate insegnava anche che la conoscenza del bene è la virtù, come corollario, il filosofo di Megara ammetteva che anche la virtù fosse unica e quindi le varie virtù elencate dai filosofi non erano altro che nomi diversi utilizzati per indicare la stessa cosa
.
Non posso fare a meno di far notare al lettore come queste considerazioni relative al bene abbiano un qualcosa in comune con gli insegnamenti