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La Chiesa di S. Anna di Farnese - uno scrigno prezioso tra storia farnesiana, fede, arte, culto mariano e dottrina ermetico esoterica ed alchemico-ermetica
La Chiesa di S. Anna di Farnese - uno scrigno prezioso tra storia farnesiana, fede, arte, culto mariano e dottrina ermetico esoterica ed alchemico-ermetica
La Chiesa di S. Anna di Farnese - uno scrigno prezioso tra storia farnesiana, fede, arte, culto mariano e dottrina ermetico esoterica ed alchemico-ermetica
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La Chiesa di S. Anna di Farnese - uno scrigno prezioso tra storia farnesiana, fede, arte, culto mariano e dottrina ermetico esoterica ed alchemico-ermetica

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About this ebook

Un percorso straordinario all'interno degli affreschi che decorano una piccola chiesa di campagna, eretta dagli abitanti del paese di Farnese per adempiere a un voto, fatto alla Vergine, in occasione di una grande invasione di cavallette che, nella seconda metà del Cinquecento, aveva distrutto gran parte della produzione agricola.

Seguendo l'itinerario, scoprirete la connessione tra fede cattolica e arte, attraverso le opere del talentuoso pittore bolognese Antonio Maria Panico, che nel 1596 creò questi affreschi sotto la guida del patrono Mario Farnese. Oltre a essere una testimonianza della fede, questi affreschi sono anche una fonte di simbolismo alchemico-esoterico, che svelerà la sua verità solo a chi saprà decifrarla.

Scoprite questo itinerario insolito ed enigmatico, che vi condurrà alla scoperta della chiesetta e dei suoi tesori artistici, tra filosofia, simbolismo e dottrina alchemico-esoterica. Questo libro vi guiderà attraverso un cammino che unisce la bellezza dell'arte con la profondità della fede e della filosofia, e sarà sia una guida turistica che un manuale d'arte e compendio di filosofia, simbolismo e dottrina alchemico-esoterica.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 13, 2023
ISBN9791221447804
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    La Chiesa di S. Anna di Farnese - uno scrigno prezioso tra storia farnesiana, fede, arte, culto mariano e dottrina ermetico esoterica ed alchemico-ermetica - Bonaventura Caprio

    Indice

    INTRODUZIONE

    Ferrante Farnese

    Mario Farnese

    MARIO FARNESE MECENATE E COMMITTENTE ARTISTICO

    ANTONIO MARIA PANICO PITTORE BOLOGNESE

    LA CHIESA DI SANT’ANNA DI FARNESE

    LA CHIESA DI SANT’ANNA: UNA DIMORA FILOSOFALE?

    Introduzione al simbolismo

    Introduzione all’Esoterismo

    Introduzione all’Ermetismo

    Introduzione all’Alchimia

    Quintessenza o quinto elemento

    Le fasi dell’Opera alchemica

    Breve storia dell’alchimia

    LA CHIESA DI SANT’ANNA TRA ARTE, FEDE CATTOLICA, ALCHIMIA, ERMETISMO ED ESOTERISMO

    SANT’ANNA E IL SUO CULTO

    Anna Perenna

    Sant’Anna e la Grande Madre

    Sant’Anna Trinitaria o Metterza

    Sant’Anna, la Madonna Nera e i Templari

    INTERNO DELLA CHIESA DI SANT’ANNA

    La parete dell’altare

    GLI AFFRESCHI DELLA VELA A NORD O DELL’ANNUNCIAZIONE A SANT’ANNA

    Interspazio verticale posto alla sinistra e in basso del riquadro dell’Annunciazione a Sant’Anna.

    Interspazio verticale alla destra dell’Annunciazione a Sant’Anna

    Medaglioni monocromi posti all’incrocio tra gli interspazi verticali e quelli orizzontali

    Parte superiore degli interspazi verticali sinistro e destro.

