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Indigo. The Way Is the Goal
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Ebook172 pages2 hours

Indigo. The Way Is the Goal

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The Way Is The Goal è il racconto di un viaggio che si rivela necessario nel momento in cui la giovinezza si scontra con le responsabilità di una vita più adulta e la confusione è l’unica guida verso scelte più o meno convincenti. È la storia di un ragazzo che non cerca risposte, ma stimoli che rendano più frizzante la vita quotidiana. Il primo libro di Federico Dapor è la narrazione di tutte le avventure vissute lungo il cammino di Santiago di Compostela, su strade infinite e bruciate dal sole, accompagnato da una solitudine fraterna e dagli abbracci sinceri degli amici pellegrini. Il risultato di tutto questo girovagare, per luoghi sconosciuti e tra le sue riflessioni più intime, è un libro di grande intensità emotiva che tratteggia a parole i contorni di una Spagna autentica e appassionante e ci porta a conoscere gli interstizi più profondi dell’animo di chi non si stanca di andare oltre.

Federico Dapor è nato nel 1989 a Rovereto, in provincia di Trento. È laureato in Filosofia e insegna in una scuola superiore. Fin da bambino ha sempre avuto una grande passione per i libri e le avventure. Un giorno partì per un viaggio senza meta. Aveva con sé un diario, uno zaino e tanta voglia di esplorare il mondo. Il suo diario si è poi trasformato nella trama di un romanzo.
LanguageItaliano
Release dateDec 31, 2022
ISBN9788830675346
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    Indigo. The Way Is the Goal - Federico Dapor

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Prefazione: One way ticket?

    Indigo è un termine inglese dai diversi significati. Letteralmente indica un colore, l’indaco. Con la parola indigo, però, qui si definisce una generazione di ragazzi e ragazze nati a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90. Questi ragazzi sono ora i nuovi adulti senza obiettivi né piani definiti in anticipo. Sono quelli che pensano di non avere età e che si precipitano in ogni avventura che gli si presenta innanzi per il semplice gusto di esplorare un mondo nuovo e differente. Sono quei ragazzi che, se gli si chiede cosa vogliono fare nella vita, non risponderanno secondo le categorie delle vecchie generazioni abbagliate dal mito del posto di lavoro fisso.

    La storia del concetto di indigo è piuttosto intricata. Affonda le sue radici in campo religioso, nella cultura New Age, ma è anche connessa al mondo secolare. In contesti laici, il termine è usato per indicare bambini particolarmente empatici, dotati di profonda creatività e forza di volontà. Questi bambini fin dalla tenera infanzia sviluppano uno spirito anarchico e problematico per il sistema e per l’autorità costituita e, anche in età adulta, continueranno a presentare un’accentuata inclinazione verso il mondo spirituale. Gli autori New Age Nancy Ann Tappe, Lee Carroll e Jan Tober nelle loro opere a sfondo escatologico hanno notato una sempre più alta percentuale di nascite di bambini indigo a partire dagli anni ‘90. Nell’opinione di Tappe, ciò sarebbe il segno della venuta imminente di una nuova umanità che, più delle vecchie generazioni, si impegnerà a mantenere la pace mondiale e a salvaguardare l’ambiente. Questa è un’utopia. Ora, è noto che l’utopia è il sogno irrealizzabile degli sconfitti e degli ultimi della Terra. È il sogno di chi non ha il potere di realizzare sogni. È il sogno dei perdenti e degli emarginati. Dei falliti.

    Come ogni parola che porta in sé migliaia di significati nascosti, anche la categoria indigo si presta a diverse interpretazioni. Gli indigo sono oggi i ragazzi e le ragazze che non si sentono mai al posto giusto, a cui ogni luogo veste troppo stretto e per i quali è impellente la necessità di cambiare la loro vita per contribuire a cambiare la società. Sono sognatori ai margini del mondo. Gli indigo sono i viaggiatori che si spostano in bicicletta o a piedi, che percorrono centinaia di chilometri con Blablacar, che trovano alloggi dai couchsurfer sparsi nelle più diverse regioni del mondo, che esplorano territori vicini e lontani e che visitano le metropoli di notte, perché la notte è il momento perfetto per gli incontri più inaspettati.

    Ne potrai trovare a bizzeffe nelle grandi città europee come nei più sperduti paesini dell’America Latina, negli USA come in Asia. Sono i giovani adulti di ogni tempo che, stanchi della secchezza dei valori dell’Occidente e non più vincolati alla morale cristiana, vedono il vecchio mondo dei loro padri come una bolla di sapone dentro la quale si credeva di poter vivere tranquilli. La bolla ora è esplosa. L’Europa tramonta, ma loro no. E quindi partono per non tornare più.

    Quella che segue è la mia storia indigo. Buona lettura.

