Ritorno a casa e altri racconti
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About this ebook
Walter Racugno (Iglesias - SU, 13.06.1944), già docente di Statistica all’Università di Cagliari, oltre agli studi di Statistica Matematica, campo in cui annovera numerose pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali e il volume Biostatistica. Casi di Studio in R (con Laura Ventura, Ed. Egea, 2017), si è occupato a lungo attivamente di teatro, formazione di insegnanti, animazione per ragazzi e bambini nelle scuole e nelle piazze.
Ha scritto e pubblicato, in diversi contesti editoriali, racconti di vario genere e, in particolare, una raccolta di brevi storie create assieme alla figlia Maria di nove anni, Otto parole, quattro mani, due pagine.
Si dedica tutt’ora alla scrittura di storie e di poesie, ancora inedite.
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Ritorno a casa e altri racconti - Walter Racugno
Walter Racugno
Ritorno a casa
e altri racconti
© 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-6859-1
I edizione novembre 2022
Finito di stampare nel mese di novembre 2022
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
Il testo che scrivi deve darmi la prova di desiderarmi.
Questa prova esiste: è la scrittura. La scrittura è questo:
la scienza dei godimenti del linguaggio, il suo kamasutra
(di questa scienza non c’è che un trattato: la scrittura stessa).
(Roland Barthes - Il piacere del testo, 1973)
Ritorno a casa e altri racconti
A Laura, Maria, Francesca Carolina, Anna Lou.
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
Ritorno a casa
Lorenzo
Non si aspettava molto di più, anzi per meglio chiarire, non aveva maturato alcuna aspettativa. Proprio come quando in gioventù si era ritrovato a fare qualche colloquio di lavoro, rispondendo ad annunci vaghi che non precisavano né ruoli né mansioni o entrava in qualche negozio senza avere idea di che cosa stesse cercando.
Eppure qui si trattava di un rientro a casa. Diciamo così: a casa
, sebbene un casa non sua e che forse non parlava ormai più di lui. Mancava da quella casa dai tempi dell’università, quando era andato via dal paese per la città e dove era tornato raramente e via via sempre più di rado se non per salutare frettolosamente la madre e per portare via qualche cosa che gli era appartenuta: libri che finiva per vendere nei mercatini o gli ultimi indumenti che erano rimasti. Non aveva cercato alcuno degli amici che erano ancora al paese, e neppure ne chiedeva notizie.
Poi niente, dopo la morte della madre.
L’ultima volta era andato per chiudere tutto, tirarsi dietro la porta e portare via le chiavi, lasciando ogni cosa come stava.
Non aveva idea di quanti anni esattamente fossero passati da allora. Molti, certamente molti, pensò vedendo nello specchietto retrovisore dell’auto i capelli ingrigiti. D’altra parte nel frattempo aveva assunto il ruolo di pensionato e aveva potuto riprendere a scribacchiare disordinate pagine di appunti per racconti appena abbozzati e a dipingere come faceva da studente tra un esame e l’altro. Il lavoro lo aveva assorbito totalmente e costretto a lasciare pagine bianche e tele soltanto abbozzate. Pagine e tele che aveva ripreso là dove le aveva lasciate, come se il tempo non fosse trascorso da allora.
Le sue storie d’amore - così le chiamano gli altri - non si erano mai evolute oltre il gioco, il sesso e il gusto del fare insieme: viaggi, momenti di allegria e leggerezza, senza che mai ci fosse stato un tentativo di consolidare quelle storie in qualche sviluppo duraturo, di impegno, di una visione del domani. Le donne, per quanto attraenti e sempre interessanti, mai banali, finivano per stancarsi di questa sua inconcludenza e, sebbene attratte dalla sua fantasia e dal gusto del gioco spensierato, chiedevano una evoluzione della storia e alla sua resistenza e inconcludenza reagivano immancabilmente con la fuga. Tutte eccetto una.
Bene: era pronto per un nuovo inizio!
Il trascorrere del tempo non lo preoccupava perché all’avanzare dell’età corrispondeva immancabilmente un abbassamento dell’età - rispetto alla sua - della nuova fanciulla che lo attraeva.