    Interspazi orizzontali

    Interspazio orizzontale centrale tra i due medaglioni

    Interspazio orizzontale centrale destro

    Interspazio circolare superiore sinistro e destro

    VELA AD EST O DELLA NATIVITÀ DELLA VERGINE

    Riquadri con bassorilievi ai lati della natività

    Interspazi orizzontali

    Interspazi verticali inferiori

    VELA A SUD O DELLA DORMITIO VIRGINIS

    Riquadro affrescato a sinistra della Dormitio Virginis

    Riquadro affrescato a destra della Dormitio Virginis

    Riquadri superiori

    Interspazio verticale a sinistra del riquadro della Dormitio

    Incrocio tra l’interspazio verticale e quello orizzontale.

    Interspazio verticale a destra della Dormitio Virginis

    Interspazi orizzontali

    VELA AD OVEST O DELL’ASSUNZIONE DELLA VERGINE

    Fascia superiore dei riquadri della vela ad Ovest

    Interspazio verticale sinistro a fianco dell’Assunzione

    Incrocio tra interspazio verticale sinistro e orizzontale

    Interspazio verticale destro a fianco dell’Assunzione

    Interspazio verticale destro al di sopra dell’incrocio

    Interspazio orizzontale centrale

    Contorni della vela a Ovest

    LANTERNA

    BIBLIOGRAFIA

    Bonaventura Caprio

    LA CHIESA DI SANT’ANNA DI FARNESE

    Uno scrigno prezioso tra storia farnesiana, fede, arte, culto mariano e dottrina ermetico esoterica

    Youcanprint

    Titolo / La chiesa di Sant’Anna di Farnese. Uno scrigno prezioso tra storia farnesiana, fede, arte, culto mariano e dottrina ermetico esoterica.

    Autore / Bonaventura Caprio

    In copertina: Immagini della Chiesa di Sant’Anna di Farnese.

    ISBN / 9791221447804

    2022 – Tutti i diritti riservati all’Autore.

    Questa opera è pubblicata direttamente dall’Autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l’Autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore.

    Youcanprint

    Via Marco Biagi 6 – 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    INTRODUZIONE

    Il 2 di luglio 1450, in Ischia di Castro (VT), Ranuccio il Vecchio, considerato il capostipite della famiglia Farnese, dettò il suo testamento.¹

    In questo documento lasciava ai suoi eredi una base stabile di prestigio e di potere, oltre che una solida ricchezza, costituita da feudi, fondi rurali, bestiame, possessi immobiliari e investimenti finanziari.

    Al fratello Bartolomeo riconosceva, in particolare, i diritti su Latera, Farnese e le tenute di Sala, Mezzano e Castiglione, mentre ai suoi figli maschi Gabriele Francesco, Angelo e Pierluigi, trasmetteva i possessi di Ischia, Tessennano, Cellere, Pianano, Valentano, Capodimonte, Piansano, Marta, le isole Martana e Bisentina, Canino, Gradoli, Badia al Ponte e Musignano, preoccupandosi di assicurare la gestione e l’indivisibilità del patrimonio attraverso obbligazioni di mutuo aiuto, consiglio e reciproca legazione tra gli eredi. Alle figlie femmine destinava, invece, una buona dote.

    Con la sua scomparsa, il 10 agosto 1450, l’albero genealogico dei Farnese imboccò chiaramente due strade diverse.

    Da una parte troviamo i figli di Ranuccio, vale a dire Gabriele Francesco, altri eredi e soprattutto Pier Luigi, da cui nascerà Alessandro, futuro Papa Paolo III e da cui avranno origine i duchi di Castro e Ronciglione e di Parma e Piacenza.

    Dall’altra, la linea del fratello Meo (Bartolomeo), che rimarrà fedele al luogo di origine, con Pier Bertoldo (o Pietro Bertoldo) e Galeazzo, che sarà poi quella di Latera e Farnese.

    Per alcuni decenni, però, tale divisione fu solo formale e i Farnese continuarono ad amministrare le loro proprietà e a pagare in comune i tributi dei loro feudi allo Stato Pontificio, pur con una prevalenza di potere e di autorità della discendenza di Ranuccio il Vecchio.