    I parte. A zonzo

    Attraverso l’Andalusia

    Ho 27 anni. Quasi 28 per essere precisi. Quando ero piccolo in molti mi dicevano che avevo davanti a me un avvenire promettente. Ero un bambino e avevo tutto il futuro di fronte a me. Io ascoltavo, ma non capivo. Andavo a scuola tutti i giorni e dello studio non mi interessavo granché. Ci andavo solo per obbligo. Ricordo come fosse ieri i miei innumerevoli tentativi di evitare la noiosa routine scolastica nascondendomi nell’armadio dei miei alla mattina, o fingendo febbri e mal di pancia. Scaldavo il termometro sul termosifone. Un genio. Ciò non toglie che fossi un bravo studente. Però pensavo: Studiare, studiare. A che pro?. Dentro al mio cuore suonava una musica irrequieta, con la mia anima interrogavo la natura e nei miei sogni esploravo il mondo. In classe, come nella vita quotidiana, ero spesso distratto, probabilmente per la noiosa monotonia di un mondo sempre uguale a se stesso. Il che poteva essere un bene, ma poteva anche essere un male. Che il mondo fosse sempre uguale a se stesso, intendo.

    Durante le lezioni, tra i numeri e le lettere scritti sulla lavagna, vedevo definirsi le fantasie che attraversavano i miei pensieri. Erano sogni fantastici che poco avevano a che fare con la lezione vera e propria. Se il tema era Cristoforo Colombo, io immaginavo di attraversare l’oceano per scoprire un nuovo continente, magari Atlantide, o, forse, un’isola sconosciuta.

    Una volta cresciuto e terminati i miei studi universitari in Filosofia, ottenni una cattedra in una scuola elementare.

    Facevo il maestro in una scuola vicino alla mia città quando mi voltai indietro per lanciare un’occhiata al mio passato. Fino a quel momento avevo sempre e solo vissuto nel presente e, occasionalmente, avevo immaginato il mio futuro. Pensai fosse giunta l’ora per me di fermarmi un momento a guardare cosa avessi lasciato indietro, ma nel mio passato vidi solo un cumulo di esperienze disorganizzate: progetti mai portati a termine, sogni sconclusionati e irrealizzabili. Che fare per riscattarmi e respirare aria nuova? Il lavoro mi piaceva, ma sentivo che il mio destino a breve mi avrebbe spinto in un’altra direzione. Così, d’improvviso, presi la decisione di lasciare tutto e tutti per andare a fare un viaggio. La meta sarebbe stata la Spagna, la durata indefinita. Si dice che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ma io, contrariamente all’opinione comune, dico che le cose sono più facili a farsi che a dirsi. Così ora sono a Malaga, Andalusia, dopo un veloce spostamento in aereo dall’aeroporto di Bergamo. Casa è lontana e un nuovo mondo attende di essere esplorato. La Spagna è calda e il cielo è grigio.

    Sono atterrato questa mattina sul suolo spagnolo e con un bus ho raggiunto la stazione dei treni María Zambrano. Il centro dista dalla stazione circa mezz’ora di cammino. Percorro le vie trafficate con in spalla il mio zaino rosso e Google Maps nella mia mano destra. Prima di partire ho comprato uno smartphone. Ho pensato che durante il viaggio mi sarebbe potuto tornare utile per organizzare gli spostamenti da una città all’altra e per riuscire a trovare in tempi brevi gli alloggi per la notte. Arrivo a la Plaza de la Merced in men che non si dica e all’entrata di un bar vengo bloccato da una donna. Lei è ubriaca e disperata.

    – Pellegrino! – mi grida in spagnolo. – Pellegrino di Santiago! Fermati!

    Il mio abbigliamento e il mio zaino tradiscono le mie intenzioni, penso.

    – Ti prego, fermati con me qualche minuto. Ho il cuore spezzato e ho bisogno di qualcuno con cui parlare – mi dice tirandomi per un braccio. Mi racconta che il giorno prima è stata lasciata dal suo ragazzo. Che era molto più giovane di lei. Davvero molto. E che però lei ne è follemente innamorata. Mi domando cosa l’abbia spinta a fermare me, aspirante pellegrino di Santiago. Probabilmente l’alcol.

    Io non so bene come comportarmi. È mezzogiorno e lei puzza di vino. È ubriaca dal giorno precedente. Le offro un café con leche mentre lei prosegue con il suo monologo sull’amore infranto. Finisco il mio caffè e, dopo alcuni minuti, la saluto e me ne vado lasciandola piangere al bancone del bar. Dei mille volti della disperazione e dell’amore, quello di una donna inconsolabile è di certo l’ultimo che mi aspettavo di incontrare, rifletto allontanandomi da Plaza de la Merced.

    Ho prenotato una stanza attraverso il sito web Airbnb e ho appuntamento all’una per farmi dare le chiavi dell’alloggio. La casa si trova a pochi minuti a piedi dal centro. Ad attendermi trovo Celeste, una ragazza argentina. Lei ha appena finito di pulire le stanze e ora sta sistemando la cucina. Chiacchiera con me per una mezz’ora. Qui in Spagna il tempo scorre più lentamente che nel resto del mondo. Tutti trovano sempre cinque minuti per scambiare due parole con chiunque e nelle strade si respira aria di libertà. Dico a Celeste che voglio andare a piedi a Santiago de Compostela per

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