Nessuna relazione stabile, nessuna prospettiva progettuale, nessun baule pieno di ricordi da conservare. I ricordi, le storie passate erano immagini sparse che si sovrapponevano l’una all’altra nella memoria, senza che avessero intensità diverse tra loro: una carrellata di vicende che gli ruotavano nella mente come una giostra. Quella giostra dove lo portavano i genitori da bambino e mentre loro cercavano di convincerlo a scegliere un cavallo da montare o un’automobilina o slitta che fosse, lui pretendeva di mettersi al centro della giostra a seguirne il movimento stando fermo nel perno della stessa. La madre ne sorrideva e il papà si indispettiva e lo strattonava. Entrambi i genitori convenivano che quel loro figliolo aveva dei comportamenti inusuali, se non proprio strani, e non soltanto nell’uso della giostra, ma il loro atteggiamento di accettazione e il livello di preoccupazione erano ben diversi: indulgenti quelli della madre, infastiditi quelli del padre. Ma nessuno dei due aveva risorse o capacità per porvi rimedio.
Arrivò sulla soglia di casa al tramonto. La giornata limpida lasciava che gli ultimi raggi ramati del sole inondassero i vetri delle finestre di una luce nostalgica, quasi a suggerirgli uno stato d’animo che lui non provava, incapace di ritrovare in sé quel sentimento. Che d’altra parte non gli apparteneva, né aveva mai scoperto o coltivato.
Dovette provare tutte le chiavi del mazzo come se non fossero sue, prima di trovare quella che fece scattare la serratura.
Lo sguardo non sapeva dove posarsi, distrattamente lo lasciò vagare a esplorare gli spazi i mobili gli oggetti che stentava a riconoscere, a identificare come propri, già vissuti. Mentre un senso di estraneità lo assaliva e stava giusto domandandosi dove fosse o addirittura chi fosse lui stesso in quel luogo, la porta di ingresso si dischiuse e illuminata di spalle dalla luce arancione del tramonto gli apparve la sagoma di una donna.
Era Serena.
Serena
Nell’istante in cui la riconobbe - chissà da quale anfratto della sua memoria riuscì a farla riemergere - il nastro dei ricordi si riavvolse velocemente, come quando a un registratore si impartisce l’ordine rewind. Le immagini si snodavano istericamente come in un film ripercorso a ritroso in un lampo di tempo.
Senza quasi rendersene conto fece alcuni fermo immagine
dove immancabilmente compariva Serena. Da queste il nastro riprese a svolgersi in avanti, percorrendo tratti della sua storia che apparvero via via più nitidi riportando con lucidità alla memoria spazi vissuti. E in essi ripercorse sensazioni e sentimenti che credeva ormai assopiti.
Serena, Katy, Marina, Serena, Anna, Samantha, Anna, Serena, Malia, Elvira, Serena, un elenco di nomi, ma una sola presenza costante: Serena.
Adesso, nella sua mente confusa come la tavolozza impiastricciata di un pittore dilettante, appariva nitida la figura di Serena. E riemergevano i ricordi chiaramente: gli unici.
Lei era la costante nella sua vita mentalmente confusa, pervasa da ricordi sbiaditi, confusi tra loro.
Perché la loro storia non si era consolidata? Perché non l’aveva eletta a un rapporto permanente e ancora attuale? Che di sicuro avrebbe dato alla sua vita, al suo modo di pensare di essere di percepire il mondo un senso stabile duraturo indelebile, cancellando questa impalpabilità del vivere, del ricordare, dell’essere.
Lorenzo non sapeva dare risposta a questi interrogativi che gli giravano per la testa. Ma quanto più l’immagine di Serena si concretizzava nella sua mente, la nebbia in cui era sempre immerso si dileguava e con sorpresa riscopriva sprazzi di vita che gli parevano ignoti.
Serena si fece avanti, uscendo dal controluce e apparendole nitida e perfettamente riconoscibile nell’immagine che gli era appena riaffiorata alla mente.
Questa visione lo fece uscire dal torpore mentale e subito provò il desiderio di toccarla, di materializzarne il ricordo: era Serena!
Serena, la donna che aveva sempre amato, l’unica. Quella che portò con sé sino alla fine della loro storia: ma quale fine? Non ricordava come e perché fosse accaduto. Ma certo fu quell’abbandono, voluto da chi? Che lo disamorò della vita e lo portò a cancellare i ricordi e le immagini di prospettive future. In un lampo gli si rischiarò la mente e capì - per la prima volta - quale trauma aveva cambiato/cancellato il suo rapporto con