    In questa sede seguiremo espressamente solo alcune vicende della linea di Latera e Farnese e specificatamente certi aspetti culturali e artistici di due dei numerosissimi figli di Pier Bertoldo II e della moglie Giulia Acquaviva: Ferrante e Mario.²

    Ferrante Farnese

    Ferrante Farnese fu il figlio primogenito e dal Liber Baptizatorum (1543-1574) di Farnese risulta nato il 3 dicembre 1543. «Nei libri de’ Consigli della Comunità di Latera si trova nominato anche come Ferdinando».³

    Fu avviato da bambino alla carriera ecclesiastica, anche se mancano informazioni precise circa la sua formazione, probabilmente orientata verso gli studi giuridici, considerata la sua nomina a referendario «utriusque signaturae» sotto Pio IV (Giovanni Angelo Medici, 1499-1565).

    L’appartenenza alla famiglia Farnese, la solidità dei suoi princìpi, la giusta devozione alla Chiesa e la sua accortezza, furono le chiavi che lo fecero entrare nelle simpatie del potente Vicecancelliere Alessandro Farnese e che gli aprirono le porte verso una rapida carriera religiosa.

    Dal 10 aprile al 31 ottobre 1569, fu nominato vice Legato della provincia di Viterbo e dal 21 agosto 1572, vescovo di Montefiascone e di Corneto (Tarquinia). Ferrante sostituì in questa carica, al tempo di Gregorio XIII, proprio il parente «cardinal nipote» Alessandro Farnese rinunciatario in suo favore.

    L’anno successivo, il 30 marzo 1573, fu nominato vescovo di Parma, incarico che mantenne, anche se faticosamente, per ben trentuno anni.

    La permanenza in quella città non fu agevole per Ferrante ed ebbe fasi alterne e non sempre lineari. Per un vescovo con la moralità come la sua, cosciente dei suoi doveri di rappresentante della Chiesa, che si trovava a coesistere con Ottavio Farnese, un duca parente, forte politicamente e sempre più cosciente dei suoi diritti assoluti, del forte appoggio della curia romana e che commetteva continue ingerenze negli affari della diocesi parmense, non fu un periodo facile.

    Nel 1591 Ferrante fu nominato vice Legato a Bologna, carica che conservò sino al 21 marzo dell’anno successivo.

    Nel 1596 si prese una pausa dai problemi amministrativi e burocratici che assillavano il suo vescovato, per cercare un po’ di tranquillità nel suo feudo di Latera e Farnese, ma fu colpito dal cosiddetto «male della pietra», meglio conosciuto come calcolosi delle vie urinarie.

    La drammatica malattia fu narrata tra i racconti dei miracoli della Madonna della Quercia di Viterbo, sia da frate Tommaso Bandoni da Lucca che, successivamente, nel 1725, da frate Nicolò Maria Torelli. Particolarmente interessanti, anche perché ci testimoniano indirettamente le conoscenze mediche dell’epoca, sono gli episodi dolorosi patiti dal Farnese, che da buon religioso attribuì la sua guarigione ad un miracolo da parte della Madonna della Quercia, alla quale tutti i Farnese erano devoti. Come ringraziamento e come era usanza dell'epoca, Ferrante donò alla basilica una statua in cera con il suo volto dipinto al naturale e, nel 1602, quando il Consiglio dei frati della Quercia decise che si dovevano affrescare le pareti e le ventisei lunette del Chiostro della Cisterna con le storie dei miracoli della Madonna della Quercia, perché altrimenti sarebbero andate perdute o dimenticate dai fedeli, versò una somma in elemosina per realizzarle.

    L’esecuzione degli affreschi richiese alcuni decenni, fino oltre la metà del secolo (1663-1665 circa), come risulta da alcune lunette datate.

    Ad un’impresa così vasta parteciparono varie maestranze e pittori con stili diversi. Tra quest'ultimi ricordiamo Pompeo Carosi, Camillo Donati di Bagnaia, Marzio Ganassini e Ludovico Nucci di Viterbo.

    Nel 1625-26, il frate lettore Michele Zazzera fece dipingere dal pittore Francesco Allegrini (1587-1663), il riquadro con doppio miracolo di Bernardo Franceschetti da Farnese e di Ferrante Farnese.

    È grazie a questo gesto che è giunto fino a noi il ritratto fedele di Ferrante Farnese, dato che la sua statua in cera è andata perduta.

