Grumo, Groviglio e Patacca e altre fiabe con mia figlia Adele
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About this ebook
Manuela Zanetton (Milano il 20 giugno 1954), ha studiato Comunicazione (Marketing e Media - specialità tecnico) e conseguito l’attestato dell’Istituto Europeo di Design nel 1978.
Nel 1978 fonda con un socio il negozio Koalasport, specializzato in attrezzi per correre.
Contemporaneamente scrive per la rivista “Correre”. È iscritta all’Albo Professionale dei Giornalisti.
La nascita della figlia Adele nel 1993 la stimola a scrivere fiabe che ogni sera le legge e a cui lei partecipa intensamente.
Adele realizza i disegni mentre frequenta la scuola media.
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Grumo, Groviglio e Patacca e altre fiabe con mia figlia Adele - Manuela Zanetton
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
L’accento smarrito
Una sera una mamma raccontava una bella storia alla sua bambina per farla addormentare. La mamma disse: E tutti vissero felici e contenti. Questa e la fine della storia
. Poi diede due baci alla sua bambina che già quasi dormiva e spense la luce. Non si era accorta che l’accento della frase: Questa è la fine...
era scivolato giù e con la luce spenta non era più riuscito a trovare la sua E.
Non appena si era trovato al buio, l’accento aveva pensato: Non sono mai rimasto da solo, devo immediatamente mettermi alla ricerca della mia E. Siamo sempre stati molto bene insieme, e se si mette a piovere, lei non mi avrà sulla testa per ripararla e magari si prenderà un raffreddore. Devo proprio sbrigarmi
. Così l’accento cominciò a girare qui e là a caso, perché non sapeva dove andare. Si trovò nel sogno che la bambina stava facendo, un sogno pieno di sole e prati verdi. Arrivò ad un certo punto in riva ad un ruscello e vide, sotto un grande albero, tutte le lettere dell’alfabeto che erano andate lì a fare un pic-nic. Pieno di speranza, l’accento si avvicinò per vedere se insieme a tutte quelle lettere c’era anche la sua E. Si mise a chiedere a tutte se l’avevano vista.
L’accento andò dalla A che disse di essere la lettera più importante infatti è la prima lettera dell’alfabeto e poi è l’iniziale della parola amore. Non sapeva se c’era una E senza il suo accento e non le importava nulla. Sarà importante, pensò l’accento, ma a me sembra proprio antipatica.
Allora proseguì e incontrò sotto l’ombra di una betulla la B e le chiese se aveva visto il suo accento. Bo? Disse la B e lui pensò che era una lettera un po’ bislacca. La C invece era a cavallo e si fermò per ascoltare la domanda dell’accento, ma continuava a ripetere: come, cosa? L’accento se ne andò a cercare altrove. Su un dondolo trovò la D che canticchiava din-don, din-don e che non si degnò proprio di rispondere. L’accento continuò a camminare, poi si mise a correre quando vide una E, ma non era la sua. Questa era nata senza accento, etcì, infatti aveva sempre il raffreddore perché non aveva il cappello. La F lo spaventò perché era molto alta. La F gli disse che lei non poteva sopportare un accento perché avrebbe potuto perdere l’equilibrio, infatti nessuna F lo aveva mai avuto. Arrotolata come un gatto accanto al camino, la G se ne stava al sole e si grattava pigramente. L’accento chiese se aveva visto una E tutta sola, ma quella rispose no, no, stavo dormicchiando, non so. Allora vide una lettera che se ne stava in mezzo a un prato ben curato, con i fiori tutti ordinati e che aveva la forma di un edificio. Per forza, disse la lettera, io sono la H di hotel. Essa non gli diede retta perché era piena di preoccupazione: quando le due aste in piedi andavano d’accordo andava tutto bene, ma quando litigavano e una voleva andare a destra e l’altra a sinistra, erano dolori! L’accento cominciava a essere un po’ sconsolato, quando una gentilissima I gli disse molte parole di incoraggiamento e gli offrì da bere con il suo imbuto. Poi vide una specie di i con la coda e la lettera gli spiegò che lei era una che aveva viaggiato tanto, sugli yacht di tutte le compagnie del mondo. Conosceva molte lingue e molta gente, ma non aveva visto la sua E. Ecco un odore buonissimo: la K stava friggendo dei krapfen per tutti, dolcissimi e pieni di marmellata. Era stata così occupata a friggere e a spolverare di zucchero che non si era mai guardata attorno. La L