    Negli ultimi anni della sua vita si ritirò a Latera, come emerge dagli atti del Comune, occupandosi, senza troppo fervore, dell’amministrazione dei possedimenti familiari e dei restauri dei palazzi di famiglia e di alcune chiese.

    Nel 1596 acquistò in Farnese quella che era nota come la vigna della Galeazza, venduta al prezzo di settanta scudi dagli eredi di Francesco di Alessandro Cesari.⁸ Tale acquisto rientrava in una sistematica serie di acquisizioni di proprietà terriere nel territorio di Farnese, messa in atto da Ferrante nel corso di quello stesso anno.

    Morì nel 1606, compianto e ammirato dai suoi sudditi e fu sepolto nella chiesa dei Cappuccini in Farnese, che egli stesso, insieme al fratello Mario, aveva fatto costruire per la nuora Camilla Meli Lupi di Soragna e che aveva consacrato nel 1587.

    Fig. 1. Viterbo. Chiostro della chiesa della Madonna della Quercia.

    Ritratto di Ferrante Farnese, attribuito a Francesco Allegrini. 1625-26.

    Mario Farnese

    Per quanto riguarda il fratello Mario Farnese, secondo la storiografia ufficiale, dovrebbe essere il quartogenito figlio maschio di Pier Bertoldo II Farnese e di Giulia Acquaviva d’Aragona.

    Il condizionale è d’obbligo perché di lui non si conosce con precisione né il luogo, né l’esatta data di nascita, in quanto non risulta registrato nel Libro dei Battezzati della parrocchia di Farnese e neanche in quello di Latera, che, però, è incompleto e in gran parte disperso.

    Seguendo, tuttavia, un ragionamento logico, basato sulle date di nascita certe e conosciute dei fratelli e delle sorelle, possiamo tentare di ricavare, con una buona approssimazione, anche la data di nascita di Mario.

    Possiamo allora dire che, essendo il fratello maggiore Ferdinando o Ferrante nato nel 1543, Galeazzo II nel 1544, Fabio il 22 gennaio 1547 e la sorella Isabella il 31 dicembre 1548, con molta probabilità, Mario nacque da parto gemellare con Alessandro ¹⁰, tra la fine del 1547 e gli inizi del 1548.

    Secondo le tradizioni di famiglia, il padre Pier Bertoldo aveva stabilito di far intraprendere al primogenito Ferdinando la carriera ecclesiastica e a Galeazzo, Fabio e Mario quella militare, che all’epoca poteva ancora costituire una buona professione e garantire rilevanti guadagni.

    Fabio e Mario, quasi coetanei, furono, pertanto, inviati, giovanissimi presso la corte dei parenti di Parma, in modo da poter imparare bene l’utilizzo delle armi, studiare i manuali di guerra, di tecnologia di assalto e di strategie difensive all’avanguardia, oltre ad ascoltare i consigli e le lezioni dei principali condottieri dell’epoca.

    Nel giro di pochi decenni, lo scenario militare e dei campi di battaglia si era completamente trasformato, era cambiato il modo di reclutare e organizzare un esercito, di armarlo e di disporlo, sia su terra che in mare, ed era mutato anche il modo di erigere una fortificazione e di affrontare un assedio.

    Erano finiti i tempi della «lancia» e della cavalleria pesante medievale.

    I signori e gli aristocratici che intendevano intraprendere la carriera militare dovevano conoscere bene i nuovi sistemi di conduzione di una guerra o di porre un assedio. Dovevano studiare e addestrarsi per apprendere le nuove strategie militari, per essere al passo con i tempi, andando, proprio come i fratelli Farnese, presso uno stato, un principato o un ducato più importante, che avesse un esercito strutturato secondo i nuovi modelli bellici, meglio se collegato ad una delle grandi potenze europee.

    Il ducato di Parma corrispondeva perfettamente a queste caratteristiche perché possedeva istruttori preparati e capitani ben addestrati. Era, inoltre, strettamente legato alla potente monarchia spagnola di Carlo V e al suo forte esercito, impegnato costantemente su più fronti bellici, che poteva rappresentare un’ottima e remunerata collocazione per giovani desiderosi di intraprendere la carriera militare.

    Per conoscere almeno sommariamente la sua personalità, possiamo dire che Mario Farnese non fu certamente uno dei tanti personaggi che si trovano elencati nelle varie genealogie solo perché discendente della grande e famosa stirpe del giglio e del liocorno. Al contrario, fu una figura di grande rilievo politico, militare, diplomatico, amministrativo e, perfino, come vedremo, artistico e letterario.

    Apparteneva, come accennato, al ramo minore della famiglia Farnese, che comprendeva i due paesi di Latera e Farnese e il castello di Giove, in Umbria.

    Per la sua grande intelligenza e versatilità, sia nelle arti militari che in quelle civili, per la sua fine sensibilità artistica e per la sua intraprendenza innovativa, Mario Farnese è considerato una figura di primaria importanza e un protagonista del suo tempo.

    È indubbio che il suo piccolo feudo, situato in posizione strategica tra le aree d’influenza della Chiesa, della repubblica di Siena, del comune di Orvieto e della contea degli Orsini, con lui subì una svolta fondamentale, uscendo dal provincialismo che lo avvolgeva da anni e colmando, in parte, il ritardo economico, giuridico, ma in particolar modo culturale, che lo separava dal ducato di Castro, di Parma e Piacenza.

    A differenza della maggior parte dei Signori della sua epoca e degli stessi parenti del ramo maggiore, operò attivamente, con tutti i mezzi e le possibilità che aveva a disposizione, per migliorare la vita dei suoi sudditi, con l’emissione di avanzate e fondamentali norme per regolare la struttura e l’attività del suo piccolo feudo e con la realizzazione di opere di grande impegno sociale, religioso e architettonico, che durante il suo governo portarono un periodo di benessere e di sviluppo economico e culturale, sia per la comunità di Latera, che per quella di Farnese.

    In tutte le sue azioni, sia militari che diplomatiche, agì sempre con devozione alla Chiesa e con lealtà e franchezza verso gli avversari, onorando e coprendo di gloria il nome dei Farnese, non solo del suo ramo ma anche di quello, molto più ricco e famoso, dei parenti di Castro, Parma e Piacenza, con i quali intrattenne sempre buonissimi rapporti di amicizia e di collaborazione.

    Fu considerato da tutti un abile condottiero, un brillante stratega e un capace organizzatore di difese militari, sia in Italia che all’estero e fu consigliere ascoltato e stimato di numerosi capi di stato e di pontefici.

    Fu anche un distinto e diplomatico cortigiano, dal linguaggio forbito e dai modi eleganti e gentili, in grado di attirare l’attenzione e la stima di tutti i personaggi della sua epoca. Fu, insomma, un uomo adatto ad ogni circostanza e ad ogni situazione, un personaggio intelligente, capace e valido in qualsiasi evenienza.

    Nei capitoli successivi sarà completamente trascurata la sua straordinaria carriera come uomo d’armi, che rappresentò, peraltro, il lavoro principale della sua vita, fino al primo decennio del XVII secolo e che è già stata ampiamente trattata in altre pubblicazioni e in numerosi convegni.¹¹

    Concentreremo, invece, la nostra attenzione su un aspetto meno indagato e poco conosciuto della sua vita, perché disperso in mille postille o in brevi paragrafi di difficile localizzazione, riunione e compendio.

    Si parlerà esclusivamente di Mario Farnese appassionato d’arte, mecenate, scopritore e protettore di giovani talenti, sia nella pittura che nella scultura, occupandoci in particolar modo del ruolo che svolse nella carriera professionale del pittore Antonio Maria Panico.

    Fig. 2. A sinistra: Presunto ritratto di Mario Farnese. Particolare tratto dalla tela dell'Immacolata Concezione del monastero di S. Maria delle Grazie di Farnese;

    A destra: Stemma di Mario Farnese del 1616. Comune di Farnese.

    ___________________

    ¹ Il testamento di Ranuccio Farnese è conservato presso l’Archivio di Stato di Napoli, Archivio farnesiano, b. 2071, fasc. 3, ff, cc. 1r-8v. È stato pubblicato da R. Lefevre R, 1980, pp. 190-207.

    ² Dal matrimonio tra Pier Bertoldo e Giulia Acquaviva nacquero moltissimi figli, da quindici a diciassette secondo i vari studiosi (F. M. Annibali, 1817-18, pp. 89-90; C. Lanzi, 1938, pp. 283-284; A. Rossi, 1990, pp. 95- 96; G. A. Baragliu, 1996, pp. 78-80; R. Luzi, 1999, p. 33; P. Rosini, 2015, B. Caprio 2018 pp. 98 e seguito).

    Generalmente sono riportati un po’ da tutti gli storici farnesiani i seguenti discendenti: Ferdinando (o Ferrante) (1543-1606), Galeazzo (1544-1575), Fabio (1547-1579), Mario (?-1619) e Alessandro gemelli, Giulio, Claudia, Violante, Francesca, Clelia, Vittoria, Ottavia, Virginia, Isabella (1548-?) e Flaminia (1556-?). Pier Bertoldo ebbe da un’altra donna anche un figlio illegittimo, che fu chiamato Carlo.

    ³ F. M. Annibali, 2006, pag. 90.

    ⁴ S. Andretta, Farnese Ferrante, 1995.

    ⁵ P. Volpini, 1973-74, p. 201.

    ⁶ E. Nasalli Rocca, 1995, p. 95.

    ⁷ S. Andretta, 1995, pp. 8-13.

    ⁸ Archivio Storico di Viterbo, Archivio notarile comunale di Farnese, notaio Bonifacio Bottardi, prot. 25, cc. 7r-v.

    ⁹ C. Lanzi, 2003, p. 285.

    ¹⁰ Del gemello Alessandro non si sa nulla perché morì, probabilmente, alla nascita o in tenera età.

    ¹¹ G. A. Baragliu, 1996, pp. 84-94; B. Caprio, 2018, pp. 137 e seguito; B. Caprio, 2022.

    MARIO FARNESE MECENATE E COMMITTENTE ARTISTICO

    Testimonianze scritte inconfutabili, confermano che, terminata ormai la sua lunga carriera militare, Mario Farnese soggiornava spesso a Roma, sia per svolgere il suo incarico di rappresentante del duca di Parma, sia per curare gli interessi della propria famiglia e sia perché convocato spesso da papa Paolo V (Camillo Borghese, 1605-1621) per incarichi e consulenze di carattere militare e politico-diplomatiche.¹²

    Il nome di Mario figura, inoltre, anno dopo anno, nei Ruoli Farnesiani come stipendiato regolare del ducato di Parma e Piacenza ¹³ e sappiamo che mantenne sempre un legame d’amicizia con Papirio Picedi (1528-1614), personaggio molto influente, ambasciatore a Roma presso il Vaticano per Alessandro Farnese, poi diplomatico al servizio del duca Ranuccio I e, infine, vescovo di Parma.

    Accanto a questi incarichi ufficiali, Mario ricopriva per Ranuccio I anche il ruolo di agente artistico e le vicende di Francesco Mochi e la permanenza a Parma del giovane Ribera ne rappresentano i casi esemplari: il Farnese introdusse, infatti, sia lo scultore toscano che il pittore spagnolo presso l’illustre cugino e riuscì a fare ottenere ad entrambi delle commissioni, seguendone e supervisionandone poi gli sviluppi.¹⁴

    Nel 1601, fu prodigo di suggerimenti e di consigli per la decorazione del teatro nel Palazzo della Pilotta a Parma e per la costruzione delle mura difensive della città.

    Fu, inoltre, certamente Mario Farnese a presentare, nel 1604, a Ranuccio I, l’architetto Giovanni Battista Aleotti detto «l’Argenta», per la progettazione e realizzazione del Teatro Farnese di Parma.

    Per quel teatro, Ranuccio I intendeva effigiare sugli archi di trionfo, a cavallo ed in armatura, suo nonno e suo padre, rispettivamente Ottavio ed Alessandro Farnese, usando ritratti che li rappresentavano in età giovanile. Il responsabile dell’apparato decorativo, il Conte Alfonso dal Pozzo Farnese ¹⁵, con una sua lettera del 31 luglio 1618, aveva chiesto pareri al riguardo a Mario, che si disse favorevole e contento di tale idea.

    Nei suoi soggiorni romani era generalmente ospite dei parenti del ramo di Parma e Piacenza o dello stesso pontefice, ma facendosi sempre più frequenti e più durature le sue presenze in città, nel settembre del 1607 decise di comperare un appartamento in città.¹⁶

    L’acquisto, la vendita e il riacquisto di questi appartamenti in zone strategiche e molto centrali della città, sempre in prossimità del Palazzo Farnese e di San Pietro, ci fa capire chiaramente che Mario Farnese, in quegli anni, soggiornava frequentemente Roma, dove svolgeva lavori di consulenza sia per il pontefice che per i parenti di Parma e Piacenza.

    Abbiamo numerosi documenti che attestano questa sua attività, specialmente per gli anni dal 1607 al 1609. ¹⁷

    Per quanto detto sopra, si capisce chiaramente che in questo andirivieni, Mario Farnese aveva la necessità di possedere una propria decorosa abitazione a Roma, per muoversi più liberamente, per tenere i vestiti, la biancheria e tutte le altre cose personali, che potevano servirgli, per ricevere gli amici più esclusivi, per conversare, senza essere disturbato, con letterati, artisti già famosi o ancora sconosciuti e per coltivare le sue ultime grandi passioni: l’arte, l’astronomia e l’alchimia.

    Roma era in quel periodo una città internazionale e multietnica dalle mille occasioni e dalle molteplici possibilità, ma anche ricca di contrasti e di contraddizioni.

    Simboleggiava il cuore della cristianità, ma allo stesso tempo era l’erede più accreditata dell’antica tradizione pagana.

    Rappresentava la destinazione di milioni di pellegrini in cerca del perdono dei propri peccati, ma metteva in scena quotidianamente un teatro di scandalose pratiche di corruzione e promiscuità, che avrebbero fatto impallidire gli abitanti di Sodoma e Gomorra.

    Costituiva il ricovero abituale di miserabili e vagabondi, ma, contemporaneamente, ospitava le dimore signorili delle famiglie più nobili d’Europa, che avevano il potere di decidere il destino della popolazione, la fortuna o la miseria di numerosi artisti e scienziati geniali.

    Roma era, però, anche un luogo dalle grandi opportunità, una città in espansione, dove si poteva passare, nel giro di poco tempo, dall’anonimato alla gloria, ma cadere di nuovo in rovina con altrettanta facilità.

    A determinare queste straordinarie e indescrivibili parabole e a scandire il ritmo della vita quotidiana della città, erano chiaramente il pontefice in carica, i rappresentanti delle principali famiglie aristocratiche romane e peninsulari, ma soprattutto i prelati di Santa Romana Chiesa, i cardinali, i membri della Curia e della corte pontificia.

    Tanti cardinali avevano ottenuto la porpora solo per motivi di parentela con il papa regnante o con governanti nazionali o stranieri, quasi sempre dietro versamento di notevoli somme di denaro o di importanti contropartite politiche.

    Alcuni si erano ritrovati all’apice della piramide ecclesiastica senza aver mai officiato una messa o addirittura senza saperla celebrare, perché non avevano mai preso gli ordini sacerdotali, ma tutto questo era assolutamente irrilevante agli occhi di molti pontefici.

    Poco importava la fede religiosa, la santità e l’integrità morale, contava soprattutto essere capaci e affidabili amministratori delle cose dello Stato Pontificio e abili diplomatici.

    I più potenti erano ovviamente i parenti stretti del pontefice, tra cui spiccava la figura del cardinal nepote, una sorta di Segretario dello Stato Pontificio o di Vice Papa, ma svolgevano un ruolo importante e di grande rispetto anche i consiglieri, i funzionari o i condottieri che servivano fedelmente la Chiesa.

    Le testimonianze dell’epoca ci permettono di ricostruire con una certa precisione i costumi eccentrici e le manie imprevedibili di eminenti personaggi o prelati romani, che di giorno curavano le cerimonie spirituali con sontuose e complesse liturgie e di notte animavano la vita mondana della città, con l’allestimento di spettacoli e ricevimenti all’interno dei loro palazzi, aperti solo ad ospiti importanti e ad amici fidati.

    Sono loro i principali artefici della vita culturale e artistica romana, gli ideatori e i promotori delle più preziose collezioni d’arte della città.

    Tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento, le gallerie private di dipinti e di sculture erano diventate dei veri e propri status symbol, che non potevano assolutamente mancare in una residenza di prestigio e di rispetto.

    Gli artisti di ogni genere, provenienti da tutti i paesi europei, conoscevano bene questo mondo così variegato e accorrevano in massa a Roma, con la speranza di riuscire a cogliere qualche opportunità, di fare fortuna e diventare famosi.

    Mario Farnese era molto conosciuto e stimato in città, perché, per tradizione familiare e per i meriti acquisiti sul campo, era considerato un «amico e stretto collaboratore» del pontefice».

    Nonostante la lunga carriera militare, che generalmente indurisce l’animo e rende più rozzi i modi di comportarsi, possedeva un aspetto e un modo di fare raffinato e gentile, accompagnato da grandi doti diplomatiche, da una rilevante conoscenza in più discipline e da un linguaggio chiaro e accattivante.

    Queste sue qualità lo resero particolarmente accettato e ascoltato da pontefici come Clemente VIII (1592-1605) e Paolo V (1605-1621), oltre che da numerosi personaggi e collezionisti d’arte, potenti e influenti, che avevano agevolato la fortuna di molti artisti e letterati.

    Nel lungo periodo trascorso a Parma, dopo il matrimonio con Camilla Meli Lupi di Soragna, Mario aveva frequentato assiduamente la rinomata Accademia degli Innominati, fondata da Eugenio Visdomini e Giulio Smagliati, nel 1574, conoscendo numerosi poeti e letterati come Angelo Ingegneri, Muzio Manfredi, Torquato Tasso, Battista Guarini e tanti altri, allargando notevolmente le sue conoscenze e affinando la sua preparazione in studi umanistici, quali la letteratura, la filosofia, la storia la religione e in discipline artistiche, come la pittura, la scultura, l’architettura, la musica, il teatro, l’opera e la danza.

    Era entrato a far parte di una delle famiglie più nobili e aristocratiche della regione, che possedevano il castello di Soragna e numerose altre proprietà, e non voleva certamente sfigurare con i parenti acquisiti con il matrimonio e con i cugini di Parma e Piacenza.

    Aveva già acquistato, negli anni di servizio nell’esercito del duca di Parma e in quelli successivi nelle Fiandre, una grande considerazione come condottiero di milizie e come esperto in fortificazioni e assedi e ora intendeva emergere e farsi apprezzare anche come competente e capace intenditore di letteratura, di teatro e di danza, molto di moda nell’aristocrazia cittadina, di scultura e soprattutto di pittura, che era stata da sempre il suo primario interesse.

    In tutto questo, dimostrava una seria intenzione a supplire ad una lacuna, una grande ambizione e un nascosto desiderio di ristabilire un equilibrio e bilanciare una differenza con i parenti Farnese di Parma, con i Meli Lupi e con i Pallavicino.

    Non poteva avere occasione migliore di quella per arricchirsi culturalmente e artisticamente, tanto più che Parma, dai primi anni del Cinquecento, era diventata uno dei centri più attivi della regione.

    Oltre alla frequentazione di riservati ristretti salotti letterari, insieme alla brillante, colta, raffinata e affabile suocera, Isabella Pallavicino e ai principali poeti e letterati del momento, conobbe i maggiori collezionisti e committenti artistici della città.

    Ebbe la possibilità di poter osservare e apprezzare le opere di Alessandro Araldi (1460 circa - 1528), uno tra i maggiori artisti del luogo, nei primi anni del XVI secolo.

    Fig. 3. Alessandro Araldi (1460-1528). Annunciazione con i Santi Caterina

    e Sebastiano. Olio su tela, cm. 197 x 145. Galleria Nazionale di Parma.

    A Parma, Mario conobbe anche le opere di Michelangelo Anselmi, detto lo Scalabrino (1491/92-1556), che cresciuto a Siena, fu molto influenzato dalle opere del Sodoma (1477-1549), di Bartolomeo Neroni (1505-1571), conosciuto anche con il

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